venerdì 1 aprile 2016

Il buon governo di papa PIO IV di Luisa Troiano.

Pio IV de’ Medici guidò la chiesa con un grande equilibrio e con buon senso. Egli era molto apprezzato dal popolo per i suoi modi ed è stato ricordato per le sue decisioni ecclesiastiche e politiche, per le sue innovazioni e per i buoni rapporti e la collaborazione con gli artisti del tempo.
Giovanni Luigi Angelo de’ Medici di Marignano nacque a Milano nel 1499 da Bernardo de’ Medici e Cecilia Serbelloni. La sua giovinezza fu ricca di traversie, sia per ragioni familiari sia politiche. Compiuti gli studi giuridici, fu avviato alla carriera ecclesiastica, sotto la protezione del futuro Paolo III Farnese. Da cardinale fu commissario della Lega Smalcaldica, la lega difensiva dei principi protestanti del Sacro Romano Impero. Giovanni de’ Medici fu uno dei favoriti di Paolo III Farnese e Paolo IV Carafa che, peraltro, lo inserì nella Congregazione del Sant’Uffizio nell’autunno del 1556.
Durante la sua carriera ecclesiastica, Giovanni de’ Medici si legò molto a Giovanni Morone (1509-1580) e Alessandro Farnese (1545-1592) e quest’ultimo, col nome di Paolo III, gli affidò numerosi incarichi nell’amministrazione dello Stato della Chiesa.
Alla morte di Paolo IV Carafa, fu eletto papa la notte di Natale del 1559 e volle chiamarsi Pio per indicare la mitezza che si proponeva nel suo governo.
Nel giorno dell’Epifania, Pio IV per dare un’immagine materiale del proprio regno, lanciò denaro al popolo accalcato sulla scalinata di S. Pietro provocando morti e feriti.
Nel 1560 Pio IV aprì un processo contro i seguaci intransigenti di Paolo IV, in particolare contro il cardinale Carlo Carafa, il quale, esiliato da Roma, ebbe la sfrontatezza di ritornare in città: i principali capi d’accusa contro di lui riguardavano la sua condotta durante il pontificato di Paolo IV Carafa e furono il tradimento, l’estorsione, la frode, nonché l’assassinio della moglie di Giovanni Carafa.
L’opera più proficua di Pio IV è però senz’altro la ripresa del Concilio di Trento con la bolla del 29 novembre del 1560, la cui riapertura si ebbe solo due anni dopo. Il Concilio doveva innanzitutto portare a termine la dottrina dei sacramenti e più di una volta si affacciò il pericolo di uno scioglimento di quest’ultimo.
Pio IV con l'aiuto del nipote cardinale Carlo Borromeo, futuro arcivescovo di Milano, riaprì, nel 1562, i lavori conciliari. Fu affrontata la questione del sacrificio della Messa, considerato memoriale e ripresentazione in maniera reale dell'unico sacrificio di Gesù sulla croce, sacerdote e vittima perfetta, condannando con ciò le idee luterane e calviniste della Messa come semplice ricordo dell'ultima cena e del sacrificio di Cristo.
Nel 1561 Pio IV operò la grande trasformazione delle Terme di Diocleziano con la costruzione del monastero e del relativo chiostro della certosa di S. Maria degli Angeli, più conosciuto come Chiostro Michelangiolesco. Tra le opere più significative ricordiamo la costruzione della Porta Pia, una delle ultime opere di Michelangelo e la chiusura dell’antica Porta Nomentana. Per quanto riguarda la Casina di Pio IV, essa fu completata nel 1561 come residenza estiva del papa. Circondata da alberi e giardini, la Casina è un gioiello che conserva affreschi, illusioni prospettiche, mosaici e fontane del XVI secolo.
Nel 1562 Pio IV diede facoltà a Teresa d’Avila, una delle figure più importanti della Riforma Cattolica grazie alla sua attività di scrittrice e riformatrice delle monache e dei frati carmelitani scalzi, al quale aderì anche Giovanni della Croce quando scelse la vita religiosa per l’attrazione che esercitava sul suo animo.

Presso la corte di Pio IV trovarono protezione e lavoro Michelangelo, Giovanni da Udine, Daniele da Volterra e lo stesso Papa agevolò molto anche l’arte della stampa chiamando a Roma il facoltoso stampatore Paolo Manuzio, figlio di Aldo Manuzio.
Pio IV, durante il suo Papato, assolse e reintegrò nel Sacro Collegio il Cardinal Giovanni Morone  (Milano, 25 gennaio 1509 – Roma, 1º dicembre 1580), processato e incarcerato da Paolo IV per eresia. Inoltre, fece redigere una nuova edizione dell’Indice di libri proibiti e contemporaneamente autorizzò la repressione dei Valdesi in Calabria e in Puglia e combatté il Calvinismo in Francia.
A chiudere con il Concilio di Trento furono i cardinali Morone e in qualità di legato a latere Bernardo Navagero  (Venezia, 1507 – Verona, 13 aprile 1565) nel dicembre del 1563 per volontà di Pio IV.
Nel 1564 Pio IV concesse ad un buon numero di diocesi germaniche la comunione con la concessione del calice per i laici ed il matrimonio per i sacerdoti, linea politica richiesta dall’imperatore nella speranza di una riconciliazione fra il Protestantesimo germanico e la Chiesa Cattolica. A causa di queste concessioni, Pio IV fu oggetto della Congiura di Benedetto Accolti, profondamente contrario a queste proposte. Lo sgangherato progetto prevedeva l’accoltellamento del papa con uno stiletto avvelenato, avvolto in un panno di velluto nero durante un’udienza nella Stanza della segnatura. La congiura fallì per il tradimento di uno dei congiurati, i quali in seguito alla delazione furono arrestati, interrogati e torturati. Dietro questo stravagante progetto c’erano dei risvolti ideologici come l'ancor vivo filone profetico-savonaroliano e la speranza di "un generale rinnovamento spirituale e morale della Chiesa". Due elementi fornirono infatti un credibile movente sia alle dichiarazioni ufficiali dei protagonisti durante il processo, sia alle successive interpretazioni della storiografia. Questa lettura "mistica e spirituale", per la liberazione d'Italia e l'ascesa di un papa "vero e santo", è però contraddetta da un'altra ipotesi sulle motivazioni e sui mandanti: gli sforzi papali di conciliazione nei confronti dell'imperatore e dei protestanti, incontravano infatti una sorda opposizione e il progetto di "concedere la comunione con il calice ai laici e il matrimonio dei preti" era destinato a scontrarsi con la Spagna di Filippo II e con l'Inquisizione romana. Il malcontento nei confronti di Pio IV, inoltre, era alimentato da una politica interna che accresceva la pressione fiscale, intervenendo nell'amministrazione della giustizia e favorendo i familiari del pontefice. Sono proprio questi "elementi contestuali" che gettano nuova luce sull’episodio della congiura, inserendolo problematicamente nella storia di un pontificato e dell'Europa. Al di là di questo episodio, si nasconde poi uno scenario ancor più complesso. Da una parte c’è Pio IV, filoimperiale, che concede ad alcuni vescovi tedeschi il permesso di comunicare; che vorrebbe riportare il Santo Uffizio sotto il controllo del papa; che riabilita il cardinale Morone; che prova a tenere circoscritto il fervore intransigente dei suoi avversari pronti a vedere l’eretico anche nella stessa persona del papa. Un’azione verso la moderazione che però viene condotta con estrema durezza anche attraverso processi e condanne a morte importanti, come quella dei parenti e collaboratori di Paolo IV, Carlo Carafa e suo fratello Giovanni duca di Paliano, decapitati nel 1561 e, soprattutto, un’azione che non riesce a conquistarsi il favore del collegio cardinalizio. Dall’altra parte, opposti a Pio IV l’ombra del suo predecessore Paolo IV Carafa e soprattutto il suo successore Pio V, Michele Ghisleri, braccio destro di Paolo IV e Sommo inquisitore sotto l’ala di Filippo II, cui certe scelte dottrinali più intransigenti sono necessarie. Il cardinale Ghisleri riesce, diversamente da Pio IV, a raccogliere intorno a sé un’atmosfera di rispetto e di sostegno, a partire da alcune figure legate al papa, come Carlo Borromeo, fino ai congiurati.
I congiurati sono condannati a morte e la versione ufficiale sarà che si è trattato di eretici isolati; una spiegazione tutta spirituale che non indebolisce un papato già molto debole. Una posizione che la storiografia ha più volte riconosciuto come funzionale all’interesse del potere minacciato e che in altre occasioni è stata utilizzata.
Nella bolla Benedictus Deus del 26 gennaio 1564, Pio IV istituì una Congregatio Sancti Concilii, una congregazione sorta per la corretta interpretazione dei canoni del Concilio di Trento.
Infine Pio IV  nel 1564, approvò tutti i decreti conciliari e incaricò una commissione di vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi. 
Pio IV si ammalò non riacquistando più salute e morì la notte del 9 dicembre 1565.

Troppa morale fa male! Di Linda Gambardella.

La morale intransigente di Paolo IV Carafa in un’epoca libertina come il Rinascimento…
Gian Pietro Carafa nacque a Sant’Angelo, presso Avellino, da Giovanni Antonio dei Conti Carafa, appartenente al ramo nobile Napoletano di questa famiglia e da Vittoria Camponeschi, figlia di Pietro Lalla, ultimo conte di Montorio. Terzo di nove figli, i genitori ne affidarono l’educazione al mentore, suo zio Oliviero Carafa, che da subito lo introdusse nella Curia romana, dove ricoprì diversi incarichi fino all’ascesa al soglio papale.
Già Alessandro VI Borgia voleva inserirlo nella sua corte, ma siccome egli era uomo di forte moralità, si oppose energicamente.
Convocato nel 1522 presso la corte di Adriano VI Floorenzsoon, un papa decisamente conservatore che voleva riformare la chiesa riportandola alle antiche tradizioni, il papa gli affidò la riforma della Curia romana e del Clero: ma due anni dopo Gian Pietro Carafa presentò le dimissioni e chiese al pontefice in carica, che allora era Clemente VII de’ Medici, di rinunciare a tutti i suoi beni e di potersi ritirare in vita solitaria. Carafa entrò così nell’ordine del Divino Amore, l’oratorio dove conobbe molti futuri amici, tra questi ricordiamo particolarmente Gaetano da Thiene con il quale fondò l’ordine dei frati Teatini: l’istituto religioso maschile di diritto pontificio, sorse con lo scopo di restaurare la primitiva regola apostolica, la quale prevedeva uno stile di vita rigido e ascetico e che caratterizzò i principi della Controriforma.
Dopo il sacco di Roma nel 1527, Gian Pietro Carafa, si rifugiò a Venezia, dove compose una celebre opera ”Il Memoriale”, dedicato a Clemente VII de’ Medici nel 1532, sul dilagare dell’eresia: in quest’opera egli proponeva di affidare i processi all’Inquisizione e di punire severamente gli eretici.
Paolo III Farnese, eletto Papa, chiamò Gian Pietro Carafa nel comitato della corte papale e siccome era uno dei suoi preferiti, lo nominò cardinale e gli assegnò l’arcivescovado di Napoli, ma Gian Pietro Carafa, non riuscì mai a prenderne possesso a causa dell’ostilità di Carlo V, quindi si impegnò a ricoprire cariche di responsabilità nel Concilio di Trento.
Alla morte di Marcello II Cervini, Gian Pietro Carafa salì al soglio papale, con grande sorpresa, poiché non era tra i favoriti del conclave a causa del suo carattere e dei suoi 79 anni d’età, che fecero pensare che egli declinasse l’incarico. Ma Carafa, non si sa bene per quali motivi accettò e il 23 Maggio 1555 fu incoronato con il nome di Paolo IV.
Divenuto papa si inimicò tutte le monarchie europee e combatté gli Spagnoli solo per portar via loro Napoli, così sviluppò un’intesa con la Francia che si concluse con un’alleanza segreta con Enrico II e con una guerra contro il Regno di Napoli o meglio contro l’imperatore Carlo V e i suoi ideali politico-religiosi e contro un giovane re di Spagna, Filippo II, considerato in un primo momento da papa Carafa del tutto simile a suo padre, fu l’ultimo dei tanti conflitti che sconvolsero la penisola italiana tra il 1494 e il 1559, l’epoca delle cosiddette “guerre d’Italia”.
La guerra di Paolo IV contro Carlo V e Filippo II può apparire politicamente assurda. Essa è stata a lungo considerata un episodio assai insignificante per la comprensione degli eventi che portarono alla pace di Cateau-Cambrésis: i giochi per la supremazia sull’Europa si svolgevano  ormai fuori dall’Italia, e fu soprattutto l’esito dello scontro tra Francesi e Imperiali nelle Fiandre con la disfatta francese di San Quintino del 1557, a sancire la fine della partita. Tuttavia fu proprio questa guerra a innescare l’ultima fase, quella decisiva, del confronto franco-spagnolo: essa si situa in un periodo assai rilevante della storia europea. Fu l’ultima guerra condotta da un pontefice contro gli Asburgo: i decenni successivi alla riappacificazione di Paolo IV con Filippo II videro il felice consolidarsi dell’alleanza tra il Papato e il sovrano spagnolo e la piena affermazione della Controriforma nell’Europa cattolica.
Paolo IV tenne in considerazione, prima di tutto, gli interessi religiosi, ai quali diede la priorità rispetto agli interessi politici. Giunse al pontificato in tarda età, quasi ottantenne, dopo aver maturato una lunga serie di esperienze nel campo della diplomazia pontificia, della direzione dell’ordine dei Teatini, del governo della Chiesa a livello episcopale e curiale, in un momento storico del tutto eccezionale, un vero e proprio tornante della storia mondiale: si svolgeva l’atto finale della partita tra Francia e Spagna per l’egemonia sull’Italia e sull’Europa, si esauriva il sogno imperiale di Carlo V, la Riforma protestante si stabilizzava in Germania e in Svizzera, le sessioni del concilio di Trento erano sospese dal 1552 e la sua riconvocazione era incerta, all’interno della gerarchia ecclesiastica il conflitto tra i due partiti degli spirituali e degli intransigenti era al suo culmine... Le due potenze che si fronteggiavano per l’egemonia sull’Europa erano attraversate da profondi conflitti religiosi, che turbavano la stabilità delle istituzioni politiche.
Basta pensare ai conflitti intorno all’Inquisizione spagnola o alla incredibile avanzata del calvinismo nel regno di Francia, che nel giro di pochi anni sarebbe piombato nel sanguinosissimo baratro delle guerre di religione, per rendersi conto di quanto la situazione fosse incerta e complicata nei due stati che si contendevano l’egemonia sull’Europa.
D’altronde nella stessa Italia, patria del cattolicesimo romano, il movimento protestante, a dispetto della repressione messa in atto dalle autorità statali, non era stato ancora stroncato definitivamente e continuava a rappresentare una seria minaccia all’egemonia cattolica.
Paolo IV aveva molto chiaro questo quadro e riteneva di dover agire in modo forte per preservare la purezza della fede e sicuramente riponeva poca fiducia nell’assemblea conciliare, pertanto tentò di effettuare una riforma con altri metodi, potenziando il Sant'Uffizio e pubblicando nel 1559 l'Indice dei libri proibiti , un elenco di testi la cui lettura veniva proibita ai fedeli per via di contenuti eretici o moralmente sconsigliabili.
Una minaccia per la purezza della fede era rappresentata da Carlo V, “imperatore eretico” secondo la definizione di papa Carafa, protettore politico dei maggiori avversari di Gian Pietro Carafa in curia, i cardinali Reginald Pole e Giovanni Morone. Gli “spirituali”, per Paolo IV, erano eretici della peggior specie. La guerra di Paolo IV contro gli Asburgo fu da lui concepita come una guerra contro un sovrano eretico, che mirava alla rovina della Chiesa. La rovina si sarebbe verificata se personaggi come Morone o Pole fossero ascesi al soglio papale grazie all’appoggio dell’imperatore. Tutti i mezzi per allontanare questa eventualità erano buoni. La stessa nomina del Pole ad arcivescovo di Canterbury al posto dello scismatico Thomas Cranmer, leader della Chiesa anglicana destinato al rogo, decretata nel concistoro dell’11 dicembre 1555, era volta a stabilizzare la posizione del Pole in Inghilterra in modo tale da tenerlo lontano da Roma e scongiurare la sua elezione al papato.
Deluso dagli insuccessi politici, si votò alla Riforma: egli voleva riformare la chiesa con la sua attività diretta e per estirpare le eresie, istituì nel 1556 una Congregazione generale per la Riforma, composta da 72 membri, successivamente divisi in 4 sezioni.
Paolo IV sancì l’obbligo di residenza per i vescovi e limitò ogni forma di devozione ereticale; pochi anni dopo affiancò all’Inquisizione la Congregazione dei Libri Proibiti, l’Index Prohibitorum Librorum, che conteneva tutti i titoli degli gli scritti eretici per la chiesa; primeggiarono in quest’indice, il “Decameron” di Boccaccio, il “Principe” di Machiavelli e tutte le edizioni della Bibbia Protestante. Impose inoltre riforme durissime che non risparmiarono neppure Roma.
Sostenne suo nipote Carlo Carafa, uomo profondamente immorale che approfittò di suo zio per le sue losche manovre, ma appena Paolo IV, si rese conto dei traffici del nipote, procedette con la destituzione da tutte le  cariche e con l’esilio di quest’ultimo: tuttavia non riuscì mai a risanare i danni causati dal nipote.
Il 12 Luglio 1555, Paolo IV emanò la bolla “Cum Nimus Absurdum” con cui istituì i ghetti ebrei, ossia revocò tutti i diritti concessi agli ebrei, evitando le persecuzioni volute dal Concilio di Trento, ma sancendo la totale separazione tra cristiani ed ebrei, che portò poi ad una rivolta popolare.
Tra tutti i pontefici più discussi della chiesa, Paolo IV è ricordato soprattutto per la costanza che usò per combattere le eresie, per la sua notevole opera di riforma e per il suo spirito conservatore che sebbene giusto si attirò le ostilità del popolo Romano. Il suo pontificato non realizzò il rinnovamento della chiesa, ma sicuramente rappresentò un passo in avanti.
Paolo IV  morì nel 1559, dopo solo 4 anni di pontificato.
Appena il popolo Romano apprese la notizia, abbatté tutti gli emblemi di casa Carafa, assalì e distrusse il Palazzo dell’Inquisizione, incendiandolo, trascinò per le strade di Roma la statua del papa posta in Campidoglio e in segno di derisione, le pose sul capo un berretto giallo, istituito dal papa stesso per differenziare ed emarginare gli ebrei.

Papa Paolo IV fu uno dei più importanti papi del secondo 500, che tuttavia dopo la morte non fu ricordato piacevolmente per la sua fama di uomo conservatore e minimalista; le sue spoglie furono seppellite di nascosto nel Vaticano e  in seguito spostate dal suo braccio destro Michele Ghislieri nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Marcello II papa conservatore che non ebbe il tempo di conservare di Rossella Cuomo.

Marcello Cervini fu un papa del primo Cinquecento che per  tutta la sua vita fu conservatore e che voleva mantenere nella Chiesa tutte le antiche tradizioni, ma l’impresa non gli riuscì perché il suo pontificato durò solo 21 giorni.
Marcello Cervini nacque a Montefano, presso Macerata, il 6 maggio del 1501 da una nobile famiglia toscana e ricevette la sua prima educazione dal padre. Fin dalla sua giovinezza, egli coltivò studi umanistici, mettendosi in contatto con importanti intellettuali dell’epoca come Giovanni Della Casa, celebre autore del Galateo.
Cervini fu una figura importantissima del primo Cinquecento, non tanto per il suo pontificato, peraltro brevissimo, quanto per la sua lucida opinione rispetto alla sua epoca nella quale assistette agli eventi cruciali e alle forti tensioni che segnarono la politica ecclesiastica del primo Cinquecento.
Dal 1520 al 1539 passò dagli ambienti accademici senesi alla corte di Paolo III Farnese: l’Accademia degli Intronati di cui Cervini fece parte dal 1528 fu un’esperienza importante e i personaggi che egli vi frequentò rappresentano un tassello di particolare rilevanza per cogliere la ricchezza e la complessità del personaggio.
Dopo la morte del padre nel 1534, Marcello Cervini si stabilì a Roma e nel 1538 fu nominato cardinale del titolo di Santa Croce in Gerusalemme.
Nei primi anni presso la Curia, l’azione di Cervini fu rivolta a sostenere la politica di Paolo III e successivamente diventò un autorevole membro del Sant’Uffizio.
Appassionato umanista, Cervini  in ogni caso egli neppure a Roma trascurò le sue attività culturali: fin dagli anni quaranta, infatti, al centro dei suoi interessi ci fu la cura della Biblioteca vaticana, di cui nel 1550 fu nominato cardinale bibliotecario. Questi interessi culturali non rappresentarono per lui una fuga dal mondo, anzi egli fu molto abile nello sfruttare l’evoluzione delle tecniche tipografiche anche in funzione anti-ereticale.
Giunto ai vertici della sua carriera curiale, Cervini fu chiamato a confrontarsi con i grandi nodi teologici ed ecclesiastici sollevati dalla Riforma Protestante. L’indizione del Concilio di Trento nel 1542 e l’istituzione del Sant’Uffizio, costituirono due vie opposte per fronteggiare la crisi religiosa e questi due organismi intrecciarono reciproci rapporti d’influenza in seno ai quali Cervini fu sempre protagonista.
L’apertura del Concilio di Trento segnò l’inizio di una nuova fase della vita del cardinale Cervini, che caratterizzò le fitte relazioni tra concilio ed inquisizione.
Eletto papa, Marcello Cervini conservò il suo nome e per il Concilio di Trento, assunse come collaboratori Giovanni Maria Del Monte (1487-1555) e Reginald Pole (1500-1558). Comunicò ai propri familiari di non trasferirsi a Roma quindi il nuovo pontefice rifiutava le pratiche nepotiste ed i favoritismi di qualsiasi genere verso i propri consanguinei.
Nei primi giorni di di pontificato Marcello II decise di organizzare un summit tra Francia e Spagna per ravvicinare i due Stati: a questo scopo scrisse una serie di lettere a Carlo V, al principe Filippo e alla regina Maria I d'Inghilterra.
Marcello si allontanò dalle direttive originarie, mostrando una palese avversione nei confronti  della politica familiare di Paolo III.
La sua ascesa al soglio papale sancì una politica d’inquisizione più flessibile rispetto ai due precedenti papi.
Marcello II, nel corso del suo pur breve pontificato, segnò una netta censura con il passato, rinunciando ai consueti fasti della cerimonia di consacrazione, alla scelta di non assegnare cariche familiari, abolì ogni forma di nepotismo e decise di non cambiare il proprio nome di battesimo. Tutti questi elementi fanno capire che egli assunse in questo periodo un ruolo conservatore nei confronti dei veri e propri ideali della Sacra Romana Chiesa. Ciò significa che egli mirava a conservare le strutture sociali e politiche tradizionali.
Marcello morì per apoplessia il 1 maggio 1555. Per lui, Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) compose, una famosa messa, che fu poi detta Missa Papae  Marcelli.
La scomparsa improvvisa di Marcello II spense gli entusiasmi e le speranze di molti e suonò per i contemporanei come un sinistro avvertimento quasi come fosse stata l’ultima possibilità di sanare la frattura religiosa che a quel punto si aggravò per sempre e in modo irreversibile.


Fama e scandalo alla corte di Giulio III.

Giovanni Maria Ciocchi del Monte nacque in Toscana da Vincenzo e da Cristina Saracini; secondogenito di cinque figli, fu educato, secondo i dettami dello zio cardinale Antonio Maria Ciocchi Del Monte, in un prestigioso oratorio presso il Laterano, dove ebbe come tutore l’umanista Raffaele Lippo (1465-1517).
Giovanni studiò giurisprudenza a Parigi e a Bologna e dopo la laurea, si dedicò alla carriera ecclesiastica, divenendo arcivescovo di Siponto.
Inoltre, egli studiò teologia sotto il domenicano Ambrogio Caterino Politi (1484-1553).
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1504, Giovanni divenne cancelliere del Papa Giulio II.
Nel 1513, egli fu presente alla cerimonia d’inaugurazione della nuova sessione del Concilio Lateranense, convocato da Giulio II (1512-1517), con lo scopo di riformare la chiesa cattolica.
Il cardinale Ciocchi del Monte prese anche parte alla commissione incaricata della preparazione del Concilio di Trento, una preparazione che durò dal 2 novembre 1544 al 12 dicembre 1545: il compito di questa commissione era quello di scegliere gli argomenti di discussione e di regolamentare i dibattiti. Il Cardinale, nel 1547, appoggiò la decisione di trasferire a Bologna il Concilio di Trento.
Fu eletto Papa nel 1550 con il nome di Giulio III, le sue posizioni politiche sembravano garantire equidistanza fra l’Impero e la Francia, ma la sua politica fu comunque condizionata dalle esigenze e dalle minacce imperiali.
La morte di Paolo III e l'elezione pontificale di Giulio III, portarono nel maggio 1551 ad una riapertura del concilio che vide una maggioranza di vescovi imperiali, l'astensione della Francia. Erano presenti, per la Germania, gli arcivescovi elettori di Magonza, Treviri e Colonia. Su richiesta successiva dell'imperatore Carlo V, dall'ottobre 1551 al marzo 1552 si presentarono anche 13 rappresentanti dei protestanti tedeschi, inviati dal principe elettore Gioacchino II di Brandeburgo, dal duca Cristoforo del Württemberg, da sei importanti città imperiali della Germania Superiore e dal principe elettore Maurizio di Sassonia.
Tuttavia le trattative non andarono a buon fine, ciò comportò: la sospensione e la ridiscussione di tutti i decreti già approvati, il rinnovamento dei decreti di Costanza e Basilea sulla superiorità del concilio sul Papa e lo scioglimento dei membri del concilio dal giuramento di obbedienza al Papa.
Il 14 novembre 1550 Giulio III pubblicò la bolla “Cum ad tollenda”, con cui riaprì il Concilio, una decisione  importante perché così ci fu la riunione di tutti i padri sinodali cattolici.
Riconvocando i padri sinodali il 1 maggio 1550 a Trento, per rendere il loro viaggio più comodo, Giulio III usò per la prima volta carrozze dotate di cinghie di cuoio con funzione di ammortizzatore.
Dopo la morte del re d’Inghilterra Eduardo IV, nel 1553, Giulio III nominò legato apostolico per il regno di Inghilterra il Cardinale Reginald Pole, suo consigliere,  in questo modo la Chiesa Cattolica fu consolidata dalla presenza di una delle potenze più importanti dell’epoca.
Il 12 luglio 1550 Giulio III ratificò definitivamente la regola dei Gesuiti con la bolla pontificia Exposcit debitum, dando così origine ad  un nuovo ordine religioso, in grado di rafforzare e di ampliare il dominio della fede cattolica. Con queste tre decisioni Giulio III si affermò uno dei papi più significativi del 500.

Giulio III, inoltre, costruì per sé la suntuosa Villa Giulia, che nella metà del XIX secolo fu considerata l’ottava meraviglia del mondo. Come tutte le Ville Rinascimentali di Roma, l’acqua era protagonista dell’assetto architettonico: la villa, infatti, fu dotata di una derivazione sotterranea dell’acquedotto vergine ad essa completamente dedicata. Giulio spese la maggior parte del suo tempo e una grande quantità di denaro papale negli intrattenimenti a Villa Giulia, creata per lui da Vignola. Giulio estese la sua protezione al grande compositore rinascimentale Giovanni Pierluigi da Palestrina, che egli portò a Roma come suo maestro di cappella, a Giorgio Vasari, che supervisionò il progetto di Villa Giulia, e a Michelangelo che lavorava lì.
Giulio III è passato tuttavia alla storia come il Papa che ha causato il peggiore scandalo omosessuale della storia del Papato.
Questo scandalo, esplose, quando egli nominò Cardinale Innocenzo del Monte, che era il suo amante diciottenne.
Giulio III aveva conosciuto questo ragazzino, quando questi  aveva tredici anni. Il suo nome di battesimo era Santino ed era figlio di un certo Angelino, servitore dapprima del nobile Baldovino del Monte e poi di suo fratello cardinale, quando questi, dal 1537 al 1544, era legato pontificio di Parma e di Piacenza. Il cardinale Giovanni Maria del Monte subito se ne era invaghito e aveva barattato la connivenza del padre del ragazzo con consistenti favori e somme di denaro.
Portò con sé il giovanissimo Santino a Trento nel 1545 in occasione dell'inaugurazione del Concilio. Nel 1546 il cardinale del Monte, nominato vescovo di Arezzo, concesse a Santino la nomina a preposito del capitolo, ossia di amministratore, della cattedrale di Arezzo, gli assicurò un'istruzione adeguata poi impose al fratello Baldovino di adottarlo per dargli dignità nobiliare: il ragazzo così smise di essere Santino e assunse il nome di Innocenzo del Monte. Il deplorevole comportamento del cardinal Del Monte, già disapprovato dall'ambasciatore veneziano Matteo Dandolo, si accentuò con la sua elezione al pontificato. Giulio III lo accolse nella sua villa di Bagnaia e creò il diciassettenne Innocenzo cardinale con una rendita di 12.000 scudi all’anno. La nomina cardinalizia, alla quale i cardinali non erano d’accordo, suscitò ampio rumore, scandalo, nelle corti Europee.
In breve tempo si diffuse la voce che il papa avesse nominato cardinale il suo presunto amante. A causa dei rapporti di sodomia tra Giulio III e Innocenzo, fu soprannominato “Il Papa Infame”.
Come se tutto ciò non bastasse, Innocenzo si rilevò uno dei peggiori Cardinali di tutta la storia della Chiesa.
Giulio III durante il suo pontificato  ebbe una costante conflittualità con il Sant’Uffizio giudato dal Cardinale Gian Pietro Carafa, Giulio III cercò infatti di moderare l’offensiva contro gli spirituali, assolvendo Vittore Saranzo, un vescovo processato per eresia nel 1551 dopo aver svelato segreti  del Sant’Uffizio, e perdonandolo.
La morte di Paolo III e successivamente l'elezione di Giulio III a papa, portarono nel maggio 1551 ad una riapertura del concilio che vide una maggioranza di vescovi imperiali, l'astensione della Francia. Erano presenti, per la Germania, gli arcivescovi elettori di Magonza, Treviri e Colonia. Su richiesta dell'imperatore Carlo V, dall'ottobre 1551 al marzo 1552 si presentarono anche 13 rappresentanti dei protestanti tedeschi, inviati dal principe elettore Gioacchino II di Brandeburgo, dal duca Cristoforo del Württemberg, da sei importanti città imperiali della Germania Superiore e dal principe elettore Maurizio di Sassonia.
Tutta via le trattative non furono approdate, ciò comportò: la sospensione e la ridiscussione di tutti i decreti già approvati, il rinnovamento dei decreti di Costanza e Basilea sulla superiorità del concilio sul Papa, e lo scioglimento dei membri del concilio dal giuramento di obbedienza al Papa.
Giulio III impose al Cardinale Carafa la cassazione dell’indagine avviata contro il Cardinale Morone, ma Carafa si rifiutò di obbedire. Nel 1550, Giulio III, emanò due documenti che concedevano un indulto ai possessori di libri proibiti, qualora  li consegnassero all’inquisizione entro due mesi, e agli eretici che entro due mesi volessero confessare i proprio errori agli inquisitori delle loro città attraverso un’abiura privata.
Carafa pensava che lo stesso Giulio III fosse eretico soltanto perché era omosessuale, Giulio III invece diceva che Carafa era invidioso di lui. Per questo nacquero veri e propri scontri tra i due.

Giulio III morì nel 1555 ed il suo corpo fu sepolto, insieme a quello di Innocenzo, nella Cappella Del Monte in San Pietro in Montorio.

Paolo III Farnese fra Rinascimento e Controriforma di Peppe Esposito

Paolo III  nei suoi quindici anni di pontificato dimostrò, fin da subito, grande volontà e determinazione nel voler cambiare in meglio la Chiesa, anche se, come tutti gli altri Papi della sua epoca, ebbe il difetto del nepotismo.
Alessandro Farnese nacque nel 1468 a Canino presso Viterbo, discendente da parte di madre dalla famiglia Caetani, dalla quale proveniva anche Bonifacio VIII. Il giovane Farnese ricevette la sua istruzione dapprima a Roma poi a Firenze dai distinti umanisti della corte del Magnifico, dove assiste alle lezioni di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, finché, nel 1491, fu nominato Protonotaro della curia da Innocenzo VIII Cybo. Da quel momento le cariche ecclesiastiche si susseguirono rapidamente fino al conclave del nel 1534 alla morte di Clemente VII dei Medici, quando Alessandro Farnese fu eletto Papa con il nome di Paolo III.
La sua elezione fu dovuta a tre fondamentali motivi: alla sua indipendenza rispetto alle due potenze, Francia e Impero, che allora si contendevano il predominio, poi ai suoi seri sforzi di riforma fin da quando era stato nominato vescovo di Parma e infine alla grande influenza goduta durante il pontificato di Clemente VII.
Energico, dal portamento aristocratico e di buona cultura, ebbe numerosi figli e fama d’impenitente donnaiolo, tanto da essere soprannominato il Cardinal della Gonnella.
Fin dai primi giorni del suo pontificato Paolo III risolse di convocare un concilio generale, che però fu rimandato per la difficile situazione in Germania e in Italia. Paolo III sebbene fosse il tipico Papa rinascimentale che portò il nepotismo ad un livello esasperato, era coinvolto seriamente nello sforzo di migliorare la Chiesa: Per la politica nepotistica (in favore dei quattro figli: Costanza, Pier Luigi, Paolo, Ranuccio, avuti prima dell'imposizione degli ordini sacri), fu in contrasto con i Della Rovere per Camerino e compì la famosa infeudazione di Parma e Piacenza a Pier Luigi, oltre le nomine a cardinali dei giovanissimi nipoti, Alessandro e Ranuccio Farnese, e Guido Ascanio Sforza. Per molto tempo, infatti, l'essere stato il papa forse più gravemente incline al nepotismo mise in ombra le sue qualità politiche, di mecenate, di iniziatore della forma cattolica alla quale dedicò gran parte della sua attività. Per questo egli è passato alla storia come uno dei Papi più grandi e controversi ed una delle personalità più eminenti del Rinascimento italiano.
Dal 1534 Paolo III nominò due commissioni triunvirali, poi una quadrumvirale per la riforma generale e una duodecimvirale per la riforma degli uffici, i cui progetti e i cui studi servirono di base alle riforme ulteriori.
Il 17 dicembre 1538 Paolo III scomunicò Enrico VIII e colpì l’Inghilterra di interdetto, ma l’unico risultato fu che quest’ultima si distaccò ulteriormente da Roma.
Nel 1540 Paolo III approvò l'ordine dei gesuiti fondato da Ignazio di Loyola nel 1534.
Nel 1542, costituì la Congregazione del Sant'uffizio, dando inizio all’Inquisizione romana.

Dopo i tentativi di accordo fra cattolici e protestanti attraverso i «colloqui» di Worms del 1540-41 e di Ratisbona del 1541, tutti falliti nonostante le grandi speranze,
Paolo III decise per la convocazione del concilio a Trento per il novembre 1542. Di nuovo sospeso e riconvocato per il marzo 1545, fu finalmente aperto il 13 dicembre di quell'anno: Il Concilio che avrebbe dovuto conciliare la scissione fra cattolici e protestanti e avrebbe dovuto respingere la riforma di Lutero, e che nessuno poté prevedere che desse allora inizio al più grande avvenimento di tutta la cattolicità moderna.
Di pari passo con il concilio doveva procedere la riforma interna della Chiesa, che Paolo III agevolò creando cardinali a essa favorevoli, come G. Contarini, G. P. Carafa, R. Pole, G. Morone, I. Sadoleto.
Paolo III è stato considerato il primo Papa della riforma Cattolica; non si sa quanto ciò sia storicamente vero, ma senza dubbio Paolo III comprese la necessità di rispondere positivamente alla sfida del protestantesimo e fece i primi passi per incoraggiare il rinnovamento all’interno della Chiesa stessa.
Durante il suo pontificato Paolo III si dedicò a Roma, con il preciso scopo di rinnovarla radicalmente dal punto di vista urbanistico ed architettonico; egli fece ristrutturare e restaurare inoltre l’Università di Roma, la Sapienza, e fece risistemare tutta la Biblioteca Vaticana, nominando nel contempo Michelangelo architetto a vita della fabbrica di San Pietro che, prima della nomina, aveva riprogettato l’intera area del Campidoglio, con la successiva collocazione della statua di Marco Aurelio.
Il Papa ad ottantun anni d’età, fu colpito da una malattia che lo portò alla morte il 10 novembre 1549.
John Kelly, nel grande dizionario dei Papi, descrisse Paolo III come uno dei Papi più illustri del Rinascimento, colui che favorì artisti, scrittori e studiosi. Paolo III si dimostrò però incapace di sopprimere la riforma protestante, anche se durante il suo pontificato furono gettate le fondamenta per la Controriforma.

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