mercoledì 31 ottobre 2018

Jacques-Louis David e Le Sabine: lettura di Massimo Capuozzo

Ai miei allievi di seconda Mariarosaria, Francesco,
Marika, Vincenzo, Domenico, Annabella  e Giovanna che,
pur essendo tanto giovani,
hanno saputo col loro entusiasmo
stimolarmi a leggere un'opera d'arte,
spesso evidenziando nei loro saggi 
dettagli che a me erano sfuggiti. 

Le Sabine” è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni – misura infatti 385 x 522 – eseguito da Jacques-Louis David tra il 1796 e il 1799 ed esposto a Parigi al Museo del Louvre.

Si tratta di un dipinto di genere storico appartenente alla corrente neoclassica, che segna un'evoluzione nello stile di David dopo la Rivoluzione francese e qualificato da lui stesso come puramente greco.
Il genere storico della pittura è ispirato a scene della mitologia, a scene della storia antica (mesopotamica, egizia, greca, romana), della storia cristiana o di recenti eventi storici. Esso consiste nella rappresentazione di soggetti religiosi, mitologici, storici, allegorici o letterari e sostiene un'interpretazione della vita o esprime un messaggio morale o intellettuale.
Gli dei e le dee della mitologia antica rappresentano diversi aspetti della psiche umana, figure che rappresentano idee religiose, precetti, e le fonti di ispirazione in qualche modo sono solo pretesti per l'espressione un confronto dialettico o di un atteggiamento satirico.
Il Neoclassicismo è una corrente artistica e letteraria che apparve nella seconda metà del Settecento e proseguì fino agli inizi e talvolta fino alla metà dell’Ottocento, prima dell’affermazione definitiva della pittura romantica.
Come le altre discipline artistiche (architettura, scultura, grafica e arti decorative), la pittura neoclassica si ispira all'antichità: il movimento iniziò dal 1750 dagli scritti di archeologi e appassionati d'arte come Winckelmann e Caylus
Rispetto al Classicismo, la poetica neoclassica compie un passo verso uno stile più rigoroso, da un lato distaccandosi dall'influenza del rococò, dall’altro scegliendo una composizione ispirata agli antichi rilievi, di solito con toni scuri, ispirati a soggetti della storia antica, alla mitologia greca o romana e caratterizzata da una tecnica levigata che non rivela traccia di pennelli e l'uso di un tessuto di lino particolarmente liscio su cui i colori potessero essere distesi in modo molto omogeneo.
Tuttavia, il Neoclassicismo, diversamente dal Classicismo, mira ad andare oltre la rappresentazione dei soli soggetti antichi, per rivolgersi anche a rappresentazioni di soggetti contemporanei come La morte del generale Wolfe un famoso dipinto – oggi conservato alla National Gallery of Canada ad Ottawa – del 1770 eseguito dall'artista anglo-americano Benjamin West che mostra gli ultimi instanti di vita del generale britannico James Wolfe, durante la battaglia del Québec del 1759 avvenuta nel corso della guerra dei Sette Anni.
L'incoronazione di Napoleone è invece un dipinto eseguito tra il 1806 e il 1807 da Jaques Louis David. Imponente per le sue dimensioni, quasi dieci metri per sei, il dipinto è conservato al Louvre raffigura l’incoronazione di Napoleone che ebbe luogo a Notre-Dame de Paris.
I principali capiscuola della corrente neoclassica in pittura furono Anton Raphael Mengs tra il 1760 e il 1779 e successivamente Jacques-Louis David dal 1784 al 1824.
Jacques-Louis David nacque il 30 agosto 1748 a Parigi e morì esule a Bruxelles il 29 dicembre 1825. David operò una rottura rispetto allo stile galante e alla pittura libertina rococò del Settecento, rappresentato all'epoca da François Boucher e Carl Van Loo, e rivendica l'eredità del classicismo di Nicolas Poussin e ideali estetici dell’antichità greca e romana, cercando, secondo la propria formula, di «rigenerare le arti attraverso lo sviluppo di una pittura che i classici greci e romani avrebbero senza esitazione fatto proprio».
Formatosi all’Académie Royale de peinture et de sculpture, David divenne nel 1784, un rinomato pittore grazie a Il giuramento degli Orazi
Era la prima volta che i principi del Neoclassicismo erano espressi con forza nella pittura, grazie alla sobrietà della rappresentazione, alla solenne eloquenza e alla tensione drammatica e civile. 
È una scena nuda, priva di ornamenti: la rappresentazione virile dei guerrieri che si uniscono per combattere ha come contrappunto la scena del dolore femminile. Vestita di bianco, Camilla, fidanzata di un Curiazio, pone la sua testa sulla spalla di Sabina, una Curiazia sposata con un Orazio, mentre la madre dei tre fratelli consola i nipoti.
Dipinto a Roma, quest’opera fu accolta con entusiasmo al Salon di Parigi nel 1785. Questo quadro è uno dei principali punti di svolta nella storia della pittura: il realismo sobrio, rigoroso e misurato, il tono eroico e virile sarebbe diventato un modello per tutta la pittura posteriore.
Diventato membro della Académie royale, combatté quest’istituzione durante la Rivoluzione e iniziò, parallelamente alla sua carriera artistica, la sua carriera politica, diventando membro attivo della Convenzione e organizzatore delle celebrazioni rivoluzionarie.
Il suo impegno politico lo portò a votare per la morte del re Luigi XVI e il suo sostegno a Maximilien Robespierre gli valse, alla caduta di quest’ultimo, la prigione durante la reazione termidoriana.
Le sue attività politiche finirono sotto il Direttorio, quando divenne membro dell'Istitut de France e ammiratore di Napoleone Bonaparte. Si mise al suo servizio quando raggiunse il potere imperiale e realizzò per lui la sua più grande composizione, la già citata Incoronazione di Napoleone.
Con la Restaurazione, il suo passato rivoluzionario, la sua responsabilità nel regicidio e l’essere stato un artista imperiale costrinsero David all'esilio: il maestro fuggì, infatti, a Bruxelles e continuò la sua attività artistica fino alla sua morte, avvenuta nel 1825.
La sua opera è esposta nella maggior parte dei musei europei e statunitensi, e naturalmente la maggior parte di essa risiede al Museo del Louvre e consiste principalmente di dipinti di storia e ritratti. 
David ha insegnato a due generazioni di artisti, provenienti da tutta Europa nel suo atelier, che al suo apice contava circa quaranta studenti, di cui Girodet, Gerard, Gros ed Ingres erano i più famosi.
David è stato uno degli artisti più ammirati, invidiati e odiati del suo tempo, sia per il suo impegno politico sia per le sue scelte estetiche.
I suoi soggetti erano il pretesto per lezioni di moralità e virtù: il gesto eroico spinto fino all’esagerazione, le pose ispirate alla scultura antica, la scala cromatica sobria ed equilibrata, l'austerità delle decorazioni architettoniche sottolineano il contenuto morale dei temi storici.
Il dipinto Le sabine fu ideato quando David era in prigione al Palais du Luxembourg, nel 1795.
A quel tempo il maestro era ancora indeciso tra la rappresentazione di questo soggetto o quello di Omero che recita i suoi versi ai greci. Alla fine scelse di creare una tela raffigurante le Sabine che si interpongono per separare i Romani dai Sabini, voluta dall’artista come seguito del dipinto Il ratto delle Sabine di Nicolas Poussin.
David iniziò il dipinto all'inizio del 1796 e la sua realizzazione durò quasi quattro anni. Il maestro fu assistito da Delafontaine, responsabile della documentazione, e da Jean-Pierre Franque, che in seguito fu sostituito da Jérôme-Martin Langlois e da Jean-Auguste-Dominique Ingres.
David dipinse Le Sabine senza aver ricevuto da qualcuno la commissione del quadro e alla fine del 1799 espose il dipinto al Louvre nell'ex gabinetto di architettura.
Nonostante la sua mostra fosse a pagamento, Le Sabine attirò un gran numero di visitatori fino al 1805.
Anche la scelta di esporre un quadro e di farlo vedere previo pagamento di un biglietto d'entrata, può sembrare a noi moderni un fatto normale ma, nella mentalità del tempo, costituì un importante passo avanti nella definizione della libertà creativa dell'artista, il quale, precedentemente alla Rivoluzione, era stato in qualche modo sottomesso alla volontà della committenza: per la Francia, in particolare, a quella del re. In questa occasione, David scrisse un testo che giustificava sia questa forma di esposizione sia la nudità dei guerrieri che avevano scatenato grandi polemiche.
Dopo l'espulsione degli artisti dal Louvre tra cui lo stesso David, il dipinto fu spostato nell'ex chiesa del Collegio Cluny in Place de la Sorbonne che fungeva ormai da personale laboratorio di David.
Nel 1819 David vendette Le Sabine e la sua tela gemella Leonida alle Termopili” ai musei reali per 100.000 franchi. Prima esposto al Palais du Luxembourg e, dopo la morte del pittore, il dipinto tornò al Louvre nel 1826.
Il soggetto non rappresenta il Ratto delle Sabine da parte dei Romani, tema già trattato da Giambologna e Poussin, per esempio, ma un episodio leggendario delle origini di Roma nell'VIII secolo, di cui parlano Plutarco e Livio (Ab Urbe condita, I, 9, 5-10).
Livio racconta che, dopo la fondazione di Roma, i Romani mancavano di donne, pertanto decisero di rapire le donne dai Sabini. Tre anni dopo il rapimento, di cui Poussin aveva realizzato un capolavoro, le Sabine fermarono i combattimenti iniziati sotto le mura del Campidoglio tra i Sabini, guidati dal loro re Tito Tazio, che stavano cercando di venire a riprendersi le loro donne, e i Romani guidati dal loro re Romolo.
Le Sabine che nel frattempo si erano adattate alla loro nuova vita e ormai si sentivano pienamente romane (un perfetto esempio di sindrome di Stoccolma) e si intromisero, secondo il racconto di Livio, per evitare il combattimento.
A questa lotta, iniziata sotto i bastioni del Campidoglio, David conferisce una sorprendente quanto possente sintesi dello scontro attraverso il gruppo di individui nel centro del dipinto che svelano gli intenti delle masse visibili ma indistinte.
L'azione si svolge all'esterno, ma il paesaggio è appena visibile: il terreno è completamente coperto dai personaggi e il cielo, buio e tempestoso, occupa solo la metà superiore destra del dipinto.
Sullo sfondo, la fortezza offre una visione immaginaria di Roma: essa domina l'azione e le conferisce un valore simbolico. Nella metà sinistra della tela, si vede il Campidoglio, l'Arx, sulla cui cima si staglia il tempio di Giove Capitolino e, più in fondo, la Rupe Tarpea, la rupe dalla quale erano precipitati i traditori.
In pianura la battaglia è confusa, e dipinta con colori smorti. L'orizzonte visivo che separa i due piani è molto chiaro e divide l'immagine in due parti orizzontali.
Il dipinto si struttura tutto intorno ai due gruppi: Romani e Sabini chiaramente distinti. I due gruppi si fronteggiano e sono separati dalle Sabine.
In primo piano si svolge l'azione principale: il bianco e il rosso, colori chiari e nitidi, spiccano e guidano l'occhio dello spettatore verso una donna, Ersilia, al centro della tela con le braccia tese, mentre si interpone tra il marito Romolo, a destra, che sta per lanciare il suo giavellotto, e suo padre Tazio, a sinistra, che si protegge con il suo scudo.
Altre donne intorno a lei tengono in braccio i loro figli tra i due gruppi di contendenti: di fronte alle lance dei Sabini, una donna solleva il figlio, un’altra stringe la gamba di Tazio – si ricordi che in tempi antichi, toccando il ginocchio di qualcuno che voleva dire supplicare –  una terza presenta la sua prole ai piedi di Romolo.
Il dipinto evoca le conseguenze propizie di questa azione: all'estrema destra, un cavaliere ripone la spada nel fodero, più avanti, le mani si sollevano e alcuni elmi sono sollevati come segno di pace.
Il dipinto mostra un uso significativo di varie fonti e documenti da cui David è stato ispirato per progettare il suo soggetto, risultato di studi e di ricerche ispirati non solo alle fonti antiche, ma anche ai maestri italiani del Rinascimento come Raffaello o al classicismo dei Carracci.
Il dipinto può essere letto come una metafora della Rivoluzione in cui David mostra il suo desiderio di pace e di riconciliazione dopo il Terrore. Come membro della Convenzione, David era stato uno dei fedeli seguaci di Robespierre ed aveva votato per la morte del re. Nel 1794, dopo la caduta di quest'ultimo, fu incarcerato e proprio in prigione iniziò a pensare alle Sabine. Scegliendo questo argomento, ora voleva dimostrare di essere un uomo di pace e quindi di essere in sintonia con i tempi, mostrando la guerra come una metafora della rivoluzione.
Nel dipinto David ha volutamente inserito anche alcuni simboli del presente e della rivoluzione: sulla destra, infatti, il giovane che tiene il cavallo per le briglie indossa un berretto frigio e la fortezza in fiamme sullo sfondo volutamente assomiglia alla Bastiglia. Questi due elementi prettamente moderni si inseriscono in una composizione antica guardando i vestiti, gli scudi i cavalli e quant’altro)
Nel preparare questa tela sulla civiltà romana, David aveva dichiarato: «Voglio fare il greco puro». In altri termini voleva rinnovarsi, abbandonando lo stile romano, più severo ed arcaico del Giuramento degli Orazi pertanto Le Sabine voleva essere per lui un nuovo manifesto.
Desideroso di confrontarsi con i grandi artisti dell'antichità greca, aveva aderito anche alle teorie del tedesco Winckelmann sul Bello ideale. Nella sua pittura, David sceglie quindi di rappresentare i guerrieri nudi, come erano rappresentati dalla scultura greca.
Il dipinto, come il fregio di un tempio greco, perde l’effetto della profondità. Questa impressione è rafforzata dal predominio del disegno, da una luce uniforme e da un colore semplificato: quest’opera dà l'illusione di un rilievo antico perfino all'interno della mischia.
In questo dipinto, David mantiene l’idea dominante del fregio. È un dipinto omogeneo, con colori piuttosto pallidi: grigi, beige, rossi pallidi e senza contrasti cromatici violenti. Come in un bassorilievo nel dipinto, non c'è profondità e si crea l’illusione ottica del rilievo: a differenza del dipinto di Poussin, citato in precedenza, dove tutto è organizzato intorno a un punto di fuga centrale, David mantiene, anche nella mischia, la polarizzazione tipica del fregio: nessuna profondità, ma l’illusione del rilievo.
Il nuovo orientamento dell'arte di David era una risposta ad alcuni dei suoi studenti, i cosiddetti primitivi fra cui Ingres, che criticavano l'ispirazione troppo romana del maestro e predicavano uno stile più ellenizzante.
Possiamo quindi vedere nell'opera delle Sabine, nella riconciliazione tra Romani e Sabini, una spiegazione della vita politica in cui Jacques-Louis David si stava evolvendo. Ma questo dipinto riguarda anche un passaggio fondamentale nella storia di una Francia sostanzialmente insanguinata, pertanto il dipinto, creando un effetto specchio tra arte e realtà, può essere letto anche come un appello per la pace civile e la riconciliazione nazionale.
Massimo Capuozzo

mercoledì 15 agosto 2018

Tiziano e L'Assunta dei Frari di Massimo Capuozzo

Alla felice memoria di zia Titta,
che, per motivi geografici, non ho potuto
vivere più intensamente come avrei voluto.
Questo studio è il mio piccolo dono a te
per il tuo onomastico, a te che
ricordo con nostalgia struggente
Massimo

Trasumanar significar per verba
non si porìa. (Dante)

«Fratelli carissimi, questo che noi vediamo dipinto dal nostro grande concittadino, il devoto Tiziano, è uno dei grandi miracoli del Signore. Con l’assunzione in cielo della sua santa madre noi miriamo qui gli Apostoli, uomini grandi, semplici, potenti, scelti da Gesù fra i pescatori. Ed ecco, voi li vedete appena si è mosso il turbine meraviglioso, che sono tutti in piedi, con le braccia levate al cielo e par che gridino: “Oh, Maria, madre nostra, perché ci lasci?” E mentre la Vergine sale in cielo a incontrare il figlio martire, per la redenzione dei nostri peccati, gli Apostoli orfani piangono e implorano…». 
Con queste parole, racconciate in un italiano più attuale, il 18 marzo 1518, Frate Germano da Casale, padre guardiano e committente dell’opera per conto dell’ordine dei Francescani, presentava ai veneziani nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari la pala d’altare dell’Assunta, che Tiziano Vecellio, appena ventiseienne, aveva dipinto in due anni.
Ed era la prima importante opera pubblica di Tiziano che, come raccontano le cronache di allora, sconvolse il pubblico veneziano, abituato ad una pittura più immobile ed imperturbabile.
Anche presso i frati l’opera suscitò un'accoglienza alquanto imbarazzante. Secondo fonti attendibili, infatti, alla scopertura della tela avrebbe assistito un emissario dell'imperatore Carlo V il quale, con spagnolesco sussiego, propose ad un frate che l’avrebbe acquistata lui, se essi non fossero stati soddisfatti dell'opera. Ma l'acclamazione popolare, proprio il giorno dell’inaugurazione, costrinse anche i frati più scettici nei confronti del talento di Tiziano, ad ammettere la sua bravura.
Una delle fondamentali caratteristiche della pala è il movimento, nuovo per allora, che fece apparire l’Assunta, illuminata dallo scintillio delle torce, in tutto il suo splendore, tanto che vi furono esclamazioni del tipo “Magnifico!”, “Gran fatto!”, “Sembra proprio vero!”.
Tiziano aveva squarciato il velo fra l’umano e il divino.
Di fronte a quest’opera, che decretò il definitivo successo di Tiziano a Venezia e la sua consacrazione nell’élite dell’arte, si prova un’impressione insieme di sbigottimento e di meraviglia, vedendo dal fondo di quelle lunghe navate gotiche, svettare quel capolavoro così dorato così rosso così ardito in una straordinaria unità fra l'estetica della raffigurazione tutta rinascimentale dell'Assunta e la profondità teologica del gotico. 
Entrando nella basilica, l’apparizione è sconvolgente come un’epifania, l’occhio scorre rapido dalle arcate gotiche fino all’abside, tanto rapido da ignorare i molti altri grandiosi capolavori di cui è ricca la chiesa.
Che cosa di quell’immensa tavola di Tiziano, alta quasi sette metri, suscita ancora oggi tanta impressione?
È difficile razionalizzare le emozioni.
Il dipinto è un sole abbagliante e non tanto per le belle vetrate che producono l'effetto luminoso, quanto per gli effetti abbacinanti della pala, alta, colossale, che domina come l’epifania di un altro mondo che si squarcia improvvisamente agli occhi dell’osservatore. Un sole dorato che sfolgora al centro della pala, alle spalle di Maria, che ricorda la donna vestita di sole del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse; ma diversamente da lei, incinta ed urlante per le doglie del parto, Tiziano raffigura Maria mentre, quasi con un delicato passo di danza sopra le nubi, guarda il Padre che le viene incontro fra gli angeli, coprendola con la sua ombra, come già aveva fatto nel giorno dell’Annunciazione. E Maria, verginalmente sensuale, appare piuttosto come la sposa del Cantico dei Cantici che va incontro allo sposo.
Queste emozioni, forti, sono le stesse che si provano quando, a Roma, nella Pinacoteca Vaticana, ci appare improvvisa ed inaspettata la Trasfigurazione di Cristo, canto del cigno di Raffaello: in essa il maestro urbinate causa lo stesso stupore di un’epifania del sacro, imprevista ed impensata, la stessa che il giovane maestro veneto sa generare. Il rinvio alla straordinaria Trasfigurazione che Raffaello stava eseguendo in quegli stessi anni, quasi come una sorta di competizione inconsapevole fra i due, è evidente nella gestualità dei personaggi come nel clima dell’estasi soprannaturale. Ma al cosmo azzurro e candido di Raffaello, Tiziano preferisce un paradiso tutto oro e fiamma, una voragine immensa di luce in cui Maria sta per essere assunta, figura con un corpo, plastico sotto le vesti ampie mosse dal vento.
Tiziano cominciò a dipingere la pala nel 1516, in un momento in cui aveva deciso di uscire dal grembo magnifico e narcotico della venezianità e di provare a misurarsi con quella dimensione di grandezza di cui Raffaello e Michelangelo avevano già fornito prova qualche anno prima in Vaticano. Tiziano era un terrazzano, ossia uno di quei pittori provinciali che, come Giorgione da Castelfranco (1478 – 1510) e Cima da Conegliano (1459/1460 – 1517/1518), erano venuti a Venezia allo scadere del secolo precedente. 
Tiziano veniva da Pieve di Cadore, dove era nato fra il 1488 e il 1490 da famiglia agiata di piccola nobiltà. La sua educazione pittorica era iniziata a Venezia presso le botteghe prima di Gentile (1429 – 1507) poi di Giovanni Bellini (1433 – 1516), da cui si era distaccato già intorno al 1506, quando aveva cominciato a collaborare con Giorgione alla decorazione del Fondaco dei Tedeschi. Con la prematura morte del giovane maestro nel 1510, Tiziano acquistò una propria autonomia e, nel 1511, quando Sebastiano del Piombo, suo compagno presso Giorgione, si trasferì a Roma, Tiziano per sfuggire la peste andò a Padova, dove era stato chiamato a dipingere alcuni affreschi alla Scuola del Santo presso la francescana Basilica di Sant’Antonio.
Quando nel 1516, dopo la morte di Giovanni Bellini, Tiziano ricevette la commissione dell’Assunta era appena ventiseienne e sapeva di trovarsi di fronte all’occasione della sua carriera.
Gli veniva chiesto di lavorare in un luogo di fondamentale importanza a Venezia, infatti, la Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari significava il più straordinario complesso religioso della città di Venezia, dopo la Basilica di San Marco, ed era uno dei più rilevanti complessi francescani d'Italia: qui Tiziano doveva collaborare, ma come vedette, a un progetto che, per la sola arditezza dimensionale, rappresentava una sfida a tutte le precedenti tradizioni nel campo della decorazione d’altare.
Tiziano aveva già accumulato un bel po’ di esperienza, ma era ancora tanto giovane per un lavoro simile: la scelta di un pittore così giovane potrebbe essere stata allora suggerita ai frati di Venezia dai confratelli di Padova per essersi particolarmente distinto in quegli anni lavorando alla Scuola del Santo per la quale aveva realizzato una serie di affreschi. Frate Germano sapeva che Tiziano tre anni prima, nel 1513, si era impegnato con la Repubblica Serenissima a dipingere un grande telero, purtroppo perduto, per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale e che anche in quel caso l'opera si trovava in una situazione critica di illuminazione, ma Tiziano ne aveva garantito la perfetta visibilità.
I frati volevano celebrare, con una maestosità mai tentata prima, il trionfo di Maria, Regina in Coelum Assumpta. Per realizzare questo intento e per dotare l’edificio di un nuovo centro visivo di massimo effetto, Frate Germano aveva stravolto la struttura dell’abside con l’inserimento di una monumentale ancona marmorea che alloggiasse la pala. Anche se con attenti correttivi, il nuovo linguaggio cinquecentesco s’impose sulle esili e slanciate strutture gotiche: la cornice della pala occupa, infatti, lo spazio delle due monofore centrali, chiuse per tutta la loro altezza, per suggerire al visitatore e a chi partecipava all’Eucaristia che la nuova fonte di luce sarebbe stata la figura di Maria assunta in cielo.

L’ambiente dell’abside, traforato di luce e leggero come un merletto veneziano, costituiva una cornice ideale per inscenare ed accogliere la rappresentazione dell’evento miracoloso dell’assunzione al cielo di Maria ed era anche un luogo in cui si riflettevano profonde dispute teologiche e dottrinali.
In quegli anni l'Ordine francescano era dilaniato da profonde divergenze e da lacerazioni interne che avevano portato alla costituzione dei due fazioni, quella dei Conventuali, che privilegiavano lo studio e la predicazione nelle città, e quella degli Osservanti, che predicavano ideali di povertà assoluta.
Questo travaglio interno dell’Ordine ebbe il suo epilogo proprio negli anni della realizzazione dell'Assunta: il 29 maggio 1517, con la promulgazione della bolla apostolica Ite vos di papa Leone X de’ Medici, l'Ordine fu, infatti, diviso.
Se da un lato ferveva la polemica divisione all’interno dell'ordine francescano, da un altro infuriava un’altra importante disputa, in quel momento particolarmente infiammata, tra Domenicani e Francescani sul principio dell'Immacolata Concezione di Maria, cioè della sua nascita senza peccato originale. 
Di fronte a questa vexata quaestio e a favore dell'assunzione anima e corpo c'era stata la posizione di papa Alessandro III Bandinelli (1159-1181): il pontefice aveva articolato una delle formulazioni più eleganti a riguardo, affermando che Maria «concepit sine pudore, peperit sine dolore et hinc migravit sine corruptione». Alessandro III aveva spiegato la necessità dell'Assunzione e della successiva Incoronazione con due argomenti straordinariamente sottili: in Maria la grazia di Dio era plena, non semiplena e Cristo, origine di tutte le leggi divine in quanto Verbo, nell'attribuire tanto onore a Maria altro non aveva fatto altro che obbedire al comandamento Onora il padre e la madre
Nonostante il pronunciamento di Alessandro III, questo tema aveva tuttavia  opposto per secoli i Francescani, che la sostenevano, e i Domenicani, che la mettevano in discussione. Per i Francescani tale convinzione era intrinsecamente connessa alla sua assunzione in cielo ed affermavano che Maria vi fosse ascesa con il suo corpo incorrotto, perché per loro quel corpo non era stato macchiato dal peccato originale.
L’ambiente dell’abside nacque dunque in questo clima denso di dispute teologiche e di queste risentì profondamente: intorno al 1516, Frate Germano si rivolse a Lorenzo Bregno (1460 – 1523) affinché, con l’aiuto di suo fratello Giambattista, edificasse un'ancona monumentale (di 7 metri e 25 centimetri x 12 metri e 50) che avrebbe dovuto includere una grande pala che raffigurasse l’assunzione in cielo di Maria. 
I Bregno innalzarono due colonne scanalate, unite da un’elegante trabeazione scolpita su un piedistallo con fregi dorati. Sull'architrave collocarono tre statue, a grandezza naturale. Al centro c’è un Cristo risorto, al quale la madre era accomunata dalla sua ascesa al cielo e, per i francescani, anche dalla sua nascita verginale. Ai lati della statua di Cristo furono volutamente poste – era il momento in cui i frati conventuali, cui apparteneva la chiesa, si stavano separando dagli Osservanti – le statue di San Francesco e di Sant’Antonio.
I soggetti delle sculture sono strettamente collegati tra di loro e con i temi della Concezione e dell'Assunzione. Il Cristo risorto anticipa l'Assunzione di Maria, ma è anche là in alto, ad attendere in cielo la madre che sarà coronata Regina coeli.
San Francesco rappresentava il proprio ordine in quanto fondatore e le piaghe che mostra, anche se sono ottenute per la sua perfetta imitazione di Cristo, rappresentano anche l'approvazione divina della sua Regola alla quale i frati minori conventuali prestavano obbedienza.
Sant’Antonio rappresentava invece l'esempio di predicatore e di maestro: quella vita pubblica al servizio dei fedeli e dello studio che svolgevano i Conventuali. La presenza quindi della statua di Sant’Antonio era un modo per ribadire l'identità conventuale della chiesa ed era un riconoscimento del modello della virtù conventuale nel santo portoghese.

Sempre nell’ambiente dell’abside, inoltre, sulle due tombe del presbiterio ci sono altre immagini di Cristo: a sinistra sulla monumentale Tomba del doge Niccolò Tron c'è un Cristo risorto, e a destra sulla tomba del doge Francesco Foscari, c’è un Cristo in Ascensione. Queste immagini delle due tombe di un Cristo vittorioso sulla morte sono evidentemente associabili con il Cristo dell'ancona e il tema dell'Ascensione di Cristo è a sua volta associabile con il tema dell'Assunzione della Madonna. La connotazione trionfale di tutto il complesso decorativo era probabilmente subordinato non solo alla causa francescana di Maria sostenuta in opposizione ai Domenicani, ma anche a quella dei Conventuali, sotto l'autorità di Sant'Antonio, nei confronti degli Osservanti.
Entrando in chiesa, quindi l’ambiente dell’abside con la sua imponente ancona presenta una visione molto scenografica della pala e ne isola lo sguardo come in un cannocchiale prospettico: gli occhi di chi entra dovevano essere direttamente condotti a fissarsi a una novantina di metri dall’ingresso sul dipinto.
La realizzazione della pala era dunque un incarico estremamente prestigioso, ma anche un’arma a doppio taglio: Tiziano era consapevole degli svantaggi che poteva comportare l’esecuzione. L’Assunta, infatti, non era una pala facile da eseguire, sia per le dimensioni obbligate, 680 centimetri x 360, sia per l’illuminazione, perché questa pala di dimensioni inusitate era destinata a stare al fondo di un’abside completamente finestrata, che condizionava la vista per la sua posizione in controluce: la pala sarebbe stata illuminata solo da dietro, dove ci sono le vetrate dell'abside, e solo parzialmente dai lati con un'angolatura molto stretta e con una luce radente.
La grandezza della pala non preoccupava Tiziano che piuttosto era affascinato dalla monumentalità che fu sempre uno dei suoi principali obiettivi poetici; un supporto tanto grande certamente non era una novità a Venezia, basti pensare ai teleri di Carpaccio o di Gentile Bellini. Ma questo dipinto inscenava una raffigurazione emozionalmente, drammaticamente e figurativamente senza precedenti.

Oltre all'esempio di Perugino con la Pala dell’Assunta nel Duomo di Napoli (inserire immagine) che ricalca schemi classici non del tutto originali e fra l’altro già proposti dallo stesso Perugino nell’opera dello stesso tema realizzata poco prima per la basilica della Santissima Annunziata di Firenze. 
In laguna c’erano due precedenti. La pur interessante Assunzione della Vergine di Lorenzo Lotto del 1506 eseguita per il Duomo di Asolo  con una maestosa quanto ieratica Maria, raffigurata in età anziana, che in una mandorla di luce è trasportata verso l'alto da quattro angioletti, un’opera che presenta una sua originalità per l’espressionismo tipico di Lotto, ma che rimane ancora legata al modello peruginesco.
Ancora la grande pala con la Vergine in gloria fra santi, eseguita fra il 1510 e il 1515 da Giovanni Bellini nella Chiesa di San Pietro martire a Murano, ma in essa tutto è fermo, perfino il cavallo rampante sembra una statua.  La tavola di Bellini, però, pur presentando alcune caratteristiche dell'iconografia dell'Assunzione, con la statuaria Maria – raffigurata in età giovane, che sembra ascendere sullo sfondo di un limpido paesaggio veneto di colline e castelli – presenta al posto dei tradizionali apostoli un gruppo di otto santi in estasi, che fanno pensare più a un'apparizione in gloria di Maria tra qualche cherubino e serafino mimetizzato tra le nubi, che a un’Assunzione vera e propria.
Questa era la situazione in Italia e in laguna e questo probabilmente era quello che si sarebbero aspettati i frati committenti dell'opera. Del resto l'altra commissione pubblica di rilievo precedente dovuta a Tiziano, il San Marco in trono del 1511 Basilica di Santa Maria della Salute, era portatrice sì del nuovo linguaggio giorgionesco, ma in ogni caso adeguata alla persistente ed autorevole lezione belliniana e quindi non lasciava presagire bruschi cambiamenti.
Tiziano però era un artista giovane, vigoroso, ambizioso e soprattutto consapevole delle profonde novità che giungevano da Roma: se a Venezia non era possibile trovare nulla di paragonabile. A Roma, Raffaello e Michelangelo sconvolgevano tutta la tradizione figurativa in nome della pittura monumentale, come già Giorgione aveva sfaldato quella a lui precedente, sebbene solo su una scala privata. Per questo, invece di cercare di salvaguardarsi, o rifiutando la commissione o attenendosi alla tradizione senza brusche infrazioni, Tiziano, accettò spavaldamente la sfida, e, rispondendo abilmente al teatrale allestimento dell’abside, riuscì a far imporre la sua pala anche in controluce e a grande distanza, grazie all’ampio respiro e alla semplicità del disegno, alla vastità delle forme e all’audacia di colori vivaci e brillanti.
Lo svantaggio della collocazione in controluce, fu inoltre superata escludendo accortamente il bianco dalla tavolozza cromatica, accendendola invece di un giallo intenso come un sole alle spalle della figura della Vergine e insistendo infine, per tutta l’altezza della tavola, su quel tono squillante di rosso che diventò la sua prerogativa.
Il dipinto evoca in termini drammatici e corali l'Assunzione di Maria al cielo, un evento celebrato dalla chiesa d'Oriente già dal IV secolo.
Nell'Occidente latino però le prime rappresentazioni dell'Assunzione di Maria apparvero fra l'VIII e il IX secolo e il loro schema compositivo era pensato in analogia a quello dell'Ascensione di Cristo: Maria, a figura intera, appare, infatti, in un tondo o in una mandorla, mentre gli angeli la conducono in cielo. In Oriente, invece, s’impose la tipologia della Dormitio Virginis o Koimesis, in cui Maria è rappresentata sul letto di morte, circondata dagli Apostoli, mentre Cristo, al centro della scena, stringe tra le braccia l'anima di sua madre, rappresentata come una bambina in fasce, creando così una sorta di Madonna col bambino alla rovescia, dove il Figlio grande stringe a sé la mamma piccola, non viceversa.
Quest’immagine non subì nel tempo particolari cambiamenti e dall'XI secolo cominciò a diffondersi anche in Occidente, ma allontanandosi dalla cristallizzazione iconografica tipica della tradizione bizantina. Essa fu proposta con infinite varianti e con numerosi nuovi elementi, desunti dai racconti apocrifi e soprattutto dalla Legenda Aurea di Iacopo da Varagine e dallo Speculum istoriale di Vincenzo di Beauvais. In pratica si assiste da un lato a una sorta di contaminatio fra le due tipologie, per cui alla scena della Dormitio, di provenienza bizantina, si sovrappone quella della Assumptio o Ascensio Virginis, di provenienza latina. Dall’altro lato però le due tradizioni iconografiche si confrontarono, si fusero e crearono numerosissime rappresentazioni, ciascuna con i suoi tratti innovativi e con le proprie caratteristiche, sia iconografiche sia stilistiche.
Nelle opere d'arte, non solo nell’iconografia dell’Assunta, attraverso la creatività degli artisti e le indicazioni dei committenti, si attua una straordinaria sintesi dei testi liturgici e di quelli apocrifi, dei testi patristici e delle riflessioni dei teologi medievali, senza dimenticare l'agiografia, la narrativa e la spiritualità popolare che alimentavano nuove forme devozionali e sempre inusitate espressioni artistiche.
Ora, la fine della vita di Maria, come l'inizio, non appartiene al Vangelo quindi alle Sacre scritture, ma alla tradizione ecclesiale, ossia a tutto ciò che la Chiesa custodisce e che non è stato stabilito dai Concili, ma che sempre è stato osservato. Nella fattispecie, testi apocrifi d'origine giudaico-cristiana, risalenti al II secolo e diffusi nella Chiesa entro il V-VI secolo, descrivono l’addormentarsi definitivo di Maria, la Dormitio Virginis, introducendo l'evento con visioni e visite premonitrici da parte di angeli e di Cristo stesso; alcune di queste scene sono anche rappresentate dagli artisti, sebbene raramente. Al momento supremo, poi, gli Apostoli tornano dalle terre lontane in cui erano impegnati nella predicazione e Maria è di nuovo circondata dai seguaci di suo Figlio.
L'evento fondamentale è l'assunzione corporea della Vergine, sentimento comune dei cristiani fin dai primi secoli; un racconto apocrifo, conservato in più versioni medievali, ma di origine molto antica, descrive come «gli Apostoli deposero il corpo (di Maria) nella tomba, piangendo e cantando pieni di amore e di dolcezza. Poi un'improvvisa luce celeste li circondò e caddero a terra, mentre il corpo santo fu assunto in cielo dagli angeli».
Del resto lo speciale privilegio concesso alla Vergine di essere assunta in cielo anima e corpo, avvenne in un trionfo di luce e in un sommo splendore come narrava la Legenda aurea di Jacopo da Varagine e come San Bonaventura da Bagnoregio, il mistico francescano del XII secolo, profetizzava che l’assunzione delle anime sarebbe avvenuta per merito del sole eterno, squisita allegoria di Dio.
Tiziano sfrontatamente interpreta il tema dell’Assunta in maniera assolutamente nuova. Nell'iconografia medievale, l'evento visionario era suggerito dal clipeus, il cerchio che simboleggia il cielo; più tardi il cerchio diventò una raggiera o un fulgore sfavillante che associa Maria con il regno di luce in cui abita Dio. Fino a quel momento nessun pittore o scultore o miniaturista o cesellatore si era allontanato dal simbolo della mandorla, allusivo del seme e quindi chiara metafora di Vita e naturale attributo per Colui che è Via Verità e Vita, o all’allusione dell’intersezione di due cerchi che rappresenta la comunicazione fra due mondi, due dimensioni diverse, ovvero il materiale e lo spirituale, l'umano e il divino. Inserire immagine
Nel dipinto di Tiziano Maria non è in mandorla ed inoltre è l’epicentro di una composizione drammatica, una composizione potentemente dinamica in cui tutti i personaggi sembrano accesi da un impeto che li attira verso quell’epicentro. Tutti, compreso l’Eterno Padre.
Tiziano rese ancora più verosimile quest’effetto con l’ombra che la nuvola che innalza Maria proietta sul popolo degli Apostoli, i quali da sotto, in un tumulto di emozioni, protendono braccia e sguardi verso di lei.
La pala sembrerebbe divisa in due zone, ma Tiziano la strutturò, utilizzando gli spazi sottoponendo un quadrato ad un cerchio il cui centro coincide con il volto della Madonna: in questo modo il rapporto spaziale che si instaura fra queste due zone è assolutamente nuovo. Inserire immagine.

Soprattutto nuove sono però la composizione e la gamma cromatica e luminosa. Se lo sfondo dorato con le teste di cherubini evanescenti rimanda a Raffaello nella Madonna Sistina ora nella Gemäldegalerie di Dresda e nella Pala di Foligno ora alla Pinacoteca Vaticana, le tonalità calde, avvolgenti, che precedono Correggio sono senza precedenti: Tiziano le calibra in modo magistrale, rendendole atte a conferire una serie di rimandi che avrebbero travolto e al tempo stesso coinvolto lo spettatore. 
Gli occhi dell'osservatore sono immediatamente attratti da quattro masse di varie gradazioni di rosso che, dal piano degli Apostoli risale fino a Maria e termina nel mantello dell’Eterno Padre: le vesti dei due Apostoli in basso e la veste di Maria formano, infatti, un triangolo con il vertice acuto che punta verso la quarta area rossa, quella dell’Eterno Padre, verso la quale lo sguardo di Maria e quello dell’osservatore sono attratti. Quest’espediente eccezionale avrebbe permesso una risonanza visiva, capace di colpire chiunque fosse presente nell'edificio, dal sacerdote che officia all'ultimo dei fedeli appoggiato al portale. 
L'apparizione dell'Eterno sostituisce inoltre quella di Cristo, tipica dell'iconografia tradizionale. Egli appare in scorcio, avvolto in un mantello rosso e affiancato da due angeli che reggono le corone per Maria. Assecondando l’illuminazione naturale della pala, la figura dell’Eterno appare in controluce e questo per due motivi: innanzitutto, Tiziano vuole garantire una fonte di luce autonoma al dipinto e, in secondo luogo, ciò dona a Dio l'aspetto di una visione soprannaturale dai contorni vaghi e indistinti.

Al di sotto, una nuvola popolata da una moltitudine d'angeli, di diversa età e con diverse occupazioni, fa da appoggio alla figura di Maria, che sale lentamente al cielo con lo sguardo rivolto verso l'alto, mentre si staglia immensa su un fondo immenso, tutto oro e luce, la luce di Dio che disse «Sia la luce!», la luce della creazione. 
La Vergine dischiude le braccia per protendersi verso la figura dell’Eterno Padre che scende sopra di lei e la preserva da ogni possibilità di posa statica; nell’estasi della gioia, il volto di Maria, perso nell’atmosfera luminosa, vive di un’estasi d’amore fra le più belle e le più spirituali della Storia dell’arte.
Tutta la tavola si gioca sul rapporto Maria-Padre e sulla poetica dei loro sguardi perché, nello spazio dilatato da scintillii abbaglianti, essi si guardano, si aspettano, si amano, l’una con lo sguardo nell’altro.
La corona di angeli che li circonda, incorniciandoli, è un tripudio dinamico di gloria mosso dal vento impetuoso, ma leggero dello Spirito Santo, quello stesso che aleggiava «sulla terra informe e deserta» prima che creasse la Luce.
Tiziano elimina ogni elemento architettonico della scena, costruendo l'immagine solo con le figure e i passaggi di luci e ombre che creano contrasti che amplificano il risalto di alcuni personaggi su altri e suggeriscono la profondità spaziale. Gli apostoli si interrogano, si slanciano e pregano, compiono tutti azioni diverse così come fanno gli angeli.
In quest’opera l’unità fra estetica e profondità teologica è straordinaria: Maria appare come figlia, sposa e madre di Dio e, come la definì Dante, termine fisso d’Eterno consiglio. Ma assolutamente nuovo è lo spirito di sensualità morbida e insieme maestosa che lo allontana dalla ieraticità medievale; sembra infatti che Tiziano attinga al più profano e sensuale dei libri sacri, il Cantico dei cantici quando nell’esordio la sposa dice: «Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano. Attirami dietro a te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano!». E che Lui le dica: «Veni, coronaberis», come è scritto nella cattedrale della mia città.
Maria veste i colori dell'iconografia classica. Il rosso della veste indica la sua completa umanità ed è il simbolo dell’amore. Il manto azzurro, classico nelle raffigurazioni mariane è il colore dell'infinito, della spiritualità, di ciò che va oltre l'umano, indica la divinità. Un velo trasparente sul petto, è infine un altro simbolo della sua immacolata concezione.
Ancora una volta il rosso della veste di Maria fa squillare il colore che attrae l'occhio dello spettatore, soprattutto nel punto centrale, tra la testa di Maria e l’Eterno Padre, dove s’incentra quell'abbagliante sfera di luce che circonda l'andamento curvilineo della centina superiore e dove si raccorda con gli angeli che fanno da cuscino a Maria. Questi anticipano lo spirito della Sala dei Baccanali nei Camerini d'alabastro di Alfonso I d'Este a Ferrara, e sono una delle note più autenticamente classiche di tutto il Rinascimento.

Tutta la cornice di angeli è un'efficace rappresentazione dei cerchi del Paradiso, immaginati come delle ruote di serafini via via sempre più luminose, fino a dissolversi nel chiarissimo spazio centrale.
Per dare il massimo risalto ai personaggi, Tiziano evidenzia il contrasto chiaroscurale tra primo piano e sfondo, scurendo i toni della Vergine e dell’Eterno Padre. La Vergine, con un’audace torsione, atta a conferire un moto vorticoso che si riflette nei panneggi mossi dal vento e dalla disposizione degli angeli, non ha ancora completato la sua ascesa all'Empireo e per questo il suo volto non è ancora completamente illuminato dalla luce divina: l'ombra, infatti, richiama il mondo terreno, cui la Vergine rimane ancora legata finché non completerà del tutto l’ascesa.
L'alternarsi di luci e di ombre sulle figure, come la zona d'ombra creata dall'apparizione divina sul gruppo di angeli a destra, crea una diversificazione spaziale e atmosferica tra i soggetti, all'insegna di una rappresentazione più sciolta e naturale, tipica della maniera moderna. Inserire immagine
Al trionfo celeste, corrisponde in basso il dinamismo accentuato nella folla gesticolante degli Apostoli che osservano la scena caratterizzata da un naturalismo risoluto. La scena, assai dinamica, è realizzata con la tecnica dello scorcio dal basso verso l'alto. La narrazione si sviluppa su tre piani sovrapposti; in basso vengono rappresentati gli apostoli, al centro la Vergine che ascende al cielo su una coltre di nuvole e racchiusa in semicerchio dagli angeli, in alto nel cielo d'orato plana l'immagine di Dio.
Tiziano ha genialmente distinto la luce soprannaturale dalla luce mondana: ma il distacco fra le due parti della pala è solo apparente ed è risolto ed espresso nell'accordo dei tre rossi delle vesti, quello della veste di Maria e quello dei due discepoli in primo piano, Giovanni e Giacomo, che creano una sorta di triangolo cromatico.
Sullo sfondo crepuscolare di un cielo azzurro ceruleo, tutto terreno, c’è il gruppo degli Apostoli che assistono meravigliati all'evento miracoloso, tutti protesi verso l'alto in vari atteggiamenti. Seduto in ombra al centro c’è Pietro che, colto dall’evento miracoloso, s’inginocchia, ma resta con le mani e la testa rivolta verso l’alto; alla sua destra c’è Giovanni, che solleva il gomito, per mettersi teatralmente la mano sinistra al petto in segno di sorpresa, fermo in contemplazione. Vicino a Giovanni si trova un apostolo vestito di bianco e verde, probabilmente Andrea, piegato e con lo sguardo attento verso l'apparizione celeste; spicca di spalle l'apostolo vestito di rosso, forse Giacomo maggiore, proteso verso il cielo, mentre, alle spalle di Pietro, Paolo rassicura il sempre diffidente Tommaso e gli indica Maria.
In tutto ci sono undici personaggi, tutti in una contemplazione di meraviglia e di stupore, ma ciascuno colto in una posizione diversa: chi indica il cielo, chi tace e osserva, chi prega e crede, chi esulta, chi grida, in una confusione di gesti di agitazione e di turbamento.
Nella rappresentazione degli Apostoli sembra che Tiziano riprenda i diversi atteggiamenti dell’uomo, le sue differenti prese di posizione di fronte al mistero e all’inconcepibile, e che l’artista racconti come l’uomo si ponga variamente di fronte alla fede. Senza questi gesti di stupore degli Apostoli che indicano Maria che sale al cielo, non si avvertirebbe tutta l'immediatezza dell'evento, rappresentato come se si stesse svolgendo hic et nunc. Ma non è questa l’unica manifestazione di realismo della pala: Tiziano, rifacendosi alla tradizione evangelica che parla di pescatori di umile origine, per ritrarre gli Apostoli si ispirò ai battellieri della Laguna. Nacquero così figure imponenti e vigorose, ma anche naturali, costruite a grandi campiture di colore violento, aggressivo, per accentuare la drammatica forza della visione.
L'uso dell'illuminazione, ora diretta, ora soffusa e in ombra, realizza contrasti che amplificano il rilievo di alcuni personaggi su altri e suggeriscono la profondità spaziale. In questo modo la zona d'ombra al centro fa pensare a una posizione più arretrata degli Apostoli, disposti non in perfetta verticale con la Vergine in ascensione, ma con la fila leggermente avanzata così che la seconda recepisca l'ombra sotto la nuvola. Si instaura così un rapporto fisico, tanto che l'apostolo di spalle sembra quasi toccare la nube.
Tiziano, con le sue pennellate calde e larghe, rende vitali le vibrazioni della luce facendole riverberare sui corpi, sui volti, passando come in una sinfonia di toni da quelli più accesi a quelli più tenui: quelle stesse infinite variazioni dell’oro intorno all’Eterno sono da sole un capolavoro di finezza pittorica e di raffinatezza spirituale. Come in un’icona bizantina, Tiziano fa sentire all’osservatore l’infinità senza limiti del paradiso, dove la luce intona un Gloria, grazie al colore così intenso steso dalla mano felice del pittore.
Nell'opera di Tiziano quindi il complesso progetto iconografico ideato da Frate Germano si manifesta in una dirompente emozionalità: sicuramente guidato dai dotti teologi francescani del convento dei Frari, Tiziano è riuscito ad esprimere una tale profondità di contenuto, in cui la dimensione fisica e quella mistica appaiono inscindibilmente legate e allo stesso tempo così distinte attraverso la luce, ma altrettanto sicuramente essa lasciava ben poco spazio alla dimensione spirituale per stravolgere e anzi per meglio avvolgere i sensi dello spettatore perché è propria di Tiziano e del Rinascimento maturo, la capacità di dar forma e colore al mistero dell’amore fra Dio e l’umanità e fra l’umanità e Dio: per questo la tavola diventa un inno glorioso, un trionfo dell’amore come luce ed energia.
Ma questo era troppo per i committenti dell'epoca che si convinsero della validità dell'opera solo dopo l'offerta di acquisto, previa cifra astronomica dell'ambasciatore austriaco.
L'opera segna la definitiva consacrazione di Tiziano e s’impone per l'originale interpretazione di questo tema che il giovane maestro cadorino svolse, ponendo l'accento soprattutto sulla concitazione emotiva che attraversa le figure della scena sacra. Prima l'Assunta era rappresentata come la ritrae Perugino nella pala di Napoli: una rappresentazione astratta e priva di drammaticità, Tiziano fu il primo a immaginare la scena come un'esplosione di colore, sentimento e dinamismo, dove figure titaniche si muovono energicamente lungo diagonali insolite, catalizzando l'attenzione dello spettatore inesorabilmente verso la testa di Maria e la sfolgorante luce che le sta dietro, non una semplice nube, ma una materializzazione di cherubini.
Tutto è stupore e movimento, macchie di rosso intenso accendono la pala come nessuno aveva mai fatto. Il gesto di sollevare le braccia appare come naturale, ma anche titanico, alla Michelangelo, con il vento che gonfia la veste di Maria e pare sospingerla verso l'alto, insomma è una vera e propria epopea religiosa, che non mancò di meravigliare, ma anche di sconcertare i contemporanei, tanto che all'inizio fu criticata come troppo espressiva e ci volle qualche anno per digerire un tale balzo in avanti.
Questa tavola ebbe un effetto travolgente e stravolgente su tutta la pittura veneziana: per rendersene conto basta guardare, in una cappella sulla destra della stessa chiesa, il meraviglioso trittico di Giovanni Bellini del 1488  così commosso, ma nello stesso tempo così controllato. 
La calotta d’oro che nel Trittico di Bellini si alza dietro il trono della Vergine, è come se fosse esplosa nel cielo di Tiziano. Quell’oro di ascendenza bizantina resta, ma con un diverso e incredibile esito: la pala di Tiziano è l’esperienza di una nuova dimensione di libertà, è un balzo in avanti, non un atto di rivolta.
Anche a Venezia la sintesi rinascimentale è avvenuta del tutto.
Da quel momento l'arte non fu più la stessa: con questo capolavoro Tiziano aveva insegnato a tutti ad osare, senza che questo comportasse la delegittimazione del passato, tant’è vero che il cielo d’oro alle spalle dell’Assunta è una rivisitazione dell’oro dei mosaici nelle absidi di San Marco.
Massimo Capuozzo

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