tag:blogger.com,1999:blog-73417330831448081012024-03-24T00:10:02.502-07:00salotto culturale stabiaDon Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.comBlogger315125tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-53223078233120128862024-03-18T01:34:00.000-07:002024-03-18T01:34:57.462-07:00Amore e Psiche di Antonio Canova. Lettura di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i>“Per diventare veramente un grande artista, bisogna fare di più che prendere semplicemente in prestito qua e là da pezzi antichi [...] È meglio studiare gli esempi greci giorno e notte, assorbire il loro stile, imprimerlo nella propria mente; poi, sviluppa la tua strada, ma senza mai perdere di vista la magnifica natura, ricercando in essa questi stessi principi” </i>(Antonio Canova).</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Psiche ravvivata dal bacio d'Amore è un gruppo marmoreo dello scultore Antonio Canova.</div><div style="text-align: justify;">L’opera fu commissionata dal colonnello inglese John Campbell e fu realizzata tra il 1784 e il 1793 e oggi conservata al Museo del Louvre, dove è una delle sculture più apprezzate dal pubblico.</div><div style="text-align: justify;">La scultura mostra due figure che si abbracciano: un giovane alato e nudo e una fanciulla il cui panneggio è scivolato, rivelando quasi tutto il suo corpo. Il giovane si china verso la ragazza e la solleva per baciarla.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdDjGB0VsHgvsBuhAQHy98CQsl5afbqQ5g1Pbmr0eQMGdbY25WEf0ot7Df0KEYEmm1ORZx9xrdK3LWCzbRaA9nMv_q6GWJa4TdgcMFXmtflUjanriwW1nHsTrPynr91pxDDD75WiTCAkk6-lQG04NPRGxyhjdqHfzPVRhyphenhyphenG0ad_o5QUPY2DFwAKVTqXug/s1700/b-psyche-amour-canova-detail.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1700" data-original-width="1337" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdDjGB0VsHgvsBuhAQHy98CQsl5afbqQ5g1Pbmr0eQMGdbY25WEf0ot7Df0KEYEmm1ORZx9xrdK3LWCzbRaA9nMv_q6GWJa4TdgcMFXmtflUjanriwW1nHsTrPynr91pxDDD75WiTCAkk6-lQG04NPRGxyhjdqHfzPVRhyphenhyphenG0ad_o5QUPY2DFwAKVTqXug/w504-h640/b-psyche-amour-canova-detail.jpg" width="504" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">L'opera raffigura il ricongiungimento di Amore e Psiche, basato su un racconto tratto da <i>Le Metamorfosi</i> o <i>L'asino d'oro</i>, romanzo scritto dall'autore latino Apuleio intorno al 150 d.C. Questo famoso racconto è stato oggetto di molte interpretazioni da parte degli artisti fin dal Rinascimento. Raffaello, ad esempio, sulla sua base eseguì un ciclo di affreschi che illustrano questo mito in una loggia al piano terra della villa del banchiere Chigi a Roma, oggi nota come <i>Villa Farnesina</i> di cui ho avuto l’opportunità di raccontare. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7mvBcfm01q7kiqwWI5CUzBpuWin-u3shJFIWxMJBL-DHCCUSJGO-s_63kILj7exSa-oeg9EeQ2Lh8WeLo3yypN9nu-3wgF4IcZBTmVyM7A4IngB50n_Hovfo1dh8J4Xd_3JfXlh2CuVSdwkXOo0xwXjnuQzrjbfNm9laYNi7ZANSUCpgN2GF6AoK2TA0/s2272/1-voute-farnesine-raphael-psyche.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1133" data-original-width="2272" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7mvBcfm01q7kiqwWI5CUzBpuWin-u3shJFIWxMJBL-DHCCUSJGO-s_63kILj7exSa-oeg9EeQ2Lh8WeLo3yypN9nu-3wgF4IcZBTmVyM7A4IngB50n_Hovfo1dh8J4Xd_3JfXlh2CuVSdwkXOo0xwXjnuQzrjbfNm9laYNi7ZANSUCpgN2GF6AoK2TA0/w640-h320/1-voute-farnesine-raphael-psyche.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">La storia di Psiche presenta una rivalità tra una ragazza greca e Venere, la dea della bellezza e dell'amore. Figlia di un re, Psiche è eccezionalmente bella. Venere, gelosa di lei, costringe i genitori ad abbandonarla legata ad una roccia, offerta al primo venuto. Cupido, dio dell'amore e figlio di Venere, la nota e se ne innamora. La fece trasportare nel suo palazzo e la visitò ogni notte, di nascosto, al buio. Purtroppo Psiche, troppo curiosa (le sorelle, gelose, le avevano fatto credere di essere amata da un mostro), accende una lampada ad olio per illuminare il compagno. Scopre felicemente la sua bellezza ma, allo stesso tempo, lo sveglia versandogli una goccia di olio infuocato sulla spalla. Cupido, la cui identità è poi rivelata, teme l'ira di sua madre che odia Psiche. Deve lasciare immediatamente la ragazza, che è dispiaciuta. Venere, per vendetta, costringe Psiche a compiere diverse prove. L'ultima è quella di riportare un elisir di bellezza dagli inferi. Nonostante il divieto, Psiche lo apre e si addormenta, avvelenata.</div><div style="text-align: justify;">Cupido va a cercarla e scopre il sua incoscienza. La abbraccia e la resuscita.</div><div style="text-align: justify;">È questo il momento che Antonio Canova sceglie di rappresentare. </div><div style="text-align: justify;">I due amanti partirono quindi per l'Olimpo, dove si sposarono.</div><div style="text-align: justify;">Cupido si china teneramente verso Psiche, che si abbandona tra le sue braccia. Tra la vita e la morte, si raddrizza per cingere la testa del giovane dio.</div><div style="text-align: justify;">Antonio Canova, era nato in Veneto e risiedeva a Roma.</div><div style="text-align: justify;">Fu il più famoso scultore del suo tempo e realizzò opere mitologiche, ritratti e tombe. Scolpì ritratti di Napoleone e della sua famiglia, in particolare quello di sua sorella Paolina nei panni della dea Venere <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcHAIbJduB8qrRh4_jQm551DRrpjfifF0oOqSPd0-gLB1_bBDt0-Jh5I0TsnzGYklTc0HFae4qjEzie05DqydqToWlVGOvNtSnPFzMp3CtFpHhIn48WxyE_Ah3KRYNwQ8tM6HIOvezBAKedQFlZVOwsim4VeXZz6hvo1ATUhRA4gZzbgql_3dB-CWsj4s/s1862/2-pauline-borgese-canova.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1862" height="482" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcHAIbJduB8qrRh4_jQm551DRrpjfifF0oOqSPd0-gLB1_bBDt0-Jh5I0TsnzGYklTc0HFae4qjEzie05DqydqToWlVGOvNtSnPFzMp3CtFpHhIn48WxyE_Ah3KRYNwQ8tM6HIOvezBAKedQFlZVOwsim4VeXZz6hvo1ATUhRA4gZzbgql_3dB-CWsj4s/w640-h482/2-pauline-borgese-canova.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Lo stile di Canova è in linea con la tendenza neoclassica. Si tratta di un ritorno all'antica arte greco-romana, che unisce lo studio della natura alla ricerca della bellezza idealizzata. Questa estetica è stata onorata dal teorico tedesco Winckelmann, che ha celebrato la nobile semplicità e l'immagine serena delle opere antiche.</div><div style="text-align: justify;">Per la sua composizione, lo scultore si ispirò a un dipinto di Ercolano raffigurante un fauno e una baccante.</div><div style="text-align: justify;">Canova unisce le due figure in forma piramidale, prolungata a forma di X dalle ali trasparenti di Cupido (scolpite separatamente). </div><div style="text-align: justify;">Le linee rette contrastano con le linee morbide delle braccia, creando un equilibrio tra forza e morbidezza, vita e morte, sensualità e freddezza Immagine principale.</div><div style="text-align: justify;">Le braccia alzate di Psiche formano un cerchio che incornicia i due volti, su cui si concentra la nostra attenzione. Se Canova cerca la purezza e la semplicità delle linee, la resa illusionistica dei dettagli (la carne liscia, la roccia ruvida, le trame del vaso, il panneggio) porta un tocco di sensualità, persino di erotismo.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCQfhyphenhyphenOMVXCi0WP2UFNEuNTs0g1ByyX3yvI6hQVj3qAA8p7AtBhb0I-MvgIQ18j0Bw0tNbg9HGmiJpBpEa2MBOWHO9XruXEhqlPOY5Z_PW7uNjPtPnsfhYJ6Sq4E-69AgmovhFvaRbVfJ1tx9Gm-vDuRzKZtZ4MW6S_Q5SE7AbIK7koAxmxb253kux3Z0/s1767/c-psyche-amour-canova-ailes.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1767" data-original-width="1400" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCQfhyphenhyphenOMVXCi0WP2UFNEuNTs0g1ByyX3yvI6hQVj3qAA8p7AtBhb0I-MvgIQ18j0Bw0tNbg9HGmiJpBpEa2MBOWHO9XruXEhqlPOY5Z_PW7uNjPtPnsfhYJ6Sq4E-69AgmovhFvaRbVfJ1tx9Gm-vDuRzKZtZ4MW6S_Q5SE7AbIK7koAxmxb253kux3Z0/w508-h640/c-psyche-amour-canova-ailes.jpg" width="508" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIlqyNkvxvitz9oTwxtjSuJvftpT9JTA9OpbczqUuhQeYhqv_nFN5mC1EAdzrGjusjV8UXoq3M2rYDPAtXnn9rWr-YG3dXQe29pfriiH-2sTGySuJnCFufPz0z4fl_9kJiLH26BwpmkCQeTkbOsOhlIitPlMvf8F2McYtc9eeAGlKxEJ4P_I8o60Zihic/s1400/e-psyche-amour-canova-detail1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1400" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIlqyNkvxvitz9oTwxtjSuJvftpT9JTA9OpbczqUuhQeYhqv_nFN5mC1EAdzrGjusjV8UXoq3M2rYDPAtXnn9rWr-YG3dXQe29pfriiH-2sTGySuJnCFufPz0z4fl_9kJiLH26BwpmkCQeTkbOsOhlIitPlMvf8F2McYtc9eeAGlKxEJ4P_I8o60Zihic/w640-h640/e-psyche-amour-canova-detail1.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Una maniglia posta sulla base della scultura permetteva di ruotarla e di ammirarla da diverse angolazioni </div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoGOTRrH4F8yeRGDEs6LqmCuxN8We_Ygeqw0AMG-f6eggI1cTCL9gjRCTCXnOVs8ogrqblJcGsRZK26mZeYjzQmmWNGkK4I9lV25AOO7HovGakkfloLEy06U-v5kgSUBNHSvshoV5s_u2DgBod58zSD5-aMcCDh7195GomhBTpN5v8o3jQkFcGKR6qv9k/s1400/f-psyche-amour-canova-anse.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="954" data-original-width="1400" height="436" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoGOTRrH4F8yeRGDEs6LqmCuxN8We_Ygeqw0AMG-f6eggI1cTCL9gjRCTCXnOVs8ogrqblJcGsRZK26mZeYjzQmmWNGkK4I9lV25AOO7HovGakkfloLEy06U-v5kgSUBNHSvshoV5s_u2DgBod58zSD5-aMcCDh7195GomhBTpN5v8o3jQkFcGKR6qv9k/w640-h436/f-psyche-amour-canova-anse.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoJxznhEDzJ8E6txDll5AYwrx6jGJHoGs7q7ueyZ-Us1ar8C1EQ7Zgx6be7_UqaarlNaWP_KguqsTADIVjlDaPpWYj_7rpItM0ZoPMFsPN9bc912XeGeTJBocWXNDKGZO9g9hmstrnLz7icfj5zh6g937oum_RIcHyW0XLwPD7MxBLEAlgIu6BerTAMBA/s1632/g-psyche-amour-canova-revers.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1632" data-original-width="1400" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoJxznhEDzJ8E6txDll5AYwrx6jGJHoGs7q7ueyZ-Us1ar8C1EQ7Zgx6be7_UqaarlNaWP_KguqsTADIVjlDaPpWYj_7rpItM0ZoPMFsPN9bc912XeGeTJBocWXNDKGZO9g9hmstrnLz7icfj5zh6g937oum_RIcHyW0XLwPD7MxBLEAlgIu6BerTAMBA/w550-h640/g-psyche-amour-canova-revers.jpg" width="550" /></a></div>In greco, psiche significa l'anima, il respiro, ma anche la farfalla che simboleggia l'anima nella sua immateriale leggerezza.</div><div style="text-align: justify;">Canova realizzò anche un altro gruppo marmoreo raffigurante Psiche e Cupido, in piedi, in contemplazione di una farfalla, per lo stesso committente.</div><div style="text-align: justify;"><i>Le Metamorfosi</i> di Apuleio danno forma al mito personificando l'animo umano nella forma di una fanciulla bella e innocente. La favola di Psiche ci presenta l'amore come una rivelazione, un traguardo da raggiungere per una migliore conoscenza di sé. Ma questa rivelazione ha conseguenze nefaste: Psiche, nella sua ricerca dell'amore, deve affrontare prove che la portano alla morte. Era la fine della storia che interessava di più pensatori e artisti. Cupido abbraccia Psiche, la riporta in vita, le dona l'immortalità perché, attraverso il loro matrimonio, diventa una dea.</div><div style="text-align: justify;">Riferendosi al pensiero di Platone, gli intellettuali del Rinascimento videro in questa leggenda un’allegoria metafisica. Illustrerebbe il tema del vagabondaggio dell'anima che, attraverso prove purificatrici, raggiunge la perfetta bellezza. Questa ricerca dell'elevazione e dell'immortalità si traduce nell'unione dell'anima umana e dell'amore divino, meta dell'esistenza terrena secondo la Platone.</div><div style="text-align: justify;">Per esprimere quest’idea di amore puro e innocente, Canova scelse di regalare alle sue figure corpi adolescenziali di una bellezza immateriale.</div><div style="text-align: justify;">La grazia e la delicatezza di questa scultura realizzata alla fine del Settecento furono ammirate dai contemporanei e guadagnarono la fama internazionale dello scultore.</div><div style="text-align: justify;">Antonio Canova è stato un maestro della scultura neoclassica e uno dei maestri del Neoclassicismo. Ha svolto un ruolo importante nell'allontanamento dai Barocco e dal Rococò, riportando la scultura italiana alle sue radici nell'antichità classica.</div><div style="text-align: justify;">Figlio di uno scalpellino, fu assunto giovanissimo come apprendista presso lo scultore Giuseppe Bernardi e nel 1775 aprì una propria bottega a Venezia, ma viaggiò anche a Roma e Napoli e visitò i siti archeologici di Ercolano e Pompei.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1781 si stabilì definitivamente a Roma e fu protetto dei papi Clemente XIII e Clemente XIV, che gli affidarono la realizzazione delle loro tombe. Successivamente, dopo la conquista della città e dell'Italia da parte dei francesi, e pur essendo contrario al nuovo regime, Canova fu scultore alla corte di Napoleone ed esercitò una notevole influenza sull'arte e sull'architettura francese realizzando numerosi ritratti di Napoleone e della sua famiglia, talvolta prendendo in prestito dalla mitologia classica. Non era favorevole alla semplice copia di sculture antiche, ma piuttosto alla creazione di opere originali ispirate a questo stile (La ballerina, 1818-1822 circa). </div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsewDqZMYPm_xJS4A7pK3qDi_HzevV1b6CWe0iUnSSvO8SztbHFemcSMv3tZNWfqFqLzozG4OiYX6lQFHabWyTzJYlQc7Fmjjt11-SMPpBoIZVuioDyILscqY5JNyQmP2EoTrKN34_JVnTQguBALzmBFEl0HH78OwM6De9bMSQb2M0CBqdsIy8uogs8Fw/s1400/e-psyche-amour-canova-detail1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1400" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsewDqZMYPm_xJS4A7pK3qDi_HzevV1b6CWe0iUnSSvO8SztbHFemcSMv3tZNWfqFqLzozG4OiYX6lQFHabWyTzJYlQc7Fmjjt11-SMPpBoIZVuioDyILscqY5JNyQmP2EoTrKN34_JVnTQguBALzmBFEl0HH78OwM6De9bMSQb2M0CBqdsIy8uogs8Fw/s320/e-psyche-amour-canova-detail1.jpg" width="320" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"> <span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Massimo Capuozzo</span>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-63318284819765310292024-03-11T00:52:00.000-07:002024-03-11T00:52:14.350-07:00Rosa Bonheur e “Il mercato dei cavalli”. Lettura di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Rosa Bonheur fa molteplici riferimenti alle grandi opere della storia dell'Arte, ai fregi del Partenone e ai cavalli di Théodore Géricault.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Aveva trentun anni quando espose gigantesca tela “Il mercato dei cavalli a Parigi”, al Salon del 1853, un dipinto realista a olio su tela di dimensioni monumentali di 250 x 500 cm che la pittrice realizzò dal 1852 al 1855 e che è rimasta l'opera più grande e ambiziosa della pittrice.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiD1QzWG6m26xyZX8n_Id2HKvqghbGvpf8IxGEAUE10_MVqF9NX6IpyuF-8pzy6LfL_ji0RumjQSfU0GdRo0FThqDUuK3JiymOE0cdlHqpvZUkUnUvcWN-QcP8wEt9LbSySZH02-tHIIBEfE5t8iDOfrbqurk-VO-ezi7IwlV5BhptWMJ1912lceYAvM6o/s4000/Rosa%20Bonheur%20-%20la%20fiera%20dei%20cavalli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2043" data-original-width="4000" height="326" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiD1QzWG6m26xyZX8n_Id2HKvqghbGvpf8IxGEAUE10_MVqF9NX6IpyuF-8pzy6LfL_ji0RumjQSfU0GdRo0FThqDUuK3JiymOE0cdlHqpvZUkUnUvcWN-QcP8wEt9LbSySZH02-tHIIBEfE5t8iDOfrbqurk-VO-ezi7IwlV5BhptWMJ1912lceYAvM6o/w640-h326/Rosa%20Bonheur%20-%20la%20fiera%20dei%20cavalli.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Con questa tela la giovane artista si confrontava con l'animale nobile per eccellenza, il cavallo la cui raffigurazione era stata riservata fino a quel momento agli uomini.</div><div style="text-align: justify;">Questo dipinto le portò fama internazionale, in un'epoca in cui il lavoro delle pittrici e delle scultrici era largamente ignorato sia dalla critica sia dai collezionisti.</div><div style="text-align: justify;">Si pensi che in francese non esiste il femminile di ‘pittore’ e ‘scultore’.</div><div style="text-align: justify;">La Bonheur era già una famosa pittrice di animali a Parigi prima che ‘Il Mercato dei cavalli’ fosse dipinto ma, quando quest’opera fece il giro della Gran Bretagna e degli Stati Uniti la Bonheur diventò una celebrità internazionale.</div><div style="text-align: justify;">Come ogni capolavoro, anche “Il mercato dei cavalli” ha avuto una storia lunga e affascinate a partire dal momento in cui nacque l’idea fino alla progettazione e poi dalla realizzazione fino alla sua destinazione finale.</div><div style="text-align: justify;">Sembra che l’idea sia nata nel 1850 nel corso di un suo viaggio nei Pirenei dove aveva visto un branco di cavalli bradi: quella scena bella e selvaggia la colpì profondamente. Poi nel 1851 incominciò a frequentare il mercato dei cavalli a Parigi che, fino alla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento, si trovava lungo il “Boulevard de l'Hôpital” e si teneva due volte a settimana. La Bonheur frequentò il mercato, per oltre un anno, osservando a lungo i cavalli, i mercanti e gli stallieri che facevano camminare, trottare e galoppare la loro merce sulla pista per mostrare agli acquirenti le loro qualità. Ne realizzò schizzi assorbendone l'atmosfera.</div><div style="text-align: justify;">La pittrice impiegò più di tre anni per progettare il suo capolavoro. In corso d’opera documentava il suo soggetto recandosi in abiti maschili con un camice al mercato dei cavalli di Parigi due volte a settimana per diciotto mesi, realizzando schizzi e chiacchierando con commercianti di cavalli e stallieri.</div><div style="text-align: justify;">Il fatto che la pittrice godesse di un “permission de travestissement” le permetteva di indossare abiti da uomo che, come disse in seguito, per lei erano una e propria protezione e le evitavano commenti sgradevoli da parte dei mercanti e degli stallieri che così la prendevano per un ragazzino, data anche la sua piccola statura.</div><div style="text-align: justify;">La pittrice raccontò più tardi alla sua amica e biografa ‘Anna Klumpke’ che quando si trovava tra i mercanti di cavalli che provavano i loro cavalli, pensava ai calchi del fregio del Partenone e che aveva provato il desiderio di realizzare una cosa del genere, ma non per imitare Fidia, quanto per interpretarlo in chiave moderna.</div><div style="text-align: justify;">Fu con questo spirito che la Bonheur realizzò innumerevoli studi e composizioni. Ancora alla Klumpke raccontò che nel 1851 o 1852, quando aveva iniziato i suoi studi per il ‘Mercato dei Cavalli’, la pittrice era stata avvicinata dal Duca de Morny, allora Ministro degli Interni (da questo ministero dipendevano anche le ‘Belle Arti’) in vista di un ordine di Stato. L'artista gli aveva presentato degli schizzi di una “Fienagione” e di un “Mercato di cavalli”, ma il duca aveva optato per l’acquisto del primo soggetto. In seguito al successo ottenuto per “Il Mercato dei cavalli” che aveva suscitato così tanto clamore sulla stampa francese il duca de Morny, si rese conto di quanto avesse sbagliato a mostrarsi scettico di fronte a quel soggetto.</div><div style="text-align: justify;">Dando preminenza al disegno, moltiplicò gli studi a matita o carboncino: fece infiniti studi sulla messa in scena, poi studi sui movimenti e sui dettagli. Prestò particolare attenzione allo studio dei personaggi in termini di postura e di gesti. Infine, quando la messa in scena le diventò più chiara, realizzò studi ad olio su tele di medio formato che le permettessero di giudicare quello che lei definiva "l'effetto".</div><div style="text-align: justify;">Per fortuna degli gli storici questi studi preparatori sono oggi noti grazie ad una raccolta di fotografie su lastre di vetro che proprio Anna Klumpke scattò provvidenzialmente prima che, nel maggio e giugno del 1900, gli studi della Bonheur fossero venduti e dispersi un anno dopo la sua morte.</div><div style="text-align: justify;">Rosa Bonheur espose per la prima volta il ‘Mercato dei cavalli’, allora incompiuto, al ‘Salon’ di Parigi del 1853, durante il quale nonostante l’incompiutezza affascinò moltissimo il pubblico, era grandissimo e fece scalpore al Salon e si fece notare per le sue grandi qualità e come un grande complimento per l’epoca e fu salutato dalla critica come un “quadro virile”.</div><div style="text-align: justify;">I critici del ‘Salon’ ne sottolinearono la raffinata esecuzione, le sue grandi qualità compositive e dichiararono che, pur conoscendo già le opere di Rosa Bonheur come quelle della più illustre ‘pittrice di animali’ della moderna scuola francese, il suo talento non si era mai rivelato così completamente e in così grandi proporzioni e affermarono che dai tempi di Géricault mai nessuno si era cimentato nel difficile studio del cavallo con una tale consapevolezza, disegnando e dipingendo cavalli con tale conoscenza della forma e del movimento.</div><div style="text-align: justify;">Sembrava che la Bonheur avesse carpito il segreto da Géricault.</div><div style="text-align: justify;">Attraverso il ‘Mercato dei cavalli’, che l’artista non ebbe paura di esporre anche se incompleto, si avvicinò in un certo senso alla pittura storica, per le dimensioni e per la concitazione drammatica della scena. Secondo i critici del “Salon” la sua opera apparteneva alla grande scuola e andava esaminata a parte, perché rivelava studi scrupolosi e rare qualità di disegnatrice e di colorista. Dopo la chiusura del “Salon” del 1853, Rosa Bonheur espose quello che sarebbe diventato il suo capolavoro a Gand nel 1854 poi a Bordeaux, sua città natale e quando il dipinto fu completato, fu presentato all'’Esposizione Universale” di Parigi del 1855 dove ottenne un riconoscimento universale.</div><div style="text-align: justify;">Con questo colpo magistrale l'artista, dichiarando di essersi trovata improvvisamente e follemente all'apice della sua carriera, si impose sia per le dimensioni della tela, un formato fino ad allora riservato alla pittura di Storia, appannaggio degli uomini, sia per la violenza del soggetto prescelto.</div><div style="text-align: justify;">Rosa Bonheur vendette “Il mercato dei cavalli” a ‘Ernest Gambart’, per 40.000 franchi, una cifra enorme per il mercato d’Arte di allora, si pensi che quasi solo con questa vendita la pittrice acquistò un castello con una vasta tenuta presso Fontainebleau</div><div style="text-align: justify;">Gambart era un mercante d’Arte e gallerista belga con sede a Londra, grazie al quale la fama di Rosa oltrepassò i confini di Parigi e della Francia.</div><div style="text-align: justify;">Per trovare un acquirente, Gambart espose nel 1855 il “Mercato dei cavalli” nella sua Galleria francese, poi nelle principali città del Regno Unito, poi negli Stati Uniti dove, dopo varie compravendite, nel 1887 fu infine acquistato dal ricco uomo di affari americano “Cornelius Vanderbilt II” per 268.000 franchi, oltre sei volte di più di quanto era stato comprato da Gambart, che lo donò al “Metropolitan Museum” di New York dove oggi è esposto.</div><div style="text-align: justify;">Quest’opera fu riprodotta su numerosi supporti tra cui perfino la carta da parati, segnando la definitiva conferma della notorietà americana di Rosa Bonheur.</div><div style="text-align: justify;">Questa grande tela, raffigurazione della pura potenza animale, è ispirata al mercato dei cavalli di Parigi e mostra la scena in cui si vendono cavalli da tiro, in particolare della razza ‘Percheron’.</div><div style="text-align: justify;">Questi magnifici animali bianchi maculati sono i cavalli più forti e più conosciuti fra le razze equine francesi allevati per trasportare grandi pesi.</div><div style="text-align: justify;">Anatomicamente caratterizzati da collo forte, da lombi corti e larghi, da una groppa vigorosa, dalla testa piccola, da gambe sottili, da mantello grigio trota e da andature nervose, erano inizialmente allevati per la loro capacità di spostare rapidamente veicoli trainati da cavalli al trotto ed erano massicciamente impiegati per l'ufficio postale e dalla società ‘Omnibus” che forniva un regolare servizio di trasporto pubblico.</div><div style="text-align: justify;">Abituati a trainare carichi sempre più pesanti a passo e al trotto, questi cavalli erano usati anche nei lavori agricoli e nell'aratura.</div><div style="text-align: justify;">Nella tela i cavalli sono colti da tutti i caratteri psicologici e in tutte le caratteristiche anatomiche distintive della loro particolare specie. Ben raggruppati, i cavalli, occupano i primi piani e tutto lo spazio che l'occhio riesce a comprendere.</div><div style="text-align: justify;">Sono rappresentati al trotto, al galoppo o cavalcati da rozzi stallieri in manica di camicia noti come i ‘téméraire’, figure tipiche in ogni mercato di cavalli.</div><div style="text-align: justify;">Le stesse varie andature dei cavalli sono rese con estrema fedeltà.</div><div style="text-align: justify;">I garretti vigorosi sono riprodotti senza alcuna esagerazione, la lucentezza della mantello rivela una brillantezza argentea che evita lo splendore freddo e compatto dell’effetto marmo.</div><div style="text-align: justify;">La Bonheur ha ritratto fedelmente il modo con cui gli addestratori manovravano i loro cavalli in movimenti energici in modo da dimostrare la loro forza e la loro mobilità ai potenziali acquirenti.</div><div style="text-align: justify;">In questo dipinto non vediamo però alcun acquirente, quindi la scena appare ancor più selvaggia e incontrollata di quanto potrebbe essere stata nella realtà.</div><div style="text-align: justify;">Il viale alberato visto in diagonale che prospetticamente diminuisce da destra a sinistra, definisce la ampiezza del mercato e conduce lo sguardo dell’osservatore in lontananza verso la cupola dell'Ospedale della Salpêtrière.</div><div style="text-align: justify;">Al centro, si vede una pista lunga duecento metri divisa centralmente e separata da una palizzata: su entrambi i lati, le bancarelle sono ombreggiate da filari di alberi.</div><div style="text-align: justify;">Nel dipinto, la pittrice ha focalizzato l'ampio movimento rotatorio dei cavalli sull’estremità sinistra della pista.</div><div style="text-align: justify;">In questa composizione, la Bonheur ha catturato magistralmente la muscolatura dei cavalli Percheron, che nella loro forza e nella loro maestosa potenza sono travolti nella corsa guidati dai loro spericolati fantini.</div><div style="text-align: justify;">Lo studio comportamentale dei cavalli dimostra che la maggior parte di loro sono tesi, o addirittura in una situazione di sofferenza tanto che al centro del dipinto due cavalli si impennano, rifiutando il trattamento loro inflitto. Ad eccezione della coppia uomo-cavallo roano sulla sinistra della composizione, gli stallieri addirittura faticano a contenere la foga di questi cavalli che danno la sensazione di voler fuggire di volersi liberare e il cavallo bianco sembra addirittura avere un’espressione terrorizzata.</div><div style="text-align: justify;">La questione della libertà degli animali risuona in molte opere dell'artista.</div><div style="text-align: justify;">Attraverso questa drammatica immagine la pittrice ha voluto tradurre il trattamento subito dai cavalli da parte dei mercanti che, per ingannare gli acquirenti, somministravano sostanze stupefacenti agli animali per migliorarne le prestazioni e il giorno prima e la mattina stessa del mercato li frustavano in modo tale che essi raggiungessero uno stato tale di sovreccitazione e di paura che alla fine del mercato al minimo schiocco di frusta si impennavano terrorizzati da quel rumore dando una falsa idea della loro ‘superpotenza’.</div><div style="text-align: justify;">La luce brillante dei colori esalta l’agitazione del branco e l’eccitazione della scena e crea una lucentezza sulle enormi groppe dei cavalli.</div><div style="text-align: justify;">Rosa Bonheur ha reso quasi tangibile la convulsione dei loro muscoli e delle loro criniere al vento, catturando l’attimo in cui i cavalli che si impennano e poi si tuffano e la forza e la destrezza dei loro conduttori con una realtà quasi fotografica.</div><div style="text-align: justify;">L’artista ha anche catturato il loro spirito e il loro mondo, con i suoi rumori, gli odori e il senso di pericolo, e li ha trasformati in grande Arte.</div><div style="text-align: justify;">Nel “Mercato dei cavalli”, la Bonheur è memore dei calchi che aveva visto del fregio in marmo per il Partenone in cui Fidia aveva mostrato forti guerrieri che controllavano cavalli impennati e aveva studiato a fondo anche l'opera di Théodore Géricault, un pittore della generazione precedente la sua che spesso raffigurava cavalli in situazioni traumatiche e che era stato il primo artista francese a visitare fiere di cavalli e macelli.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUj-JQdZSADAVbIGK-XzOw-LhyphenhyphenaxLb0Lytbf-445RtJzmnm6HGva9_GJ8ZRMPdf2VkF8_hWJTh4dYD__sHPhRVwCpEJckpq8A81SeoNJMAigdhueZCdTdQDhJ0Qs7snBd3u0OmWnsWpkT_-9kzFjCetyODzH7ugOf_tom7DEhnmeLA158jsXncvWBpc3c/s758/G%C3%A9ricault_-_Mazeppa,_1938_F_417.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="499" data-original-width="758" height="422" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUj-JQdZSADAVbIGK-XzOw-LhyphenhyphenaxLb0Lytbf-445RtJzmnm6HGva9_GJ8ZRMPdf2VkF8_hWJTh4dYD__sHPhRVwCpEJckpq8A81SeoNJMAigdhueZCdTdQDhJ0Qs7snBd3u0OmWnsWpkT_-9kzFjCetyODzH7ugOf_tom7DEhnmeLA158jsXncvWBpc3c/w640-h422/G%C3%A9ricault_-_Mazeppa,_1938_F_417.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">È il caso di “Mazeppa” di Théodore Géricault del 1823, un dipinto ad olio su tela che raffigura il personaggio storico Ivan Mazeppa legato a un cavallo selvaggio. Il dipinto si trova in una collezione privata ma non è chiaro dove si trovi esattamente la collezione privata: il dipinto è stato venduto all’asta da Christie’s nel 2018.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-17929330119007157022024-03-03T23:20:00.000-08:002024-03-03T23:20:50.329-08:00La fienagione in Alvernia di Rosa Bonheur. Lettura di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo il suo primo grande successo artistico, “L'aratura nel Nivernese” esposto al ‘Salon’ di Parigi nel 1849, Rosa Bonheur mostrò gli studi di due nuovi dipinti al duca Charles de Morny, ministro dell’interno francese responsabile allora anche delle Belle Arti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il ministro scartò “Il mercato dei cavalli” e commissionò invece “La fienagione in Alvernia”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La Bonheur però si concentrò prima sul completamento della “Fiera dei cavalli” e de Morny tentò di cambiare idea dopo la strepitosa accoglienza che il dipinto ebbe, sebbene incompiuto, al ‘Salon’ di Parigi nel 1853.</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3mOqvvIlSgwarFsk79kw4JKDUwL2eSkioa_x8x0YkoISyfLoeJipJIFdfi80Z30fMyL7yD1Jpks1EcsYrkzHYvGGC2xlNKpDg1E718_2dkrs0AoIG9VDYrAWaQ2AVIgxAdSrBOnCqnHFCOirhbgK6J8qrV0vEQodx6871h2GKDlUrAl2uQxYmAMzGrjw/s853/La_fenaison,_Rosa_Bonheur.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="416" data-original-width="853" height="312" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3mOqvvIlSgwarFsk79kw4JKDUwL2eSkioa_x8x0YkoISyfLoeJipJIFdfi80Z30fMyL7yD1Jpks1EcsYrkzHYvGGC2xlNKpDg1E718_2dkrs0AoIG9VDYrAWaQ2AVIgxAdSrBOnCqnHFCOirhbgK6J8qrV0vEQodx6871h2GKDlUrAl2uQxYmAMzGrjw/w640-h312/La_fenaison,_Rosa_Bonheur.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il dipinto raffigura il caricamento del fieno su un carro trainato da quattro buoi inquadrati in posizione latero-frontale, alcune figure umane sono intente a caricarlo e a lavorare in un prato senza ostacoli. Sono le prime ora del mattino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo è il soggetto e l'impostazione dell’opera.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Niente quindi potrebbe esserci di più semplice, niente di più insignificante e tuttavia non c’è niente di più squisito per verità ed esecuzione in quest’opera.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In questo dipinto il posto centrale è occupato dall'animale non dall’uomo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La forza della Bonheur è stata quella di mettere i buoi in primo piano ed essi, da protagonisti, occupano quasi tutta la larghezza del dipinto mentre gli uomini sono soltanto delle comparse sullo sfondo dell’azione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Celebrando una festa contadina, come la raccolta del fieno per nutrire gli animali durante l’inverno, la pittrice ha elevato la pittura del mondo animale al rango della pittura storica in cui sono centrali l’uomo-eroe e la sua vicenda. Qui invece è centrale l’animale-eroe ma eroe del quotidiano, non dello straordinario, ma dell’ordinario.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questi buoi muggenti sono come la Bonheur li ha visti nella realtà: sono proprio così, massicci e vigorosi, dalle loro bocche gocciolano lunghi fili di schiuma. E se quest'ultimo dettaglio potrebbe sembrare eccessivo nel suo realismo, alcuni tocchi nel loro mantello sono di singolare delicatezza e poesia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nonostante la perfezione si potrebbe dire fotografica dei minimi dettagli, questo dipinto è ampio e potente come quel bue che si presenta quasi di fronte all’osservatore, con il suo meraviglioso petto di tonalità più bruna, luccicante, che sfuma nel rosso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">I buoi aspettano pazientemente, assistiti da un uomo con un cappello a falda larga. Altri uomini tagliano l'erba con la falce, mentre le donne raccolgono il fieno e altri uomini usano i forconi per sollevare il fieno su un grande mucchio sul carro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Rosa Bonheur andò fino all’Alvernia più interna per osservare quei buoi sul posto, come avrebbe fatto in seguito con il camoscio di montagna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Scattava fotografie che lei stessa avrebbe sviluppato, realizzava schizzi e si impegnava in lavori fortemente accademici: una volta che ebbe raccolto all'esterno tutto il suo materiale documentario, lavorò in laboratorio, studiò l'animale nei libri di anatomia per comprenderne in dettaglio il corpo e i muscoli.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel 1854 questo dipinto fu acquistato dallo Stato francese per 20.000 franchi. Quando fu esposto all'’Esposizione Universale’ di Parigi nel 1855, come pendant all'’Aratura del Nivernese’, vinse una medaglia d'oro. Quando in occasione dell'‘Esposizione Universale’ di Parigi del 1900 fu allestita la mostra retrospettiva sull'Arte francese dell’Ottocento quest’opera fu scelte insieme ai maggiori capolavori francesi di quel secolo che si chiudeva.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dal 1874 al 1878 il dipinto fu conservato al ‘Museo del Lussemburgo’, per poi essere trasferito al ‘Castello di Fontainebleau’, dove si trova tuttora.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</span></div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-54276457303437400982024-02-25T22:19:00.000-08:002024-02-25T22:19:36.800-08:00"Labourage nivernais" di Rosa Bonheur. Lettura di Massimo Capuozzo<p style="text-align: left;"></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Tipico dell'interesse realista per la società rurale, manifestato anche nelle opere contemporanee di Gustave Courbet e soprattutto di Jean-François Millet, l’’Aratura nel Nivernese’, noto anche come ‘Il dissodamento’ fu molto probabilmente ispirato dal romanzo rustico di George Sand ‘La palude del diavolo’ del 1846. Per preparare questo dipinto, Rosa Bonheur trascorse un intero inverno nel Nivernese con un amico di suo padre e studiò da vicino i buoi di razze diverse, i loro diversi comportamenti e i vari metodi di imbracatura.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo dipinto a olio su tela (133×260 cm), realizzato in un grande formato panoramico nel 1849, raffigura la prima fase dell’aratura chiamata appunto il ‘dissodamento’ che, effettuata all'inizio dell'autunno, serviva a rivoltare profondamente il terreno in modo da garantire la circolazione dell'aria durante l'inverno.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVm8nx8NF_Nzf3AFRVLyRXkcynZDSmTnXw8wpWbRq0iEcFtCVWH3MyfHoME-SPIFaew27JIh8oL3OUdQzWjiXf_LNA7u9gcaRdA55BbtFyYUvo4FGuvj8hjKCsV7t0-pWDAJLhdQ70N1draLASIJ2qTTGp-yDZr1kzxSlKp3Nkq06MX75wuL0nKLjFMtc/s5414/fig.%201%20-%20Rosa_Bonheur-%20%20Ploughing%20in%20Nevers.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2769" data-original-width="5414" height="328" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVm8nx8NF_Nzf3AFRVLyRXkcynZDSmTnXw8wpWbRq0iEcFtCVWH3MyfHoME-SPIFaew27JIh8oL3OUdQzWjiXf_LNA7u9gcaRdA55BbtFyYUvo4FGuvj8hjKCsV7t0-pWDAJLhdQ70N1draLASIJ2qTTGp-yDZr1kzxSlKp3Nkq06MX75wuL0nKLjFMtc/w640-h328/fig.%201%20-%20Rosa_Bonheur-%20%20Ploughing%20in%20Nevers.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">In una pianura ondulata, solcata da dolci vallate e delimitata da una collinetta boscosa, sotto la chiara luce del mattino e un bel cielo azzurro e tenero, sei superbi buoi di razza Charolais e Nivernese il cui mantello è di colore rosso e bianco, arano la terra, accompagnati da quattro contadini e tirano, ciascuna coppia dietro l'altra, un pesante aratro, il cui vomere affonda nella terra bruna, la spacca e la rivolta in zolle regolari di cui si scorgono i solchi già dissodati.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sullo sfondo, a destra, la pianura è tagliata con ciuffi di alberi mentre sulla sinistra si vede una piccola collina boscosa dove, attraverso il fitto fogliame, si intravede il tetto di una fattoria.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È una scena magnifica.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'interesse della pittrice si concentra interamente sul giogo in primo piano, trainato dai maestosi buoi, che avanzano lentamente tra cielo e terra e ogni tumulo di essa è reso in modo molto preciso ed è messo in risalto dalla luce fredda e pallida di un mattino d’autunno che avvolge tutta la scena.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I protagonisti di questa scena sono i buoi e la Bonheur lascia poco spazio all'uomo: il contadino è infatti raffigurato in piccolo e i veri lavoratori sono gli animali, che, insieme alla terra nutrice di uomini e di animali, sono oggetto di tutte le amorevoli attenzioni dell'artista.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al centro del dipinto, un bue punto dal pungolo del contadino guarda lo spettatore con il suo occhio spalancato e sembra chiedergli aiuto: in questo dettaglio la pittrice cattura tutta l'intensità e l’espressione di questo sguardo animale.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'opera è un inno al lavoro dei campi la cui importanza fu ampiamente riconosciuta proprio all'indomani della rivoluzione del 1848, che aveva fatto seguito a due lunghi anni di carestia, e rende facilmente comprensibile la contrapposizione fra la faticosa attività della campagna e lo sperpero della città oltre ad essere anche un riconoscimento della provincia, in questo caso il Nivernese, delle sue tradizioni agricole e dei suoi paesaggi.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tutto questo fece sì che quest'opera, così tecnicamente realista, fosse quasi unanimemente lodata dalla critica.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Lo Stato che nel 1848 aveva commissionato la tela a Rosa Bonheur per il “Museo delle Belle Arti” di Lione e lo acquistò per 20.000 franchi, ma l’opera riscosse un tale successo che il direttore della ‘Scuola Nazionale di Belle Arti’ preferì conservare il dipinto a Parigi al ‘Museo del Luxembourg’, che vanta il merito di essere stato il più antico museo pubblico parigino.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Alla morte della pittrice, ricca e di fama internazionale, l'opera fu trasferita sempre a Parigi, ma al “Museo del Louvre” e vi rimase dal 1920 al 1923. Dal 1923 al 1986 fu poi messa in deposito presso il ‘Museo nazionale del castello di Fontainebleau’ per poi raggiungere le collezioni del ‘Museo d'Orsay’ dove attualmente si trova. </div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</span><p></p>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-36092614108803757302024-02-19T00:48:00.000-08:002024-02-19T00:48:56.784-08:00Honoré Daumier e “La carrozza di terza classe”. Lettura di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">«L'arte non è uno specchio con cui riflettere la società, ma un martello con cui scolpirla». Vladimir Majakovskij</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quando Honoré Daumier (Marsiglia, 26 febbraio 1808 – Valmondois, 10 febbraio 1879) presentò al Salon parigino del 1862 la sua nuova opera, la critica contemporanea subito espresse perplessità e biasimo: quello spaccato di vita quotidiana ripreso dall'artista conteneva in sé un evidente ed eversivo messaggio sociale e naturalmente infastidiva.</div><div style="text-align: justify;">Agli ambienti della cultura ufficiale, così strettamente legati alla classe dominante, non poteva piacere il modo in cui la “magnificenza” del treno, grande innovazione tecnologica e simbolo dell’epoca industriale, fosse sminuita in favore del racconto prosaico del profondo disagio popolare.</div><div style="text-align: justify;">Eppure oggi quel dipinto, “La carrozza di terza classe”, è considerato uno dei dipinti più iconici dell’Ottocento.</div></span><div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2e/Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" style="font-family: verdana; font-size: large;"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2e/Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" style="font-family: verdana; font-size: large;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhITPwn7gEgQTGNJaKQ5_zRqe2ewfHr0v-RMRRaDrf3I97f5uCdz6nEbh8gxXLdSJMRZc9LtdRxOn9dkqGtTlXLpzFcGEh5QZ5Y1CAshRrLk0Uhu86KuKRAfiqirxw4-nhSiW4lpsHCroGKTqIrH7IQQlBoLQKHd8yfnhTYo4bXgeG7PKgPsNkdfWij6uM/s1600/Fig.%201%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1174" data-original-width="1600" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhITPwn7gEgQTGNJaKQ5_zRqe2ewfHr0v-RMRRaDrf3I97f5uCdz6nEbh8gxXLdSJMRZc9LtdRxOn9dkqGtTlXLpzFcGEh5QZ5Y1CAshRrLk0Uhu86KuKRAfiqirxw4-nhSiW4lpsHCroGKTqIrH7IQQlBoLQKHd8yfnhTYo4bXgeG7PKgPsNkdfWij6uM/w640-h470/Fig.%201%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" width="640" /></a></div></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quest’olio su tela di 65,4 x 90,2 cm realizzato in quell’anno oggi è esposto nella “National Gallery of Canada” di Ottawa che lo acquistò nel 1946. Questo dipinto mostra con occhi spietati una massa di pendolari stipati in una carrozza delle prime ferrovie francesi, seduti sulle dure panche, che ha vaghe somiglianze con un vagone bestiame: metaforicamente è l'anticamera spenta e sfiancata di una Parigi che, stanca di barricate e di lotte intestine, vive nelle baraccopoli delle periferie di Parigi o nel suo fatiscente centro storico che Haussmann, fra il 1852 e il 1869, avrebbe in gran parte demolito e riscritto con i suoi grandiosi boulevard, creando il salotto buono della città.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">In questo vagone ferroviario Daumier scelse di rappresentare realisticamente non i ricchi borghesi che viaggiavano in prima classe, ma la gente comune della terza classe, per denunciare la povertà che regnava in gran parte della società francese dell'epoca dominata prima da Luigi Filippo poi da Napoleone III.</div><div style="text-align: justify;">L'ambiente buio, illuminato dalla luce dei finestrini che lasciano a malapena intravedere un cielo sbiadito, e solo su un lato della vettura, e i colori spenti dell’interno creano un'atmosfera lugubre: questa carrozza è il riflesso di una realtà che la maggior parte dei pittori dell’epoca aveva preferito ignorare, raccontando solo di momenti eroici della Storia e di miti classici preferibilmente allegorizzanti.</div><div style="text-align: justify;">La rappresentazione di questa realtà, così come invece ce la mostra Daumier è inquietante, non tanto per ciò che è mostrato – personaggi, abiti, bambini miserabili –, ma per la forza degli sguardi.</div><div style="text-align: justify;">L'entusiasmo per la ferrovia, simbolo del progresso, in Daumier si stempera del tutto fino a annullarsi di fronte allo spettacolo pietoso della terza classe di questo treno.</div><div style="text-align: justify;">Il protagonista assoluto di quest'opera è il comune sentimento di rinuncia del popolo parigino. Ricordiamo che siamo durante il ferreo regime di Napoleone III.</div><div style="text-align: justify;">In primo piano, quello che maggiormente interessa al pittore, ci sono tre figure: a sinistra una donna che allatta il suo bambino, al centro un’anziana donna che tiene il suo paniere in grembo e destra un ragazzino addormentato che, dormendo cullato dal dondolio e dal rumoreggiare del vagone, sembra accenna a un sorriso eppure, appesantito dalla stanchezza di un lavoro minorile, lascia intravedere una vita che è già provata dalla durezza del lavoro.</div><div style="text-align: justify;">Queste quattro persone appartengono al popolo minuto, sono i penultimi della Storia, dopo di loro ci sono soltanto i mendicanti.</div><div style="text-align: justify;">È gente che lavora, ma che, pur lavorando, rimane sempre nella miseria.</div><div style="text-align: justify;">L'attenzione dello spettatore coglie subito la donna vecchia o forse precocemente invecchiata, centro visivo e compositivo del dipinto. Una figura umana difficile da dimenticare.</div><div style="text-align: justify;">Le forme del suo corpo, già poco delineate, si perdono ulteriormente nelle pieghe del mantello che indossa: a parte il volto, costituito da un intrico di rughe e da pelle cadente, dalla stoffa del mantello emergono soltanto le sue mani ossute per stringere il manico del paniere che tiene in grembo. La stanchezza sul suo viso è accentuata da piccoli dettagli: i grandi occhi incavati, lo sguardo che sembra perso nel vuoto, l'espressione assente e misera.</div><div style="text-align: justify;">Tutto in lei indica miseria.</div><div style="text-align: justify;">Perfino le persone che ha intorno sembrano voler accentuare la sua condizione. Gli occhi scuri della vecchia che fissano lo spettatore, riflettono l’angoscia profonda che abita queste piccole persone, nella loro vita di sofferenza e di miseria.</div><div style="text-align: justify;">Nel ragazzino che si è addormentato c'è ben poca gioia, così come nella giovane donna che allatta il suo bambino.</div><div style="text-align: justify;">Gli uomini e le donne in secondo piano spiccano, invece, per le loro espressioni indolenti e apatiche. Sono dei borghesi, ma viaggiano comunque in terza classe. Dagli abiti sembra che siano stati una volta più agiati, forse ora decaduti e costretti a viaggiare in un vagone di terza classe, ma non hanno perduto la loro boria passata.</div><div style="text-align: justify;">Sullo sfondo c’è un gruppo di persone: sono seduti uno di fronte all'altro, uomini e donne, anziani e giovani, hanno tutti l'aria appesantita dalla fatica, tutti esausti e rassegnati.</div><div style="text-align: justify;">Tecnicamente questo dipinto è caratterizzato principalmente da linee orizzontali che, intrappolate in un'inquadratura molto stretta da fotografia, appiattiscono la prospettiva, schiacciano i due piani l’uno dietro l'altro quasi sovrapponendoli e, conferendo all’insieme un senso di ristrettezza fisica, servono a dare l’idea di uno scomodo e oppressivo affollamento.</div><div style="text-align: justify;">È come se Daumier avesse catturato un momento, fermando il tempo per un attimo.</div><div style="text-align: justify;">Tutte le figure hanno sagome appena delineate, con profili solo a tratti abbozzati che non hanno granché da condividere con la perfezione anatomica e formale raggiunta nei secoli precedenti e con la pittura accademica allora ancora così in auge. Del resto, ci sarebbe poco da stupirsi: Daumier era un vignettista prima ancora di essere un pittore e la natura caricaturale dei suoi personaggi è evidente anche in quest'opera come in tutta la sua produzione pittorica.</div><div style="text-align: justify;">L’esecuzione è essenziale e ferisce direttamente lo spettatore: sia il disegno tagliente, sia il rapporto tra le sezioni di luce e di ombra sia l'articolazione dei piani rispondono ai dettami di una composizione moderna.</div><div style="text-align: justify;">Occorre rivolgere una particolare attenzione al colore e alla luce, naturalmente.</div><div style="text-align: justify;">La luce entra dai due finestrini collocati solo sul lato sinistro nel dipinto e si distribuisce attraverso la composizione, ma si tratta di una luce crepuscolare che dice all’osservatore che questa gente torna a casa, stremata da una giornata di lavoro e stabilisce un'atmosfera fioca collegata con l’intento del pittore di esprimere miseria.</div><div style="text-align: justify;">La tavolozza cromatica è sobria.</div><div style="text-align: justify;">I toni rosso-bruni, annegati in velature marroni scolpite da luci e ombre, oltre a sostenere l’espressività del dipinto, ottenuta con un disegno semplice e allo stesso tempo vigoroso, con i tratti neri che delineano il contorno dei visi dei soggetti in primo piano, e con l'ampio uso del chiaroscuro, costruito con ombre molto profonde, tutti questi elementi contribuiscono a dare volume e corposità alle forme e a conferire al dipinto una lugubre atmosfera.</div><div style="text-align: justify;">Ciò sembrerebbe contrastare con quello che è rappresentato in secondo piano: i borghesi, infatti, indifferenti e noncuranti, sembrano occupare spazi migliori e vivere in una dimensione sociale più soddisfacente. Ne deriva pertanto un netto divario tra le due classi, che l’artista mira a sottolineare, e con ogni mezzo.</div><div style="text-align: justify;">Tutto questo suscita senso di pena nell’osservatore non solo verso l’anziana donna, ma verso la generale situazione raffigurata nel dipinto.</div><div style="text-align: justify;">In un'epoca di sommosse e di scosse rivoluzionarie, Daumier sceglie di mostrare al pubblico della più grande rassegna d'arte parigina un'altra faccia del popolo.</div><div style="text-align: justify;">Non esiste nulla di grandioso, di fiero e di indomito nella gente qui raffigurata. Quella massa popolare che aveva fatto tremare l'Europa e sorgere la terrificante angoscia della rivoluzione ora è alla mercé di un nuovo padrone, un padrone che alla corona preferisce il cilindro e alle divise cariche di medaglie, preferisce la redingote. In questo momento quel popolo si è spogliato del suo eroico furore come invece lo aveva raffigurato Delacroix, per tornare nella miseria in cui era sempre vissuto avendo cambiato solo il suo padrone come invece ora lo raffigura Daumier.</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5d/Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_Le_28_Juillet._La_Libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5d/Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_Le_28_Juillet._La_Libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7LHdoE-zuP1VAvKh1S67HWMly7sm1xg_zaF7Z7pTmEwvPmgTgCcahhf_MgQklLfyClKkY3uo60fGz5w1kmCXjBVsR4gJ7iz43FR-Nnq-yMObi9Id5ZLA_jyIbv2CbQCeRtEK2kGaywON6JdK_0agxYEe_mmmMyEKenGNJFD6T8hwxzn1Wf1QUhXxRsBo/s5946/fig.%202%20-%20Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_Le_28_Juillet._La_Libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4771" data-original-width="5946" height="514" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7LHdoE-zuP1VAvKh1S67HWMly7sm1xg_zaF7Z7pTmEwvPmgTgCcahhf_MgQklLfyClKkY3uo60fGz5w1kmCXjBVsR4gJ7iz43FR-Nnq-yMObi9Id5ZLA_jyIbv2CbQCeRtEK2kGaywON6JdK_0agxYEe_mmmMyEKenGNJFD6T8hwxzn1Wf1QUhXxRsBo/w640-h514/fig.%202%20-%20Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_Le_28_Juillet._La_Libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Daumier, in sostanza, dipinge il popolo francese, quello stesso che con le sue “Marianne” e con i suoi “sanculotte” aveva scritto il proprio destino come protagonista della più grande rivoluzione fino ad allora mai vista, ma lo dipinge in un'ottica disperata e amara.</div><div style="text-align: justify;">Ancora una volta quel popolo è stato annientato.</div><div style="text-align: justify;">Il canto della libertà, sostenuto dal controcanto a voce ferma dell’uguaglianza, che aveva sedotto il popolo e che lo aveva guidato ora è stato sopraffatto dagli spari provenienti dal di là delle barricate e la gente che giurava che mai più sarebbe stata schiava ha solo cambiato padrone. Niente più colori brillanti e niente più albe rivoluzionarie per i francesi.</div><div style="text-align: justify;">Ma nessuna gloria è attribuita agli altri soggetti del dipinto: il treno appare come un ambiente buio e opprimente, probabilmente anche maleodorante per l’affollamento, mentre i passeggeri in secondo piano non prestano neanche attenzione ai loro concittadini più sfortunati.</div><div style="text-align: justify;">“La carrozza di terza classe” non ha nulla da esaltare, né il progresso, né la classe operaia né quella borghese: il suo unico proposito, pare quello di invitare i suoi spettatori a fermarsi un attimo a riflettere, per vedere e per capire.</div><div style="text-align: justify;">È forse solo così che sarà possibile provare a cambiare.</div><div style="text-align: justify;">“La carrozza di terza classe” è un dipinto duro, senza compromessi, un dipinto fatalista che esprime la rassegnazione alla povertà..</div><div style="text-align: justify;">Nel contesto della seconda metà dell’Ottocento, la classe operaia, che fosse essa rurale o urbana, era diventata un nuovo soggetto artistico oltre che essere un soggetto di interesse politico per repubblicani e socialisti. Tutti gli artisti scrittori, poeti, pittori e scultori di questo periodo affrontano questo tema.</div><div style="text-align: justify;">Daumier è un maestro del “realismo”. L'apparente improvvisazione e l'aspetto incompiuto dei suoi dipinti riflettono la sua paura di sacrificare l'essenziale per l'accessorio.</div><div style="text-align: justify;">In arte e in letteratura l’ansia di “realtà”, il desiderio di rappresentare il contemporaneo e le sue intime contraddizioni nelle condizioni di vita, fecero di questa corrente artistica francese un movimento europeo potente quanto un manifesto socio-politico: questo è il periodo in cui Victor Hugo pubblicò “I Miserabili” del 1862 e, come Hugo, anche Daumier, combina realismo sociale, povertà, ingiustizia e storia. Lo fa Courbet con i suoi “Spaccapietre” e lo fa Millet con le sue “Spigolatrici”.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhb4KHdHP3uU9J3CYf91RkCm_mxRPjapHjIN9W1SCwUrYvkhyZsrzRhKKJUtiGPCnb5AtTtFsEBa_S5Dj10T4YxW8cCFLoZ8F1g7QJAMFhNnf_41CD3hErExnSOA7Ly0OW2ZvMZqJ2GxJA354OacCPSoZezVNxVW_hMLBzGUufb8RDTD3ekehByPL-Zx9w/s1315/fig%203%20Gustave_Courbet_-_The_Stonebreakers_-_WGA05457.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1315" height="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhb4KHdHP3uU9J3CYf91RkCm_mxRPjapHjIN9W1SCwUrYvkhyZsrzRhKKJUtiGPCnb5AtTtFsEBa_S5Dj10T4YxW8cCFLoZ8F1g7QJAMFhNnf_41CD3hErExnSOA7Ly0OW2ZvMZqJ2GxJA354OacCPSoZezVNxVW_hMLBzGUufb8RDTD3ekehByPL-Zx9w/w640-h390/fig%203%20Gustave_Courbet_-_The_Stonebreakers_-_WGA05457.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1f/Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1f/Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEsGRg9IvvBKl63PFoPKxMIFGJ7K27sUUMcTQSVOlDS6BbKIA6_2RkRQLBFvgNHVyheyXq7BbN0Kj5N9w-nCNhex7gZtXt88YOGOSs0enDcgqi3whERgx2Ipg3y7VgTxF9QaKPVhMnsrrkQy6OHsDik3v-_3MSgeKEuBh9WOT2IDzFA4X18b_S8RYEhMw/s5354/Fig.%204%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4006" data-original-width="5354" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEsGRg9IvvBKl63PFoPKxMIFGJ7K27sUUMcTQSVOlDS6BbKIA6_2RkRQLBFvgNHVyheyXq7BbN0Kj5N9w-nCNhex7gZtXt88YOGOSs0enDcgqi3whERgx2Ipg3y7VgTxF9QaKPVhMnsrrkQy6OHsDik3v-_3MSgeKEuBh9WOT2IDzFA4X18b_S8RYEhMw/w640-h478/Fig.%204%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Il tratto distintivo del “realismo” consiste nel proporre all’osservatore uno sguardo sulla realtà, soprattutto su quell’ordinaria quotidianità che in ambito artistico era stata quasi sempre trascurata e, se era stata lambita in qualche epoca, non aveva mai avuto un contenuto politico né un impegno sociale, erano state solo scene di genere con funzione decorativa domestica: negli intenti delle correnti artistiche precedenti, l’arte era classificata come raffigurazione della “bellezza”, più che della “verità”. In tal senso il “realismo” è avvicinabile alla veridicità della fotografia che muoveva allora i primi passi ma che, in quel momento, per ragioni tecniche non poteva ancora competere con la pittura: in “La carrozza di terza classe” Daumier “fotografa” un istante e con le sue pennellate immortala una scena che ha il sapore del quotidiano.</div><div style="text-align: justify;">Si può osservare, infatti, come in primo piano spicchi la povertà di alcune figure del popolo: quei volti espressivi, rappresentati in maniera così rassegnatamente drammatica, rappresentano il “j'accuse” di Daumier.</div><div style="text-align: justify;">Daumier parla della classe operaia con voce meno fragorosa di Courbet meno lirica di Millet, ma lo fa certamente in modo anche più schietto.</div><div style="text-align: justify;">Con questo vagone affollato Daumier non vuole evocare i progressi compiuti nell’Ottocento in termini di possibilità di spostamento grazie al treno, ma vuole denunciare piuttosto la miseria che regnava in gran parte della società francese dell'epoca.</div><div style="text-align: justify;">Honoré Daumier, classe 1808, si era avvicinato all’arte in età molto giovane e, grazie all’apprendimento della tecnica litografica, aveva incominciato a lavorare con la stampa appena sedicenne su importanti riviste umoristiche dell’epoca come “La Caricature” e “Le Charivari”.</div><div style="text-align: justify;">Ma Daumier non fu solo l'autore delle caricature che lo resero famoso in vita, fu anche un grande pittore, un grande disegnatore e un grande scultore.</div><div style="text-align: justify;">Tra le sue più importanti espressioni artistiche certamente spiccarono le sue vignette satiriche politico-sociali, che ironizzavano sulla vita del tempo, caratterizzata da vizi e da condotte discutibili nascoste da pubbliche virtù, ma nonostante queste sue grandi doti, Daumier visse sempre nell’ombra, conducendo una vita piuttosto molto ritirata.</div><div style="text-align: justify;">Questi due aspetti della sua vita sembrano emergere anche all’interno di quest’opera: la scelta di raffigurare una scena di povertà è una denuncia politica, come il suo “vivere nell’ombra” lo avvicina allo stile di vita della classe povera che rappresentava nei suoi quadri: su di essa volle far luce e a essa volle dare voce per lanciare un grido di denuncia.</div><div style="text-align: justify;">Dalla fine degli anni Quaranta, l'artista aveva incominciato a documentare anche in pittura le precarie condizioni di vita delle periferie urbane e si era fatto portavoce di un'umanità ai margini.</div><div style="text-align: justify;">Diversamente però dagli artisti della sua epoca, Daumier fu un artista muto: non parlò, non scrisse e nessuno parlò di lui. Eppure la sua opera è stata una delle più forti e loquaci dell’Ottocento.</div><div style="text-align: justify;">Considerato in vita solo un litografo cui mancava lo spessore artistico di un Ingres o di un Delacroix, lui stesso era voluto restare in secondo piano, dipingendo fatti e gesti della gente comune, della vita quotidiana, ma rendendo poesia la vita mediocre e banale.</div><div style="text-align: justify;">Non esponeva se non raramente e i suoi quadri dovettero forse aver sofferto il loro piccolo formato e anche questo contribuì al disinteresse suscitato da lui, che ancora una volta era controcorrente nella sua epoca, amante dei grandi formati, come un giovanissimo Courbet aveva bene intuito. Rispetto a certe tele elefantiache del suo tempo, i dipinti di Daumier sembrano minuscoli, eppure hanno in sé una forza straordinaria, una monumentalità singolare in opere così piccole, un senso di umanità e di compassione nonché una forza emotiva travolgenti: la grandezza del gesto, la potenza della visione rendono i suoi quadri opere monumentali perché Daumier, come cronista della vita urbana moderna, catturò anche nella pittura, gli effetti dell’industrializzazione a Parigi intorno alla metà del suo secolo.</div><div style="text-align: justify;">Fedele alla sua idea di dover “essere del proprio tempo”, Daumier dipinse la povertà urbana: spesso nelle sue opere si ripetono immagini di lavoratori e di sfruttati. I letterati suoi contemporanei risposero meglio dei suoi colleghi al valore universale del suo impegno politico-sociale.</div><div style="text-align: justify;">Il valore della sua pittura fu riconosciuto solo più tardi. Nel suo tempo Daumier fu l’uomo di pochi, apprezzato da pochi come Baudelaire, Corot, Millet, anche se oggi si parla sempre più spesso di un “effetto Daumier” sulle opere di Manet, di Degas, di Cézanne, poi ancora di Rouault, di van Gogh e di Picasso e si dice che abbia anticipato di qualche decennio i futuri indirizzi della pittura espressionista di Munch, di Ensor, di Kirchner e di Egon Schiele.</div></span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> <span> </span></span>Massimo Capuozzo</span></div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-37607819014101465252024-02-12T00:28:00.000-08:002024-02-12T00:28:16.982-08:00Honoré Daumier e la miseria del popolo parigino di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Anche Honoré Daumier (1808-1879), pittore politicamente ancor più impegnato di Courbet nella denuncia delle ingiustizie sociali, ha dato un contributo molto significativo al “Realismo” prima come caricaturista e incisore, poi anche con i suoi dipinti e con le sue sculture. Questo ha fatto sì che le sue due carriere fossero il più delle volte considerate separatamente. Oggi però non è più possibile questo tipo di approccio perché è palese che la sua pittura risenta della sua intenzione di disegnatore e che quest’ultima abbia come suo presupposto inalienabile la sua visione pittorica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier era marsigliese nato nel 1808 nel popolare quartiere del “Porto vecchio” da un padre vetraio e velleitario autore teatrale. Era giunto a Parigi nel 1816 insieme alla madre per raggiungere il padre che, per le sue ambizioni letterarie, vi si era trasferito due anni prima.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">A tredici anni, Daumier era andato a lavorare prima per un libraio poi il padre gli aveva trovato un lavoro come fattorino presso un ufficiale giudiziario: in questo suo secondo lavoro ebbe senza dubbio modo di osservare il tipo del “grande avvocato” che avrebbe rappresentato successivamente in diverse occasioni e in altrettanto diverse situazioni.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">A quattordici anni aveva incominciato a disegnare e nel 1822 era stato notato per il suo talento da “Alexandre Lenoir”, personaggio famoso all’epoca, archeologo e conservatore museale che si era occupato di custodire e mettere in salvo le opere antiche che la furia iconoclasta della Rivoluzione dell’Ottantanove aveva scatenato, producendo importanti distruzioni. Il buon Lenoir si accorse del talento del ragazzo e ne incominciò a curare la formazione: gli faceva copiare oggetti d'antiquariato e poi i maestri del Louvre trasmettendogli la sua ammirazione per Tiziano e per Rubens. Nel frattempo il ragazzo entrò nell’Accademia Svizzera di Parigi dove studiò poi con molta attenzione la litografia, una tecnica molto diffusa all'epoca per la riproduzione di immagini disegnate.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Proveniente da un'effervescente città portuale, inserito in una Parigi in continua ebollizione, prestò la sua attenzione ai grandi rivolgimenti che toccavano la Francia presso le redazioni dei giornali con cui incominciava a collaborare, e Parigi era un luogo di osservazione particolarmente privilegiato.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier aveva ventidue anni quando nel 1830 scoppiò la rivoluzione a Parigi che diede inizio alla “Monarchia di Luglio” un evento che diede a Honoré Daumier, contribuendo a una varietà di giornali satirici parigini, l'opportunità di esprimere i suoi sentimenti repubblicani nella sua caricatura.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel luglio del 1830 il popolo di Parigi si era mobilitato per detronizzare l’assolutista e reazionario Carlo X, quando fu offerta a Luigi Filippo, cugino del re, la luogotenenza del regno e il 9 agosto, dopo l’abdicazione di Carlo X, il Parlamento lo proclamò “re dei Francesi”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Con questa proclamazione e con tale titolo i liberali volevano sottolineare che era il popolo l’entità che dava legittimità al nuovo sovrano, insieme con il giuramento di fedeltà alla Costituzione e con l’adozione della bandiera tricolore, simbolo della Rivoluzione francese, in luogo della bandiera bianca coi gigli d’oro dei Borbone.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Delle tante aspettative in questo sovrano, Luigi Filippo allargò solo molto limitatamente il diritto di voto: su una popolazione di circa 30 milioni di abitanti si passò da 100.000 a 165.000 elettori, scelti con criteri censitari. Mantenne invece la nomina regia per una delle due camere del Parlamento, quella dei Pari che era di per sé già ereditaria, contrariamente a quanto si aspettavano i liberali. In questo modo il sistema politico rimaneva nelle mani dell’aristocrazia e della borghesia più agiata I governi nominati da Luigi Filippo presero quasi subito una piega conservatrice, contrastata dall’opposizione della classe operaia, dei repubblicani e dei socialisti, interpreti di un sentimento d’insoddisfazione che si diffuse sfociando in frequenti insurrezioni spontanee e altrettanto frequenti attentati al re.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Dopo essere scampato a uno di questi attentati nel 1835, Luigi Filippo fece approvare severe leggi liberticide di polizia che limitarono drasticamente anche la libertà di stampa.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Di quelle “Tre gloriose giornate” come erano ricordati i moti parigini del Trenta e che erano state celebrate dal famosissimo dipinto di Delacroix “La Libertà che guida il Popolo” a cui aveva preso parte lo stesso Daumier, così piene di speranze, rimaneva ora ben poco: la monarchia continuava con un nuovo sovrano Luigi Filippo, c’era stato solo qualche aggiustamento alla carta costituzionale “octroyée”, ossia concessa nel 1814. E il dipinto che era stato esposto brevemente e non nella Sala del Trono alle Tuileries, ma al Museo Reale, prima che fosse rimosso nel 1832 e conservato in luogo più appartato, per evitare di incitare altre rivolte popolari per il suo contenuto sovversivo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">D’altro canto fin dalla sua creazione, il nuovo regime di Luigi Filippo dovette affrontare una forte opposizione repubblicana, concentrata soprattutto nei centri urbani. A questa opposizione politica si aggiunsero diversi moti popolari, suscitati dalle difficili condizioni di vita e dalle speranze deluse di quella rivoluzione che aveva ispirato il celebre dipinto con la “Marianne”, simbolo delle libertà, che guida il popolo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Per far fronte a questa situazione, il governo introdusse allora diverse misure repressive, tra cui il divieto delle associazioni politiche segnatamente repubblicane e la limitazione della libertà di espressione: se la situazione del paese era grave servivano i bavagli alla stampa.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In Francia, come del resto in Europa e nella stessa Inghilterra dove era nato il fenomeno, il passaggio da un'economia ancora in gran parte agricola a un'economia di tipo industriale era stata l'origine di una crescita straordinaria e abnorme della popolazione urbana e, nello stesso tempo, di un significativo deterioramento delle condizioni di vita del nuovo proletariato urbano che si andava costituendo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L’idealismo umanitario del Settecento che si era trasformato in un “socialismo utopistico” nel pensiero di Saint Simon cominciava a lasciare il posto a una più ardente e concreta richiesta di riforme politiche e sociali, contrastata dall’opposizione intransigente di una élite determinata a mantenere i propri privilegi.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sono questi gli anni dell'inizio della carriera di Daumier che si dedicava principalmente alla litografia e la sua notorietà si legava innanzitutto alla collaborazione con “La Caricature”, un settimanale satirico creato nel 1831 da Charles Philipon (1800 – 1862), il giornalista ed editore lionese ostile al governo di Luigi Filippo: su questo giornale Daumier si fece portavoce di attacchi feroci che gli sarebbero valsi una serie di condanne immediate, di salatissime multe e di periodi di detenzione soprattutto per il suo “Gargantua”, un’irriverente caricatura del governo corrotto e famelico di Luigi Filippo, per il quale nel 1832 Daumier dovette scontare sei mesi di prigione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Osserviamo l’immagine.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 1</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9dH4hClJZ3bHVNAYsY8lpkefQmCDIUcMZ7Hj878DsXBpLDetaVcUmC1GJx2hqN3sE7L1Qh_4kRyQMwQYpIs0bij9c-wom1JYnJgRr9bcSO1kMR5iNo6mWJneW0Iwmbp-miMMIufrNCjPU6I01AZYnP_hhT7RzueMM-fHUAaJdJn0780M5pL_q6vQ60yQ/s3643/Fig.%201%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_-_Gargantua.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2726" data-original-width="3643" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9dH4hClJZ3bHVNAYsY8lpkefQmCDIUcMZ7Hj878DsXBpLDetaVcUmC1GJx2hqN3sE7L1Qh_4kRyQMwQYpIs0bij9c-wom1JYnJgRr9bcSO1kMR5iNo6mWJneW0Iwmbp-miMMIufrNCjPU6I01AZYnP_hhT7RzueMM-fHUAaJdJn0780M5pL_q6vQ60yQ/w640-h478/Fig.%201%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_-_Gargantua.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In “Gargantua”, famelico personaggio dei romanzi di Rabelais, Daumier irrideva il re Luigi Filippo le cui necessità finanziarie erano inestinguibili. Noto a tutti per la sua avidità, il re aveva lottato duramente per poter ottenere un'importante lista civica che fosse a suo favore e aveva cercato perfino di procurarsi dei posti in parlamento per la sua numerosa famiglia. Daumier denunciò anche la corruzione elettorale praticata dal regime corrotto della “Monarchia di Luglio”: sotto il “trono”, che in realtà sembra più che altro una tazza del water, si vedono i deputati corrotti, considerati come escrementi del re, che dalla sede del governo si dirigono verso il “Palais-Borbone”, sede della “Camera dei Deputati”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In questo periodo, e siamo a inizio anni Trenta, Daumier incominciò anche a realizzare sculture e caricature in argilla cruda, che, oltre ad essere vigorose opere d’arte in sé, aumentarono notevolmente le sue capacità disegnative: nel 1832 realizzò una serie di trentasei busti, definiti da lui stesso i “ritratti delle celebrità della borghesia” o dei “parlamentari”. Non a caso la “Monarchia di Luglio” è chiamata “borghese” perché quello di Luigi Filippo fu un regime che rappresentava gli interessi della borghesia francese e si basava sulle reciproche connivenze fra questa classe e il sovrano.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel 1834, Daumier pubblicò “La pancia legislativa” che presentava i più famosi deputati della destra, pubblicò “Libertà di stampa”, poi “La sepoltura di La Fayette” e soprattutto “Rue Transnonain” che condannava la repressione poliziesca e in cui mostrava le patetiche conseguenze di un massacro militare di civili.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig.2</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsXNK96mWYScmfGu3L8miedDWr19P4cqzNHD9UANxStdkBbJqWRgkkK3GS66yCbhSJ4hnmIcyXqzacTxbdmXEF4CaYJ7Tg1Sm_4rZ3tpCH2x03Qzk832AR3bVJxjNfC0JjRT8jj315G7Ic5b4x4HdFbpncai1X41wLxZCKuOJixIlVBHswaCk0yS2V7VY/s4880/Fig.%202%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_-_Le_Ventre_L%C3%A9gislatif_(The_Legislative_Belly)_-_Google_Art_Project.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="3560" data-original-width="4880" height="466" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsXNK96mWYScmfGu3L8miedDWr19P4cqzNHD9UANxStdkBbJqWRgkkK3GS66yCbhSJ4hnmIcyXqzacTxbdmXEF4CaYJ7Tg1Sm_4rZ3tpCH2x03Qzk832AR3bVJxjNfC0JjRT8jj315G7Ic5b4x4HdFbpncai1X41wLxZCKuOJixIlVBHswaCk0yS2V7VY/w640-h466/Fig.%202%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_-_Le_Ventre_L%C3%A9gislatif_(The_Legislative_Belly)_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 3</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5eYGFpAH3BZKTxuh6zdx8kUj6s-0nzxOfc6clRZXRWH1lgYRlZBcLEzyaFn5HaviV5rPLIE5PIgzD77MOSczvWc6PKOvSdgTEh2ALJjTQV1Hll4VbztqTTj0Yl-fU4i86uL3kceUDstaWu3a3ncv8_aoNPbERDOfIMKQWjbtPFBoT1pCGWwm-JJqrkpw/s641/Fig.%203%20-%20honor%C3%A9-daumier-ne-vous-y-frottez-pas-ou-la-libert%C3%A9-de-la-presse.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="470" data-original-width="641" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5eYGFpAH3BZKTxuh6zdx8kUj6s-0nzxOfc6clRZXRWH1lgYRlZBcLEzyaFn5HaviV5rPLIE5PIgzD77MOSczvWc6PKOvSdgTEh2ALJjTQV1Hll4VbztqTTj0Yl-fU4i86uL3kceUDstaWu3a3ncv8_aoNPbERDOfIMKQWjbtPFBoT1pCGWwm-JJqrkpw/w640-h470/Fig.%203%20-%20honor%C3%A9-daumier-ne-vous-y-frottez-pas-ou-la-libert%C3%A9-de-la-presse.jpg" width="640" /></span></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 4</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjng97QILGFngEG_z0xE2UJ0-0-QEkfXQMBJ8XJrCMIWxP0Ah6VqB_5st5Nq896J6EleT92VeeKE1cH_oBSNauElcCz89RRA8YS3ICfhxX_d1Jg4EAal3C3rqfHIWGz1lsDupRIDP9cbpJkJXQtz_JE5O0fYKarnmSCnkIrTULY9A-1k8HboQDBzLpwK0/s3316/Fig.%204%20Daumier_-_Enfonc%C3%A9_La_Fayette.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2380" data-original-width="3316" height="460" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjng97QILGFngEG_z0xE2UJ0-0-QEkfXQMBJ8XJrCMIWxP0Ah6VqB_5st5Nq896J6EleT92VeeKE1cH_oBSNauElcCz89RRA8YS3ICfhxX_d1Jg4EAal3C3rqfHIWGz1lsDupRIDP9cbpJkJXQtz_JE5O0fYKarnmSCnkIrTULY9A-1k8HboQDBzLpwK0/w640-h460/Fig.%204%20Daumier_-_Enfonc%C3%A9_La_Fayette.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Dopo la pubblicazione di “Rue Transnonain”, la censura soppresse “La Caricature”, che però riprese subito dopo le sue pubblicazioni con un nuovo titolo, “Le Charivari”, una testata giornalistica che sarebbe sopravvissuta al suo stesso editore.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Osserviamo ora il “disegno dello scandalo”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig.5</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihOEnqyqlCI2FSuB-c2C4_bAnPHUMti89v1DZqACbPTul8QppXk3tGP9ADheeD3Ud7rzY20Cr6XLWe7aigLqfFlghNEXsFqFo6Cf0Rc-YkJj299wdwoeu3asyKL1yOjdGxiGI1gD2huMukWNIqRVCklxYMAbWwtTFC-EYA59Wi5hyphenhyphenKParGbnRaDrYfW8w/s1280/Fig.%205%20-%20Rue_Transnonain,_le_15_Avril_1834.tif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="894" data-original-width="1280" height="448" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihOEnqyqlCI2FSuB-c2C4_bAnPHUMti89v1DZqACbPTul8QppXk3tGP9ADheeD3Ud7rzY20Cr6XLWe7aigLqfFlghNEXsFqFo6Cf0Rc-YkJj299wdwoeu3asyKL1yOjdGxiGI1gD2huMukWNIqRVCklxYMAbWwtTFC-EYA59Wi5hyphenhyphenKParGbnRaDrYfW8w/w640-h448/Fig.%205%20-%20Rue_Transnonain,_le_15_Avril_1834.tif" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questa litografia testimonia una scena del massacro avvenuto in una soffitta durante la rivolta popolare scoppiata a Parigi ad aprile del 1834 che il governo represse duramente.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Che cosa era successo?</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il 14 aprile, nei pressi di una barricata in “Rue Transnonain” un capitano di fanteria era rimasto ferito da un colpo di pistola sparato da una finestra del civico 12. Per rappresaglia, due terzi degli occupanti l'edificio da cui si diceva che sarebbe partito il colpo, furono massacrati dai soldati.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier creò la litografia che ricordava l’evento e che è considerata attualmente uno dei suoi capolavori e da alcuni critici una delle prime manifestazioni del “realismo”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Quest’incisione, denunciando la repressione della polizia, dimostra la forza dello stile Daumier e delle sue convinzioni politiche. Gli occupanti del palazzo erano stati massacrati indiscriminatamente: i soldati erano entrati nelle case e avevano ucciso dodici residenti e ferito molti altri fra cui anziani, donne, bambini.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier sintetizza solo un episodio del massacro. In una stanza con il letto disfatto, un uomo scivolando dal letto schiaccia sotto il suo peso un bambino, mentre in primo piano si vede in modo incompleto il volto di un vecchio, anche lui morto.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel suo commento alla vignetta il direttore de “La Caricature”, Charles Philipon, diede libero sfogo all'indignazione suscitata dal “massacro di rue Transnonain” e scrisse: “Questa non è una caricatura, non è un’accusa, è una pagina sanguinosa della nostra storia di oggi”. Baudelaire (1821 – 1867), si mosse nella stessa direzione qualche tempo dopo scrivendo: “Non è proprio [una] caricatura, [è] storia, [è] realtà terribile e banale”. Baudelaire, pur non conoscendo né la pittura né le sculture di Daumier, considerando comunque questa litografia uno dei vertici dell'opera del caricaturista, ne diede questa drammatica descrizione: “In una stanza povera e triste, la tradizionale stanza del proletario, con mobili banali ed essenziali, giace supino il corpo di un operaio nudo, con camicia di cotone e berretto, tutto il corpo lungo, gambe e braccia divaricate. Ci fu senza dubbio una grande lotta e un grande trambusto nella stanza, perché le sedie erano rovesciate, così come pure il comodino e il vaso da notte. Sotto il peso del suo cadavere, il padre schiaccia il cadavere del suo bambino tra la schiena e il pavimento. In questa fredda soffitta c'è solo silenzio e morte”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Baudelaire fu l'unico ad aver compreso pienamente dalle sue litografie e dalle sue caricature il talento di Daumier e vide in lui, il terzo più grande disegnatore del secolo dopo Ingres e Delacroix.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Con quest’opera da caricaturista, Daumier era salito dunque al rango di “pittore di storia” anche se solo “in bianco e nero” e aveva anticipato il movimento realista nella pittura.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">A seguito di questo disegno, nel 1835, “La Caricature”, com’è noto, fu costretta a concludere le sue pubblicazioni, ma Philipon non si diede per vinto e diede vita al giornale “Le Charivari” con la cui testata Daumier incominciò il suo sodalizio e a esso rimase fedele per venticinque anni.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Con il passaggio al rinnovato giornale, Daumier passò dalla caricatura esplicitamente politica alla satira sociale e ai riflessi della società borghese in tutti i suoi aspetti: scene di tribunale, ma anche di attori e artisti di strada che esercitavano su di lui un fascino particolare, perché il teatro di strada o no era per lui fonte di ispirazione: qualunque fosse il soggetto o la situazione, i suoi lavori avevano però un'umanità estranea a qualsiasi deriva verso il “romantico” e il “pittoresco”. I suoi disegni a matita o a penna illustravano ogni aspetto delle relazioni umane e della condizione umana del suo tempo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Tra il 1836 e il 1842, Daumier realizzò una serie di cento caricature di costume basati su un personaggio inventato, “Robert Macaire”, nel quale si incarnavano tutti i vizi, gli intrighi e le sozzure della società basata sugli affari e sul profitto.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">“Macaire” è l’immagine del truffatore opportunista in cui l’artista individua una varietà di tipi sociali contemporanei, tutti coinvolti in "loschi traffici per [il raggiungimento di] una ricchezza istantanea", e lo identifica soprattutto con il finanziere e uomo d'affari “Émile de Girardin” (1806-1881), che promosse le sue avventure finanziarie senza scrupoli attraverso il proprio giornale, “La Presse”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">“Macaire” è sostanzialmente un criminale, un cinico imbroglione degli inizi dell'era industriale di cui Philippon e Daumier si impadroniscono e lo trasformano in un eroe negativo attraverso una raccolta di racconti umoristici intitolati "Cento e uno".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questa lunga serie inaugurò la caricatura di costume e racconta le diverse azioni di questa loro "Commedia umana" di balzachiana memoria.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Che sia un finanziere, un politico, un avvocato, un giornalista, un medico, il “Robert Macaire” di Daumier e Philippon è un individuo privo di scrupoli ipocrita e infame che approfitta del sistema e sfida la morale: il tipo stesso dell'opportunista sempre pronto ad afferrare la migliore occasione per trarne profitto. Finto benefattore dalla postura pontificante e rispettabile, pingue e intrallazzatore, è accompagnato dal suo seguace, lo scheletrico e famelico Bertrand.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 6</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhnL-macZRZ5HQLYk0qqocogRFZOFiyylpP7jlewMu4wuotU6GR0PmuoztExH5123bt6UpuPMFU1LLM6ih_gYljJ9_vT8VaRPikiTJY1patDnL24k_rslSjj9S9RyhmOzL8bXOmnb5gTVEFqRKsvfJmDvopTCcNKbgFHsxl_PoTWo5k_aweUQswrl4iRI/s1200/Fig.%206%20.%20main-image.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="931" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhnL-macZRZ5HQLYk0qqocogRFZOFiyylpP7jlewMu4wuotU6GR0PmuoztExH5123bt6UpuPMFU1LLM6ih_gYljJ9_vT8VaRPikiTJY1patDnL24k_rslSjj9S9RyhmOzL8bXOmnb5gTVEFqRKsvfJmDvopTCcNKbgFHsxl_PoTWo5k_aweUQswrl4iRI/w496-h640/Fig.%206%20.%20main-image.jpg" width="496" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Negli anni Quaranta Daumier produsse diverse altre serie di litografie, ad esempio “Storia antica” del 1842, parodia dell'arte neoclassica, ma i suoi bersagli erano spesso rivolti contro la pomposità e la pretenziosità, come nella serie dedicata a “Gli uomini di Giustizia” (1845-8): qui, l'abito fluido e il contrasto in bianco e nero della toga permettevano effetti pittorici impressionanti.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ma gli anni Quaranta furono anche quelli del suo avvicinamento, o forse riavvicinamento, alla pittura nel senso stretto: le sue opere pittoriche, spesso oscure e malinconiche, raffiguravano poveri e lavoratori in condizioni difficili. Per questo Daumier, anche se solo “ex post”, fu acclamato come uno dei principali artisti del ‘Realismo’, forse il primo cronologicamente, grazie alla sua capacità di utilizzare anche la satira e la critica sociale per creare immagini potenti e coinvolgenti.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier è un personaggio importante sulla scena artistica e politica parigina perché il suo lavoro spinse anche molti altri artisti a utilizzare l'Arte come strumento di denuncia delle ingiustizie sociali e politiche del suo tempo e non a caso ancora una volta Baudelaire considerò Daumier “uno degli uomini più importanti, non [...] solo della caricatura, ma anche dell'arte moderna”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel 1845 già trentasettenne Daumier sposò una giovane sarta e si stabilì sull'isola di Saint Louis sulla Senna dove vivevano una vita piuttosto grama.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Era la metà degli anni Quaranta e ormai le condizioni di vita in Francia cominciavano a diventare insostenibili e il regime di Luigi Filippo diventava sempre più smaccatamente favorevole a una élite molto ristretta che gli garantiva il suo appoggio in un parlamento corrotto.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">I tanti contadini che avevano abbandonato le campagne e si erano riversati nelle città, vivevano nelle baraccopoli, antenate delle moderne “banlieue”, in condizioni inumane e accrescevano il numero dei disoccupati.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel febbraio del 1848 lo scontro violento fu inevitabile.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Al centro di dibattiti appassionati, il socialismo radicale di Marx e di Proudhon e le opere letterarie di Zola, di Baudelaire e di Dickens attingevano a fonti comuni: le “conseguenze della industrializzazione”, l'”opposizione tra il benessere della borghesia e la miseria delle classi proletarie” e il “contrasto tra l'eleganza dei nuovi quartieri residenziali e il degrado delle baraccopoli”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nelle arti figurative, questi stessi temi trovarono espressione nel movimento diventato poi la corrente del “Realismo”. Oltre a Courbet – la cui pittura oscura e dolorosa, con soggetti scabrosi, a volte perfino osceni, suscitava innumerevoli controversie con la critica e gli ideali borghesi –, il “Realismo” riunì anche il più ascetico “Jean-François Millet” e il graffiante caricaturista della politica e degli ambienti giuridici “Honoré Daumier”, ma anche pittore attento al mondo dei più umili.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'appello lanciato da Baudelaire agli artisti affinché essi si appropriassero "dell'eroismo della vita moderna" fu accolto con favore da un numero sempre crescente di pittori, che rifiutavano categoricamente il condizionamento delle convenzioni dell’arte di regime rappresentata dall’accademismo. Si ricordino in tal senso, in un arco di tempo anche se non brevissimo, opere come “Il vaglio del grano” di Gustave Courbet del 1855 del “Museo delle Belle Arti” di Nantes, “Le spigolatrici” di Millet del 1857 al Museo d’Orsay a Parigi, “La lavandaia” del 1863 di Honoré Daumier ancora al “Museo d'Orsay”, “I piallatori di parquet” del 1875 di Gustave Caillebotte sempre al “Museo d'Orsay”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La pittura realistica si affermava contrastando sempre più vigorosamente gli ideali moralisti e ipocritamente avulsi dalla realtà che avevano caratterizzato e imbalsamato l'arte accademica e che i suoi fautori si ostinavano a mantenere col favore del potere politico.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Dopo la rivoluzione del 1848, in Francia la situazione economica delle zone svantaggiate continuava tuttavia a peggiorare sia nelle campagne sia nelle città, compreso il mondo che gravitava intorno ad esse, e questo diventò uno dei temi preponderanti del “Realismo”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Soggetti cari al Romanticismo, come erano stati “l'esotismo”, il “sublime” e la “spiritualità”, furono sostituiti da soggetti più vicini alla realtà concreta e alle problematiche della vita quotidiana. I dipinti oggetto dell’attenzione dell’arte rappresentavano ora i poveri, gli operai, gli sfortunati: non è un caso infatti che il “Realismo” abbia conosciuto grande successo in Europa proprio dopo i movimenti sociali e politici del 1848.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La pittura realistica si era proposta allora di rappresentare proprio questa realtà sociale: il lavoro nei campi e la vita nelle officine industriali fornirono così un certo numero di temi e anche il nudo, fino ad allora anemico prigioniero dell'allegoria, si avvicinò al realismo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Era una rivoluzione anche in campo artistico con questa rottura netta con l'accademismo e con la rappresentazione idealizzata di scene convenzionali. Il “Realismo” voleva uno stile naturalistico ispirato alla fotografia che muoveva allora i suoi primi passi.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il Realismo ebbe un impatto duraturo sulla pittura francese, penetrando, con le debite differenze, nel cuore dello stesso movimento impressionista che, per certi aspetti, ne fu il figlio primogenito.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il 1848 segnò una svolta anche in Daumier sebbene la sua produzione pittorica fu tenuta quasi sempre nascosta. Noto all’opinione pubblica per la sua aspra critica sociale e per il suo impegno nel denunciare le ingiustizie sociali del suo tempo sui giornali, nei suoi dipinti Daumier raffigurava spesso i poveri e i lavoratori nonché, come si era visto nelle sue sferzanti caricature, politici e affaristi corrotti. Ma dal 1848, il rapporto tra litografia, disegno e pittura in lui si fece più stretto anche se i suoi dipinti rimasero pressoché sconosciuti al pubblico fino a una mostra tenuta a Parigi nel 1878 dal famoso gallerista mentore degli impressionisti “Paul Durand-Ruel”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'eccezionale talento di Daumier per la caricatura satirica si era basato su due qualità: in primo luogo, il suo notevole senso del disegno, in secondo luogo, la sua attenta capacità di osservazione degli individui e delle situazioni.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nonostante nella memoria collettiva dei parigini, sia ricordato per le sue sferzanti caricature, Daumier fu anche un pittore raffinato e avanguardista non solo quando dipinse opere che mettevano a nudo vari aspetti della realtà cittadina ma anche quando svolgeva pochi ma significativi dipinti religiosi e mitologici generalmente di piccole dimensioni, come se Daumier non volesse prestarsi mai al gigantismo dei formati di alcuni suoi colleghi accademizzanti o meno.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ammirato e perseguitato durante quasi tutta la sua vita per le sue idee politiche che esprimeva coraggiosamente attraverso le sue sferzanti caricature politiche e sociali, rimase più conosciuto per la sua opera grafica che investiva l’opinione pubblica piuttosto che per la sua pittura ma anche perché fu sempre restio ad esporla, considerandola solo un hobby praticato a tempo perso. Ma Daumier fu un artista completo e, alla metà degli anni Quaranta, incominciò a interessarsi con sempre maggiore intensità alla pittura, mentre continuava a produrre litografie come fonte di reddito per il suo sostentamento.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La Rivoluzione di febbraio del 1848 aveva portato i repubblicani al potere: il 24 febbraio Luigi Filippo aveva firmato la sua abdicazione, ma era stato costretto alla fuga a Londra con la sua famiglia e quindi a Parigi fu proclamata la “Seconda Repubblica”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Su “Place de la Bastille”, un luogo simbolo per i parigini, Charles Lagrange, membro della società segreta della “Charbonnerie”, futuro Governatore dell'”Hôtel de Ville” – corrispondente in italiano al “Palazzo di Città” o “Municipio” –, e futuro deputato al nuovo parlamento repubblicano, si sedette sul trono reale portato dal “Palais-Royal” in segno di spregio affinché esso fosse poi bruciato. Molti artisti e intellettuali erano stati solidali con il popolo che stava per imporre la “Seconda Repubblica”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ansioso di frenare la disoccupazione, il 26 febbraio il governo provvisorio repubblicano aveva istituito i "Laboratori Nazionali", fabbriche istituite a Parigi che avrebbero dovuto assorbire la manodopera disoccupata e garantire il diritto al lavoro. Alla fine di marzo il governo lanciò anche un’iniziativa attraverso la stampa con un “appello agli artisti” sotto forma di concorso per “la composizione della figura simbolica della Repubblica francese” e nello stesso tempo il concorso per una figura scolpita della Repubblica e per la medaglia commemorativa della Rivoluzione del 1848 e dell'instaurazione della Repubblica.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier partecipò a questo concorso per la raffigurazione della “Repubblica” che lo portò ad esporre per la prima volta in pubblico un suo dipinto.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 7</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2gtjCXiQRD67nPFtwSoC8qQCxXYyWYFeSj0wxb_gEe5nxCLqEsnQjtnPWjzbwmDQlA35_mc3U7SqZaHRwS36iGq5rB3abAhqdtpKB1jEOxz8RkB5JRojdTFJGEe0uAM7TuUeDr-cPVjrIBxkgJ8X3F3Vqf7hlVazhetuGNhXyCNSjqH_UYz7V5RCOsnM/s850/Fig.%207%20-%20statuetta%20di%20ratapoil%20-.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="850" data-original-width="652" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2gtjCXiQRD67nPFtwSoC8qQCxXYyWYFeSj0wxb_gEe5nxCLqEsnQjtnPWjzbwmDQlA35_mc3U7SqZaHRwS36iGq5rB3abAhqdtpKB1jEOxz8RkB5JRojdTFJGEe0uAM7TuUeDr-cPVjrIBxkgJ8X3F3Vqf7hlVazhetuGNhXyCNSjqH_UYz7V5RCOsnM/w490-h640/Fig.%207%20-%20statuetta%20di%20ratapoil%20-.jpg" width="490" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questo concorso per la rappresentazione di una figura simbolica della Repubblica dimostrava quanto i repubblicani fossero consapevoli dell'importanza della rappresentazione del potere statale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La Repubblica, astratta, impersonale e collegiale, doveva incarnarsi in una forma visibile per meglio affievolire la memoria concreta, personale e monocratica del re. L'immagine simbolica doveva imporsi fra una popolazione ancora poco repubblicana e doveva essere esplicativa e rassicurante.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">I repubblicani del 1848 – da Lamartine a Ledru-Rollin – erano preoccupati di assicurare il trionfo di un governo che potesse però far dimenticare quel precedente regime repubblicano che si era instaurato con il Terrore nel 1793 e che era ancora troppo vivo nella memoria collettiva.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il governo aveva dato completa libertà agli artisti, ma una circolare di Ledru-Rollin, ministro dell'Interno incaricato delle Belle Arti, ricordava lo spirito che la “Repubblica Fraterna” del 1848 doveva esprimere: “La vostra composizione deve riunire in una sola persona Libertà, Uguaglianza, Fraternità. […] Attenzione anche a non apparire troppo bellicosi. Si pensi soprattutto alla forza morale [del messaggio]”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier partecipò a questo concorso con la sua figura allegorica della Repubblica: arrivò undicesimo, ma non completò mai il dipinto.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In quest’opera l’artista punta sulla bandiera tricolore. La sua Repubblica, non è la Marianne, è una donna forte, dal seno possente e pesante che fu spesso percepita dai suoi contemporanei come una “Carità”. Nel suo dipinto la Repubblica svolge la stessa funzione della Madre dei “Compagnon”: nutre, accoglie, protegge ed educa i suoi figli.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Gli amici pittori di Daumier, Corot (1796-1875), Millet (1814-1875) e Theodore Rousseau (1812-1867), ne furono ammirati e lo incoraggiarono a continuare sulla strada della pittura, perché era bravo, ma dedicava troppe energie alla realizzazione delle sue litografie.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il concorso in conclusione si rivelò un fallimento.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La giuria, riunitasi il 23 ottobre, decise di non scegliere nessuna delle venti opere selezionate. Non era più il momento dell'euforia fraterna: l'insurrezione operaia e la sua repressione erano impresse nella memoria di tutti e la “Storia dell’Arte” sarebbe stata altrettanto severa: fra le opere realizzate, i posteri avrebbero ricordato solo “La République” di Daumier. Il suo bozzetto entrò nelle collezioni nazionali nel 1906 e oggi è conservato al “Museo d'Orsay”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Quanto alla Repubblica col berretto frigio, essa rimase proprietà solo dei repubblicani convinti, che andarono all'opposizione dal 1849 all’indomani dell’elezione del principe presidente Luigi Napoleone Bonaparte, prima che il berretto frigio fosse addirittura bandito dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851 e solo col ritorno della “Terza Repubblica” nel 1870 rifiorì il simbolismo repubblicano, e la Marianne tornò a distinguersi come allegoria della Repubblica e presto di tutta la Francia.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La storia di quest’opera di Daumier e on genere di questo concorso fallito è quella che forse maggiormente fa riflettere sulla rapida e confusa complessità dei cambiamenti politici, sociali e artistici che si verificarono nella Parigi di quel terribile 1848: ben presto infatti la vittoria dei repubblicani moderati alle elezioni del 23 e 24 aprile, che si svolsero per la prima volta a suffragio universale maschile, mandò in frantumi attraverso le urne le speranze di una rivoluzione sociale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Di fronte al loro fallimento economico e alla minaccia rivoluzionaria rappresentata dai 110.000 lavoratori, la maggior parte dei quali erano disoccupati, i "Laboratori Nazionali" furono sciolti il 21 giugno.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Dal 23 al 26 giugno, molti operai di Parigi erano stati gettati sul lastrico e insorsero nuovamente in una terribile battaglia di strada: su ordine del ministro della guerra, Cavaignac, presto soprannominato il "Principe del Sangue", i tumulti furono duramente repressi 4.000 operai da una parte e 1.600 guardie e soldati dall'altra furono uccisi.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La maggior parte dei pittori, dei disegnatori e degli scrittori si schierò con l'ordine costituito.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Non Daumier.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Tra il marzo del 1850 e il dicembre del 1851 pubblicò su “Le Charivari” una trentina di litografie dove era raffigurato un altro personaggio che aveva inventato, quello di “Ratapoil” in italiano “ratto spellato” che rappresenta un esempio di "losco agente, promotore instancabile della propaganda napoleonica", di cui realizzò anche una statuetta di bronzo oggi conservata al “Museo d’Orsay” per fare satira sui poliziotti senza scrupoli di Luigi Napoleone Bonaparte.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Che cosa aveva scatenato questa volta questa campagna satirica?</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Quando il 10 dicembre 1848, a capo di una coalizione moderata, Luigi Napoleone Bonaparte era stato eletto alla presidenza della Repubblica ebbe vita una corrente militante di vignettisti antibonapartisti della quale Daumier fu parte fondamentale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il principe presidente era stato eletto per quattro anni “non rinnovabili”, ma nel 1850 organizzò un'intensa campagna d'opinione pubblica che sollecitava una revisione della Costituzione per autorizzare il rinnovo del suo mandato. In questo modo prendeva forma il pericolo di una dittatura e di una restaurazione del potere imperiale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier, repubblicano radicale convinto, si opponeva con la forza della sua matita ai violenti metodi di proselitismo adottati da alcuni agenti elettorali schierati in favore di Luigi Napoleone Bonaparte.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il principe presidente aveva organizzato una campagna di opinione permanente in suo favore nel cui contesto, aveva creato un’organizzazione denominata “Società del 10 dicembre” dalla data della sua vittoria alle elezioni presidenziali.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sebbene fosse piuttosto popolare, questo gruppo di suoi simpatizzanti, sostenitori del militarismo e in particolare del cesarismo napoleonico, acquisì rapidamente la reputazione di essere una cricca violenta e intimidatoria al soldo del principe-presidente: quando alla “Gare de l'Est” di Parigi scoppiò una violenta rissa tra alcuni suoi membri e alcuni repubblicani, artisti come Daumier o intellettuali come Marx presero di mira la “Società del 10 dicembre”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">“Le Charivari” pubblicò allora una serie di litografie di Daumier raffiguranti “Ratapoil” e il suo degno compare “Casmajou”, armati di bastoni, che personificavano caricaturalmente il tipico agente di propaganda al soldo del potere.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questo è un esempio di una delle vignette.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig.8</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKleRLEq1xJC_1j1zkcnndH3_H75aTAlJA4zWVGSon-aqXsNDtxngo6tPa2HF4GotgHA5BL-4tG3yUpx7DWEmbIkgfQDcfNCi4PsP9jLEKSF6LsIwiWKFBL6Vng0vEb2GVWmmEr8AaYRX_P-Z9H9NmusjtTNyfReO0FHjIZ05NWRuNyihgSi2L2nuHzJg/s800/Fig.%208%20-%20Ratapoil_et_Casmajou_ayant_l'ing%C3%A9nieuse_id%C3%A9e_d'aller_chercher_le_c%C3%A9l%C3%A8bre_Prussien_Royomir.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="597" data-original-width="800" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKleRLEq1xJC_1j1zkcnndH3_H75aTAlJA4zWVGSon-aqXsNDtxngo6tPa2HF4GotgHA5BL-4tG3yUpx7DWEmbIkgfQDcfNCi4PsP9jLEKSF6LsIwiWKFBL6Vng0vEb2GVWmmEr8AaYRX_P-Z9H9NmusjtTNyfReO0FHjIZ05NWRuNyihgSi2L2nuHzJg/w640-h478/Fig.%208%20-%20Ratapoil_et_Casmajou_ayant_l'ing%C3%A9nieuse_id%C3%A9e_d'aller_chercher_le_c%C3%A9l%C3%A8bre_Prussien_Royomir.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel 1850 Daumier non fu però l'unico illustratore ad aver firmato caricature raffiguranti questo vile duo: altri vignettisti si unirono a questa campagna denigratoria e, quando la reputazione della famigerata società si deteriorò a causa non solo delle bastonature ma anche delle caricature, la sua fine sembrò inevitabile: l’astuto e cinico Luigi Napoleone Bonaparte la sciolse accortamente nel novembre 1850 per privare i suoi avversari politici di nuovi argomenti di protesta contro il suo governo che assomigliava sempre più a un regime.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Per comprendere meglio il personaggio rappresentato in quella trentina di caricature, Daumier aveva modellato una sovversiva statuetta che, dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851 con cui Luigi Napoleone Bonaparte si proclamò imperatore col nome di Napoleone III, fu accuratamente nascosta per sfuggire all'ira della censura, ma la statuetta riapparve nel 1878 e, per la prima volta, fu esposta al pubblico durante la storica mostra delle opere di Daumier alla “Galleria Durand-Ruel”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Osserviamola.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 9</span></span></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.musee-orsay.fr/it/opere/ratapoil-15063"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"></span></a><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.musee-orsay.fr/it/opere/ratapoil-15063"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRXw8fLAV1EUgVtGUopzDLhyphenhyphen0mDhyphenhyphendBsu0ijRGfpDllW5_0ICFzdIQBPAjFTyzA1hVWqnK9WUz1xRF1Qk7Z1p_qrPHhZHU-R3WPH206uEeJhzCD0dy6dFtP8NF4oOmNCvJS8uhZo-8kCa-SiEha7EvL5BljyCeE1NITP_YXXkv89xJGEPYQqTv74mAWVA/s850/fig.%209%20ratapoil.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="850" data-original-width="652" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRXw8fLAV1EUgVtGUopzDLhyphenhyphen0mDhyphenhyphendBsu0ijRGfpDllW5_0ICFzdIQBPAjFTyzA1hVWqnK9WUz1xRF1Qk7Z1p_qrPHhZHU-R3WPH206uEeJhzCD0dy6dFtP8NF4oOmNCvJS8uhZo-8kCa-SiEha7EvL5BljyCeE1NITP_YXXkv89xJGEPYQqTv74mAWVA/w490-h640/fig.%209%20ratapoil.jpg" width="490" /></a></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ratapoil è caratterizzato da un profilo lungo ed emaciato, con un’inarcatura insolente della schiena in avanti e con un atteggiamento provocatorio. L’abbigliamento fa di lui un personaggio tragicomico: una redingote dalle pieghe sgualcite, un cilindro sciupato che gli casca sull'occhio sinistro, un lungo bastone che fungerebbe da appoggio, ma la cui presenza è intimidatoria.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sebbene i lineamenti di Ratapoil non siano una caricatura esplicita del principe-presidente, i baffi e la barba in stile “imperiale” sono il simbolo immediatamente riconoscibile del nemico ed evocano in modo irriverente il futuro imperatore.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier modellò la statuetta con grande libertà di esecuzione, con un realismo così esasperato, da precorrere l’espressionismo: i volumi esasperati, sbilanciati, fragili e forti al tempo stesso, conferiscono all'opera una violenza sovversiva all'altezza della sfida politica che l’artista stava lanciando.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Alla grandezza eccessiva delle calzature, dei pantaloni e della redingote, si aggiunge, l'espressione satanica del viso. Con questa deleteria statuetta, Daumier stilava un'analisi feroce e pessimista delle abiezioni politiche che rappresentava.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier concepì questo personaggio come un'arma politica per denunciare, anche se inutilmente, la propaganda populista del nuovo Bonaparte e la minaccia di una restaurazione imperiale, ma imperterrito continuò a fare satira politica sulle vicende della Seconda Repubblica e poi del Secondo Impero, di cui simboleggiò vizi e difetti anche con il personaggio di “Ratapoil”, in cui elementi presi dalla realtà diventavano emblema di miseria.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier è stato un grande pittore anche se ancora oggi la sua fama di pittore continua ad essere opacizzata da quella di caricaturista. In ogni caso non può esistere distacco fra la sua attività di caricaturista e quella di pittore: nella sua pittura non si ritrova solo la maggior parte dei temi affrontati nei disegni, la borghesia, le scene di vita popolare, sugli avvocati, sui lettori e sugli amanti delle stampe, ma i suoi dipinti hanno anche la morbidezza, la leggerezza e l'austerità di volumi che non sorprendono in un caricaturista e che impediscono ogni divagazione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il realismo consiste nel porre davanti allo spettatore l’immagine del mondo reale con l’immediatezza e l’evidenza che la realtà stessa produce e Daumier è profondamente realista, ma la morbidezza delle linee, lo sbiadimento dei volumi grazie al colore spesso acquoso, la sensazione morbida della superficie stimolano la realtà all'immaginazione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nella sua pittura il narratore di politica e di vita popolare a un certo punto smette di raccontare, la storia rimane sospesa, ma non come in un'istantanea. Daumier infatti non realizza immagini sul tema: non si tratta mai di individui precisi che hanno agito e che agiscono in un momento preciso e di cui ci descriverebbe l'azione, sono piuttosto figure che diventano personaggi che non rappresentano un solo individuo e un solo evento, ma sono l’espressione di tutti coloro con cui essi condividono lo stesso destino pittorico, ma anche sociale e politico.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Lo spirito della Repubblica è sempre al centro anche nella sua pittura. I suoi avvocati ambiziosi, teatrali e sprezzanti, i suoi politici sazi e ottusi ci parlano ancora perché non sono individui, ma sono tipi umani.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Come in Balzac? Sicuramente, ma con maggiore ironia.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In diverse occasioni la censura impedì a Daumier di continuare la sua azione di demolizione politica e in questi periodi per i giornali illustrati dovette produrre un altro tipo di immagini in cui rivelava la sua tenerezza per gli offesi e per gli umiliati, come accade nel suoi i suoi dipinti di viaggiatori sui trasporti pubblici: schiacciati sui banchi di una carrozza di terza classe o nelle file dei rivoltosi che corrono verso il nemico politico, essi sono sempre il volto dell'attesa dell'essere e della dignità.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier rimase un pittore incompiuto, a causa della sua generosità come illustratore e come attivista. Incompiuto perché non aveva sempre il tempo di realizzare appieno le sue opere di pittura, incompiuto perché lo vediamo solo attraverso i disegni che lo hanno reso famoso.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">I primi dipinti allegorici che realizzò e sono significativamente tratti dalle favole di La Fontaine o dalle commedie di Moliere, due grandi fustigatori dei cattivi costumi, ma la maggior parte della sua pittura fu costituita da scene di vita popolare come l'esemplare “Sommossa” un dipinto realizzato probabilmente nel 1848 e appartenente oggi alla “Phillips Collection” di Washington.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 9</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVBj3qSFaixer12j5HwF-mYzfG3rB5FOrvLFJR_RqDlP5jLobPu-U8fAIo4T3nrZ2r-gb5Ii56Y7BHx7wrB2mmQXMcixW9dXX2XJUyTvkMO3M0fO0529ofdU6YVzhFKdUUEH1OYH3HUUqaADG1s0qpe1cnAxgVOUO70jqXJCMEtkjZbag9eCC9twpf820/s1044/Fig.%2010%20-%20Honore_Daumier_The_Uprising.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="799" data-original-width="1044" height="490" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVBj3qSFaixer12j5HwF-mYzfG3rB5FOrvLFJR_RqDlP5jLobPu-U8fAIo4T3nrZ2r-gb5Ii56Y7BHx7wrB2mmQXMcixW9dXX2XJUyTvkMO3M0fO0529ofdU6YVzhFKdUUEH1OYH3HUUqaADG1s0qpe1cnAxgVOUO70jqXJCMEtkjZbag9eCC9twpf820/w640-h490/Fig.%2010%20-%20Honore_Daumier_The_Uprising.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Per il collezionista e critico d’arte “Duncan Phillips”, che comprò sul mercato d’arte il dipinto, “La Rivolta”, a lungo dimenticato, era il gioiello delle opere di Daumier.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Phillips colse al volo l'opportunità di comprarlo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La sua ammirazione lo portò a parlare di quest’opera in termini superlativi e in più di un’occasione la definì “il quadro più grande della sua collezione”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">“La Rivolta” fu probabilmente ispirata proprio dalla rivoluzione del 1848.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In questo dipinto Daumier ha voluto rappresentare la privazione dei poveri parigini nel 1848 ed esprimere il fervore della rivoluzione causato dal malgoverno di Luigi Filippo attraverso la rielaborazione degli elementi compositivi e pittorici.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier dipinse realisticamente la cruda emozione del personaggio centrale che la tela inquadra: un uomo che, visti i suoi vestiti, è sicuramente un cittadino in camicia bianca che alza il pugno destro in aria mentre emette un grido.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La presenza dietro di lui di un uomo col cappello a cilindro, si tratta quindi di un borghese, e di donne alla sua destra, lascia pensare che si tratti di una rivolta popolare nel senso più ampio dei ceti: tutto il gruppo di persone intorno a lui sembra impegnato nello stesso atto di rivolta collettiva, tutti i volti visibili che sono accanto a lui, sembrano guardare nella sua direzione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La scena è molto probabilmente quella della rivolta popolare di Parigi, non quella di febbraio, che costrinse all'abdicazione del re Luigi Filippo e determinò l'istituzione della breve e sfortunata Seconda Repubblica, ma quella di giugno.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier era stato testimone dei violenti scontri di Parigi.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nell’impaginazione l’artista comprime la folla introducendo un muro verticale a destra e le ombre scure a sinistra, ammassando le figure e aumentando così la qualità esplosiva della scena e trasformandola in un "simbolo di tutta l'indignazione umana repressa".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questa visione, permeata dalle tonalità del marrone, ottiene la forte impressione di un’energia dinamica repressa attraverso il gesto deciso del protagonista, il tratto duro di tutti i soggetti umani (con forti bordi neri) e la presenza di una lunga e indistinta successione degli edifici urbani a sinistra, che – insieme all’edificio incombe in alto a destra – rafforzano particolarmente il senso di chiusura degli esseri umani.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'opera raffigura la povertà e la disperazione vissute dal popolo parigino durante la rivoluzione del 1848. Lo stile di Daumier nel creare “La Rivolta” fu certamente influenzato da artisti romantici come Delacroix e Gericault ed è considerata una delle sue opere più rappresentative.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Negli anni Cinquanta Daumier dipinse spesso clown e acrobati nei ad esempio, “Saltimbanque”, del 1855\60 al Louvre </span><span style="font-family: verdana;">e scene teatrali come “Crispin e Scapin”, del 1858\60 sempre al Louvre, il cui soggetto è la commedia dell’arte francese in cui il maestro riesce a rendere il tono dell’opera di Molière attraverso una sola immagine molto eloquente.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 11</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA8XVkxJW-TG3sLyh_gAni3YNpNgaf0SkffB0K5sDSQOEV9W_Ffe3m9vwEMWX61l-mJOoaWVgoexjlcxwj0B0-CF1wszkzKShejPnANx9fLFfvx1B6gFyw2cjZp0hMYtvqhX_IhpHd8ryjgeudkA8zaNBEE_rzuOlPiCFwmcfWlZ60Nh9699dXVvTLD50/s3164/Fig.%2011%20-%20Parade_de_Saltimbanques)_by_Honor%C3%A9_Daumier.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2388" data-original-width="3164" height="484" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA8XVkxJW-TG3sLyh_gAni3YNpNgaf0SkffB0K5sDSQOEV9W_Ffe3m9vwEMWX61l-mJOoaWVgoexjlcxwj0B0-CF1wszkzKShejPnANx9fLFfvx1B6gFyw2cjZp0hMYtvqhX_IhpHd8ryjgeudkA8zaNBEE_rzuOlPiCFwmcfWlZ60Nh9699dXVvTLD50/w640-h484/Fig.%2011%20-%20Parade_de_Saltimbanques)_by_Honor%C3%A9_Daumier.jpg" width="640" /></span></a></div><div><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 12</span></span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEzBp1Qo_tGWEKtsM5i4etI4l-rwUgzd4i1MyUAsKk_QcaUr07tPhAuSpa_iwRdb8DvjtdFW6vvnLmOvh42cLJJH8ZQCdT6sYH16F6Jiq6cQ173ixTAqaU3nbmYX3ZPU3k6Y9_Kvt_YLOW8w9K8Dw_MxcNesJlOQNWvYKmuSrcZRowZRVWunbplAEeBaI/s1126/12-Honor%C3%A9%20Daumier%20(1).webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1126" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEzBp1Qo_tGWEKtsM5i4etI4l-rwUgzd4i1MyUAsKk_QcaUr07tPhAuSpa_iwRdb8DvjtdFW6vvnLmOvh42cLJJH8ZQCdT6sYH16F6Jiq6cQ173ixTAqaU3nbmYX3ZPU3k6Y9_Kvt_YLOW8w9K8Dw_MxcNesJlOQNWvYKmuSrcZRowZRVWunbplAEeBaI/w640-h454/12-Honor%C3%A9%20Daumier%20(1).webp" width="640" /></a></div>Degli anni Cinquanta è ancora un “Ecce Homo”, una delle immagini più inquietanti di Gesù prodotte nella Francia dell’Ottocento oltre che di una straordinaria modernità.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKEq9ttMPgn1CyBfDMnZgkPfVpswey3jqVNtVImBOSmX_6aZV-fG3KG-LOb4uD_I9395aqYbK6RAFtc0Tdf-RdtwqZdoQidQ_8ILnYOGRWFxAwJNfTcoq1-Fhky_SJkt1QzvftLQs2KSqUcerNA6V8-RuDOItDSjOVhmsd8tfXeuu80YH_Zc4avw4izSc/s2602/fig%2014%20Honor%C3%A9_Daumier%2014.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2602" data-original-width="2024" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKEq9ttMPgn1CyBfDMnZgkPfVpswey3jqVNtVImBOSmX_6aZV-fG3KG-LOb4uD_I9395aqYbK6RAFtc0Tdf-RdtwqZdoQidQ_8ILnYOGRWFxAwJNfTcoq1-Fhky_SJkt1QzvftLQs2KSqUcerNA6V8-RuDOItDSjOVhmsd8tfXeuu80YH_Zc4avw4izSc/w498-h640/fig%2014%20Honor%C3%A9_Daumier%2014.jpg" width="498" /></span></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Parte del successo di questo dipinto, come esempio di realismo in una narrazione sacra, è il coinvolgimento diretto che l'opera d'arte stabilisce tra il soggetto e lo spettatore. Ma non solo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Rara, ma non unica opera di Daumier che raffiguri un soggetto religioso, “Ecce Homo” era un soggetto insolito per l'artista almeno apparentemente.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Anche questo soggetto, ancorché religioso, evidenzia la corruzione di un sistema giudiziario e il processo a Gesù si inserisce iconograficamente in un tema molto ricorrente nell'arte di Daumier.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La folla riunita che accusa Gesù ricorda episodi contemporanei di disordini politici spesso evocati nell'arte realista dell’Ottocento.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Probabilmente iniziato su commissione di una chiesa, “Ecce Homo” rimase incompiuto come molti altri dipinti di Daumier. Raffigurando la scena del racconto nei toni del marrone, che vanno da un cielo giallastro pallido a profonde ombre nere, quest’opera sembra la pittura di base di un lavoro solo incominciato che deve essere completato. Eppure, dal nostro punto di vista di osservatori del ventunesimo secolo, lo stato incompleto del dipinto gli conferisce un senso di drammaticità e di immediatezza, come se l'evento si stesse consumando proprio davanti a noi.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Indossando una corona di spine, Gesù è mostrato davanti alla folla come una figura da scegliere o da rifiutare, ma in ogni caso da schernire: come simbolo contorto della sua sovranità, quella corona di spine identifica questo momento come quello della derisione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Posizionato su una loggia, al di sopra del tumulto visivo della folla, Gesù è immobile e risoluto, collocato visivamente come se fosse sospeso fra cielo e terra: la sua figura calma, stagliata contro una luce sacra, ha un'immobilità eroica.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Quest’uomo è contemporaneamente usato come sacrificio umano ed esaltato come salvatore divino.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La composizione, con grandi figure in primo piano poste direttamente contro il piano dell'immagine, sbatte lo spettatore tra la folla bieca e inferocita, lo coinvolge direttamente nell'evento e lo trasforma da spettatore passivo di questo spettacolo a testimone impegnato con qualcosa in gioco nel dramma di questa folla che poche ore prima lo aveva acclamato col canto di “Osanna” e poche ore dopo, sobillata da agenti del gran sinedrio, pagata o minacciata col bastone, si sgola al grido “Crucifige”, non è altro che l’esempio della manovrabilità della massa, che non agisce, ma reagisce, che non delibera, diremmo oggi, ma è strumento cieco di politici imbonitori.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">E Gesù, il sovversivo, il ribelle a favore del popolo è tradito dal popolo stesso.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Anche questo dipinto religioso ha in sé una potentissima carica politica.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L’artista nutriva un evidente risentimento politico e morale verso le classi superiori che identifica con la élite conniventi con il potere e questa è la motivazione principale della sua pittura che si era già ampiamente riflessa nelle sue acute caricature.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sotto la pressione della polizia del Secondo Impero, Daumier nel 1860 fu licenziato da “Le Charivari”. La disoccupazione lo costrinse a cercare di guadagnarsi da vivere con i suoi acquerelli di paesaggi urbani naturalmente andati perduti.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Questo incidente però gli consentì di dedicarsi più costantemente alla pittura, prendendo in prestito i suoi temi dalle scene di vita quotidiana di strada o di stazione ferroviaria e dall'osservazione dei più umili, nacquero così le serie di dipinti come il “Vagone di terza classe”, per esempio quello bellissimo della “Galleria Nazionale del Canada” a Ottawa, in cui la stessa natura scultorea del disegnato si può vedere anche nella serie delle “Lavandaie” del 1863-64 del Museo d’Orsay e nel “Salvataggio” del 1870 alla “Kunsthalle” di Amburgo, nonché la serie degli “Emigranti”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRcLli4lfI0acg3PTKDs-cB7OHT9wmb-V8-8Wd7hmxkYM2Dd1xJ9IqVmrDRYViIgUxRKsH3qctidsTgcA80syOUY72c0p6tHFso2giJiFfw3kVk6BRqHKhiP_aCvgSZxjqWZ3jC0s5CWJnLxc_di_DUUGphwc_VnP74Hpry0cLlVe7ilCalXYyqWA3QN4/s1280/Fig.%2013%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="939" data-original-width="1280" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRcLli4lfI0acg3PTKDs-cB7OHT9wmb-V8-8Wd7hmxkYM2Dd1xJ9IqVmrDRYViIgUxRKsH3qctidsTgcA80syOUY72c0p6tHFso2giJiFfw3kVk6BRqHKhiP_aCvgSZxjqWZ3jC0s5CWJnLxc_di_DUUGphwc_VnP74Hpry0cLlVe7ilCalXYyqWA3QN4/w640-h470/Fig.%2013%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" width="640" /></a></div></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">fig. 14</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyzXYghwDGealt9ljOCL7gilCKfYehsgcFi7fGnRzUnt5DnY9nkQWwuHi_xp2T1ARp3z2A5rAoRWL9zVvR7_4aYWb1Y5l406B0s_FpfMkcp0vujwa16lsYf2EH1ewgbfDrTjuDmh4uD8tXfpSP414CXZFXZRNRX-cWLDyFvJ2zRYjS4b3xotrXTOtXzYU/s800/Fig%2014%20Honor%C3%A9_Daumier_(1808-1879)_(attributed_to)_-_The_Fugitives_-_35.218_-_Burrell_Collection.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="378" data-original-width="800" height="302" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyzXYghwDGealt9ljOCL7gilCKfYehsgcFi7fGnRzUnt5DnY9nkQWwuHi_xp2T1ARp3z2A5rAoRWL9zVvR7_4aYWb1Y5l406B0s_FpfMkcp0vujwa16lsYf2EH1ewgbfDrTjuDmh4uD8tXfpSP414CXZFXZRNRX-cWLDyFvJ2zRYjS4b3xotrXTOtXzYU/w640-h302/Fig%2014%20Honor%C3%A9_Daumier_(1808-1879)_(attributed_to)_-_The_Fugitives_-_35.218_-_Burrell_Collection.jpg" width="640" /></span></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 15</span></span></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/Daumier_-_Die_Rettung%2C_um_1870.jpg"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"></span></a><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/Daumier_-_Die_Rettung%2C_um_1870.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNS8NV9FTkvPcUZRMYlEfCmDGSlO2aUkd9IqekjOLkukmU7Udk54OCepWC9fmklz3zm2ckttS65tqU4nH5NRdoOio74qSFQ7bb00pxLHZo_JWcwzwoirHE5JD0daeKLiYbUmr2Z9i4I8jTelqXALoX1ehKbeUtWwSRQQ9MCdSAUBLEdQ_5BoXY0jAPSBQ/s2000/Fig.%2015%20-%20Daumier_-_Die_Rettung,_um_1870.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="1632" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNS8NV9FTkvPcUZRMYlEfCmDGSlO2aUkd9IqekjOLkukmU7Udk54OCepWC9fmklz3zm2ckttS65tqU4nH5NRdoOio74qSFQ7bb00pxLHZo_JWcwzwoirHE5JD0daeKLiYbUmr2Z9i4I8jTelqXALoX1ehKbeUtWwSRQQ9MCdSAUBLEdQ_5BoXY0jAPSBQ/w522-h640/Fig.%2015%20-%20Daumier_-_Die_Rettung,_um_1870.jpg" width="522" /></a></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Di Daumier esistono quattro tele e un rilievo, di piccolo formato, realizzati tra il 1850 e il 1870 che, lasciati senza titolo si possono intitolare “Gli emigranti” o “I fuggitivi” nelle cui diverse versioni troviamo il simbolo di una condizione umana più generale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Se l'artista, sensibile alla rappresentazione dei drammi e dei conflitti del secolo, non ebbe diritto ai benefici delle commissioni pubbliche o private, sfuggì anche alle menzogne ottimistiche delle visioni ufficiali e all'autocompiacimento delle "élite" con la loro fede incondizionata nella scienza.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In queste opere che sembrano o che sono realmente appena abbozzate, Daumier cattura il dramma dell’emigrazione come movimento collettivo faticoso e incerto. Il suo stile e i suoi colori scoprono e si uniscono al peso storico delle immense peregrinazioni alle quali misteriosamente esse alludono. Queste opere sono una rappresentazione emblematica della partenza e di un volontario esilio.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ma da dove partono e per andare dove?</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Non si sa.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Queste opere si riferiscono a rappresentazioni simboliche del tema dell'esilio o del vagabondaggio nato dalla miseria.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Niente si capisce sulle cause della partenza se non l’impossibilità della permanenza: la disonestà degli oppressori, ma anche la miseria. Ciò che rafforza l'impressione della difficoltà del momento si riflette nell'atteggiamento e nella postura dei personaggi: essa è tracciata nei corpi piegati, appesantiti e quasi schiacciati sotto il peso di ciò che trasportano. È tutto ciò che hanno.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La presenza di questo popolo anonimo e senza volto è tanto più forte in quanto la realizzazione dell'opera si basa su un'economia di mezzi, sottolineata dal disegno e dall'incompletezza che è parte della tragica spogliazione della scena.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Ancora una volta in queste opere Daumier ha dimostrato una compassione, verso i più disagiati e ha formato il suo corteo di vinti di questa umanità condannata a vagare senza fine nel deserto sottostante, sotto un cielo cieco, e che va, non sappiamo più dove, e neanche più perché. Alla fine, però, è difficile collegare quest'opera a una corrente artistica precisa: è “romantica” nella sua rivolta generosa ed espressiva, è “realista” nella sua visione premonitrice dell'eroicizzazione degli umili, ed è tuttavia già “espressionista” nella sua straripante carica emotiva, in cui la pittura di Daumier lascia il campo aperto al potere dell'immaginazione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">I dipinti di Daumier non ebbero mai il grado di finitura che i suoi contemporanei si aspettavano, di qui il fiasco della mostra della 1878, ma hanno una qualità evocativa derivante da quella mancanza di rilievo che oggi conferisce loro un fascino speciale. Nel tratto Daumier utilizza una linea provvisoria e spezzata, in modo che i contorni siano definiti quasi impressionisticamente dalla luce circostante. Oggi, per noi venuti dopo le “Avanguardie” del Novecento, i suoi dipinti sono tenuti invece in grande considerazione – soprattutto le sue scene di genere per la sua affinità con l'opera di Gustave Courbet (1819-77) e di Jean-François Millet tanto che i critici lo considerano uno dei fondatori del realismo francese dell’Ottocento altra “cresta sottilissima” immagine che Wölfflin per un altro luogo e un altro tempo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Osserviamo ora “La lavandaia”, un olio su tavola di 49 × 33,5 cm, attualmente conservato ed esposto al “Museo d'Orsay”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">fig.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioYxB-p-WqyzIKiJgq9H97PTwehqgNpCC0E2qvswb3ZwpvbW_6QX9d5OeNx3tkA2IcJcs1R4kOUM6ATYJ2cJeita6kO_GJIoaXzB7U1zMK_GrtZmU5VqetGz6IIarjXlG4OSCKLgdZFwYMkrFCfbN_tLpFW_OBBQ6in4YwAzoQEBbFak8durrifhGsSXo/s725/Fig.%2016%20-%20Honorea-daumier-la-blanchisseuse-1863.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="725" data-original-width="481" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioYxB-p-WqyzIKiJgq9H97PTwehqgNpCC0E2qvswb3ZwpvbW_6QX9d5OeNx3tkA2IcJcs1R4kOUM6ATYJ2cJeita6kO_GJIoaXzB7U1zMK_GrtZmU5VqetGz6IIarjXlG4OSCKLgdZFwYMkrFCfbN_tLpFW_OBBQ6in4YwAzoQEBbFak8durrifhGsSXo/w424-h640/Fig.%2016%20-%20Honorea-daumier-la-blanchisseuse-1863.jpg" width="424" /></a></div></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In questo dipinto Daumier evoca una scena quotidiana della vita parigina dell'epoca. Daumier si ispirava alle classi lavoratrici delle grandi città durante il Secondo Impero.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Della lavandaia, esistono tre versioni simili, la prima delle quali fu presentata senza successo al Salon del </span><span style="font-family: verdana;">1861.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7GqpwOl4LwgRrm-0GZpUhKVuBd71o5ZuCwfTWZYB5Il7EHBMUBtI73lgCNbh6TwRcLDHRbJ1KXstDjqqKyk15d8fJkUgmrzHt9O79qLKRBaOGeLnSByWsGQlNej2FP1e2GvgaP1S-dqNnf2ZJE-Zd_g1ngdOYwBNoeTkxyVQ02c50AQcueAaxWh5XgWw/s3200/fig.%2017%20Daumier_-_La_blanchisseuse,_circa_1855-1860.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="3200" data-original-width="2195" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7GqpwOl4LwgRrm-0GZpUhKVuBd71o5ZuCwfTWZYB5Il7EHBMUBtI73lgCNbh6TwRcLDHRbJ1KXstDjqqKyk15d8fJkUgmrzHt9O79qLKRBaOGeLnSByWsGQlNej2FP1e2GvgaP1S-dqNnf2ZJE-Zd_g1ngdOYwBNoeTkxyVQ02c50AQcueAaxWh5XgWw/w440-h640/fig.%2017%20Daumier_-_La_blanchisseuse,_circa_1855-1860.jpg" width="440" /></span></a></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sulla stessa scia di Millet che, rinunciando al folclore, osservava con un'ottica nuova il mondo contadino della metà dell’Ottocento, Daumier nella “Lavandaia” effettua un'analisi parallela a quella di Millet ambientandola, però, in un contesto prettamente urbano come accade per esempio anche in “Operai sulla strada”, un olio su tavoletta del 1838–40 del “Museo Nazionale” di Cardiff.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig 18</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6tlfxFBeaf2VqqzF6QYknz9hC4BT0qngSBgQfEUBQWMy_8yg1mpfrPmK6Ff_RRnROwuAeYoVV0eaA3QSFD-jBZwSQyk2EGIahz3hPpoG3sOGQYym3VFS0ZYbzcvcNTnfXvvkFmjMkLRy5CKSHlKxzhlWowjOpWqtEXVsn0VvAS7Jz4RKnRZ8ZiqD-wPU/s1200/fig.%2018%20-%20Daumier_-_Workmen_on_the_Street,_1838%E2%80%931840.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="861" data-original-width="1200" height="460" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6tlfxFBeaf2VqqzF6QYknz9hC4BT0qngSBgQfEUBQWMy_8yg1mpfrPmK6Ff_RRnROwuAeYoVV0eaA3QSFD-jBZwSQyk2EGIahz3hPpoG3sOGQYym3VFS0ZYbzcvcNTnfXvvkFmjMkLRy5CKSHlKxzhlWowjOpWqtEXVsn0VvAS7Jz4RKnRZ8ZiqD-wPU/w640-h460/fig.%2018%20-%20Daumier_-_Workmen_on_the_Street,_1838%E2%80%931840.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Liberata dall'aspetto ludico e cortese che invece caratterizzava le lavandaie settecentesche ritratte da “François Boucher”, “Jean-Hònore Fragonard” o da “Hubert Robert”, “La Lavandaia” di Daumier rivela invece tutta la sua disagiata condizione sociale che, il duro e ripetitivo lavoro rende ancor più ingrata.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig 19</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqv9P1nVDjeLJQvbZsHxlgvChJ9vYX5EjV6Ct-B79KJ1VY0goBm5LxalZJRR1mCuYjKtrbCq4V7yY4tJd8B80UnjSSxI0Z_MM5e4ksmwVE7Ba4OApc-PWG565Ut5BWPHvqBa_uh6sbDT8hblJ08UsLb7eEYOwGcDRlCCNfq9zcLaEkArpjebAZjZ5H14M/s1024/fig%2019%20-%20Franois_Boucher_-_Washerwomen_1768_-_(MeisterDrucke-379665).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1003" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqv9P1nVDjeLJQvbZsHxlgvChJ9vYX5EjV6Ct-B79KJ1VY0goBm5LxalZJRR1mCuYjKtrbCq4V7yY4tJd8B80UnjSSxI0Z_MM5e4ksmwVE7Ba4OApc-PWG565Ut5BWPHvqBa_uh6sbDT8hblJ08UsLb7eEYOwGcDRlCCNfq9zcLaEkArpjebAZjZ5H14M/w626-h640/fig%2019%20-%20Franois_Boucher_-_Washerwomen_1768_-_(MeisterDrucke-379665).jpg" width="626" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 20</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsuwKcGKpWVtlCMiHIScExqxoy25n2BduP0hwEm9LKSk3DAVar_g8lAD9ehh1vXNPSLb-Co1mPeIHAH-mYFOkUNhq8ubBNQtooY6ai7PJ_XIWKF4VAV55zZs4hdyAcq1XajB_w_km1pKrOyWA9C0Z2CddssdsVkXfiIiO-6GQRIWz6_2IO1kB2gT8Ocok/s4952/fig.%2020.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="3659" data-original-width="4952" height="472" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsuwKcGKpWVtlCMiHIScExqxoy25n2BduP0hwEm9LKSk3DAVar_g8lAD9ehh1vXNPSLb-Co1mPeIHAH-mYFOkUNhq8ubBNQtooY6ai7PJ_XIWKF4VAV55zZs4hdyAcq1XajB_w_km1pKrOyWA9C0Z2CddssdsVkXfiIiO-6GQRIWz6_2IO1kB2gT8Ocok/w640-h472/fig.%2020.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">fig. 21</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieHPSbquRWU6D1YncVSAaiM44pv-mLIuCPRBegyfstTi1U7ai_HxetF9rb3Wne9olms-LkGC25yg9KZ7dzSwJ4dn_VXJ0SwGr8c-DOsfnlEce4uizHX_iroCe8dv8iJLhM8prXoacFl8Y1PvS_Z0QXPvz8lW-KImd7rRP9MEy5Rz3MF8AkI3vVuyN2tCo/s1024/fig.%2021%20-%20Hubert%20Robert%20-%20The%20Washerwomen%20%20-%20(MeisterDrucke-57075).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="753" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieHPSbquRWU6D1YncVSAaiM44pv-mLIuCPRBegyfstTi1U7ai_HxetF9rb3Wne9olms-LkGC25yg9KZ7dzSwJ4dn_VXJ0SwGr8c-DOsfnlEce4uizHX_iroCe8dv8iJLhM8prXoacFl8Y1PvS_Z0QXPvz8lW-KImd7rRP9MEy5Rz3MF8AkI3vVuyN2tCo/w470-h640/fig.%2021%20-%20Hubert%20Robert%20-%20The%20Washerwomen%20%20-%20(MeisterDrucke-57075).jpg" width="470" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Elemento importante dell'economia borghese parigina, la lavanderia dei panni sporchi dava lavoro a un gran numero di donne comuni: pare che un quarto della popolazione femminile di Parigi svolgesse questo lavoro, ma era un lavoro massacrante che alla lunga deformava i corpi di queste donne. Occorre inoltre ricordare che nella gerarchia della servitù, perché anche in quella ce n’era una, le lavandaie occupavano il gradino più basso e questo è accaduto fino all’avvento diffuso delle lavatrici.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In questo dipinto la lavandaia non è oggetto di alcuna idealizzazione.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'attenzione, rivolta alle due figure umane più che alla scena, in Daumier mira a spiegare l'importanza che un lavoro di questo tipo esercitava sulle anime e sui corpi. Una rassegnazione mista a tenerezza traspare nella madre che aiuta la figlioletta a salire i gradini troppo alti per lei. La bimba, che stringe tra le manine una schiumarola, sembra già destinata a perpetuare il lavoro della madre.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Sullo sfondo, la composizione è chiusa dai caseggiati di un quartiere parigino, contenitore luminoso e, indubbiamente, a lungo analizzato e studiato dall'artista, ma la cui fattura, rimasta incompiuta, conferisce alla scena una dimensione più che altro simbolica.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier viveva sul “Quai d'Anjou” sull'Île Saint-Louis nel mezzo della Senna, e aveva spesso modo di osservare gli atteggiamenti delle lavandaie di ritorno dai lavatoi sul fiume, mentre salivano faticosamente i gradini di pietra, piegate sotto il peso della loro attività di lavaggio e dei panni che dovevano consegnare puliti come si vede in “Le lavandaie del Quai d'Anjou” un olio su tavola del 1850-52 in collezione privata.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig 22.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCGz5eqMMB1d7uFO0JsNla3BxZR4gpOXjq8r1ZqfEQF3WiuTrp_SBAurB8xSI1tIJJ3D-k1RQ3G03m20tSrcWC1T5gs9qWq4bx_QFwT6XJBOerR1tfAcGjrk1XUZzlsRpF3z7FdSU6bB91DcqlS9Sib9Ko_Lu6cJWtMW2QG286lhwR46zBFsPjBN7mXFQ/s3200/fig.%2022%20-%20Les_laveuses_du_quai_d'Anjou_(Les_blanchisseuses%E2%80%94Les_laveuses_sur_l'escalier).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="3200" data-original-width="2242" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCGz5eqMMB1d7uFO0JsNla3BxZR4gpOXjq8r1ZqfEQF3WiuTrp_SBAurB8xSI1tIJJ3D-k1RQ3G03m20tSrcWC1T5gs9qWq4bx_QFwT6XJBOerR1tfAcGjrk1XUZzlsRpF3z7FdSU6bB91DcqlS9Sib9Ko_Lu6cJWtMW2QG286lhwR46zBFsPjBN7mXFQ/w448-h640/fig.%2022%20-%20Les_laveuses_du_quai_d'Anjou_(Les_blanchisseuses%E2%80%94Les_laveuses_sur_l'escalier).jpg" width="448" /></span></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'attenzione rivolta agli umili si unisce però a una pulsione di forza e di monumentalità che ricorda le mascoline figure femminili di Michelangelo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Il contrasto di luci tra lo sfondo luminoso e i due personaggi conferisce tutta la sua forza alla rappresentazione di questa lavandaia, che appare michelangiolescamente imponente rispetto alla sua bambinetta.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Quest'opera fu proposta dal pittore al Salon del 1861, e fu esposta ma con un allestimento troppo in alto per essere apprezzata. Sarebbe stata poi presentata in modo più accessibile agli occhi dei visitatori durante l'”Esposizione Universale” del 1900 che celebrava l’arte francese del secolo appena finito.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier dipinse diverse varianti su questo tema: esistono numerose repliche e ci sono almeno altre due versioni, una conservata al “Metropolitan Museum of Art” e l'altra alla “Albright-Knox Art Gallery” di Buffalo, ma questa del Museo d'Orsay sembra, secondo la critica, di gran lunga la migliore. L’opera, acquisita nel 1927 dai Musei Nazionali nell'ambito della vendita di una collezione privata, fu affidata al Museo del Louvre e poi ceduta dal 1986 al Museo d'Orsay.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">La serie dei dipinti dedicata a Don Chisciotte e Sancho Panza del 1870 alle “Courtauld Institute Galleries” di Londra fanno parte di un gruppo di opere su questo soggetto, che mostrano le manipolazioni sciolte e le pennellate calligrafiche dei suoi ultimi anni.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">In questi ultimi anni della sua vita, la vista di Daumier peggiorò e fu salvato dall'indigenza solo grazie alla generosità degli amici, in particolare di Corot.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel suo realismo potente, si avvicinò alle figure più famose della pittura francese.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Oggi i disegni e i dipinti di Daumier possono essere ammirati in molti dei migliori musei d'arte della Francia, ma la maggior parte è dispersa il collezioni pubbliche e private straniere.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">L'arte di Honoré Daumier cattura la condizione umana in un modo che va ben oltre il realismo. Dichiarando che "bisogna essere del proprio tempo", Daumier sottolineava la crescente distanza tra l'arte ufficiale e l'arte d'avanguardia.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier rivolse il suo sguardo implacabile alla borghesia e alla magistratura sempre troppo coinvolte nei loro intrighi con il potere politico prima del re Luigi Filippo poi di Napoleone III.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">A metà tra Balzac e Baudelaire, Daumier osserva i riti della città moderna, cioè Parigi, i suoi ritmi sociali e meteorologici nonché i gesti dei suoi abitanti le sue composizioni si distinguono per un grande senso di equilibrio delle masse, fortemente enfatizzate, potenti effetti chiaroscurali, una scansione assertiva e uno stile ricco e rapido. Gli ultimi lavori dell'artista si avvicinano sempre di più a Fragonard, che era stato la passione della sua giovinezza, per le sue linee ampie e leggere così come per i suoi toni chiari e appena velati.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Particolarmente iconico è il suo dipinto “Il vagone di terza classe”, titolo di almeno tre suoi dipinti a olio, in cui Daumier descrive realisticamente la povertà e la forza d'animo dei viaggiatori della classe operaia in un vagone ferroviario di terza classe.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Fig. 23</span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2IVYHdnehTW82QkgJSWoHwy7hwcZxbAVWZSOXixfjdfegsTUdD7p8d9YdGLn7QxAgjMtOCzBGdOpEFmCqf2pyrNFkjDZT8nY7AN8_FXo4Zfa5WgFC3D9TMmsl2AJTi7BQc60CVlruq802G-vNkPgVLgLm2r6EFcC0rhM5kCL-UGWPXiJlYUAwhpAKPrg/s1280/Fig.%2013%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="939" data-original-width="1280" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2IVYHdnehTW82QkgJSWoHwy7hwcZxbAVWZSOXixfjdfegsTUdD7p8d9YdGLn7QxAgjMtOCzBGdOpEFmCqf2pyrNFkjDZT8nY7AN8_FXo4Zfa5WgFC3D9TMmsl2AJTi7BQc60CVlruq802G-vNkPgVLgLm2r6EFcC0rhM5kCL-UGWPXiJlYUAwhpAKPrg/w640-h470/Fig.%2013%20-%20Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" width="640" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Di questo soggetto realizzò almeno tre versioni di cui due su tela, una datata fra il 1862 e il 1864, ma lasciata incompiuta ed è al “Metropolitan Museum of Art” di New York, un dipinto simile ma completato, datato fra il 1862 e il 1865, si trova nella “Galleria Nazionale del Canada” di Ottawa. Una terza versione fu realizzata su tavola ed è conservata al “Fine Art Museum” di San Francisco ed è datata dai curatori del museo di appartenenza fra il 1856 e il 1858. Se è valida questa datazione sarebbe la prima delle tre versioni.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nello stile tipico di Daumier, che fece della sua arte una continua lotta politica, “Il vagone di terza classe” evidenzia l'interesse di dell’artista per la vita della classe operaia di Parigi e denuncia le condizioni sociali delle classi più povere in linea con l'intento del Realismo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel 1878 con la presidenza di Victor Hugo fu organizzata una retrospettiva di Daumier alla “Galleria Durand-Ruel”. Daumier era quasi cieco e non vi partecipò neanche all’apertura: la mostra si rivelò un fallimento.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Nel 1879, pochi mesi dopo la mostra, Daumier morì nella sua casa di Valmondois, vicino a Pontoise e nel 1880 le sue spoglie mortali furono trasferite al cimitero del Père-Lachaise, vicino ai suoi amici Corot e Millet che lo avevano preceduto di un anno.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Daumier fu un artista prolifico, impegnato in varie arti e tecniche, e usò le sue abilità artistiche per ridicolizzare il governo e la società francese. Nonostante la sua mancanza di successo commerciale come artista di talento, la sua influenza sugli artisti successivi e sullo sviluppo della pittura francese è esemplificata dall'ammirazione dimostratagli da una varietà di artisti moderni, tra cui “Picasso” (1881-1973), “Paul Cézanne” (1839-1906) e “Francis Bacon” (1909-92), e fu venerato da giovani artisti come “James Ensor” (1860-1949) e da alcuni collezionisti, oltre che da una vasta cerchia di amici tra cui “Baudelaire”, “Delacroix” (1798-1863) e “Degas” (1834 – 1917) per il quale i dipinti di Daumier sulla vita della classe operaia sarebbero stati fonte di grande ispirazione e, durante la sua vita, raccolse oltre 2.000 delle sue opere.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;"> Massimo Capuozzo</span></span></div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-83252963586273560932024-02-04T22:22:00.000-08:002024-02-04T22:22:28.944-08:00La storia di Rosa Bonheur: la Storia e le storie di Massimo Capuozzo<p style="text-align: left;"></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Sentendo per la prima volta il nome di ‘Rosa Bonheur’, facilmente si può
pensare a una ‘pornostar’ o a un negozio di articoli erotici di Pigalle. ‘Rosa Bonheur’
(1822 – 1899) fu invece uno dei personaggi più famosi sui mercati d’arte della
seconda metà dell’Ottocento: anche se non ‘porno’, una ‘star’ lo fu certamente,
ammirata da principi e da sovrani, da letterati e da musicisti e conosciuta,
oltre che in Europa, anche nelle zone più remote degli Stati Uniti.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Dopo la sua morte nel 1899, Rosa Bonheur cadde in una sorta di oblio fino
alla sua riscoperta negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ma fu una
riscoperta avvenuta non tanto per il suo talento artistico, quanto piuttosto per
essere diventata un’icona del femminismo e se la sua produzione era stata
dimenticata, in ambienti femministi, LGBT e animalisti Rosa è tuttora ricordata
vivamente come un emblema.</span></div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Pertanto risulta ancora oggi piuttosto difficile farla uscire da
questa nicchia o da quell’immagine più convenzionale della ‘pittrice delle
mucche’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma per fare questo oggi è necessario considerare la pittrice come una vera
appassionata del “mondo vivente” in un momento in cui l'ecologia, il rispetto
per la natura e la causa animalista sono all'ordine del giorno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Alcuni suoi dipinti collocano il ‘mondo vivente’ in spettacolari
composizioni dinamiche, altri in veri e propri ritratti come se gli animali stessero
in posa ‘vis-à-vis’ con lo spettatore, ma comunque essi sono sempre eseguiti con
meticolosità quasi fotografica che restituisce all’osservatore sia l'anatomia sia
la ‘psicologia’ degli animali.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Diversamente da altri artisti di umori più romantici come ‘Géricault’
o ‘Troyon’, Rosa Bonheur non cercò mai di umanizzare gli animali, ma volle
esprimere sempre la loro singolarità e la loro irriducibile diversità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dando voce a chi di voce non ne aveva, il suo ‘femminismo’, molto
individuale e poco collettivo, e il suo amore per gli animali andarono sempre di
pari passo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In che modo?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Mettendo ecologisticamente sempre in discussione il rapporto di forza tra
l’uomo, il più grande predatore vivente, e gli animali e, allo stesso modo, il rapporto
di forza fra uomo e donna, vivendo lei stessa in autonomia, non come una donna
sottomessa alla morale patriarcale di allora, ma come una donna libera e capace
delle sue scelte, anche se non ne fece mai un vero e proprio programma politico
e non partecipò mai a dimostrazioni o a manifestazioni a favore della questione
femminista.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Guardare le sue opere suscita nello spettatore moderno un "effetto
meraviglia": nei suoi grandi dipinti gli animali occupano un posto d'onore:
mi piace ricordare per esempio "Il re del bosco" del 1878, un
maestoso cervo sorpreso in prima persona che crea con l’osservatore un “momento
di scambio tra specie” un effetto che si ritrova anche in tante altre opere di
Rosa come "Il leone in casa" del 1881.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 1 <a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2f/Rosa_Bonheur_-_Le_monarque_de_la_meute.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2f/Rosa_Bonheur_-_Le_monarque_de_la_meute.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH3v0qH5EcDULXFVPgjDu1Pg2XrY0zp4Z8Qswm6ooCZb53OfiNgGYLPVs_3uMJembybfP6HLOPbFJXxKW-vgtouJPhuEl9rr0c8J-drCkB2rHF4awEpS0aTGqNTLeRd_ueYRfArWAfV0zJh2Rp5YxRfs5pf4gpGEacxraqMHPa68VBx9s5yceHw4MBNaE/s3000/Fig.%201%20-%20Rosa_Bonheur_-_Le_monarque_de_la_meute.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2279" data-original-width="3000" height="486" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH3v0qH5EcDULXFVPgjDu1Pg2XrY0zp4Z8Qswm6ooCZb53OfiNgGYLPVs_3uMJembybfP6HLOPbFJXxKW-vgtouJPhuEl9rr0c8J-drCkB2rHF4awEpS0aTGqNTLeRd_ueYRfArWAfV0zJh2Rp5YxRfs5pf4gpGEacxraqMHPa68VBx9s5yceHw4MBNaE/w640-h486/Fig.%201%20-%20Rosa_Bonheur_-_Le_monarque_de_la_meute.jpg" width="640" /></a></div></div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 2</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_bUvtw7IDgxtxMAzj4ejzeaKAcc8DZ0VMVMFTmpezfAu0aTEsZ6aTKqfIeclLEyF2RnGeZX0GaHRsY43z_GnS4K3_b6eCoUYXPstdRXq74u1CD6BUoCRN4vpTU4yjnitt2puWd8qet5sBb-62J_mv00k3z63R5wQTB8uh-gXMD1XOcSqOKrZLszkW_uI/s2929/Fig.%202%20-%20Rosa_Bonheur_-_Portrait_of_a_Lion_-_Prado.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2929" data-original-width="2338" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_bUvtw7IDgxtxMAzj4ejzeaKAcc8DZ0VMVMFTmpezfAu0aTEsZ6aTKqfIeclLEyF2RnGeZX0GaHRsY43z_GnS4K3_b6eCoUYXPstdRXq74u1CD6BUoCRN4vpTU4yjnitt2puWd8qet5sBb-62J_mv00k3z63R5wQTB8uh-gXMD1XOcSqOKrZLszkW_uI/w510-h640/Fig.%202%20-%20Rosa_Bonheur_-_Portrait_of_a_Lion_-_Prado.jpg" width="510" /></a></div><div style="text-align: justify;">L'artista mise consapevolmente in risalto la quotidianità del mondo
contadino, attraverso il lavoro dei cavalli da tiro o dei buoi in piena fatica,
su grandi formati, precedentemente riservati solo alla "pittura nobile",
quella ‘storica’, come nella sua celebre e monumentale “La follatura del
grano in Camargue” che purtroppo rimase incompiuto.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Moltissime opere di Rosa si trovano oggi nel Regno Unito e negli Stati
Uniti, e appartengono a collezioni private o a importanti istituzioni museali: questo
perché, fin dall'inizio della sua carriera, le sue opere furono vissute con una
particolare passione soprattutto nel mondo anglosassone in seguito a un’“esplosione”
nel commercio oltreoceano dell'Arte europea e della fame di pittura, che quella
giovane nazione cominciava ad avere.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In Francia oggi il nome di Rosa Bonheur è conosciuto soprattutto
attraverso una strada, una scuola, nella migliore delle ipotesi una trattoria
o un caffè che portano il suo nome nel quartiere degli artisti a Montmartre, eppure
Rosa aveva appena trent’anni quando i suoi quadri cominciavano a viaggiare sull’Atlantico
ed erano venduti in America.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma chi è Rosa Bonheur? E soprattutto perché ne parlo?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Da un pezzo della mia vita mi interesso, anche se ora in modo più
saltuario, del ‘femminile dell’Arte’ sempre troppo trascurato ma sempre molto sorprendente.
Nel mio incontro con il “Realismo” francese ho incontrato di nuovo Rosa e
questa volta ho deciso di conoscere fino in fondo questa tipica outsider che seppe
imporsi nell’Ottocento come pittrice della vita agricola e della fauna
selvatica in un'epoca in cui la ‘rivoluzione industriale’ e la crescita urbana
stavano corrodendo interi settori dell'antico habitat naturale dell’uomo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">‘Marie Rosalie Bonheur’ era la figlia primogenita del pittore e
insegnante di disegno Raymond e di Sophie “Marquis”, un’insegnante di pianoforte
che era stata allieva del giovane marito.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La nascita di Sophie, una figura determinante per Rosa, è avvolta nel
mistero: era nata nel 1797, in Germania, dove si trovavano molti nobili
francesi in fuga dalla Rivoluzione, tra questi c’era ‘Jean-Baptiste Dublan
de Lahet’, un ricco commerciante bordolese in odore di nobiltà, che nel 1799 portò
con sé la piccola Sophie a Bordeaux, indicandola come sua nipote e, solo sul
letto di morte avrebbe rivelato che in realtà era lui il suo padre
biologico. Non si sa però chi fosse la madre di Sophie: in giro si
sussurrava soltanto che fosse una principessa di sangue reale, ma una coltre di
silenzio scendeva sempre immancabilmente intorno a lei appena si domandava
qualcosa di più.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Che fosse vero o no, è certo che la piccola Sophie ricevette
un'educazione degna di una gran dama dell'alta nobiltà: studiava letteratura
francese e spagnola, canto, danza, pianoforte e disegno. Conobbe il
giovane Raymonde Bonheur, di un anno più grande di lei, che proveniva invece da
una modesta famiglia di cuochi, ma studiava ‘Belle Arti’ e si guadagnava da
vivere umilmente impartendo lezioni di disegno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Entrambi belli e sognatori, si innamorarono e nel 1821 si sposarono.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 16 marzo 1822 a Bordeaux nacque la loro prima figlia, al numero 29 di
‘rue Saint Jean-Saint-Seurin’, e la chiamarono Marie-Rosalie, che però la madre
chiamò sempre Rosa, la ‘sua rosa’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1824 nacque poi Auguste, nel 1827 Isidore e infine nel 1830 la
sorella Juliette. Tutti i bambini Bonheur sarebbero diventati artisti:
Rosa, Auguste e Juliette pittori e Isidore scultore.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La piccola Rosa visse un'infanzia dorata nella campagna bordolese, al
castello di “Grimont” a Quinsac sulla riva destra della Garonna, dove durante i
primi anni della sua vita, con la sua famiglia trascorreva le vacanze in estate.
Rosa era una bambina vivace, amava le passeggiate in campagna e soprattutto gli
animali: pecore, mucche, tori. Si dice che fosse un maschiaccio, dato che
le piaceva correre liberamente dovunque senza paura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fu lì che sviluppò il suo amore per la natura e per gli animali, due
temi che avrebbero alimentato il suo lavoro per tutta la vita.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fin da piccola Rosa manifestò un talento naturale per il disegno che praticava
con ogni mezzo, ritraendo gli animali della campagna in cui era cresciuta felice,
prima che nel 1829 la sua famiglia, lasciando la Gironda, si trasferisse a
Parigi per raggiungere il padre, uomo profondamente idealista di fede
sansimoniana che, come tanti artisti, sperava di raggiungere il grande successo
nella capitale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quest’avventura si trasformò tuttavia in un vero e proprio disastro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non avendo ottenuto il successo sperato, il padre entrò nella comunità
di ispirazione sansimoniana di ‘Prosper Enfantin’ che, nonostante la conclamata
‘fede’ nell’emancipazione femminile, ne escludeva le donne e lasciò così la
moglie, sola e con i quattro figli.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sophie cercò allora di sbarcare il lunario impartendo lezioni di
pianoforte di giorno e facendo piccoli lavoretti di cucito di notte con esigui compensi
sia per le lezioni sia per il cucito: nel 1833, Sophie Bonheur morì ad appena trentasei
anni e la sua famiglia era talmente povera che le sue spoglie dovettero essere deposte
in una fossa comune nel ‘Cimitero di Mont-Martre’. Più tardi Rosa avrebbe detto
che tutto questo succedeva mentre suo padre ‘si occupava della salvezza del
genere umano’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non è certo però se Sophie sia morta di colera per un’epidemia che imperversava
in quell’anno a Parigi o se fosse stata davvero consumata dai lavori malpagati che
svolgeva per sostentare i quattro figli piccoli, ma certamente Rosa, nella sua
mente di bambina, preferì questa seconda versione. Sta di fatto che l’undicenne
Rosa non si sarebbe mai del tutto ripresa da questa perdita.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Con la morte di Sophie, i quattro figli furono dispersi tra i vari membri
della famiglia, solo Rosa rimase a Parigi con il padre: fu tolta dalla scuola e
andò come apprendista da una sarta, ma quel lavoro non le piaceva e decise che voleva
diventare una pittrice.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Papà Raymond, che avrebbe sempre incoraggiato le capacità artistiche
dei suoi figli, convito dalla forte determinazione della ragazzina la prese come
allieva e le dedicò tutto il suo tempo ad insegnarle e così Rosa a tredici anni
smise di essere un’apprendista sarta e si potette dedicare completamente alla
pittura e al disegno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Contento dei suoi progressi e del suo entusiasmo, Raymond incoraggiava
l'ambizione di sua figlia proponendole come modello la grande e famosa
ritrattista ‘Elisabeth Vigée-Lebrun’ (1755-1842). Il padre riuscì inoltre ad
ottenere per Rosa il permesso di frequentare il ‘Palazzo del Louvre’ per
copiare i grandi maestri del passato, un esercizio fondamentale per chi voleva
diventare un pittore.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le donne all’epoca non avevano il diritto di studiare il ‘nudo’, pertanto
erano loro impediti i grandi quadri come le scene mitologiche, storiche e
religiose in cui lo studio del ‘nudo’ era fondamentale, ed erano proprio questi
i dipinti che facevano la reputazione dei loro colleghi uomini: esse dovevano
quindi limitarsi a generi considerati ‘minori’ come il ‘ritratto’, il ‘paesaggio’
e la ‘natura morta’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Formatasi con il padre che era un discreto ritrattista che a Bordeaux aveva
stretto amicizia anche con Goya, Rosa capì presto la sua “vocazione” e decise
di diventare brava, ma non per ‘superare la Vigée-Lebrun’, della quale non le
importava niente, ma rappresentando ciò che ella amava di più: gli animali e la
natura, per lei unica fonte ispiratrice e vera maestra anche più dei grandi del
‘Louvre’ che comunque non si stancava mai di studiare.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Avendo dunque trovato la strada che riteneva giusta, cominciò a
nutrire l’ambizione di diventare sì la Vigée-Lebrun, ma degli animali.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La morte della madre aveva segnato profondamente Rosa, tanto più che a
lei sembrava che fosse stata sopraffatta dalla fatica e dalla miseria. A questa
madre, cresciuta ed educata come una principessa e seppellita in una fossa
comune come una “miserabile” per la miseria in cui versava la famiglia, Rosa avrebbe
dedicato un vero e proprio culto per tutta la sua vita, decisa però a non
seguirne l’amaro destino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Se l’influenza del dramma materno fu determinante per lei, altrettanto
determinante fu il pensiero paterno, secondo il quale tutti coloro che volevano
dedicarsi a una ‘grande causa’ dovevano fare la scelta del celibato, uomini e
donne. E la ‘grande causa’ di Rosa fu l’Arte, la “missione divina” a cui avrebbe
consacrato tutta la sua vita.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Un incontro fondamentale per lei quattordicenne avvenne nel 1836 quando
incontrò ‘Nathalie Micas’, un evento questo che le cambiò la vita per
sempre.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Louis Frédéric ed Henriette Micas si erano recati nello studio di Raymonde
Bonheur affinché dipingesse il ritratto della loro figlia, la dodicenne Nathalie,
che aveva una salute così fragile da far loro temere che sarebbe potuta morire presto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Durante le sedute di posa nell’atelier di Raymond la bambina e
sua madre strinsero amicizia con Rosa, che con suo padre conduceva una vita ‘bohémien’
in cui anche l’igiene domestica lasciava a desiderare.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fu la signora Micas a prendere in mano la situazione aiutando con la
sua presenza materna i Bonheur e fra le due ragazze nacque un rapporto stabile che
sarebbe durato più di cinquant’anni, fino alla morte di Nathalie nel 1889.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1841 Raymond Bonheur decise di risposarsi con tale Marguerite Peyrol,
una vedova di ventotto anni che aveva già un figlio e che, dal loro matrimonio ne
avrebbe concepito un altro, Germain.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per la diciannovenne Rosa, questo sembrò un tradimento, anche se grazie
al matrimonio del padre i suoi fratelli e la sorella li potettero raggiungere a
Parigi e la loro famiglia si potette finalmente riunire. A Parigi tutti iniziarono
a studiare disegno sotto la direzione di Raymond.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La famiglia Micas riteneva però che il talento di Rosa non potesse sbocciare
in mezzo a quel gran baccano e decise che, siccome la giovane pittrice stava già
incominciando a guadagnare con la sua arte, avrebbe potuto benissimo avere un proprio
studio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1841 era stata ammessa ad esporre al ‘Salone di pittura e di
scultura’, comunemente noto come il ‘Salon’, la più importante vetrina d'Arte
contemporanea di Parigi. I primi due dipinti di Rosa esposti al “Salon” furono immediatamente
notati oltre che dai giudici che l’avevano ammessa all’esposizione, anche dal
pubblico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Da quel momento ogni anno Rosa presentò suoi lavori e ogni volta furono
accettati da quell’insidiosa giuria. Dopo quei primi successi, il padre le
consigliò di firmarsi ‘Raymond’ col pretesto che il loro cognome ‘Bonheur’, in italiano
‘felicità’, sembrava una beffa alla loro infelicità. Per lei questa scelta sembrava
invece un insulto a sua madre e, proprio per associarla alla sua celebrità, dal
1844 in poi firmò tutti i suoi dipinti con l’abbreviativo con cui la madre la
chiamava: Rosa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Se il padre le aveva insegnato il mestiere, era stata però sua madre
che per prima ne aveva riconosciuto e incoraggiato il talento, e Rosa, con
estrema convinzione, riteneva che la madre la ispirasse, che la proteggesse e che
guidasse ancora i suoi passi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al Salon del 1845 Rosa ottenne già due medaglie di bronzo e le sue opere
incominciarono a essere discretamente vendute.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per perfezionare la sua arte camminava, cavalcava in campagna, visitava
i mercati del bestiame anche e i macelli. Per poter fare questo si rese conto che
i pantaloni erano molto più pratici delle gonne. Una legge del 1800 prevedeva però
che ogni donna che volesse vestirsi da uomo dovesse ottenere dalla Prefettura
di Polizia una speciale ‘autorizzazione al travestimento’, rinnovabile ogni sei
mesi. Rosa allora chiese ed ottenne dall’ufficio competente di Parigi
l'autorizzazione per un ‘permesso di travestimento’: se il motivo ufficiale erano
le ragioni di salute, i pantaloni in realtà le servivano come abito da lavoro,
indispensabile per poter disegnare indisturbata in campagna, nei boschi, nelle
fiere, nelle stalle e nei mattatoi che frequentava per la sua pittura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.3</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUdxN6_UMZW5Gxlp4BqYFjTdw6xo9JHn356_ZpbpgEYgOy-WvGB3ZRCH0z6_XYV504y4U36EQJk_fs2M83iJAt08MuaWXqxCwXL1rWiRvtIZHfAC4LucOr3RYDfsd988d6p2uCEt-n3fsU0mHLrEuHv9iQtFao51KAczwCOB2QwqKOymazNhMEIxyK_Aw/s2860/Fig.3%20-%20Rosa_Bonheur_-_Une_berg%C3%A8re_avec_une_ch%C3%A8vre_et_deux_vaches_dans_un_pr%C3%A9.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2005" data-original-width="2860" height="448" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUdxN6_UMZW5Gxlp4BqYFjTdw6xo9JHn356_ZpbpgEYgOy-WvGB3ZRCH0z6_XYV504y4U36EQJk_fs2M83iJAt08MuaWXqxCwXL1rWiRvtIZHfAC4LucOr3RYDfsd988d6p2uCEt-n3fsU0mHLrEuHv9iQtFao51KAczwCOB2QwqKOymazNhMEIxyK_Aw/w640-h448/Fig.3%20-%20Rosa_Bonheur_-_Une_berg%C3%A8re_avec_une_ch%C3%A8vre_et_deux_vaches_dans_un_pr%C3%A9.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Elevando all’eccellenza i canoni del ‘Realismo’ che in quegli anni si
stava affermando, Rosa aprì nuovi orizzonti anche per le pittrici del suo
tempo, fino a quel momento relegate a generi minori, e diventò un modello per
loro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.4</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMBiAZLmV5xrvsDFbDr0NT6GfZ47dXHVJ4Q57F3xCudrJQyjdsyo89g3k15jrAy3ShRrj09y9Pm5dz8AY-Y3c6AprWlyYNMivtK1CfSaQg6DkRsduGgADZJFUprvFln-U0whbVpyF-rIlM_oUWfJUium_da8Ci0aW3mLnIcP61k9WHFd7zGbAS_V50vRs/s4895/Fig.%204%20-%20Rosa_Bonheur_-_Ram_-_55.20_-_Indianapolis_Museum_of_Art.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3878" data-original-width="4895" height="508" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMBiAZLmV5xrvsDFbDr0NT6GfZ47dXHVJ4Q57F3xCudrJQyjdsyo89g3k15jrAy3ShRrj09y9Pm5dz8AY-Y3c6AprWlyYNMivtK1CfSaQg6DkRsduGgADZJFUprvFln-U0whbVpyF-rIlM_oUWfJUium_da8Ci0aW3mLnIcP61k9WHFd7zGbAS_V50vRs/w640-h508/Fig.%204%20-%20Rosa_Bonheur_-_Ram_-_55.20_-_Indianapolis_Museum_of_Art.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Nella turbolenta edizione del ‘Salon’ del 1848, la ventiseienne Rosa espose
ancora, e fu premiata con la medaglia d’oro che le permise di ricevere un
ordine dallo Stato e di attrarre tra la sua clientela alcuni facoltosi collezionisti
privati.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quella circostanza ‘Théophile Gautier’ la pose sullo stesso piano di
‘Paulus Potter’ (1625 – 1654), un pittore olandese del Seicento,
specializzato in animali e paesaggi e noto come il ‘Raffaello degli ovini’,
sottolineando la ricerca della ‘verità’ e l’osservazione perfetta di Rosa. Ancora
una volta ‘Théophile Gautier’, per trovare una matrice al ‘Realismo’ contemporaneo,
si richiamava all’Arte olandese del Seicento, non senza implicazioni politiche.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In effetti, il ‘Realismo’, basato sullo studio del disegno o sulla
fotografia, è molto presente nell’opera di Rosa ed è in evidente sintonia con
il lavoro dei campi e l'armonia che lega i contadini e gli animali.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I mercanti d'Arte incominciavano a interessarsi al suo lavoro e la sua
carriera cominciò a essere molto redditizia, cosa che le valse anche diverse proposte
di matrimonio visto che ora non era più una ‘miserabile’, ma cominciava a
diventare un buon partito. Ma Rosa era troppo scossa dal modo in cui la madre
aveva dovuto soffrire a causa del suo matrimonio, pur essendo stato comunque un
matrimonio d'amore. Rifiutò di rinunciare alla sua libertà per un uomo e
non si sposò mai, preferendo dedicare tutta la sua vita all'Arte.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1849 realizzò per lo Stato francese lo splendido e monumentale
dipinto di tema agricolo ‘Labourage Nivernais’, detto anche ‘Le
Sombrage’, che fu anche esposto al ‘Salon’ del 1849 e oggi conservato al ‘Museo
d’Orsay’: questo dipinto era liberamente ispirato al racconto ‘La palude del
diavolo’ di George Sand.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.5</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNVhSlaQLywdR3eN9ErMBhFgs1h03wx1T3S7ELgzg_v1l52YSGjKtO92TzoJWqHAxb5kjo4vDtL8V2HNsHMrmVoev5DJyfGN7_u4sXf0o-oKvrNAME1kLO8_5sOHBnCVHhD8gzJokuOZ2rr3rXR6eEOJm5-UUCXRcVGGJCMkRnnkX4Wdo4PxgDLWtmu2w/s5414/Fig%205.%20Rosa_Bonheur_-_Ploughing_in_Nevers_-_Google_Art_Project.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2769" data-original-width="5414" height="328" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNVhSlaQLywdR3eN9ErMBhFgs1h03wx1T3S7ELgzg_v1l52YSGjKtO92TzoJWqHAxb5kjo4vDtL8V2HNsHMrmVoev5DJyfGN7_u4sXf0o-oKvrNAME1kLO8_5sOHBnCVHhD8gzJokuOZ2rr3rXR6eEOJm5-UUCXRcVGGJCMkRnnkX4Wdo4PxgDLWtmu2w/w640-h328/Fig%205.%20Rosa_Bonheur_-_Ploughing_in_Nevers_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Con quest’opera Rosa ebbe un enorme successo di pubblico, il dipinto fu
salutato unanimemente dalla critica come un capolavoro e Rosa come la più
grande artista di animali del suo tempo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In questa grande opera (1,34 m x 2,60 m) Rosa, utilizzando le
dimensioni della pittura storica, raggiunse la fama nazionale a ventisette anni:
la pittrice disse che quell’opera era nata in lei per celebrare con la pittura un’altra
arte, quella “di tracciare i solchi da cui ha origine il pane che nutre
l’intera umanità’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quest’opera sembra rispondere a una crisi agricola e alla penuria
alimentare che aveva portato alla rivolta nel 1848 che era stata l’innesco della
Rivoluzione: tra febbraio e maggio 1848, la monarchia francese era crollata con
l'abdicazione di Luigi Filippo ed era nata la breve “Seconda repubblica”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli anni Quaranta dell’Ottocento, erano stati segnati dalla recessione
del 1846-1847 e poi dalla rivoluzione del 1848, che avevano visto il passaggio tra
le crisi alimentari dell’”Ancien Régime” e quelle più specifiche create dalle economie
industriali in via di sviluppo. Abbastanza per alimentare il pensiero
socialista che si strutturava intorno a Marx e a Engels.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quello stesso 1849, che era stato un trionfo artistico per Rosa, si
verificarono tre eventi importanti nella sua vita: la morte del padre, il suo trasferimento
a casa della famiglia Micas e la sostituzione del padre nella direzione della ‘Scuola
di disegno per ragazze’, un incarico che avrebbe mantenuto fino al 1860.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quando Raymond Bonheur morì, per Rosa fu impensabile continuare a
vivere con la matrigna, che lei non aveva mai accettato e questo aveva
determinato fra loro un profondo disaccordo. Decise quindi di andare a
vivere con Henriette Micas e sua figlia Nathalie, il cui padre era morto anche
lui ma l’anno prima. Questa scelta le creò un distacco dalla sua stessa
famiglia, imbarazzata da questa sistemazione che sembrava, con le sue scelte
del nubilato e dei pantaloni, confermare la presunta omosessualità della
sorella.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La signora Micas, Nathalie e Rosa formarono una comunità tutta al femminile.
Nathalie, anche lei pittrice di formazione, aiutava Rosa occasionalmente, per
esempio per la replica dell’originale immenso dipinto ‘Il mercato dei
cavalli’, oggi esposta al ‘Museo d'Orsay’, che fu riprodotto nel laboratorio a
quattro mani da Nathalie e da Rosa, mentre la prima tela quella del ‘Metropolitan
Museum of Art’ di New York, oggi è dichiarata intrasportabile.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Con Rosa, la scuola di disegno del padre diventò gratuita e destinata
a quelle ragazze che volevano intraprendere la propria strada verso
l'indipendenza finanziaria. È sintomatico che Rosa fosse solita incoraggiare le
sue allieve dicendo loro: “Seguite il mio consiglio, osservate sempre la natura
e vi farò diventare Leonardo da Vinci in sottana”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua opera in campo artistico era inseparabile dalla sua vita di ‘donna
forte’ che osava oltrepassare i ‘confini" imposti dalle convenzioni. Rosa
plasmò la sua identità pubblica di donna finanziariamente ed emotivamente indipendente,
fumando, andando a cavallo, praticando il tiro con la carabina, vivendo da
single, indossando pantaloni e circondandosi di donne, compresa ‘Nathalie Micas’
la sua amica fin dall'infanzia e donna anche di scienza. Diverse fotografie la ritraggono
nel suo laboratorio in pantaloni e camice, con i capelli tagliati corti oppure
con un vestito e un cappello in pubblico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Del resto per praticità, fin da adolescente, aveva sempre portato i capelli
corti, con più di ottant’anni anni di anticipo sulla pettinatura alla ‘garçonne’
dei ruggenti anni Venti del Novecento.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa riuscì a imporre quest’esistenza al di fuori delle norme sociali molto
sessiste dell'epoca grazie al suo carattere forte, ma ci riuscì anche grazie
alla sua fama: era talmente famosa e riconosciuta che si consentiva di fare
quello che voleva e stranamente quel suo ‘stravagante’ stile di vita, tanto
emancipato e sopra le righe, non suscitava alcuno scandalo. Anche George Sand
iniziò a vestirsi in abiti maschili per frequentare i luoghi di ritrovo
sociale all'epoca interdetti alle donne ma Rosa diversamente dalla Sand nelle fotografie
ufficiali si faceva ritrarre sempre in abiti femminili. “Ho sempre
condotto una vita onorata”, affermava, “ma non ho mai voluto svendere la mia
libertà per compiere meglio la ‘santa missione’ che mi ero prefissata: ho
sempre desiderato elevare la donna”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo dimostra il suo impegno a non rinchiudersi in un ruolo di
genere, pur accettando alcune convenzioni richieste dalla sua condizione di
donna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per avere modelli sempre disponibili, allevava tutti gli animali che poteva:
dalla prima pecorella collocata nel piccolo balcone della sua casa paterna,
fino alla vera e propria ’arca di Noé’ del giardino della sua casa-studio di ‘rue
d’Assas’ a Parigi, un’’arca’ che avrebbe ampliato a Thomery presso
Fontainebleau dove nel 1859, acquistò il castello By.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli animali per lei non erano solo dei modelli da riportare sulla tela,
erano ‘amici’ preziosi, dotati di una propria anima, che traspariva splendente
nel loro sguardo e che lei così sapientemente rendeva immortali. «Se non sempre
le capiamo, le bestie, loro ci capiscono sempre», era solita affermare e in
seguito avrebbe aggiunto: «Trovo mostruoso che le si dicano prive d’anima. La
mia leonessa mi amava molto, quindi aveva un’anima, ben più di certi umani che
non hanno affatto amore». Per amore degli animali diventò anche la prima socia
francese della ‘Società Reale per la Protezione degli Animali’ di Torino, la
più antica associazione animalista risalente al 1º aprile 1871, anno in
cui ‘Giuseppe Garibaldi’ ne fondò la prima sede su invito della nobildonna
inglese, lady Anna Winter, contessa di Sutherland.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al ‘Salon’ del 1853, con la forza della sua opera monumentale il ‘Mercato
dei cavalli’ (2,45 m x 5), oggi al ‘Metropolitan’ di New York, conobbe un
secondo trionfo e raggiunse la gloria.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkWq_c6rMOVI5exZ951QpJJ-jJohowpUYt5zg9Q0ogIMmojvkVOAWFSFkdRZThjklHCedxheXtg9Bz7p_x8A5l6PSPBpnjbWvVnuNd6I0VMYi3Lp7f4C5SNcRMvSkotZPgeIMMjYj87lmiQjF5RmVvge2W6GFVpyMrAI4fBc4_f99furaWVNHEJsYwSrg/s6324/Fig.%206%20-%20Rosa_Bonheur,_The_Horse_Fair,_1852%E2%80%9355.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2995" data-original-width="6324" height="304" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkWq_c6rMOVI5exZ951QpJJ-jJohowpUYt5zg9Q0ogIMmojvkVOAWFSFkdRZThjklHCedxheXtg9Bz7p_x8A5l6PSPBpnjbWvVnuNd6I0VMYi3Lp7f4C5SNcRMvSkotZPgeIMMjYj87lmiQjF5RmVvge2W6GFVpyMrAI4fBc4_f99furaWVNHEJsYwSrg/w640-h304/Fig.%206%20-%20Rosa_Bonheur,_The_Horse_Fair,_1852%E2%80%9355.jpg" width="640" /></a></div></span><div style="text-align: justify;">Quando presentò quest’opera al “Salon”, ancorché incompiuta, le
procurò un successo immenso che ella stessa definì ‘folle’ e che la rese
celebre nel mondo intero. La giuria stessa del ‘Salon’ si definì ‘incapace di
ricompensare questo merito tanto eccezionale’ e decretò per lei l’ammissione diretta
a tutti i successivi ‘Salon’.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto fu poi esposto a Gand, con enorme successo di critica e di
pubblico, ma al ritorno in Francia le sue grandi dimensioni impedirono di
trovare un acquirente privato. Rosa allora lo offrì alla sua città natale per
un prezzo ragionevole, ma Bordeaux ritenne comunque il dipinto troppo costoso e
rifiutò di acquistarlo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“Il mercato dei cavalli” fu allora acquistato a carissimo prezzo
da ‘Ernest Gambart’, un mercante e gallerista belga con sede a Londra che fiutò
in Rosa l'artista che avrebbe fatto fortuna e grazie a lui la fama di Rosa oltrepassò
i confini di Parigi e della Francia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1853 ‘Ernest Gambart’ entrò dunque nella vita artistica di Rosa: questo
mercante d’Arte fu un altro personaggio per lei fondamentale, diventò il suo
impresario e il responsabile della distribuzione internazionale delle sue opere,
assicurandone la diffusione su larga scala attraverso incisioni e litografie realizzate
dalla ‘Maison Goupil’, una casa d’Arte che mirava a “mettere la produzione
artistica alla portata di tutti”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gambart organizzava anche visite guidate e mostre che fecero aumentare
a dismisura la notorietà di Rosa. In questo modo la piccola attività artistica di
Rosa incominciava a crescere e cresceva vistosamente, grazie alle riproduzioni
incise e litografate delle sue opere vendute da Gambart e diffuse in Europa e
negli Stati Uniti. Si sta entrando ormai in quella che Walter Benjamin
definisce l’epoca della “riproducibilità tecnica” dell’opera d’Arte.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa dal canto suo era ben consapevole dell'importanza dei mercanti
d’Arte e dei ‘media’, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, i
primi due paesi ad averle reso omaggio, e dov’è attualmente conservata la
maggior parte delle sue opere. Ed era anche consapevole di tutto ciò che poteva
contribuire alla sua autopromozione e al successo della sua carriera: sulla
base delle strategie di ‘marketing’ di Gambart accettò pertanto alcune interviste
su importanti riviste specializzate e su quotidiani e anche di farsi ritrarre
in fotografie da distribuire, tutte destinate dapprima a forgiare, poi ad
alimentare la sua leggenda, come per esempio la celebre fotografia in cui un
giorno avrebbe posato accanto a ‘Buffalo Bill’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1856, Gambart organizzò una tournee in Inghilterra e in Scozia, sia
per promuovere la sua opera sia per introdurre il soggetto degli animali
viventi come nuova materia di studio nelle scuole di belle arti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quella nel Regno Unito Rosa fu una tournée trionfale. A Londra, in
occasione della sua prima mostra in cui espose “Il mercato dei cavalli”, la
stessa regina Vittoria, desiderando vedere il dipinto che faceva tanto parlare
di sé, aveva voluto assistere alla mostra e, per conoscere la pittrice, l’aveva
invitata a Windsor. Il ‘Daily Mail’ la osannò e la definì, non senza una qualche
esagerazione, ‘la più grande pittrice di scene rurali di Francia e senza dubbio
del mondo’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La reputazione di Rosa intanto cresceva e il “Il mercato dei cavalli” fu
esposto in molte altre grandi città britanniche: Gombart fece realizzare incisioni
dell'opera in varie dimensioni, che potevano essere acquistate a prezzi modesti
e che contribuirono a far conoscere l'artista anche tra le classi sociali meno abbienti. </div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma ora anche l'America era interessata a Rosa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Alla fine del 1857 ‘Il mercato dei cavalli’ fu esposto a New York, nel
1858 a Boston e dopo una serie di compravendite il dipinto avrebbe concluso il
suo lungo viaggio quando nel 1887 ‘Cornelius Vanderbilt II’, un industriale miliardario
americano di origine olandese, lo acquistò all'asta per la somma quintuplicata
rispetto alla prima vendita, di 268.500 franchi oro corrispondente oggi a un
milione di euro, un prezzo esorbitante per l'epoca, e lo donò poi al “Metropolitan
Museum of Art” di New York, dove si trova tuttora e dove l’opera fu riprodotta
su numerosi e svariati supporti tra cui addirittura la carta da parati,
segnando la definitiva conferma della notorietà americana di Rosa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al ritorno dalla strepitosa tournée negli Stati Uniti, la fama di Rosa
era diventata tale che, essendo costantemente disturbata dai visitatori del suo
studio parigino decise di stabilirsi nel castello By con l’annessa tenuta di
Thomery, ai margini della foresta di Fontainebleau, che aveva acquistato l’anno
prima con la vendita de ‘Il mercato dei cavalli’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questa dimora sarebbe diventata il suo santuario fino alla fine dei
suoi giorni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quando si trasferì a Thomery nel 1860 Rosa portò con sé quella che
considerava la sua famiglia: dopo essersi allontanata dalla casa paterna con Henriette
e Nathalie Micas, aveva formato una nuova famiglia, una famiglia declinata tutta
al femminile, che fu la base della sua solida carriera. La ‘sorella’ e la ‘madre’
elettive si erano prese cura di tutti gli aspetti pratici della vita quotidiana
dell’esistenza comune e le avevano permesso di consacrarsi completamente alla
sua arte.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’affetto che le univa era superiore ai legami della famiglia
d’origine perché era il ‘frutto della loro scelta’ come spiegava l’artista stessa,
che amava definire le due donne come la stella polare della sua vita.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al castello di By l'artista trascorse gli ultimi quarant’anni della
sua vita, trenta dei quali con la sua cara Nathalie che sarebbe morta nel 1889
e di lei Rosa disse un giorno che se Nathalie fosse stata un uomo l'avrebbe
sposata.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In onore di questo sodalizio la proprietà di By fu per loro la ‘dimora
della perfetta amicizia’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">All’atto dell’acquisto del castello By e della sua tenuta, Rosa aveva solo
trentasette anni ed era la prima donna francese che, con il frutto del suo
lavoro, era riuscita a comprare una nobile dimora. In un’intervista confessò di
subire un fascino per le scuderie più irresistibile di quello che una
cortigiana sentiva per le anticamere regie.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Qui il suo amore per gli animali la portò ad allevare un intero
serraglio. Ma al di là del grande atelier in stile neogotico che si era fatta
costruire, il ‘vero studio’ di Rosa si estendeva a tutto il parco di quasi quarantamila
metri quadrati, in cui ospitava pecore, capre, mucche, buoi, cavalli, yak,
cani, gatti, marmotte, scoiattoli, tartarughe, una coppia di scimmie, cervi, cinghiali
e perfino due cuccioli di leone addomesticati. E, fuori le mura della
proprietà, disponeva inoltre di tutta la foresta di Fontainebleau che, con
tutta la sua variegata fauna, si apriva ai suoi occhi come il ‘paese delle
meraviglie’ e dove svolgeva gli studi ‘essenziali’ per i suoi lavori futuri. Ad
Anna Klumpke, sua amica e biografa ufficiale, aveva confidato di stare bene fra
quegli animali: ne osservava con vera passione i loro modi di essere e specialmente
l’espressione dei loro occhi, che per lei erano lo specchio dell’anima di tutte
le creature viventi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa era ormai all’apice della gloria e del successo e il
trasferimento a Thomery più che una fuga dalle mondanità parigine, fu un
ritorno alle origini, a quella campagna che nella Gironda aveva amato tanto nella
sua infanzia così felice prima di Parigi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua felicità era completa, la sua arte riconosciuta.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Acclamata dai suoi contemporanei, ‘Eugène Delacroix’ (1798 - 1863), e
‘Camille Corot’ (1796 – 1875), entrambi di una generazione precedente, Rosa diventò la
pittrice più venduta del suo secolo, superando nel mercato d’Arte anche i suoi
colleghi maschi ed era ai suoi tempi meglio conosciuta perfino di Renoir o di Monet.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa e Nathalie viaggiarono molto insieme in Francia e in Europa, per
trovare materie di studio per l'artista, o per soggiornare in città termali per
la fragile salute dell'amica.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa si era misurata con i più grandi maestri della pittura equestre come
con il grande Géricault ed era considerata addirittura la più grande.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel ‘Mercato dei cavalli’ aveva saputo creare un'opera espressiva, di
grande realismo, ricca di sentimento ma senza sentimentalismo, nutrita dalle
scoperte scientifiche della sua epoca e dalla nuova attenzione rivolta alle
specie animali locali, mettendo anche in discussione la gerarchia tra le varie specie
equine. La pittrice statunitense ‘Molly Luce’ (1896 - 1986) scrisse
che ‘Il mercato dei cavalli’ era stata l’opera che l'aveva maggiormente
influenzata e spinta a diventare pittrice.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il ‘Salon’ del 1855, annesso in quell’anno all’Esposizione Universale’
di Parigi da cui ‘La bottega dell’artista’ di Courbet era stata categoricamente
rifiutata dalla giuria, Rosa aveva presentato “La fienagione in Alvernia”, un olio su tela di 215
cm × 422 cm, acquistato dallo Stato imperiale, ed aveva ottenuto una medaglia
d'oro, ma era stata deliberatamente esclusa dalla partecipazione alla cerimonia
di premiazione, perché una norma vietava alle donne di ricevere quel premio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua fama era diventata ormai tale che, dopo il ‘Salon’ del 1855 non
potette più parteciparvi, perché tutte le sue opere erano già vendute ‘sul
cavalletto’, ossia in anticipo, e, appena completate, erano subito spedite ai
collezionisti esteri.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGesECWpLjkYnpHrHG2rhQ_1-VGpxP0WuEKgW8r1je1TkE294JXJYB8pGrimNNbrdUjx6wE1455yUPW6yH1XJSTDmZwqHX_Ixoy-37kXEKc734qUjboEKTZ2r056lkGCpooWOZnQ_1d-VCEg83XoQ7xPfnd1_aKpLnWOFzlOIcLlOW_0Bql58KcpklM40/s853/Fig.%207%20-%20La_fenaison,_Rosa_Bonheur.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="416" data-original-width="853" height="312" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGesECWpLjkYnpHrHG2rhQ_1-VGpxP0WuEKgW8r1je1TkE294JXJYB8pGrimNNbrdUjx6wE1455yUPW6yH1XJSTDmZwqHX_Ixoy-37kXEKc734qUjboEKTZ2r056lkGCpooWOZnQ_1d-VCEg83XoQ7xPfnd1_aKpLnWOFzlOIcLlOW_0Bql58KcpklM40/w640-h312/Fig.%207%20-%20La_fenaison,_Rosa_Bonheur.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Ma qual era il segreto del suo successo? E soprattutto perché una pittrice,
realista come Courbet, oggi considerato una pietra miliare della pittura
dell’Ottocento, era scartato dai ‘Salon’ mentre a lei era consentito di esporre
senza bisogno di alcuna ammissione?</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sicuramente il grande talento, la forte determinazione, il lavoro
instancabile e la profonda fedeltà alla madre, idealizzata nelle alleanze
femminili che suggellò lungo tutta la sua esistenza.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma a questo bisogna aggiungere che Rosa, pur essendo una ‘realista’ era
una conservatrice, diversamente da Courbet. Non contestava il ‘sistema delle
arti’ e tanto meno entrava in polemica come facevano artisti e critici d’arte
contrari all’’accademismo’ dell’epoca, Courbet era invece un contestatore del
sistema. Inoltre Rosa, nel dipingere animali, seguiva perfettamente i dettami
della pittura accademica: disegni meticolosi, schizzi da tutte le angolazioni ed
esecuzioni in dipinto senza la minima sbavatura anticipando quasi la “pittura
iperrealista”. Infine era anche dotata di un formidabile senso degli affari e aveva
affidato la distribuzione delle sue opere alla ‘Casa d’Arte Goupil’ e al suo
agente Gambart che applicava le più moderne strategie di marketing. Si aggiunga
ancora a tutto questo che l’opinione pubblica cominciava ormai ad avere un peso
politico anche se si trattava di scelte artistiche e le opere di Rosa piacevano
al pubblico medio di allora, quello stesso pubblico che contestava o disertava le
mostre di Courbet e poco dopo quelle degli impressionisti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Pochi anni dopo, nel pieno della conquista della ‘frontiera’ occidentale
americana, il leggendario West, le opere di Rosa circolarono in tutta
l'Inghilterra e poi nel Nord America, grazie ai suoi amici mercanti d'arte, che
seppero plasmare e vendere "la sua immagine" e grazie anche alla sua
stessa capacità di autopromuoversi attraverso la sua eccentricità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La precisione anatomica delle sue opere oltre che conquistare le giurie
dei ‘Salon’ piaceva anche agli agricoltori americani, i ‘pionieri’ che, grazie
a lei, scoprirono i cavalli ‘Percheron’ e cominciarono a importarli dalla
Francia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’amore per sua madre fu il filo rosso anche della sua relazione con ‘Nathalie
Micas’ che aveva una vaga somiglianza fisica con lei, e Rosa condivise la sua vita
con Nathalie: appena si erano incontrate si erano subito sentite due ‘anime
gemelle’ ed erano diventate ben presto inseparabili. Nathalie aveva condiviso
con lei il suo primo studio, aiutandola nella preparazione dei quadri e nella
gestione amministrativa che assunse completamente insieme alla gestione
dell’immagine dell’artista, suggerendole, tra l’altro, l’adozione di un
originale completo di velluto nero che indossava nelle sue apparizioni
pubbliche.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nathalie, formata alla pittura da Rosa, oltre ad occuparsi dei cieli
nei suoi dipinti, curava l’orto, il giardino e gli animali, era esperta di medicina
e di fotografia, ma anche di meccanica: Rosa fece costruire una piccola linea
ferroviaria nel parco del castello sia per monitorare i suoi animali sia per
sperimentare un sistema di freni per locomotiva il “freno Micas”, utile per il
continuo sviluppo della rete ferroviaria: Nathalie ne fu l’inventrice, il
sistema fu sperimentato con successo nel 1862 nel parco della proprietà e il suo
brevetto fu depositato in quello stesso anno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 15 giugno del 1864, l'imperatrice Eugenia, la cattolicissima moglie
spagnola di Napoleone III, durante un soggiorno al castello di Fontainebleau, fece
una visita a sorpresa a Rosa per incontrare colei che aveva una così ben
consolidata reputazione per invitarla a pranzo al castello di Fontainebleau.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In una lettera al fratello, Rosa racconta l’episodio dell’ingresso dell’imperatrice:
“Mentre io ero impegnata al ‘Cervo sulle Lunghe Rocce’ sua Maestà venne a
sorprendermi con tutta la sua corte. Tu puoi bene immaginare quanto avrei
voluto nascondermi in qualche tana di topi. Per fortuna mi è bastato
togliermi il camice e mettermi una giacca”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 10 giugno 1865, l’imperatrice tornò di nuovo al Castello By per consegnarle
di persona la croce d’oro di cavaliere della ‘Legion d'Onore’ e, appuntandogliela
lei stessa sul camice, fece di lei la prima artista insignita di quest’alta onorificenza
nazionale. Anche in quella occasione la sorprese fra i suoi animali nel
giardino e le disse: "Voi ora siete un cavaliere, e sono felice di essere io
la madrina della prima artista donna che riceve questa alta onorificenza". Il
figlio dell'imperatrice però si incuriosì nel vedere questa donna vestita bizzarramente
in camice e pantaloni, segno che questo abbigliamento un po' provocatorio una certa
curiosità la suscitava.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Eugenia, mondana ammiratrice della regina Maria Antonietta, era però sempre
preoccupata per i più disagiati, era amante delle arti e delle lettere e, sensibile
alla causa delle donne, aveva già sostenuto con forza la candidatura di ‘George
Sand’ all'’Accademia di Francia’ e ora volle anche con Rosa sottolineare
l'importanza che attribuiva a quest’atto di giustizia verso le donne
e spiegò che serviva ‘a dimostrare che il genio non ha sesso’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1867 Rosa espose nuovamente i suoi dipinti in pubblico, all'’Esposizione
Universale’ che si svolse ancora una volta a Parigi. Quando scoppiò la ‘Guerra franco-prussiana’
del 1870 e il ‘Secondo l'Impero’ crollò, i prussiani arrivarono a Fontainebleau
sulla strada per Parigi. Rosa aveva acquistato armi per la difesa di
Thomery e permise agli abitanti del villaggio di esercitarsi nel suo parco: in
mancanza di cibo, distribuì loro una zuppa molto nutriente in enormi calderoni
e quando i soldati prussiani invasero il parco, attratti dalla scorta di carne per
il suo serraglio, Rosa salvò dalla fame i suoi animali invitando i soldati
nella sua cucina ma, da buona patriota, non condivise il pasto con i nemici. Essendo
molto famosa anche in Prussia ed essendo il principe reale prussiano Federico
Carlo un suo fervente ammiratore, le inviò una lettera di salvaguardia da
mostrare a tutti i comandanti militari: in essa il principe ordinava di
rispettare i suoi beni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Al momento della creazione della ‘Comune’ a Parigi Rosa, come molti altri
intellettuali (Théophile Gautier, Maxime du Camp, George Sand, Gustave
Flaubert, Edmond de Goncourt ed altri) condannò senza appello la ‘Comune’,
accusata di aver costituito un governo abbietto basato sul crimine e sulla follia,
guidato da individui irresponsabili ed esaltati.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In una lettera a ‘Jules Mène’ (1810 – 1879), scultore di animali di
dodici anni più grande di lei, scrisse: “Non riesco a digerire questa
repubblica di cartone più di quella del 1848, ora ho la saggezza che deriva
dall’età accompagnata dalla sua sincera e onesta indipendenza”. Nella lettera Rosa
criticava Mène per essere stato a Parigi a fine maggio, come tanti curiosi: “Cosa
si può fare nella Parigi di Papà Duchêne?<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/ROSA%20BONHEUR/ROSA%20BONEHUR.docx#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span style="line-height: 107%;">[1]</span></a> Saresti della
Comune? Io non posso accettare questo né che tu sia un sostenitore dei
principi artistici del cittadino Courbet che è bravo a dipingere con il
coltello, ma che trovo ottuso sotto tutti gli aspetti”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Anche se non dovette soffrire materialmente le ostilità del governo
comunardo, ne restò comunque psicologicamente segnata e le sue opere riflettono
questo colpo: iniziò infatti a dipingere animali selvatici.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 1875 fu un anno molto doloroso per Rosa a causa della morte di Henriette
Micas e anche la sua salute si indebolì: incominciò a soffrire di brutte emorragie
che le impedivano di lavorare finché non fu operata alla fine del 1883. Dopo la
morte di Madame Micas, anche la salute di Nathalie incominciò a suscitare preoccupazioni:
le due donne infatti trascorrevano i loro inverni a Nizza, e tornavano al castello
di By solo con il bel tempo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A febbraio del 1884 morì Auguste, fratello di Rosa, a giugno del 1889 morì
anche Nathalie, lasciandola in un dolore insormontabile. Negli anni bui seguiti
alla morte di Nathalie, non trovò nemmeno più sollievo nel suo lavoro e la
sua produzione artistica ne soffrì. Rosa aveva iniziato nel 1864 una nuova monumentale
tela che rappresentava ‘La follatura del grano in Camargue’, un’opera che lasciò
in sospeso dopo la morte di Nathalie, che successivamente avrebbe voluto presentare
all’’Esposizione universale’ del 1900 ma che non riuscì mai più a completare. Quest’ultima
opera incompiuta si trova ora al ‘Museo delle Belle Arti’ di Bordeaux.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In occasione dell’Esposizione Universale’ di Parigi del 1889 incontrò ‘Buffalo
Bill’ e la sua troupe del selvaggio West e si appassionò ai cavalli
selvaggi, ai bisonti e ai paesaggi del West americano.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dalla morte della sua amica, Rosa viveva rintanata nel suo castello e quando
seppe che Buffalo Bill sarebbe arrivato in Francia con il suo spettacolo, il “Wild
West”, vide questo fatto come un'opportunità unica per disegnare dal vero i bisonti,
i cavalli da rodeo e perfino gli indiani Lakota. Da parte sua, Bill immaginò
che la famosa pittrice potesse dipingere il suo ritratto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fra i due fu un incontro importante.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il colonnello ‘William Frederick Cody’ in arte “Buffalo Bill” (1846 –
1917) era venuto in tournée a Parigi nel 1889 in occasione dell'’Esposizione
Universale’ con il suo spettacolo di cowboy e indiani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Carismatico, giovane e bello, anche lui come Rosa era una ‘star’ di
‘fin de siècle’: figura mitica ed emblematica dell’epopea della ‘conquista
dell'West’, Buffalo Bill era stato un postino del ‘Pony Express’, un cacciatore
di bisonti e un colonnello dell’esercito nordista. Nel suo spettacolo, presentava
scene della vita dei pionieri, una caccia al bisonte, l'attacco a una diligenza
e alla casetta di un pioniere da parte degli indiani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Appassionata di ‘indiani’, Rosa fu ovviamente presente a questo
spettacolo che, ogni giorno da maggio a ottobre riunì 30.000 persone, e ottenne
da Buffalo Bill l'autorizzazione a recarsi al campo e di muoversi liberamente
nel suo accampamento dove assistette alla vita quotidiana dei ‘Pellerossa’ e
dove ogni giorno andava a disegnare le loro armi, i loro cavalli e i loro
bisonti, che vedeva per la prima volta, potendo finalmente studiare dal vivo quel
popolo che da tempo l’appassionava.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa moltiplicò i disegni di quelle ‘creature così diverse’ da quelle
che fino ad allora erano passate davanti a lei con una vera passione
antropologica, deplorando che essi fossero stati condannati all’estinzione
dall’’usurpatore bianco’. Parlava con loro e anche se non si capivano, si
riconoscevano nel loro amore per gli animali e per la natura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nonostante un oceano di differenze, l'artista ‘femminista’ e l'’avventuriero
del selvaggio West’ si divertivano a discutere delle arti e dell'amore per la
natura, attraverso un dialogo che si sarebbe trasformato in un solido legame.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In cambio dell’ospitalità, Rosa invitò Buffalo Bill a Thomery, pranzarono
all'’Hôtel de France’ di Fontainebleau e cercarono di organizzare una battuta
di caccia al cinghiale. </div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa trovò anche l'opportunità di far montare due cavalli selvaggi, ‘Apache’
e ‘Clair-de-Lune’, doni di un ammiratore americano. Buffalo Bill, cavaliere
eccezionale, non ebbe problemi a domarli e partì con loro, non prima però che
l'artista lo avesse ritratto in sella al suo cavallo preferito.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.8</div></span><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/bb/Rosa_Bonheur_-_Portrait_de_Col._William_F._Cody.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/bb/Rosa_Bonheur_-_Portrait_de_Col._William_F._Cody.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgC2eDTv0JUr_gLEdaj1LibfoPuzZGlFxUcqiVGSWiFLjfZAzNjXIqvT_ayGBxW1qvzoem6WCUzfSCJRsEiehApRGJri97BDBAlq8y1TcnuVbYOLt777qGutE8FG79R0MRF5uF7gJGgkp4K9PCVMG8bOHulwuNSWdIJnl6EUeodPRcQ1ttnzBGZj29Ywyg/s3814/Fig.%208%20-%20Rosa_Bonheur_-_Portrait_de_Col._William_F._Cody.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3814" data-original-width="3168" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgC2eDTv0JUr_gLEdaj1LibfoPuzZGlFxUcqiVGSWiFLjfZAzNjXIqvT_ayGBxW1qvzoem6WCUzfSCJRsEiehApRGJri97BDBAlq8y1TcnuVbYOLt777qGutE8FG79R0MRF5uF7gJGgkp4K9PCVMG8bOHulwuNSWdIJnl6EUeodPRcQ1ttnzBGZj29Ywyg/w532-h640/Fig.%208%20-%20Rosa_Bonheur_-_Portrait_de_Col._William_F._Cody.jpg" width="532" /></a></div></div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Negli anni che seguirono i due si scrissero e, quando la sua casa andò
a fuoco, Buffalo Bill si rifiutò di uscire senza il ritratto che la sua amica
Rosa gli aveva dipinto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 12 maggio 1894, durante la Terza Repubblica, grazie al presidente
della Repubblica Sadi Carnot, suo amico e ammiratore, Rosa diventò anche la
prima donna nominata ‘Ufficiale di Francia’ un’onorificenza fino ad allora mai attribuita
ad artiste, ma solo a donne che avevano compiuto un atto di coraggio o reso un chiaro
servigio alla nazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel corso della sua esistenza Rosa ottenne innumerevoli altri premi e
riconoscimenti nazionali e internazionali che non le evitarono mai però attacchi
che s’intensificarono particolarmente nei suoi ultimi vent’anni di vita con le
critiche dei giovani pittori che ormai la ritenevano superata, ma lei fu sempre
convinta che essi fossero mossi non tanto dal fatto che fosse vecchia e attardata,
quanto dal fatto che era una donna di successo capace di dimostrare che l’arte
non ha sesso rivendicando e anche sostenendo la ‘grande e indomita ambizione
per il sesso al quale sono fiera di appartenere e di cui sosterrò
l’indipendenza fino alla fine dei miei giorni’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Durante la sua vita Rosa si circondò di personaggi politici e
artistici alla moda come il Presidente della Repubblica francese ‘François Sadi
Carnot’ e il compositore ‘George Bizet’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’’Esposizione Universale’ del 1889 le aveva dato anche l'opportunità di
conoscere un’altra donna fondamentale nella sua vita, la ritrattista americana ‘Anna
Klumpke’ (1856 – 1942), sua grande ammiratrice.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Di trentaquattro anni più giovane di Rosa, questa giovane pittrice era
già affermata negli Stati Uniti dove aveva eseguito, tra gli altri suoi dipinti,
un ‘Ritratto di Elisabeth Cady Stanton’<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/ROSA%20BONHEUR/ROSA%20BONEHUR.docx#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span style="line-height: 107%;">[2]</span></a>, un’attivista del
movimento di emancipazione femminile. Anna era venuta in Francia per dipingere
il ritratto del suo "mito", perché proprio a Rosa doveva la sua
vocazione per la pittura, che aveva scoperto al “Metropolitan” davanti a ‘Il
mercato dei cavalli’, di cui aveva fatto una copia che le aveva permesso di
pagarsi il primo anno di studio all’’Accademia Julian’, un scuola d'arte privata
di pittura e scultura fondata a Parigi nel 1867, famosa per il numero e la
qualità degli artisti che la frequentarono: nel 1880, le donne a cui non era
permesso iscriversi agli studi all'École des Beaux-Arts erano accettate
dalla nuova Accademia. </div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le due pittrici si erano già incontrate nell'autunno del 1889, subito
dopo la morte di Nathalie Micas, ma solo nel 1898, dopo diverse visite alla
pittrice, Anna trovò il coraggio di chiederle il permesso di dipingere il suo
ritratto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa ne fu felicissima: si era ormai affezionata ad Anna, che ancora
una volta le ricordava la madre morta troppo presto, e vedeva nella più giovane
‘sorella di tavolozza’, colei che avrebbe saputo meglio proteggere e
trasmettere ai posteri la sua opera e la sua memoria e le affidò così anche il
compito di scrivere sulla sua biografia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa la pregò di condividere la loro esistenza, di prendere con lei il
posto che aveva occupato Nathalie e di aiutarla a scrivere le sue memorie. Anna
si trasferì così al castello di By per realizzare i suoi primi schizzi e non ne
sarebbe andata più via.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le loro affinità elettive si confermarono.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il 1898 fu l’ultimo anno della vita di Rosa che, grazie ad Anna, ebbe
un rigurgito di vitalità e di gioia rinnovando il suo modello esistenziale
della ‘perfetta amicizia’ anche con la pittrice statunitense.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dall'arrivo di Anna, sentì finalmente rimuoversi quel peso di piombo che
gravava su di lei dopo la scomparsa della sua amata amica.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Con serietà ed entusiasmo progettò il completamento del grande quadro
della ‘Follatura del grano in Camargue’. Con Anna al suo fianco, sentì che
le forze le ritornavano. Desiderava inoltre lasciare in eredità alla
giovane tutti i suoi beni, con la responsabilità di prendersi cura della sua memoria
futura. Se le sue opere fossero toccate ai nipoti e al fratello Isidoro
(la sorella Giulietta era morta nel 1891) era convinta che avrebbero dissipato tutto
senza alcuna preoccupazione per assicurarle la fama postuma.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 9</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxHbpR99COPXahMqb4avUaUXloVUIXJXrbjepe3jgvHUxNCMxg0jprceXmiqE0rUcgAjHzhIFmHWBmESAA8EOzP5ga9CqzP6aFLsaUkPi49AWFx-yjhlmZB54gsuwH6UqKCN9VXytyu5Whv5MOkNzoxecWmM6kplJ8Qzg3o9IjVVBvraE-WLHWk26Uf8Y/s1200/Fig.%209%20-%20Rosa%20bonheur%20-%20la%20follatura%20del%20grano%20in%20camargue.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="1200" height="308" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxHbpR99COPXahMqb4avUaUXloVUIXJXrbjepe3jgvHUxNCMxg0jprceXmiqE0rUcgAjHzhIFmHWBmESAA8EOzP5ga9CqzP6aFLsaUkPi49AWFx-yjhlmZB54gsuwH6UqKCN9VXytyu5Whv5MOkNzoxecWmM6kplJ8Qzg3o9IjVVBvraE-WLHWk26Uf8Y/w640-h308/Fig.%209%20-%20Rosa%20bonheur%20-%20la%20follatura%20del%20grano%20in%20camargue.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Rinvigorita dalla sua presenza, Rosa iniziò i lavori al castello di By,
in particolare la costruzione di un nuovo laboratorio per completare il grande
dipinto che, secondo lei, avrebbe consolidato la sua reputazione di più grande
pittrice di animali del suo tempo presentandolo all’’Esposizione Universale’
del 1900.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Purtroppo questa rinnovata vitalità e questo nuovo progetto di vita furono
di breve durata brutalmente interrotti dalla sua morte improvvisa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa prese un raffreddore e spirò per una complicanza polmonare il 25
maggio 1899.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Aveva 77 anni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fu sepolta nel “Cimitero di Père Lachaise” a Parigi, nella tomba della
famiglia Micas, accanto a Nathalie e ad Anna Klumpke le cui ceneri per sua
espressa volontà furono riportate a Parigi dagli Stati Uniti nel 1948.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 10<br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbvvrwP4bJZMmHp9EfqALVtHgwZ-1BXm8FLa25EfLfyzm31ejhyphenhyphenYZqzdBnluvGiVIm7cr5oao3EoVvMW63W4zlGvHLyXuDNkqqozbJRVWTfOljez5JaRCjnMOWqLQN9K97i41eoFSiFFGztP-p-CpEDgrKkPpjj86EYlUYFbWwfJUVbM0C3XGD1RslxbQ/s6585/Fig.%2010%20-%20Anna_Klumpke_-_Portrait_of_Rosa_Bonheur_(1898).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="6585" data-original-width="5479" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbvvrwP4bJZMmHp9EfqALVtHgwZ-1BXm8FLa25EfLfyzm31ejhyphenhyphenYZqzdBnluvGiVIm7cr5oao3EoVvMW63W4zlGvHLyXuDNkqqozbJRVWTfOljez5JaRCjnMOWqLQN9K97i41eoFSiFFGztP-p-CpEDgrKkPpjj86EYlUYFbWwfJUVbM0C3XGD1RslxbQ/w532-h640/Fig.%2010%20-%20Anna_Klumpke_-_Portrait_of_Rosa_Bonheur_(1898).jpg" width="532" /></a></div><div style="text-align: justify;">Rosa aveva affidato alla giovane amica i suoi ricordi e la redazione
della sua biografia, e, chiamandola ‘figlia davanti alle Muse’, l’aveva nominata
sua erede universale, come era avvenuto, a suo tempo con Nathalie e lei stessa
di Nathalie.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Anna, che condivise con Rosa l'ultimo anno di vita dell'artista ne scrisse
la biografia ufficiale "Ricordi della mia vita", pubblicata per la
prima volta nel 1908 e recentemente ristampata da ‘Phébus’ nel 2022 in
occasione del bicentenario della nascita dell’artista. Dal libro emerge che
l'ammirazione di Rosa Bonheur per gli Stati Uniti è stata reciproca al punto
che "le femministe americane dell'epoca offrivano alle loro figlie bambole
con la sua immagine".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fedele alla sua ’missione sacra’ di cui era stata investita, Anna si attivò
su tutti i fronti per difendere e diffondere la memoria della famosa pittrice,
conservando tra l’altro inalterato il grande studio, in stile neogotico, dove
Rosa aveva realizzato le sue opere negli ultimi quarant’anni. Anna si occupò inoltre
del suo inventario, elencando una collezione di 2.100 opere fra dipinti,
acquerelli, disegni, incisioni e sculture che Rosa non aveva mai voluto esporre
al “Salon” per non fare ombra alla carriera di suo fratello scultore Isidore, anche
se continuò a scolpire per tutta la vita: la maggior parte di queste opere fu
venduta alla ‘Galleria George Petit’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La collezione pubblica francese è conservata presso il ‘Dipartimento
di Arti Grafiche’ del ‘Museo del Louvre’, al ‘Castello di Fontainebleau’ e al ‘Musée
des Beaux-Arts’ di Bordeaux.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il ritratto di Rosa, realizzato da Anna, troneggia accanto all’ultima
tela incompiuta, su una sedia con gli abiti da lavoro, i colori sulla
tavolozza, e i pennelli pronti all’uso, come se dovesse rientrare da un momento
all’altro per terminare il dipinto. Alle pareti, fotografie, disegni, e ancora
ritratti, tra cui quello di lei bambina realizzato dal padre. Lo sguardo
determinato, la matita in mano, e per terra un foglio con una grande A.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In occasione del bicentenario della sua nascita Rosa Bonheur è stata oggetto
di nuove biografie e di nuovi studi, ma la sua pratica artistica dopo la
sua morte e forse anche prima aveva cominciato ad essere considerata obsoleta
alla luce delle nuove tendenze dell'Arte moderna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua fama pertanto svanì rapidamente dopo la sua morte.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nonostante il suo ‘animalismo’ e il suo ‘femminismo’ che avrebbero
dovuto fare di lei una donna ‘alternativa’, Rosa Bonheur fu invece facilmente
associata al mondo borghese in cui era molto addentrata e al quale si
opponevano invece le avanguardie artistiche a cominciare dall’’Impressionismo’,
un rapporto amplificato dalla chiarezza delle sue posizioni estetiche conservatrici:
le più moderne tendenze artistiche ripudiarono il suo stile pittorico e
“Paul Cézanne” fu molto critico nei suoi confronti considerandola “un
eccellente sottoprodotto” dell’Arte. Del resto il suo conservatorismo estetico era
stato inflessibile di fronte ai nuovi movimenti artistici in Francia come l'Impressionismo,
che incominciarono a gettare ombra sulla sua opera e molti consideravano la
Bonheur troppo commerciale e caratterizzarono la sua incessante produzione su
commissione come quella di una fabbrica, da cui sfornava dipinti privi di ispirazione
pertanto i nuovi orientamenti del gusto la inquadravano nella categoria del ‘kitsch’.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Che sia a causa del diminuito gusto per il realismo dell’Ottocento o del
suo status di donna o di una combinazione di queste due cause, Rosa Bonheur mantiene
nella Storia dell’Arte più il profilo di una “donna pioniera” a cui guardare, che
di una grande pittrice.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa Bonheur, caduta in quel relativo oblio, è stata riscoperta alla
fine degli anni Ottanta del Novecento grazie a una retrospettiva itinerante del
1997 partita da Bordeaux, giunta a Barbizon e infine a New York.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In ambito critico ritorna oggi la domanda sull’altalenante interesse
per la carriera di Rosa Bonheur. Fu vera gloria?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua posizione artistica in realtà è anomala innanzi tutto perché la
sua pittura si svolse lontano dalle correnti artistiche contemporanee, anche se
rimase vicina ma comunque non inserita nella ‘scuola di Barbizon’ e nel ‘Realismo’
di cui fu un’artista atipica. In lei non ci fu alcuna ispirazione religiosa e
spirituale come in ‘Millet’ e nessun orientamento politico come in ‘Daumier’
e in ‘Courbet’, realisti anche loro, ma profondamente impegnati nel dibattito
politico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua stessa scelta di nicchia, quella di rappresentare gli animali
viventi, passata la ‘moda’ del momento, fece precipitare in picchiata l’interesse
per la sua pittura dopo la sua morte. Rosa aveva scelto deliberatamente di
rivolgersi all'anatomia del mondo animale, al paesaggio di sfondo e al grande
formato, piuttosto che alle scene di genere o alle nature morte, e per questo rappresentò
regolarmente gli animali domestici per i suoi ricchi clienti: si sforzò e riuscì
a catturare la bellezza dei loro corpi, rivelati nei loro atteggiamenti e nel loro
essere stesso, approfondì lo studio del loro mantello e dell'espressione
trasmessa attraverso i loro occhi. Ma, tranne un pugno di opere pregevoli – e
sono quelle nelle quali, non a caso, appare la figura umana –, esse avevano un
valore solo e puramente decorativo e destinato solo agli appassionati del
genere.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Eppure a guardare le onorificenze ufficiali sembrerebbe di no: medaglia di
III classe nella sezione “Paesaggi e Animali” al ‘Salon’ del 1845, medaglia di
I classe al ‘Salon’ del 1848, esenzione dei suoi dipinti dal giudizio
della giuria di ammissione nel ‘Salon’ del 1853, membro onorario della ‘Pennsylvania
Academy of Fine Arts’ e della ‘Società di Artisti Belgi’ nel 1863, “Cavaliere
della Legion d'Onore” su decreto nel consiglio dei ministri nel 1865, sempre
nello stesso anno le fu assegnata la “Croce di San Carlos del Messico”,
dall'imperatore Massimiliano e dall'imperatrice Carlotta, membro dell'”Accademia
di Belle Arti” di Anversa nel 1868, “Commendatore dell'ordine reale d'Isabella”
da parte di Alfonso XII di Spagna e sempre nello stesso
anno le fu conferita la “Croce al merito” dell’”Ordine di Leopoldo” del Belgio nel
1880, membro onorario della “Reale Accademia degli Acquarellisti” di Londra nel
1885 e nello stesso anno croce al “Merito delle Belle Arti” di
Sassonia-Coburgo-Gotha, “Ufficiale della Legion d'Onore” nel 1894 e la medaglia
d'onore postuma della “Società degli artisti francesi” nel 1899.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Spesso ritorna la domanda sulla ragione per cui dopo essere rimasta così
a lungo dimenticata e sconosciuta nel panorama artistico francese e ha conosciuto
una rinascita di popolarità negli ultimi anni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Diverse ragioni spiegano sia l’oblio sia la riscoperta.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nella società esistono indubbi cambiamenti di mentalità che permettono
di guardare in modo diverso Storia, Arte e Letteratura: ogni volta che un’epoca
intraprende un processo di revisione su un’altra, rivede sì il passato, ma lo
si fa sempre dall’ottica del presente. Il nostro presente è rivolto alla
rivendicazione della parità di genere e in tal senso guardiamo con un occhio particolare
le artiste. A questo si aggiunga che oggi il cambiamento climatico e le
riflessioni ecologiche sono al centro delle nostre preoccupazioni e per questo risuona
più forte la visione della Bonheur affascinata dalla natura, dagli esseri
viventi, dagli animali, e si rimane affascinati dal suo modo di mostrarli nella
loro individualità e bellezza.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rispetto al Novecento poi, oggi è cambiato anche il nostro rapporto
con la pittura. Se per un certo periodo Rosa Bonheur è stata eclissata dagli
artisti d'avanguardia di cui lei non faceva parte questo è successo perché è
stata sostanzialmente una pittrice figurativa, e troppo di nicchia anche
nell’ambito del “Realismo”: questo ne decretò il successo durante la sua vita e
l’oblio dopo la sua morte. Erano gli anni in cui si stavano formando le ‘avanguardie
storiche’ che trasformarono lo scandalo in una potente macchina da guerra
artistica e che condizionarono fortemente gli sviluppi dell’Arte del Novecento destrutturando
la figura fino all’astrazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Oggi, rispetto al Novecento, si è verificato un rinnovato interesse
per la più tranquillizzante e comprensibile Arte figurativa e questo ha fatto
eco anche nella riscoperta dell’opera di Rosa Bonheur.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Altrettanto spesso ritorna la domanda sulla sua omosessualità. All'epoca
la pittrice lo confutò recisamente, ma aveva forse una scelta? E che
importanza può avere oggi ancor più che ieri che viviamo in una società così
liquida?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rosa Bonheur è stata una donna che ha voluto la sua libertà e che non ha
voluto dipendere dagli uomini e si è saputa prendere come ha voluto la sua
libertà.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span></span><p></p>
<div style="mso-element: footnote-list;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">_________________________________</span></div><!--[if !supportFootnotes]--><div id="ftn2" style="mso-element: footnote;">
</div>
<div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
<p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/ROSA%20BONHEUR/ROSA%20BONEHUR.docx#_ftnref3" name="_ftn3" style="mso-footnote-id: ftn3;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="line-height: 107%;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></span></a>
Papà Duchesne era
un personaggio immaginario della Rivoluzione francese<span style="color: #996633;"> </span>rappresentativo dell'uomo del popolo sempre pronto
a denunciare abusi e ingiustizie.<o:p></o:p></span></p>
</div>
<div id="ftn4" style="mso-element: footnote;">
<p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/ROSA%20BONHEUR/ROSA%20BONEHUR.docx#_ftnref4" name="_ftn4" style="mso-footnote-id: ftn4;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="line-height: 107%;">[2]</span></span></span></span></a> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoMYLZ5zdntvW1wHqVZGIHaW7Pf8o2aRATOIRNGC49K9z7sPqILfQCowYj-8q_M7iG0Juj5GfWMUOcgKfr9ZMUSEDC8Ihjzd3MdFOckdcI4s-3IWAH940KtxEOAwgayWwoTREqd1eMYSSlTWh9ScFkzl_myhA28TWUUhqbDbFhUOByWgeTZjovfyKtHYM/s800/Fig.%2011%20-%20Anna%20Klemp%20-%20Elizabeth_Cady_Stanton,_1889.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="644" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoMYLZ5zdntvW1wHqVZGIHaW7Pf8o2aRATOIRNGC49K9z7sPqILfQCowYj-8q_M7iG0Juj5GfWMUOcgKfr9ZMUSEDC8Ihjzd3MdFOckdcI4s-3IWAH940KtxEOAwgayWwoTREqd1eMYSSlTWh9ScFkzl_myhA28TWUUhqbDbFhUOByWgeTZjovfyKtHYM/w516-h640/Fig.%2011%20-%20Anna%20Klemp%20-%20Elizabeth_Cady_Stanton,_1889.jpg" width="516" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span><o:p></o:p><p></p>
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-91702909034991255202024-01-29T01:52:00.000-08:002024-01-29T01:52:55.398-08:00Jean-François Millet e i dipinti contadini di Massimo Capuozzo<p></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">Nel racconto di oggi parlerò di alcuni dei più
bei dipinti dell'Arte francese dell’Ottocento. Si tratta di opere di che già
impressionarono i suoi contemporanei, da Vincent Van Gogh a Odillon Redon. Oltre
al Museo d'Orsay e al Museo di Cherbourg, molte opere di Millet si
trovano negli Stati Uniti per una serie di tortuosi sentieri che spesso la
Storia imbocca.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Come per “Gustave Courbet” anche
per “Jean-François Millet” (1814-1875), di cui molte opere hanno a che fare
con il lavoro umano, si pone il problema di quanto l'arte dovrebbe recare
in sé un messaggio politico-sociale, sebbene per Millet il problema del
rapporto fra arte e impegno sociale sollevi maggiori dubbi rispetto al più
palesemente schierato a sinistra Courbet.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Figura importante della pittura francese
della metà del secolo, Millet è stato uno dei fondatori e uno degli esponenti
di spicco della “Scuola di Barbizon”, quel gruppo informale di pittori
paesaggisti che vivevano a sud di Parigi vicino alla foresta di Fontainebleau,
dove anche Millet si era stabilito nel 1849.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet assurse alla notorietà per i suoi
“paesaggi” ma soprattutto per le sue “scene di genere”, che mostrano
l'estenuante vita dei contadini francesi, e fu uno di quegli intellettuali, che
seppe trasformare l'esperienza personale della miseria e del dolore in
autentica bellezza.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Cantore sublime dei compiti quotidiani dei
contadini, per i quali la questione stessa dell'esistenza, della vita e della
morte, è decisa dai capricci della terra, in questo Millet ha trovato il dramma
supremo dell'umanità. La terra di Normandia è la scena su cui si svolge quest'epica
tragedia e il contadino intento al suo incessante è il protagonista paziente e
devoto lavoro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nella devozione e nella fatica del contadino
c’è sempre la compassione del pittore, uno spettacolo che porta l’artista alla
preghiera e alle lacrime.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Jean-François Millet era nato il 4 ottobre
1814 a Grèville in Normandia all'estremità nord occidentale del dipartimento
della Manica, più precisamente nella frazione di L’Hague, il luogo più remoto e
selvaggio di quel distretto, un gruppo di poche casette a cento metri dal mare.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Jean-François era il figlio maggiore di una
famiglia di fittavoli normanni. Pastore da bambino e poi più grande addetto all’aratura
dei campi, nonostante un’origine così modesta, riuscì ad avere accesso ad una
certa cultura, soprattutto grazie a un suo zio, un prete con fama locale di
letterato: grazie a lui imparò infatti il latino, lesse Montaigne, La Fontaine,
Omero e soprattutto Virgilio, che dovette colpirlo particolarmente, Shakespeare
e Milton, Chateaubriand e Victor Hugo e questi autori lo accompagnarono per
tutta la vita. La sua lettura preferita rimase però sempre la Bibbia. Jean-François
sentiva una fede profonda che riecheggiava la devozione incondizionata e un po'
terrificante di sua madre e di sua nonna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I suoi genitori erano dei fittavoli, quindi non
erano proprietari, e il guadagno era scarso a fronte della molta fatica: il
bambino, poi ragazzo, viveva con la sua famiglia l'esistenza tipica di un
giovane contadino povero.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le sue capacità di disegno furono tuttavia piuttosto
rapidamente notate e apprezzate, fin dalla sua infanzia da coloro che lo
circondavano, ma fino a vent’anni Jean-François lavorò i campi con la famiglia,
poi, nel 1833, grazie ai contatti dello zio prete, fu mandato dal padre a
Cherbourg, una cittadina a poca distanza dal suo paesello, per apprendere il
mestiere di pittore, prima nello studio del ritrattista “Paul Dumouchel”, un
artista di terz'ordine che vantava un alunnato presso David, senza comunque trascurare
di aiutare la famiglia nel lavoro dei campi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1835 poi frequentò, ma questa volta a
tempo pieno, l’atelier del pittore di storia e ritrattista “Lucien-Théophile
Langlois de Chèvreville”, allievo del barone Gros, dove completò il suo
apprendistato e con il quale realizzò numerose copie di opere dei grandi
maestri che il collezionista locale Thomas Henry aveva appena donato al comune
di Cherbourg e che Millet riproduceva con molta assiduità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua copia de “I pastori dell'Arcadia” (92 × 110 cm)
di “Nicolas-Antoine Taunay” fu uno dei suoi primi tentativi di paesaggio. Sullo
sfondo di una composizione mitologica, dipinse una natura artificiale, uno
sfondo semplice su cui si stagliano i personaggi, che già sono i veri centri d’interesse
dell'artista.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.1</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjej04u2oyDrjHW7aTtqN1XJDwrG_djRMohgPRQD8lQZ8tIOegyzborJbNx5zUkGHAUT6TQTYBwc1QQU-ylm3FpdT7mi2wwlfBYSl1sb8pwSoyprjRZ2zTYI2Bb6lTQJs4ZPKpW-WTylqdtnm9I-b4MK-g91sPpbjodcTweIA6-TVRt89jDv8gD-lAYpVE/s1574/Fig%20.%201%20-%20Bergers_d'Arcadie,_Millet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1237" data-original-width="1574" height="502" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjej04u2oyDrjHW7aTtqN1XJDwrG_djRMohgPRQD8lQZ8tIOegyzborJbNx5zUkGHAUT6TQTYBwc1QQU-ylm3FpdT7mi2wwlfBYSl1sb8pwSoyprjRZ2zTYI2Bb6lTQJs4ZPKpW-WTylqdtnm9I-b4MK-g91sPpbjodcTweIA6-TVRt89jDv8gD-lAYpVE/w640-h502/Fig%20.%201%20-%20Bergers_d'Arcadie,_Millet.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Grazie all’interessamento di Langlois,
estimatore del suo allievo, il vecchio e simpatico maestro intercedette presso
un comitato cittadino affinché Jean-Francois potesse ottenere una borsa di
studio dal comune di Cherbourg per poter continuare gli studi a Parigi e quindi
migliorare le sue capacità.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1837, il ventitreenne Jean-Francois si
trasferì nella capitale, dove avrebbe studiato all'”Ecole des Beaux-Arts” sotto
la guida del pittore accademico “Paul Delaroche” (1797 – 1856), autore di
soggetti storici ed eccellente ritrattista oltre ad essere un professore di
profonda sensibilità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet lasciò dunque la sua casa e si recò a
Parigi, ma appena giunto, fu colto da una grande nostalgia della sua campagna.
Dalle terse giornate della Normandia, in una nevosa sera di gennaio Jean-François
era giunto in "una Parigi nera, fangosa e fumosa", come egli stesso
la definì.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il traffico dei mezzi, la luce dei lampioni
soffocata dalla nebbia, i vicoli stretti e le baraccopoli sporche gli facevano
venire le lacrime agli occhi. Per controllare un improvviso scoppio di pianto,
si gettò in faccia manciate d'acqua fredda da una fontana di strada. Questo lo
fece sentire meglio. Dopotutto, era a Parigi per un pellegrinaggio “religioso”:
la religione dell’arte. Gli tornarono allora in mente le ultime parole di sua
nonna, una cattolica severa e maestosa con l'animo di una puritana che, prima
di congedarsi da lei gli aveva detto: "Preferirei vederti morto, figlio
mio, piuttosto che essere ribelle e infedele ai comandamenti di Dio... Ricorda,
sei un cristiano prima di essere un artista".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quando Jean-François si unì al corso d'arte a
Parigi, gli eleganti studenti cittadini ridevano delle sue rudi maniere
campagnole. Alcuni di loro, più sinceri degli altri, provarono però la forza
dei suoi pugni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I compagni di classe avevano soprannominato
quel ragazzone normanno, un po' ridicolo ma anche ammirato, il ”selvaggio uomo
dei boschi”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">All'”Ecole des Beaux-Arts”, Jean-François rimase
due anni fino al 1839 quando, in seguito al suo fallimento al concorso del “Prix
de Rome”, la borsa di studio non gli fu più rinnovata e ritornò in Normandia,
dove incominciò la sua carriera di ritrattista.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Durante le sue prime visite al museo di
Cherbourg, poi al Louvre quando era a Parigi, Millet si era soffermato, innanzitutto
e soprattutto, davanti ai dipinti olandesi del Seicento che raffiguravano quelle
scene di vita quotidiana che lo affascinavano tanto e che lo avrebbero maggiormente
appassionato durante la sua carriera di pittore. Di tutta la Storia
dell’Arte, il modello “olandese” fu quello che Jean-François principalmente apprezzò,
sentendosi a poco a poco incoraggiato a dipingere soggetti comuni “allo stile
olandese”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Col tempo a Parigi incominciò a stringere
alcune interessanti amicizie che contribuirono alla sua emancipazione
artistica. In particolare, simpatizzò con Honoré Daumier che, oltre alla
satira dei potenti, eccelleva nella rappresentazione dei poveri. Millet
incontrò anche un giovane che, dopo essere stato marinaio, era diventato
commerciante di carta: si chiamava “Eugène Boudin” (1824 – 1898) e si dedicava
alla pittura. I due amici si incoraggiavano a vicenda nel loro cammino
verso il “Realismo”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tornato in provincia sposò “Pauline Ono”,
figlia di un sarto di Cherbourg, della quale fece un bel ritratto e con lei si trasferì
ancora a Parigi, ma Pauline, di salute fragile, morì di tubercolosi
nell'aprile 1844.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.2</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMJY3NnNkxpWEjiUePJIoniz1O9F_njP2D7oucGMfDVU3bSwECZ05ys7vecURCuszkyGISBg0Odj1w5NbGgRhRDzeUjhjiHBvQoAVsxJXIBHK0ygFDG8Uu57S5BXXibjshQ3xpS9dq8G9kXtMSIi-4mPZP9wGJ5BMwEiQljAfYkjbjgYkR_tP8xA8x7yY/s1038/Fig.%202%20..%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet,_Pauline_Ono.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1038" data-original-width="800" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMJY3NnNkxpWEjiUePJIoniz1O9F_njP2D7oucGMfDVU3bSwECZ05ys7vecURCuszkyGISBg0Odj1w5NbGgRhRDzeUjhjiHBvQoAVsxJXIBHK0ygFDG8Uu57S5BXXibjshQ3xpS9dq8G9kXtMSIi-4mPZP9wGJ5BMwEiQljAfYkjbjgYkR_tP8xA8x7yY/w494-h640/Fig.%202%20..%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet,_Pauline_Ono.jpg" width="494" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Rimasto solo e con l’anima dolorante, Millet se
ne tornò quindi a Cherbourg dove però incontrò “Catherine Lemaire”, un'ex
domestica che lo colmò di tenerezza con cui intraprese una relazione e ne
dipinse il ritratto nel 1845.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.3</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcJjvQXh4Q1QQDAhxecYykBM-3Nug9c7BY5-k7wux3OGkhCP5c4PAiek-iduU-70By6hb_DX9p-3rT9R8yTvx7dXwHKmL-RBEkPq22W-zwZUp0WE_7Nk1-xckEepedKwdS2W6NtbStP74z25YQd-XEJNAenXiXdJ7GOj_u2MfE1pAFjvbhxxb0pQ6Ha6E/s1406/Fig.%203%20-%20Catherine_Lemaire,_Millet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1406" data-original-width="1065" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcJjvQXh4Q1QQDAhxecYykBM-3Nug9c7BY5-k7wux3OGkhCP5c4PAiek-iduU-70By6hb_DX9p-3rT9R8yTvx7dXwHKmL-RBEkPq22W-zwZUp0WE_7Nk1-xckEepedKwdS2W6NtbStP74z25YQd-XEJNAenXiXdJ7GOj_u2MfE1pAFjvbhxxb0pQ6Ha6E/w484-h640/Fig.%203%20-%20Catherine_Lemaire,_Millet.jpg" width="484" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Catherine gli avrebbe dato nove figli e lui l’avrebbe
sposata solo nel 1853 per le profonde inibizioni religiose di Jean-François che
riteneva peccaminoso risposarsi.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per sfuggire allo scandalo, si trattava in
realtà di una coppia di fatto in un paesino di provincia, si trasferirono nella
città portuale di “Le Havre”, in Normandia, dove Millet viveva facendo
ritratti e scene di genere leggero.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tornato a Parigi nel 1846, incontrò “Constant
Troyon”, “Narcisse Diaz de la Peña”, “Charles Jacques” con i quali Millet
strinse amicizia e, l'anno dopo, nel 1847 conobbe anche “Théodore Rousseau” con
il quale strinse un’amicizia fraterna. Erano alcuni dei pittori che avrebbero costituito
la futura “scuola di Barbizon”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli anni Quaranta dell’Ottocento furono
quelli della cosiddetta “maniera fiorita” di Millet: per sopravvivere e
per attrarre il favore di una clientela borghese, Millet creava infatti composizioni
aggraziate scene pastorali e nudi, nello stile di “Watteau” o di
“Fragonard”, oltre a una serie di bellissimi ritratti apprezzati dalla
committenza borghese.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La carriera di Millet iniziò quindi in
sordina: dipinti su commissione di carattere più commerciale in cui non
mostrava originalità nella scelta dei soggetti, realizzava principalmente
ritratti su richiesta, il suo stile era spesso povero e
piatto. "Un'esecuzione secca e goffa", come aveva annotato
Delacroix nel suo diario.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La natura però rimaneva ancora lo scenario
privilegiato per schizzi leggeri e piacevoli: il trattamento era ancora in gran
parte convenzionale anche se la natura incominciava a guadagnare gradualmente
terreno sulla superficie del dipinto e la sua pittura diventava sempre più
rigogliosa e animata.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nello stesso tempo, Millet incominciò a
sperimentare un altro stile, meno settecentesco e più segnato dal Romanticismo
di “Géricault” e di “Delacroix” in cui la natura fungeva da supporto
per l'espressione di emozioni e di sentimenti drammatici: non era più un
luogo ameno e addomesticato delle prime opere, ma un universo oscuro e
inquietante che mostrava per esempio nel bellissimo “Al riparo dalla tempesta”
del 1847.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.4</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1rD81XKwhz7-tuVk9GrB6nwiEVVfyRpuSr1bg5KXYtLCKq9mDHA-GK0s4xY1ecGJkWgbUZ5wgUWzT7H8PLvJhXXR-9oo_LJtiYX3ZCTMPk60VRy9do-NIlZPbBVR9EzRYiOq2fMEufxam6JflWK3E8ZLodf3v_UUWWxL0PaC35-zh3ERRxGCc31VKZkQ/s3714/Fig.%204%20-%20Retreat_from_the_Storm_MET_DT1986.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3714" data-original-width="3060" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1rD81XKwhz7-tuVk9GrB6nwiEVVfyRpuSr1bg5KXYtLCKq9mDHA-GK0s4xY1ecGJkWgbUZ5wgUWzT7H8PLvJhXXR-9oo_LJtiYX3ZCTMPk60VRy9do-NIlZPbBVR9EzRYiOq2fMEufxam6JflWK3E8ZLodf3v_UUWWxL0PaC35-zh3ERRxGCc31VKZkQ/w528-h640/Fig.%204%20-%20Retreat_from_the_Storm_MET_DT1986.jpg" width="528" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Risale sempre a questo periodo anche il primo
paesaggio puro e privo di aneddoti di Millet, direttamente ispirato a un sito
esistente, “Castel Vendon” che rappresenta le scogliere di Gréville, il primo dipinto
di una lunga serie perché, nel corso della sua vita, Millet non smise mai di
trarre ispirazione dal suo paese natale per le sue composizioni.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj182xvArTKKr3XgJugpXLsDkTGVGxEItLZ3UgL6o46HJOfXO0uRz_6zBzE4nuG4D09UvnpZDivedJvNNjV0kLojY5MUJpeB_e6T64IYy2yEUMmEfYqruHyitthJqoLvpEkZwviEApIc0dGMtuoO5Kf02jMP8_C-4QEK3nvKor4XrRxkrLu76bpsg0PrT8/s880/Fig.%205%20-%20Castel-Vendon,_Millet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="688" data-original-width="880" height="501" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj182xvArTKKr3XgJugpXLsDkTGVGxEItLZ3UgL6o46HJOfXO0uRz_6zBzE4nuG4D09UvnpZDivedJvNNjV0kLojY5MUJpeB_e6T64IYy2yEUMmEfYqruHyitthJqoLvpEkZwviEApIc0dGMtuoO5Kf02jMP8_C-4QEK3nvKor4XrRxkrLu76bpsg0PrT8/w640-h501/Fig.%205%20-%20Castel-Vendon,_Millet.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In questo periodo incominciò anche a
realizzare le prime grandi scene di vita contadina che lo avrebbero reso famoso,
come “Lo Spulatore” del 1848 e “Il seminatore” del 1850.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La rivoluzione del 1848, che aveva portato
alla caduta del re “Luigi Filippo” e all'instaurazione della “Seconda
Repubblica”, e il sentimento di libertà, che vibrando nell’aria la accompagnava,
giocarono un ruolo importante anche nella carriera e nella vita di
Millet. Viveva con la sua compagna a Parigi, una città che odiava. Era
inquieto in quella città troppo tumultuosa ed era come se stesse vivendo al di
"fuori di se stesso".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tutto però accadde come se il 1848 gli avesse
permesso finalmente di fare ciò che aveva in mente di raffigurare, di raccontare
quel mondo contadino da cui era lontano e che amava, che era parte di sé e che
aveva ampiamente osservato e vissuto e del quale avrebbe reso gli aspetti più
belli nel corso della sua successiva carriera.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli artisti parteciparono a questo sussulto
delle menti, dei costumi e della politica. Fraternizzarono, fra di loro,
proclamarono la libertà dell’arte. La “Seconda Repubblica” poi influiva sulla
vita artistica tra il 1848 e il 1852: opere e paesaggi realisti erano
apprezzati e in quel periodo sembravano apprezzati anche dallo Stato.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">E 'Lo spulatore' fu sintomo di questa sterzata
anche per Millet.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1849 allo scoppio di una brutta epidemia
di colera che minacciava Parigi, influenzato dagli amici Constant Troyon,
Narcisse Diaz, Charles Jacque e soprattutto Rousseau, e spinto anche da un desiderio
di riavvicinarsi di nuovo alla natura Millet, a 35 anni, si stabilì con la
famiglia a Barbizon ai margini della foresta di Fontainebleau e a Barbizon
risiedette per tutta la vita, vivendo da contadino in povertà quasi come un
eremita e non lasciando mai questo luogo campestre, se non per qualche sortita
a Parigi o nella sua nativa Normandia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A Barbizon trascorreva ore osservando la
natura e la vita contadina. Non dipingeva ancora assiduamente sul tema, ma
osservava e prendeva appunti, schizzi su piccoli pezzi di carta, catturando i
gesti dei lavoratori sul campo e qui la sua pittura ebbe un'enorme
influenza sull’omonima scuola che si era orientata verso il “Naturalismo”,
scegliendo di dipingere direttamente la natura – un metodo che sarebbe
diventato noto come pittura “en plein air” abbandonando la formalità
della pittura classica.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma che cos’era Barbizon? E che cosa fu per
Millet?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La “Scuola di Barbizon” prende il nome da un
paesino vicino alla foresta di Fontainebleau a sud di Parigi e fu la più importante
“scuola” di pittura paesaggistico-rurale francese alla metà
Ottocento: era costituita da un gruppo “informale” di artisti inizialmente
ispirati dal “naturalismo”, un linguaggio che – almeno nel caso di Millet – si
spostò intorno al 1850 verso il “realismo”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I Barbisonnier svilupparono una forma di vita
e di arte che ignorava molti canoni dell'arte accademica e attirava
l'attenzione anche sul lavoro dei contadini.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo gruppo di pittori, per nulla turbato
dalle fazioni rivali classiche e romantiche, aveva preso le distanze da Parigi,
ritirandosi nella terra di Barbizon, per sperimentare un nuovo
approccio più vero e più immediato con la pittura di paesaggio. Ciò che era
"moderno" nei paesaggi di Barbizon rispetto a quelli di Constable,
era che essi erano dipinti all’aperto, sul posto: essi furono infatti i
pionieri della tecnica della “pittura en plein air” che avrebbe raggiunto
il suo apice nelle mani degli impressionisti come Monet, Pissarro, Sisley e
Renoir.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’aspetto contemplativo che si insinua sempre
quando un pittore si ritira nel suo studio per "costruire"
un'immagine partendo dagli schizzi che aveva realizzato, non si interpose mai
tra gli artisti di Barbizon e le loro opere soprattutto dei migliori esponenti
di questa “scuola”: “Théodore Rousseau” (1812-1867), “Camille Corot” (1796-1875),
“Charles Daubigny” (1817-1878) e lo stesso Jean-François Millet,
anche se quest’ultimo non fu mai pienamente un “barbisonnier” per l’impegno
sociale che veicola attraverso nelle sue “scene di genere”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet si era stabilito con la moglie e i
figli in una casupola di Barbizon, ai margini della grande foresta: scavava,
coltivava la terra, dipingeva nel suo giardino e allevava la sua famiglia quasi
sempre al livello più basso di sussistenza.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto della svolta nella sua carriera era
stato “Lo spulatore” un olio su tela di 100 × 71 cm, oggi
alla “National Gallery” di Londra. L’opera fu esposta al “Salon” nel 1848 fra
5000 opere, perché in quell'anno di rivoluzione, il “Salon” fu libero dalla
giuria, esponendo il peggio e il meglio della pittura, e questa fu una delle
prime scene rurali che dipinse sulla base dei suoi ricordi d'infanzia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamo ora l’opera.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJXvTxnL5Ir2UcdP8QD4GKCrVy83eLhXNqvd9kYDAVciejgDNn0S0rWQTwTtDe1DBPU_LB_Rv9tiDVNZf7Y4f8E_L4x84NCQ0AqU_J6gM-GSipl-XOkQX6NDd8Q6_drRG3JtFvSieRm7m4ji8Rd15otRClIx4HXpsb5bfjpbVQulJSshKTo460YeSiKV0/s6000/Fig.%206%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet,_The_Winnower_(London).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="6000" data-original-width="4234" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJXvTxnL5Ir2UcdP8QD4GKCrVy83eLhXNqvd9kYDAVciejgDNn0S0rWQTwTtDe1DBPU_LB_Rv9tiDVNZf7Y4f8E_L4x84NCQ0AqU_J6gM-GSipl-XOkQX6NDd8Q6_drRG3JtFvSieRm7m4ji8Rd15otRClIx4HXpsb5bfjpbVQulJSshKTo460YeSiKV0/w452-h640/Fig.%206%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet,_The_Winnower_(London).jpg" width="452" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Uno spulatore, piegandosi sotto il peso del
suo grande ventilabro, il cesto che serve per separare la pula dal grano,
lancia una nuvola dorata di paglia nell'aria. L’opera fu notata dall’ondivago
Théophile Gautier che ne elogiò i colori e "l'effetto polveroso dei grani
sparsi".</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dopo questo dipinto, la pittura di Millet si
orientò sempre di più verso soggetti rurali: le sue origini contadine spiegano
la sua passione per questo tipo di scene che si possono definire il nucleo
essenziale, ma non unico, della sua opera.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quelli che Millet realizza non sono ritratti
di contadini, ma quelli che lui stesso avrebbe definito delle "sintesi",
dei tipi disumanizzati, i cui volti non hanno lineamenti, ma in essi l’artista
voleva catturare il corpo nello sforzo e il gesto nel lavoro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A partire dal 1850 circa, Millet iniziò a
farsi una reputazione nazionale, ma soprattutto internazionale come uno dei
principali pittori realisti in Francia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il suo successo, almeno al momento, gli
permise di acquistare incisioni e disegni degli artisti che ammirava, tra
cui “Pieter Bruegel il Vecchio” (1525 - 1569) e “Rembrandt” (1606 -
1669) – anche per Millet come per Courbet la matrice fiammingo olandese risulta
dunque fondamentale –, nonché del romantico “Eugène Delacroix” (1797 – 1863).
Il realismo dettagliato delle opere di questi pittori fu una fonte di
ispirazione per i lavoratori agricoli di Millet. Si aggiunga a questo che Millet
era un avido collezionista di fotografie, tra le quali privilegiava quelle di
“scatti non in posa” della popolazione locale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet incominciò dunque a dipingere
contadini, un “mileu” che conosceva bene, una realtà che aveva incontrato e che
aveva vissuto, e lo faceva con talento: nelle sue tele restituiva i gesti
semplici e ordinari di questi contadini della sua epoca, se ne percepiscono i
movimenti, il lavoro quotidiano, l’ordinarietà della loro immutevole vita,
scandita solo dal ritmo delle stagioni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I contadini diventano il centro dei suoi
dipinti e Millet mostra chiaramente la loro umanità, il loro lavoro incessante.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quel momento i lavoratori rurali
costituivano ancora la stragrande maggioranza della popolazione francese:
spigolatrici, pastorelle, vignaioli, piantatori di patate, seminatori,
lavandaie, spaccalegna, mietitori erano l’universo della campagna francese e
Millet li riproduce tutti con grande precisione, mostrando al pubblico la
difficile vita della popolazione rurale del suo tempo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In questo consiste il realismo di Millet e la
sua differenza dagli altri Barbisonner: nella sua capacità di mettere in
risalto lo splendore del gesto umano. Se osserviamo attentamente i suoi
lavoratori, è il loro gesto, preciso ed efficace, che attira la sua attenzione e
che egli si sforza, da designatore provetto – non si dimentichi la sua
formazione accademica -, di ripristinare sulla tela quei gesti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet riesce a magnificare l'universo
contadino e la sua miseria facendo percepire all’osservatore il duro lavoro di
questi oscuri lavoratori della terra, dipingendo sì una profonda armonia tra
uomo e natura, dove il gesto contadino trova il suo vero significato, ma
mostrando anche con chiarezza la sua personale simbiosi con gli esseri che
dipinge.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Perché Millet li ama, perché è stato uno di
loro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quest’opera fu molto apprezzata da Courbet e
lo colpì tanto che fu forse questa la fonte di ispirazione per la realizzazione
degli “Spaccapietre”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet riesce a collegare con successo l’arte
con il sociale, la poesia e l’ideale artistico con l’attualità della vita
contemporanea. E questo ha determinato il suo riconoscimento anche da parte di artisti
molto diversi fra loro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel buio di un fienile, uno spulatore
mantiene con entrambe le mani un cesto largo e poco profondo sulle cosce,
leggermente inclinato verso il basso. Più lontano da lui si alza una
nuvola di pula dorata.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Indossa zoccoli aperti dietro, i sabot,
imbottiti di paglia per mantenere caldi i piedi, pezzi di stoffa blu legati
sopra le ginocchia e un fazzoletto rosso annodato sui capelli.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il cesto è uno speciale ventilabro, senza
bordo anteriore, in modo tale che, scuotendolo abilmente, la pula possa essere
spostata in avanti e spinta oltre il bordo, lasciando indietro il grano nella
parte fonda del cesto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli spulatori erano considerati lavoratori
esperti, operai specializzati si direbbe oggi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet iniziò forse questo dipinto, il primo
a trattare il tema della vita contadina, già alla fine del 1846 e lo espose al
“Salon” del 1848, anno della rivoluzione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Con la rivoluzione del 1848 era ritornata
alla luce una nuova visione dei temi popolari. Millet si sentì sempre più
giustificato nel dipingere ciò che veramente gli interessava: le sue origini
povere e il mondo della campagna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Cominciò quindi a rappresentare scene di vita
contadina in modo sorprendentemente sobrio, quasi oggettivo se non per quella
sua cordiale partecipazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fino ad allora i contadini erano stati spesso
rappresentati come simpatiche comparse, utili a decorare i paesaggi o come
bucolici pastori e pastorelle. Millet dipinse invece il mondo rurale così
come lo vedeva, senza aggiungere nessuna edulcorazione, senza mai cedere al
sentimentalismo, al “miserabilismo” commovente o peggio ancora al pittoresco.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fu solo e semplicemente realistico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La destra dell'epoca tuttavia, come in
genere tutte le destre e come tutti i conservatori di ogni tempo e paese, lesse
nelle scene contadine di Millet una critica sociale e addirittura, vide in
alcuni suoi dipinti successivi come “Le spigolatrici” o come l’”Uomo con
la vanga”, un invito alla sedizione. Nell’immaginario collettivo i
contadini erano infatti ancora percepiti come una classe pericolosamente
sovversiva: il ricordo delle “jacquerie” era ancora l’incubo costante
dell’aristocrazia e della borghesia francese e tormentava i loro sonni; per
giunta la “Seconda Repubblica”, con il suffragio “universale” maschile, aveva
esteso il diritto di voto alle masse contadine e questo preoccupava molti oltre
misura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Da questo sorge un problema che si profila ogni
volta che si parla di Millet: Millet fu assolutamente apolitico? Non prese
mai posizione?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In molti credono di sì e ritengono che i suoi
dipinti non illustrino alcuna idea e che non servano alcuna ideologia. </div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Diversamente dal realismo socialista che
attraversa l’opera di Courbet e di Daumier e poi di molte opere figurative del
Novecento, Millet colloca la sua pittura nel terreno stesso dell'esperienza a
monte di interpretazioni e di ingiunzioni?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È poco credibile che sia così. Apartitico lo
fu di sicuro, ma apolitico è impossibile. La politicità indica una scelta che
non è mai neutra e Millet compie la sua scelta: le sue “scene di genere” non
sono momenti di abbandono idillico o di evasione dalla realtà, ma sono per lo
più un racconto “drammatico” della vita contadina e Millet, figlio di fittavoli,
conosceva bene le dure condizioni dei fittavoli e, se non alza barricate, se
non grida “proletari di tutto il mondo unitevi” racconta, mette in evidenza e,
a ben leggere questi suoi racconti, soprattutto alcune di queste scene di
genere, pare che esprima con chiarezza le dure e servili condizioni di
contadini non proprietari.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Se poi si considera poi che uno dei motivi
che portarono alla rivoluzione del 1848 era stata proprio la miseria rurale,
compresi i cattivi raccolti, qualche studioso di Millet ha individuato un
aspetto politico nel dipinto, come in altre scene rurali, o una grande compassione
dell'artista verso questi poveri braccianti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È stato spesso e da più parti suggerito, ad
esempio, che questa figura solitaria si sia cercata un secondo lavoro per
guadagnare qualche soldo in più per meglio contribuire al sostentamento della
sua famiglia. È una congettura probabile.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel complesso la critica reagì favorevolmente
all'esposizione del dipinto al “Salon”, sebbene l’onnipresente Théophile
Gautier sia stato molto critico nei confronti del trattamento pittorico di
Millet scrivendo: “Stende sulla sua tela uno strofinaccio, senza usare olio o
essenza, grandi croste di colore, pittura così secca che nessuna vernice
potrebbe mitigarla. Niente potrebbe essere più aspro, selvaggio e rozzo'.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma dall’interno degli ovattati salotti
parigini Gautier non capiva che uno dei motivi di quell'applicazione spessa della
pittura era senza dubbio responsabile il fatto che Millet stava dipingendo su
un quadro preesistente e che in questa fase della sua carriera, con il successo
economico non ancora arrivato, Millet riutilizzava spesso le sue tele,
dipingendo su composizioni già esistenti e persino tagliando le tele.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Del 1850 è “Il seminatore” un olio su
tela di 102 × 83 cm un dipinto di cui Millet realizzò due esemplari
quasi identici con lo stesso titolo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto che segue appartiene alla
collezione del “Museum of Fine Arts” di Boston mentre
l'altro fa parte della collezione del “Museo d'arte della prefettura di
Yamanashi” a Kofu in Giappone.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix28sCcnxGRe4NFDs8SjJK46WQF8FS9bBAcFpWcia-qcd4DycGwPpsx9jeWpIgqXgw6E1lh2mvl0bRMg07PFk3G7ZoB9HJ6nJs7w_P0yB3W9swF1CyrR_ahk83mqHvBvFHvdV-ru9862hEplddaq6d68awYKCtpqwbL96mQh4K51-DdK0S1elAkxeOxUI/s1000/Fig.%207%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois-Millet-Il-seminatore-Arte-Svelata.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="812" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix28sCcnxGRe4NFDs8SjJK46WQF8FS9bBAcFpWcia-qcd4DycGwPpsx9jeWpIgqXgw6E1lh2mvl0bRMg07PFk3G7ZoB9HJ6nJs7w_P0yB3W9swF1CyrR_ahk83mqHvBvFHvdV-ru9862hEplddaq6d68awYKCtpqwbL96mQh4K51-DdK0S1elAkxeOxUI/w520-h640/Fig.%207%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois-Millet-Il-seminatore-Arte-Svelata.jpg" width="520" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il dipinto raffigura un contadino nell'atto “maestoso”
di seminare la terra, apparentemente durante l’inverno. La luce splende nella
parte alta dell’orizzonte visivo, il che fa supporre che sia l'alba.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’uomo è vestito con il tipico abbigliamento
contadino, con le gambe avvolte nella paglia per sentire meno freddo, cammina a
lunghe falcate e porta un sacco di semi sulle spalle, mentre sparge con la mano
destra quel che rimane del suo raccolto dell’anno precedente.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A sinistra del dipinto appaiono diversi
corvi, nemici naturali dei contadini ma pur sempre parte del ciclo della
natura, che beccano i chicchi sottraendoli alla coltivazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sul lato destro, in lontananza, si vede un altro
uomo che sta arando il terreno con i buoi per preparare il lavoro dei
seminatori.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto è una rappresentazione reale del
vigore e dello stile di vita laborioso del contadino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“Il seminatore” è stato il primo dipinto
veramente importante fra quelli realizzati a Barbizon. </div><div style="text-align: justify;">Al “Salon” di
Parigi nel 1850 ricevette molta attenzione, ma anche molte
critiche. “Clément de Ris” lo elogiò come "uno studio energico e
pieno di movimento", mentre “Théophile Gautier” lo derise di
nuovo, definendolo un "raschiamento di cazzuola". La storica dell'Arte
australiana “Anthea Callen” ha scritto invece che "Millet ha
intenzionalmente trasformato il suo lavoratore umano in un muscoloso gigante
allungando le sue proporzioni. Rafforzato dal dominio del seminatore nello
spazio pittorico e dal nostro punto di vista ribassato, è quindi facilmente
spiegabile il suo aspetto minaccioso per la borghesia parigina del 1850."</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet ritornò sullo stesso tema del
seminatore almeno altre tre volte con tecniche diverse per quanto se ne sa, e “Vincent
van Gogh”, che trovò ispirazione in molti dipinti di Millet raffiguranti
paesaggi e lavoratori</div><div style="text-align: justify;">agricoli, copiò “Il seminatore” in molti dei suoi
dipinti, ma trasformò l'immagine utilizzando colori più brillanti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 8</div></span></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZfpUAy2JkijEQCvtjH8BEMVNFnN-751HwvT7df9lPxqMxavMVCtfm9TfZ5djUhDuEGtjP_ZbpCNF1Cy1QpPm2ed2_Z04aEo18mWTNLU3LLdDdIHjGGUHqeX3LU96dZDqN1PlaK8eHnXMStZMEYRObg4dr7bY44twxqbN-C7YI3TAJvza1Gpll3yoz350/s2000/Fig.%208%20-%20van%20Gogh%20-%20The_Sower.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1589" data-original-width="2000" height="508" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZfpUAy2JkijEQCvtjH8BEMVNFnN-751HwvT7df9lPxqMxavMVCtfm9TfZ5djUhDuEGtjP_ZbpCNF1Cy1QpPm2ed2_Z04aEo18mWTNLU3LLdDdIHjGGUHqeX3LU96dZDqN1PlaK8eHnXMStZMEYRObg4dr7bY44twxqbN-C7YI3TAJvza1Gpll3yoz350/w640-h508/Fig.%208%20-%20van%20Gogh%20-%20The_Sower.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nel 1854 Millet ritornò per un breve periodo in
Normandia dove realizzò numerosi disegni della sua città natale e della
campagna circostante, che sarebbero serviti come punto di partenza per le
future tele realizzate poi a Barbizon.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Del 1855 è “La raccolta delle
patate” conservato al “Walters Art Museum” di Baltimora.
“La Raccolta delle Patate” raffigura il lavoro dei contadini nella pianura
situata tra Barbizon e Chailly-en-Bière. Millet per questo
lavoro utilizza pigmenti in pasta applicati in strati spessi su una
tela a trama grossa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 9</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVDPcV3hyqH_gHieyLPLDVU9Wa4Zm1SnM-NuSlShNTGwpftLifOBzCG_9WwBOzL1yAkg9jPPgexgziGK4kD2sBCBmC15jGdPaea6F8s1iklfSlDFBDb6toKkzEAif0f7t75zO7jxGooiMpRmCIRnLDzyGcx-pE6iD__xlgK1N3vFfdbsep9nF-jRgXu4k/s1799/Fig%209%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_The_Potato_Harvest_-_Walters.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1486" data-original-width="1799" height="528" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVDPcV3hyqH_gHieyLPLDVU9Wa4Zm1SnM-NuSlShNTGwpftLifOBzCG_9WwBOzL1yAkg9jPPgexgziGK4kD2sBCBmC15jGdPaea6F8s1iklfSlDFBDb6toKkzEAif0f7t75zO7jxGooiMpRmCIRnLDzyGcx-pE6iD__xlgK1N3vFfdbsep9nF-jRgXu4k/w640-h528/Fig%209%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_The_Potato_Harvest_-_Walters.jpg" width="640" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il tema della “raccolta delle patate” fu
trattato anche da “Camille Pissaro” nel 1874 a Pontoise e da
“Vincent van Gogh” nel 1883 a L’Aia.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 10</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjokXFGD8bErpcDV9rP8lA_DORB8uK4fP8jEoGNREHrcKvsRsKtSI2ij0ibXam4s3ib0oGqZcZszQJS06zq19pRYHtvKWX8WAuogZnNpY-z-4MMM9UpeF39hceTvDE3MSppV21gIJsp9YsN88R5m7zwXX-sMcPGKn2qtzFptq0wxvAtJqtUDt4ae7GMOwM/s1024/Fig.%2010%20-%20Camille%20Pissarro%20-%20The_Harvest_of_Potatoes_Pontoise_1874_.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="819" data-original-width="1024" height="512" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjokXFGD8bErpcDV9rP8lA_DORB8uK4fP8jEoGNREHrcKvsRsKtSI2ij0ibXam4s3ib0oGqZcZszQJS06zq19pRYHtvKWX8WAuogZnNpY-z-4MMM9UpeF39hceTvDE3MSppV21gIJsp9YsN88R5m7zwXX-sMcPGKn2qtzFptq0wxvAtJqtUDt4ae7GMOwM/w640-h512/Fig.%2010%20-%20Camille%20Pissarro%20-%20The_Harvest_of_Potatoes_Pontoise_1874_.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 11</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiD0BMeSwzlZP96-G5VvSf7rL0QaUDjpZZ7gDCRSiNFv4MfdEbYpdfo2TBbXY1rDSL9YiiiHOpBRjJwwQOD8uRX-s-XwP3tjUrwkxt6yPekUjhi1EolACEqKlrY_K5F5l3dNsfz6FuWXHyFgTHjWPA5APc4FWvzjnG3Y7uQtJXvJIu9Y13u5M96RPITfAw/s1600/Fig.%2011.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1179" data-original-width="1600" height="472" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiD0BMeSwzlZP96-G5VvSf7rL0QaUDjpZZ7gDCRSiNFv4MfdEbYpdfo2TBbXY1rDSL9YiiiHOpBRjJwwQOD8uRX-s-XwP3tjUrwkxt6yPekUjhi1EolACEqKlrY_K5F5l3dNsfz6FuWXHyFgTHjWPA5APc4FWvzjnG3Y7uQtJXvJIu9Y13u5M96RPITfAw/w640-h472/Fig.%2011.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Del 1857, è la tela “sovversiva” esposta al
Salon di quell’anno, “Le spigolatrici” del Museo d’Orsay, un olio su tela di
83 × 110 cm. Quest’opera – oggi considerata una dei fondamenti
del modernismo – subì allora grandi attacchi da parte della critica più
conservatrice, che stigmatizzò questi soggetti ignobili trattati dall'artista
con un registro nobile e monumentale. Mani pesanti, schiene piegate, volti
segnati dal sole.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Che cos’altro doveva raccontare Millet?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il suo realismo svela la realtà cruda delle
cose senza filtri. Come un cronista, Millet mostra le differenze di classe
sociali e così il lavoro duro dei contadini. Anche se la genuflessione delle
donne sembrerebbe sottolineare il legame simbolico con la terra madre, le tre
protagoniste raccolgono gli avanzi della raccolta delle spighe di grano mentre
il sole, alle loro spalle, allunga le ombre sul campo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto indignò l’alta borghesia in visita
al “Salon”: la miseria della vita contadina svettava sulla nobiltà e sulla
pittura elevata del tempo, quella di Storia, quella di grandi eventi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma non è forse Storia anche questo che Millet
raffigura?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il suo realismo è direttamente proporzionale al
senso di pesantezza della vita nei campi. La ripetitività dei gesti è la chiave
di lettura di quel mondo e i volti sono semplificati con l’intento di rendere manifesta
la fatica.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 12</div></span></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEick0WgubXK-25-vv55emJ3G0jIQs1EHITBNFNfWZ-uR2pQqMyIAL0whbxjxYistYg5bHIrzH09P6-bTvBBYcBmyzCob6f7wB7-tHZ5X4wYvH4ZNnY_BWCtA3AlGI8Gtwf_-X7_OwZKllx7VjtwCXCVETxEEv-W9QBuV3skh6gMLYo8qtTohjTddh_N92k/s5354/Fig.%2012%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4006" data-original-width="5354" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEick0WgubXK-25-vv55emJ3G0jIQs1EHITBNFNfWZ-uR2pQqMyIAL0whbxjxYistYg5bHIrzH09P6-bTvBBYcBmyzCob6f7wB7-tHZ5X4wYvH4ZNnY_BWCtA3AlGI8Gtwf_-X7_OwZKllx7VjtwCXCVETxEEv-W9QBuV3skh6gMLYo8qtTohjTddh_N92k/w640-h478/Fig.%2012%20-%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Millet dipinse quest’opera con grande
tenerezza. Tenerezza e solidarietà umana perché conosceva bene le difficoltà
del contadino francese. Ma il pubblico parigino accolse il dipinto con un coro misto
di derisione, di sarcasmo e di insulti. Quasi si volessero essi stessi difendere
da un insulto. Riferendosi alle figure delle tre spigolatrici, un critico
osservò: "Sono semplici spaventapasseri vestiti di stracci e installati in
un campo: la bruttezza e la volgarità di Millet sono irrilevanti". Qualcun
altro le definì sarcasticamente “le tre Grazie dei poveri”. Come se la povertà
fosse una colpa.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A questo sfogo, Millet avrebbe potuto
rispondere che anche nelle cose così semplici c'è una bontà che va al di là
dell’incomprensione di un critico cieco. Alcuni misero addirittura in dubbio
gli aspetti tecnici del dipinto, ma si tratta di critiche infondate perché “Le
spigolatrici” ha un’impaginazione perfetta ed esemplifica perfettamente il
profondo rispetto che Millet nutriva per la dignità senza tempo del lavoro
umano.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quando Millet realizzò questo
capolavoro aveva quarantatré anni e per molti anni aveva inviato le sue
foto ai “Salon” parigini, per poi essere rifiutato più volte. Le sue
opere “contadine” non erano infatti accettabili per gli aristocratici e per la
classe di potere e tanto meno per gli aristocratici custodi dell’ortodossia
accademica. Che cosa essi potevano condividere con un uomo che sapeva
maneggiare l'aratro e che calpestava il suolo e il letame di Barbizon. Ma i
critici più avvisati seppero invece cogliere proprio questa qualità dell'arte
di Millet.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma ora osserviamo il quadro da vicino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il campo in cui lavorano le tre spigolatrici
è immerso in una luce d'agosto apparentemente calda e intensa, ma il finale
tonale sfocia in un blu torbido, opaco, cinereo che suggerisce l’idea di una
foschia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tre contadine in primo piano spigolano nei
campi, meccanicamente, stancamente, sotto il caldo ed estenuante sole
dell’estate, che brucia la terra e gli uomini con i suoi raggi potenti e
spossanti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La "spigolatura" era un'attività concessa
ai contadini più poveri di raccolta del grano o di altri cereali caduti nei
campi dopo il grande raccolto del proprietario, prima del signore feudale.
Sullo sfondo, un gruppo di raccoglitori accatasta infatti le spighe dorate.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Un uomo a cavallo supervisiona il loro
lavoro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È il padrone della tenuta o è un suo uomo di
fiducia che svolge per il padrone l’azione di controllo dei braccianti?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non si sa, ma fa lo stesso.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le tre povere contadine - gli
“spaventapasseri” dei critici sprezzanti – sono coinvolte in uno dei tre
momenti della spigolatura: cercare le spighe di grano, raccoglierle, e legarle
insieme in un covone.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo compito era estenuante, ma serviva a contribuire
al nutrimento delle loro famiglie ed era uno dei principali compiti assunti
dalle donne in quel periodo di difficoltà e di carestia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet aveva trascorso quasi un decennio a
studiare quel processo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Due delle spigolatrici portano in testa
fazzoletti rossi e blu e sono inclinate verso il basso con il capo al di sotto
della linea del bacino, cercando tastoni con le dita, meccanicamente ma
inappuntabilmente, le spighe fra le stoppie.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Una terza donna si alza per alleggerire per
un attimo la tensione della postura, forse per chiedersi, per un momento, quale
legge crudele l'abbia condannata a tanta sofferenza e fatica. Ma dopo questo
lampo momentaneo, dopo questa parziale accensione del fuoco divino che promette
di trasformare questa vile argilla in un essere umano, ma riprenderà il suo
posto accanto alle altre e ripiegherà ancora una volta la sua schiena a terra.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Di fronte a questa scena, è chiaro che la
bellezza dei soggetti non c'entri nulla.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet si limitava a dipingere ciò che
vedeva, senza imporre alcuna idea di ciò che doveva o di ciò che non doveva
essere. I contadini lavoravano la terra e Millet li dipingeva. Era talmente
semplice. C’è rassegnazione in lui come nelle tre donne perché come dice la
Bibbia nel libro della “Genesi”: "Mangerete il vostro pane col sudore
della fronte, finché non ritornerete sulla terra, perché siete stati tratti da
essa; poiché tu sei polvere e polvere ritornerai".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'enfasi del dipinto sui ranghi più bassi
della società rurale attirò ovviamente ancora una volta la notevole opposizione
da parte delle classi superiori, sconvolte dalle sue pretese artistiche e dal
suo radicalismo sociale, e lo collegò immediatamente al crescente movimento
socialista. Tuttavia, il danno era stato fatto, il dipinto era stato accettato al
“Salon” e i repubblicani francesi gongolarono e lo ammirarono per il suo
apprezzamento dignitoso e realistico dei poveri delle campagne.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet aveva prestato molta attenzione alla
sua composizione, usando ogni espediente per infondere ai suoi soggetti una
grandezza semplice, ma monumentale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La luce obliqua del sole al tramonto accentua
la qualità scultorea delle spigolatrici, mentre le loro espressioni non
perfettamente definite, “sintetiche”, secondo la definizione dell’artista
stesso, e i tratti spessi e pesanti tendono a enfatizzare la natura faticosa
del loro lavoro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Inoltre, queste figure, piegate e dipinte in
primo piano scuro, si stagliano su una calda scena “georgica” di alacri mietitori
– con i loro covoni di fieno e quelli di grano, e con i loro carri – che hanno mietuto
un ricco raccolto dai campi di grano.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il contrasto tra l’abbondanza e la scarsità,
tra la luce e l’ombra, è abilmente usato da Millet per enfatizzare la divisione
delle classi. E la lontananza della classe dei proprietari terrieri è
evidenziata anche dall'immagine sfocata del proprietario o del caposquadra che
sia, seduto su un cavallo a distanza sulla destra.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È lontano sta lì solo per controllare.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'intera composizione diventa quindi una sottolineatura
sulla diversità di classi sociali in Francia e, in particolare, sull'incapacità
delle classi popolari di elevarsi al di sopra del loro rango.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le tre donne sono mostrate piegate per non
oltrepassare la linea d’orizzonte, per confermare che esse vivono dove sono
nate e che sono ancora serve di quella gleba dalla quale raccolgono le briciole
contendendole ai passeri e ai corvi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel frattempo, la linea di terra più alta è
occupata da contadini sorvegliati dal caposquadra, nessuno dei quali va oltre
l'orizzonte. Il cielo simboleggia l'inaccessibile classe superiore della
società che disprezza i suoi inferiori. L’uomo a cavallo è diverso dalle altre
persone, diverso come l'aria che sovrasta terra.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma c'è un segno o una speranza che il
cambiamento stia arrivando.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il gilet bianco e i fazzoletti rossi e blu
delle spigolatrici formano i tre colori della bandiera – la bandiera della
Repubblica francese e il simbolo della rivoluzione popolare in Francia – come
era mostrato in “La libertà che guida il popolo” di Delacroix del 1830.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet vendette “Le
spigolatrici” per 3.000 franchi. Nel 1889 il dipinto, appartenuto al
banchiere Ferdinand Bischoffsheim, fu battuto all'asta per 300.000 franchi. Un
divario impressionante a distanza di poco più di trent’anni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Poco dopo, fu donato al Louvre e, nel 1986,
trasferito al Museo d'Orsay.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“Le spigolatrici” è uno dei dipinti
di genere di Millet di più grandi dimensioni e ha ispirato una cospicua tradizione
di moderni dipinti di genere.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1859, Millet realizzò “L’Angelus”, il suo
più celebre dipinto considerato uno dei più grandi dipinti
religiosi della seconda metà dell'Ottocento e uno dei più iconici
dell’arte occidentale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’opera, diventata un’icona della pittura
francese, rappresenta una coppia di laboriosi contadini che si concede una
pausa dal loro duro lavoro nei campi per pregare.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto è semplice e rappresenta le due
figure umane in perfetta armonia con l'ambiente circostante.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quest’opera, insieme ad altre scene di vita
contadina, consolidò la reputazione di Millet come uno dei migliori
pittori di genere dell’Ottocento.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'”Angelus” infatti sarebbe stata un’opera
molto copiata e, dopo la morte dell’autore, diventò un simbolo dei valori
borghesi, dell'etica del lavoro e della pietà religiosa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 13</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuwqosHkHsHAllRqFgBHxiiihPbtt9jN6BX7a3UIx7S2A9JQWDSPGwTVqRaU6v428bTpBzC8OWi5YHijKX2DTOhGsrzbQZTxcF2BWX3ZBaRkBy1SY75C5KSxogNdxN_ANnplh_cgi5FmMM1cCa_J5u2k4p80KdfE02PMPdKHMJUncmT_OvkHYtQSpIqQM/s7050/Fig%2013%20-%20JEAN-FRAN%C3%87OIS_MILLET_-_El_%C3%81ngelus_(Museo_de_Orsay,_1857-1859._%C3%93leo_sobre_lienzo,_55.5_x_66_cm).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="5862" data-original-width="7050" height="532" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuwqosHkHsHAllRqFgBHxiiihPbtt9jN6BX7a3UIx7S2A9JQWDSPGwTVqRaU6v428bTpBzC8OWi5YHijKX2DTOhGsrzbQZTxcF2BWX3ZBaRkBy1SY75C5KSxogNdxN_ANnplh_cgi5FmMM1cCa_J5u2k4p80KdfE02PMPdKHMJUncmT_OvkHYtQSpIqQM/w640-h532/Fig%2013%20-%20JEAN-FRAN%C3%87OIS_MILLET_-_El_%C3%81ngelus_(Museo_de_Orsay,_1857-1859._%C3%93leo_sobre_lienzo,_55.5_x_66_cm).jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il surrealista spagnolo Salvador
Dalì (1904 - 1989) ne fu talmente affascinato, quasi ossessionato, che
“L'Angelus” lo ispirò per la realizzazione di molte opere, tra
cui: “L'Angelus architettonico di Millet” del 1933 e il “Gala e
l'Angelus di Millet”, due opere che precedono di poco l'arrivo delle celeberrime
“anamorfosi coniche” del 1933.</div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.14</div></span></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX6F2D0Yd3cj-sSLn14dXnWaUQ9bYhPaGzErg9X2E_Tnmvkd4vfRk5GKjdsuIXejndRr2JI7Dg02u7ZGNQVttaotDXmSLZZHDBf2EXVUmQjynB6rv7-uI6ylPJ1d7PApxU0KauV2Od5xncZm1qshFMc-J7swhWo66Dbra0fmAKBYo6PZzwmTGLvQTlBUE/s813/Fig.%2014%20-%20Salvador+Dali+-+The+Architectural+Angelus+of+Millet+1933+.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="813" data-original-width="640" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX6F2D0Yd3cj-sSLn14dXnWaUQ9bYhPaGzErg9X2E_Tnmvkd4vfRk5GKjdsuIXejndRr2JI7Dg02u7ZGNQVttaotDXmSLZZHDBf2EXVUmQjynB6rv7-uI6ylPJ1d7PApxU0KauV2Od5xncZm1qshFMc-J7swhWo66Dbra0fmAKBYo6PZzwmTGLvQTlBUE/w504-h640/Fig.%2014%20-%20Salvador+Dali+-+The+Architectural+Angelus+of+Millet+1933+.jpg" width="504" /></a></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">e</span></div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 15</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB2Fkcp4dG3iP_I85GfMfvlXldhQ8cHYhSSijWcMtRiOCRtj03ewAwG7sl8ZdJEISrgEO3WE1OMzjMzr1haKdiRTD4lkKL93yJPF_VAzCRHK4M7crwAZgB70n11tH84Vvx4Lh4QMpiwFPrFC0XtynZbcqKR53Ebq035DsSOymKa2y8BrQrk1KwB3BaR0s/s790/Fig.%2015%20-%20Salvador+Dali+-%20The+Angelus+of+Gala%20-1935+.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="790" data-original-width="640" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB2Fkcp4dG3iP_I85GfMfvlXldhQ8cHYhSSijWcMtRiOCRtj03ewAwG7sl8ZdJEISrgEO3WE1OMzjMzr1haKdiRTD4lkKL93yJPF_VAzCRHK4M7crwAZgB70n11tH84Vvx4Lh4QMpiwFPrFC0XtynZbcqKR53Ebq035DsSOymKa2y8BrQrk1KwB3BaR0s/w518-h640/Fig.%2015%20-%20Salvador+Dali+-%20The+Angelus+of+Gala%20-1935+.jpg" width="518" /></a></div></div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1938, Dalì scrisse anche un saggio
intitolato “Il mito tragico dell'Angelus di Millet”. Dalì era convinto che
l'opera di Millet rappresentasse una scena funeraria, non solo un momento di
preghiera e che le due figure stessero pregando per il loro bambino sepolto,
piuttosto che pregare durante l'Angelus.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In effetti, Dalì insistette talmente tanto
sulla necessità di radiografare la tela, che il Louvre organizzò un
esame ai raggi X, solo per trovare la sagoma di una piccola bara sotto il cesto
delle patate che rivelò realmente una forma che assomigliava a una piccola
bara. Tuttavia, anche dai raggi X non risultò chiaro se Millet avesse cambiato
idea sul significato del dipinto o se quella forma che si intravedeva fosse
realmente una piccola bara. Gli analisti però scoprirono che anche il campanile
della chiesa in lontananza era stato aggiunto in un secondo momento. Sembra
dunque che Millet abbia originariamente dipinto una sepoltura – forse una
versione agreste del celebre dipinto di Courbet “Una sepoltura a
Ornans” del 1850 – ma che in seguito abbia convertito la tela in una
recita dell'Angelus, con un campanile della chiesa ben visibile.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Come sempre osserviamo il dipinto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto rappresenta due contadini, un uomo
e una donna, che si fermano per qualche minuto per recitare l'”Angelus”, una
preghiera tradizionalmente recitata tre volte al giorno che commemora
l'Annunciazione. "Angelus" (angelo), è infatti la prima parola
dell'Annunciazione: "Angelus Domini nuntiavit Mariae" ovvero "L'angelo
del Signore annunciò a Maria".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La scena si svolge durante la raccolta delle
patate, appena fuori dal villaggio di “Chailly-en-Bière” il cui campanile è
visibile in lontananza.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In mezzo ai campi, si vedono un giovane
contadino e probabilmente sua moglie che hanno appena finito o forse solo
interrotto il loro lavoro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non è chiaro quale sia il rapporto che esiste
tra la coppia: se siano marito e moglie, o colleghi di lavoro, o contadino e
servitrice. Un catalogo di vendita del 1889 li descrive vagamente come "un
giovane contadino e la sua compagna".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La coppia stava scavando patate, i cui sacchi
sono stati caricati su una carriola e si sono fermati appena hanno sentito
fluttuare nell'aria immobile i rintocchi lontani delle campane della chiesa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tutti i loro attrezzi, tra cui le borse, un
forcone, un cesto di patate e una carriola sono sparsi qua e là.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le nebbie del crepuscolo sorvolano i campi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">All'orizzonte, si distingue un villaggio. Il
campanile della chiesa e alcuni tetti delle casette sono visibili attraverso
l'oscurità che incomincia ad addensarsi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Silenziosi e immobili come statue, i due
personaggi, che occupano la scena, si perdono in una religiosa contemplazione,
l'uomo scoprendosi il capo lo china in silenziosa preghiera, così come la donna
che stringe le mani con riverenza, anche lei con il capo chino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il loro aspetto è povero e i loro abiti
grossolani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A guardarli si direbbe che siano entrambi
composti di quella stessa terra che si attacca ai loro zoccoli di legno, le
loro forme dominano la scena nella calma del crepuscolo, immerse nella scura
sfocatura della sontuosità del tramonto e le ombre, sempre più profonde della
notte, smettono di sopraffarle con la loro immensità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quel momento non sono più due povere
creature isolate, ma sono due anime la cui preghiera riempie l'infinito ed esse
si riempiono dell’infinito.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Raffigurando questi due personaggi silenziosi
e anonimi nel mezzo di una vasta pianura coltivata, con solo pochi semplici
strumenti che li aiutano a racimolare il necessario dal terreno per la loro
esistenza, Millet fa luce sulla vita massacrante dei contadini con il loro duro
lavoro fisico quotidiano che non finisce mai e dura dall’alba al tramonto attraverso
tutte le stagioni.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nello stesso tempo, il momento di silenzio
ricorda la nostra inevitabile connessione con il divino e la nostra
insignificanza di fronte a lui. È proprio questa combinazione di elementi che
rende questo dipinto uno dei grandi capolavori della pittura religiosa
francese dell'Ottocento, un incrollabile atto di fede, nonostante tutto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma veniamo ora alla storia di questa
meraviglia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Si tratta di un insolito esempio di arte
cristiana laicamente interpretata che esprime un profondo senso di devozione e
per questo L’Angelus diventò presto uno dei dipinti religiosi più
riprodotti dell’Ottocento, con acqueforti esposte da migliaia di devoti
capifamiglia in tutta la Francia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet lo dipinse per nostalgia: nel 1865,
ammise che l'idea dell'”Angelus” era nato da un ricordo d'infanzia di sua
nonna, che insisteva affinché la famiglia smettesse di lavorare nei campi
quando sentivano la campana della chiesa suonare per l'Angelus.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per mezzo secolo, dalla fine
dell'Ottocento al periodo tra le due guerre, “L'Angelus” diventò il
dipinto più famoso del mondo. Questo formato piccolo e un po' scontato
sembrava tuttavia un pezzo secondario agli occhi del suo autore: si ritiene che
il dipinto gli fosse stato commissionato dal collezionista d'arte americano
“Thomas Gold Appleton” (1812 – 1884) ma, siccome il committente non ripassava a
ritirarlo, Millet ne era preoccupato e decise allora di venderlo per meno
di 1.000 franchi a un altro collezionista che a sua volta lo ri vendette
rapidamente e il dipinto passò di mano in mano nel corso degli anni e ogni
volta che ritornava sul mercato d’arte dava luogo a fenomeni di speculazione di
prezzo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questi fenomeni speculativi non riguardavano
i grandi dipinti storici che dipendevano da un luogo e restavano per sempre fuori
mercato. I piccoli formati invece, come i titoli brevi, potevano suscitare
entusiasmo e fu questo fenomeno, tipico del mercato d’arte, che avrebbe portato
fortuna agli impressionisti e che portò alla ribalta “L’Angelus”. Se
questo dipinto fosse stato largo tre metri e alto due, probabilmente non
avrebbe conosciuto la stessa fortuna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1889, L'Angelus raggiunse tali
vette che fu addirittura oggetto di dibattito alla Camera dei Deputati dove
alcuni parlamentari chiesero che lo Stato lo acquisisse. Il dibattito fu
acceso e si potrebbe immaginare che i conservatori dell'epoca fossero sensibili
a questo elogio della terra e della religione. In realtà furono loro i più
contrari, perché continuavano a vedere nelle opere di Millet una denuncia della
povertà contadina. Anche la sinistra fu, come spesso accade, divisa: in questo
caso il suo patriottismo artistico entrava in conflitto con l'esigenza di
laicità, minata dalla religiosità del dipinto. Infine, le autorità
pubbliche presero una decisione a favore dell’acquisto: ma il prezzo del
dipinto fu portato alle stelle da un ricco americano e fra la costernazione
generale partì per gli Stati Uniti. Qualche anno dopo, però fu acquistato
nuovamente per una somma altrettanto bizzarra da un collezionista francese, Alfred
Chauchard (1821-1909), proprietario dei “Grands Magasins du Louvre” per 750.000
franchi e alla sua morte l'opera finalmente passò in eredità allo Stato.
Da allora in poi “L'Angelus” iniziò la “carriera” museale e, oltre ad
essere un dipinto di “cult”, diventò anche uno strumento diplomatico come
biglietto di visita della Francia. Il “Museo d'Orsay” infatti lo manda qua
e là nei paesi che ne fanno richiesta per mostre d’arte di cui l’opera è spesso
una vedette acclamatissima. Nel 1932 il dipinto fu freggiato da uno
sconosciuto con un bastone come la “Venere” di Velázquez.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Si dice che questo sia l'unico dipinto in cui
si possono “sentire suonare le campane”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quel momento invece Millet aveva raggiunto
l'abisso della sua povertà. "Abbiamo solo abbastanza cibo per sostenerci
per due o tre giorni", scrisse, "e non sappiamo come lo
otterremo...".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Oggi è Millet noto soprattutto la serie di
opere che mettono in luce la difficile situazione dei contadini e la dura
realtà della loro vita quotidiana. La vita contadina fu la sua specialità anche
se fu pittore piuttosto poliedrico ma queste scene contadine sono alcune delle
più belle e significative “scene di genere” dell’Ottocento e, insieme alle
opere di “Gustave Courbet”, rappresentano la prima apparizione di una
modernizzazione dell'arte, nel senso che i loro dipinti trattano
questioni di attualità sociale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet conosceva da vicino la durezza della
vita contadina, in gran parte dovuta al ciclo costante delle stagioni e ai
faticosi compiti ad esse associati, ma anche dovuta ai capricci del tempo. Per
esempio, quando la produzione è stata raccolta e immagazzinata, giunge il
momento di preparare i campi per la nuova seminagione ma, prima che possano
essere arati, i campi devono essere ripuliti dalle erbacce e dalle stoppie. Un
ciclo continuo che non conosce soste. E in Francia come altrove, del resto,
questa pulizia dei campi era effettuata utilizzando la vanga, un pesante
attrezzo con un lungo manico, con una lama larga come quella di una pala ad
angolo retto ed era particolarmente faticoso da usare perché richiedeva e richiede
ancora oggi, una notevole forza fisica e una lunga resistenza: anche il più
forte dei lavoratori trova dolorosa la vangatura e ha bisogno di pause
regolari.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il contadino raffigurato in questo dipinto di
Millet non fa eccezione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il suo magistrale “L'Uomo con la Zappa”, appoggiato
al suo arnese, tutto rigido, la bocca semiaperta, trasmette la sofferenza, la
stanchezza del contadino dopo una giornata di lavoro. È un contadino senza
identità, senza individualità, che lavora la terra e che è tutt'uno con
essa. Un disegno preparatorio in cui l'uomo con la vanga conserva ancora
alcune sembianze umane, mostra come è stata effettuata questa
"sintesi".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“L’uomo con la vanga”, olio su tela di
82 × 100 cm, databile fra il 1860 e il 1862, fa parte delle
collezioni del “J. Paul Getty Museum” di Los Angeles.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 16</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3jn8JAjMnIZWkBjuvAPCtRWEPQnaPSRGOpC9ctHxDABbP2CaKaN3O6Yl5WWMK4j04626f6X7VEvp4o9uAmE31B_p1n2X7JjOSQ7Ds7ekTZ7BBlrg-IKyVsB8_MzqcuwMl9WmAEMOuHdnvnKBQ5hZucvUQ7ApoxX6EGt-l6dBcxQ5FVSDdIj7e9kDDEho/s4157/Fig.16%20-%20Millet,_Jean-Fran%C3%A7ois_-_Man_with_a_Hoe_-_Google_Art_Project.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3361" data-original-width="4157" height="518" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3jn8JAjMnIZWkBjuvAPCtRWEPQnaPSRGOpC9ctHxDABbP2CaKaN3O6Yl5WWMK4j04626f6X7VEvp4o9uAmE31B_p1n2X7JjOSQ7Ds7ekTZ7BBlrg-IKyVsB8_MzqcuwMl9WmAEMOuHdnvnKBQ5hZucvUQ7ApoxX6EGt-l6dBcxQ5FVSDdIj7e9kDDEho/w640-h518/Fig.16%20-%20Millet,_Jean-Fran%C3%A7ois_-_Man_with_a_Hoe_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamolo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Appoggiato sul manico della vanga e ancora
molto affannato, il bracciante si ferma per una pausa e sembra sfinito.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In realtà non si tratta di una zappa come di
solito il titolo è tradotto, ma di una vanga, un attrezzo che serve
per dissodare il terreno suddividendolo in zolle che sono rivoltate e non per
scavare buche come la zappa. La vanga è diversa dalla zappa perché è spinta
nel terreno con la forza del piede anziché delle braccia. Una volta separata la
zolla e sollevata, l’altra mano afferra il manico il più possibile verso la
lama per completarne il sollevamento e per poi sbriciolarla. E questo per tutto
il campo da dissodare e da pulire da stoppie e da erbacce.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Coperto di sudore e con indosso solo la
camicia, dei ruvidi pantaloni e gli zoccoli, quando il caldo ha cominciato ad
incalzare ha tolto la giacca e il cappello e tiene le maniche allungate per
proteggersi dal sole intenso. Il viso e il collo sono già di un bruno intenso,
cotti dal sole, mentre le sue labbra sono screpolate e secche. L'espressione
sul suo volto è vuota e l’artista lo mostra privo di qualsiasi energia,
rivelandolo come un uomo allo stremo delle sue forze.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sta solo, moderno Prometeo, in un campo
accidentato e ricoperto di rovi, di stoppie e di ciuffi d'erba, e da solo
lavora la terra e la pulisce.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sullo sfondo di questa solitudine, in
lontananza alcuni mucchi di foglie secche e di erbe indesiderate stanno
bruciando, emettendo colonne di fumo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il contadino è alto, legnoso e appare
brutale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non ha via di scampo da quell’esistenza che
sembra un supplizio, una maledizione, una condanna ai lavori forzati.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sua fisionomia poco attraente è simile a
quella del “Seminatore” del 1850 e delle “Spigolatrici” del 1857, ma
come in loro, sebbene abbrutito dalla fatica, anche in lui c’è dignità e calma
solidità, dettate dalla consapevolezza dell’immutabilità del proprio destino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo sembrerebbe contraddire quei critici
d'arte che affermavano che Millet aveva concentrato tutta la sua attenzione
artistica sulla bruttezza della classe operaia rurale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In realtà le opere di Millet sono prive del
sentimentalismo dello stanco Romanticismo e cercano solo di raccontare il lavoratore,
il suo ambiente e la sua strenua fatica.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per lui la bellezza dei soggetti non conta.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Eppure “L'uomo con la vanga” è forse uno dei
pochi momenti della ribellione personale di Millet. L’opera fu infatti dipinta
in un momento in cui Millet non era più neanche in grado di pagare il prezzo
della visita medica a sua madre morente e aveva alzato le mani al cielo in
preda alla disperazione. Scrive in quel periodo: "Sono inchiodato alla
roccia e condannato a lavori forzati senza fine!"</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Non è forse l’immagine che sembra esprimere
l’uomo con la vanga?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">E allora, quando ancora una volta la povertà
si prendeva gioco di lui e lo schiacciava, dipinse nella sua opera l'amarezza
della sua disperazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet era ben consapevole di quali
sensazioni quell'immagine avrebbe suscitato nei borghesi infatti scrisse a un
amico: “L'uomo con la vanga mi metterà nei guai con un bel numero di persone
che non amano essere invitate a guardare con attenzione un mondo diverso da
quello a cui sono abituate, che odiano essere disturbate dalla loro
tranquillità”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">E aveva visto giusto. Raramente un'immagine è
riuscita a provocare opinioni così discordanti: da un lato la più grande
tempesta di insulti e dall'altro l'effusione più fanatica di elogi rispetto a
questa rappresentazione di un lavoratore dei campi, tormentato e disperato, che
si ferma per un momento ad appoggiarsi e a riprendere respiro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In quell’immagine è impresso il peso dei
secoli di servitù. Lo spirito di quest’uomo è stato infatti fiaccato, ucciso da
generazioni di lavoro forzato imposte a lui e a tutta la sua classe. Nei suoi
occhi c'è uno sguardo vuoto. Ogni espressione sul suo volto è stata soffocata
dalla fatica, l’uomo era ridotto al rango della bestia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel Seicento, in pieno Assolutismo, il
pensatore moralista Jean de La Bruyère, parlando di questa categoria di uomini
aveva scritto: “Certi animali selvatici si possono vedere sparsi per il paese,
maschi e femmine, neri, lividi e bruciati dal sole, legati alla terra, nella
quale crescono con invincibile ostinazione. Eppure, hanno una sorta di
linguaggio articolato, e quando si alzano, mostrano un volto umano e in realtà
sono uomini”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Verrebbe da dire: non subumani?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I critici rabbrividirono di fronte al
doloroso realismo di quest’opera.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nessuno prima di allora aveva mai osato
scuotere quell'uomo dalle sue tenebre – questo contadino con la vanga, con la
schiena piegata, con il cranio teso come una pera per la lunga e interminabile
fatica, con quegli occhi vacui, gelidi, insensibili a ogni pensiero – la bestia
feroce e muta dell'aratro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Uno dei critici scrisse sprezzante:
"Millet dovette cercare per un bel po' di tempo prima di trovare un
ragazzo così. Tali tipi non si incontrano comunemente, nemmeno nei manicomi.
Immaginate un mostro con uno stupido sorriso stampato in faccia, piantato di
traverso come uno spaventapasseri in mezzo al campo. Nessun barlume di
intelligenza dà un tocco umano a questa cosa brutale, quindi si tratta di un
lavoro o di un omicidio che ha commesso? Sta scavando il terreno o sta scavando
una fossa?”</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">E di fronte a questo giudizio siamo
nell’anticamera di Lombroso?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In questo quadro, la gente di città, i
borghesi videro una propaganda socialista.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma l'uomo con la vanga non era un
manifesto politico, era piuttosto una figura molto tipica delle grandi masse di
braccianti agricoli che da dieci secoli lavoravano nei campi di Francia senza
un mormorio. Era forse apparso un artista per dar voce a questa povera gente?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Forse sì. Nei suoi quadri Millet mostrava un
lamento, ma senza l’idea di una disperazione sociale, ma di quella individuale.
Per una volta, Millet aveva dipinto però un autentico discorso politico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“L'Uomo con la zappa” è un servo
paziente che compie l'opera di Dio nella sua cattedrale della terra e del
cielo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Alle accuse di socialismo Millet chiese
retoricamente "L'opera di questi uomini è forse il tipo di opera futile
che alcuni vorrebbero farci credere? Per me, almeno, riflette la vera dignità,
la vera poesia della razza umana".</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Poesia certamente, caro Jean François, ma
poesia tragica. Arare i campi, dipingere quadri, scrivere inni: queste nobili
opere devono essere fatte. Ma perché danno tanto amaro dolore nel compierle?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le “scene di genere” di Millet
impressionarono molti pittori progressisti e crearono una tendenza che fu poi
sviluppata in opere come “I raschiatori del pavimento” del 1875 di
Gustave Caillebotte, “I Cantonieri in rue de Berne” del 1878 di Edouard Manet,
la “Donna che dipinge se stessa” del 1887-90 di Degas e “I giocatori
di carte” di Cézanne del 1892-6. Per non dire delle opere di Daumier
e di Rosa Bonheur, anche se quest’ultima con uno spirito alquanto diverso.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Queste opere furono molto discusse in un
momento in cui la Francia stava ancora cercando di assestarsi e di sanare le
sue divisioni interne all'indomani della Rivoluzione del 1848, anche se Millet
era un artista più umanitario che fazioso. Da questo punto di vista, era
diverso da “Gustave Courbet” (1819-1877), pittore decisamente di
sinistra, le cui opere come “Gli spaccapietre” e “Lo studio dell'artista”
del erano così sfacciatamente politiche.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tuttavia, Millet condivise con Courbet lo
stesso desiderio di rendere omaggio agli operai e ai braccianti di Francia e le
sue immagini diedero una nuova monumentalità alle loro esistenze.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per lui, i contadini e le campagne facevano
parte di un mondo arcaico fuori dal tempo ed erano una parte unica del
patrimonio della Francia. Essendo anche i più vicini alla natura erano anche i
più vicini a Dio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per fortuna il dolore per il mancato
apprezzamento di quest’artista non rimase con lui per sempre: alla fine opere
come “Il seminatore”, “Le spigolatrici” e
“L'Angelus” convertirono un piccolo, ma influente gruppo di persone e di
critici alla religione della sua arte. Queste persone non erano né sconcertate
né spaventate dal suo realismo. Un'artista “fratello”, “Théodore Rousseau”, fu
uno dei primi a riconoscere il genio di questo pittore così tristemente
paziente e, quando Millet stava affrontando le sue schiacciati difficoltà
economiche, Rousseau comprò uno dei suoi dipinti per poche centinaia di franchi
e, per non metterlo in imbarazzo, finse che l'aveva comprato per un ricco
americano. Un altro amico aveva raccolto abbastanza soldi attraverso una
lotteria per pagare l'affitto e le note del macellaio. Alexandre Dumas
scrisse articoli entusiastici sul suo lavoro, e un ricco collezionista
accettò di anticipargli 1.000 franchi al mese in cambio della produzione totale
di Millet per un periodo di tre anni. Un altro cliente ancora gli commissionò
delle opere a pastello per una collezione che si prevedeva che
sarebbe cresciuta fino a più di 90 unità: dal 1865 Millet fece quindi del
pastello il suo campo privilegiato di sperimentazione pittorica e lo utilizzò
per lavorare sulla resa della luce e dei colori.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sembrava che il destino di Millet stesse
cambiando.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1867, in occasione dell’”Esposizione
Universale” di Parigi fu ospitata un’importante antologica delle sue opere fra
cui “Le spigolatrici”, “L'Angelus” e “I piantatori di patate” del 1861.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 17</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhk_xfTqC7cQZRwZ_w0-aPijimiIMLUBe3YFaVR-bLfDDMGzwOS-F6SwqThCEd4XH39ASlBl7AZgpaErV1gRe7UzwBibgl_XSoVA1DULPHrJiF3_DLCH1dkcl3g_QASt8QNVg5hwjQTCAzAwIOk-t2UXhuTsiS9M3V8AvfA9SYFFhnyfwDCZ1iFdAjG0pU/s1320/Fig.%2017%20-%20Millet-les-planteurs-de-pommes-de-terre.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1079" data-original-width="1320" height="524" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhk_xfTqC7cQZRwZ_w0-aPijimiIMLUBe3YFaVR-bLfDDMGzwOS-F6SwqThCEd4XH39ASlBl7AZgpaErV1gRe7UzwBibgl_XSoVA1DULPHrJiF3_DLCH1dkcl3g_QASt8QNVg5hwjQTCAzAwIOk-t2UXhuTsiS9M3V8AvfA9SYFFhnyfwDCZ1iFdAjG0pU/w640-h524/Fig.%2017%20-%20Millet-les-planteurs-de-pommes-de-terre.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il primo vero riconoscimento ufficiale gli
giunse tuttavia l’anno successivo, il 1868, quando fu nominato cavaliere della
“Legion d'Onore”, e poi nel 1869, quando il “Museo delle Belle Arti” di
Marsiglia acquistò “La Bouillie” del 1861, la sua prima opera ad entrare in una
collezione pubblica. Nell’anno in cui fu insignito della Legion d'Onore
ebbe anche il suo dolore più grande: perse il più caro dei suoi amici, Rousseau
che affetto da paralisi, questo "più di un fratello" morì tra le sue
braccia.</div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 18</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3jFz92PjfZGG_BEnNTNegIukoDxHPb9aP94pDwp7Xbngw4IZZnJXoIMK0YnuNheC_wI1MbIxhwHE0LzETKivveKG64kPQVQoxh4jy30xl47RoBxVKN8hFHzdqIbcPc4aAxRNGF-HWW7gGF0Tg1xDNQdn9cHDnFixMLCsbwuu7FIFOBuZzJnWlQbtlOqg/s1903/Fig.%2018%20-%20Millet_-_La_bouillie.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1903" data-original-width="1639" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3jFz92PjfZGG_BEnNTNegIukoDxHPb9aP94pDwp7Xbngw4IZZnJXoIMK0YnuNheC_wI1MbIxhwHE0LzETKivveKG64kPQVQoxh4jy30xl47RoBxVKN8hFHzdqIbcPc4aAxRNGF-HWW7gGF0Tg1xDNQdn9cHDnFixMLCsbwuu7FIFOBuZzJnWlQbtlOqg/w552-h640/Fig.%2018%20-%20Millet_-_La_bouillie.jpg" width="552" /></a></div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tra il 1853 e il 1871 Millet aveva compiuto
brevi soggiorni nella sua regione natale, da dove aveva sempre riportato
numerosi studi che rappresentavano i luoghi della sua infanzia, la sua casa, i
monumenti locali, la costa della Normandia. “Le Bout du hameau de Gruchy”
del 1854, tela preparatoria per una composizione presentata poi al Salon del
1866, è un primo esempio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 19</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGJXf_pdKTpQlWs0IC2zJIo57LG-NPpMRmQ-YA9EssHRyoSCPL48Gg0TYcK2nOS0rituUiLu21R393iYQzLli8bEd0b1_uNxQX6QwVFH1Zejq_9sldTfd1H8Pmv1yzalgzdy9kTf1psjooQcf0DbNeSrU5gIF3t4ceZU8hAANWtXMph0KJ5GdmiGDW4a4/s1145/Fig.%2019%20-%20Lille-expoMillet-2017-15.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="935" data-original-width="1145" height="522" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGJXf_pdKTpQlWs0IC2zJIo57LG-NPpMRmQ-YA9EssHRyoSCPL48Gg0TYcK2nOS0rituUiLu21R393iYQzLli8bEd0b1_uNxQX6QwVFH1Zejq_9sldTfd1H8Pmv1yzalgzdy9kTf1psjooQcf0DbNeSrU5gIF3t4ceZU8hAANWtXMph0KJ5GdmiGDW4a4/w640-h522/Fig.%2019%20-%20Lille-expoMillet-2017-15.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Col passare del tempo, la sua tavolozza tese
ad alleggerirsi un poco e, man mano che le sue pennellate si
allentavano, dava luogo a un certo impressionismo: diversamente dagli
impressionisti, però non dipinse mai all'aperto, vi realizzava i disegni, che
poi riutilizzava nel suo atelier per creare le sue composizioni, e non prestò
mai troppa attenzione ai valori tonali.</div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nell'agosto 1870 Millet fuggì dalle truppe
prussiane che minacciavano l'Île-de-France in cui si trova anche Barbizon e si
rifugiò a Cherbourg con la moglie e i loro nove figli.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La fine della sua vita fu segnata da un
appassionato interesse per il paesaggio, in particolare per i siti legati alla
sua infanzia (Le Lieu Bailly, vicino a Gréville) e per i monumenti emblematici
della sua regione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La serie “Falaises de Gréville” è
particolarmente caratteristica di questa lenta maturazione dai primi
schizzi rapidamente abbozzati al disegno preparatorio finale, passando per gli
studi più precisi alla matita, alla penna o al pastello.</div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L'ultimo soggiorno di Millet nel Cotentin,
dal 1870 al 1871, segna il trionfo assoluto del paesaggio nella sua
opera. La resa degli effetti atmosferici e luminosi osservati all'aperto
diventa importante quanto il soggetto stesso del dipinto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">“La Chiesa di Gréville”, ultimo capolavoro
dell'artista che non lasciò mai il suo studio, è l'emblema delle sue origini,
l'espressione del suo attaccamento alla sua terra natale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 20</div></span></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVikiC452NT_9FMYZacc57Svi68Wzi4nuQQ9MbqyaYz6EIDGs2Nel-Kg20TLmRHNS-9JXgNpP5_fj4ofs5TjpoTvUdVg9Mk9IZy1t_ZU9wqLQFXjDCtfm9Q2M3ynxD4DckNr80H3_OVqs3rvtZq63SwjydWAAnJgYFO2PswOzC1mHMKJa1cNdKkxWQ0K0/s2288/Fig.%2021%20-%20Jean-fran%C3%A7ois_millet,_la_chiesa_di_gr%C3%A9ville,_1871-74_ca.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2012" data-original-width="2288" height="562" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVikiC452NT_9FMYZacc57Svi68Wzi4nuQQ9MbqyaYz6EIDGs2Nel-Kg20TLmRHNS-9JXgNpP5_fj4ofs5TjpoTvUdVg9Mk9IZy1t_ZU9wqLQFXjDCtfm9Q2M3ynxD4DckNr80H3_OVqs3rvtZq63SwjydWAAnJgYFO2PswOzC1mHMKJa1cNdKkxWQ0K0/w640-h562/Fig.%2021%20-%20Jean-fran%C3%A7ois_millet,_la_chiesa_di_gr%C3%A9ville,_1871-74_ca.jpg" width="640" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Completata nel 1874, anno della prima mostra
impressionista, l'opera è inondata di luce solare. Il tocco è libero,
vivace e veloce. Millet si unisce qui alle ricerche della nuova
generazione di artisti che si preparava a rivoluzionare ancora la pittura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Millet morì a Barbizon il 20 gennaio 1875.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’eredità di Millet ebbe tuttavia una
notevole influenza su altri giovani artisti, tra cui “Eugène Boudin” (1824
– 1898) nella rappresentazione della vita rurale e contadina, “Claude
Monet” (1840 – 1926) influenzato dalla rappresentazione della vita rurale e
anche dalla luce naturale e dal colore dei dipinti di Millet e più tardi influenzò
anche “Pablo Picasso” (1881 – 1973) che a Parigi lo studiò molto in particolare
il suo uso di luci e ombre per creare effetti drammatici nei suoi dipinti. Il suo
talento di disegnatore e l'attenzione per la gente comune nelle sue opere
piacquero ad artisti come Van Gogh, che ricordò più volte l'opera di
Millet nelle lettere a suo fratello, e come “Georges Seurat”, padre del
“pointillisme”.</div><div style="text-align: justify;"> Massimo Capuozzo</div></span></span><p></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></span></p>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-29931314064393050942024-01-17T02:54:00.000-08:002024-01-26T04:03:02.567-08:00Gustave Courbet: “gli anni della svolta e le tele della provocazione”<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Figlio di ricchi proprietari terrieri, Courbet (1819 - 1877) era un giovanotto alto e forte di Ornans, piccola città di 4.000 abitanti a 25 km da Besançon nella Franca Contea.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo gli studi superiori in collegio a Besançon fu indirizzato prima agli studi di ingegneria poi a quelli di giurisprudenza ma, quando si trasferì a Parigi per studiare, passava più tempo al Louvre che su codici e pandette.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In quegli anni della giovinezza “<i>bohèmien</i>” frequentava artisti e intellettuali tra cui Baudelaire e Proudhon che esercitarono su di lui un notevole fascino. Iniziò a farsi un nome dipingendo principalmente ritratti e ben presto abbracciò gli ideali socialisti degli intellettuali progressisti. In pochi anni il bel giovanotto romantico diventò una sorta di rappresentante della ribellione, un festaiolo che concentrava la sua attenzione su donne e alcol oltre che sulla pittura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Poco prima della fine del 1848 Courbet si trasferì in un laboratorio di “<i>Rue Hautefeuille</i>”, non lontano dalla birreria Andler-Keller che frequentava già dai suoi primi anni parigini e fece di questo luogo la sua “<i>dependance</i>”: lì, tra amici, furono sviluppate grandi teorie. Charles Baudelaire e lo scultore Auguste Clésinger erano assidui frequentatori e in quella birreria Gustave si incontrava con i suoi amici del gruppo di Ornans tra cui “<i>Max Buchon</i>” e il musicista “<i>Alphonse Promayet</i>”. Anche <i>Henry Murger</i>, <i>Alexandre Schanne</i> e una serie di persone che animavano la <i>Bohème</i> parigina frequentavano quella birreria e il loro atteggiamento traspariva dal look e dagli ideali che professavano. La sua statura imponente, il suo gusto per la birra e per la musica, facevano di Gustave un “<i>leader</i>”. Con la rivoluzione del 1848 alle porte, Courbet era al centro del fermento artistico e politico dell’altra Parigi. Lì suonava il violino, si legava ad artisti che volevano proporre una “<i>terza via</i>”, in opposizione al Romanticismo e ai gusti accademici: il nemico dichiarato era <i>Paul Delaroche</i></span><span style="font-family: verdana;"> (1797 - 1856), pittore simbolo dell’accademismo. Charles Baudelaire o Hector Berlioz, di cui Courbet dipinse splendidi ritratti, erano le menti più brillanti di questo gruppo e qui, sotto la guida di Champfleury, Courbet gettò le basi del proprio stile, quello che egli stesso avrebbe chiamato "<i>realismo</i>", riprendendo un termine coniato dal suo gruppo, constatando di fatto che “<i>il dipinto esisteva già sotto i loro occhi</i>”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">I tempi però erano duri e Courbet continuava a non vendere nulla e ad essere squattrinato, salvo i congrui sussidi paterni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A febbraio la rivoluzione li sorprese in tutta la sua violenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La rabbia ribolliva in tutta l’Europa tra moti rivolte e rivoluzioni. In Francia ci fu una vera e propria rivoluzione: la “<i>Monarchia di Luglio</i>” di Luigi Filippo fu rovesciata sotto la guida di liberali e repubblicani e fu nominato un governo provvisorio che proclamò la “<i>Seconda Repubblica</i>”, Luigi Napoleone Bonaparte fu eletto a suffragio “<i>universale</i>” maschile e diventò presidente di questa Repubblica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet sembrò credere in lui.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il “<i>Salon</i>”, aperto 15 marzo 1848 accettò tre suoi disegni e sette dipinti ma, nonostante una menzione d'onore, non trovò alcun acquirente. Di contro la critica incominciò a notarlo: in “<i>Le National</i>”, “<i>Prosper Haussard</i>” (1802–1866) elogiò soprattutto “<i>Le Violoncelliste</i>”, un autoritratto, che secondo il critico era ispirato a Rembrandt, mentre Champfleury, che sarebbe stato uno degli amici più fedeli di Courbet, in “<i>Le Pamphlet</i>” ammirò la “<i>Notte di Valpurga</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Champfleury parlò molto del gruppo di “<i>Rue Hautefeuille</i>” e definì la birreria Andler “<i>il tempio del realismo</i>”. Un altro testimone e amico di Courbet, “<i>Jules-Antoine Castagnary</i>” (1830 – 1888) riferì che, fuori dal suo laboratorio, negli anni Sessanta dell'Ottocento “<i>era nella birreria che Courbet si incontrava con il mondo esterno</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A giugno le vicende politiche a Parigi peggiorarono. Gustave, sostenitore della non violenza, partecipò agli eventi relativamente da lontano. I suoi amici Champfleury, Baudelaire insieme allo studioso di linguistica Charles Toubin misero insieme in pochi giorni un giornale, “<i>Le Salut public</i>”, sul cui frontespizio Courbet realizzò una vignetta.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Alla morte di suo nonno Oudot il 13 agosto tornò come meglio poté a Ornans per partecipare ai funerali. A Ornans preparò i suoi primi dipinti aderendo risolutamente allo spirito di questo nuovo modo di vedere l’Arte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel marzo 1849 Champfleury stilò per il pittore l'elenco delle undici opere proposte per il “<i>Salon</i>” e Baudelaire scrisse le note che accompagnavano la presentazione. Sei dipinti e un disegno furono selezionati da una giuria ora eletta dagli artisti stessi e proprio nella culla della Seconda Repubblica, e Courbet diventò il pittore singolare che noi tutti oggi conosciamo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A Ornans dipinse una serie di opere, e soprattutto “<i>Un dopo cena a Ornans</i>”, che gli valse una medaglia d'oro e il suo primo acquisto da parte dello Stato per 1.500 franchi. Questo <i>status</i> di pittore premiato con medaglia d’oro, da quel momento in poi lo esonerò dalla approvazione della giuria e fu di conseguenza libero di esporre al “<i>Salon</i>” ciò che voleva.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet usò questa possibilità per scuotere fin dalle radici i codici accademici.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quest’olio su tela gli avrebbe assicurato la fama.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>Un dopo cena a Ornans</i>” fu realizzato in un formato molto grande (250×200 cm) che Courbet avrebbe continuato ad adottare in futuro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il ritorno alle radici, nel suo paese natale, cambiò il suo modo di dipingere: abbandonò definitivamente lo stile “<i>romantico</i>” di alcuni dei suoi primi dipinti esposti e, ispirato dal suo “<i>territorio”</i>. “<i>Il dopo cena</i>” gli valse anche il consenso di alcuni critici, come il suo amico “<i>Francis Wey</i>” e il plauso di pittori tra cui “<i>Ingres</i>” e “<i>Delacroix</i>”, due mostri sacri della scena artistica francese.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">I suoi paesaggi, ancora relativamente rari all'epoca, incominciarono gradualmente a essere dominati dall'identità del ritiro, della solitudine e dall'affermazione della potenza della natura, mentre contemporaneamente si stavano delineando gli inizi della “<i>scuola di Barbizon</i>” e della “<i>scuola di Crozant</i>”, fortemente influenzate da “<i>John Constable</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ma osserviamo ora “<i>Il dopocena a Ornans</i>” dipinto a trent’anni nel 1849 e oggi esposto al “<i>Palais des Beaux-Arts</i>” di Lille.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 1</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi28KtoxV_PYlh4Yh0rJIAlGpnD_jBgdp-1QhVWSnWO6ZVnjQo9N0XjXCdaqZWZMrQs_TCw6VV1amXlRNJkU2WmTjm31SGfPksBhuF8ekDLQ_eLrN1Ak8QjBHMVv17de1g1L4UMGra7a-Q49oEblIFFmnJAWO5btAYkcX2FTSPr8PAGspnqvsvW_oUFS_M/s2000/Fig.%201%20courbet%20-%20apres-diner-ornans.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1506" data-original-width="2000" height="482" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi28KtoxV_PYlh4Yh0rJIAlGpnD_jBgdp-1QhVWSnWO6ZVnjQo9N0XjXCdaqZWZMrQs_TCw6VV1amXlRNJkU2WmTjm31SGfPksBhuF8ekDLQ_eLrN1Ak8QjBHMVv17de1g1L4UMGra7a-Q49oEblIFFmnJAWO5btAYkcX2FTSPr8PAGspnqvsvW_oUFS_M/w640-h482/Fig.%201%20courbet%20-%20apres-diner-ornans.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dipinto a Ornans durante l'inverno del 1848-1849, inizialmente era intitolato “<i>Una cena pomeridiana a Ornans</i>”, e fu il primo dipinto "<i>realista</i>" su larga scala con cui Courbet sfidò le convenzioni rappresentative della pittura accademica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Per realismo qui si intendono gli "<i>effetti della realtà</i>", basati su una scena di vita quotidiana realmente vissuta, con un piglio decisamente documentaristico: questo momento della vita del borghese di provincia passa infatti ai posteri.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>Il dopocena</i>” fu la prima opera che lo rese famoso e fu anche il suo primo dipinto di grande formato, con figure quasi a grandezza naturale e fu inoltre la sua prima importante opera veramente realistica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Si tratta di una scena “<i>realmente</i>” vissuta dal pittore, che racconta le circostanze e conferisce identità ai personaggi. Suo padre, Régis Courbet, è seduto a sinistra, con le gambe incrociate, una mano che tiene un bicchiere vuoto, l'altra in tasca, la testa abbassata e sembra assopito. Dietro il tavolo c'è il padrone di casa, Urbain Cuénot con aria pensierosa e, con la testa appoggiata sulla mano sinistra, guarda il musicista Alphonse Promayet, altro amico d'infanzia del pittore che, seduto nell'ombra suona il violino. Infine, l'ultimo personaggio, Adolphe Marlet, il cacciatore, è mostrato di spalle mentre accende con noncuranza la pipa, con il suo cane addormentato sotto la sedia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In questo dipinto Courbet mostra la sua vita a Ornans, la sua famiglia, gli amici della sua giovinezza, li rappresenta con affetto, ma senza compiacimento, perché la ricerca della verità per lui ha la precedenza assoluta nell’Arte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il dipinto è immerso nella tenue luce di un pomeriggio autunnale, perché la cena evocata dal titolo è il pasto di mezzogiorno e non quello della sera. La luce pomeridiana illumina i volti, la tovaglia e la figura di spalle, lasciando nell'oscurità il resto della stanza; sullo sfondo si intravede appena un imponente camino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">I colori sono pochi e piuttosto scuri, neri profondi, marroni e grigi. Risaltano ancora di più i punti luminosi: la tovaglia bianca e l'abito beige del cacciatore. Gli abiti caldi dei personaggi e la presenza del cane da caccia contribuiscono a collocare la scena in autunno. Courbet rappresenta realisticamente anche gli avanzi del pasto sulla tavola e perfino una grande macchia di vino sulla tovaglia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 2</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNjzRVgHvrTS5vTS3MQjRaFMn4jL0QRaeIXbyHZVGXDKKFDNZ3mZTL5YgfRl92ntSpKo-ed08FkSQhj6gQrdu3FTCsXBBZEvLOKxez9TKAHFOAGgbyAfAO7PyiUGiCjOD9fkZHemuh2sT3F7XHLi8_qCkEwEKwzGzyjvNgDr-5lPNUxjw8WheOuJNV8Gk/s1763/fig%202-%201-valentin-de-boulogne-concert.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1763" height="508" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNjzRVgHvrTS5vTS3MQjRaFMn4jL0QRaeIXbyHZVGXDKKFDNZ3mZTL5YgfRl92ntSpKo-ed08FkSQhj6gQrdu3FTCsXBBZEvLOKxez9TKAHFOAGgbyAfAO7PyiUGiCjOD9fkZHemuh2sT3F7XHLi8_qCkEwEKwzGzyjvNgDr-5lPNUxjw8WheOuJNV8Gk/w640-h508/fig%202-%201-valentin-de-boulogne-concert.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Non cerca di abbellire la scena, ma di rappresentarla in tutta la sua realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La composizione è costruita in profondità e dona perfettamente l'illusione dello spazio. Tutti questi elementi contribuiscono a evocare con forza un mondo reale e familiare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La pittura francese del Seicento aveva già offerto numerosi esempi di “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">scene di genere</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” sul tema dei pasti, dei bevitori e dei musicisti, in particolare tra i Caravaggisti, il cui rappresentante più illustre era stato “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Valentin de Boulogne</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 3 </span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3TNG7I6qqs6mWyvUX57r-Rx6rQ9ckmd8-63RwTMeuFDs1o3LLr0LOGaVmWMnc5WQeXVATCquz6Jizw0RVqzYn7ozTk2ElENY2ga-MdLBBVzipUsvfvuYAf1JLb94tINYbXOiH1LlWkyoPgch40wXkHahnH47gr3_NEwBguBzJYXFlM6O9VOhvW8ZywNQ/s1744/fig%203%20-%20le-nain-repas-paysans.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1744" height="514" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3TNG7I6qqs6mWyvUX57r-Rx6rQ9ckmd8-63RwTMeuFDs1o3LLr0LOGaVmWMnc5WQeXVATCquz6Jizw0RVqzYn7ozTk2ElENY2ga-MdLBBVzipUsvfvuYAf1JLb94tINYbXOiH1LlWkyoPgch40wXkHahnH47gr3_NEwBguBzJYXFlM6O9VOhvW8ZywNQ/w640-h514/fig%203%20-%20le-nain-repas-paysans.jpg" width="640" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Anche i fratelli Le Nain, che però non avevano avuto contatti con l’Italia, avevano fatto lo stesso all'inizio del Seicento mostrando il loro interesse per questo soggetto con dipinti come per esempio il “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Pasto di contadini</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” in cui essi guardano lo spettatore e si mettono in posa, così come avevano fatto alcuni artisti del periodo d'oro della pittura olandese, per non parlare dei fiamminghi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 4</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgecGKSZhJc887xStrEYLfGMy7j3zswNGDTCFhkelRdX6LKKpytG364-QP4Z8a6wQPS_S60imtVs4shHmOI3DBTYRIhG3_d4TjJ_vb1CInM2Cq7n-qmqyoq1pNwsw0o6DDB4ih25okUHcmBHdosJpLo3SYwgFjNYETUVJ3zepW1haXDkj8tDQJLdblpQ-I/s2000/Fig.4%20-%20ostade-cabaret-villagef.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="1693" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgecGKSZhJc887xStrEYLfGMy7j3zswNGDTCFhkelRdX6LKKpytG364-QP4Z8a6wQPS_S60imtVs4shHmOI3DBTYRIhG3_d4TjJ_vb1CInM2Cq7n-qmqyoq1pNwsw0o6DDB4ih25okUHcmBHdosJpLo3SYwgFjNYETUVJ3zepW1haXDkj8tDQJLdblpQ-I/w542-h640/Fig.4%20-%20ostade-cabaret-villagef.jpg" width="542" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Courbet traeva ispirazione dalla pittura nordica, fiamminga e olandese, dove la “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">scena di genere</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” aveva occupato un posto importante fin dal Rinascimento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Avendo viaggiato in Belgio e nei Paesi Bassi negli anni precedenti, Courbet aveva potuto osservare e studiare il lavoro di quei pittori che soddisfacevano la sua esigenza di realismo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La maggior parte di questi antichi dipinti avevano però dimensioni più modeste rispetto a “<i>Dopo cena a Ornans</i>” e i personaggi che comparivano in essi erano anonimi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dando grandi dimensioni alla sua opera e dando un nome ai personaggi, Courbet trasformava una “<i>scena di genere</i>” in un “<i>soggetto storico</i>”. E da questo la sua forza dirompente: i grandi formati, infatti, erano tradizionalmente riservati alla “<i>pittura storica</i>”, il genere più apprezzato dalla “<i>Scuola di Belle Arti</i>”. Courbet stava quindi incominciando a sconvolgere la tradizione, come avrebbe fatto ancora un anno dopo con “<i>Un funerale a Ornans</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Da ardente repubblicano qual era, voleva forse dimostrare che ognuno ha un suo posto nella Storia?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo desiderio di competere con la pittura storica può spiegare anche un'altra ipotizzabile fonte di ispirazione, “<i>La Vocazione di San Matteo</i>” di Caravaggio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig.5 </span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKV-3OhZcj7OgJi3Nx4Fyz9oQMpRsTAWcMrlDjyVTF9Zrui4jFhfdTagWgBBoleaX4IbnglN1p1GCdrY743x9VfDUE1-kx7kWPIJFx_BlrA8xekirezwB8ekf8TqrC2W9NXc0ZiIsFYcgV_AM0xO-c04zE6g5Wz6fFfC91qGgcTzcX3Uazi2KM3kLeUfs/s1500/Fig%205-%20caravage-vocation-saint-matthieu.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1429" data-original-width="1500" height="610" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKV-3OhZcj7OgJi3Nx4Fyz9oQMpRsTAWcMrlDjyVTF9Zrui4jFhfdTagWgBBoleaX4IbnglN1p1GCdrY743x9VfDUE1-kx7kWPIJFx_BlrA8xekirezwB8ekf8TqrC2W9NXc0ZiIsFYcgV_AM0xO-c04zE6g5Wz6fFfC91qGgcTzcX3Uazi2KM3kLeUfs/w640-h610/Fig%205-%20caravage-vocation-saint-matthieu.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet riprende apparentemente la composizione, che pone di lato e nell'ombra il personaggio in azione, la figura di Gesù in Caravaggio e il violinista nel “<i>Dopocena</i>” di Courbet, ma sembra riprendere anche i forti contrasti di ombra e di luce.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Si tratta però solo di un’assonanza, forse solo di una semplice coincidenza perché Courbet non era mai stato a Roma e non conosceva questo famoso dipinto romano se non da qualche incisione. Ma è troppo poco per parlare di una citazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Delacroix fu pieno di elogi e dichiarò: “<i>Hai visto qualcosa di simile, o di così forte […]?" si domandava e rispondeva: "Ecco un innovatore, anche un rivoluzionario, che improvvisamente emerge senza precedenti</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il dipinto attirò l'attenzione, ma provocò anche molte critiche, in particolare da parte di Ingres e di Théophile Gautier. Per le sue dimensioni e la sua fattura – i personaggi sono quasi a grandezza naturale e uno di loro che è addirittura ritratto di spalle –, riprendeva le convenzioni della pittura di Storia, ma la scena raffigurata colpisce per la sua irrilevanza, per la sua banalità quotidiana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nella capitale nel giugno 1849 si svolsero violente manifestazioni e Gustave decise di ritornare a Ornans dopo il “<i>Salon</i>” che era stato finalmente autorizzato, ma gli apprezzamenti che riceveva in campo artistico non fecero altro che scatenare la furia delle critiche reazionarie che accusarono Courbet di essere un pittore del "<i>grossolano</i>", del "<i>triviale</i>", del "<i>disgustoso</i>". Ovviamente da intendere nel regno dell’Arte. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel frattempo a Parigi più di 30.000 soldati si erano stabiliti in città e mantenevano il coprifuoco.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Al suo arrivo a Ornans, in seguito al successo del “<i>Dopocena</i>” la cittadina riservò un'accoglienza trionfale all’”<i>enfant prodige</i>” del paese. Courbet fu celebrato come un eroe e vi si trattenne per un periodo più lungo. Suo padre gli allestì un laboratorio improvvisato nella soffitta della casa di famiglia dei nonni: sebbene di modeste dimensioni, in questo laboratorio compose le sue prime opere monumentali, che lo storico dell’Arte americano Michael Fried definisce “<i>i dipinti della svolta</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet ora aveva tanto tempo per dipingere, visto che il successivo “<i>Salon</i>” era previsto solo fra dicembre 1850 e gennaio 1851.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel corso del 1850, dopo un tardo inverno trascorso a caccia e a ricongiungersi con gli abitanti della sua valle, dipinse “<i>I contadini di Flagey di ritorno dalla fiera</i>”, poi “<i>Un funerale a Ornans</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">fig. 6</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZAoWHUQTSrVL9fPaK5uNWsCo3fxss25kBIcYGgd-z-Tbi1BeWsk5Hcum21Ko8qB9hHvW1OdipOxFHQgRf7zpYrBo69DJl4ocuL8VZ-eQ04ceHGTyRQj0PrZUPlQpr_brxs1wPV7qtqkYpPJfJqH58TqGYcSJS893WDs09D92Lws7992KxSlSRho6GAIU/s300/fig%206%20.Gustave-courbet-the-peasants-of-flagey-returning-from-the-fair-s.Jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="231" data-original-width="300" height="493" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZAoWHUQTSrVL9fPaK5uNWsCo3fxss25kBIcYGgd-z-Tbi1BeWsk5Hcum21Ko8qB9hHvW1OdipOxFHQgRf7zpYrBo69DJl4ocuL8VZ-eQ04ceHGTyRQj0PrZUPlQpr_brxs1wPV7qtqkYpPJfJqH58TqGYcSJS893WDs09D92Lws7992KxSlSRho6GAIU/w640-h493/fig%206%20.Gustave-courbet-the-peasants-of-flagey-returning-from-the-fair-s.Jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>I contadini di Flagey al ritorno dalla fiera</i>” rappresenta ancora una volta un momento della vita quotidiana dei contadini della Franca Contea.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Osserviamo il dipinto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Al calare della notte, i contadini, uomini e donne, ritornano dalla fiera di Salins con i loro acquisti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Alcuni riportano nelle ceste il cibo avanzato, altri hanno acquistato animali da ingrassare. I più ricchi sono a cavallo, i più modesti li seguono a piedi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La composizione di questa tela, in uno stile che per certi aspetti richiama l'immaginario popolare, ha però ancora qualcosa di artificioso: ai margini di questo strano corteo di contadini, sembra essere stato aggiunto l'uomo con il maiale, incastrato sull’insieme, a dipinto terminato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il gusto di Courbet per i dettagli veri (la pipa, il maiale, il suo ombrello, il cesto in bilico sulla testa del contadino) testimonia un’ansia di realismo, ma anche il valore sentimentale che quegli oggetti della vita quotidiana continuano ad avere per un ragazzo di paese.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Questo dipinto sarebbe stato esposto al “<i>Salon</i>” del 1851 con “<i>Il funerale a Ornans</i>” </span><span style="font-family: verdana;">e “<i>Gli spaccapietre</i>”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Se questi dipinti misero a disagio il pubblico quando nel 1851 furono esposti nella più importate manifestazione parigina fu perché essi mostravano, senza cercare minimamente di abbellirla, una realtà molto ordinaria, addirittura banale, e perché elevavano una “<i>scena di genere</i>” al rango di pittura storica. Questa sua pregiudiziale si riflette nella sua nuova estetica, perché questo leader del realismo </span><span style="font-family: verdana;">amava definirsi anche un “<i>pittore locale</i>” che, legato alla sua “<i>piccola patria</i>”, riassumeva nella sua pittura le radici locali.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">I campagnoli colti, composti principalmente da piccoli e da medi proprietari terrieri del Doubs, erano il pilastro di una democrazia egalitaria giunta ai limiti dell’agiatezza. In questo dipinto, Courbet si fa pittore di un piccolo contadino quasi ricco, amico della proprietà, la “<i>massa granitica</i>” di una società stabile e moderata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Un altro esempio emblematico della sua svolta realistica è il dipinto “<i>Gli spaccapietre</i>” del 1849.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In esso Courbet cerca di mostrare la realtà senza filtri, senza farsi influenzare da punti di vista, da opinioni personali su un determinato soggetto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quando il dipinto fu esposto, il pubblico rimase perplesso chiedendosi che cosa stesse guardando: si trattava di un soggetto che non aveva nulla a che fare con i temi consueti dell’Arte, realizzato con un realismo “<i>fotografico</i>”, ma non quello di una fotografia con velleità estetiche, ma come quella di un qualsiasi reporter di cronaca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo è un dipinto triste e, oltre a questo, ha avuto una storia drammatica. Esposto per la prima volta al Salon del 1850-1851, nel 1909 fu acquistato dalla “<i>Gemäldegalerie Alte Meister</i>” di Dresda e purtroppo andò distrutto insieme ad altri 154 dipinti nel corso del bombardamento alleato di Dresda nel febbraio 1945: mentre si cercava di mettere al sicuro queste opere trasportandole su camion verso la fortezza di Königstein per metterli, il camion fu colpito in pieno da una bomba. In seguito alla sua drammatica distruzione, degli “<i>Spaccapietre</i>” restano solo due fotografie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Non era la prima volta che Courbet dipingeva un operaio: ad esempio, “<i>Le Cheminot</i>” degli anni 1845-1846, un dipinto poco noto esposto al <i>Museo di Belle Arti</i> di Dole, </span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">e anche altri pittori lo fecero all'epoca, in particolare <i>Carl Geyling</i> (1814-1880) con “<i>La ferriera</i>”</span><span style="font-family: verdana;">:</span></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="font-family: "Times New Roman"; font-size: medium;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 7</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhymUxQz7G5VIkeLwmwQDlbdfaduQ2SeahlvbsgDylvCGpE6yyWg1O8WxU6R9jHNBJ4d6y7WE1JYC9VNb2dCVnJuz-Mi23DUXs-OqYOodJWdrVw92AsmQMqzIhBZQcJ921U57lJ97sTNEWzBaNoPD_gTg1crBr1F5tztTflUg6aGF-8NG2NGqplhSZTHX4/s6042/fig%207%20Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2777" data-original-width="6042" height="294" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhymUxQz7G5VIkeLwmwQDlbdfaduQ2SeahlvbsgDylvCGpE6yyWg1O8WxU6R9jHNBJ4d6y7WE1JYC9VNb2dCVnJuz-Mi23DUXs-OqYOodJWdrVw92AsmQMqzIhBZQcJ921U57lJ97sTNEWzBaNoPD_gTg1crBr1F5tztTflUg6aGF-8NG2NGqplhSZTHX4/w640-h294/fig%207%20Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg" width="640" /></a></div><div style="font-family: "Times New Roman"; font-size: medium;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig.8</span></div></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMIaRfoQqT_7N0t8AS6AjfNiAECPecEc5hottBdPfEVtI00C0fy-4boe6SxG-Fn82o-d5dFuVssOIVHsHAPQ9yaaC_6hDd3hGkniRPNp5WfVSZj0cxzu0valKn5n9wAXSubTXy4vmafRi8dEjIqk_V8iVlWh3h_F4zUeY_ypS1XaHcvlIRVZ917m2C3IQ/s1474/fig.%208%20-%20Geyling-Ironworks_ca._1840.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1474" height="522" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMIaRfoQqT_7N0t8AS6AjfNiAECPecEc5hottBdPfEVtI00C0fy-4boe6SxG-Fn82o-d5dFuVssOIVHsHAPQ9yaaC_6hDd3hGkniRPNp5WfVSZj0cxzu0valKn5n9wAXSubTXy4vmafRi8dEjIqk_V8iVlWh3h_F4zUeY_ypS1XaHcvlIRVZ917m2C3IQ/w640-h522/fig.%208%20-%20Geyling-Ironworks_ca._1840.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">ma quello che cambia radicalmente in Courbet è il trattamento dell'immagine con la sua inquadratura stretta sui corpi, la dimensione dei motivi, il rispetto delle proporzioni su una scala di 1 a 1, la tavolozza dei colori evocati (terra, grigio, sabbia, ecc.).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig.9</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEvN712tk9z6pyPGvPX9cpEytmxYzpqTfBxrt_uJKGwlVmkKl5v8fRyiW1tpn74xINtIlLJI1A8Hnajb5iNNQjmPgH1PiTvafkWw9c7e4k-kd6m7JL2zGDYq11qsYHa8qx1dC2QyFyY8hVN0tKJrysFtj1ynIM4i_Gc1Dw16eHIpfxSwvSBolwPxJqyak/s1315/fig%209%20-%20Gustave_Courbet_-_The_Stonebreakers_-_WGA05457.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1315" height="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEvN712tk9z6pyPGvPX9cpEytmxYzpqTfBxrt_uJKGwlVmkKl5v8fRyiW1tpn74xINtIlLJI1A8Hnajb5iNNQjmPgH1PiTvafkWw9c7e4k-kd6m7JL2zGDYq11qsYHa8qx1dC2QyFyY8hVN0tKJrysFtj1ynIM4i_Gc1Dw16eHIpfxSwvSBolwPxJqyak/w640-h390/fig%209%20-%20Gustave_Courbet_-_The_Stonebreakers_-_WGA05457.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><i style="font-family: verdana;">Émile Zola</i><span style="font-family: verdana;"> nel 1865 scrisse del dipinto: "</span><i style="font-family: verdana;">Gli spaccapietre gridano con i loro stracci vendetta contro l'arte e la società</i><span style="font-family: verdana;">", e l’anno successivo </span><i style="font-family: verdana;">Jules Vallès</i><span style="font-family: verdana;"> scrisse: "</span><i style="font-family: verdana;">Questo quadro grigio, con i suoi due uomini dalle mani callose e dal collo abbronzato, era come uno specchio in cui si rifletteva la vita noiosa e faticosa dei poveri</i><span style="font-family: verdana;">”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Osserviamo il dipinto dalla fotografia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Si vedono due uomini vestiti di stracci e con i corpi spezzati dalla fatica, voltano le spalle allo spettatore, assorti nel loro lavoro, illuminati dal sole. Le loro ombre si allungano e le loro sagome si stagliano su una collina scura. I loro corpi giustapposti non sembrano avere tra loro altro legame che la costrizione del lavoro. A sinistra un paniere di vimini e a destra una pentola, un cucchiaio e una pagnotta di pane nero, il magro pasto di questi due lavoratori che svolgono uno dei lavori più massacranti di quell’epoca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet, parlando del suo dipinto, dice che si tratta di due spaccapietre molto miserandi. Un vecchio irrigidito dalla fatica, dall'età, dalla polvere e dalla pioggia, troppo vecchio per fare un lavoro così stremante. La testa scura, coperta da un cappello di paglia nero. Le sue braccia sono rivestite da una camicia di stoffa grezza, nel suo panciotto a righe rosse c'è una tabacchiera di corno circondata di rame. Sulle ginocchia i pantaloni rattoppati e ai piedi, le calze blu consumate rivelano i talloni screpolati negli zoccoli. Dietro di lui c’è un ragazzetto, in questo caso troppo giovane per quel lavoro, brandelli di biancheria sporca gli servono da camicia: i pantaloni sono tenuti su da una cinghia di cuoio e ai piedi ha delle vecchie scarpe di misura maggiore del suo piede che, logorate dal tempo e dall’uso, sono scucite e in parte rotte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Secondo il suo racconto, Courbet, che documentava molto la sua vita, aveva individuato per caso questi due uomini lungo una strada. Voleva rappresentarli a grandezza naturale, con i vestiti stracciati e con i corpi spezzati dalla massacrante fatica. Ma per mostrare la cruda esistenza fisica di questi lavoratori occorreva una tecnica pittorica di per sé laboriosa. L’opera fu infatti il risultato di molto lavoro: uno schizzo e tanti disegni preparatori, oltre a sedute di posa dei due personaggi nel suo laboratorio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Diversamente da una certa pittura sociale dell'epoca, l'opera non richiede però né psicologia né pathos: questi uomini infatti assorti nel loro lavoro e non trovano in esso né spiritualità, né dignità, né riscatto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Gli operai che, voltando le spalle all’osservatore, con il volto nascosto, attestano la spersonalizzazione dell’uomo abbrutito dalla fatica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Stagliandosi su uno sfondo scuro, i due operai occupano il primo piano, vicino allo spettatore. I loro corpi e i loro strumenti formano una serie di angoli acuti e ottusi che non danno l'impressione del movimento, ma piuttosto di arresto, di una sospensione immobile, di un vero e proprio fermo immagine che blocca la fatica di questi lavoratori in un’eternità priva di riscatto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Come molti altri dipinti di Courbet, <i>Gli spaccapietre</i> per la ricchezza dei dettagli richiede un certo tempo di lettura a causa della densità dei suoi contenuti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quest’opera sarebbe potuta sembrare al pubblico uno <i>scherzo del caso</i>, come se il pittore si fosse improvvisamente distratto e per errore avesse ritratto una cosa al posto di un’altra. Ma non era così: essa era stata composta con tutte le regole dell’accademia anche se mostrava un’apparente immediatezza e una casualità in tutto ciò che si vedeva.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sembra infatti di vedere un’istantanea di quell’evento senza poesia, senza pathos. È la realtà per quello che è. Solo che per Courbet la realtà è anche il brutto della vita e più andrà avanti nella sua carriera più si impegnerà a dimostrarlo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La sua idea di <i>realismo</i> diventa col tempo qualcosa di diverso rispetto allo stile di altri pittori simili a lui per intendimenti come Corot e Millet: mentre la loro pittura era infatti una pittura d’ambiente, di contesti ampi in cui l’uomo era solo un elemento dell’insieme, con Courbet invece la pittura diventa sempre più sociale. Non è più rappresentazione della realtà in senso generale, ma della realtà dell’uomo, delle dinamiche sociali, delle interazioni fra gli individui, delle trasformazioni dell’ambiente cittadino e di quello contadino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel 1850 anno della realizzazione della tela, siamo in un mondo in piena evoluzione scientifica e tecnologica, in un mondo pervaso dal Positivismo, caratterizzato da un cambio degli assetti sociali e da nuove realtà che invadono la vita quotidiana e che per Courbet devono essere rappresentate senza costruzioni complesse e senza filtri ma simulando la <i>presa diretta</i> della realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">E quest’idea funzionava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Anche se non era apprezzata, faceva parlare, destava interesse, faceva capire che il mondo era pronto per un nuovo modo di fare pittura. Courbet era dunque sulla strada giusta per diventare il <i>leader</i> di un movimento pittorico che stava incominciando a ottenere consensi stima e rispetto anche da una parte del mondo accademico.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ma mentre artisti come Millet si mantengono fedeli all’idea di realismo oggettivo, Courbet, come Daumier, incomincia a tastare il terreno per vedere se si può andare oltre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">E comincia con <i>Un funerale a Ornans</i> realizzato fra il 1849 e il 1850. È un dipinto ambizioso di grandissimo formato, che comprende diversi notabili del suo paese e membri della sua stessa famiglia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In una lettera a Champfleury, Courbet racconta che tutti in paese avrebbero voluto essere immortalati sulla sua tela. Pertanto, volendo accontentare la provincia prima della capitale, Courbet organizzò ad aprile una piccola mostra dei suoi dipinti nella cappella del seminario accanto al suo laboratorio, poi a maggio organizzò un'esposizione di quegli stessi dipinti a Besançon, e infine a giugno a Digione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">All'inizio di agosto, ritornò a Parigi e notò che i critici parlavano dei suoi quadri, si spazientivano, si scaldavano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ma qual era la realtà che la gente di città non voleva vedere?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La deriva incominciò proprio con il <i>Funerale a Ornans</i> dove un evento ordinario del mondo contadino che, per i canoni dell’epoca, avrebbe meritato al massimo una tela da cavalletto, qui assume invece le dimensioni di un dipinto epico di 6 metri e mezzo x 3, ma privato di ogni senso di epicità, e di grandezza: le figure, realizzate a grandezza naturale danno l’impressione mostrare allo spettatore di trovarsi di fronte all’evento vero e proprio. </span><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Come se improvvisamente una finestra si fosse spalancata su un pezzo di realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Le figure sono grezze, plebee, spesso con tratti somatici privi di interesse, i colori sono cupi, terrosi, e la fossa della tomba si apre al centro del dipinto ma non vi rientra del tutto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La morte è sbattuta in faccia allo spettatore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">E poi di opera in opera Courbet sarebbe giunto al “<i>Ritorno dall’assemblea</i>” di una decina d’anni più tardi in cui il naturalismo ha lasciato definitivamente il posto allo spirito provocatorio e alla voglia dell’artista di scioccare</span><span style="font-family: verdana;">.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 10</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQudV76lRzVm_rBSxdAd4V9HHloPMUo7PHdTzqhrROeBtJUAxDijOyBkftGqJFCCg7mcXWLq7kkJQT82fSY3sgNilLuH4hd2dLCx075OI2BqNSn8gc41CqE-tjb_p2EOIdTLny2a5Yo0_k_u052aB4kPvNnLOE3Otxve6eHCk73ciHaNlt5DBYpnePrB0/s1600/fig.10%20courbet%20-%20il%20ritorno%20dall'assemblea.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1328" data-original-width="1600" height="532" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQudV76lRzVm_rBSxdAd4V9HHloPMUo7PHdTzqhrROeBtJUAxDijOyBkftGqJFCCg7mcXWLq7kkJQT82fSY3sgNilLuH4hd2dLCx075OI2BqNSn8gc41CqE-tjb_p2EOIdTLny2a5Yo0_k_u052aB4kPvNnLOE3Otxve6eHCk73ciHaNlt5DBYpnePrB0/w640-h532/fig.10%20courbet%20-%20il%20ritorno%20dall'assemblea.webp" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Al Salon del 1850 Courbet aveva presentato “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I contadini di Flagey di ritorno dalla fiera</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Gli spaccapietre</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il funerale a Ornans</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” e altri sette dipinti, tra cui , il “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ritratto del signor Jean Journet</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, la “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Veduta e rovine del castello di Scey-en-Varais</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Le rive della Loue sulla strada di Mazières</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, i "</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ritratti</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">" di Hector Berlioz e di Francis Wey, e infine un “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ritratto dell'autore</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” noto come “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L'uomo con la pipa</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, e solo quest'ultimo dipinto, curiosamente ma non troppo, raccolse elogi unanimi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fin dall'inaugurazione del Salon il 30 dicembre, “<i>Un funerale a Ornans</i>” suscitò scandalo e stupore tra la critica, e si sviluppò una violenta polemica: il dipinto fu rimproverato per la sua volgarità e i critici accusarono ancora Courbet di dipingere "<i>il brutto</i>", "<i>il triviale</i>" e "<i>l'ignobile</i>". “<i>Gli spaccapietre</i>” suscitò anche le prime caricature sui giornali conservatori e forti dissensi, perché per la prima volta un soggetto della vita quotidiana era stato dipinto in dimensioni fino a quel momento erano riservate a temi ritenuti “<i>nobili</i>” (scene religiose, storiche, mitologiche)</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il “<i>Funerale</i>” però fu salutato da Proudhon come la prima opera socialista.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">La sera della premiazione il 3 maggio del 1851 non fu citato nessuno dei suoi dipinti. Diventato più misurato rispetto ad altri critici, Théophile Gautier</span><span style="font-family: verdana;"> finì per stupirsi di una simile svista critica e scrisse questa volta: “<i>Courbet è stato l'evento al Salon; ai difetti per i quali lo abbiamo apertamente criticato unisce qualità superiori e originalità incontestabili; ha emozionato il pubblico e gli artisti. Avremmo dovuto dargli una medaglia di prima classe…</i>”.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il 18 maggio poi, quando l'elenco degli acquisti pubblici fu concluso, Courbet fu escluso anche da questo con il pretesto di restrizioni di bilancio e per ripicca il pittore non volle vendere il suo “<i>Ritratto con la pipa</i>” per meno di 2.000 franchi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig.11</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyw-XBo9Mj31UEEtmQ-IgjMiukFPrr_ao2fx-r5L8YBJbEWHNzePMBtGmDsNjCrUdrWRlzgZw3YY96C18O1Vas_XTMukk3Kk7JlHryDE49CRzZa9MJC0HXobATYV8rBSaVTixnhu3euwqg-Itq9nrwOrTnV01Sz2vfdMLfTQTpUJ4_MXPuqvXplEFib-4/s1553/fig%2011%20-%20Courbet_Autoportrait.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1553" data-original-width="1275" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyw-XBo9Mj31UEEtmQ-IgjMiukFPrr_ao2fx-r5L8YBJbEWHNzePMBtGmDsNjCrUdrWRlzgZw3YY96C18O1Vas_XTMukk3Kk7JlHryDE49CRzZa9MJC0HXobATYV8rBSaVTixnhu3euwqg-Itq9nrwOrTnV01Sz2vfdMLfTQTpUJ4_MXPuqvXplEFib-4/w526-h640/fig%2011%20-%20Courbet_Autoportrait.jpg" width="526" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma che cosa aveva fatto indignare critica e pubblico?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Osserviamo il dipinto “<i>Funerale a Ornans</i>” partendo dal titolo: il titolo originale era “<i>Pittura di figure umane, storia di una sepoltura a Ornans</i>”, una galleria di ritratti che comprende ben quarantasei personaggi. L’opera ha dimensioni eccezionali (315,45 × 668 cm) e la sua composizione monumentale, organizzata come una specie di fregio come i ritratti delle confraternite olandesi, è statica e quasi senza prospettiva, come se fosse appiattita e i personaggi sono compressi in essa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La tavolozza, dominata da tonalità chiare o scure, è in linea con questa cerimonia funebre in cui la comunità del paese si riunisce intorno a una tomba per seppellire uno dei propri membri.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La scena si svolge nel nuovo cimitero di Ornans che mostra attraverso questo dettaglio il suo interesse per le notizie locali in questo caso la nuova area cimiteriale tanto osteggiata dalla cittadinanza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel dipinto compaiono, da sinistra a destra, gli addetti alla bara, i necrofori in divisa, il prete, i suoi chierichetti, i sacrestani nei loro begli abiti rossi, i notabili di Ornans, due vecchi della Rivoluzione del 1793 con i loro abiti del tempo, infine le donne in lacrime, rigorosamente separate dal gruppo degli uomini come in chiesa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sono tutti cittadini di Ornans.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Salvo poche eccezioni, tutti i personaggi del “<i>Funerale</i>” sono stati identificati. Si noti ad esempio che Oudot, il nonno di Courbet che era stato un “<i>sanculotto</i>”, è rappresentato all'estrema “<i>sinistra</i>” del dipinto, le sorelle e la madre dell'artista sono atteggiate a figure in lutto, Hippolyte Proudhon, un avvocato di Ornans e vice giudice di pace, appare al centro della tela, con il suo naso sottile e il suo cappotto nero.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Le diversità sociali del quadro sono notevoli: i piccoli proprietari vitivinicoli di Ornans si affiancano ai notabili, tra i proprietari terrieri, gli artigiani e i becchini, sotto la direzione spirituale di un povero curato di campagna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ma in questa tela ci sono curiosamente più proprietari e liberi professionisti di quanti ce ne fossero in realtà in questo villaggio della Franca Contea a metà dell’Ottocento. Vi domina la piccola borghesia perché Courbet dipinge il proprio ambiente sociale. È comunque interessante notare che Courbet, le cui simpatie erano più rivolte al Socialismo, dipinge qui il ritratto di una comunità unanimemente partecipe, cementata da una certa coesione e raccolta con armonia intorno ai suoi leader civili e religiosi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sullo sfondo ci sono le caratteristiche del paesaggio della regione: le falesie calcaree, quelle scogliere montuose nude che si vedono in lontananza, che caratterizzano la regione e che incorniciano i ripidi meandri del fiume Loue che attraversa Ornans. Un cielo piovoso oscura questi volti che sembrano abbandonati dalla speranza e sembrano la raffigurazione di un mondo abbandonato anche da Dio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La ricchezza di questo dipinto ha dato luogo a numerose interpretazioni, oggi come allora, tutte incentrate sull'incognita principale della scena.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Chi si sta seppellendo?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Si sta forse seppellendo la speranza in Dio?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Il teschio</span><span style="font-family: verdana;">, macabro dettaglio,</span><span style="font-family: verdana;"> vicino alla fossa serve a ricordare che una rapida decomposizione attende l'uomo dopo la sua morte. È un “<i>memento mori</i>” che insieme alla fossa accennata al centro della tela simboleggia l'aldilà in cui l’uomo sarà inghiottito.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il realismo di Courbet, forzato sul piano metafisico, è simile alla negazione di ogni trascendenza e, forzato sul piano storico, è simile al riflesso della precoce scristianizzazione di alcune popolazioni rurali francesi cadute nella disperazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Ma si potrebbe anche dire che la “<i>Sepoltura</i>” sia una “<i>negazione dell'ideale</i>” in pittura, una confutazione tanto di David e di Ingres quanto di Delacroix e del Romanticismo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È anche vero però che, elevando personaggi banali (per esempio un sagrestano dalla faccia rubizza per il vino), alla dignità di personalità della grande Storia, rappresentata sempre a grandezza naturale, trasforma una scena di vita quotidiana in un imponente dipinto che ricorda “<i>La sepoltura del conte d'Orgaz</i>” di “<i>El Greco</i>” (1551 - 1614) del 1586, Courbet crea un nuovo genere, in opposizione alla cosiddetta pittura di “<i>grande stile</i>”: la “<i>rivoluzione realista</i>”, secondo lui, avrebbe infatti posto “<i>l'arte al servizio dell'uomo</i>”, di ogni uomo, senza alcun privilegio, anche in una sepoltura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 12</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKajmwstNk_4CFva9_MTojZRNnfGSwlwvTcBL5aF7yaiRLa5twLCuVKnJJMowL9rwL5LrRaa4BgUCRva3E40IXVjQmuJbXYNO18NxLpQrSWzRuY12cfF4siZbtvpUVyMrl0O1mqYOie42fGaBp4IFASF4AwJyCxG_VWW9N58TPSCFbGfFc6IDUHkZQ41Y/s3117/Fig.%2012%20-%20Entierro_del_Conde_de_Orgaz.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3117" data-original-width="2504" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKajmwstNk_4CFva9_MTojZRNnfGSwlwvTcBL5aF7yaiRLa5twLCuVKnJJMowL9rwL5LrRaa4BgUCRva3E40IXVjQmuJbXYNO18NxLpQrSWzRuY12cfF4siZbtvpUVyMrl0O1mqYOie42fGaBp4IFASF4AwJyCxG_VWW9N58TPSCFbGfFc6IDUHkZQ41Y/w514-h640/Fig.%2012%20-%20Entierro_del_Conde_de_Orgaz.jpg" width="514" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma ritornando ancora alla domanda sul soggetto della sepoltura, occorre notare che questo dipinto includeva molti repubblicani, piccoli viticoltori, vecchi rivoluzionari dell'anno II e repubblicani illustri, ma, nelle elezioni del 1849, a Ornans e nel Doubs in genere essi votarono contro la “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Repubblica Sociale</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” e contro i rivoltosi di Parigi del 1848, regalando una strepitosa vittoria ai conservatori del “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Partito dell'Ordine</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” guidato da Luigi Napoleone Bonaparte. Questo risultato non poteva piacere a Courbet, di convinzioni assolutamente repubblicane. Chi è sepolta qui è quindi la Repubblica, la “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Marianne</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, quella figura simbolica della Rivoluzione Francese, che era diventata vittima dei reazionari e del presidente principe Luigi Napoleone e, con la sua sepoltura, tutte le sfumature del repubblicanesimo partecipavano alla cerimonia. Qualche anno dopo, quest’interpretazione simbolica militante della “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">sepoltura di Marianne</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” sarebbe stata considerata un’opera sovversiva per il Secondo Impero.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In estrema sintesi “<i>Un funerale ad Ornans</i>” potrebbe rappresentare quindi la morte di Dio, la morte dell'idealismo romantico in pittura da cui anche Delacroix aveva già cominciato ad emanciparsi, la morte della Repubblica: sono queste le interpretazioni con cui si tenta di spiegare oggi questo capolavoro, la cui scandalosa modernità sconvolse l'Ottocento dodici anni prima dell'audace “<i>Colazione sull'erba</i>” di Manet.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 13</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ0sMHdyWBwAo8_Ezl-mLdr3L4wp-jOeZ-AyC9y5wjKNo0Mrt8inDVd7ezTMk-_S4RgwQolJv4NXD96qxO11P0V5yX9IRUMdK7tP9YQUiof8sP62sTtWc3QxC2qBD7KRZW3d13Ma3ihS4ynYJfrsN1Y-19br-pOFOBfEz1OIewvWDA_LGSrF-ySUQYtUo/s5649/Fig.%2013%20-%20Edouard_Manet_-_Luncheon_on_the_Grass_-_Google_Art_Project.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4389" data-original-width="5649" height="498" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ0sMHdyWBwAo8_Ezl-mLdr3L4wp-jOeZ-AyC9y5wjKNo0Mrt8inDVd7ezTMk-_S4RgwQolJv4NXD96qxO11P0V5yX9IRUMdK7tP9YQUiof8sP62sTtWc3QxC2qBD7KRZW3d13Ma3ihS4ynYJfrsN1Y-19br-pOFOBfEz1OIewvWDA_LGSrF-ySUQYtUo/w640-h498/Fig.%2013%20-%20Edouard_Manet_-_Luncheon_on_the_Grass_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In ogni caso, il fatto che il dibattito persista ancora oggi su questo dipinto attesta che il grande genio innovativo e provocatorio di Courbet influenzò profondamente la vita artistica del suo tempo e in generale l'arte dell'Ottocento e del Novecento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>Un funerale a Ornans</i>” si rivela rivoluzionario anche nei colori: la biacca, che conferisce una tonalità ambrato-bruciata, scuriva il dipinto e attenuava i toni freddi, le mani e i volti realizzati a pennello sono sottolineati con il bistro che evidenzia le linee di contorno. Le aree indeterminate del primo piano, la terra, e dello sfondo, il cielo e le falesie, furono probabilmente realizzate con un coltello. Il nero predominante non forma tuttavia una massa uniforme, anzi ha sfumature fumose o bluastre a cui si contrappongono le note violente del bianco per esempio delle lenzuola dei portatori, della cotta del portacroce, della camicia del becchino, dei berretti e dei fazzoletti delle donne e il cane bianco macchiato di nero in primo piano. Il raso bluastro del telo funebre che non è nero o viola secondo tradizione, è di una tonalità speciale. Courbet utilizzò questo tessuto di raso bianco per "<i>compensare</i>" il grande squilibrio nella tela tra la minoranza dei bianchi e la dominanza dei neri. Ma oltre al bianco e nero, tocchi di colore acceso punteggiano la tela: il rosso vermiglio dei chierichetti, il giallo ramato del vaso del crocifisso, il verde oliva della giacca su cui è inginocchiato il becchino, le calze azzurre, i calzoni verdi, la redingote grigia e il panciotto marrone del rivoluzionario formano un fraseggio colorato che attraversa tutta la tela e sembra contrastare con il triste evento funebre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quest’opera fu accolta malissimo dalla critica che si indignò nel vedere un'opera così grande trattare un "<i>aneddoto</i>" popolare e dare a esso tanta importanza. Questo formato panoramico era allora riservato a grandi scene storiche, mitologiche o religiose. Questa messa in discussione delle regole della “<i>gerarchia dei generi</i>” sconvolse i critici. Per la maggior parte di loro, la pittura di Courbet era assimilata all'arte "<i>socialista</i>". Le reazioni furono violente: "<i>È possibile dipingere persone così orribili?</i>" e i critici descrissero i personaggi come "<i>vili caricature che ispirano disgusto e provocano risate</i>". <i>Du Pays</i> denunciò l’arte di Courbet scrivendo "<i>L'amore per i brutti nei loro abiti migliori e tutte le banalità del nostro costume sgradevole e ridicolo, presi sul serio</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A queste critiche, Courbet rispose: "<i>Non ho mai avuto altri maestri di pittura che la natura e la tradizione, il pubblico e il lavoro.</i>" E affermò inoltre: "<i>Così ritengo che la pittura sia un'arte essenzialmente concreta e che non possa consistere [in altro] che nella rappresentazione di cose reali ed esistenti [...] di tutti gli oggetti visibili. Un oggetto astratto, invisibile, inesistente non appartiene al regno della pittura</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">E questa era la definizione del nuovo movimento di cui nel 1847 era diventato il leader: il “<i>Realismo</i>”, che il suo amico Champfleury provvide a diffondere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet voleva spazzare via l'ipocrisia e l'accademismo dei pittori da salotto borghesizzati e mostrare la cruda realtà della provincia, il mondo della campagna e i suoi poveri abitanti e ricordare a Parigi che esistevano anche loro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo tante polemiche l'estate del 1851 fu piena di viaggi e di riposo per Courbet. Trascorse del tempo a Berry con il cantante-attore Pierre Dupont e con l'avvocato e politico Clément Laurier (1832– 1878), poi partì per Bruxelles e da lì giunse a Monaco, partecipando ogni volta a una mostra.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A novembre ritornò a Ornans, mentre a Parigi riprendevano le agitazioni politiche e Courbet per un certo periodo fu addirittura accusato di essere un pericoloso “<i>agitatore socialista, un rosso</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A dicembre del 1851 iniziò a dipingere “<i>Le signorine del villaggio</i>”, raffigurante le sue tre sorelle che fanno l'elemosina a una pastorella di mucche in una valle di Ornans. Courbet, scrivendo a Champfleury a proposito di questo dipinto spiegava all’amico di voler sviare i suoi detrattori, mettendoli su un terreno nuovo, rappresentando un soggetto gentile e dimostrando loro che tutto quello che avevano detto fino a quel momento era inutile. Presentò “<i>Le signorine del villaggio</i>” con altri due dipinti precedenti a questo al Salon che si aprì il 28 aprile del 1852.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 14</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1UDVoR14TrA-80Tj0ntfZ18oVuiueuV5LWN6vZ_JrtF7lPjIOfgwu_l6Lk3szOwBo4rb3lV4dHcofhRwM7u3Sp7iAGHq3eRaW04LM9ADr6G_9TTL-s0p5nwaAAQWmS-Lig39qZ0OEz_FThQj3Nh4AzcJWwWtz2lbprZE9_Gx2zgt2_SuKmmVtcXRvjAo/s3811/fig.%2014%20-%20Young_Ladies_of_the_Village_MET_DT1967.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2847" data-original-width="3811" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1UDVoR14TrA-80Tj0ntfZ18oVuiueuV5LWN6vZ_JrtF7lPjIOfgwu_l6Lk3szOwBo4rb3lV4dHcofhRwM7u3Sp7iAGHq3eRaW04LM9ADr6G_9TTL-s0p5nwaAAQWmS-Lig39qZ0OEz_FThQj3Nh4AzcJWwWtz2lbprZE9_Gx2zgt2_SuKmmVtcXRvjAo/w640-h478/fig.%2014%20-%20Young_Ladies_of_the_Village_MET_DT1967.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">“</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Le signorine del villaggio</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” è un dipinto a olio su tela di 194 x 261 cm, poco più di un anno dopo il “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopocena</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” e il “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Funerale di Ornans</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”. Senza adottare il formato sovradimensionato dei dipinti storici, Courbet sceglie comunque un formato imponente, facendo ancora arrabbiare la giuria del Salon. Ma dopo la medaglia ottenuta per il suo “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopocena</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” nel 1849, il pittore poteva liberamente esporre dipinti dagli aspetti e dai soggetti provocatori per una giuria che gli era generalmente ostile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">A prima vista questo dipinto non presenta segni evidenti di uno scandalo programmato, ma a uno sguardo più attento alcune provocazioni ne fanno un dipinto difficilmente recuperabile dalle istituzioni artistiche dell'epoca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Poco dopo, però, scattò in lui ancora qualcosa di nuovo: decise di iniziare a creare grandi composizioni di nudi attaccando deliberatamente uno degli ultimi bastioni dell'accademismo dell'epoca, scatenando così le critiche, e per questo i funzionari delle “<i>belle arti</i>” in qualche modo lo avrebbero punito.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel dicembre del 1852 Luigi Napoleone Bonaparte fu proclamato imperatore con il nome di Napoleone III e istituì un regime autoritario. Courbet vide questo colpo di stato come un tradimento ormai chiaro perché aveva sempre sostenuto i repubblicani che godevano però della reputazione di “<i>pericolosi quarantotteschi</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dal punto di vista artistico, negli anni Cinquanta e Sessanta Courbet incominciò a percorrere tre strade che sembrano diverse, ma che in parte camminano parallele in parte divergono.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Da un lato continuò con il realismo oggettivo con paesaggi, animali e scene di vita quotidiana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Da un altro c’era una pittura con forte valenza politica in cui calcava la mano sulla povertà, sulle differenze sociali, sulle colpe della borghesia francese, quella borghesia che nelle sue opere appare decadente, quasi inutile e in opere di questo tipo non fa che ricordare ai suoi potenziali clienti quanto disgusto essi suscitino ed era questo il miglior modo per non essere venduto, ma era anche il modo di fare rumore, tanto rumore. L’opera che riassume in sé questa posizione polemica è un dipinto apparentemente innocuo, “<i>Le signorine sulla riva della Senna d’estate</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Poi c’è una terza strada che sembra contraddittoria rispetto al resto della sua produzione: si tratta di opere che riprendono i temi della pittura accademica studi di nudo e figure mitologiche, la più classica iconografia accademica in cui però inserisce un elemento di disturbo. Sembrava che Courbet volesse dire: “<i>volete vedere la donna procace nuda? E io ve la mostro</i>”. Ma Courbet non offrì loro un nudo tipico di “William-Adolphe Bouguereau” come per esempio “Il ninfeo”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 15</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNnDb6JOQWJgMmElptdiF679TxagyQVM9fakX9b4Jy-NS9jtvlHgYHqieDcDNhrVfTKmnNzdesnCUI5E-TtehgGLgTrfDQozIKjCSa48uUjAdXcaC1Lt3BWJO6eHPNq42YiPe3yXgmqMHxANBLs5yAfjOUO9CJ_QXrMKtWs32Oc8aKc1HzhYrcOpCJEPs/s1440/Fig.%2015%20-%20William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_The_Nymphaeum_(1878).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1002" data-original-width="1440" height="446" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNnDb6JOQWJgMmElptdiF679TxagyQVM9fakX9b4Jy-NS9jtvlHgYHqieDcDNhrVfTKmnNzdesnCUI5E-TtehgGLgTrfDQozIKjCSa48uUjAdXcaC1Lt3BWJO6eHPNq42YiPe3yXgmqMHxANBLs5yAfjOUO9CJ_QXrMKtWs32Oc8aKc1HzhYrcOpCJEPs/w640-h446/Fig.%2015%20-%20William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_The_Nymphaeum_(1878).jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Creò piuttosto “Le Bagnanti”</span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">, delle contadinotte con le natiche all’aria perché alla fine per lui era proprio quello, che i borghesi volevano vedere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Quando presentò il dipinto al “<i>Salon</i>” del 1853, suscitò subito scandalo </span><span style="font-family: verdana;">e ulteriori polemiche a causa del carattere decisamente provocatorio dell’opera, avendo Courbet deciso di prendere le distanze dalla produzione ufficiale con le sue “<i>incursioni</i>” in campo avverso.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Tra queste incursioni ci sono “<i>Le bagnanti</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 16 </span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHUNR0VmeXc7FM_vKG0JPYlHIxY0iWuP_fWJZQsfWFwm9qInthUnqbYCxohhG94pf29iX6LfqB_dDKrnUD2-p8zyavE_JjVHNytspyGJyDxse4y5yLzXp2Oe0S04JL7ZeJ-gJEQDwkb0CqafrVQ1z_bH83PsNbsFnSDraq4aMeJCLKVM_HpN1bXJPQH24/s1775/Fig.%2016%20-%20Les_Baigneuses-Courbet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1775" data-original-width="1522" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHUNR0VmeXc7FM_vKG0JPYlHIxY0iWuP_fWJZQsfWFwm9qInthUnqbYCxohhG94pf29iX6LfqB_dDKrnUD2-p8zyavE_JjVHNytspyGJyDxse4y5yLzXp2Oe0S04JL7ZeJ-gJEQDwkb0CqafrVQ1z_bH83PsNbsFnSDraq4aMeJCLKVM_HpN1bXJPQH24/w548-h640/Fig.%2016%20-%20Les_Baigneuses-Courbet.jpg" width="548" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">L’opera fu unanimemente attaccata dalla critica per la natura trascurata della scena, per la natura massiccia del nudo in contrasto con la bellezza “<i>perfetta</i>” dei canoni ufficiali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel dipinto si vedono due donne, una delle quali è nuda con una stoffa che la copre appena e non rappresenta più una figura mitologica idealizzata. I critici dell'epoca si accanirono su questo dipinto in modo particolarmente violento e Courbet riuscì in questo modo ad ottenere un successo scandaloso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>Le bagnanti</i>” fu acquistato dal collezionista <i>Alfred Bruyas</i> (1821-1876), un agente di cambio di Montpellier e socio della banca Tissié-Sarrus, che collezionava quadri. Quest’acquisto permise a Courbet di diventare, almeno per il momento finanziariamente indipendente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Bruyas è stato un personaggio importante in un momento cruciale nello sviluppo della carriera di Courbet.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Poco più giovane del pittore, Bruyas era uno dei membri più attivi della “<i>Società degli Amici delle Arti</i>”. Grande appassionato d'arte, Bruyas visitò l'Italia nel 1846 e nel 1848 e a Roma frequentò “<i>Villa Medici</i>” dove fu accolto dal suo amico e concittadino “<i>Alexandre Cabanel</i>”, vincitore del “<i>Prix de Rome</i>” nel 1845 al quale commissionò opere e dipinti. Al suo ritorno a Montpellier, Bruyas si entusiasmò di un altro pittore suo concittadino, <i>Auguste Glaize</i> che dipinse per lui tele che raffiguravano la sua vita intima e familiare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sentendosi stretto nella vita di provincia e di fronte a quella incomprensione della sua famiglia, Bruyas lasciò Montpellier nel 1849 per Parigi dove soggiornò più volte fino al 1853 e dove si lasciò coinvolgere appassionatamente nella vita artistica della capitale, dividendo il suo tempo tra musei, Salon, mercanti d’arte, botteghe e studi di artisti. A Parigi diede libero sfogo alla sua smania di acquistare quadri di artisti viventi: Diaz de la Peňa, Hervier, Guignet, Millet, Verdier, Rousseau e altri ancora e soprattutto, si impossessò in rapida successione di numerosi capolavori di Delacroix.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sempre alla ricerca di nuovi talenti, Bruyas si rivolse al pittore “<i>Octave Tassaert</i>” (1800 – 1874) di origini olandesi, le cui scene di genere evocavano la vita miserabile degli oppressi a Parigi e includevano una serie di scene di suicidio. Ma il soggiorno di Bruyas a Parigi coincise anche con il clamoroso debutto di Gustave Courbet. Il loro incontro avvenne nel maggio 1853 in occasione della visita di Bruyas al “<i>Salon</i>” di quell’anno ed era rimasto affascinato dai tre dipinti di Courbet esposti: fu uno dei suoi rari acquirenti francesi di quel periodo. Acquistò “<i>Le Bagnanti</i>”, che stavano suscitando un grande scandalo per il loro naturalismo aggressivo, e acquistò anche un secondo dipinto, anch'esso criticato, “<i>La filatrice addormentata</i>”. Questa vendita fruttò a Courbet più di 3.000 franchi d'oro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Bruyas mise alla prova questo nuovo talento che aveva conosciuto, commissionandogli anche un ritratto oggi noto come </span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">suggellando così un vero e proprio patto di amicizia tra i due uomini.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 17</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Quando Bruyas ritornò al Sud verso la fine dell'estate del 1853, invitò l'artista a unirsi a lui e Courbet lo raggiunse a Montpellier in Linguadoca nel maggio 1854 e vi rimase fino a settembre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Al di là delle vendite, Courbet trovò in Bruyas un vero mecenate desideroso di modernità, con cui scambiare punti di vista critici e, apparentemente, lo stesso ideale. In Linguadoca colse l'occasione di catturare la dura bellezza dei paesaggi del sud e durante il suo lungo soggiorno, lavorò esclusivamente per Bruyas e creò diversi capolavori: “<i>La Rencontre</i>”, noto come “<i>Bonjour Monsieur Courbet</i>” una vera icona della modernità, e “<i>Le Bord de mer à Palavas</i>”, che celebra liricamente la sua scoperta del Mediterraneo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig.18</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5RlOxB4ITgXJZWvEWg8PB_1aSmYtVpv7ozI_vsI0EfbblzxYUgHayaf-Xr7B_UzZ8CSGx2k1ItTy8GNyN0ozaSY5hCIGXN2Ay1n-CLkogYymJZist2zuUfKPZBNesLYQzJVJvB2qNrjiXDEgOarxnKDhKUFA2hbXX0XMSLdmWreCOgIFRukhleokxUfM/s300/Fig.%2018%20-%20gustave_courbet_-_bonjour_monsieur_courbet_-_musee_fabre.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="262" data-original-width="300" height="559" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5RlOxB4ITgXJZWvEWg8PB_1aSmYtVpv7ozI_vsI0EfbblzxYUgHayaf-Xr7B_UzZ8CSGx2k1ItTy8GNyN0ozaSY5hCIGXN2Ay1n-CLkogYymJZist2zuUfKPZBNesLYQzJVJvB2qNrjiXDEgOarxnKDhKUFA2hbXX0XMSLdmWreCOgIFRukhleokxUfM/w640-h559/Fig.%2018%20-%20gustave_courbet_-_bonjour_monsieur_courbet_-_musee_fabre.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Fig 19 </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyv8TmcRz7UywLxa-56HkUeIzSEBOiW44nPT87_Ow6m_aW1zvSvD0qmQba3Y7PihRkeKBA6JMgxkm7fcONye37ryAv9L-lazmyDq8qRMchaxM14yINV-qqmTvDqtEKy4TuMPxKmX_zUn0T1HHyvh9ThROmEEQckUogrmkpOIQFM_iVCm259dwbi6tarLw/s1451/fig.%2019%20-%20Gustave_Courbet_-_Le_bord_de_mer_%C3%A0_Palavas_(1854).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1185" data-original-width="1451" height="522" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyv8TmcRz7UywLxa-56HkUeIzSEBOiW44nPT87_Ow6m_aW1zvSvD0qmQba3Y7PihRkeKBA6JMgxkm7fcONye37ryAv9L-lazmyDq8qRMchaxM14yINV-qqmTvDqtEKy4TuMPxKmX_zUn0T1HHyvh9ThROmEEQckUogrmkpOIQFM_iVCm259dwbi6tarLw/w640-h522/fig.%2019%20-%20Gustave_Courbet_-_Le_bord_de_mer_%C3%A0_Palavas_(1854).jpg" width="640" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Quanto Bruyas sia stato importante per la carriera artistica di Courbet si comprende bene nell’”</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Atelier del Pittore</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” in cui il suo amico e mecenate occupa una posizione predominante al centro destra della tela e afferma così il suo ruolo essenziale nel processo di sviluppo dell'opera del giovane maestro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo questa necessaria digressione su Bruyas, osserviamo ora l’opera del grande scandalo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La scena si svolge in campagna sulle rive di un torrente calmo durante l'estate, fa caldo e queste due donne vogliono rinfrescarsi. Il cielo si intravede a malapena e le donne si trovano fra una fitta vegetazione: la prima, la figura centrale, è corpulenta, emerge dall'acqua ritratta di spalle e sembra salutare la seconda, seduta: quest'ultima si sta vestendo – un piede è nudo e sporco – o, forse si sta accingendo a spogliarsi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il primo piano del dipinto – l'acqua, la riva, le grandi rocce, le erbe mescolate ai ciottoli – mostra una zona gialla e sabbiosa che sfuma nell'ombra. Appaiono quindi i dettagli: le vesti della donna in piedi sono appesi ai rami di un albero sulla sinistra, un orecchino d'oro le pende dall'orecchio e i suoi capelli neri sono raccolti in una crocchia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il volto della donna seduta sembra esprimere una sorta di imbarazzo, le sue guance sono rosee e, mentre si aggrappa a un ramo, accenna a un gesto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Non era la prima volta che Courbet raffigurava un nudo: ci sono state “<i>La Baccante</i>” probabilmente del 1847 e “<i>La bionda addormentata</i>” del 1849, nota solo in fotografia in bianco e nero, appartenente a una collezione privata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig.20</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuF4KTXM9U1oyPemCGw9y6V6sNf2dLTA78vWEAQcR5qpAe4Gg0UkmDw3GZEq-rgAW9kUjmG8rpxRJ6UMbGUUS6iQQsy63OAkXjkFE2bUuNFXNie2zHngKtpso5mdnYo6vhvRyfA2fMm8zzKBIS4iUH8WwEYvgIcjTw-FVjgh5R0Rz8KNARcxED__cSLTQ/s1471/fig.%2020%20-%20La_Bacchante_Courbet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1189" data-original-width="1471" height="518" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuF4KTXM9U1oyPemCGw9y6V6sNf2dLTA78vWEAQcR5qpAe4Gg0UkmDw3GZEq-rgAW9kUjmG8rpxRJ6UMbGUUS6iQQsy63OAkXjkFE2bUuNFXNie2zHngKtpso5mdnYo6vhvRyfA2fMm8zzKBIS4iUH8WwEYvgIcjTw-FVjgh5R0Rz8KNARcxED__cSLTQ/w640-h518/fig.%2020%20-%20La_Bacchante_Courbet.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Tuttavia, quest’opera al Salon del 1853 causò scandalo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Che cosa aveva sconvolto tanto in questa scena di nudo?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il dipinto era stato molto ben collocato in una delle sale nel senso che stava proprio all'altezza degli occhi del pubblico fu unanimemente attaccato dalla critica, per la natura goffa della scena, per il carattere corpulento del nudo in opposizione ai nudi che si praticavano all'epoca: se guardiamo infatti un nudo contemporaneo, eseguito ad esempio da Ingres, la resa non è affatto la stessa. Confrontando “<i>Le bagnanti</i>” con le donne nude dipinte nella tradizione neoclassica e romantica, le enormi differenze saltano subito all’occhio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Fig. 21</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCXWn39vTwoWGPgZD8K-xKJdGLkKWPo84dXvzKzNP2Oqmmqz_Wik0rpVooQGsa225gyLSLlrtJZfa-vFaj4vXB7c-sBkAeRzDJYa_i6-ok0OtKNn40huUHnf4eLI__YYdOg_pvq9fAh42tpbL0zcy6pVSRMPXDyH37ybxqQJlzkC9CdyRWFOYl3AscHgM/s5000/Fig.%2021%20Le_Bain_Turc,_by_Jean_Auguste_Dominique_Ingres,_from_C2RMFFXD.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4978" data-original-width="5000" height="638" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCXWn39vTwoWGPgZD8K-xKJdGLkKWPo84dXvzKzNP2Oqmmqz_Wik0rpVooQGsa225gyLSLlrtJZfa-vFaj4vXB7c-sBkAeRzDJYa_i6-ok0OtKNn40huUHnf4eLI__YYdOg_pvq9fAh42tpbL0zcy6pVSRMPXDyH37ybxqQJlzkC9CdyRWFOYl3AscHgM/w640-h638/Fig.%2021%20Le_Bain_Turc,_by_Jean_Auguste_Dominique_Ingres,_from_C2RMFFXD.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Fig.22</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRNAkR8KcuctiTL_QXIHM5JQ0E46rIhkzQE3LeYUzjHhnTCqgLTQ9wUAYBParrNKAa77XaPuu0XdbHuF-J1cTlWI4byxVmQbXjC8ap50RnGiEPwN38V5SVF4zv4UwAF2ofGBNmR6K9aME4Xzp77NfET02068k41EMASQ71ig01vYDGRfj3QX0WXUgxnpI/s1280/Fig.%2022%20-%20David_Psyche_1795.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRNAkR8KcuctiTL_QXIHM5JQ0E46rIhkzQE3LeYUzjHhnTCqgLTQ9wUAYBParrNKAa77XaPuu0XdbHuF-J1cTlWI4byxVmQbXjC8ap50RnGiEPwN38V5SVF4zv4UwAF2ofGBNmR6K9aME4Xzp77NfET02068k41EMASQ71ig01vYDGRfj3QX0WXUgxnpI/w500-h640/Fig.%2022%20-%20David_Psyche_1795.jpg" width="500" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Courbet ancora una volta infrange i codici della rappresentazione, in questo caso oltre al dogma della “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">gerarchia dei generi</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”, si scontra con quello del “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">buon gusto</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">”: si allontana dai nudi idealizzati di Ingres o di David ed entra nella concezione del nudo moderno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In che senso?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet aveva scelto di mostrare gente semplice, quelle donne di campagna che conosceva bene, quelle della sua Franca Contea e quest’aspetto del “<i>territorio</i>” sconvolse l'opinione pubblica, quella delle città anche se, non era la prima volta che gli artisti raffiguravano la vita quotidiana rurale. Ciò che era ritenuto scandaloso </span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">nel caso di quest’opera di Courbet</span><span style="font-family: verdana;"> </span><span style="font-family: verdana;">era l'irruzione del “<i>nudo</i>” che l'opinione pubblica definì “volgare” in un contesto, quello del “<i>Salon</i>”, che santificava l'arte e con essa la bellezza. Ciò che era scandaloso era ancora una volta il formato sproporzionato solitamente riservato alla religione, alle divinità del mito e ai grandi ritratti di principi. E poi si trattava di un “<i>Salon</i>” realizzato in un'epoca profondamente cattolica e conservatrice, formalisticamente molto bigotta.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il problema non era tanto il nudo in sé, ma come Courbet aveva trattato il nudo, il suo punto di vista.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Théophile Gautier che ebbe sempre un atteggiamento altalenante verso Courbet su “<i>La Presse</i>” del 21 luglio, a proposito delle “<i>Bagnanti</i>” scrisse: "<i>Immaginate una specie di Venere che emerge dall'acqua, e che volge allo spettatore una ‘groppa’</i> (si noti il termine groppa e non schiena) <i>mostruosa imbottita di fossette, sul fondo della quale mancano solo le rifiniture della pasta di mandorla</i>". E questo con una chiara allusione a un corpo femminile pieno di cellulite. Gautier evoca la figura mitologica di Venere, personificazione della Bellezza in senso classico, che qui contrappone al selvaggio e a tutto ciò che egli crede che non sia civiltà. Gautier aggiunge inoltre che la nudità velata finisce per rivelare e quindi per infastidire più di quanto non voglia nascondere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Lo sguardo del critico esprime bene ciò che divideva l'opinione, altrove Gautier parla di decadenza e di bruttezza. L’espressione “<i>volti mostruosi</i>”, diventata ormai un “<i>leitmotiv</i>” tra le numerose critiche rivolte al pittore, portò Gautier a definire Courbet “<i>il Watteau del brutto</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Con questo dipinto di provocazione, presto seguito da altri capolavori, Courbet incominciava a prendere l'iniziativa di un movimento che, aprendo le porte della pittura alla modernità, si sarebbe chiamato “<i>realismo</i>” e che Charles Baudelaire avrebbe invece accolto con pieno favore. Il dipinto dal 1868 fa parte delle collezioni del “<i>Museo Fabre</i>” di Montpellier.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet cercava anche di guadagnarsi da vivere con la sua arte e di essere riconosciuto, anche fra le autorità del nuovo potere politico. Per sollecitare ordini pubblici, fece visita all'influente duca “<i>Charles de Morny</i>”, fratellastro di Napoleone III, che aveva appena acquistato da lui “<i>Le signorine del villaggio</i>”, ma da lui ricevette solo vaghe promesse. Si rivolse allora ad “<i>Auguste Romieu</i>”, direttore delle “<i>Belle Arti</i>”, il quale dichiarò "<i>che il governo non poteva sostenere un uomo come [lui]" e che quando "avrebbe fatto altri [tipi di] quadri, avrebbe visto quello che poteva fare</i>". Courbet rafforzò allora la sua posizione di contrasto al sistema e promise “<i>che tutti avrebbero ingoiato il realismo</i>”, a rischio di ritrovarsi totalmente isolato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">L'industrializzazione e la borghesizzazione delle periferie delle città avevano generato una nuova articolazione della borghesia che rifiutava il mondo rurale o che lo accattava solo se idealizzato in una sorta di visione idillico-panteistica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In una lettera indirizzata a George Sand quasi provocatoriamente, e pubblicata sul settimanale “L'Artiste” il 2 settembre 1855, il critico Jules Champfleury citava il filosofo Pierre-Joseph Proudhon che, in “<i>La filosofia del progresso</i>” del 1853, scriveva: "<i>L'immagine del vizio come quella della virtù appartiene all'ambito della pittura come a quello della poesia: secondo la lezione che l'artista vuole dare, qualsiasi figura, bella o brutta che sia, può assolvere allo scopo dell'arte. [...] Che il popolo, riconoscendosi nella sua miseria, impari ad arrossire per la sua codardia e a detestare i suoi tiranni, che l'aristocrazia, esposta nella sua grassa e oscena nudità, riceva su ogni suo muscolo la flagellazione del suo parassitismo, della sua insolenza e della sua corruzione. [...] E che ogni generazione, depositando così sulla tela e sul marmo il segreto del suo genio, giunga ai posteri senza altra colpa o scusa che le opere dei suoi artisti</i>".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet e Proudhon provenivano dallo stesso angolo della Francia, si conoscevano, si stimavano. Ma il testo di Champfleury rivela un equivoco dal quale Courbet si sarebbe poi districato: non voleva passare la vita a dipingere la gente di campagna o a offendere i borghesi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel frattempo lo studio di “<i>Rue Hautefeuille</i>” continuava a essere per Courbet un luogo di ritrovo di amici, i suoi irriducibili sostenitori, ai quali il pittore si aggrappava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Parigi brillava con una luminosità appariscente nella seconda metà dell’Ottocento, i ristoranti alla moda i cabaret e i teatri offrivano lo spettacolo di una società sontuosa e frivola, la Rivoluzione industriale produceva ricchezza e le fortune economiche si facevano e si disfacevano in borsa, mentre si spendeva generosamente e l’arte diventava straordinariamente alla moda.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel 1855 Napoleone III aveva voluto con molta determinazione la “<i>Esposizione Universale</i>” a Parigi, che si sarebbe tenuta al “<i>Palais de l'Industrie</i>” appositamente costruito per l’occasione. Era la seconda <i>Espo, </i>dopo quella che si era tenuta a Londra nel 1851: era la grande occasione per celebrare davanti al mondo la “<i>grandeur</i>” della Francia e della “<i>Ville Lumière</i>” e in quella circostanza la grande rassegna internazionale avrebbe compreso anche l’annuale “<i>Salon</i>” delle Belle Arti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet, tornando un giorno da un incontro fallito con l’alto funzionario francese del Secondo Impero, il nuovo direttore delle Belle Arti, Émilien de Nieuwerkerke, nel pranzo durante il quale il pittore era stato invitato per realizzare una grande opera per la gloria del paese e del regime per l'”<i>Esposizione universale</i>”, ma che si riservava il diritto di ammettere l’opera da parte di una giuria. Courbet gli disse di essere l'unico giudice della sua pittura. Nieuwerkerke, intimorito da tanta arroganza, capì che il pittore non avrebbe partecipato ai festeggiamenti previsti. In questo periodo completò “<i>L'uomo ferito</i>”, un autoritratto di un uomo che geme e muore, e di cui parlò a Bruyas, confidandogli che sperava di vivere della sua arte per tutta la vita senza mai allontanarsi di una virgola dai suoi principi, senza mai mentire alla sua coscienza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 23</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Jhi0h7soJmy0CC0fpugF0L113mSW0CA-FFvdXTl0cfJ4Mx9nDyWcCzilaBgOHc7velW4DDxv6wrpBe6r2qVPGrNyfeLKVS8OLdg4ViszUpw0anhGYRqDOl7UOd5JLFRJR1XsUsUg0dBQdoIBUYXhkzvLQx_sQ40EL9_455t6_rA3JQSJyvC3QXxH644/s3508/Fig.%2023%20-%20Gustave_Courbet_-_Der_Verwundete_-_2376_-_%C3%96sterreichische_Galerie_Belvedere.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2808" data-original-width="3508" height="512" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Jhi0h7soJmy0CC0fpugF0L113mSW0CA-FFvdXTl0cfJ4Mx9nDyWcCzilaBgOHc7velW4DDxv6wrpBe6r2qVPGrNyfeLKVS8OLdg4ViszUpw0anhGYRqDOl7UOd5JLFRJR1XsUsUg0dBQdoIBUYXhkzvLQx_sQ40EL9_455t6_rA3JQSJyvC3QXxH644/w640-h512/Fig.%2023%20-%20Gustave_Courbet_-_Der_Verwundete_-_2376_-_%C3%96sterreichische_Galerie_Belvedere.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Concentrato, lavorando instancabilmente su una decina di dipinti tra Ornans e Parigi da novembre del 1854, preparava segretamente, con l'aiuto di Bruyas e di altri “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">complici</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” come Francis Wey, Baudelaire, Champfleury, un vero e proprio “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">colpo di stato</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” nella pittura concentrandosi su “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L’atelier del pittore</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">” che doveva essere il suo dipinto-manifesto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nell'aprile 1855, la commissione rifiutò però a Courbet la presentazione di alcuni dei suoi dipinti per quel “<i>Salon</i>” speciale contestuale all’”<i>Esposizione Universale</i>” che si doveva inaugurare il 15 maggio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Di fronte all’esclusione delle sue tele Courbet, che non era certo tipo arrendevole (sarebbe stato un “<i>barricadero</i>” durante la ‘Comune’ nel 1871 e sarebbe finito in carcere in nome delle sue idee socialiste, era quindi inimmaginabile che si desse per vinto) urlando al complotto e incoraggiato dai suoi amici e sostenitori decise allora di organizzare una propria mostra personale a margine del “<i>Salon</i>” e fece costruire a sue spese, lui che poteva permetterselo, un padiglione. Chiese aiuto ad Alfred Bruyas che gli diede sostegno grazie alle sue “<i>entrance</i>” con il <i>Pubblico Ministero</i> di Parigi, il banchiere e uomo politico “<i>Achille Fould</i>”, che gli rilasciò in breve il permesso di costruzione. In poche settimane in avenue Montaigne, a pochi metri dal “<i>Palazzo dell’Industria</i>”, fu eretto il “<i>Padiglione del Realismo</i>” in mattoni e legno destinato ad ospitare quaranta opere del pittore che si allontanavano dalla tradizione, dai soggetti mitologici e storici e dall'arte sacra, in favore di soggetti popolari e intitolò la sua mostra “<i>Le Réalisme, par Gustave Courbet</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nonostante qualche ritardo, l'inaugurazione avvenne il 28 giugno e il padiglione fu chiuso nel tardo autunno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Courbet fece stampare i manifesti e un piccolo catalogo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Durante la serata di apertura il nome di Gustave Courbet era sulla bocca di tutti quelli che contavano a Parigi, nel bene e nel male. Anche se molte delle sue opere erano state esposte, il dipinto che aveva appositamente creato per il “<i>Salon</i>”, ‘<i>L'Atelier del pittore</i>” era stato respinto dalla giuria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Per l'”<i>Esposizione Universale</i>”, Bruyas aveva prestato “<i>La Rencontre</i>” che aveva stuzzicato la verve dei caricaturisti diventandone un bersaglio fino all’esasperazione della sua famiglia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo gli eventi del 1855, Bruyas avrebbe adottato chiaramente una posizione di ritiro, dovuta in gran parte al peggioramento del suo stato di salute. Pensò sempre più di imitare i suoi concittadini Fabre e Valedau, offrendo la sua prestigiosa collezione di pittura al museo della sua città.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La mostra di Courbet richiamò e attrasse stampa e pubblico e lanciò finalmente la sua carriera come ‘<i>leader</i>’ del movimento realista.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questa mostra, nel cui titolo utilizzava il termine "<i>realismo</i>" per indicare la cifra della propria pittura in netto dissenso con il sistema accademico, rappresentò un manifesto artistico e scatenò una vivace polemica sui giornali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Le sue opere suscitarono aspre critiche e infuocate polemiche nel mondo artistico parigino ed altri accalorati attacchi per la sfida alle convenzioni artistiche, per la critica alla rappresentazione idealizzata della realtà, fu accusato di trivialità dell'insieme, della “<i>bruttezza</i>” dei personaggi rappresentati e perfino per la sua “<i>spudoratezza</i>”. Per giunta – eresia delle eresie! – il sanguigno Courbet si era voluto servire di formati grandi, considerati appannaggio esclusivo della pittura storica, il genere considerato più alto e nobile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il “<i>Padiglione del Realismo</i>” offrì a Courbet anche l’opportunità di esprimere pubblicamente ciò che intendeva per “<i>realismo</i>” e di porre fine ad alcuni malintesi: “<i>Il titolo di realista mi è stato imposto come il titolo di romantici fu imposto agli uomini dal 1830. I titoli in nessun momento davano una giusta idea delle cose; se così non fosse le opere sarebbero superflue […] Ho studiato, fuori da ogni spirito di sistema e senza pregiudizi, l'arte degli antichi e l'arte dei moderni. Non volevo imitarne alcuni più di quanto non volessi copiarne altri; né il mio pensiero mira a giungere al vano traguardo dell'arte per l'arte […] Conoscere per potere, tale era il mio pensiero. Riuscire a tradurre i costumi, le idee, gli aspetti del mio tempo, secondo il mio apprezzamento, per essere non solo un pittore, ma anche un uomo, in una parola, fare arte vivente, questo è il mio obiettivo"</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo quasi-manifesto fu in parte opera di Champfleury e vi si trovano anche principi di Baudelaire. Entusiasta, Courbet ebbe perfino l'idea di chiedere a un fotografo di prendere i suoi quadri per creare immagini che avrebbe venduto ai visitatori.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Quanto al giornalista e politico <i>Charles Perrier</i> (1813 – 1878), scrisse con sarcasmo su “<i>L'Artiste</i>” che "<i>tutti hanno visto, intonacato sui muri di Parigi in compagnia degli acrobati e di tutti i ciarlatani scritto in caratteri giganteschi, il manifesto del signor Courbet, apostolo del realismo, invitando il pubblico a depositare la somma di 1 franco all'esposizione di quaranta dipinti della sua opera</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È difficile misurare il reale successo che ebbe la mostra di Courbet, ma Eugène Delacroix che scrisse nel suo "<i>Diario</i>: “<i>Vado a vedere la mostra di Courbet [...]. Sono rimasto lì da solo per quasi un'ora e ho scoperto un capolavoro nel suo dipinto rifiutato. Non potevo staccarmi da questa visione. Abbiamo rifiutato qui una delle opere più singolari di questo tempo</i>”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">L'opera di cui parla Delacroix è “<i>L'atelier del pittore</i>”, un formato enorme, che Courbet non riuscì nemmeno a completare perché aveva poco tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">“<i>L’atelier</i>” è l’opera che più di tutte rappresenta l’incontro tra le varie anime di Courbet in cui si fondono il realismo, l’accademismo distorto, la critica sociale ma anche il narcisismo straripante dell’artista. Ma questo sarà un altro racconto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo.</span></div><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn6" style="mso-element: footnote;">
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-82002342831249971122024-01-17T02:21:00.000-08:002024-01-31T00:09:41.768-08:00Nicolas Rolin, committente di van Eyck e di van der Weyden – I fiamminghi settimo racconto<p></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Chiunque abbia sfogliato un libro di Storia o
ancor meglio uno di Storia dell’Arte al Liceo si sarà sicuramente imbattuto nel
dipinto <i>La Madonna del Cancelliere Rolin</i> e avrà notato la perizia tecnica e i
dettagli di quest’opera straordinaria.</span></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Naturalmente pochi, se non i più interessati,
si saranno chiesti chi è quel signore con quella strana acconciatura “<i>a
scodella</i>” che campeggia sul lato sinistro della tavola.</span></div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel titolo si legge il “<i>Cancelliere Rolin</i>”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma chi era mai questo cancelliere, che ‘<i>Jan
van Eyck</i>’ ha reso immortale col suo dipinto?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ebbene, questo personaggio non era uno
scappato di casa, capitato per caso lì a far da modello a un Jan van Eyck,
diventato ormai una celebrità nelle terre del Nord.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">‘<i>Nicolas Rolin</i>’, signore di Autun e di
Beauchamp, era uno degli uomini più ricchi e potenti del suo tempo, era il Cancelliere
di Borgogna, all’epoca uno degli stati ‘<i>di fatto</i>’ più potenti d’Europa, e la
sua carica equivarrebbe oggi a quella di un primo ministro. Si potrebbe dire
che dopo il duca Filippo III di Borgogna, era l’uomo più importante nei suoi Stati
ed era quindi quello che oggi definiremmo un’eminenza grigia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Abile e scaltro, nutrito fin da giovanissimo
di studi giuridici profondi, Rolin era un uomo pienamente dedito alla sua
importante carica della quale si occupava con passione: fu il principale
artefice delle riforme che consolidarono lo stato borgognone e fu uno dei membri
più riconosciuti della corte ducale dal 1422 al 1462.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il suo “<i>cursus honorum</i>” era incominciato nel 1408, al
servizio del duca di Borgogna Giovanni senza Paura dapprima come giurista presso
il Parlamento di Parigi, ma fu presto nominato consigliere capo del suo ‘<i>entourage</i>’
e quindi ambasciatore del duca.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1419, dopo l'assassinio di Giovanni, suo
figlio Filippo III diventò duca e tre anni dopo, nel 1422, nominò Nicolas Rolin
cancelliere, carica che conservò per quarant’anni: Rolin continuò la sua ascesa
politica e diventò molto rapidamente uno dei diplomatici più importanti e
ascoltati nella scena politica europea. Era inoltre responsabile dei conti
ducali, oggi diremmo delle finanze dello ‘<i>stato</i>’, poi custode del sigillo del
duca, il che significava che ogni legge emanata dal duca passava al suo attento
e competente vaglio. Insomma si può dire che tutti i più importanti affari
statali, “<i>nazionali</i>” ed esteri, passassero per le sue mani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1423, per ordine di Filippo il Buono,
fondò l'<i>Università di Dole</i> e nel 1425 collaborò alla fondazione dell’<i>Università
di Lovanio</i>. Nel 1435 fu uno dei redattori della “<i>pace di Arras</i>” con
la quale, com’è noto, Carlo VII di Francia faceva pubblica ammenda
per l’assassinio del duca Giovanni senza Paura, riconosceva l'indipendenza della
Borgogna a condizione che questo ducato riconoscesse la sua regalità sulla
Francia e che sospendesse l'alleanza con l'Inghilterra nella “<i>Guerra dei Cent'anni</i>”,
sebbene quest’alleanza si fosse ormai logorata da tempo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fu in questa circostanza che Rolin commissionò
a ‘<i>Jan van Eyck</i>’ la celebre tavola.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamola ora con attenzione.</div><div style="text-align: justify;">fig. 1</div></span><span style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMg1s_ax41tY38pjigpi7EhxqrtZsBpZF5JsaHVkumQ_UGYLR3LHAAVc2_2V4JoG0EDsHreEgfJ7LmjP-5B8GTMHN7zgU_a7xXDJbmmcBI5AG5st_9coqMxoRI1NLteRMTeSAp7PtSKpAh08TqIGn1CfC3bWWi15q41CZ9NCzFuo_e_CrsDQiwJ2KbLZA/s1260/fig%201%20-Jan_van_Eyck%20-%20%20La_Vierge_du_chancelier_Rolin%20-%20Mus%C3%A9e_du_Louvre.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1260" data-original-width="1200" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMg1s_ax41tY38pjigpi7EhxqrtZsBpZF5JsaHVkumQ_UGYLR3LHAAVc2_2V4JoG0EDsHreEgfJ7LmjP-5B8GTMHN7zgU_a7xXDJbmmcBI5AG5st_9coqMxoRI1NLteRMTeSAp7PtSKpAh08TqIGn1CfC3bWWi15q41CZ9NCzFuo_e_CrsDQiwJ2KbLZA/w610-h640/fig%201%20-Jan_van_Eyck%20-%20%20La_Vierge_du_chancelier_Rolin%20-%20Mus%C3%A9e_du_Louvre.jpg" width="610" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il dipinto <i>Il Cancelliere Rolin in preghiera
davanti alla Vergine</i> è un olio su tavola noto anche come <i>La Vergine del
Cancelliere Rolin</i> o anche come la <i>Vergine di Autun</i>, per la sua collocazione
originaria.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><i>Jan van Eyck</i> dipinse questa tavola intorno
al 1435 per <i>Rolin</i> che la commissionò come <i>ex voto</i> da esporre
nella <i>Cappella di San Sebastiano</i> della <i>Chiesa di Notre-Dame du Châtel</i>,
che egli stesso aveva fondato nel 1432 e che era frequentata dai membri
della sua famiglia.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Durante la Rivoluzione, la chiesa fu
distrutta e nel 1794 l'opera fu trasferita alla <i>Chiesa
di Notre Dame</i> di Autun. Due anni dopo, in ottemperanza di una decisione
emanata dal Direttorio, l’opera fu nazionalizzata. Nel 1805, nonostante la
resistenza dei cittadini di Autun e i loro interventi dapprima presso Luciano
Bonaparte, ex studente del famoso collegio cittadino, e poi presso Talleyrand,
il dipinto fu trasferito nel <i>Museo Napoleone</i>, l'attuale <i>Museo Nazionale del Louvre</i> a Parigi. In seguito a questi numerosi spostamenti, la cornice originale
che doveva recare data e firma del pittore andò perduta.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto raffigura una stanza dal soffitto molto
alto che domina un panorama cittadino con il cancelliere Rolin di fronte
a Maria con il Bambino e un angelo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Si tratta di un tema tipico dell'iconografia cristiana,
la <i>sacra conversazione</i>, un’opera cioè che riunisce nella stessa scena
personaggi divini e umani che sembrano conversare tra loro condividendo uno
spazio comune, nonostante essi appartengano a epoche diverse, come appare dai
loro rispettivi abiti. Di solito, naturalmente non in questo caso, in una <i>sacra
conversazione</i> sono presenti anche dei santi in funzione di intercessori presso
il divino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A causa di una prospettiva non geometrica, ma
ancora empirica – le linee di fuga non convergono verso un unico punto –, la
composizione rivela che van Eyck non conoscesse ancora tutte le norme
formulate da Leon Battista Alberti e pubblicate nel <i>De pictura</i> del 1436,
ma ne conoscesse solo alcune: va tuttavia ricordato che la pittura fiamminga
non ha mai mostrato sommo interesse per la <i>prospettiva geometrica</i>, preferendo
a essa la <i>prospettiva aerea</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel dipinto i personaggi sono rivolti l’uno
verso l’altro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig.2<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRc6mI4AbjK8fA33-nDsuToMYUrTehmF5mOXaynH8XPrpVwQHL17Lnu7cK6-m3xKn4DzmAnQ4PmaqxORbPx254ko_MtMXcUajcEIVK0M9o6V8UzwiK-G2V3Qhw21-x3LA9ZplyFMonQxYq1sr82uMjUnXHlr_2YI4AFJ7BzhxatYYX2dfg7vpMQxPGCWk/s3648/fig%202%20-%20Jan_van_eyck,_madonna_del_cancelliere_rolin,_1434-35_ca._06.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3648" data-original-width="2736" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRc6mI4AbjK8fA33-nDsuToMYUrTehmF5mOXaynH8XPrpVwQHL17Lnu7cK6-m3xKn4DzmAnQ4PmaqxORbPx254ko_MtMXcUajcEIVK0M9o6V8UzwiK-G2V3Qhw21-x3LA9ZplyFMonQxYq1sr82uMjUnXHlr_2YI4AFJ7BzhxatYYX2dfg7vpMQxPGCWk/w480-h640/fig%202%20-%20Jan_van_eyck,_madonna_del_cancelliere_rolin,_1434-35_ca._06.jpg" width="480" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="text-align: justify;">A destra c’è un gruppo composto da tre
figure. La Vergine, avvolta in un mantello rosso tempestato di perle e di preziosi
gioielli, è seduta di tre quarti su un cuscino decorato con motivi floreali e collocato
su una panca di marmo che reca invece motivi geometrici. Come ‘</span><i style="text-align: justify;">Vergine della
saggezza</i><span style="text-align: justify;">’ o ‘</span><i style="text-align: justify;">Sedes sapientiae</i><span style="text-align: justify;">’, secondo l’archetipo iconografico cui si
riferisce, il Bambino siede sulle ginocchia della Madre e dalla Madre è
presentato e “</span><i style="text-align: justify;">offerto</i><span style="text-align: justify;">” a quanti lo ricercano. In questo caso tiene il Bambino seduto
su un ginocchio su un panno bianco, presagio del sudario che un giorno lo
avrebbe avvolto. Dietro, un angelo giganteggia su di lei e sostiene una corona
sopra la sua testa.</span></div></div><div style="text-align: justify;">Il Bambino regge in mano un globo sormontato
da una croce, simbolo dell'Universo e fa un gesto di benedizione verso il
Cancelliere, la Vergine guarda il globo con la croce in mano al figlio, come se
volesse indicare il supplizio che lo attende.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTmyKS_JLn-3s6b4yT_4ksHO8bRe0Wl4FOze3IrGQLw0yoqb7QK9y9YoJaa8305YAafBjrCJwo1pRnnBi8oLv496AfeiWxOua_d0R5nenWwODgcN_TWBklVdtz3CyxpsvPO4XQUyPnIYvgtLPkuHJrkw5KkXzYnPY3AZm4YUxpWNu9cVWcRT8RaVspAM4/s652/fig.%202%20-%20madonna_del_cancelliere_rolin_jan_van_eyck2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><img border="0" data-original-height="652" data-original-width="350" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTmyKS_JLn-3s6b4yT_4ksHO8bRe0Wl4FOze3IrGQLw0yoqb7QK9y9YoJaa8305YAafBjrCJwo1pRnnBi8oLv496AfeiWxOua_d0R5nenWwODgcN_TWBklVdtz3CyxpsvPO4XQUyPnIYvgtLPkuHJrkw5KkXzYnPY3AZm4YUxpWNu9cVWcRT8RaVspAM4/s16000/fig.%202%20-%20madonna_del_cancelliere_rolin_jan_van_eyck2.jpg" /></a></div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A sinistra c’è il cancelliere Rolin con la
tipica acconciatura <i>a scodella</i>, una moda lanciata dal duca Filippo il Buono: è
vestito con un abito di broccato d'oro e una pelliccia, abbigliamento
abitualmente riservato ai grandi di Borgogna. Appare genuflesso su un
inginocchiatoio, con le mani giunte in adorazione e con un libro di preghiere aperto
davanti a sé. Rolin guarda indistintamente l'intero gruppo divino, ma senza
fissare in particolare nessuna delle figure sacre.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dietro di loro, al di fuori di quest’ampia
sala si apre la scena di un paesaggio urbano, visibile oltre la finestra, che
include tutti i dettagli della vita terrena: attività, architettura, città,
ponte su un fiume e personaggi, diversi animali raffigurati dettagliatamente:
una gazza, un pavone, e dei conigli che si riferiscono ai vizi umani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In fondo a sinistra nella stanza, al di
sopra dei capitelli compositi di elegante fattura che sormontano le colonne, in
una fascia che simula un bassorilievo, si distinguono scene dell'Antico Testamento:
la ‘<i>Cacciata dal Paradiso</i>’, il ‘<i>Sacrificio di Caino e Abele</i>’, ‘<i>Dio riceve
l'offerta di Abele</i>’, l'’<i>Omicidio di Caino</i>’, ‘<i>Noè nell'arca</i>’ e ‘<i>Noè
coperto da uno dei suoi figli</i>’.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 4<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikUIjqjj1awf-3hfd646vaSaOe1PPosPLSRQnDZ642V_FtBFV9x7CfX4_lJcxHlrZ7BAkrP0nCh8Jxr3MPLrErmGDDbjMx0HvCZvIuDud80c4b0J5d-r47EzvEI37XnHHHjz_4syOwMz3UJ7jPPIa3iCWEHadd2D70s1EkObIylIm3VriPhqN4dF3Plro/s734/fig%204%20-%20jan%20van_eyck_virgin_with_chancellor_rolin_luber.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="734" data-original-width="695" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikUIjqjj1awf-3hfd646vaSaOe1PPosPLSRQnDZ642V_FtBFV9x7CfX4_lJcxHlrZ7BAkrP0nCh8Jxr3MPLrErmGDDbjMx0HvCZvIuDud80c4b0J5d-r47EzvEI37XnHHHjz_4syOwMz3UJ7jPPIa3iCWEHadd2D70s1EkObIylIm3VriPhqN4dF3Plro/w606-h640/fig%204%20-%20jan%20van_eyck_virgin_with_chancellor_rolin_luber.jpg" width="606" /></a></div></div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sono state avanzate varie proposte per identificare
la città sullo sfondo, ma l’ipotesi più spesso accolta è quella di una città immaginaria,
ideale, tipica <i>sintesi cittadina</i> dell’epoca, piuttosto che una località ben
precisa. Un processo di questo tipo era abbastanza frequente nella pittura
contemporanea di van Eyck, e non solo nelle Fiandre, si ricordino a tal
proposito anche i <i>capricci</i> italiani del Quattrocento con le celebri <i>città ideali</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Secondo un’altra ipotesi, anch’essa abbastanza
proponibile, la città potrebbe essere la rappresentazione della <i>Gerusalemme celeste</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La rigorosa simmetria fra l'impianto architettonico-urbanistico
e i personaggi della scena è un affascinante gioco di contrapposizione di sacro
e di profano: la Madonna col Bambino e il Cancelliere Rolin. Questa
opposizione corrisponde anche nell'arredamento dell’interno della grande sala e
ancora negli edifici che compongono l’esterno del paesaggio urbano: dietro il Cancelliere,
le case e un municipio sono simbolo del potere politico, e, dietro la Vergine
col Bambino, una cattedrale e le chiese sono simbolo della Città di Dio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Allo stesso modo il significato del giardino
recintato è ambivalente: se da un lato può richiamare la purezza della Vergine come
metafora dell’<i>hortus conclusus</i>’ dall’altro può anche evocare la ricchezza e la
vanità per la presenza del pavone.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il simbolismo si affaccia ancora insistente e
ambiguo con l’immagine della gazza associata da un lato alla
maldicenza, dall’altro alla morte, con quella del pavone, da un lato simbolo
di Cristo, perché la carne di questo volatile impiega tempo per putrefarsi dopo
la morte, ma dall’altro anche simbolo della vanità delle cose terrene, e infine
con l’immagine del coniglio, da un lato simbolo della lussuria sopraffatta
dalla Religione, perché, essendo il coniglio e la lepre animali
molto prolifici, sono tradizionalmente considerati simbolo di eccesso
erotico e spesso di lascivia, ma dall’altro lato mutando essi il pelo in
primavera sono anche simbolo della Resurrezione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le stelle a otto punte delle piastrelle rievocano
la <i>Stella Matutina</i>, uno dei titoli conferiti alla Vergine nelle litanie
a lei dedicate, perché, come la stella del mattino dà origine al giorno così la
Vergine genera Cristo, alba di una vita rinnovata dalla redenzione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il Bambino rivolge la sua benedizione al
cancelliere, ma non guarda direttamente verso di lui come aveva originariamente
realizzato il maestro e come è stato dimostrato da una recente analisi del dipinto
eseguita con i raggi infrarossi: il committente volle invece che la realizzazione
finale fosse come appare ora per mostrare la sua umiltà.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questa benedizione, il momento più saliente
della tavola, è messa in scena da un'abile composizione che articola i vari piani
dello spazio reale e quelli dello spazio suggerito da van Eyck: la mano di
Cristo è posta infatti sulla linea compositiva che presenta un ponte, un elemento
simbolico che indica la comunicazione, il collegamento.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per comprendere a fondo questo dipinto ci si
deve porre qualche domanda. Qual era il motivo di realizzazione dell’opera?
Perché Rolin l’aveva commissionata?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quest’opera è un <i>ex voto</i> – come tutti sanno
un <i>ex voto</i> è un dono per ringraziare il destinatario (Dio, la Madonna, un
santo) di aver esaudito una preghiera –, attraverso questo dono Rolin vuole
ringraziare Dio della buona riuscita della sua azione politica svolta a favore
del ducato di Borgogna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il dipinto acquista così un preciso
riferimento politico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma quale?</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per capire l’opera bisogna conoscere il
retroscena.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Con le sue abili trattative diplomatiche, il cancelliere
aveva indotto il Regno di Francia a firmare il <i>Trattato di Arras</i> che,
oltre alla concessione di numerosi possedimenti territoriali alla Borgogna, portava
soprattutto alla riparazione dell’onta dell’assassinio di Giovanni senza Paura subita
dalla famiglia di Borgogna con la richiesta formale di perdono da parte di re Carlo
VII di Francia nei confronti del duca Filippo e questa richiesta di perdono era
attestata dalla costruzione di una croce in perenne memoria dell’oltraggio che
l’allora delfino Carlo, ora re di Francia, aveva commesso nei confronti del
duca di Borgogna per essere stato il mandante dell’assassinio di Giovanni senza
Paura, padre dell’attuale duca Filippo III.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel dipinto sul ponte che si vede sullo
sfondo – un rimando al luogo dove era stato perpetrato l’assassinio – è infatti
rappresentata una piccola croce a memoria di quel delitto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Jan van Eyck, ponendo il gesto benedicente di
Gesù davanti al ponte, crea un'associazione di idee molto simbolica: la croce
posta sull'asse centrale è il fulcro della composizione e raffigura la
comunicazione tra il cancelliere e Cristo, e mette così in evidenza che l'azione
politica di Rolin è posta sotto il patronato divino da cui il suo successo è derivato.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La complessità simbolica e impaginativa della
tavola sviluppa quindi un significato ben più profondo che va di conseguenza oltre
la semplice commissione di un'opera di devozione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le due figure di spalle sono il pittore e suo
fratello Hubert che, guardando il paesaggio, incardinano il mondo divino e
quello terreno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tecnicamente, quest'opera rispetta molte
delle innovazioni introdotte dai pittori italiani del periodo
prerinascimentale come il senso di umanità dei personaggi – per esempio il
Cancelliere e la Vergine hanno le stesse dimensioni –, come ancora l'introduzione
del paesaggio e dei suoi elementi terreni in un'opera sacra, e infine come l'aspetto
pittorico, rivelazione della complessità architettonica attraverso una
prospettiva coerente – per esempio colonne, sculture, edifici in lontananza ed
altro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ritornando sull'allegoria suggerita dal
paesaggio e sulla netta separazione tra il potere politico del Cancelliere,
rappresentato dalla città degli uomini, e dall'altro la purezza nonché la
grandiosità della “<i>civitas Dei</i>”, verso la quale ognuno deve tendere, si vede il
desiderio di van Eyck di sminuire in un certo senso il prestigio del suo
committente, perché è ovvio che la città degli uomini, che egli rappresenta,
non raggiungerà mai la città di Dio e che da quel momento l’uomo Rolin deve
tendere sempre verso questo modello.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Inoltre, il fatto che la tavola sia così profondamente
segnata dalle colonne – triplice cesura fra l’interno della stanza e l’esterno
del paesaggio –, sembra suggerire che solo attraverso la Santissima Trinità si
può raggiungere un reale miglioramento dell'uomo e allontanarsi dal suo primordiale
stato di natura.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ed è a questo scopo e solo ad esso che la
politica deve o almeno dovrebbe tendere.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dopo questa pausa artistica è bene ritornare
al nostro protagonista Nicolas Rolin.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1438 Rolin accompagnò Filippo il Buono a
Bourges, capitale del Berry, per le discussioni preparatorie di una <i>Prammatica
Sanzione</i> che stabiliva le relazioni tra Chiesa e Stato e che fu proclamata in quello
stesso anno a Bourges da Carlo VII. Anche in questa circostanza la
sua partecipazione ebbe un ruolo decisivo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1443, alla conclusione di fatto della <i>Guerra
dei Cent'anni</i> (anche se per un decennio ci furono altre scaramucce fra i due
Stati e la guerra si sarebbe conclusa ufficialmente nel 1453 con la <i>battaglia
di Castillon</i> uno scontro decisivo, che pose definitivamente fine
alla guerra), Nicolas Rolin e la sua terza moglie, la devota nobildonna <i>Guigone
de Salins,</i> fondarono a Beaune, un’antica città della <i>Côte d’Or</i>, gli <i>Hospices</i>,
un’opera caritativa che doveva prendersi cura gratuita dei poveri, degli
anziani, degli orfani, dei malati e dei pellegrini e, perché no, anche della salvezza
delle anime dei fondatori.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La causa prossima di questa iniziativa era
stata la carestia che aveva devastato la Borgogna nella prima metà del Quattrocento.
La nobile Guigone fu molto attivamente coinvolta nell'ospedale-ospizio, non
solo nella sua creazione, ma in seguito anche nel suo funzionamento e nella sua
amministrazione: del resto una parte importante degli costi di costruzione
erano stati sostenuti con i proventi delle miniere di sale di Salins, parte della
sua dote. Guigone, per sua esplicita volontà testamentaria, dopo la sua morte
nel 1470 sarebbe stata sepolta al centro della grande corsia dell'ospedale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">All'inizio ci furono dubbi sul luogo di
fondazione, se dovesse essere Autun o Beaune, ma alla fine fu scelta Beaune
perché lì non c'erano ordini religiosi che aiutassero i poveri e gli ammalati. Nel
1452 Rolin fondò anche un nuovo ordine monastico per la cura dei malati: le <i>Suore
Ospedaliere di Beaune</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 1</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgadi96arQ1zk5wkvN_gNAqIsbZE156l2gHiV34Ew04fzZi1_tBWQCTmEwfVKveEUsDSXFR4g3gMoz055tbwMtG9QPzT323UEbKj0B7RFhUDtc2zUw3ed1E2Qx2jL25PDhTaz5abNePG8RlJlmdQvrbwUFpTL98suXdpbiSiUZimxRhDW9SqM2hZ6ShMTo/s1600/fig%201%20-%20Hostel_Dieu_Beaune.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="977" data-original-width="1600" height="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgadi96arQ1zk5wkvN_gNAqIsbZE156l2gHiV34Ew04fzZi1_tBWQCTmEwfVKveEUsDSXFR4g3gMoz055tbwMtG9QPzT323UEbKj0B7RFhUDtc2zUw3ed1E2Qx2jL25PDhTaz5abNePG8RlJlmdQvrbwUFpTL98suXdpbiSiUZimxRhDW9SqM2hZ6ShMTo/w640-h390/fig%201%20-%20Hostel_Dieu_Beaune.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quest’ospedale-ospizio, oggi destinato a Museo,
è conservato quasi integralmente ed è ancora oggi considerato uno dei vanti dell’architettura
fiammingo-borgognona, riflesso dello stile architettonico tardo Gotico del Quattrocento.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Intorno al 1442 all’atto della fondazione
degli “<i>Hospices</i>”, Rolin commissionò anche una pala d'altare per la cappella
dell’istituto, il famoso “<i>Polittico del Giudizio Universale</i> di <i>Rogier van der Weyden</i>, pittore ufficiale
della città di Bruxelles e uno degli artisti più significativi del
Quattrocento fiammingo, che il maestro completò nel 1451, anno in cui la
cappella fu consacrata.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamo ora questo polittico, l'opera
più importante e di maggiori dimensioni realizzata da <i>van der Weyden</i>, e sicuramente
una delle sue opere più ambiziose, paragonabile per bellezza alla sua straordinaria <i>Deposizione</i> del <i>Museo
Nazionale del Prado</i> di Madrid.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div></span><span style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikC9AuhVDRIYf8Rul9Qf_0E5bEyXvANgPSSMBSk4CYieFmVhbGbufI0egp35UAwcq-XjonchsNsnaMFXXdnfxqTFJpWWHCFDNEEtMcGH06kcHMjJWaicGhWX8C55C6yb3A7WcrGfSEQmYitJIXlzHzR6UU3YnEBS8TmNxvxBpU0tlQV0qfM_4iBx1zaUQ/s1024/fig%203%20%20-%201024px-Weyden_Deposition.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="807" data-original-width="1024" height="504" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikC9AuhVDRIYf8Rul9Qf_0E5bEyXvANgPSSMBSk4CYieFmVhbGbufI0egp35UAwcq-XjonchsNsnaMFXXdnfxqTFJpWWHCFDNEEtMcGH06kcHMjJWaicGhWX8C55C6yb3A7WcrGfSEQmYitJIXlzHzR6UU3YnEBS8TmNxvxBpU0tlQV0qfM_4iBx1zaUQ/w640-h504/fig%203%20%20-%201024px-Weyden_Deposition.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Come già <i>L'Agnello mistico</i> dei
fratelli van Eyck, questo è uno dei capolavori assoluti della scuola fiamminga
del Quattrocento e come il polittico dei van Eyck è un caso raro di pala
d'altare fiamminga rimasta nella sua collocazione originale e di cui siano
stati inoltre conservati tutti i documenti relativi alla commissione dell'opera:
il nome dell'artista, quello del committente, il luogo di installazione e la sua
data di completamento.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La macchina d'altare, un polittico
ad ante mobili, era stata prevista e progettata per la cappella in fondo all’aula
magna dell'ospedale, una vasta navata aperta, lunga settantadue metri, che poteva
contenere trenta letti doppi lungo le due pareti, ed era separata dalla navata con
un tramezzo di legno rimovibile attraverso il quale i pazienti potevano assistere
agli uffici divini dai loro letti: per questo l'opera richiedeva dimensioni
considerevoli affinché i malati allettati potessero vederla durante le funzioni
religiose.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La chiarezza compositiva dell’opera era
quindi un prerequisito necessario perché i malati potessero vedere e
comprendere l'argomento, anche a distanza, almeno nelle sue grandi linee. Questo
spiega anche i forti accenti cromatici utilizzati e la particolare forma del
pannello centrale con una prospettiva vista dal basso che mette in risalto la fondamentale
figura di Cristo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Queste esigenze pratiche incontravano felicemente
due caratteri sostanziali dell'arte di Rogier: la sua chiarezza espositiva e la
sua profonda religiosità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’opera fu realizzata nella sua bottega a
Bruxelles tra il 1443 e il 1451 molto probabilmente con
l’aiuto dei suoi allievi e raffigura il tema iconografico cristiano del <i>Giorno del Giudizio</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Finché il polittico rimase nella cappella, era
solitamente chiuso nei giorni feriali e aperto la domenica e durante le feste solenni
del calendario liturgico. Dall’ultima citazione che la riguarda quest’opera nel 1503 di essa non si parlò più finché nel 1836 fu riscoperta interamente sommersa di fabbrica
proprio nella sede degli <i>Hospices</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1875, gli allora amministratori dei
locali decisero di far restaurare dal <i>Museo del Louvre</i> il
pannello dell'<i>Inferno</i> che risultava il più danneggiato di tutti e in seguito fu
restaurato l’intero polittico, con un lavoro complessivo, fra l’altro non
eccezionale, durato tre anni e completato entro il 1878. In questa
circostanza i pannelli furono segati in verticale lungo lo spessore del legno
in modo tale che la parte anteriore e quella posteriore potessero essere esposte insieme e affiancate. Alcuni pannelli hanno conservato ancora le
cornici originali: l'opera, che era stata originariamente eseguita su pannelli
di rovere, in seguito al deterioramento di molti dei suoi pannelli fu trasferita
su tela, tranne il pannello centrale che si trova nel migliore stato di
conservazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1891 l'opera fu classificata come monumento
storico di interesse nazionale e dal 1975 è stata esposta in una sala del
museo appositamente attrezzata con temperatura e umidità costanti, per evitare ogni
ulteriore deterioramento dovuto alla luce solare e al calore prodotto dagli oltre
trecentomila visitatori che ogni anno le passano davanti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In base alla sua datazione (1443 – 1451)
si tratta di un'opera della maturità del grande maestro, completata quando van
der Weyden, era appena ritornato dal suo viaggio in Italia in occasione del
giubileo del 1450.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il polittico è la sua opera di più ampie dimensioni,
infatti privo di cornici misura 215 x 548 cm., e fu realizzato con un notevole
impegno sia nell'ideazione della struttura compositiva sia nell'accurata
esecuzione fin nei minimi dettagli, che ne fanno un'opera degna di rivaleggiare
con il meraviglioso <i>Polittico dell'agnello mistico</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il polittico è composto da nove pannelli di
diverse dimensioni (ora essi sono quindici per la separazione della parte
esterna e di quella interna, tranne la tavola centrale rimasta intatta che è
anche l’unica non trasferita su tela) in parte richiudibili per consentire la
chiusura delle ante sulla grande tavola centrale fissa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamolo chiuso.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7E4kvCj1cJCWItl6d5d2TDwvjTwujGWLIiyIC9_Zlm3ArNWEkik16BgGui4WuvqB2kn7T2JuICn3WCtXa9_uc4t4ZY2iPALVoQ-oRNUOAlUh7cjNBtMmsFZT7lttiIAuqYJCoZNFdAtAPZQ_0ZCZp8BSv2Q0YQ3PcELmFoRxU-TzzKM9ooTiV1QYvsZ0/s2686/fig%202%20-Rogier_van_der_Weyden_(1399of1400-1464)_Het_Laatste_Oordeel_gesloten_luiken_-_H%C3%B4tel-Dieu_Beaune_22-10-2016_13-56-37.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="2263" data-original-width="2686" height="540" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7E4kvCj1cJCWItl6d5d2TDwvjTwujGWLIiyIC9_Zlm3ArNWEkik16BgGui4WuvqB2kn7T2JuICn3WCtXa9_uc4t4ZY2iPALVoQ-oRNUOAlUh7cjNBtMmsFZT7lttiIAuqYJCoZNFdAtAPZQ_0ZCZp8BSv2Q0YQ3PcELmFoRxU-TzzKM9ooTiV1QYvsZ0/w640-h540/fig%202%20-Rogier_van_der_Weyden_(1399of1400-1464)_Het_Laatste_Oordeel_gesloten_luiken_-_H%C3%B4tel-Dieu_Beaune_22-10-2016_13-56-37.jpg" width="640" /></a></div></span><div style="text-align: justify;">Sul retro degli scomparti mobili si trovano sei
pannelli: nel registro superiore, come spesso accade in questo tipo di
polittici, ci sono un <i>Angelo Annunciante</i> e la <i>Vergine Annunciata</i>, nel
registro inferiore ci sono i due santi protettori degli <i>Hospices</i>: <i>San
Sebastiano</i>, al di sotto dell’Angelo, e <i>Sant'Antonio Abate,</i> al di sotto della
Vergine. Tutte le figure sacre sono dipinte a monocromo, come se fossero due statue
di marmo viventi ed eterne, mentre i donatori e fondatori degli <i>Hospices</i>,
Nicolas e sua moglie Guigone sono rappresentati nelle nicchie a sinistra e a
destra, ciascuno in preghiera di fronte al rispettivo santo nello splendore del
colore fiammingo.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamo ora l’opera a battenti aperti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjiMC_NgioMw3RqpG63PgrfFIwBfxYt9me8D5Gxw_3OcIwOMHnfpzlwZVOYFLYj7tyk_FkvPBbALscNbEo44VrzaDIICe_t-mbiSfg3Jcm-IQeD9Ivy5r1OGaopBX07nFO-uWpZH7epKYwHTJA4zUNryX5leniNp1ajEzKOOZa26-OjB1W9t1_z2mYohE/s4096/fig.%204.%20-%20polittico%20aperto%20Rogier_van_der_Weyden_001.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1622" data-original-width="4096" height="254" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjiMC_NgioMw3RqpG63PgrfFIwBfxYt9me8D5Gxw_3OcIwOMHnfpzlwZVOYFLYj7tyk_FkvPBbALscNbEo44VrzaDIICe_t-mbiSfg3Jcm-IQeD9Ivy5r1OGaopBX07nFO-uWpZH7epKYwHTJA4zUNryX5leniNp1ajEzKOOZa26-OjB1W9t1_z2mYohE/w640-h254/fig.%204.%20-%20polittico%20aperto%20Rogier_van_der_Weyden_001.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Una volta aperto, il polittico svolgeva una duplice
funzione: confortava gli ammalati e ricordava loro esplicitamente la fine
mortale di ogni uomo, esortandoli così a ricordare loro la fede e a rivolgere gli
ultimi pensieri a Dio, unica fonte di salvezza eterna. Ancora più concretamente,
il dipinto ricordava al paziente – in linea con mentalità del tempo –, che la
cura spirituale è importante quanto la cura del proprio corpo, tanto più che
solo colui che si trovava in uno stato di grazia spirituale poteva riacquistare
la salute.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo messaggio visivo si può dedurre anche dalla
posizione del dipinto nella corsia dell'ospedale: Rolin aveva richiesto che trenta
letti doppi per pazienti allettati e terminali, due per letto, fossero
posizionati in modo che i malati potessero osservare il dipinto.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI0OAkgOnVsvn6cg2R2OD3XiQqeH7kDqlwkp85eD9pXkCXDH-noPkgKdczG4bD2Dua-YXUp08aZMei_vFplPAPRO2rcPKM6cfLttchI77ZMxy3AOo4JUdAM7r7Mgunn0dAkzAJCmuDC_XhbuD8PQ959IHC8bDoutAqFxnD0hg9TyBL_b3O4bMRU_ZjoYs/s1600/fig.%205%20-%20H%C3%B4tel-Dieu_de_Beaune_022.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI0OAkgOnVsvn6cg2R2OD3XiQqeH7kDqlwkp85eD9pXkCXDH-noPkgKdczG4bD2Dua-YXUp08aZMei_vFplPAPRO2rcPKM6cfLttchI77ZMxy3AOo4JUdAM7r7Mgunn0dAkzAJCmuDC_XhbuD8PQ959IHC8bDoutAqFxnD0hg9TyBL_b3O4bMRU_ZjoYs/w640-h480/fig.%205%20-%20H%C3%B4tel-Dieu_de_Beaune_022.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Fig.6 <a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/50/Polyptyque_du_Jugement_dernier.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/50/Polyptyque_du_Jugement_dernier.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8yluaFvUhSXNy4uyaizaU8akJPq5D1JeXyRYdtIjHCU7pk2-eSczzIHZa-OMLlPQxyOPPbuX92mE-5BGCUUxlwA6x75D-RLc0CsH_OaW8mH3a-9EidO-2TIrjjJUORnkDpuhdNvsfBOIJgKLQNjp5rYfUaiE4VORvlrbXvhKFoj1ClpOBcsDZb2DbQZk/s1559/fig.%206-%20Polyptyque_du_Jugement_dernier.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="678" data-original-width="1559" height="278" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8yluaFvUhSXNy4uyaizaU8akJPq5D1JeXyRYdtIjHCU7pk2-eSczzIHZa-OMLlPQxyOPPbuX92mE-5BGCUUxlwA6x75D-RLc0CsH_OaW8mH3a-9EidO-2TIrjjJUORnkDpuhdNvsfBOIJgKLQNjp5rYfUaiE4VORvlrbXvhKFoj1ClpOBcsDZb2DbQZk/w640-h278/fig.%206-%20Polyptyque_du_Jugement_dernier.jpg" width="640" /></a></div></div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nella rappresentazione del <i>Giorno del Giudizio</i>,
van der Weyden, pur richiamandosi a una tradizione iconografica ben consolidata
di un tema tanto in voga nel Medioevo e nel Quattrocento, lascia
comunque ampio spazio alla sua fantasia e alla sua originalità.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel pannello centrale il polittico mostra un <i>Cristo
giudice</i>” seduto su un arcobaleno, con i piedi appoggiati su un globo d'oro,
simbolo dell'universo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ2naQaLQcfz7ORm3yRCnRYLF91NtLP6flDoSA7HOIox7pks_yhN0C5enr3llLpuwMR5eLjLRMKM-OOhdqT3sjmuWX-8Vr_L11if6zfe0XsD0RTM7PxY-i8xsbDcF48UZuvmiThHNC6pKk7LFI3W9Vmf5stYWS8SPoh36Qc9Vq41OcCBz76a3UvOisKYg/s1024/Cristo%20e%20San%20Michele.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="682" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ2naQaLQcfz7ORm3yRCnRYLF91NtLP6flDoSA7HOIox7pks_yhN0C5enr3llLpuwMR5eLjLRMKM-OOhdqT3sjmuWX-8Vr_L11if6zfe0XsD0RTM7PxY-i8xsbDcF48UZuvmiThHNC6pKk7LFI3W9Vmf5stYWS8SPoh36Qc9Vq41OcCBz76a3UvOisKYg/w426-h640/Cristo%20e%20San%20Michele.jpg" width="426" /></a></div><div style="text-align: justify;">Con la mano destra benedice coloro che sono
salvati e con la sinistra maledice coloro che sono dannati, due gesti questi, sottolineati
da altri simboli scelti <i>ad hoc</i>.</div><div style="text-align: justify;">Sotto di lui, sempre nello stesso pannello, si
trova San Michele arcangelo con in mano una bilancia a due piatti, la
tradizionale <i>bilancia ad ago</i>, mentre sta eseguendo una <i>psicostasia</i> cioè la pesatura
delle anime dei buoni e dei cattivi il cui peso varia in base alle loro azioni
buone e cattive. Il giudizio dei risorti è affidato simbolicamente a questa bilancia
ad ago a doppio piatto con cui San Michele arcangelo compie la <i>psicostasia</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le anime rappresentate nei due piatti sono
due piccole figure simboliche nude, che rappresentano <i>Virtù</i> e
"<i>Vizi</i>". Il personaggio che si trova sul piatto di sinistra, personificazione
delle virtù, è inginocchiato e felice ed eleva una preghiera di ringraziamento
al Signore, mentre l’altro che si trova sul piatto di destra, personificazione dei
peccati, ha un’espressione indimenticabile: condannato dal peso delle sue colpe,
è esterrefatto per la sentenza di condanna ricevuta e, terrorizzato dalla sorte
che lo attende, urla di orrore.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Tutto qui è simbolico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">A cominciare dal ruolo singolarmente
accentuato di San Michele arcangelo che si deve intendere come emanazione o
addirittura come personificazione della giustizia divina.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il pannello centrale, naturalmente il più
grande degli altri e in verticale comprende tutta l’altezza dei due livelli dei
pannelli laterali, è dominato dalla figura di Gesù che, per giudicare l’umanità,
è sceso da un cielo sfolgorante di luce dorata, che si irradia dietro tutte le
figure di beati. Assiso sull’arcobaleno, simbolo della nuova alleanza tra Dio e
gli uomini, ricostituita grazie al suo sacrificio, Cristo ha sul capo un nimbo a
forma di croce, simbolo della sua immolazione, indossa un ampio mantello rosso,
baricentro di tutta la composizione e colore del martirio. Cristo poggia i
piedi sul globo terrestre, simbolo della sua signoria sul mondo e mostra i fori
dei chiodi sulle mani e sui piedi e la ferita sul costato provocata dal colpo
di lancia, così risplendenti da sembrare dei gioielli.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La sentenza di salvezza e di dannazione che
egli pronuncia è rappresentata in diversi modi: mentre con la mano destra Cristo
benedice e dal lato destro della sua bocca fuoriesce un giglio, simbolo di
misericordia e della purezza dell'ordine divino ripristinato dalla verginità
di Maria, priva del peccato originale, con la mano sinistra maledice invece i
dannati e dal lato sinistro della sua bocca fuoriesce una spada fiammeggiante, simbolo
della suprema giustizia. A ribadire il concetto, sempre a sinistra, un cartiglio
curvo cita la celebre formula di condanna nel latino della Vulgata: “<i>Discedite a
me, maledicti, in ignem aeternum, qui praeparatus est Diabolo et angelis eius</i>”.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sotto di lui c’è San Michele arcangelo, principe
del giudizio celeste. San Michele è raffigurato giovane e bello (secondo
la concezione fiamminga di bellezza), perché immortale ed eterno, e perché
incarnazione della giustizia divina: è lui che ha infatti guidato prima di
tutti i tempi le schiere angeliche contro Lucifero e gli altri angeli ribelli
ricacciandoli nel baratro dell’Inferno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Come Cristo, anche l'arcangelo fissa lo
spettatore, come per coinvolgere nel giudizio non solo i risorti che lo
circondano, ma anche ognuno che guarda il dipinto: per questo, il piede
sinistro in posizione avanzata sembra dirigersi verso lo spettatore, chiamandolo
ad entrare nell’opera e nel suo significato.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Gli ornamenti liturgici che indossa l’angelo sono
quelli sontuosi di un diacono. Il capo, privo di aureola, è circondato da un
diadema, un cerchietto nero ornato da un gioiello composto da un rubino,
simbolo della passione, circondato da cinque perle, simbolo di purezza nonché
di eterea e mistica bellezza. Sebbene i suoi gesti facciano eco a quelli di
Cristo, l'angelo non benedice né rimprovera, ma si dedica completamente
all'atto del giudizio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">San Michele è raffigurato nell’atto di sollevare
in alto la grande bilancia ad ago affinché tutti possano vederla e inoltre allontana
la mano sinistra dal manico, per mostrare l’assoluta imparzialità del giudizio.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ai lati del pannello centrale la composizione
si sviluppa su due livelli.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Quello in alto è tutto circondato da una
nuvola dorata, sulla quale siedono gli apostoli, giudici del tribunale celeste,
oltre a un papa, un vescovo, un re, un monaco e tre sante donne.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sotto di loro alla base dal polittico c'è la
terra, da cui emergono le anime risorte, per andare verso la maledizione o la beatitudine
eterna.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La suddivisione nei diversi pannelli non spezza
in ogni caso la continuità del racconto, piuttosto articolato e molto ricco di
personaggi, anzi l’opera mantiene sempre una struttura molto unitaria. Per affrontare
organicamente la suddivisione dei pannelli, van der Weyden ha dato infatti unitarietà
all'insieme, con molti elementi figurativi che continuano tra uno scomparto e
l'altro, come per esempio con il tema dell'arcobaleno che si estende dal
pannello centrale su entrambi i pannelli laterali con la Vergine Maria a
un'estremità dell'arco e San Giovanni Battista all'altra. E ancora con il fondo
oro, simbolo della luce eterna, di cui Cristo, “<i>Lux mundi</i>”, è l'incarnazione:
la nuvola dorata circonda tutta l'epifania celeste e tutti coloro che lo accompagnano
e che ne costituiscono la corte, anche se simbolicamente la nube perde di
intensità a mano a mano che si allontana da lui.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nei due pannelli mobili più in alto volano degli
angeli che, rafforzando l’immagine dell’ostensione delle piaghe sul corpo di
Gesù, mostrano gli strumenti della sua passione: nelle loro mani, velate in
segno di rispetto, ci sono la grande croce, la canna, la corona di spine, la
spugna dell’aceto, la lancia di Longino, il flagello e la colonna della
flagellazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La <i>parusia</i> del Cristo, cioè la sua seconda venuta
in terra sulle nuvole del cielo, si arricchisce nel secondo livello di quattro pannelli
mobili, più grandi di quelli del livello superiore. Nella parte più alta di
questo secondo livello c’è la corte celeste, altre figure anch’esse circondate da
una nube di luce incandescente.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Osserviamo il lato sinistro</div></span><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEje_62EfyZQqqxN-ut62YGZtyclrb0CHqo862I-8WK8lFIG0m-0AlpJIc9HBtixJ6qoRIFRkioJ-3x3iS7Lj0MMCBWZ1NgvFurT7-U6P9KrXewKBErhGbGKjFGsRl0-WIn1JkinT82dGwf7BAoYSLNTyc6uQ4M4siNCjmNaZxdOXLcPMQsLuqSksfVICa4/s1600/fig%207%20lato%20sinistro.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEje_62EfyZQqqxN-ut62YGZtyclrb0CHqo862I-8WK8lFIG0m-0AlpJIc9HBtixJ6qoRIFRkioJ-3x3iS7Lj0MMCBWZ1NgvFurT7-U6P9KrXewKBErhGbGKjFGsRl0-WIn1JkinT82dGwf7BAoYSLNTyc6uQ4M4siNCjmNaZxdOXLcPMQsLuqSksfVICa4/w640-h480/fig%207%20lato%20sinistro.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">E ora osserviamo il lato destro.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 8</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPg8xykUrS-3YyFcjee-ufecmPCHizlh3r7PE6M0Jjv6_Kq4966nrpVHZju5w7NXlWE9yEwOJUr784nhXuOPFKBAaknrzm66ZGy4mwp7k9q23x7iQWsYyIHtOVq0f-PgLY_OxBQUKMtVawA5clXyEjBwPG6sDYLDTQn5yP1ecKZE5UJOKPEHnLWGNIR2I/s1600/fig%20.%208%20-%20lato%20destro.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPg8xykUrS-3YyFcjee-ufecmPCHizlh3r7PE6M0Jjv6_Kq4966nrpVHZju5w7NXlWE9yEwOJUr784nhXuOPFKBAaknrzm66ZGy4mwp7k9q23x7iQWsYyIHtOVq0f-PgLY_OxBQUKMtVawA5clXyEjBwPG6sDYLDTQn5yP1ecKZE5UJOKPEHnLWGNIR2I/w640-h480/fig%20.%208%20-%20lato%20destro.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Accanto all’arcobaleno siedono due figure
oranti: a sinistra c’è la Vergine Maria, la madre di Gesù, e a destra c’è San Giovanni
Battista, il precursore di Cristo e colui che per primo aveva avvertito la
presenza divina in lui: la loro funzione è quella di intercedere per l’umanità
risorta, cercando di placare l’ira del giudice, non per merito ma per pietà.</div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In seconda fila poi, sugli scranni di questo tribunale
celeste, siedono i dodici apostoli con i loro sgargianti mantelli, ma sono
quasi tutti indistinguibili essendo essi privi dei loro rispettivi attributi iconografici.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">In terza fila siede poi una rappresentanza
selezionata di beati: a sinistra c’è il gruppo degli uomini a destra c’è il
gruppo delle donne.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il primo beato è un papa col volto ancora
giovane, la tiara in testa, è vestito con i suoi ornamenti liturgici. Alla
sinistra del papa, un re, anch'egli giovane, porta una corona di gigli sui
capelli ricci. La sua sontuosa veste di broccato verde e oro è foderata di
pelliccia marrone, apparentemente di zibellino. Due personaggi, più in disparte
e appena visibili, sono un vescovo, riconoscibile dalla mitra decorata come la
tiara e la corona con picche, alternando rubini e zaffiri. Il quarto personaggio
forse un abate ha la carnagione più chiara e rosata rispetto agli altri,
capelli molto brizzolati abiti neri.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sul lato femminile, i tre volti sono tutti e
giovani e idealizzati. I lunghi capelli sparsi sulle spalle indicano che siano sante
vergini.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Si può ipotizzare che si tratti di Santa
Margherita, Santa Caterina e Santa Barbara. Queste tre sante, vergini e martiri,
sono spesso associate e fanno parte dei quattordici grandi "<i>intercessori</i>"
NOTA<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/I%20PRIMI%20FIAMMINGHI/I%20DUCHI%20E%20I%20LUOGHI.docx#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span style="line-height: 107%;">[1]</span></a>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Santa Caterina, come Santa Barbara, protegge
i moribondi, inoltre esse rappresentano la vita attiva e quella contemplativa
in cui le suore dell'ospedale potrebbero trovare la loro ispirazione.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La santa con il diadema è Santa Margherita: indossa
un mantello rosso vivo con risvolto verde la cui bordatura dorata è molto consumata.
L'abito blu completamente scurito è bordato ai polsi di pelliccia bianca. Dal
collo sporge una camicia bianca. I capelli castani sono trattenuti da una tiara
nera ornata di gioielli di perle e di pietre blu e rosse incastonate in oro.
Gli occhi sono chiari (con puntini rossi). Santa Caterina d'Alessandria è incoronata,
indossa un abito e un mantello intonati, grigio azzurro chiaro. Una camicia
bianca fuoriesce dalla la scollatura. Sui suoi capelli rossi porta una corona
d'oro guarnita di perle, rubini e zaffiri. Gli occhi sono castani.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Santa Barbara con l’acconciatura a pieghe ha
i capelli castani con riflessi dorati. La sua carnagione è più scura. Il
mantello appena visibile sembra nero. All'altezza del collo si intravede il
bianco della camicia. Gli occhi sono chiari. Il corpetto, su fondo blu scuro, è
ricamato con due file, una di perle dai riflessi bluastri, l'altra di rubini
bordati su ciascun lato da perle d'oro.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Dall’atmosfera celeste circonfusa di luce
dorata si scende quindi sulla terra. Siamo nella valle di Giosafat e quattro
angeli in volo suonano le lunghe trombe, i cui squilli risvegliano i morti.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La scena della risurrezione dei corpi è impressionante
e l’intero registro inferiore è dedicato all'umanità giudicata: la crosta del
terreno si spacca e si frantuma sotto la spinta dei sepolti, alcuni sono appena
svegli, i corpi si riaffacciano all’aria aperta rompendo la superficie della
terra e, via via che essi escono dai loro sepolcri si rivolgono al giudice in
attesa della sentenza. Questi corpi nudi, vagando in attesa del giudizio, e si
separano, dapprima lentamente e distanziati, poi sempre più velocemente in
gruppi sempre più compatti, occupando tutta la fascia inferiore del polittico.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La dimensione è tutta terrena diversamente
dall’imperturbabilità della parte celeste. I gesti diversi rappresentano la
sorpresa, la preghiera, il terrore o la gioia. La divisione irrevocabile
avviene già in basso dell'asse centrale, cioè ai piedi di San Michele.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Il contrasto fra loro è marcato fin dal
centro: un uomo in alto, una donna in basso. Dietro di loro, ancora un uomo e
una donna, a mezzo busto, con le braccia alzate: l'autore sembra indulgere sulla
maledizione di Eva. Dopo due uomini soli, ai lati, vengono due coppie.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La simmetria è rotta dalle due ante mobili: in
esse prevale il pessimismo tipico di van der Weyden: gli eletti sono infatti più
rari, i dannati invece più numerosi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Secondo l'<i>Elucidarium</i> di <i>Onorio d'Autun</i>, il
monaco teologo e filosofo vissuto tra gli ultimi decenni dell’XI
secolo e la prima metà del successivo, i morti sono tutti resuscitati
a trentatré anni, età ritenuta perfetta, come l’età della crocifissione di Cristo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Anche la parte bassa dei cinque pannelli mostra
un paesaggio continuo in cui tutti i corpi dei risorti sono raffigurati nudi e,
avendo già ricevuto il loro giudizio contestualmente alla resurrezione dei
corpi, si muovono verso la loro destinazione finale.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">I due gruppi di risorti sono raffigurati in
scala più piccola e più umana rispetto a quella dei santi che giganteggiano sopra
di loro e sono ineluttabilmente spinti verso il loro destino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sulla terra più ci si avvicina al Paradiso, più
i fiori abbondano. I destinati alla beatitudine si dirigono verso un giardino verdeggiante
e un angelo li indirizza verso le scale della Gerusalemme celeste, il Paradiso,
che ha la forma di una cattedrale gotica, con un ampio portale ad arco, due
guglie, un’alta terrazza e una torre, antitesi della torre di Babele. Il cielo
è raffigurato come un fiammeggiante portico gotico con una luce che conduce al
divino.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È curioso notare che sono solo due le figure
femminili del gruppo che sono sul punto di ascendere al Paradiso. Ma non deve
stupire perché ai tempi di van der Weyden, la donna era ancora considerata una
tentatrice e quindi per lei era più difficile salvarsi che per un uomo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Sul lato opposto, si forma invece il corteo
dei dannati, accomunati dalle espressioni di terrore, di rabbia e di repulsione:
essi, schiacciati sotto il peso dei loro peccati, emergono dolorosamente dalla
terra secca e spaccata, circondati da scintille di fuoco e da scie di fumo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Le figure dei dannati sono tormentate e
distorte dal loro stesso odio e i loro volti sono stravolti dalla follia della
cattiveria: presi dalla rabbia collettiva, essi non possono piangere, non
ne sono in grado, invece, urlano e si dimenano, perché la loro stessa insensatezza
li destina al castigo eterno.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’Inferno che li divora ha l’aspetto di una
buia caverna, illuminata solo da sprazzi sinistri di livide fiamme e in questo
baratro i dannati precipitano, vanificando anche i loro ultimi tentativi di
resistenza.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">L’Inferno di van der Weyden è un inferno
stranamente e insolitamente privo di diavoli che esercitino costrizione fisica
sui peccatori ed è rappresentato semplicemente da mucchi di rocce nere che
diffondono fiamme e vapori vulcanici. Quest'assenza di demoni proviene dall'atteggiamento intellettuale del nascente Umanesimo: van der Weyden non
indugia sui dettagli macabri o sulla descrizione delle pene fisiche, essendo di
per sé sufficiente la forza della coscienza del loro peccato a tormentarli,
e questo rende quest'opera un caso unico nelle rappresentazioni del <i>Giudizio
Universale</i> perché è giocata tutta sui moti interiori e sui sentimenti dei
personaggi. Alcuni particolari sono certamente di un crudo realismo, ma
nell'insieme la visione infernale si distacca dalla scene sovraffollate e
allucinate del tardo Medioevo.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma ritorniamo ora al protagonista Nicolas
Rolin.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nel 1455, la cancelleria impose una tassa
alla nobiltà borgognona per finanziare una possibile crociata con la
quale Filippo il Buono voleva liberare la Terra Santa dai Turchi ottomani che
l’anno precedente avevano conquistato Bisanzio, ponendo fine all’Impero Romano
d’Oriente.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Questo portò quasi ad una rivolta guidata da tale
<i>Jean de Granson</i>, arrestato successivamente su iniziativa di Rolin: all’arresto seguì
un processo in cui de Granson fu condannato a morte per alto tradimento.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Per attaccare la posizione di Rolin, quest’incidente
fu usato dai fratelli <i>de Croy</i>, <i>Jean</i>, Signore di Chimay e Baglivo dell’Hainaut,
e <i>Antoine</i>, primo ciambellano del Duca, anch’essi importanti
consiglieri di Filippo e da molto tempo scontenti della posizione prevalente di
Rolin, pertanto cercavano solo un'occasione per screditarlo. L’occasione si
presentò nel 1457 in occasione di una lite tra Filippo e suo figlio Carlo, il
futuro duca Carlo I il Temerario, suscitata dalla duchessa Isabella.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 9</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim4DtUvPM8Q2lKZ5F1hB_epXFt9yh08A_-zC5jZGZDvJx6dVIKZP21M6oRHLh8BHaKB4F3R-RUxcaBs6rngt0clnymXzkinhJTthPPbqNxQLhg81DpIHowkjecqUPTD5q8Juu-G-_6YzwIige9V-C5kcdof5hSRuiYpimN9mROuBnnKpJsi-srgy53Plk/s4162/Fig.%209-%20Rogier_van_der_Weyden_(workshop_of)_-_Portrait_of_Isabella_of_Portugal.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4162" data-original-width="3301" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim4DtUvPM8Q2lKZ5F1hB_epXFt9yh08A_-zC5jZGZDvJx6dVIKZP21M6oRHLh8BHaKB4F3R-RUxcaBs6rngt0clnymXzkinhJTthPPbqNxQLhg81DpIHowkjecqUPTD5q8Juu-G-_6YzwIige9V-C5kcdof5hSRuiYpimN9mROuBnnKpJsi-srgy53Plk/w508-h640/Fig.%209-%20Rogier_van_der_Weyden_(workshop_of)_-_Portrait_of_Isabella_of_Portugal.jpg" width="508" /></a></div><div style="text-align: justify;">Nella lite, Rolin si era schierato con il
giovane Carlo dal temperamento focoso e i fratelli de Croy con il duca. Da quel
momento in poi Rolin fu discreditato e, pur rimanendo Cancelliere, fu tenuto lontano
dai più importanti affari di stato.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Rolin non apparteneva alla nobiltà
borgognona, ma aveva raggiunto la posizione più alta che si potesse raggiungere
alla corte di Filippo III ed era stato perfino nominato cavaliere, nomina che
faceva di lui un esponente della nobiltà minore. Al famoso <i>banchetto del
fagiano</i> del 1454 nella cui occasione Filippo il Buono aveva espresso
la sua intenzione di partire per una crociata con il solenne <i>Giuramento sul
Fagiano</i>, Rolin era stato l'unico non nobile alla tavola d'onore del duca.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Durante la sua vita Rolin aveva accumulato
enormi ricchezze grazie al suo lavoro proficuo e instancabile per la Borgogna, ma
nonostante la sua posizione economica e politica così elevata non godeva di un altrettanto
elevato <i>status</i> sociale. Grazie all’ingente ricchezza accumulata, riuscì a far
sposare i suoi figli con i discendenti della migliore nobiltà borgognona: siccome
a corte c’erano esponenti dell’alta nobiltà di <i>status</i> elevato, ma senza grandi
mezzi e Rolin fece quindi frenetici tentativi di migliorare il suo <i>status</i> grazie
ai matrimoni dei figli e grazie anche al suo terzo matrimonio con <i>Guigone de
Salins</i>, discendente dell'alta nobiltà borgognona che, all’incirca nel 1424, diventò
anche dama di compagnia della duchessa.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ma accanto a questo impegno pubblico Rolin
era anche un uomo profondamente intriso di fede religiosa, e usò parte delle
sue grandi ricchezze per mecenatismo e per beneficenza dedicandosi alla realizzazione
di opere pie.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nella sua opera di committente e di mecenate,
Rolin si rivolse agli stessi pittori apprezzati dal duca. Jan van Eyck lo
ritrasse intorno al 1434 nella <i>Vergine con il cancelliere Rolin</i>,
destinato alla sua cappella nella <i>Chiesa di Notre Dame du Châtel</i> ad Autun e dieci
anni più tardi <i>Rogier van der Weyden</i> lo ritrasse nel <i>Giudizio universale</i> dipinto per un'altra delle sue fondazioni, l’<i>Hôtel-Dieu de Beaune</i>.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nicolas Rolin diede luogo alla fondazione di
altre opere pie: nel <i>Convento dei Celestini</i> ad Avignone fondò anche una cappella
insieme a suo figlio che ebbe una relazione con una delle suore e gli diede un
figlio, che riconobbe Jean VI Rollin. Nella chiesa collegiata di Autun <i>Notre-Dame
du Châtel</i> fece erigere una cappella con un capitolo di undici canonici.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Nonostante però tutte queste opere di
devozione i cronisti dell’epoca <i>Jacques du Clercq</i> e <i>Georges Chastellain</i> lo hanno descritto di un pragmatismo ai limiti del cinismo. Le critiche
negative dei suoi contemporanei, probabilmente in gran parte dovute alla
gelosia per le vette raggiunte in Borgogna, sono rimaste impresse come una
lettera scarlatta su Nicolas Rolin fino ad oggi.</div></span><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Morì nel 1462, all'età di 85 anni e fu
sepolto nella chiesa da lui fondata, distrutta durante la Rivoluzione francese.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div><div style="text-align: justify;">____________________________________________<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/I%20PRIMI%20FIAMMINGHI/I%20DUCHI%20E%20I%20LUOGHI.docx#_ftnref1">[1]</a> NOTA AGIOGRAFICA – Nel Trecento la Peste Nera devastò città e campagne d’Europa, e i cristiani supplicavano Dio di risparmiarli da quella malattia mortale.</div></span></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Per aiutare ad rafforzare le proprie preghiere, in Germania i cristiani si rivolsero a un gruppo di santi noti per il loro intervento miracoloso. Li invocavano collettivamente, come gruppo, e quest’ultimo è poi diventato noto come i 14 Santi Ausiliatori.</div><div style="text-align: justify;">In seguito fu sviluppata una litania che riunisce i Santi Ausiliatori, invocandoli perché entrassero in azione, e questa offre anche un breve riassunto di chi fosse ogni santo e il beneficio spirituale che era richiesto: San Giorgio, coraggioso martire di Cristo, San Biagio, vescovo zelante e benefattore dei poveri, Sant’Erasmo, potente protettore degli oppressi, San Pantaleone, esempio miracoloso di carità, San Vito, protettore speciale della castità, San Cristoforo, potente intercessore nei pericoli, San Dionisio, esempio brillante di fede e fiducia, San Ciriaco, terrore dell’Inferno, Sant’Agazio, prezioso avvocato al momento della morte, Sant’Eustachio, esempio di pazienza nelle avversità, Sant’Egidio, disprezzatore della mondanità, Santa Margherita, coraggiosa sostenitrice della Fede, Santa Caterina, difenditrice vittoriosa della Fede e della purezza, Santa Barbara, potente patrona dei morenti.</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-31716254623252968142024-01-03T01:21:00.000-08:002024-02-15T23:17:47.537-08:00L'ora del Realismo: l'Impressionismo sesto racconto di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Luigi Napoleone Bonaparte, eletto Presidente della Repubblica dopo i moti del Quarantotto, con la sua politica ultra conservatrice fece ripristinare ben presto la giuria a causa degli esiti negativi del precedente <i>Salon</i> quando, in seguito alla Rivoluzione e ai moti di giugno, la giuria era stata abolita.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">In campo artistico questo ripristino fu una vera e propria rivincita per l'Arte accademica sempre più conservatrice, sempre più strettamente regolamentata nei soggetti e nella loro esecuzione e sempre più rigidamente ordinata secondo la <i>gerarchia dei generi</i>.</div><div style="text-align: justify;">Nel corso della seconda metà secolo, il <i>sistema</i> fu sfidato da un numero sempre crescente di pittori, in particolare da artisti realisti come <i>Honoré Daumier</i> (1808 – 1879), <i>Jean-François Millet</i> (1814 – 1875), <i>Gustave Courbet</i> (1819 – 1877) e da altri ancora, oggi meno noti di loro.</div><div style="text-align: justify;">Diversamente dalle placide certezze dell'arte vittoriana in Inghilterra e dalla nostalgia del <i>Biedermeier</i> tedesco (1810 - 1860), l'arte francese era invece in pieno fermento, segnata com’era da una serie di movimenti spesso contraddittori fra loro, tra cui il <i>Classicismo</i>, il <i>Romanticismo</i>, l’<i>Orientalismo</i>, il <i>Realismo</i> e il <i>Naturalismo barbisonnier</i> – da cui sarebbero poi emersi l'<i>Impressionismo</i> e altri grandi stili dell'arte moderna.</div><div style="text-align: justify;">Lo scontro dell'arte accademica con il <i>Realismo</i> sorse perché la <i>pittura realista</i> si concentrava molto su questioni attuali come le <i>condizioni sociali</i>, la <i>povertà rurale</i> e la <i>vita della gente comune</i>, mentre il <i>sistema</i> accademico considerava questi <i>soggetti banali</i> indegni di essere rappresentati e li aborriva.</div><div style="text-align: justify;">Politicamente poi, con il <i>colpo di stato</i> di Luigi Napoleone Bonaparte nel dicembre del 1852, la <i>Seconda Repubblica</i> fu dichiarata ufficialmente conclusa e Bonaparte si proclamò imperatore col nome di Napoleone III, ponendosi come terzo in linea di successione dei napoleonidi.</div><div style="text-align: justify;">Durante la prima metà dell’Ottocento in Francia, le due scuole che andavano per la maggiore nella pittura, il <i>Romanticismo</i> e il <i>Classicismo</i> – rispettivamente simboleggiate da <i>Eugène Delacroix</i> (1798 – 1763) e da <i>Jean August Dominique Ingres</i> (1780 – 1867) – pian piano incominciavano a cedere il passo a un vivo interesse per il valore <i>sociale</i> dell'Arte e per il desiderio della rappresentazione del mondo così com’è e si incominciava inoltre a discutere anche sulla <i>funzione</i> dell’Arte.</div><div style="text-align: justify;">Contemporaneamente la filosofia di <i>Auguste Comte</i> (1798 – 1857), fondatore del <i>Positivismo</i> francese, influenzò anche la concezione estetica. Comte sosteneva che solo le cose che possono essere osservate o sperimentate possono essere conosciute e considerate con un sistema scientifico, più che filosofico, un sistema che escludeva qualsiasi apparato metafisico. In base a questo sistema, l'artista doveva descrivere accuratamente, cioè attraverso una riproduzione dettagliata e quanto più fedele possibile, gli oggetti della natura così come li vedeva, piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla sua <i>immaginazione </i>nella <i>creazione di un mondo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Come si vede, era un colpo mortale per il pensiero idealistico romantico. Da questo punto di vista emerse un'Arte che rifiutava il suo ruolo tradizionale di creazione di bellezza <i>ideale</i> (bambini carini, strade pulite, paesaggi pittoreschi popolati da contadini soddisfatti, e quant’altro proponesse una visione edulcorata e contraffatta della realtà) e si rivolgeva invece a nuovi soggetti della vita quotidiana per rappresentarli senza alterarli in alcun modo, quindi <i>fotograficamente</i>.</div><div style="text-align: justify;">Su questo avverbio ci sarebbe però oggi moltissimo da discutere.</div><div style="text-align: justify;">Fu Gustave Courbet, nella fondamentale mostra nel 1855 da lui stesso allestita, a dare a questo nuovo movimento artistico il titolo di <i>Realismo</i> e con i suoi amici ne gettò le basi teoriche.</div><div style="text-align: justify;">Il <i>Realismo</i>, compreso quello di Courbet, fu tuttavia il culmine di molte tendenze artistiche in Francia alla metà dell’Ottocento, in parte provenienti dalla preoccupazione romantica per la <i>natura</i>, che però, nel corso dei primi decenni del secolo, era andata smarrendosi, e in parte anche di quanto di ambiguo ci fosse nel <i>Romanticismo</i> che si incardinava – e questo è necessario tenerlo presente – su due elementi antitetici, la <i>fantasia</i> e la <i>realtà</i>.</div><div style="text-align: justify;">Gli artisti incominciarono allora a rappresentare ciò che di reale e di vero c’era nella vita che vedevano intorno a loro e questo diede all'Arte una nuova connessione sociale: il fine dell’Arte diventava pertanto la vita, all'opposto di ciò che sostanzialmente caratterizzava il <i>Classicismo</i> per il quale il fine dell’Arte era l'Arte stessa.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1855 Napoleone III volle con molta determinazione la seconda <i>Esposizione Universale</i> a Parigi, dopo quella che si era tenuta a Londra nel 1851: era la grande occasione per celebrare davanti al mondo la <i>grandeur</i> della Francia e in quella circostanza la grande rassegna internazionale comprendeva anche l’annuale <i>Salon</i>.</div><div style="text-align: justify;">Generalmente gli anni Cinquanta dell’Ottocento in Francia sono considerati soprattutto gli anni del <i>Realismo</i>, una linea guida della cultura francese in tutti i settori, compresa la cinica <i>Realpolitik</i>, adottata in politica da Napoleone III.</div><div style="text-align: justify;">Come corrente artistica innovativa, il <i>Realismo</i> emerse a metà del secolo a prima vista come reazione alle rappresentazioni idealizzate e romantiche che caratterizzavano il mondo nell'Arte e che invece ricercavano la rappresentazione del presente in tutta la sua cruda e talvolta spiacevole realtà.</div><div style="text-align: justify;">I realisti diedero così vita a un nuovo stile, esteticamente concreto e nello stesso tempo socialmente impegnato, e proclamarono a gran voce la loro differenza con i romantici, la loro ricerca della realtà <i>vera</i> e l'esplorazione di temi sociali, senza mai però farsi imitazione pedissequa della realtà: il loro motto era infatti “<i>l’Arte non è imitazione della realtà, ma è la realtà stessa</i>”.</div><div style="text-align: justify;">La corrente realista fece implodere i canoni e gli usi della pittura accademica, in un contesto in cui emergevano la <i>fotografia</i>, il <i>Socialismo</i> e il <i>Positivismo</i>, e diede il via al fenomeno generale di messa in discussione delle categorie estetiche tradizionali e delle <i>gerarchie</i> artistiche.</div><div style="text-align: justify;">È tuttavia abbastanza difficile stabilire un confine netto tra <i>Romanticismo</i> e ‘<i>Realismo</i>’ in pittura, non solo perché l’elemento fondante della <i>realtà</i> era già ricercato come elemento essenziale dai romantici, ma anche perché i principali pittori realisti non furono mai i <i>fotografi delle cose</i>, ma i <i>poeti della realtà</i> nel senso che seppero elevare a forma d’arte il tanto bistrattato quotidiano.</div><div style="text-align: justify;">A testimonianza di questa grande complessità, Charles Baudelaire scrisse: “<i>ogni buon poeta era sempre stato un realista […] e [che] la poesia era la cosa più reale e più completamente vera</i>”. Viceversa per Paul Valéry, i pittori realisti “<i>si adoperavano a descrivere gli oggetti più comuni, a volte i più vili, con una raffinatezza e con una virtù piuttosto ammirevole; ma non si accorgevano che essi uscivano dal loro principio guida e che finivano per inventare un'altra "verità", una verità da loro stessi creata, del tutto fantastica</i>.” Un’idea discutibile questa di Valéry, ma coerente con il suo pensiero individualista in base al quale la figura dell'artista come puro essere razionale è solo un'astrazione e insieme un paradosso.</div><div style="text-align: justify;">Prima di addentrarci nelle idee guida del <i>Realismo</i> occorre fare una riflessione di carattere più generale perché, oltre a essere stata una corrente culturale che si è sviluppata alla metà dell’Ottocento in letteratura e nelle arti figurative e, come tale, una nuova <i>visione del mondo</i>, il realismo è anche una <i>categoria</i> perenne dello <i>spirito</i> umano.</div><div style="text-align: justify;">Come corrente il <i>Realismo</i> si riferisce a uno specifico movimento storico artistico che ebbe origine in Francia all'indomani della Rivoluzione parigina del 1848 ma, come <i>categoria dello spirito,</i> la rappresentazione del <i>reale</i> in Occidente, fin dai tempi di Omero, è sempre stata una delle preoccupazioni più impellenti non solo delle arti figurative, ma anche della letteratura, tanto che il <i>realismo</i> è una di quelle categorie estetiche che hanno attraversato e che continuano ad attraversare diacronicamente tutta la cultura occidentale e che carsicamente riaffiorano. Ciò che cambia ad ogni sua emersione è la nozione stessa che quell’epoca ha della realtà: a volte è la realtà spirituale – non meno autentica dell'altra – a prevalere su quella materiale, altre volte è la realtà materiale a prevalere su quella spirituale. A seconda che la forma sia svuotata del suo contenuto di “<i>anima</i>”, o che, al contrario, tenda a materializzarsi, il “<i>realismo</i>” si avvera in misura maggiore o minore nell'Arte e nella Letteratura.</div><div style="text-align: justify;">Nelle arti di qualsiasi tipo, siano esse quelle visive, quelle letterarie o quelle dello spettacolo, il <i>realismo</i> è generalmente il tentativo di rappresentare un argomento in modo veritiero, senza artificiosità ed evitando elementi speculativi e soprannaturali.</div><div style="text-align: justify;">Il termine <i>realismo</i> è spesso usato in modo intercambiabile con quello di <i>naturalismo</i>, sebbene questi due termini non siano sinonimi. Il <i>naturalismo</i>, come idea relativa alla rappresentazione visiva nell'arte occidentale, cerca di rappresentare oggetti con la minima distorsione possibile ed è legato allo sviluppo della prospettiva lineare e dell'illusionismo nell'Europa rinascimentale. Nell'Europa dell’Ottocento, il termine "<i>naturalismo</i>" fu in qualche modo eretto artificiosamente come termine che rappresentava un sotto movimento separatista del Realismo, che tentava, non con totale successo, di distinguersi dal suo genitore, evitando la politica e le questioni sociali, e amando sottolineare una sua base quasi scientifica, giocando sul significato di <i>naturalista</i> come studioso di <i>Storia naturale</i>, come erano allora generalmente conosciute le <i>Scienze biologiche</i>.</div><div style="text-align: justify;">Il movimento realista francese di metà Ottocento era proprio quella <i>terza via</i> auspicata dal gruppo di intellettuali che con Gustave Courbet frequentava la birreria <i>Andler-Keller</i> e quindi nacque come reazione all'estetica neoclassica e a quella romantica che in quel momento dominavano la scena con i loro ideali estetici, l’una con i suoi temi mitologici e l’altra con una rappresentazione idealizzata della realtà.</div><div style="text-align: justify;">Naturalmente però, ed è bene chiarirlo, l’estetica romantica era intesa come la intendevano gli accademici pertanto si trattava di un “<i>Romanticismo</i>” molto addomesticato rispetto alla prescrizione fondante della corrente che sosteneva una composizione <i>di getto</i>.</div><div style="text-align: justify;">Il <i>Realismo</i> emerse dal contesto sociale e politico dell'epoca: siamo nei paraggi del 1848, caratterizzato dai radicali cambiamenti economici e sociali suscitati dalla <i>rivoluzione industriale</i>, dall'ascesa del <i>capitalismo</i>, dalle <i>lotte sociali e politiche</i> e dalla <i>diffusione della fotografia</i>.</div><div style="text-align: justify;">Questi <i>cantori della realtà</i> cercavano di ritrarre la vita quotidiana, la classe operaia e i contesti in cui questa classe viveva e agiva, adottando un approccio <i>scientifico</i> all'osservazione e alla rappresentazione della realtà.</div><div style="text-align: justify;">È ovviamente scontato quanto il <i>Realismo</i> sia stato influenzato dalle teorie politiche del Socialismo e da quelle scientiste del Positivismo che cercava di applicare un metodo sistematico all'osservazione della realtà sociale.</div><div style="text-align: justify;">Inoltre, siccome <i>nulla nasce dal nulla</i>, i realisti francesi ritenevano di avere dei padri, dei maestri e dei precursori nei pittori olandesi e nei pittori spagnoli del Seicento, ma anche in Goya, stranamente non in Caravaggio che viveva il suo lungo oblio prima della sua clamorosa riscoperta a inizio Novecento. Olandesi e spagnoli avevano cercato di rappresentare soggetti quotidiani e di catturare la <i>verità</i> della condizione umana.</div><div style="text-align: justify;">Il movimento, diventato poi una vera e propria corrente con i propri testi estetico-critici, fu lanciato molto clamorosamente nel 1855, proprio in occasione dell’<i>Esposizione Universale</i> di Parigi, anche se le sue prime avvisaglie erano stata percepibili già nel 1836 quando la <i>Scena dell'Amleto</i> di <i>Eugène Delacroix</i> (1798 – 1863) fu rifiutato al <i>Salon</i>: si trattava della prima battuta d'arresto nelle fortune dell'arte romantica. Nel 1846, poi, <i>Charles Baudelaire</i>, reduce dalla visita del <i>Salon</i> di quell’anno, aveva scritto: “<i>Accademismo, idealismo, idealizzazione. La verità nell’arte e il colore locale hanno portato molti fuori strada. Il realismo esisteva già molto prima di questa grande battaglia […]. Il romanticismo non è pertinente né nella scelta dei soggetti né nell'esatta verità, ma [solo] nel modo di sentire</i>”. Il termine <i>realismo</i> come concezione estetica si era dunque affacciato nella lingua francese poco prima della metà dell’Ottocento e il dibattito tra i due diversi modi di rappresentare l’esistente, se idealmente o realmente, aveva preceduto l’emergere stesso del movimento: il fondatore del <i>Realismo</i> in pittura è tuttavia considerato per convenzione <i>Gustave Courbet</i> (1819 – 1877), che sviluppò piuttosto rapidamente dal 1848, uno stile caratterizzato dalla sua attenzione ai dettagli e dalla rappresentazione oggettiva dei contenuti.</div><div style="text-align: justify;">Giunto dalla provincia diciannovenne, il giovane Courbet, era stato influenzato da ‘<i>Delacroix</i>’, da ‘<i>Géricault</i>’ e da ‘<i>Constable</i>’, che riteneva i suoi grandi maestri, era diventato amico di Baudelaire con cui spesso era impegnato in fervide discussioni estetiche ed era politicamente impegnato perché era rimasto profondamente segnato in senso socialista dalla rivoluzione del 1848, spartiacque della politica e della cultura europea.</div><div style="text-align: justify;">Ma quali sono in sintesi le caratteristiche su cui si fonda questa grande rivoluzione estetica del “<i>Realismo</i>”?</div><div style="text-align: justify;">La prima è una <i>pars destruens</i> nel senso che il <i>Realismo</i> ovvero i realisti reagiscono al <i>Romanticismo</i> accusandolo di eccessivo <i>sentimentalismo</i> e all’<i>Accademismo</i> accusandolo di eccessiva idealizzazione.</div><div style="text-align: justify;">Da questo elemento di dissenso deriva tutta la <i>pars construens</i> della sua estetica a partire dalla sua finalità di dipingere la vita così com'essa è, la quotidianità e il <i>tempo presente</i>, diversamente dal <i>tempo passato</i> del Romanticismo e dal <i>tempo ideale</i> del Classicismo, affermando invece la necessità di riflettere sui grandi sconvolgimenti storici che stavano cambiando il mondo: la <i>rivoluzione industriale</i>, il <i>capitalismo</i> e l'instaurazione definitiva dell’<i>imperialismo liberticida</i> e su tutte le gravi conseguenze derivanti da questi fenomeni.</div><div style="text-align: justify;">Da questo fine che il <i>Realismo</i> si proponeva, derivano poi i suoi temi preferiti: le scene <i>ordinarie</i>, quelle del quotidiano con un insieme sociale variegato e nello stesso tempo organico di elementi sempre connessi fra loro come la vita contadina e quella operaia: le differenze fra classi sociali, le scene di lavoro, i paesaggi urbani o rurali, i ritratti di lavoratrici e lavoratori all’opera, scene di vita domestica, ma anche l'alcolismo e la prostituzione e perfino soggetti politico-sociali.</div><div style="text-align: justify;">A causa di questi soggetti rappresentati i realisti ricevevano spesso l’accusa di volgarità. Il problema però è che non era volgare la loro arte e, se alla borghesia egemone non piaceva, era perché a quella borghesia non piaceva la <i>realtà</i> che questi artisti si ostinavano a rappresentare.</div><div style="text-align: justify;">Da questo elemento tematico deriva poi il <i>modo</i> con cui i realisti dipingevano: si trattava della rappresentazione <i>naturalistica</i> del <i>vero</i> per cui era necessario un approccio <i>scientifico</i> all'osservazione della realtà e l’opera d’Arte si doveva basare su uno studio attento anche degli oggetti raffigurati per catturarne ogni dettaglio della consistenza e della forma. Alcuni artisti realizzavano molti schizzi e studi preliminari prima di incominciare il dipinto vero e proprio in modo da garantire una grande precisione nella composizione finale, ma questo avveniva secondo i precetti tradizionali della pittura, altri sperimentarono nuove tecniche, come l'uso della fotografia per facilitare la composizione delle loro opere. Questa attenzione ai dettagli e alla tecnica permise loro di creare opere sorprendentemente concrete e vere, che spesso sono considerate veri e propri documenti storici della vita quotidiana dell'epoca.</div><div style="text-align: justify;">L'invenzione della <i>fotografia</i> svolse un ruolo importante nello sviluppo tecnico del <i>Realismo</i>: prima della scoperta di questo strumento ottico, gli artisti, si è detto del loro grande lavoro preparatorio, dovevano soprattutto affidarsi alla loro memoria per creare immagini di vita reale, la fotografia invece offriva loro un’alternativa accurata e fedele per la <i>cattura</i> della realtà.</div><div style="text-align: justify;">Altro elemento fondamentale del <i>Realismo</i> fu l’interesse per la scienza che influenzò gradualmente la visione di autori e di teorici – nel caso dell’Arte di Champfleury, nel campo della Letteratura dai fratelli de Goncourt a Zola – che imposero alle loro opere un'esigenza rigorosamente scientifica nell'osservazione del reale a cui corrispondeva sempre la grande attenzione alla tecnica pittorica con regole che potessero permettere loro di riprodurre poi fedelmente le superfici, i colori e le forme degli oggetti. Si servivano di tecniche pittoriche attente e precise, come la pittura a olio che com’è noto permetteva di creare effetti di luce e di consistenza molto realistici.</div><div style="text-align: justify;">L’interesse di mostrare la bellezza e la passione degli aspetti più semplici e più modesti della vita, resi quanto più precisi e dettagliati possibile, creò comunque opere di grande bellezza e contribuì anche al riconoscimento del valore estetico di soggetti fino a quel momento considerati privi di interesse. Anche in questo modo i realisti denunciavano l’accademismo come <i>camicia di forza</i> tematica che limitava la libertà dell’artista.</div><div style="text-align: justify;">Date queste premesse, occorre ricordare che i vari aspetti di questa rivoluzione si materializzarono gradualmente, e si giunse a una rottura radicale nel 1855, pietra miliare del <i>Realismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">In quel momento Parigi brilla con una luminosità appariscente: ristoranti alla moda, cabaret e teatri offrono lo spettacolo di una società ricca e desiderosa di divertimento. La Rivoluzione industriale produceva ricchezza e le fortune economiche si facevano e si disfacevano in borsa. Si spende generosamente e l’Arte era diventata straordinariamente un fenomeno alla moda un vero e proprio <i>social symbol</i>.</div><div style="text-align: justify;">Dopo Londra, Parigi ospita l’<i>Esposizione Universale</i> inserendo per la prima volta in quel contesto il <i>Salon</i> delle Belle Arti.</div><div style="text-align: justify;">Durante la serata di apertura il nome di Gustave Courbet era sulla bocca di tutti nel bene e nel male. Anche se molte delle sue opere erano esposte, il dipinto che aveva appositamente creato per il Salon <i>L'Atelier del pittore</i> era stato respinto dalla giuria con altri due quadri, <i>Le Bagnanti</i> e <i>Un funerale a Ornans</i>. Di fronte a questa esclusione delle sue tre tele Courbet, che non era un tipo arrendevole, – sarebbe stato un “<i>barricadero</i>” durante la ‘<i>Comune</i>’ nel 1871 e sarebbe finito in carcere in nome delle sue idee socialiste, era quindi inimmaginabile che si desse per vinto – decise allora di organizzare una propria mostra personale e fece costruire a sue spese, lui che poteva permetterselo, il <i>Padiglione del Realismo</i> a margine dell'<i>Esposizione Universale</i>, per esporre i tre quadri con altre trentasette sue opere che si allontanavano dalla tradizione, dai soggetti mitologici e storici e dall'arte sacra, in favore di soggetti popolari.</div><div style="text-align: justify;">Courbet intitolò la sua mostra <i>Le Réalisme, par Gustave Courbet</i>, che richiamò e attrasse stampa e pubblico e che lanciò la sua carriera come <i>leader</i> del movimento realista.</div><div style="text-align: justify;">Questa mostra, nel cui titolo utilizzava il termine <i>realismo</i> per indicare la cifra della propria pittura in netto dissenso con il sistema accademico, rappresentò un manifesto artistico e scatenò una vivace polemica sui giornali.</div><div style="text-align: justify;">Le sue opere suscitarono aspre critiche e infuocate polemiche nel mondo artistico parigino. Il <i>Funerale a Ornans</i> suscitò accalorati attacchi perché sfidava le convenzioni artistiche dell'epoca e criticava la rappresentazione idealizzata della realtà, e fu accusato di trivialità dell'insieme, per la <i>bruttezza</i> dei personaggi rappresentati e per la <i>spudoratezza</i> dello stesso artista. Per giunta – eresia delle eresie! – il sanguigno Courbet si era voluto servire di un formato grande, considerato appannaggio esclusivo della pittura storica, il genere considerato più alto e nobile.</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Funerale_a_Ornans#/media/File:Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Funerale_a_Ornans#/media/File:Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaEoXPU78PxzTJ1wlDew4EI3I1sDPkh5nsqxA0s2kubNjtoPCEv84rPlH2_fxmUdnzivtUDrxEa4Bnpp95GBEEnrBSis78_7cW6vymrwP_NooxAfk7lvoQ2-XZbv4467DOyEYhjquQWB2Ps2iiShmqOps87uGEshCwvTzNWlmobNwz_JRJJSws3uvDPoc/s1920/Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="882" data-original-width="1920" height="294" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaEoXPU78PxzTJ1wlDew4EI3I1sDPkh5nsqxA0s2kubNjtoPCEv84rPlH2_fxmUdnzivtUDrxEa4Bnpp95GBEEnrBSis78_7cW6vymrwP_NooxAfk7lvoQ2-XZbv4467DOyEYhjquQWB2Ps2iiShmqOps87uGEshCwvTzNWlmobNwz_JRJJSws3uvDPoc/w640-h294/Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">‘<i>Jules Champfleury</i>’ (1821 – 1889) invece apprezzò vivamente il dipinto e profeticamente predisse che “<i>Funerale a Ornans</i>” avrebbe simboleggiato “<i>le colonne d'Ercole del Realismo nella storia moderna</i>”.</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/90/Les_Baigneuses-Courbet.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/90/Les_Baigneuses-Courbet.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZuVa7zVHT0r8Yqp0otdSoD7fkCeaHOxyCCpB8gSTPQpFriC9gP5duXDc_fNAsTGMp-c1NioCDues9Pd9mw_ovrSbOdz5SwLNHS7Gw14QZazU43CnJRUK0NCmcTyyuAkkQnpAlaWDXYgFIVzClxDyizHfU5B-Oo9BGFP5uGn924k3dAaKwvTSiItUWKZ8/s1775/Les_Baigneuses-Courbet.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1775" data-original-width="1522" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZuVa7zVHT0r8Yqp0otdSoD7fkCeaHOxyCCpB8gSTPQpFriC9gP5duXDc_fNAsTGMp-c1NioCDues9Pd9mw_ovrSbOdz5SwLNHS7Gw14QZazU43CnJRUK0NCmcTyyuAkkQnpAlaWDXYgFIVzClxDyizHfU5B-Oo9BGFP5uGn924k3dAaKwvTSiItUWKZ8/w548-h640/Les_Baigneuses-Courbet.jpg" width="548" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><i>Le bagnanti</i> aveva già fatto scandalo al “<i>Salon</i>” del 1853 per il suo carattere decisamente provocatorio, perché Courbet era determinato a prendere le distanze dalla produzione ufficiale attraverso le sue proposte, tra cui quest'opera. Il dipinto era stato attaccato unanimemente dalla critica, per la trascuratezza della scena, per la massiccia natura del nudo, si trattava infatti di una grassona, in opposizione ai canoni ufficiali delle <i>Veneri al bagno</i>.</div><div style="text-align: justify;">In ogni caso tutti i dipinti di Courbet furono generalmente criticati per il loro crudo realismo e per la rappresentazione di soggetti considerati sgraditi o offensivi, come contadini, operai, prostitute e cadaveri. Per esempio lo scrittore <i>Maxime du Camp</i> (1822 – 1894) scrisse che Courbet dipingeva quadri <i>come si incerano gli stivali</i> e il pittore e critico d'arte <i>Étienne-Jean Delécluze</i> (1781 – 1863) evidenziò il concetto e rincarò la dose, affermando che “<i>il realismo è un sistema ‘selvaggio’ di pittura in cui l'arte è degradata e avvilita”</i>.</div><div style="text-align: justify;">Le opere di Courbet furono però anche vivamente elogiate dalla critica più aggiornata per la precisione tecnica e per la capacità di <i>catturare</i> la realtà nella tela.</div><div style="text-align: justify;">Impavido Courbet tirò dritto per la sua strada e avrebbe continuato a produrre opere realiste per tutta la sua carriera, fino alla sua triste morte nel 1877.</div><div style="text-align: justify;">Nel frattempo i suoi sostenitori, di fronte ai suoi detrattori e avversari, si erano organizzati. Nel 1856 comparve a Parigi un periodico intitolato <i>Réalisme</i>, fondato dallo scrittore e critico d'arte <i>Louis Edmond Duranty</i> (1833 – 1880) che, con il sostegno di Champfleury, fu destinato a difendere la nuova estetica <i>del reale</i> nell'arte e nella letteratura, e a loro due l'anno dopo si aggiunse anche lo scrittore <i>Gustave Flaubert</i> (1821 – 1880), che aveva il dente avvelenato perché era stato vittima di un processo contro il romanzo <i>Madame Bovary</i> del 1857, giudicato troppo realistico e per questo era stato censurato.</div><div style="text-align: justify;"><i>L'atelier del pittore</i> del 1855, raffigura l'ambiente amicale del pittore e quindi, idealmente, riproduce i difensori di ciò che egli stava promuovendo. Questo dipinto è tuttavia un vero manifesto politico e artistico, ma è anche molto di più di questo.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1eMH94ikaEc-U6dRdasTA44BNTPIHrjSNivYGqJvFUnphTmulobYqnq-Ke5Hvru0zHRwLx3yNVStXONeXucpfamIc1bhHwuWfcIjImqFla5B7qKYgXUsoGtdJuDJP3BBTV_GB2hHeerJNvsnWPZF1tFvYOJOgpzVQ9irZAhtgI2lIjAkxX572urVyX1Y/s16951/Courbet_LAtelier_du_peintre.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="9989" data-original-width="16951" height="378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1eMH94ikaEc-U6dRdasTA44BNTPIHrjSNivYGqJvFUnphTmulobYqnq-Ke5Hvru0zHRwLx3yNVStXONeXucpfamIc1bhHwuWfcIjImqFla5B7qKYgXUsoGtdJuDJP3BBTV_GB2hHeerJNvsnWPZF1tFvYOJOgpzVQ9irZAhtgI2lIjAkxX572urVyX1Y/w640-h378/Courbet_LAtelier_du_peintre.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Nel 1861 Courbet avrebbe dichiarato a proposito della sua mostra del 1855: “<i>Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo</i>”. I suoi contributi al Realismo furono considerevoli e ispirarono molti altri artisti spingendoli a esplorare temi della vita quotidiana e ad ampliare i confini della rappresentazione artistica.</div><div style="text-align: justify;">Anche Millet, specializzato nella rappresentazione dei contadini e dei braccianti, contribuì significativamente al <i>Realismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Proveniente anche lui dalla provincia, diversamente da Courbet nato in una famiglia di ricchi proprietari terrieri, Millet era cresciuto in una famiglia di contadini e quest’esperienza aveva segnato profondamente la sua opera che spesso si concentrava sulla rappresentazione della vita dei lavoratori della campagna. Ventitreenne Millet si era trasferito a Parigi e nel 1846-47 era entrato in contatto con artisti che avrebbero formato il primo nucleo della <i>scuola di Barbizon,</i> affermandosi come uno degli artisti di punta di questo gruppo di pittori che, influenzati dai paesaggi di Constable, dal 1848 si erano riuniti nel bosco di Fontainebleau col desiderio di <i>raccontare la natura con un occhio nuovo</i>.</div><div style="text-align: justify;">La specialità di Millet era però la vita contadina e oggi il pittore è noto soprattutto per una serie di opere che mettono in luce la difficile condizione dei lavoratori rurali e la dura realtà della loro vita quotidiana.</div><div style="text-align: justify;">Come Courbet, anche Millet era stato rifiutato più volte al <i>Salon</i> prima di trovare il successo nel 1850 quando presentò la sua opera <i>Le spigolatrici</i>, una scena elogiata per la sua rappresentazione realistica della vita rurale che riscosse invece grandi consensi. Millet continuò a produrre dipinti incentrati sulla vita quotidiana dei contadini, utilizzando una tavolozza scura e uno stile di pittura realistico con cui creava immagini potenti e commoventi.</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Le_spigolatrici_(Millet)#/media/File:Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Le_spigolatrici_(Millet)#/media/File:Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO3FtVFLHc78UFyZAC7IoD_IoQ9rt6IN0Gnl7AkuRjvcuJrazVjiTKSzhHiQaCbS9hb70fD_FlonKzJaQv8x7fZ4-IkYArqPJ0s-_opSxALbgTBQfdBnBIW4NMSKVTtYPfDhtfA720Nh99IIxKxFJwm2lXT21zsxgtW8m-Y0BjkaDmGigIobYiTcDlP6g/s1024/Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="766" data-original-width="1024" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO3FtVFLHc78UFyZAC7IoD_IoQ9rt6IN0Gnl7AkuRjvcuJrazVjiTKSzhHiQaCbS9hb70fD_FlonKzJaQv8x7fZ4-IkYArqPJ0s-_opSxALbgTBQfdBnBIW4NMSKVTtYPfDhtfA720Nh99IIxKxFJwm2lXT21zsxgtW8m-Y0BjkaDmGigIobYiTcDlP6g/w640-h478/Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_-_Gleaners_-_Google_Art_Project_2.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">I suoi dipinti mostrano spesso lavoratori in condizioni difficili, che lavorano nei campi o nelle stalle, ma sono scene anche piene di compassione e di rispetto per le persone raffigurate.</div><div style="text-align: justify;">Millet ebbe molti contatti con Courbet utili a dare vita al <i>Realismo</i> e fu acclamato da chi lo apprezzava come uno dei principali artisti della corrente. La sua influenza sul realismo fu profonda e fu fonte di ispirazione di altri artisti affinché essi a loro volta si concentrassero sui soggetti della vita quotidiana e usassero il realismo per creare immagini di grande potenza emotiva, giungendo a influenzare tra gli altri anche <i>Vincent Van Gogh</i> (1853 - 1890), la cui prima produzione fu molto ancorata al realismo.<br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibxcWF4Ysr6SBD1x7ROpFGX-ITVsaPTop2AEh_4MsiaF92a_b2VR3BUXg_jleYHAeSR3V97GVf8-2R6oPRPugDbM5oM2FJQGtjrrX27UBEkJO-yb8ZXMewZrykfOaoNxhlFhUz6k1kjrZJoprD_vvHRU8c1UvdUau_RSv8Ky0FBz5XFd23g7NFpRzKC3s/s3500/Vincent_van_Gogh_-_The_potato_eaters_-_Google_Art_Project_(5776925).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2481" data-original-width="3500" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibxcWF4Ysr6SBD1x7ROpFGX-ITVsaPTop2AEh_4MsiaF92a_b2VR3BUXg_jleYHAeSR3V97GVf8-2R6oPRPugDbM5oM2FJQGtjrrX27UBEkJO-yb8ZXMewZrykfOaoNxhlFhUz6k1kjrZJoprD_vvHRU8c1UvdUau_RSv8Ky0FBz5XFd23g7NFpRzKC3s/w640-h454/Vincent_van_Gogh_-_The_potato_eaters_-_Google_Art_Project_(5776925).jpg" width="640" /></a></div>Diversamente da altri realisti, Millet però non utilizzò mai i suoi dipinti come strumento di denuncia sociale, anche se spesso essi incidentalmente lo furono, e spesso li colmò pure di un profondo e intenso lirismo: questo fu tuttavia uno degli aspetti più criticati dagli altri artisti della corrente e dai critici fautori del Realismo che per questo motivo lo ritenevano poco oggettivo.</div><div style="text-align: justify;">Anche <i>Honoré Daumier</i>, pittore politicamente ancor più impegnato di Courbet nella denuncia delle ingiustizie sociali, diede un contributo significativo al Realismo oltre che con i suoi dipinti, anche come caricaturista e incisore.</div><div style="text-align: justify;">Daumier era marsigliese nato nel popolare e malfamato quartiere del “<i>Porto vecchio</i>” ed era giunto a Parigi nel 1816 con sua madre per raggiungere il padre che, per le sue velleità letterarie, vi si era trasferito due anni prima. A tredici anni, Daumier era andato a lavorare per un libraio e aveva incominciato a disegnare: <i>Alexandre Lenoir</i>, l’archeologo e conservatore museale, si accorse del suo talento e ne curò la formazione. Noto per la sua aspra critica sociale e per il suo impegno nel denunciare le ingiustizie sociali del suo tempo, raffigurava spesso i poveri e i lavoratori, nonché politici e affaristi corrotti. I suoi dipinti rimasero sconosciuti fino a una mostra tenuta da <i>Paul Durand-Ruel</i> a Parigi nel 1878, proprio l'anno prima della morte dell’artista. Queste opere di pittura, spesso oscure e malinconiche, raffiguravano poveri e lavoratori in condizioni difficili per questo Daumier fu acclamato come uno dei principali artisti del <i>Realismo</i> grazie alla sua capacità di utilizzare anche la satira e la critica sociale per creare immagini potenti e coinvolgenti. Il suo lavoro spinse molti altri artisti a utilizzare l'arte come strumento di denuncia delle ingiustizie sociali e politiche del suo tempo infatti, per Charles Baudelaire, Daumier fu “<i>uno degli uomini più importanti, non [...] solo della caricatura, ma anche dell'arte moderna</i>”.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7XP5dy29GrxkNNGtsiqKudBGQ9m3EYkRSJf3agpjlwB4-OGkezXi1_ePTa6lML0QVty-7oqdCprqP78b4V3_kxlTglZUwqTUH9Jf3cBrHUk6NZmQpuuBWlbwkT1xJIQFOYKdsSHkJAwpKdIbgPIjYgRyzQuTpmmzqmzhM9NsVcoKNB87jrfPZqkkcGLk/s2536/Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1860" data-original-width="2536" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7XP5dy29GrxkNNGtsiqKudBGQ9m3EYkRSJf3agpjlwB4-OGkezXi1_ePTa6lML0QVty-7oqdCprqP78b4V3_kxlTglZUwqTUH9Jf3cBrHUk6NZmQpuuBWlbwkT1xJIQFOYKdsSHkJAwpKdIbgPIjYgRyzQuTpmmzqmzhM9NsVcoKNB87jrfPZqkkcGLk/w640-h470/Honor%C3%A9_Daumier_034.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Particolarmente iconico è il suo dipinto <i>Il vagone di terza classe</i>”, titolo di almeno tre suoi dipinti a olio, in cui Daumier descrive realisticamente la povertà e la forza d'animo dei viaggiatori della classe operaia in un vagone ferroviario di terza classe.</div><div style="text-align: justify;">Di questo soggetto realizzò almeno tre versioni di cui due su tela, una datata fra il 1862 e il 1864, ma lasciata incompiuta ed è al <i>Metropolitan Museum of Art</i> di New York, un dipinto simile ma completato, datato fra il 1862 e il 1865, si trova nella <i>Galleria Nazionale del Canada</i> di Ottawa. Una terza versione fu realizzata su tavola ed è conservata al <i>Fine Art Museum</i> di San Francisco ed è datata dai curatori del museo di appartenenza fra il 1856 e il 1858. Se è valida questa datazione sarebbe la prima delle tre versioni.</div><div style="text-align: justify;">Nello stile tipico di Daumier, che fece della sua arte una continua lotta politica, <i>Il vagone di terza classe</i> evidenzia l'interesse dell’artista per la vita della classe operaia di Parigi e denuncia le condizioni sociali delle classi più povere in linea con l'intento del Realismo.</div><div style="text-align: justify;">Anche <i>Édouard Manet</i> (1832-1883), seguì le idee di Courbet e cercò di rimuovere le convenzioni accademiche volendo rappresentare la <i>vita moderna</i> e come Courbet continuò impavido, nonostante le critiche, a produrre dipinti che sfidavano le convenzioni artistiche e sociali del suo tempo, utilizzando una tavolozza audace e una tecnica pittorica a tinta piatta per creare immagini potenti e moderne. Manet fu anche un importante innovatore nella tecnica della pittura a olio, sperimentando pennellate più sciolte e contrasti cromatici più audaci.</div><div style="text-align: justify;">Manet fu un realista sulle orme della generazione prima della sua.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1862, presentò al <i>Salon</i> un'enorme tela: <i>Le Déjeuner sur l'herbe</i>. Si trattava di personaggi in un bosco. Una donna, uscendo dal bagno, si asciuga nuda sull'erba. Questo dipinto fece scandalo e gli accademici lo esclusero dall’esposizione.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtJFcgjREegxkBwUBXIKU3syQY_LzkeXq8VvIu68EIXERTAmpJYCvNkhW6vwC7m7-FJUCGMN3o5j0oqJZKP3ejTQrqPRRNKeS4zBLcRtyGMGnbEVHCOPEU9fiQNx1RpUwbEROg86HVdEyvWd8YloPpWVGtFab6JPR0gxZJ93wswEJRg3k8AtXiJOW9kVw/s5649/Edouard_Manet_-_Luncheon_on_the_Grass_-_Google_Art_Project.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4389" data-original-width="5649" height="498" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtJFcgjREegxkBwUBXIKU3syQY_LzkeXq8VvIu68EIXERTAmpJYCvNkhW6vwC7m7-FJUCGMN3o5j0oqJZKP3ejTQrqPRRNKeS4zBLcRtyGMGnbEVHCOPEU9fiQNx1RpUwbEROg86HVdEyvWd8YloPpWVGtFab6JPR0gxZJ93wswEJRg3k8AtXiJOW9kVw/w640-h498/Edouard_Manet_-_Luncheon_on_the_Grass_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Ma perchè? </div><div style="text-align: justify;">Agli accademici il nudo piaceva, anzi era una delle materie fondamentali della <i>Scuola delle belle arti</i>. </div><div style="text-align: justify;">Che cosa aveva questo dipinto da essere bandito? </div><div style="text-align: justify;">Per quei giudici il nudo certamente era possibile, anzi era motivo di gran pregio, ma solo se realizzato in scene mitologiche. Qui invece la donna è nuda in presenza di uomini vestiti senza alcun motivo e non in un’atmosfera olimpica. Fra l’altro era anche perfettamente riconoscibile forse come celebre modella o come celebre prostituta quindi era stata raffigurata <i>spudoratamente</i> priva di quei meccanismi di idealizzazione che rendevano le modelle irriconoscibili. Émile Zola fu l'unico a difendere Manet. Lodò questo dipinto impressionante perché era a grandezza naturale, perché per lui la foresta e il nudo erano dei motivi per mostrare una nuova pittura, quella dei colori veri, delle forme, del tocco schietto.</div><div style="text-align: justify;">Sebbene Manet non si possa considerare <i>tout court</i> un “<i>impressionista</i>”, per la sua opera è stato considerato un anticipatore di quel movimento anzi un tramite fra Realismo e Impressionismo. I suoi dipinti influenzarono molti impressionisti, in particolare per il suo trattamento della luce e del colore, nonché per il suo rifiuto delle convenzioni accademiche.</div><div style="text-align: justify;">Ma ora torniamo al 1855. Con la sua levata di scudi, Gustave Courbet aveva inaugurato ufficialmente il <i>Realismo</i> e con esso aveva dato il via a una nuova stagione nella <i>Storia dell'Arte</i>, caratterizzata da un lato dalla raffigurazione della realtà, dall’altro dal rifiuto degli ideali estetici e delle convenzioni accademiche vigenti all'epoca che sostenevano soggetti idealizzati di carattere mitologico o storico, composizioni simmetriche e tecniche di rappresentazione anch’esse sublimate. A questo i realisti preferivano composizioni asimmetriche, punti di vista insoliti, scene di vita quotidiana e ritratti di gente comune.</div><div style="text-align: justify;">Il rifiuto degli ideali accademici permise a questi pittori della realtà di esplorare nuovi territori nella rappresentazione artistica, sfidando gli standard estetici prevalenti ed enfatizzando la <i>bellezza</i> e l'interesse suscitabili dagli aspetti più modesti della vita quotidiana.</div><div style="text-align: justify;">Dopo la mostra di Courbet nel 1859, ci fu una nuova manifestazione di dissidenza contro il sistema imposto dall’Accademia: nel suo salotto privato il pittore <i>François Bonvin</i>, amico di Courbet, e insignito di una medaglia di bronzo in una precedente edizione del <i>Salon</i>, organizzò una mostra di artisti rifiutati nella selezione ufficiale di quell’anno. Questa mostra era dedicata ad <i>Henri Fantin-Latour</i>, ad <i>Alphonse Legros</i>, a <i>Théodule Ribot</i>, all’americano <i>James McNeill Whistler</i> e a <i>Eugène Boudin</i> che in seguito avrebbe dichiarato di essere stato liberato dai suoi timori da <i>Courbet.</i></div><div style="text-align: justify;">Anche Edouard Manet, considerato l’ispiratore della terza ondata di rivoluzione pittorica vissuta dall’Ottocento e incentrata sul trattamento del colore e sui contrasti percepibili dall'uomo <i>quando guarda</i> ebbe un ruolo importante nel “<i>Realismo</i>”. Molto influenzato dalle opere di Velázquez e di Goya e grande estimatore di Frans Hals, Manet seguì l’ispirazione realistica di Courbet e di Millet non ne fu “erede” come spesso lo si definisce, ma fu partecipe della corrente realista.</div><div style="text-align: justify;">Con la mostra di Courbet del 1855 qualche altra cosa entrò definitivamente in crisi nel <i>sistema delle arti</i> in voga fino a quel momento e fu il <i>sistema espositivo</i>: alla <i>scuola</i>, alla <i>regola dell’accademia</i>, ormai si affiancava una serie di raggruppamenti artistici liberi, sostenuti da scrittori, da critici militanti e dalla formazione di un mercato privato, basato sull’attività di <i>galleristi</i> e di <i>collezionisti</i> privati.</div><div style="text-align: justify;">Centro vitale di questo nuovo complesso critico-gestionale fu Parigi dove incominciarono a formarsi e a maturare da quel momento a poco dopo la struttura galleristica e il lavoro pioneristico di personaggi chiave del nuovo sistema artistico, come <i>Paul Durand-Ruel</i>, nome immediatamente associabile a tutta la storia dell’Impressionismo, come <i>Josse</i> e <i>Gastone Bernheim-Jeune</i> dediti, insieme ad <i>Ambroise Vollard</i>, a diffondere opere del <i>Neo-impressionismo</i>, del <i>Futurismo</i> italiano, dei <i>Fauve</i> e di artisti come <i>Cezanne</i>, <i>Gauguin</i> e <i>Matisse</i>.</div><div style="text-align: justify;">Questi esempi mostrano come il sistema di diffusione e di promozione dell’Arte in ambito accademico sia sempre più accompagnato da nuove modalità d’esposizione. Questo processo andò di pari passo con l’affermazione di forme artistiche alternative e con la configurazione di un pubblico nuovo, formato dalla nuova classe borghese diversa da quella precedente più ingessata e più legata al <i>sistema</i>, e questa nuova borghesia anche una committenza più ampia e più frazionata entro i cui confini fu possibile maturare un gusto più soggettivo e indipendente.</div><div style="text-align: justify;">In questo nuovo clima culturale e sociale gli artisti incominciarono a organizzarsi al di fuori delle istituzioni ufficiali, dando avvio a quel processo di svincolamento dalla <i>regola</i> incarnata dall’<i>Accademia delle Belle Arti</i> e dai <i>Salon</i> ufficiali.</div><div style="text-align: justify;">Questo forte cambio di rotta fu impresso dalle prime mostre indipendenti. Gustave Courbet nel 1855 mette insieme alcune sue opere che l’<i>Esposizione Universale</i> di Parigi aveva rifiutato di esporre e, dando vita a quel <i>Pavillon du Realisme</i>, si ritagliò così uno spazio di autonomia in cui poter esibire la propria idea d’Arte.</div><div style="text-align: justify;">Il secondo passo fu la mostra organizzata nel 1859 nel suo salotto privato dal pittore <i>François Bonvin</i> e di qualche anno successivo sarebbe stato il <i>Salon des Refusés</i>, che accolse le opere emarginate dal circuito ufficiale.</div><div style="text-align: justify;">Prima di concludere sul “<i>Realismo</i>” occorre dire che se all’inizio fu un fenomeno prettamente francese, almeno nelle sue polemiche politiche e nelle sue questioni estetiche, ben presto trovò ampie risonanze e riscontri in Europa, nei <i>Macchiaioli</i> in Italia, nel <i>Costumbrismo</i> spagnolo, che voleva rendere l'opera d'Arte un riflesso preciso e fedele dei costumi e degli usi sociali, nella <i>Scuola dell'Aia</i> nei Paesi Bassi, il cui iniziatore <i>Jozef Israëls</i> introdusse questa nuova forma di realismo ispirandosi alla vita dei suoi contemporanei e mirando a rappresentare la vita di pescatori e dei contadini che non avevano perduto il contatto con la natura e che vivevano ancora in armonia con il loro ambiente, a Monaco dal 1869 ci fu una svolta realista nell’ambito di quella scuola, negli Stati Uniti, o con il movimento russo degli <i>Itineranti</i>, che emerse nel 1863 e che fu in auge fino al 1890, come reazione anche lì all'insegnamento, alle materie e ai metodi dell'<i>Accademia Russa di Belle Arti</i> di San Pietroburgo. Nel Novecento il <i>Realismo</i> fu ripreso e sviluppato da pittori provenienti dall'Europa occidentale (in particolare in Francia e nei Paesi Bassi), da Russia e America, generando movimenti artistici collaterali come la <i>Scuola di Ashcan</i> (1908-1913), il <i>Realismo sociale</i> (1920 - 1930), il <i>Realismo socialista</i> (dal 1925 a oggi), la <i>Pittura scenica </i>americana (1925 - 1945), il <i>Fotorealismo</i> (dal 1960 a oggi), il <i>Realismo cinico</i> cinese praticato negli anni Novanta del Novecento da un gruppo di pittori di Pechino, in seguito alla repressione di "<i>piazza Tiananmen</i>" del 1989 da parte di "<i>Deng Xiaoping</i>" e alla chiusura forzata all'inizio di quell'anno della mostra d'arte "<i>China Avant Garde</i>" alla <i>Galleria Nazionale</i> di Pechino.</div><div style="text-align: justify;">Attraverso la sua radicalità, il “<i>Realismo</i>” francese di metà Ottocento ebbe un impatto decisivo e duraturo sulla <i>Storia dell’Arte</i> e aprì la strada all'evoluzione del modo di rappresentare la realtà nella contemporanea cultura visiva permettendo a diverse nuove avanguardie artistiche di affermarsi dall’ultimo terzo dell’Ottocento come l’<i>Impressionismo</i>, il <i>Naturalismo</i> e il <i>Simbolismo</i>, ma ebbe anche un notevole impatto sulla società nel suo complesso. Naturalmente sarà sempre opportuno stabilire le distanze che ciascuno di quei movimenti prese dalla comune matrice realista a cominciare dal Naturalismo pittorico che dei tre movimenti fu quello più affine, pertanto la sua distinzione è abbastanza difficile da stabilire: lo storico dell'Arte <i>Marcel Brion</i> (1895 – 1984) ha parlato di <i>naturalismo degli odori</i>, citando l'erba bagnata con Courbet, il tessuto casalingo dei mantelli contadini con Millet, il sudore dei cavalli da corsa e delle ballerine con Degas, il cerone di Toulouse-Lautrec, ma si potrebbe aggiungere il fruscio dei tessuti in Constantin Guys e il fruscio degli alberi in Corot, e tante altre <i>impressioni</i> ancora, sguardi, e interpretazioni, che avrebbero portato la critica a definire altre categorie, altre correnti degli anni 1870-1880.</div><div style="text-align: justify;">Contro “Le Déjeuner sur l'herbe” , presentato ai giurati del “Salon” del 1863 la critica si scatenò furente, accomunando Manet e Courbet e considerandoli partecipi della stessa <i>setta</i>: questo episodio avrebbe portato alla creazione del tutto eccezionale da parte della direzione delle <i>Belle Arti</i> del “<i>Salon des Réfusés</i>”, tanto grande sarebbe stata la rivolta degli artisti che desideravano rimanere liberi nella scelta delle rappresentazioni e soprattutto di poter mostrare le proprie opere.</div><div style="text-align: justify;">Ma questo sarà un altro racconto.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-73472413659172131592023-12-03T23:55:00.000-08:002023-12-03T23:55:36.201-08:00 Filippo III e la seconda fase del ducato dei Valois. Sesto racconto di Massimo Capuozzo sui Fiamminghi <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Dall’assassinio di Giovanni senza Paura, quindi dal 1419 in poi, i Borgognoni appoggiarono senza alcuna riserva l'invasione inglese della Francia e l'ascesa di Enrico VI d'Inghilterra al trono francese dopo la morte di Carlo VI avvenuta nel 1422, mentre gli Armagnacchi continuavano a sostenere il Delfino, poi re Carlo VII, nella sua azione di riconquista dell'intero regno.</span></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Solo con il <i>Trattato di Arras</i> del 1435, stipulato tra Carlo VII di Francia e Filippo III di Borgogna, si pose fine alla guerra civile tra Armagnacchi e Borgognoni.</div><div style="text-align: justify;">Fig 1</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5BX1sQtUErhmsVcaXyoQcbv7LuTIHZb819adDcDegQRJwUSsqFsrbd0t20tqhZ1H3VU94kitZcifkBA8iiAAzaxU0bWpIU0MIPhLRRxe4bbFZYcDCu18lFRljQ-DacuQqURf5Zw3YkB9pPibTGbBDBdx6wP8xIt59_8oSV6X7LEKeV3KLLhSSyAvgDcU/s430/fig%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="423" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5BX1sQtUErhmsVcaXyoQcbv7LuTIHZb819adDcDegQRJwUSsqFsrbd0t20tqhZ1H3VU94kitZcifkBA8iiAAzaxU0bWpIU0MIPhLRRxe4bbFZYcDCu18lFRljQ-DacuQqURf5Zw3YkB9pPibTGbBDBdx6wP8xIt59_8oSV6X7LEKeV3KLLhSSyAvgDcU/w630-h640/fig%201.jpg" width="630" /></a></div><div style="text-align: justify;">I rapporti fra Inglesi e Borgognoni si erano già deteriorati pertanto questi ultimi in seguito a quel trattato si unirono a Carlo VII che, con il loro sostegno, poté finalmente dedicarsi completamente alla guerra contro gli Inglesi.</div><div style="text-align: justify;">La seconda fase del ducato dei Valois si aprì con il quasi mezzo secolo di governo di Filippo III, noto come <i>Filippo il Buono</i> e considerato il rappresentante più significativo del <i>Casato Valois di Borgogna</i>.</div><div style="text-align: justify;">Filippo, figlio di <i>Giovanni Senza Paura</i> e di <i>Margherita di Baviera</i>, alla morte del padre e appena ventunenne, diventò duca di Borgogna, di Brabante, di Limburgo e di Lussemburgo, conte delle Fiandre, di Artois, di Borgogna (la Franca contea), di Namur, d'Olanda, di Zelanda e d’Hainaut, e rimase al potere per quasi cinquant’anni dal 1419 fino al 1467.</div><div style="text-align: justify;">Giovanni aveva trascorso la sua infanzia in Borgogna e aveva ricevuto un'educazione alla cultura francese e a quella fiamminga.</div><div style="text-align: justify;">Traendo le ultime conclusioni dalla politica perseguita per quarant'anni da suo nonno e da suo padre, completò vantaggiosamente per i suoi stati l’unificazione dei vari principati e poi consolidò la sua opera con riforme amministrative volte alla centralizzazione dello Stato.</div><div style="text-align: justify;">In seguito all’assassinio di suo padre, Filippo si trovò non solo a capo del <i>Casato di Borgogna,</i> ma anche della fazione borgognona, in un momento particolarmente difficile: accusò suo cognato, il delfino Carlo del quale aveva sposato la sorella maggiore <i>Michelle</i>, di aver progettato l'assassinio del padre e giunse alla conclusione che per i borgognoni era preferibile l'alleanza con gli Inglesi a quella con gli Armagnacchi. Nel 1420 dunque Filippo si alleò con Enrico V di Inghilterra e con il <i>Trattato di Troyes</i> di quello stesso anno fu stabilito il matrimonio tra il re Enrico e Caterina, penultima figlia del folle Carlo VI e di Isabella di Baviera, i quali adottarono Enrico V e disconobbero il loro figlio, il cosiddetto <i>delfino Carlo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Nel governo della Francia, Filippo il Buono affiancò il nuovo erede al trono Enrico V. La Francia si trovò così realmente spaccata in due: quella controllata dai borgognoni e dagli inglesi e quella sotto il controllo del delfino e degli Armagnacchi.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1422 morirono sia Enrico V sia Carlo VI, per cui il nuovo re di Francia, oltre che d'Inghilterra, era un bambino di circa un anno, di nome Enrico come suo padre, affidato alla tutela di Giovanni Plantageneto, primo duca di Bedford e fratello di Enrico V.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1423 l'alleanza anglo-borgognona fu ulteriormente consolidata dal matrimonio di Anna, sorella minore di Filippo, con il duca di Bedford, con cui Filippo mantenne rapporti di cordiale collaborazione.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1424 Filippo, sposò in seconde nozze Bona d'Artois (1393 –1425), vedova di suo zio, Filippo di Borgogna, Conte di Nevers, morto combattendo fra le fila francesi nella battaglia di Azincourt.</div><div style="text-align: justify;">Dopo essere rimasto vedovo nel 1425 per la seconda volta, Filippo inviò una delegazione in Portogallo per sposare l’infanta del Portogallo. Le nozze con Isabella, figlia di <i>Giovanni I di Portogallo</i> e di <i>Filippa di Lancaster</i>, furono celebrate con fasto regale a Bruges il 7 gennaio 1430.</div><div style="text-align: justify;">Sempre nel 1430, a Compiègne, le truppe del duca Filippo catturarono <i>Giovanna d'Arco,</i> che aveva tentato una sortita sulla riva destra dell'Oise e in seguito <i>Giovanni II di Lussemburgo</i> la consegnò, per 10.000 lire tornesi a <i>Pierre Cauchon</i>, vescovo di Beauvais, emissario della regina madre Isabella di Baviera e del duca di Bedford. Gli Inglesi le orchestrarono contro un processo per eresia e Giovanna fu messa al rogo il 30 maggio 1431.</div><div style="text-align: justify;">Nel frattempo i rapporti fra il duca di Borgogna e l’Inghilterra si erano deteriorati e, dopo questo tragico avvenimento, Filippo iniziò delle trattative per riavvicinarsi a Carlo VII, che, nel frattempo era stato incoronato re di Francia a Reims. Il percorso fu lungo, ma, il 21 settembre 1435, si giunse al <i>Trattato di Arras</i> che pose fine all'alleanza anglo-borgognona e sbilanciò definitivamente gli equilibri di potere a favore dei francesi: Filippo riconobbe Carlo VII come re di Francia in cambio dell'umiliazione di Carlo con il riconoscimento dell'assassinio di Giovanni Senza Paura e dell’installazione di una croce in memoria del sanguinoso evento, e poi la concessione al duca di enormi territori e infine il riconoscimento della piena sovranità di Filippo sui suoi territori, con la prospettiva per la sua dinastia di poter ottenere prima o poi il titolo reale.</div><div style="text-align: justify;">Sebbene vassallo sia del re di Francia sia dell'imperatore del <i>Sacro Romano Impero</i>, Filippo III agì sempre come sovrano e sognò di acquisire una corona reale che avrebbe consacrato, di diritto, un'indipendenza che già possedeva di fatto.</div><div style="text-align: justify;">Qui sotto è raffigurato in un ritratto di <i>Rogier van der Weyden</i> al <i>Museo del Louvre</i> a Parigi: il duca, sulla cinquantina, è visto di tre quarti, rivolto a destra, è vestito di nero, indossa il collare dell'Ordine del Toson d'oro e una croce nella tacca della sua tunica e tiene in mano un rotolo. La sua testa è coperta dal cappello con una sciarpa appesa.</div><div style="text-align: justify;">Fig 2</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5t0lDyx-TigqtzajXRkZOvwUDtzsEh0BMluFxBa9zHYUrG0gYWjFd8H554rNiQv3BYgvz5cE69KO0Wte0Ah_G-ewSw6Dop2pB0FNQPVG-5O9shhpqUhu2Bgp42Aggn0m5c8mmYBqDiqezst4Ef68YF9F452xbrSpjElBW0cpJSaiCSvgNhzlNW-MBnMg/s400/fig%202%20-%20Van%20der%20Weyden%20-%20ritratto%20di%20Filippo%20il%20Biono.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="260" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5t0lDyx-TigqtzajXRkZOvwUDtzsEh0BMluFxBa9zHYUrG0gYWjFd8H554rNiQv3BYgvz5cE69KO0Wte0Ah_G-ewSw6Dop2pB0FNQPVG-5O9shhpqUhu2Bgp42Aggn0m5c8mmYBqDiqezst4Ef68YF9F452xbrSpjElBW0cpJSaiCSvgNhzlNW-MBnMg/w416-h640/fig%202%20-%20Van%20der%20Weyden%20-%20ritratto%20di%20Filippo%20il%20Biono.jpg" width="416" /></a></div><div style="text-align: justify;">Più che in Borgogna, di solito il duca risiedeva nei suoi ricchi domini nei Paesi Bassi, ma la sua presenza era necessaria in tutte le sue contee e i suoi ducati.</div><div style="text-align: justify;">La sua numerosa corte e i funzionari della sua amministrazione lo seguivano nei suoi spostamenti e questo seguito lo accompagnava dovunque fosse necessario dare un’impressione di regalità.</div><div style="text-align: justify;">Amante del fasto, Giovanni riceveva in una sala decorata con preziosi arazzi, tessuti con oro e seta nelle botteghe di Arras o di Tournai e ne possedeva talmente tanti che la loro manutenzione richiedeva personale specializzato.</div><div style="text-align: justify;">Grande patrocinatore di tutte le arti, i manoscritti della sua <i>biblioteca</i> formano ancor oggi il nucleo principale della <i>Biblioteca di Borgogna</i> a Bruxelles e attestano la fioritura artistica e culturale nella corte borgognona e nei suoi Stati.</div><div style="text-align: justify;">Un’ostentazione di sfarzo, di solennità, di nobiltà e di grandezza, spinta fino alla megalomania, furono i princìpi seguiti generalmente dai duchi di Borgogna, per mostrare e per dichiarare la loro munificenza, il loro potere e la loro gloria.</div><div style="text-align: justify;">Nel cuore dell'apparato diplomatico, Filippo il Buono diventò subito un punto di riferimento: i suoi gusti musicali, letterari, artistici e perfino l’abbigliamento furono imitati dapprima dal suo <i>entourage</i>, poi gradualmente dalle altre corti europee.</div><div style="text-align: justify;">Questo gusto era condiviso dai principi che frequentavano la corte di Borgogna, come accadde per esempio a <i>Renato d'Angiò</i> cugino di Filippo, che durante il suo soggiorno alla corte di Borgogna, ingaggiò <i>Barthélemy d'Eyck</i> che diventò il suo pittore di corte. Giovanni II di Castiglia mostrò un precoce interesse per l'arte fiamminga, come dimostra il <i>Trittico di Miraflores</i> di <i>Rogier van der Weyden</i> che il sovrano offrì nel 1445 alla “<i>Certosa di Miraflores</i>” vicino a Burgos, che racconterò un'altra volta.</div><div style="text-align: justify;">Le reti dinastiche e le alleanze politiche che la Borgogna e gli Asburgo seppero instaurare, specialmente con l'Europa meridionale e sud-occidentale, favorirono senza dubbio la grandissima influenza dell'Arte di Jan van Eyck e dei primi fiamminghi.</div><div style="text-align: justify;">L'ambasceria borgognona che andò a prelevare l'Infanta del Portogallo è un esempio indicativo delle relazioni tra questo Stato e la Borgogna. Durante il soggiorno portoghese, l’ambasceria assistette al ricevimento in onore di Eleonora d'Aragona che sposò l’Infante Edoardo, erede al trono del Portogallo, e partecipò alle feste che precedettero la partenza dell’Infanta Isabella per le Fiandre dove l’accompagnarono duemila portoghesi.</div><div style="text-align: justify;">Isabella sposò il duca Filippo il 7 gennaio 1430: il matrimonio fu seguito da festeggiamenti di un lusso favoloso a Bruges, un modo per il duca di mostrare l'immensità della sua fortuna di fronte ai suoi numerosi ospiti internazionali.</div><div style="text-align: justify;">Fig 3</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq56GRitHAWvuK1dpzyRdGmMNXebplSlRocTFoF_gUM1RVWmtWke1SBcOOLtaaP7pZqFQOPsZXEnF-bJ0TvReZbP5okD4T7kga0O2t7-BnKiTqIwb0lm5LxmzUkv5nI14Mfmw2MuNybn_r1DjJtNc9bCIumQtH_aePf6kqhjxEx3U0oLq3OBucOyTu1Ls/s435/fig%203%20-%20Anonino%20fine%20400%20-%20isabella%20e%20filippo%20-%20museo%20delle%20belle%20arti%20di%20Gand.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="340" data-original-width="435" height="500" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq56GRitHAWvuK1dpzyRdGmMNXebplSlRocTFoF_gUM1RVWmtWke1SBcOOLtaaP7pZqFQOPsZXEnF-bJ0TvReZbP5okD4T7kga0O2t7-BnKiTqIwb0lm5LxmzUkv5nI14Mfmw2MuNybn_r1DjJtNc9bCIumQtH_aePf6kqhjxEx3U0oLq3OBucOyTu1Ls/w640-h500/fig%203%20-%20Anonino%20fine%20400%20-%20isabella%20e%20filippo%20-%20museo%20delle%20belle%20arti%20di%20Gand.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">All'apice del suo potere, Filippo governò su un <i>regno</i> che si estendeva dalla contea di Borgogna e dalle sue roccaforti delle montagne del Giura, fino al Mare del Nord.</div><div style="text-align: justify;">Lavoratore instancabile Filippo prendeva da solo le decisioni più importanti, ma si affidava anche a consiglieri ed aveva un singolare talento nel saperli scegliere sempre ottimamente. Il suo grande sogno era però quello di portare lo stendardo reale di Francia in una crociata contro i Turchi: preparò la sua crociata e proprio alla fine della sua vita era prossimo a partire per la riconquista della Terra Santa.</div><div style="text-align: justify;">Secondo il suo radicato ideale cavalleresco, fondò nel 1429 uno dei più prestigiosi e antichi ordini cavallereschi d'Europa, l'<i>Ordine dei Cavalieri del Toson d'oro</i> che sarebbe diventato in seguito l'Ordine cavalleresco specifico della Casa d'Austria.</div><div style="text-align: justify;">Quest’ordine nacque a Bruges proprio in occasione del suo matrimonio con Isabella del Portogallo e assunse come simbolo il vello dell'ariete conquistato da Giasone e dagli Argonauti e raffigurato in oro. Creando quest'Ordine, Filippo il Buono sperava di preservare l'ideale della cavalleria, non solo nel suo ducato, ma anche in tutti i paesi d'Europa. Politicamente, si trattava di difendere la Chiesa e tutte le beatitudini che la essa difendeva.</div><div style="text-align: justify;">Il collare dell'Ordine del Toson d'oro era molto ambito e considerato un grande onore appartenervi: ogni membro dell'Ordine doveva non solo essere nobile ma, oltre al suo alto lignaggio, doveva essere coraggioso in battaglia e soprattutto era essenziale che fossero già stati nominati cavalieri di un altro ordine.</div><div style="text-align: justify;">La cavalleria era un elemento molto importante della società dell'epoca: il comportamento coraggioso in battaglia doveva essere espressione della nobiltà il cui ruolo era quello di dare l'esempio.</div><div style="text-align: justify;">La disputa tra Carlo VII e suo figlio, il futuro re Luigi XI, aprì interessanti prospettive per Filippo il Buono, così, mentre il regno di Francia era di nuovo immerso in uno dei periodi più torbidi della sua storia, Filippo il Buono lavorò per creare una nuova potenza nel nord Europa, espandendo i suoi possedimenti con l’acquisizione di Tournai, delle contee di Mason e di Auxerre, dei ducati di Brabante e di Limburgo, poi delle contee di Hainaut, di Frisia e di Zelanda, nel 1441 acquisì anche il Lussemburgo. Inoltre, fu in grado di suscitare un sentimento nazionale in quei principati dei Paesi Bassi molto diversi fra loro.</div><div style="text-align: justify;">Da parte dei suoi sudditi ci fu affetto per questo <i>buon principe</i>, che si riverberò sui suoi successori e, durante la catastrofe che si verificò con il fallimento e la morte di suo figlio e successore, Carlo il Temerario, l'unione dei Paesi Bassi ebbe luogo intorno a Maria di Borgogna, l'erede legittima.</div><div style="text-align: justify;">I contemporanei furono grati a Filippo il Buono e al suo casato per l'esibizione di splendore: amarono il prestigioso spettacolo di una corte le cui numerose commissioni erano fonte di prosperità per tutti. Filippo il Buono lo aveva capito bene come lo aveva capito suo nonno Filippo l’Ardito: la sua opulenza era un modo per lui di collegarsi ai suoi sudditi, specialmente quelli degli antichi Paesi Bassi.</div><div style="text-align: justify;">Di grande libertà morale il Duca, anche se spesso mostrava eccessivo orgoglio, sapeva anche essere il più accogliente degli ospiti e, come misura di reciprocità, non esitava a invitarsi a pranzo dei ricchi borghesi di Bruxelles o Bruges: scelse le sue amanti tra le loro donne e le loro figlie.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKv_wPvwvXNOi_eYlav-iFLiOmvxLfEITNzmUNYb3jhrSPbo5_tPDeRuK0FVMtGAGc3l9Qw-T7UlahHE5JOhD7zqO1FlEJbo7-2Ah2mOWZcDLovgbXGQw6HznO554LhnCMdVO39Nx6_DZ0qI5bepQReFT8Ozcm_VBH9iD3iQGLD6M84o7kYtcczSnYeeA/s400/fig%204%20-%20%E2%80%9CRitratto%20di%20Antonio%20di%20Borgogna%E2%80%9D%20di%20Rogier%20van%20der%20Weyden%20in%20(Collezione%20privata).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="274" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKv_wPvwvXNOi_eYlav-iFLiOmvxLfEITNzmUNYb3jhrSPbo5_tPDeRuK0FVMtGAGc3l9Qw-T7UlahHE5JOhD7zqO1FlEJbo7-2Ah2mOWZcDLovgbXGQw6HznO554LhnCMdVO39Nx6_DZ0qI5bepQReFT8Ozcm_VBH9iD3iQGLD6M84o7kYtcczSnYeeA/w438-h640/fig%204%20-%20%E2%80%9CRitratto%20di%20Antonio%20di%20Borgogna%E2%80%9D%20di%20Rogier%20van%20der%20Weyden%20in%20(Collezione%20privata).jpg" width="438" /></a></div><div style="text-align: justify;">Qui sopra si vede il <i>Ritratto di Antonio di Borgogna</i> di <i>Rogier van der Weyden</i> in collezione privata. Questo ritratto del busto rappresenta Antonio, figlio illegittimo di Filippo il Buono con Jeanne de Presles, a testa nuda su uno sfondo scuro e neutro.</div><div style="text-align: justify;">Filippo il Buono diede ai suoi figli, che tranne uno erano tutti illegittimi, un'educazione degna del loro rango ed essi svolsero un ruolo significativo nella politica borgognona, perché poteva contare sulla loro lealtà. Per esempio Antonio, che possedeva una biblioteca eccezionale, aveva una carriera nell'esercito ed era tra i migliori atleti del suo tempo, fu armato cavaliere nel 1452 e ammesso quattro anni dopo nell'<i>Ordine del Toson d'oro</i>.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-81888040497735427052023-11-26T23:37:00.000-08:002023-11-26T23:42:11.492-08:00Il Realismo. Champfleury e Courbet: l’Impressionismo - quinto racconto <div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;">Prima di procedere con il racconto su Gustave Courbet è opportuno spendere qualche riga su <i>Jules Champfleury</i> (1821 – 1889) un poliedrico personaggio che ebbe un ruolo molto importante nella vicenda artistica del <i>Realismo</i> in Francia, anticamera necessaria ma scomoda dell</span><span style="font-family: verdana;">’Impressionismo, e nello specifico di <i>Courbet</i>.</span></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Jules Champfleury, classe 1821, era un personaggio superimpegnato sulla scena culturale di Parigi dagli anni Quaranta agli anni Sessanta dell’Ottocento: drammaturgo, scrittore di racconti e di romanzi, ma anche prolifico giornalista e critico d'arte, cosa che in questa sede maggiormente ci interessa. Grande amico di <i>Victor Hugo</i> (1802 – 1885), di <i>Gustave Flaubert</i> (1821 - 1880), di <i>George Sand</i> (1804 – 1876), di <i>Charles Baudelaire</i> (1821 – 1867), che era suo coetaneo, <i>Champfleury</i> fu un grande ammiratore di <i>Balzac</i> e un gran nemico dei fratelli <i>Jules </i>ed<i> Edmond De Goncourt</i> con i quali scambiò velenosissimi strali.</div><div style="text-align: justify;">Anche Champfleury era un ragazzo di provincia. Era di Laon e aveva idee molto chiare: studente poco brillante non perché poco dotato, ma perché riteneva le materie scolastiche inefficaci, motivo per cui formò la sua cultura quasi da autodidatta, cosa che da professore mi sento paradossalmente di condividere pienamente. Sono di gran lunga più copiose le cose che ho cercato e imparato da solo che quelle apprese fra i banchi sebbene fra i banchi ho ricevuto un metodo di studio e di ricerca.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Pubblicò dapprima racconti satirici, in seguito apprezzati ed elogiati da Hugo che lo proclamò un <i>autentico realista</i>.</div><div style="text-align: justify;">Come molti giovani ambiziosi, anche l’intraprendente Jules, appena diciassettenne, se ne andò via dalla <i>sonnolenta provincia</i> e trovò lavoro a Parigi come commesso in una libreria. Da subito incominciò a cercare e a frequentare circoli intellettuali e artistici. Purtroppo per lui questo primo soggiorno fu piuttosto breve, perché fu richiamato dal padre a Laon per motivi di lavoro.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1843, ventiduenne se ne tornò a Parigi dove si stabilì definitivamente. Lavorava sodo per occupare un proprio spazio nel campo letterario.</div><div style="text-align: justify;">Da solo e con la sua inossidabile intraprendenza si costruì una rete di amicizie che gli permettessero di ottenere proficue collaborazioni editoriali in una sfida che per lui era economica e culturale: i suoi articoli gli procurano un certo reddito e suscitarono in lui la speranza anche di un riconoscimento letterario.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1846 nell’ambito della polemica sul <i>Salon</i> nacque la sua amicizia con <i>Gustave Courbet</i> (1819 – 1877) in parte indotta dal suo interesse per le immagini e in parte dal suo rapporto con la cultura popolare, perché aveva intuito, sia pur confusamente, che la vena migliore dell’amico pittore era la realtà.</div><div style="text-align: justify;">Dal 1848 al 1865, questa amicizia guidò in modo significativo l'evoluzione estetica di Champfleury e dello stesso Courbet e lo condusse alla formulazione delle sue ‘<i>teorie sul realismo</i>’.</div><div style="text-align: justify;">Per lui l'opera di Courbet presentava i tratti propri dell'Arte <i>popolare</i>: un metodo basato sull'osservazione della realtà nei suoi più modesti dettagli, sulla scelta di soggetti umili e ordinari, sulla semplicità e sulla <i>sincerità</i> di uno stile che non pretendeva di nascondere la realtà sotto le mentite spoglie della <i>forma</i> o dell'<i>idea</i>.</div><div style="text-align: justify;">Il frutto di queste riflessioni è contenuto in una gran bella testimonianza che colloco in nota e che considero il primo nucleo della sua teoria del <i>realismo</i>: è una pagina che ci fa respirare l’atmosfera della Parigi artistica intorno alla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, gli stessi anni in cui videro la luce <i>Madame Bovary</i> del 1856 e <i>Les Fleurs du Mal</i> del 1857, due pietre miliari della cultura europea.</div><div style="text-align: justify;">Si tratta di una lettera che Champfleury inviò alla sua amica <i>George Sand</i> a settembre del 1855, di cui consiglio vivamente la lettura <a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Nuovo%20Documento%20di%20Microsoft%20Word%20(3).docx#_ftn1">[1]</a>.</div><div style="text-align: justify;">Champfleury iniziò la sua ascesa letteraria sviluppando il suo interesse per la letteratura, per le canzoni e per le immagini popolari: nel 1851 intraprese una serie di recensioni in cui riuscì a sviluppare le sue riflessioni nella <i>Revue de Paris</i> e nell'<i>Athenaeum</i>, collaborò in modo sostanziale con la rivista mensile <i>Le Réalisme</i>, pubblicata a Parigi dal luglio 1856 al maggio 1857, dedicata alla critica letteraria e artistica e sulle cui pagine pubblicò un manifesto a favore della <i>vera arte</i> in campo letterario e artistico. Quando nel 1857 pubblicò la raccolta di articoli dal titolo <i>Le Réalisme</i>, la sua teoria era ormai già nota sebbene intendesse svilupparla ulteriormente.</div><div style="text-align: justify;">Anche Champfleury, uno degli amici più fedeli di Courbet, parlò del <i>gruppo di Rue Hautefeuille</i> e definì la birreria <i>Andler Brewery</i> come <i>il tempio del Realismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Un altro testimone, amico e difensore di Courbet fu <i>Jules-Antoine Castagnary</i> (1830 – 1888), di cui avrò modo di parlare in seguito proprio a proposito dell’<i>Impressionismo</i>. Castagnary negli anni Sessanta dell'Ottocento riferì che, fuori dal suo studio bottega, fu in quella birreria che Courbet “<i>prese contatto con il mondo esterno</i>".</div><div style="text-align: justify;">Torniamo ora al <i>tempio del realismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Con la rivoluzione che rimbombava, Courbet era al centro dell'effervescenza artistica e politica. Alla birreria <i>Andler Brewery</i> suonava il violino, si legò ad artisti che volevano proporre una <i>terza via</i> da percorrere in alternativa e in opposizione a quella del <i>Romanticismo</i> e a quella dell’<i>Accademismo</i>: si trattava delle menti più brillanti di questo cambiamento in campo artistico.</div><div style="text-align: justify;">Sotto l'impulso di Champfleury, Courbet pose le basi del proprio stile, che egli stesso definì <i>realismo</i>, utilizzando un termine che aveva coniato il suo gruppo, constatando di fatto che <i>questa pittura era già sotto i loro occhi non bisognava fare altro che trascriverla</i>.</div><div style="text-align: justify;">La grande rivoluzione del 1848 scoppiò alla metà di marzo, poco prima dell'apertura del <i>Salon</i>. Luigi Filippo abdicò al trono, fu proclamata la <i>Seconda Repubblica</i> e questo comportò anche l’abolizione della tremenda giuria di ammissione al <i>Salon</i>: tutti gli artisti furono autorizzati a esporre nel <i>Palazzo Reale del Louvre</i> ribattezzato in quella circostanza <i>Museo Nazionale</i>.</div><div style="text-align: justify;">L’abolizione della giuria ebbe però un effetto devastante perché il <i>Salon</i> fu letteralmente invaso da opere di qualità molto variabile con reazioni molto polemiche da parte del pubblico.</div><div style="text-align: justify;">La recensione del <i>Salon</i> che <i>Théophile Gautier</i> pubblicò su <i>La Presse</i> ignorò per lo più la pittura di paesaggio, forse a causa dei numeri esorbitanti.</div><div style="text-align: justify;">Il critico iniziò con la scultura dell'eroina francese del Quattrocento Jeanne Hachette che brandisce l'ascia, subito seguita dal nudo femminile in marmo di <i>James Pradier Nyssia</i> (1790–1852), tratto da <i>Re Candaule</i>, un racconto dello stesso Gautier.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 1</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBQGYZAgjQ_7Zc42fPN6dUKNnNHJ07mp0TFqXWCyLao2afz-WzIdTr4yVGVl2wsmuq-V5IG6UQr_LxRDoOEOMGS4q2ju0FDjvOIp1gPCJv-kTBOUaKvM7jhMwCImow4QX5q1Nn3vgQcxGVkIycrwAkhtuIRjUOQpWIHgUYcah3Dpl1bGWDAvDY3_QgF6I/s3714/fig.%20-%201%20-%20SculpturesMus%C3%A9eFabre62_Nyssia_Pradier1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3714" data-original-width="2856" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBQGYZAgjQ_7Zc42fPN6dUKNnNHJ07mp0TFqXWCyLao2afz-WzIdTr4yVGVl2wsmuq-V5IG6UQr_LxRDoOEOMGS4q2ju0FDjvOIp1gPCJv-kTBOUaKvM7jhMwCImow4QX5q1Nn3vgQcxGVkIycrwAkhtuIRjUOQpWIHgUYcah3Dpl1bGWDAvDY3_QgF6I/w492-h640/fig.%20-%201%20-%20SculpturesMus%C3%A9eFabre62_Nyssia_Pradier1.jpg" width="492" /></a></div><div style="text-align: justify;">Poi Gautier si lanciò nella pittura con un lungo elogio delle opere di Delacroix, di cui la <i>Deposizione di Cristo</i> era la più importante.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 2</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEnX2H9Oa0JOxpurYlydwvdvN6hzNQq_Rwin7P2k8iLrAuxeuaFLThraqb2FA3pS1YQiMXmkerHR4S8wDeXNZydzwR3P58ydbxBcDK4mfJmZh-a5KU446i96iEFEb9GVaZ6T_xRb6kzgM8MIBAIGjBXT9a0hTRPe0c4cqpUIFwVT-n8VdBFoC4BtHU6Fk/s823/Fig.%202%20-%20delacroix_pieta.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="823" data-original-width="632" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEnX2H9Oa0JOxpurYlydwvdvN6hzNQq_Rwin7P2k8iLrAuxeuaFLThraqb2FA3pS1YQiMXmkerHR4S8wDeXNZydzwR3P58ydbxBcDK4mfJmZh-a5KU446i96iEFEb9GVaZ6T_xRb6kzgM8MIBAIGjBXT9a0hTRPe0c4cqpUIFwVT-n8VdBFoC4BtHU6Fk/w492-h640/Fig.%202%20-%20delacroix_pieta.jpg" width="492" /></a></div><div style="text-align: justify;">L’opera del romantico <i>Théodore Chassériau</i> (1819 – 1856) ricevette molta attenzione da parte di molti critici. Gautier trovò interessanti anche i dipinti di <i>Hesse</i> e <i>Schnetz</i> che erano stati commissionati da Luigi Filippo per il <i>Museo di Storia francese</i> di Versailles, in particolare per la <i>Sala delle Crociate</i>.</div><div style="text-align: justify;">Gautier ammirò molto la luce e il colore del <i>Setacciatore del grano</i> di Millet, ma fu meno entusiasta dell'altro dipinto dell'artista in mostra, un'ambiziosa opera storica in seguito ridipinta, che rappresenta la <i>Prigionia degli ebrei a Babilonia</i>: da quel momento Millet abbandonò il genere storico.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpvA2VZbCQnNRM4CxISg89Jn4XqE4c8iaBbrImyQ4Hy2YyJo-fEo392oAabbPsNiMYL3JHnOBTrgyNyOT6GyBCctzxr3O_5sJ6DGCGzZk7-UpERDdckyVcfjexsmJHeSF1MM-fDf5sJcDIrQOTuS1lUoIFW1YGvuSZaPb2zPJqhdfAYpb2TYEYF_PYdZA/s957/fig%203%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_(II)_-_The_Winnower_-_WGA15688.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="957" data-original-width="700" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpvA2VZbCQnNRM4CxISg89Jn4XqE4c8iaBbrImyQ4Hy2YyJo-fEo392oAabbPsNiMYL3JHnOBTrgyNyOT6GyBCctzxr3O_5sJ6DGCGzZk7-UpERDdckyVcfjexsmJHeSF1MM-fDf5sJcDIrQOTuS1lUoIFW1YGvuSZaPb2zPJqhdfAYpb2TYEYF_PYdZA/w468-h640/fig%203%20Jean-Fran%C3%A7ois_Millet_(II)_-_The_Winnower_-_WGA15688.jpg" width="468" /></a></div><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4vz8ponvmpILCDjCDkKPNf1WZb6t_pcMcUpCxN93Qdl6k-AcZvxbEy5dzoZXMHQRXWxpXifCh8sVa7NnVy7NECtXh1yKCkAUNViiPvFNistYvG1074aDN-jOwnwF0vrnBqodMXE-8l1RSq4UmCnmFCmjkEQI1xWt-unPoY_sr78x3YGe3wsiCJTHkhVY/s1000/fig%205%20Seminatore-Millet-Museum-Fine-Arts-Boston-analisi.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="812" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4vz8ponvmpILCDjCDkKPNf1WZb6t_pcMcUpCxN93Qdl6k-AcZvxbEy5dzoZXMHQRXWxpXifCh8sVa7NnVy7NECtXh1yKCkAUNViiPvFNistYvG1074aDN-jOwnwF0vrnBqodMXE-8l1RSq4UmCnmFCmjkEQI1xWt-unPoY_sr78x3YGe3wsiCJTHkhVY/w520-h640/fig%205%20Seminatore-Millet-Museum-Fine-Arts-Boston-analisi.jpg" width="520" /></a></div><div style="text-align: justify;">Gautier citò ancora il dipinto di <i>Rosa Bonheur</i>, <i>Il bestiame</i> di cui quello che oggi conosciamo potrebbe essere una versione successiva o una copia della stessa pittrice.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcN3o6_V5vxI7RVs_vpsCPwZqIhECuvsXm9C7u4uLnPaLq9M-z2RyXFzHWeQzhwU2tz65ga-bo97ffSh1T0gCd-AOq_ehyiG_bJvGpWrqdvLgTSZWCUXqG3Kjlt3nWQ9ir-ki4Q0Q39wkPiDtiLtA8w2E3kfr6kdaGn6EkZJkM-q3uFTZdUp3L0oHNIqQ/s564/Fig.%205%20-.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="396" data-original-width="564" height="450" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcN3o6_V5vxI7RVs_vpsCPwZqIhECuvsXm9C7u4uLnPaLq9M-z2RyXFzHWeQzhwU2tz65ga-bo97ffSh1T0gCd-AOq_ehyiG_bJvGpWrqdvLgTSZWCUXqG3Kjlt3nWQ9ir-ki4Q0Q39wkPiDtiLtA8w2E3kfr6kdaGn6EkZJkM-q3uFTZdUp3L0oHNIqQ/w640-h450/Fig.%205%20-.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">La mostra tuttavia risultò logisticamente disastrosa con troppe opere stipate in spazi inadeguati e il grande numero di opere mediocri peggiorò le cose.</div><div style="text-align: justify;">Nel mese di giugno del Quarantotto però non era più il caso di continuare a pensare al <i>Salon</i>: le vicende politiche a Parigi stavano degenerando. Courbet partecipò agli eventi relativamente da lontano: aveva infatti dovuto raggiungere Ornans da Parigi come meglio aveva potuto, per partecipare al funerale del suo amatissimo nonno materno, morto il 13 agosto.</div><div style="text-align: justify;">A Ornans preparò con vigore le sue prime tele nello spirito di fervore del suo nuovo modo di concepire l’Arte.</div><div style="text-align: justify;">Le elezioni di dicembre del 1848 portarono alla presidenza <i>Luigi Napoleone Bonaparte</i> (1808 – 1873).</div><div style="text-align: justify;">Nel marzo 1849 Champfleury, diventato ormai il mentore di Courbet, redasse per il pittore l'elenco delle undici opere proposte per il <i>Salon</i> di quell’anno e Baudelaire ne compilò le lettere che accompagnavano la spedizione.</div><div style="text-align: justify;">Sei dipinti e un disegno furono selezionati da una giuria, ora eletta dagli stessi artisti. Di queste opere <i>Un dopo cena a Ornans</i> gli valse una medaglia d'oro e il suo primo acquisto da parte dello Stato.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhh_uPVxT5cGr2oZMSi0x4HCvxdJZujDIdC9qsQ9S-CLNNosItn-cwSOtDmspftcUvjuPmKResyoTgwoBGE6AtQdql1bjVAQke_k-OVyUXGZWqRIkyTqgKHZ8Y7ll8P1Rg3eRXNgS-PILcMAC7tYRq9R_B5ffM4jhDIDyqj2Uc74GvrUodOOsTfXKXoR2U/s1882/Fig.%206-.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1882" height="476" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhh_uPVxT5cGr2oZMSi0x4HCvxdJZujDIdC9qsQ9S-CLNNosItn-cwSOtDmspftcUvjuPmKResyoTgwoBGE6AtQdql1bjVAQke_k-OVyUXGZWqRIkyTqgKHZ8Y7ll8P1Rg3eRXNgS-PILcMAC7tYRq9R_B5ffM4jhDIDyqj2Uc74GvrUodOOsTfXKXoR2U/w640-h476/Fig.%206-.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Questa grande tela gli assicurò la fama, e fu un formato di grandi dimensioni che Courbet avrebbe adottato anche in futuro.</div><div style="text-align: justify;">Tra i nuovi arrivati nell'entourage di Courbet, nel 1849 si aggiunse anche <i>Pierre-Joseph Proudhon</i> (1809 – 1865) in un'amicizia tutta in divenire, nata probabilmente dalla visita che a ogni costo il pittore aveva voluto fare al <i>carcere di Sainte-Pélagie</i> dove il filosofo era recluso per <i>aver offeso il Presidente della Repubblica</i> e dove Courbet in seguito si sarebbe autoritratto.</div><div style="text-align: justify;">Il 17 giugno 1849 si svolsero violente manifestazioni nella capitale e, Courbet, che aveva appena compiuto 30 anni, decise di tornare a Ornans, dopo la mostra, finalmente autorizzata, ma il cui andamento annunciava solo la rabbia e il furore della critica reazionaria e mentre più di 30.000 soldati si stabilivano in città e mantenevano il coprifuoco.</div><div style="text-align: justify;">Il 31 agosto Courbet partì e quando arrivò a Ornans, in paese fu celebrato come un eroe. Suo padre lo trasferì in un nuovo studio. Il 26 settembre iniziò <i>Gli spaccapietre</i> poi a dicembre cominciò il dipinto <i>Un funerale a Ornans</i>.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGSakNdfei2fJCRnBrHSobc6WQAznCuNjZAM-33brQ2OZ6JPLpz0dJOPQSf2x_hIRtTe-3steCBtI4ydlL57ueep0FnlNp_Kbu_qe4Ze3Vg0x0YdBJtr9bkK7rYUDbj10VO-6GCwpiGmCnyEDLXJtn7KR1v4NrY_LVLIJgZJFbLE8SIYvLdmAmM67B_G0/s2048/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_018.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1249" data-original-width="2048" height="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGSakNdfei2fJCRnBrHSobc6WQAznCuNjZAM-33brQ2OZ6JPLpz0dJOPQSf2x_hIRtTe-3steCBtI4ydlL57ueep0FnlNp_Kbu_qe4Ze3Vg0x0YdBJtr9bkK7rYUDbj10VO-6GCwpiGmCnyEDLXJtn7KR1v4NrY_LVLIJgZJFbLE8SIYvLdmAmM67B_G0/w640-h390/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_018.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Fig. 8</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSuzNbWwNFG4VxTrqnrAvjAn_hqFT4mnPqDheBLeook57hHf2HUj67U3EepUH6QDFM_XmJA7ypRJx600ZTRZxRIuVWZD8JMzVgagJabIspVi5OplEuQTy1710j0whjHaFRvZa0y1f6i39-nfHbMwb4Enx363GOtu24JAv1LwPSE7wcV__4PJ8yxDLgUJ4/s6045/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2779" data-original-width="6045" height="294" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSuzNbWwNFG4VxTrqnrAvjAn_hqFT4mnPqDheBLeook57hHf2HUj67U3EepUH6QDFM_XmJA7ypRJx600ZTRZxRIuVWZD8JMzVgagJabIspVi5OplEuQTy1710j0whjHaFRvZa0y1f6i39-nfHbMwb4Enx363GOtu24JAv1LwPSE7wcV__4PJ8yxDLgUJ4/w640-h294/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Come sarebbe stato bello vivere a Parigi in quegli anni! Era come vivere al centro del mondo in formazione.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div> <div style="text-align: justify;">____________________________________________</div><div style="text-align: justify;"><i><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Nuovo%20Documento%20di%20Microsoft%20Word%20(3).docx#_ftnref1">[1]</a> Giulio Champfleury – Lettera a Madame Sand</i></div><div style="text-align: justify;"><i>In questo momento, signora, vediamo a due passi dalla Mostra di Pittura, in Avenue Montaigne, un cartello con scritto a caratteri cubitali: REALISMO. G. Courbet. Mostra di quaranta dipinti del suo lavoro. È una mostra alla maniera inglese. Un pittore, il cui nome è esploso dalla Rivoluzione di febbraio, ha scelto le tele più significative del suo lavoro e si è fatto costruire uno studio.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>È un'audacia incredibile, è il rovesciamento di tutte le istituzioni attraverso la giuria, è l'appello diretto al pubblico, è libertà, dicono alcuni.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>È scandalo, è anarchia, è arte trascinata nel fango, sono i cavalletti della fiera, dicono gli altri.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Confesso, signora, che la penso come i primi, come tutti coloro che rivendicano la più completa libertà in tutte le sue manifestazioni.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Giurie, accademie, concorsi di ogni genere, hanno più volte dimostrato la loro impotenza a creare uomini e opere. Se esistesse la libertà del teatro, non vedremmo un Rouvière obbligato a recitare Amleto davanti ai contadini, in una stalla, facendo sorridere l'ombra del vecchio Shakespeare, che si crederebbe, nell'Ottocento, a Londra, a rappresentare le sue commedie in un covo della Città.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Non sappiamo cosa muoia di geni sconosciuti che non sanno piegarsi alle esigenze della società, che non sanno domare la loro ferocia e che si suicidano nelle segrete della convenzione. Il signor Courbet non c'è ancora: dal 1848 espone, ininterrottamente, ai vari Salon, tele importanti che hanno sempre avuto il privilegio di riaccendere discussioni. Il governo repubblicano gli acquistò addirittura una tela importante, ‘Dopo cena a Ornans’, che ho rivisto al Museo di Lille, accanto agli antichi maestri, e che occupa un posto d'onore tra le opere consacrate.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Quest'anno, la giuria è stata avara di spazio all'Esposizione Universale dei giovani pittori: l'ospitalità è stata così grande nei confronti degli uomini accettati dalla Francia e dalle nazioni straniere, che la gioventù ne ha sofferto poco. Non ho molto tempo per andare ai laboratori, ma mi sono imbattuto in tele scartate che, in altri tempi, avrebbero sicuramente avuto un legittimo successo. Il signor Courbet, forte nell'opinione pubblica, che da cinque o sei anni gioca intorno al suo nome, sarà stato offeso dai rifiuti della giuria, caduti sulle sue opere più importanti, e si è appellato direttamente al pubblico.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il seguente ragionamento è stato riassunto nel suo cervello: sono chiamato realista, voglio dimostrare, con una serie di dipinti noti.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Non contento di costruire uno studio, di appendervi le tele, il pittore lanciò un manifesto, e sulla sua porta scrisse: realismo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Se le rivolgo questa lettera, signora, è per la curiosità viva e piena di buona fede che lei ha dimostrato per una dottrina che prende forma giorno per giorno e che ha i suoi rappresentanti in tutte le arti. Un musicista tedesco, il signor Wagner, le cui opere non sono note a Parigi, fu duramente maltrattato nelle gazzette musicali dal signor Fétis, che accusò il nuovo compositore di essere viziato dal realismo. Si dice che tutti coloro che portano nuove aspirazioni siano realistici. Vedremo certamente medici realistici, chimici realistici, produttori realistici, storici realistici. Il signor Courbet è un realista, io sono un realista: siccome lo dicono i critici, lo lascio dire. Ma, con mia grande vergogna, confesso di non aver mai studiato il codice che contiene le leggi con l'aiuto delle quali il primo arrivato è autorizzato a produrre opere realistiche.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il nome mi fa orrore con il suo finale pedante; temo le scuole come il colera e la mia più grande gioia è incontrare individui ben definiti. Ecco perché il signor Courbet è, ai miei occhi, un uomo nuovo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Lo stesso pittore, nel suo manifesto, disse poche ottime parole: "Il titolo di realista mi fu imposto come il titolo di romantico fu imposto agli uomini del 1830. I titoli, in nessun momento, davano un'idea corretta di cose: se così fosse, le opere sarebbero superflue."</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Ma lei sa meglio di chiunque altro, signora, che città singolare sia Parigi in termini di opinioni e discussioni. Il paese più intelligente d'Europa contiene necessariamente il maggior numero di incapacità, metà, terzo e quarto dell'intelligenza; dovremmo anche profanare questo bel nome per vestire questi poveri chiacchieroni, questi stupidi ragionatori, questi disgraziati che vivono di giornali, questi curiosi che scivolano in fila che si sono buttati nelle lettere per miseria o per pigrizia, infine, questa folla di inutili che giudicano, ragionano, applaudono, contraddire, lodare, adulare, criticare senza convinzione, che non sono la folla e che si definiscono la folla.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Con dieci persone intelligenti, si potrebbe risolvere completamente la questione del realismo; con questa plebe di critici ignoranti, gelosi, impotenti, escono solo parole. Non definirò, signora, realismo, non so da dove venga, dove vada, cosa sia. Omero sarebbe un realista, poiché osservava e descriveva accuratamente i costumi del suo tempo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Omero, non ne sappiamo abbastanza, fu violentemente insultato come un pericoloso realista. "In verità", dice Cicerone parlando di Omero, "tutte queste cose sono pure invenzioni di questo poeta, il quale si compiaceva di abbassare gli dei alla condizione degli uomini; sarebbe stato meglio elevare gli uomini a quella degli dei.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>"Cosa diciamo ogni giorno sui giornali?</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Se avessi bisogno di altri esempi illustri, non avrei che da aprire il primo volume di critica, perché oggi va di moda ristampare in volume l'inutilità settimanale che si pubblica sui giornali. Vedremmo lì, tra le altre cose, che il povero Gérard de Nerval è stato portato a una tragica morte dal realismo. È un gentiluomo dilettante che scrive tali miserie; i tuoi drammi elettorali sono contaminati dal realismo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Contengono contadini. Qui sta il delitto. In tempi recenti, Béranger è stato accusato di realismo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Come le parole possono guidare gli uomini!</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il signor Courbet è un fazioso per aver rappresentato in buona fede borghesi, contadini, donne di paese a grandezza naturale. Questo era il primo punto. Non vogliamo ammettere che uno spaccapietre valga un principe: la nobiltà è presidiata dal fatto che tanti metri di tela sono concessi alla gente comune; solo i sovrani hanno il diritto di essere dipinti a figura intera, con le loro decorazioni, i loro ricami e i loro volti ufficiali. Come? Un uomo di Ornans, un contadino chiuso nella sua bara, si permette di radunare al suo funerale una folla considerevole: contadini, gente di basso ceto, e questa rappresentazione ha lo sviluppo che lo stesso Largillière aveva il diritto di dare ai magistrati che andavano a la Messa dello Spirito Santo <a href="https://www-lyriktheorie-uni--wuppertal-de.translate.goog/texte/1855_champfleury.html?_x_tr_sl=fr&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc&_x_tr_sch=http#fuss2a">*</a>. Se Velasquez ha fatto grandi cose, sono stati i grandi signori di Spagna, infanti, infante; c'è almeno la seta lì, l'oro sui vestiti, le decorazioni e le piume. Van der Helst ha dipinto i borgomastri a tutta altezza, ma questi grossi fiamminghi si salvano con il costume.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Sembra che il nostro costume non sia un costume: mi vergogno davvero, signora, a soffermarmi su tali ragioni. Il costume di ogni epoca è regolato da leggi sconosciute, igieniche, che scivolano nella moda, senza che quest'ultima se ne accorga. Ogni cinquant'anni, i costumi vengono sconvolti in Francia; come volti, diventano storici e curiosi da studiare, singolari da guardare, come gli abiti di una tribù di selvaggi. I ritratti di Gérard, del 1800, che potevano sembrare volgari in linea di principio, assumono in seguito una svolta e una fisionomia singolari. Quello che gli artisti chiamano costume, vale a dire, mille sciocchezze (piume, mosche, aigrette, ecc.), possono divertire per un momento le menti frivole; ma molto più interessante è la rappresentazione seria della personalità attuale, i cappelli tondi, gli abiti neri, le scarpe verniciate o gli zoccoli dei contadini.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Possono concedermelo, ma diranno: Il tuo pittore manca di ideali. Risponderò a questo fra poco, con l'aiuto di un uomo che ha saputo trarre dall'opera del signor Courbet conclusioni piene di grande buon senso.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>I quaranta dipinti di Avenue Montaigne contengono paesaggi, ritratti, animali, grandi scene domestiche e un'opera che l'artista intitola: ‘Real Allegory’. A colpo d'occhio, è possibile seguire i progressi compiuti nella mente e nel pennello del signor Courbet. Soprattutto è nato pittore, vale a dire, nessuno può contestare il suo robusto e potente talento di lavoratore: attacca una grande macchina con impavidità, può non sedurre tutti gli sguardi, alcune parti possono essere sciatte o goffe, ma ognuno dei suoi quadri è dipinto. Invoco soprattutto i pittori fiamminghi e spagnoli. Veronese, Rubens, saranno sempre grandi pittori, a qualunque opinione si appartenga, a qualunque punto di vista si adotti. Quindi non conosco nessuno che pensi di negare le qualità del signor Courbet come pittore.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il signor Courbet non abusa della sonorità dei toni, poiché il linguaggio musicale è stato trasportato nel dominio della pittura. L'impressione dei suoi dipinti sarà tanto più duratura. È dominio di ogni opera seria non attirare l'attenzione con inutili echi: vivrà ancora una dolce sinfonia di Haydn, intima e domestica, di cui parleremo con scherno delle numerose trombe di M. Berlioz. I lampi di ottoni nella musica non significano altro che i toni rumorosi nella pittura. I maestri la cui tavolozza è infuriata e contiene lampi, toni rumorosi sono goffamente chiamati coloristi. La gamma [cromatica] del signor Courbet è tranquilla, imponente e calma; anche io non sono stato sorpreso di trovare, consacrato ora per sempre nella mia mente, il famoso ‘Seppellimento di Ornans’, che fu il primo colpo di cannone sparato dal pittore, considerato un rivoltoso nell'arte. Quasi otto anni fa stampai sul signor Courbet, un uomo sconosciuto, frasi che annunciavano il suo destino: non le citerò, non mi interessa essere il primo ad avere ragione più che indossare le mode di giorno di Longchamps. Indovinare gli uomini e le opere dieci anni prima della maggioranza, pura faccenda del dandismo letterario che fa perdere molto tempo. Nelle sue molte critiche, Stendhal stampava, nel 1825, verità audaci, che lo facevano soffrire troppo. Ancora oggi, è ancora in anticipo sui tempi. "Scommetterei, scrisse a un amico nel 1822, che tra vent'anni suoneremo, in Francia, Shakespeare in prosa". Trentatré anni fa, e, molto certamente, signora, non avremo questo godimento durante la nostra vita. Il signor Courbet è lungi dall'essere accettato oggi, lo sarà certamente prima di qualche anno.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Non sarebbe recitare la parte del ficcanaso scrivere, tra vent'anni, che avevo indovinato M. Courbet?</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il pubblico non si preoccupa molto degli asini che ragliano quando la musica di Rossini è eseguita in Francia; lo spirituale, l'amoroso Rossini fu trattato ai suoi inizi con la stessa scarsa considerazione del signor Courbet. Molti insulti sono stati stampati sulle sue opere come sulla sepoltura.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Che senso ha avere ragione? Non abbiamo mai ragione.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Due badili di villaggio dalla faccia rossa, due sacchi di vino, serviranno da tema per quelle riviste letterarie di cui vi parlavo prima; metterli in contrasto, nello stesso quadro, con i graziosi bambini, il gruppo di donne, le dolenti, belle nel loro dolore come tutte le Antigoni dell'antichità, è impossibile avere ragione.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il sole splende a mezzogiorno sulle rocce, l'erba è allegra e sorride ai raggi, l'aria è fresca, lo spazio è grande, si riscopre la natura delle montagne, se ne respirano i profumi; arriva un burlone che, per aver tratto la sua educazione e la sua arguzia dal ‘Journal pour rire’, metterà in ridicolo le ‘Demoiselles de village’.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>La critica è un brutto mestiere che paralizza le facoltà più nobili dell'uomo, le spegne e le annienta: perciò la critica ha reale importanza solo nelle mani di illustri creatori: Diderot, Goethe, voi, Madame, Balzac, e altri, che preferiscono bagnarsi fibre entusiaste ogni mattina piuttosto che annaffiare i cardi che ogni critico tiene chiusi alla finestra in un brutto vaso.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Ho trovato, in avenue Montaigne, queste famose bagnanti, più piene di scandali che di carne. Sono passati due anni da quando questo famoso clamore si è spento, e tutto quello che vedo oggi è una creatura solidamente dipinta che ha commesso il grave errore, per gli amici del convenzionale, di non ricordare le Veneri Anadiomene dell'antichità.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il signor Proudhon, nella ‘Filosofia del progresso’ (1853), giudicava seriamente le Bagnanti: "L'immagine del vizio come della virtù è tanto nel dominio della pittura quanto della poesia: a seconda della lezione che l'artista vuole dare, ogni figura, bella o brutta, può adempiere allo scopo dell'arte."</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Qualsiasi figura, bella o brutta, può soddisfare lo scopo dell'arte!</i></div><div style="text-align: justify;"><i>E il filosofo continua: «Il popolo, riconoscendosi nella sua miseria, impari ad arrossire per la sua viltà e a detestare i suoi tiranni; l'aristocrazia, esposta nella sua grassa e oscena nudità, riceva, su ogni suo muscolo, la flagellazione del suo parassitismo, della sua insolenza e della sua corruzione». Passo poche righe e arrivo alla conclusione: "E che ogni generazione, depositando così sulla tela e sul marmo il segreto del suo genio, giunge ai posteri senza altra colpa o apologia che le opere dei suoi artisti". Queste poche parole non ci fanno forse dimenticare le stupidaggini che non dovremmo né ascoltare né udire, ma che infastidiscono come una mosca insistente nel suo ronzio?</i></div><div style="text-align: justify;"><i>‘L'atelier del pittore’, di cui si parlerà intensamente, non è l'ultima parola del signor Courbet. Sedotto dai grandi maestri fiamminghi e spagnoli che, in ogni tempo, hanno raggruppato intorno a sé la loro famiglia, i loro amici, i loro mecenati, il signor Courbet ha voluto provare a lasciare questa volta il dominio della pura realtà: vera allegoria, dice nel suo Catalogo. Sono due parole che giurano insieme, e che mi turbano un po'. Bisogna fare attenzione a non piegare il linguaggio a idee simboliche che il pennello può tentare di tradurre, ma che la grammatica non adotta. Un'allegoria non può essere reale, non più di quanto una realtà possa diventare allegorica: la confusione è già abbastanza grande su questa famosa parola ‘realismo’, senza che sia necessario confonderla ancora di più.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il pittore è al centro del suo studio, vicino al cavalletto, intento a dipingere un paesaggio, allontanandosi dalla tela in posa vittoriosa e trionfante. Una donna nuda è in piedi vicino al cavalletto. Poserà in questo paesaggio? Questo è ciò che sembra strano. A due passi dal pittore c'è un piccolo contadino che dà le spalle al pubblico, di cui non si vede il volto e la cui pantomima è così espressiva che si intravedono gli occhi, la bocca. Questo piccolo contadino è la figura migliore del dipinto. È piuttosto sconcertato nel vedere su una tela questi alberi dopo i quali si arrampica, questa vegetazione su cui si rotola, queste rocce su cui passa il suo tempo al sole, inseguendo i nidi.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>A destra, una donna di società a braccetto con il marito viene a visitare il laboratorio, il suo bambino gioca con le stampe. (È proprio sicuro il signor Courbet che un bambino piccolo di un ricco borghese entrerebbe in uno studio con i suoi genitori quando c'è una donna nuda lì?) Poeti, musicisti, filosofi, amanti, occupano ciascuno a modo suo durante il lavoro del artista. Tanto per la realtà.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>A sinistra, mendicanti, ebrei, donne che allattano, becchini, pagliericci, un bracconiere che guarda con disprezzo un cappello piumato, un pugnale, ecc. (defunti del romanticismo senza dubbio), rappresentano l'allegoria, vale a dire che tutti questi personaggi delle classi inferiori sono quelli che l'artista ama dipingere, traendo ispirazione dalla miseria dei miserabili. Tale è, grosso modo, la sostanza di questo quadro, al quale preferisco, da parte mia, il ‘Seppellimento di Ornans’.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Molti saranno, secondo me, i primi negazionisti di M. Courbet; ma non ho paura di schierarmi momentaneamente con loro, mentre spiego i miei pensieri. Nel campo delle arti è consuetudine mettere fuori combattimento i vivi con i morti, le nuove opere di un maestro con le sue vecchie. Coloro che, all'inizio, avranno più gridato contro la ‘Sepoltura’, saranno necessariamente quelli che oggi la loderanno di più. Non volendo confondermi con i nichilisti, devo dire che colpisce il pensiero del Sepolcro, chiaro a tutti, che è la rappresentazione di una sepoltura in un piccolo paese, e che tuttavia riproduce le sepolture di tutte le piccole città.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il trionfo dell'artista che dipinge le individualità risponde alle intime osservazioni di ciascuno, sceglie, in tal modo, un tipo che ognuno creda di averlo conosciuto e possa esclamare: "Quello è vero, io ho visto!" Il ‘Seppellimento’ possiede queste facoltà al massimo grado: commuove, addolcisce, fa sorridere, dà da pensare e lascia nella mente, nonostante la tomba semiaperta, questa suprema tranquillità condivisa dal becchino, tipo grandioso e filosofico che il pittore seppe riprodurre in tutta la sua bellezza di uomo del popolo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Dal 1848 il signor Courbet ha il privilegio di stupire la folla: ogni anno ci si aspettano sorprese, e finora il pittore ha risposto agli amici come ai nemici.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Nel 1848 il ‘Dopo cena a Ornans’, grande dipinto d'interni di famiglia, ottiene un vero successo senza troppe polemiche. È sempre così agli inizi di un artista. Poi vennero gli scandali successivi:</i></div><div style="text-align: justify;"><i>1° scandalo . — La sepoltura a Ornans (1850).</i></div><div style="text-align: justify;"><i>2° scandalo . - Le fanciulle del villaggio (1851).</i></div><div style="text-align: justify;"><i>3 ° scandalo. — Le bagnanti (1852).</i></div><div style="text-align: justify;"><i>4° scandalo . - Realismo. — Mostra privata. - Manifesto. — Quaranta dipinti esposti. — Combinazione di vari scandali, ecc. (1855).</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Ora, di tutti questi scandali, preferisco il ‘Seppellimento’ a tutte le altre tele, per il pensiero che vi è racchiuso, per il dramma completo e umano dove il grottesco, le lacrime, l'egoismo, l'indifferenza, sono trattati come un gran maestro. ‘La sepoltura di Ornans’ è un capolavoro: dopo l'assassinato Marat di David, nulla, in quest'ordine di idee, è stato dipinto in modo più sorprendente in Francia.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Les Baigneuses, les Lutteurs, les Casseurs de pierre, non contengono le idee che siamo stati bravi a metterci a posteriori. Lo ritroverò di più in Les Demoiselles de village e nei tanti paesaggi che dimostrano quanto M. Courbet sia legato alla sua terra natale, alla sua profonda nazionalità locale e al vantaggio che ne può trarre.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Ripetiamo ancora una volta questa vecchia barzelletta: viva il brutto! è amabile solo il brutto, che si mette in bocca al pittore; è sorprendente che si osi raccogliere una tale assurdità, che è stata lanciata, già trent'anni fa, alla testa del signor Victor Hugo e della sua scuola. Sempre il sistema della vecchia tragedia rinascerà dalle sue ceneri. I progressi sono molto lenti e abbiamo fatto pochi progressi per trent'anni.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Quindi è dovere di tutti coloro che lottano aiutarsi a vicenda, attirare se necessario l'ira dei mediocri, essere saldi nelle loro opinioni, seri nei loro giudizi, e non imitare la prudenza del vecchio.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>La mia mano è piena di verità, mi affretto ad aprirla.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Questa lettera, signora, è solo l'annuncio di alcune altre lettere che trattano più direttamente delle nuove idee che si respirano e che cercherò di fissare, applicandomi soprattutto a quelle relative alla letteratura.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Ho criticato un po' ‘L'Atelier du painter’, anche se c'è un vero progresso nello stile del signor Courbet: senza dubbio trarrà beneficio dall'essere visto più tranquillamente in altri momenti. La mia prima impressione è stata tale, e generalmente credo alla mia prima impressione. Pettegolezzi, commenti, recensioni di giornali, amici e nemici, poi turbano il cervello a tal punto che è difficile trovare il pensiero nella sua prima purezza: ma sopra l'impressione, metto le opere misteriose del tempo, che demolisce un'opera o lo ripristina. Ogni opera piena di convinzione è trattata con amore dal tempo, che passa la sua spugna solo sull'inutilità della moda, delle graziose imitazioni del passato e delle opere di convenzione.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Se c'è una qualità che il signor Courbet possiede al massimo grado, è la convinzione. Non puoi negarlo più del calore al sole. Cammina con passo sicuro nell'arte, mostra con orgoglio da dove è partito, dove è arrivato, somigliando in questo al ricco fabbricante che aveva appeso al suo soffitto gli zoccoli che lo avevano portato a Parigi.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il Ritratto dell'Autore (studio dei Veneziani), come egli stesso dice nel suo catalogo, Testa di fanciulla (pastiche fiorentino), il Paesaggio Immaginario (pastiche fiammingo), infine l'Affût, che l'autore si intitola piacevolmente Studio landscape, sono gli zoccoli con cui arrivò da Ornans e che gli servirono per rincorrere la natura.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Queste poche tavole appartengono al dominio della convenzione; che passi da gigante ha fatto il pittore da allora per lasciare questo paese amato dai pittori del quartiere di Bréda! Sicuramente avrebbe ottenuto successo in questo paese, se avesse avuto la pigrizia di rimanervi, e avrebbe ingrossato la popolazione di un centinaio di artisti di talento, il cui successo è così grande alle vetrine dei mercanti di quadri di Rue Notre-Dame Dama di Lorette.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Che mestiere facile fare cose belle, tenere, graziose, preziose, falsi ideali, cose adatte all'uso delle ragazze e dei banchieri! Il signor Courbet non ha seguito questa strada, guidato peraltro dal suo temperamento. Così il signor Proudhon gli annunciò il suo destino nel 1853.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Il pubblico, ha detto, vuole che lo facciamo bello e crede che sia così.</i></div><div style="text-align: justify;"><i>"Un artista che, nell'esercizio del suo studio, seguisse i principi dell'estetica qui formulati (ricordo l'assioma precedente: ogni figura bella o brutta può adempiere allo scopo dell'arte), sarebbe trattato come sedizioso, espulso dalla competizione, privato degli ordini statali e condannato a morire di fame".</i></div><div style="text-align: justify;"><i>Questa questione della bruttezza in relazione a Les Baigneuses, il filosofo l'ha trattata da un luogo elevato. Sa quanto peso ha il morale sul fisico. Il caricaturista Daumier ha visto il fatto dal lato grottesco. Gli eterni borghesi che ha immortalato con la sua matita e che vivranno i secoli in tutta la loro bruttezza moderna, esclamano guardando un quadro del signor Courbet: "È possibile dipingere persone così orribili?" Ma soprattutto i borghesi, che abbiamo troppo denigrato è necessario collocare una classe più intelligente, che abbia tutti i vizi della vecchia aristocrazia senza averne le qualità. Intendo i figli dei borghesi, una razza che ha approfittato delle fortune di medici, avvocati, mercanti, che non ha fatto nulla, non ha imparato nulla, che si è buttato nei circoli di gioco, che ha la mania dei cavalli, dell'eleganza, che tocca tutto, anche la scrittura scrivania, che compra anche un'amante e un quarto di giornale, che vuole comandare donne e scrittori, è in vista di questa nuova razza che il filosofo Proudhon concludeva le sue valutazioni sul signor Courbet: "Il magistrato, il soldato, il commerciante, il contadino, tutte le condizioni della società, vedendosi alternativamente nell'idealismo della loro dignità e della loro bassezza, imparino, per gloria e per vergogna, a rettificare le loro idee, a correggere i loro costumi e perfezionare le loro istituzioni»</i>.</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-82343424279572091542023-11-20T01:11:00.000-08:002023-11-20T01:12:14.742-08:00I fiamminghi 5: la prima fase dei Duchi di Borgogna Di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">Lo scorso anno abbiamo lasciato Filippo l’Ardito ai suoi solenni funerali di stato, celebrati a Digione e abbiamo visto anche il suo pregiatissimo mausoleo funebre.</div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fig. 1</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxaA_x1xl-RfhC00Y16jSROZMX09qbxEzYoqHzGiDVEVWc4JuM0TrTXaKLcvflUFXDlwqPn0xJJOaclfCABQlKZKK5gpu1-AyEUwo5A3wt7BEl7M8Bve_4lfWuJSYN1REdfHAo-RuTnTlBuD8kIG0A2wT-GbIhBwFL09q2v12H9Ahefk5lycvpAu3FLY4/s901/fig.%201%20-%20Claus-Sluter-Tomb-of-Philip-the-Bold-Duke-of-Burgundy-2-.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="901" height="498" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxaA_x1xl-RfhC00Y16jSROZMX09qbxEzYoqHzGiDVEVWc4JuM0TrTXaKLcvflUFXDlwqPn0xJJOaclfCABQlKZKK5gpu1-AyEUwo5A3wt7BEl7M8Bve_4lfWuJSYN1REdfHAo-RuTnTlBuD8kIG0A2wT-GbIhBwFL09q2v12H9Ahefk5lycvpAu3FLY4/w640-h498/fig.%201%20-%20Claus-Sluter-Tomb-of-Philip-the-Bold-Duke-of-Burgundy-2-.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Oggi, dopo tanti preamboli, ancorché necessari per avvicinarsi consapevolmente alla pittura fiamminga – una quasi <i>introduzione</i>, il <i>Rinascimento</i> e la sua diffusione e la <i>questione fiamminga</i> –, riprendo il mio racconto da quel punto, cioè dalla successione di <i>Giovanni I di Borgogna</i>, il celebre <i>Giovanni Senza Paura</i>, duca di Borgogna dal 1404 al 1419.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 2</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn9jKlKHEtwNJ-kAx9vinCivWrXkyQlM-Fqj-dVv_tMa1-pcLgIXPQRljWVYnjlgL3gTB0mhYPU8HQvdzowrlRrlL6srOdJIxnQzf3xaot5dtJnur79B_-sURrzi-sH4JXpgRwiNE_D8XYDW-5H5thrUjWfzjVr1dJsd9QNxnd_-QRP8V1Gh53tn2OxSs/s489/fig.%202%20-%20John_duke_of_burgundy.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="489" data-original-width="445" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn9jKlKHEtwNJ-kAx9vinCivWrXkyQlM-Fqj-dVv_tMa1-pcLgIXPQRljWVYnjlgL3gTB0mhYPU8HQvdzowrlRrlL6srOdJIxnQzf3xaot5dtJnur79B_-sURrzi-sH4JXpgRwiNE_D8XYDW-5H5thrUjWfzjVr1dJsd9QNxnd_-QRP8V1Gh53tn2OxSs/w582-h640/fig.%202%20-%20John_duke_of_burgundy.jpg" width="582" /></a></div><div style="text-align: justify;">Giovanni I di Borgogna, principe di sangue reale della casa capetingia di Valois, fu duca e conte di Borgogna, conte di Nevers, conte di Artois e di Fiandre e signore di Salins, di Mechelen e di altri luoghi dal 1404 alla sua morte.</div><div style="text-align: justify;">Al momento della successione, il nuovo duca aveva trentatré anni.</div><div style="text-align: justify;"><i>Filippo l’Ardito</i>, per stringere un’alleanza fruttuosa con la <i>Casa di Baviera-Hainaut</i>, aveva negoziato, favorevolmente per la Borgogna, il matrimonio del giovanissimo Giovanni, con Margherita, figlia di <i>Alberto I di Baviera-Hainaut</i>, facendo così acquisire per il futuro diritti su <i>Hainaut</i>, <i>Olanda</i>, <i>Zelanda</i> e <i>Frisia occidentale</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8VwAfxxK6DpSYlMYOb-Sa3lUO9M1w4jbd9sPZabBdtDfvIQ9NwlzWlqB-Wjtt4R0F93IZveE0g6MDMwKc-VksJIALmInhWF7H5PN7S2_ejmyODJ9jW2U5FpEljHU8Ht4ESMmNKsG2kMxRKMHxWZylrzbNzcp6b6P6sdwpDrIArcJB4b4KUheCjgsVwsc/s629/fig.%203%20-Flemish_School_-_Lille_-_Margaret_of_Bavaria.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="629" data-original-width="447" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8VwAfxxK6DpSYlMYOb-Sa3lUO9M1w4jbd9sPZabBdtDfvIQ9NwlzWlqB-Wjtt4R0F93IZveE0g6MDMwKc-VksJIALmInhWF7H5PN7S2_ejmyODJ9jW2U5FpEljHU8Ht4ESMmNKsG2kMxRKMHxWZylrzbNzcp6b6P6sdwpDrIArcJB4b4KUheCjgsVwsc/w454-h640/fig.%203%20-Flemish_School_-_Lille_-_Margaret_of_Bavaria.jpg" width="454" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quando Giovanni succedette a suo padre, continuò con fermezza la sua stessa politica di espansione, consolidando le basi di uno stato borgognone, attuando innanzi tutto una politica matrimoniale: negoziò infatti il matrimonio di suo fratello Antonio duca di Brabante con <i>Elisabeth de Goerlitz</i>, duchessa di Lussemburgo. Con questo matrimonio i duchi di Borgogna stendevano un ponte tra i loro paesi settentrionali e quelli della Borgogna a Sud.</div><div style="text-align: justify;">Quando nel 1415 Antonio morì, combattendo nella battaglia di Azincourt nelle file dell'esercito francese, suo figlio Giovanni IV gli succedette come duca di Brabante; nel 1418, questo giovane principe sposò <i>Jacqueline</i> o <i>Giacomina di Baviera</i>, figlia del conte <i>Guglielmo IV di Hainaut-Holland</i>, già cognato di Giovanni Senza Paura. Guglielmo IV era appena morto e Jacqueline era la sua unica erede.</div><div style="text-align: justify;">A questo punto è però necessario fare un passo indietro e rivolgere il nostro sguardo su Parigi, vale a dire sulla Francia.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1388, il ventenne re Carlo VI aveva recuperato di fatto il trono, lasciato per la sua minorità nelle mani dei suoi zii paterni, i duchi d'Angiò, di Berry, di Borgogna e dello zio materno il duca Luigi II di Borbone.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2d/Dialogues_de_Pierre_Salmon_-_BNF_Fr23279_f1v_%28sc%C3%A8ne_de_d%C3%A9dicace%29_%28cropped%29.jpeg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2d/Dialogues_de_Pierre_Salmon_-_BNF_Fr23279_f1v_%28sc%C3%A8ne_de_d%C3%A9dicace%29_%28cropped%29.jpeg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZUB4ZPeUIRGUbbDScmZxrBzsUdJ4fsnelWUhxYiWovmY5waiIlZtCXS5t6L7IM_83zk_pDpXfhnalKHPQ7zBOPkV9EOvHMH05OXcrefSWj8bH2hYtMpd8Jq79BNaRAuB1myhV3nAehtqlRZh9juGMGjsDfNyuX070LkVnxPkGPJhggSCAOuzAxMcp6bo/s1087/fig.%204%20-%20Dialogues_de_Pierre_Salmon_-_BNF_Fr23279_f1v_(sc%C3%A8ne_de_d%C3%A9dicace)_(cropped).jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1087" data-original-width="591" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZUB4ZPeUIRGUbbDScmZxrBzsUdJ4fsnelWUhxYiWovmY5waiIlZtCXS5t6L7IM_83zk_pDpXfhnalKHPQ7zBOPkV9EOvHMH05OXcrefSWj8bH2hYtMpd8Jq79BNaRAuB1myhV3nAehtqlRZh9juGMGjsDfNyuX070LkVnxPkGPJhggSCAOuzAxMcp6bo/s16000/fig.%204%20-%20Dialogues_de_Pierre_Salmon_-_BNF_Fr23279_f1v_(sc%C3%A8ne_de_d%C3%A9dicace)_(cropped).jpeg" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Il giovane re, ottenuto il potere, continuò le riforme dello Stato già intraprese dal padre, e si diede all’organizzazione di feste grandiose, specialmente in occasione del suo matrimonio con Isabella di Baviera.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSyyH3Tiom_3MiUgmhLTion5bJFwXHWhKRpIhwDOTNyZHfvq_0r7nI3YrGL87RKUq-c5k8rFu6nwzSWhRjgBQf2D25Qh8bCCqVu9SPHfCllNGofw7x2KOAPVUAgcUImM9ZMPuHLyQZDsNmCcjXtqdP2yAmbxTncgjIfvncZ6a2FWVkkmz3XmEVuKi3ZMY/s579/fig.%205%20-%20Christine_de_Pisan_and_Queen_Isabeau_detail.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="579" data-original-width="484" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSyyH3Tiom_3MiUgmhLTion5bJFwXHWhKRpIhwDOTNyZHfvq_0r7nI3YrGL87RKUq-c5k8rFu6nwzSWhRjgBQf2D25Qh8bCCqVu9SPHfCllNGofw7x2KOAPVUAgcUImM9ZMPuHLyQZDsNmCcjXtqdP2yAmbxTncgjIfvncZ6a2FWVkkmz3XmEVuKi3ZMY/w534-h640/fig.%205%20-%20Christine_de_Pisan_and_Queen_Isabeau_detail.jpg" width="534" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il povero Carlo però, dal 1392 incominciò a soffrire di gravi disturbi mentali e diventò sistematicamente vittima di attacchi di dissociazione mentale, che peggioravano di anno in anno.</div><div style="text-align: justify;">I suoi zii ripresero allora il potere, ognuno di loro cercando come durante la minorità del re di far prevalere i propri interessi, ma la figura preminente di questo <i>consiglio di reggenza</i> rimase comunque quella del duca Filippo di Borgogna che sapeva tenere a bada il giovane, ambizioso e spendaccione duca Luigi d’Orleans, fratello minore del re ammalato.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguZS5iC5nSyQ0TF0sWgyPnM1VSRvQ_uLNhwETOHul0kqL4fWCPvV6cihD6LrUJlWxQ1JvIgCVdFP6e3F-MDjVD2MpYJ8FGRyFe0EJOiQWo5Am9JSnQuzQNwcp_FCX7Tk93vuKE7Cb89wFNqU-iFrivB6DmE-c-EF-frs3KX48Ci2PT32-zOqpKTS2dLqE/s1268/fig.%206%20-%20Attribu%C3%A9_%C3%A0_Colart_de_Laon_-_Louis_d'Orl%C3%A9ans_(detail_de_la_Pri%C3%A8re_dans_les_jardins_des_oliviers).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1268" data-original-width="873" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguZS5iC5nSyQ0TF0sWgyPnM1VSRvQ_uLNhwETOHul0kqL4fWCPvV6cihD6LrUJlWxQ1JvIgCVdFP6e3F-MDjVD2MpYJ8FGRyFe0EJOiQWo5Am9JSnQuzQNwcp_FCX7Tk93vuKE7Cb89wFNqU-iFrivB6DmE-c-EF-frs3KX48Ci2PT32-zOqpKTS2dLqE/w440-h640/fig.%206%20-%20Attribu%C3%A9_%C3%A0_Colart_de_Laon_-_Louis_d'Orl%C3%A9ans_(detail_de_la_Pri%C3%A8re_dans_les_jardins_des_oliviers).jpg" width="440" /></a></div><div style="text-align: justify;">Alla morte però del duca Filippo nel 1404, suo figlio Giovanni non riuscì a godere dello stesso ruolo di primo piano di cui aveva goduto suo padre nel <i>Consiglio Reale</i> in qualità di zio del re. La follia di Carlo VI rese la sua corte il luogo ideale di intrighi tra i <i>principi di sangue reale</i> cioè i figli e i nipoti discendenti maschi da un capostipite sovrano di Francia, che nel caso specifico erano i discendenti di Filippo VI di Valois.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Fin dall'inizio della malattia mentale di Carlo VI, due campi si erano battuti per il controllo del <i>consiglio di reggenza</i>: quello guidato da Filippo di Borgogna, il potente zio del re, e quello dell’ambiziosissimo Luigi I d'Orléans, fratello di Carlo VI. Dopo la morte di Filippo l’Ardito però, l’influenza di Luigi d'Orléans sul <i>consiglio di reggenza</i> crebbe molto e nella stessa misura diminuì il potere del nuovo duca di Borgogna Giovanni.</div><div style="text-align: justify;">La lotta per il potere tra i due duchi d'Orleans e di Borgogna scoppiò con una violenza tale che la feudalità francese si divise in due campi avversi. La situazione si aggravava ulteriormente perché i delfini che la regina Isabella aveva partorito purtroppo morivano l’uno dopo l'altro, pertanto il duca d'Orleans cominciava a cullare il sogno che un giorno sarebbe salito lui al trono e, nel frattempo, prendeva posto nell’alcova della regina.</div><div style="text-align: justify;">All'inizio, la disputa fra i due cugini rispettò, o per lo meno cercò di rispettare, delle forme <i>cortesi</i>, ma l'odio tra due i rivali era troppo profondo e gli interessi in gioco troppo alti.</div><div style="text-align: justify;">Giovanni non beneficiava dello stesso ruolo svolto dal padre, essendo soltanto un cugino del re, ma era bisognoso quanto il padre delle finanze reali per espandere ulteriormente il suo principato, i suoi interessi si scontravano però con quelli del duca d'Orleans.</div><div style="text-align: justify;">Ridimensionato nel <i>consiglio di reggenza</i>, Giovanni giunse a marciare su Parigi e poi a progettare nel 1407 l'assassinio di Luigi d'Orléans: finanziando però l'omicidio di suo cugino, fece precipitare il Regno di Francia in una sanguinosa guerra civile tra gli <i>Armagnacchi</i> – sostenitori della <i>Casa d'Orléans</i>, che desideravano vendicare l'assassinio del duca Luigi, dapprima guidati dal giovane Carlo d’Orleans, figlio del duca assassinato, e successivamente da suo suocero <i>Bernardo VII d'Armagnac</i> –, e i <i>Borgognoni</i> riuniti dietro il duca Giovanni che in quel momento era il più potente feudatario di Francia.</div><div style="text-align: justify;">Durante questa guerra civile, per circa un trentennio dal 1407 al 1435 le due fazioni si contesero la capitale e il controllo della reggenza di Carlo VI.</div><div style="text-align: justify;">Oltre a queste rivalità dettate da interessi personali e dinastici, c’erano tuttavia anche sensibili differenze fra le due diverse concezioni di Stato e quelle in materia di religione, di economia e di diplomazia.</div><div style="text-align: justify;">Questa guerra intestina indebolì molto la Francia, già in conflitto con l'Inghilterra nell’interminabile <i>Guerra dei Cent'anni</i>, dando a questo conflitto nuova linfa vitale e portando il nuovo re d'Inghilterra, Enrico V, grande statista, a cogliere l'occasione per rivendicare di nuovo i diritti che i Plantageneti inglesi vantavano sul trono di Francia.</div><div style="text-align: justify;">Entrambe le fazioni cercarono il sostegno del potente sovrano inglese tanto che la guerra civile, insieme ai negoziati segreti condotti dalle due parti con Enrico V d'Inghilterra, rinfocolò nuovamente il conflitto anglo francese.</div><div style="text-align: justify;">Enrico, progettò quindi una nuova spedizione e, sbarcato il 13 agosto del 1415 in una località vicina alla città francese di Harfleur, giunse dopo un mese di assedio a espugnare quest’importante piazzaforte, assicurandosi così una testa di ponte in Normandia. Il re inglese però intendeva raggiungere Calais, riprenderne il controllo e imbarcarsi poi per l’Inghilterra, ma l’esercito francese volle attaccare ad Azincourt e, approfittando della sua superiorità numerica, tentò di sbarrare la strada all'esercito del re d'Inghilterra.</div><div style="text-align: justify;">La battaglia che ne seguì il 25 ottobre 1415 provocò una significativa sconfitta per l’esercito francese: la cavalleria pesante, resa meno efficace dal terreno fangoso e dalle trincee inglesi, fu trafitta da arcieri inglesi e gallesi, dotati di grandi archi a lunghissima gittata. L’esercito francese fu sgominato con l’ordine di Enrico V di non fare prigionieri e la battaglia si concluse con l'inaspettata e schiacciante vittoria dell’esercito inglese, nonostante le truppe francesi fossero molto superiori per numero e per cavalieri. Il più potente dei feudatari francesi, il duca Giovanni di Borgogna, era assente dalla battaglia: avrebbe voluto partecipare e aveva perfino mobilitato le sue truppe, ma il governo in quel momento guidato dagli Armagnacchi aveva da un lato ordinato al duca di Borgogna di inviare 500 uomini d'arme e 300 arcieri, ma dall’altro aveva fatto sapere che la sua presenza non era gradita. Giovanni senza Paura ordinò allora ai suoi vassalli di non andare in battaglia, un ordine che fu ovviamente disatteso infatti molti dei cavalieri francesi uccisi nella battaglia erano sudditi del duca di Borgogna, compresi i suoi fratelli Antonio di Brabante e Filippo de Nevers.</div><div style="text-align: justify;">La battaglia di Azincourt, in cui la cavalleria francese era stata sonoramente sconfitta dai soldati inglesi in inferiorità numerica, è il simbolo della fine dell'epoca della cavalleria e dell'inizio della supremazia delle armi a distanza su quelle corpo a corpo. Questa battaglia segnò una svolta nell'arte della guerra in Europa: eserciti più maneggevoli e più articolati sconfiggevano masse eterogenee guidate dai propri feudatari dando retta solo al loro comandante e non al Connestabile del Regno sebbene fossero piene di coraggio e di nobiltà cavalleresca.</div><div style="text-align: justify;">La disfatta della cavalleria francese di Azincourt, che seguiva quelle di Crécy del 1346 e di Poitiers del 1356, privò temporaneamente la Francia dei quadri dirigenti amministrativi e militari a causa dei numerosi uccisi anche tra gli ufficiali e i siniscalchi del re ed evidenziò la concezione superata che gli eserciti francesi avevano della guerra, in particolare del ruolo della cavalleria, mentre inglesi a occidente e ottomani a oriente avevano già organizzato eserciti uniti e disciplinati. I francesi, superiori in numero erano però incapaci di obbedire ad un unico comandante e come nella battaglia di Poitiers sessant'anni prima, avrebbero potuto avere interesse a negoziare con il re nemico, che nel frattempo data la disparità numerica aveva abbandonato il suo proposito di rivendicare la corona di Francia.</div><div style="text-align: justify;">La sconfitta francese e il massacro voluto da Enrico V fu una delle cause principali di innesco della grande epopea di Giovanna d'Arco e, successivamente, dei grandi investimenti economici nel settore dell'artiglieria che sarebbe diventata una specialità francese nell’arte della guerra.</div><div style="text-align: justify;">In seguito al massacro subito – prigionieri sgozzati, arsi vivi nei fienili dati alle fiamme – questa battaglia suscitò infine, nella popolazione francese un’anglofobia che alimentò un patriottismo preesistente in Francia fin dai tempi della <i>battaglia di Bouvines</i> e costantemente aumentata durante la <i>Guerra dei Cent'anni</i>.</div><div style="text-align: justify;">Dalla sconfitta di Azincourt in poi, con la ventennale prigionia di Carlo d’Orleans, il partito degli Armagnacchi trovò un altro simbolo per il quale combattere e si schierò dalla parte del Delfino Carlo, il futuro Carlo VII, che in seguito al <i>Trattato di Troyes</i> era stato disconosciuto e diseredato dal re, (ciò implicitamente ammetteva la relazione della regina col defunto cognato), e la coppia reale aveva adottato come successore al trono Enrico V, in quanto fresco sposo della loro penultima figlia, la principessa Caterina di Valois.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1419, mentre Giovanni Senza Paura tentava una riconciliazione con la fazione degli Armagnacchi per respingere congiuntamente l'offensiva inglese, fu assassinato sul <i>ponte di Montereau</i> alla presenza del delfino Carlo.</div><div style="text-align: justify;">L'assassinio di Giovanni Senza Paura portò i Borgognoni ad allearsi apertamente con gli inglesi e per tutto il Quattrocento quest’evento delittuoso rimase una condizione fondamentale nella discordia tra la <i>Casa di Francia</i> e la <i>Casa di Borgogna</i>.</div><div style="text-align: justify;">Con quest’atto si concludeva la prima fase del governo dei duchi di Valois Borgogna e un’altra fase della <i>Guerra dei Cent’anni</i> che sembrava ormai non avere mai fine.</div><div style="text-align: justify;">Come abbiamo già visto lo scorso anno, il primo centro della cultura borgognona legato ai Valois si era formato a Digione, ma non subito: Filippo l’Ardito, sentendosi inizialmente molto legato alla Francia, non si era quasi preoccupato del suo ducato. Gradualmente però, gli affari delle Fiandre e del Brabante lo avevano assorbito sempre più e questo rese la sua posizione più indipendente e più interessato ai suoi stati.</div><div style="text-align: justify;">Contemporaneamente, il grande sviluppo dell'Arte nelle Fiandre aveva incominciato a sedurlo. Tra le varie commissioni artistiche di Filippo l’Ardito, il sito più importante era stato quello della <i>Certosa di Champmol</i> che sarebbe dovuto essere il sacrario dei duchi come Saint Denis lo era per i re di Francia.</div><div style="text-align: justify;">Sempre lo scorso anno abbiamo visto anche diversi artisti olandesi rispondere agli inviti del duca e lasciare il loro paese per la capitale borgognona: i pittori <i>Melchior Broederlam</i> e <i>Jean Malouel</i>, e lo scultore <i>Claus Sluter</i>. Ed era stato proprio l'arrivo di Claus Sluter sul cantiere di Champmol che aveva provocato una vera e propria rivoluzione estetica, voltando le spalle alle forme flessuose ed eleganti del <i>Gotico internazionale</i> a favore di un nuovo stile monumentale più potente ed espressivo.</div><div style="text-align: justify;">Mentre in Borgogna si preparava la strada dell’Arte fiamminga, in Francia, il massimo splendore del <i>Gotico internazionale</i> coincise proprio con il lungo e tormentato regno di Carlo VI (1380-1422).</div><div style="text-align: justify;">Lo stile franco fiammingo non fu solo erede dello <i>stile della corte</i> e delle sue estensioni nell'arte a Parigi del primo periodo Valois, ma fu anche l’erede della grande arte senese di <i>Simone Martini</i>, assimilata come è noto attraverso la corte dei papi ad Avignone, e preannunciava i tempi nuovi della sua evoluzione nel realismo fiammingo con <i>Robert Campin</i> e <i>Jan van Eyck</i>.</div><div style="text-align: justify;">Questi artisti <i>franco-fiamminghi</i>, tesero a creare un'arte di corte borgognona o, se si vuole raffigurando in maggiore misura soggetti biblici ed episodi della vita di santi, ma anche soggetti ispirati a opere poetiche profane, con un <i>design</i> elegante, un colore tanto più luminoso in quanto contrastava con lo scintillio degli sfondi dorati.</div><div style="text-align: justify;">Tra Avignone e Bruges, quindi, la geografia politica e artistica dei quarantadue anni di regno di Carlo VI determinò una grande diffusione d’Arte, favorita dall'istituzione delle corti principesche d’Angiò, di Berry, di Borgogna e dai rapporti privilegiati fra i duchi e i territori dei loro rispettivi principati.</div><div style="text-align: justify;">Tra il 1380 e il 1450, molti artisti nati nelle Fiandre erano giunti a lavorare in Francia, a Parigi come ad Angers, come a Bourges e come a Digione.</div><div style="text-align: justify;">La sensibilità dei duchi verso una modernità realistica di origine italiana – proveniente dalla miniatura lombarda e dalle opere che i maestri italiani avevano lasciato ad Avignone – e soprattutto quella dell'acuta osservazione della natura degli artisti provenienti dalle Fiandre, diventarono le componenti fondamentali della miniatura franco-fiamminga dell’ultimo quarto del Trecento e del primo Quattrocento, che raggiunse una sintesi tra la tradizione aristocratica dei modi cortesi francesi e il gusto tipicamente olandese per un naturalismo molto più sensibile e per un'espressione di chiara estrazione <i>borghese</i>.</div><div style="text-align: justify;">Ma accanto al grande mecenatismo dei duchi, ciò che fece aumentare il valore dell’Arte dipese dal fatto che la creazione di un'opera di qualsiasi importanza richiedeva spesso un concorso di talenti e anche rapporti di collaborazione fra le varie specialità artigianali.</div><div style="text-align: justify;">Tecniche complesse e costose come arazzi, vetrate, oreficeria, ebanisteria o libri miniati coinvolgevano varie figure in interazione: per esempio quando intorno al 1375, il duca Luigi I d'Angiò ordinò il celeberrimo <i>Arazzo dell'Apocalisse</i>, si rivolse a <i>Nicolas Bataille</i>, un mercante che gestiva con competenze tecniche d’avanguardia laboratori di tessitura a Parigi, poi chiamò <i>Jan Bondol</i> di Bruges, il pittore di suo fratello il re Carlo V, per creare i cartoni preparatori, infine spettò ai tessitori di Arras interpretare il modello disegnato da Bondol con i fili di lana colorati.</div><div style="text-align: justify;">Il regno dell’infelice Carlo VI presenta un curioso paradosso.</div><div style="text-align: justify;">Politicamente, fu uno dei periodi più turbolenti della storia di Francia: la follia del re che rendeva la corte un covo di vipere, il <i>Grande Scisma</i> che dilaniava la cristianità occidentale con la sua successione di papi e di antipapi, la <i>guerra civile</i> tra Borgognoni e Armagnacchi che dilaniò internamente la Francia, le <i>rivolte</i> nelle strade di Parigi, il ritorno della <i>peste</i>, la <i>sconfitta di Azincourt</i> e l'<i>occupazione inglese</i> gettarono il Paese nel caos.</div><div style="text-align: justify;">Ma artisticamente, quei quarant'anni furono un periodo magico.</div><div style="text-align: justify;">La fioritura delle arti fu straordinaria e in parte era legata proprio alle stesse cause della crisi politica: la rivalità dei principi che si contendevano il potere effettivo portò a un'emulazione nello splendore quasi regale di cui essi amavano circondarsi, spesso indebitandosi fortemente. Il moltiplicarsi dei mecenati che, come figli, fratelli o zii di re, erano in grado di competere con lo stesso mecenatismo regio. I più famosi fra questi principi erano quelli della generazione di Carlo V: i suoi fratelli Luigi I d'Angiò, Giovanni di Berry e Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, e in parte anche suo cognato Luigi II, duca di Borbone. Nel loro mecenatismo, ebbero un illustre modello proprio nel defunto re Carlo V, che era stato un abile collezionista di manoscritti, un amante delle pietre preziose e un grande costruttore.</div><div style="text-align: justify;">Nella generazione successiva ci furono il re Carlo VI e la regina Isabella di Baviera, il fratello del re Luigi d'Orléans e i loro cugini, Luigi II d'Angiò e Giovanni di Borgogna.</div><div style="text-align: justify;">I principi della famiglia di Valois, le loro mogli e i loro figli erano instancabili mecenati. La loro domanda stimolò tutte le forme di artigianato a Parigi, di cui essi erano clienti tanto più attivi in quanto risiedevano più spesso nelle loro residenze parigine che nei loro principati.</div><div style="text-align: justify;">Gli antagonismi tra i grandi signori non devono tuttavia far dimenticare l'importanza che essi attribuivano ai legami familiari e agli affetti che li univano: legami politici e alleanze si manifestavano con frequenti scambi di doni, specialmente sotto forma di <i>omaggi</i> e molti pezzi di oreficeria e altrettanti manoscritti miniati furono commissionati appositamente per questa finalità.</div><div style="text-align: justify;">Le commissioni di Filippo l’Ardito e poi di Giovanni senza Paura fecero di Digione la loro residenza principesca e della Certosa di Champmol un centro di creazione che non solo ha lasciato ai posteri un gran numero di dipinti ma, coloro che lavorarono nell’<i>ambiente di Champol</i> diffusero in altre regioni circostanti lo stile che avevano appreso in Borgogna.</div><div style="text-align: justify;">Gli artisti ufficiali dei duchi di Borgogna si susseguirono con una tale continuità che si potrebbe anche parlare di una vera e propria scuola</div><div style="text-align: justify;">Osserviamone la cronologia.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1375 Filippo l’Ardito assunse <i>Jean de Beaumetz</i> che era già stato al servizio di Giovanni d'Orléans.</div><div style="text-align: justify;">Di origine nordica, Jean de Beaumetz si era formato anche lui nell'ambiente parigino ed era stato il leader di una nuova generazione delle Fiandre. Decorò i castelli di Argilly e Germolles e dipinse tavole e pale d'altare per i monaci della Certosa di Champmol. Intorno al 1375, Jean de Beaumetz dipinse il <i>Calvario alla certosa</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS_o9vNpAtiMFocvgHaAr0Eo3rrFxQw5PLUcfn4jyfclXbRl3Pghj-PGExmSgNK6JMWuaA4S6USkhWDbx4lxRhJXAsCvfuR5g6nnvOIMEf_vZVFlWQnXRkTWVwqfKS8VtrEcvUHma5LlCtzqTNBNnibEL4sXYlwbvY7GwTFJA9ni4kpkoBPyjNtA0sghE/s918/fig.%207%20-%20Dijon_-_Chartreuse_de_Champmol,_crucifixion.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="918" data-original-width="730" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS_o9vNpAtiMFocvgHaAr0Eo3rrFxQw5PLUcfn4jyfclXbRl3Pghj-PGExmSgNK6JMWuaA4S6USkhWDbx4lxRhJXAsCvfuR5g6nnvOIMEf_vZVFlWQnXRkTWVwqfKS8VtrEcvUHma5LlCtzqTNBNnibEL4sXYlwbvY7GwTFJA9ni4kpkoBPyjNtA0sghE/w508-h640/fig.%207%20-%20Dijon_-_Chartreuse_de_Champmol,_crucifixion.jpg" width="508" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quando morì nel 1396, <i>Jean Malouel</i> gli succedette nel favore di Filippo l’Ardito.</div><div style="text-align: justify;"><i>Jean Malouel</i>, zio dei fratelli di Limburgo e pittore alla corte di Borgogna, partecipò alla decorazione della Certosa di Digione, ma lavorò anche a Parigi e all’incirca nel 1400 dipinse la <i>Grande Pietà Rotonda</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig.8</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPyNdfp7U0lw3twzXexLNakwrEpGFamJpSHoqxl__MxQBN5UrZsjy5SI_uCPR2XtXrddp405gUXkCYsDRC3cJoOwZ0-YT3ltDFSptImtmyTF8LDV-S3iNYk1zzdyvX5Cu8YMObSWK43gnBXgWbTTiVwt2Qf8lAD2VPn8aIqYgiLIfug15FHlJXSwIWGaM/s871/fig.%208%20-%20Jean_Malouel_-_Large_Round_Piet%C3%A0_-_WGA13901.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="871" data-original-width="868" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPyNdfp7U0lw3twzXexLNakwrEpGFamJpSHoqxl__MxQBN5UrZsjy5SI_uCPR2XtXrddp405gUXkCYsDRC3cJoOwZ0-YT3ltDFSptImtmyTF8LDV-S3iNYk1zzdyvX5Cu8YMObSWK43gnBXgWbTTiVwt2Qf8lAD2VPn8aIqYgiLIfug15FHlJXSwIWGaM/w638-h640/fig.%208%20-%20Jean_Malouel_-_Large_Round_Piet%C3%A0_-_WGA13901.jpg" width="638" /></a></div><div style="text-align: justify;">In questo meraviglioso tondo, forse il primo nella Storia dell’Arte occidentale, il bellissimo corpo di Cristo è trattato con la massima delicatezza pittorica. Il dolore degli angeli e il sangue che gocciola dalle ferite aperte servono a commuovere i fedeli, ma la preziosità gotica dei gesti sfugge a qualsiasi senso morboso.</div><div style="text-align: justify;">In alcuni punti, l'applicazione dei colori è straordinariamente raffinata. Il pittore utilizzò altre lacche trasparenti e nuovi leganti: questo fu un periodo di transizione verso un rinnovamento delle tecniche pittoriche che avrebbe raggiunto il suo apice pochi anni dopo con l'arte dei <i>fratelli van Eyck.</i> Sul retro, il dipinto reca lo stemma di Borgogna, segno della commissione ducale.</div><div style="text-align: justify;">Questo dipinto, assolutamente di rara bellezza, era probabilmente destinato alla certosa di Champmol e oggi è esposto al <i>Museo del Louvre</i>.</div><div style="text-align: justify;">Ancora di Jean Malouel la <i>Vergine col Bambino</i>, realizzata all’incirca fra il 1410 e il 1412, nota anche come la <i>Vergine delle Farfalle</i> è esposta nella <i>Gemäldegalerie</i> a Berlino.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 9</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm1quOfnU89eDdO1uxPDRb2B_ZsGV15TfCVuc9e5gDhb7UI31KnmYn-vJtMKSXgZrcKnHYbQffdc-bApRtaq_2u8mFJiCLbZR_MBpnDu1ogioJvH6uEq_hCbtTaxfiC-l4kT_e4ZLYywji33jFgw0p1pRsavnG5-EueV4XdidI4sdbD7sbSLFRqrwKUzY/s1329/fig.%209%20-%20Jean_malouel,_Virgin_and_Child_with_Angels,_1410_circa_(Madonna_delle_farfalle,_butterflies_madonna).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1329" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm1quOfnU89eDdO1uxPDRb2B_ZsGV15TfCVuc9e5gDhb7UI31KnmYn-vJtMKSXgZrcKnHYbQffdc-bApRtaq_2u8mFJiCLbZR_MBpnDu1ogioJvH6uEq_hCbtTaxfiC-l4kT_e4ZLYywji33jFgw0p1pRsavnG5-EueV4XdidI4sdbD7sbSLFRqrwKUzY/w482-h640/fig.%209%20-%20Jean_malouel,_Virgin_and_Child_with_Angels,_1410_circa_(Madonna_delle_farfalle,_butterflies_madonna).jpg" width="482" /></a></div><div style="text-align: justify;">Questo dipinto era probabilmente la controparte di un ritratto di Giovanni Senza Paura ora perduto.</div><div style="text-align: justify;">Le farfalle, da cui il dipinto prende il titolo, svolazzavano sullo sfondo scuro. Jean Malouel in quest’opera combina la monumentalità dei personaggi principali con la delicatezza dei dettagli decorativi, come le farfalle e i cherubini rossi sullo sfondo. Il suo modo di trattare volti e mani ricorda ancora i modelli italiani. Per la figura monumentale della Vergine Maria che domina la composizione Malouel si ispirò alle grandi figure plastiche di <i>Claus Sluter</i>, che conosceva bene poiché era responsabile della policromia e della doratura delle statue della Certosa di Champmol.</div><div style="text-align: justify;"><i>Henri Bellechose</i> fu l'autore, intorno al 1415, della memorabile <i>Pala d'altare di Saint Denis</i> dipinta per la chiesa della <i>Certosa di Champmol</i> che, com’è noto, era posta sotto il titolo della SS. Trinità.</div><div style="text-align: justify;">Da quel momento Bellechose diventò il pittore ufficiale di Giovanni senza Paura</div><div style="text-align: justify;">Fig. 10</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgV1L7MQLaAVGu19TX7Rj9FyOiadaa6EIcySjD2xLpBojazAgxNBbYKbpRF1ibQFEna4joRolz5ynJzU6v0JPeF0UJ8ZgkINsaOu6cxBR9_1RCLrQwEjiKMjLV6p2Kyyt0GpOlAxVIRwbecj4gYJ2Ql3xIhE_NOtocSJoiX3BG9R5Dgf9CXHsf3YiuF0Q/s2655/fig.%2010%20-%20Henri_Bellechose_Le_Retable_de_Saint_Denis_1415_1416.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2065" data-original-width="2655" height="498" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgV1L7MQLaAVGu19TX7Rj9FyOiadaa6EIcySjD2xLpBojazAgxNBbYKbpRF1ibQFEna4joRolz5ynJzU6v0JPeF0UJ8ZgkINsaOu6cxBR9_1RCLrQwEjiKMjLV6p2Kyyt0GpOlAxVIRwbecj4gYJ2Ql3xIhE_NOtocSJoiX3BG9R5Dgf9CXHsf3YiuF0Q/w640-h498/fig.%2010%20-%20Henri_Bellechose_Le_Retable_de_Saint_Denis_1415_1416.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Oggi la pala si trova a Parigi, nel <i>Museo del Louvre</i>.</div><div style="text-align: justify;">Nativo di Breda, nei Paesi Bassi, Henri Bellechose ricoprì la carica di pittore ufficiale alla corte di Borgogna dal 1415 al 1445, succedendo al suo maestro <i>Jean Malouel</i>, ma, dopo un inizio molto promettente, ricevette poche commissioni ducali forse per le controverse vicende politiche nelle quali era coinvolto il duca di Borgogna.</div><div style="text-align: justify;">Nelle scene della vita di Saint Denis, il leggendario primo vescovo di Parigi, santo patrono di Francia e protettore speciale della casa reale a cui appartenevano anche i duchi di Borgogna, Bellechose volle essere fedele allo stile locale e utilizzò ampiamente l'oro per raffigurare tessuti preziosi e dettagli ispirati alla <i>tradizione di corte</i>. Il blu e l'oro dei paramenti liturgici sono un'evidente allusione ai colori del giglio francese.</div><div style="text-align: justify;">L'intensità delle espressioni dei personaggi è il contributo più originale di Henri Bellechose alla pittura borgognona.</div><div style="text-align: justify;">La sua coloritura chiara e brillante è quella di un miniaturista e le somiglianze con le <i>Ore del Duca di Berry</i> e la <i>Bibbia moralizzata</i> per Filippo l’Ardito: entrambi codici ci conducono all'ambiente dei fratelli di Limburgo.</div><div style="text-align: justify;">Ai lati di Cristo in croce, assistito dall’Eterno Padre e dallo Spirito Santo, sulla lato sinistro Saint Denis riceve nella sua prigione l'ultima comunione dalla stessa mano di Cristo e sulla destra subisce il martirio insieme ai suoi due compagni, Rustico ed Eleuterio.</div><div style="text-align: justify;">È però <i>Melchior Broederlam</i> di Ypres ad occupare un posto fondamentale come anticipatore dei fiamminghi del Quattrocento: nel 1395, dipinse due famosi pannelli per una pala d'altare di Champmol. La suprema eleganza del design e dei colori collocano le sue due tavole all'apice della pittura del Gotico internazionale e nello stesso tempo all’inizio della prima pittura fiamminga. I suoi paesaggi, che segnano l'inizio della pittura fiamminga, denotano un artista fantastico.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 11</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidq-KqQHqrA4vxGCeNGo9XeKvaOyn_QUMAOZYkRbkqCXYR7QwL3-5kGDpiQLOr00n02ZMh-mR6iijgG_V1gSmuIufU2j_E3ADj-jrYS-thIblFMBx_PN-W-W3MwIXckqb-SOGAaN1oplxBOLbLbtPZ3LoiBJ3QVm7Ehc8Rxy3UvtRViH6O56aXk6_4cb8/s2728/fig.%2011%20-%20Melchior_Broederlam_001.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2728" data-original-width="2024" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidq-KqQHqrA4vxGCeNGo9XeKvaOyn_QUMAOZYkRbkqCXYR7QwL3-5kGDpiQLOr00n02ZMh-mR6iijgG_V1gSmuIufU2j_E3ADj-jrYS-thIblFMBx_PN-W-W3MwIXckqb-SOGAaN1oplxBOLbLbtPZ3LoiBJ3QVm7Ehc8Rxy3UvtRViH6O56aXk6_4cb8/w475-h640/fig.%2011%20-%20Melchior_Broederlam_001.jpg" width="475" /></a></div><div style="text-align: justify;">Fig. 12</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVx3yPuKOR5oprKbc2ilt3ex6YzJjmek3DR21OY9edHofuVUtlsrZj6cR2uW2H7ubftGZYdfXSpzBFIN-puWc4jH2YQjGE9UoT16IAFhGxUcH3mj-3vo0Iv-sm_GeH6L5PXla9PzDCANgGOkB0A-XkLmpWH-ctSvwDOplUMytR2SPvWKF7qtb54E24mto/s2736/fig.%2012%20-%20Melchior_Broederlam_003.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2736" data-original-width="2024" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVx3yPuKOR5oprKbc2ilt3ex6YzJjmek3DR21OY9edHofuVUtlsrZj6cR2uW2H7ubftGZYdfXSpzBFIN-puWc4jH2YQjGE9UoT16IAFhGxUcH3mj-3vo0Iv-sm_GeH6L5PXla9PzDCANgGOkB0A-XkLmpWH-ctSvwDOplUMytR2SPvWKF7qtb54E24mto/w474-h640/fig.%2012%20-%20Melchior_Broederlam_003.jpg" width="474" /></a></div><div style="text-align: justify;">Nel 1395, Melchior Broederlam, pittore e valletto di camera di Filippo l’Ardito, era stato incaricato di dipingere le portelle esterne di una pala d'altare per la Certosa di Champmol a Digione. Attraverso la bellezza dei colori e la ricchezza dei soggetti, Melchior Broederlam si innalzò al di sopra della severità e della solennità e sviluppò invece un mondo colorato. Se la raffigurazione del tempio ricorda il celebre dipinto di Ambrogio Lorenzetti nel 1342, la ieraticità della composizione in questo caso è arricchita da molti dettagli e da un'architettura delicata. Nel paesaggio adiacente alle figure umane, Broederlam è andato oltre tutti gli usi comuni delle pale d'altare. Un paesaggio così ricco o motivi così raffinati della pittura di genere, appartengono più alla miniatura e alla pittura riservata all'uso domestico. Qui, la diversità dei livelli, la novità e persino gli aspetti contraddittori del <i>bello stile</i> si manifestano molto chiaramente all'interno dello stesso dipinto.</div><div style="text-align: justify;">Siccome la Borgogna era uno snodo tra Avignone, l'Italia e le Fiandre, i pittori dei duchi, pur avendo ancora molti legami con Parigi da cui essi più o meno direttamente discendevano, dal momento in cui soggiornarono a Digione, adottarono uno stile comune specifico della corte borgognona.</div><div style="text-align: justify;">Al cosiddetto <i>Maestro della Piccola Pietà Rotonda</i> è attribuita anche <i>La Deposizione</i> dell'inizio del Quattrocento del <i>Museo del Louvre</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 13</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7CvHRqUDgIPhJ-_pLWZY6eMhwxFLa2yZkDUZ258SY4ZGUOll3itjEPMDVS46ShfE779zhNqCMZH_2RIOq_WUisu2XRtL4d7ovqBAjjpu6qdblBYJ5-8ny7hyhurQRgEyyyV9fqDcuKyfyxYgQklOUjg0Jh2P7nvvWULeujPJCmmjuMm2B-o3C3g04ih8/s1476/fig.%2013%20-%20Ambito_parigino,_piccola_piet%C3%A0_rotonda,_1410_ca.%20(1).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1476" data-original-width="1468" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7CvHRqUDgIPhJ-_pLWZY6eMhwxFLa2yZkDUZ258SY4ZGUOll3itjEPMDVS46ShfE779zhNqCMZH_2RIOq_WUisu2XRtL4d7ovqBAjjpu6qdblBYJ5-8ny7hyhurQRgEyyyV9fqDcuKyfyxYgQklOUjg0Jh2P7nvvWULeujPJCmmjuMm2B-o3C3g04ih8/w398-h400/fig.%2013%20-%20Ambito_parigino,_piccola_piet%C3%A0_rotonda,_1410_ca.%20(1).jpg" width="398" /></a></div><div style="text-align: justify;">In questo piccolo pannello di devozione privata, la figura raffigurata a sinistra con in mano un barattolo di unguento quasi sicuramente di mirra è probabilmente il duca Jean di Berry, il cui volto è abbastanza riconoscibile. Questo dipinto rivela un nuovo aspetto dell’iconografia della <i>Deposizione</i> del primo Quattrocento: l'introduzione dei fedeli al centro della scena sacra.</div><div style="text-align: justify;">Un pittore Anonimo intorno al 1420 dipinse una bella <i>Pala della Crocifissione con le SS Barbara e Caterina</i> detta anche <i>Pala dei Conciatori</i> considerata a lungo la testimonianza più importante dell'arte di Bruges intorno al 1400.</div><div style="text-align: justify;">Questa pala, ora conservata nel tesoro della <i>Cattedrale del SS. Salvatore</i> proveniva dalla sala riunioni della <i>Corporazione dei conciatori</i> di Bruges. Sebbene mostri interessanti concordanze ancora con il <i>Gotico internazionale</i>, non esiste un'opera simile fino a quel momento nell'arte di Bruges.</div><div style="text-align: justify;">Questa pala ha il pregio di essere uno dei dipinti più antichi conservati a Bruges ed è un esempio notevole della produzione artistica delle città fiamminghe dell'epoca, in cui lavoravano artisti come Broederlam, che in seguito continuarono a offrire i loro servizi alle corti principesche.</div><div style="text-align: justify;">Dopo l'assassinio di Giovanni Senza Paura nel 1419, quando il ducato intraprese una politica ormai autonoma e focalizzata principalmente sulle Fiandre, l'influenza dell'arte internazionale di Parigi lasciò definitivamente il posto al nuovo prestigio di Van Eyck.</div><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-37319581640039439312023-11-19T02:25:00.000-08:002023-11-20T02:16:23.733-08:00Il Manierismo 5: Michelangelo e la battaglia di Cascina<p></p><div style="text-align: left;"><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">Michelangelo
aveva appena completato il cartone della battaglia di Cascina a figure
intere quando nel 1506 fu improvvisamente richiamato a Roma da Papa Giulio II
della Rovere a causa della spiacevole e difficile situazione che si era creata
per la realizzazione rinviata della tomba del Papa.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Michelangelo
aveva studiato da vicino e con attenzione la statuaria antica e specialmente il
“gruppo del Laocoonte”, rinvenuto qualche mese prima a Roma, proprio in sua
presenza.</span></div></span></div><div style="text-align: left;"><span><span face="Arial, sans-serif" style="font-family: arial; font-size: 16pt; text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeebv_cQLtUfjzzWOzmHna5HPPcRBdQutZory5dMEYNlp2j8SnbRDGu_w44KlK38-ht6qgHOcOuNtAk82E_qyxIURwoJ1QH25dPKp0WEtV7EFAJXlonZ_STMysIlnJ5IObfwlpDsrIiGs/s600/laocoonte.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeebv_cQLtUfjzzWOzmHna5HPPcRBdQutZory5dMEYNlp2j8SnbRDGu_w44KlK38-ht6qgHOcOuNtAk82E_qyxIURwoJ1QH25dPKp0WEtV7EFAJXlonZ_STMysIlnJ5IObfwlpDsrIiGs/s320/laocoonte.jpg" /></a></div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Quando
il maestro era partito per Bologna per riconciliarsi con il Papa e poi insieme
per Roma per iniziare i lavori della Sistina, il cartone si trovava nella Sala
dell’Ospedale di Sant’Onofrio, dove Michelangelo lo aveva lasciato.</span></div><span face="Arial, sans-serif" style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Alla
visione panoramica di Leonardo, Michelangelo contrappose un momento preciso
della <i>Battaglia di Cascina</i> del 1364, narrata da Filippo Villani, nipote del
più noto Giovanni, di cui aveva continuato la “Cronica”.</div></span><span face="Arial, sans-serif" style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Fino
ad allora Leonardo e Michelangelo si erano guardati e odiati a distanza, ma fu
nella <i>Sala del Maggior Consiglio</i> che avvenne il vero confronto tra i due
grandi artisti toscani.</div></span><span face="Arial, sans-serif" style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Diversamente
dal cosmopolita Leonardo che rappresenta un momento, anche se topico della
battaglia ma di una qualunque battaglia della sua epoca, il fiorentinissimo
Michelangelo sceglie invece di rappresentare la scena specifica che
immediatamente precedette lo scontro di Cascina, un episodio molto connotativo
di quell’assolato luglio del 1364, che riporta la vicenda dei soldati
fiorentini sorpresi dall’attacco dei pisani, mentre, per difendersi dalla
calura, si stavano rinfrescando nelle acque dell’Arno.</div></span></span></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpbWrx-mTMDNgdLrOQKpr2vB8K6y15B7uC6c242D0LBrxV22LfhDuVGJQTFJUCnb4m_Bn6CrKvB8tr_1iKX0pyAgqf7vyKxslspMp5R7of-nETq3B8ym3Xh3F09ZOjp0TXsEbhonEbwRk/s1689/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1689" height="378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpbWrx-mTMDNgdLrOQKpr2vB8K6y15B7uC6c242D0LBrxV22LfhDuVGJQTFJUCnb4m_Bn6CrKvB8tr_1iKX0pyAgqf7vyKxslspMp5R7of-nETq3B8ym3Xh3F09ZOjp0TXsEbhonEbwRk/w640-h378/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Michelangelo
quindi rappresenta il momento cruciale in cui i fiorentini escono dal fiume e
si armano, e afferma anche in quest’opera l’assoluta centralità del nudo
maschile che avrebbe accompagnato l’artista lungo l’intero percorso della sua
carriera.</div></span></div><div style="text-align: left;"><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">Il
cartone preparatorio cui ora ci si riferisce, quello fedelmente copiato da
Aristotele da Sangallo, racconta, infatti, la scena in cui i soldati
dell’esercito fiorentino si erano fermati presso Cascina e, credendosi al
sicuro, avevano deciso di rinfrescarsi facendo il bagno nell’Arno per la
canicola di fine luglio. I pisani però, avendoli sorpresi impreparati,
pensarono di averne facilmente ragione, ma non fu così.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Grazie
alla prontezza di Manno Donati, uno dei capitani, al suo coraggio e alla sua
capacità di comando, ma grazie anche alla disperazione, che diede ai soldati
fiorentini la forza di rivestitisi in fretta e di battersi, essi sconfissero i
nemici pisani, pur non essendo ancora adeguatamente equipaggiati.</span></div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">L’episodio
del bagno offrì a Michelangelo maggiore possibilità di dipingere il suo
soggetto preferito, un’enorme composizione di nudi rappresentati nelle più
diverse movenze, mostrando la sua eccezionale conoscenza dell'anatomia e la sua
perfezione nell’uso del disegno.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Per
Michelangelo, come per tutti gli artisti del Rinascimento, il corpo umano era il
principale oggetto di studio, ma per lui la figura umana era qualcosa di più:
era la celebrazione del corpo e in particolare del nudo, che l’artista portava
al massimo grado della sua forza espressiva, perché il corpo doveva esprimere
eroismo e mostrare, attraverso una potente struttura muscolare, una forza
morale titanica. La nudità per Michelangelo è sempre dinamica, viva, colta
nelle posture e nei movimenti più audaci e articolati, affinché si potesse
mettere in evidenza la bellezza, l’armonia e la plasticità.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">La
sua arte è antinaturalistica e rifiuta pertanto l’illusione mimetica: se si
osserva attentamente il cartone, ci si accorge infatti che il maestro non
rispetta la composizione prospettica e rappresenta le figure di scorcio,
presentando il punto più lontano come prossimo al più vicino e coprendo con il
tratto più corto lo spazio più lungo.</span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZqzcbkVvGjqRD1u_HQY_NDbiyYfGFnxE95e1wHG7PWzvk8RUqE3uxmxmfoK4yUbhbghf9ngR1UPicZgKhYXv4bK3NZZ6Fd1nYr4oZqnGJNIzr32NFZrOb2A0KGa2iLp5ANCwsKr5yYqU/s2048/michelangelo-tondo-doni-e-cornice.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZqzcbkVvGjqRD1u_HQY_NDbiyYfGFnxE95e1wHG7PWzvk8RUqE3uxmxmfoK4yUbhbghf9ngR1UPicZgKhYXv4bK3NZZ6Fd1nYr4oZqnGJNIzr32NFZrOb2A0KGa2iLp5ANCwsKr5yYqU/w400-h400/michelangelo-tondo-doni-e-cornice.jpg" width="400" /></span></a></div></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">E
non solo. Già nel <i>Tondo Doni</i>, che realizza fra il 1505 e il 1506, quindi
quasi contemporaneamente al Cartone della <i>Battaglia di Cascina</i>, Michelangelo
si era rifatto a Luca Signorelli, autore anche lui di un tondo della cosiddetta <i>Sacra Famiglia di Parte Guelfa</i> della Galleria degli Uffizi. Ma, diversamente
da Signorelli, Michelangelo nel Tondo Doni accosta colori opposti,
complementari, di grande pulizia timbrica, colori che non si fondono insieme,
ma anzi danno un’impressione di stridore e di contrasto.</span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2LXMHVZDat0oOZhe6dk7kbEe_Y-K4T5xhaOfFozLgqXImANyV93F2jPDY9DjjrX1CLQ7FYdarmNF1IOpZ9qsbKMYe5opZQQ9Sk5uGHbPDOiZQAxfvz_5C2n4wfxcnqgD1bQi-IeNwgAo/s2048/luca+signorelli+sacra+famiglia.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="2046" data-original-width="2048" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2LXMHVZDat0oOZhe6dk7kbEe_Y-K4T5xhaOfFozLgqXImANyV93F2jPDY9DjjrX1CLQ7FYdarmNF1IOpZ9qsbKMYe5opZQQ9Sk5uGHbPDOiZQAxfvz_5C2n4wfxcnqgD1bQi-IeNwgAo/w400-h400/luca+signorelli+sacra+famiglia.jpg" width="400" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">È
immaginabile la stessa cosa per il cartone, se fosse diventato affresco, e
anche dei successivi colori che avrebbe utilizzato di lì a poco nella Sistina.</div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Quello
stravolgimento della forma a spirale in favore della forma serpentinata già
presente nel <i>Tondo Doni</i> e quei nudi sullo sfondo, irriverente citazione
“umanistica” e pastorale ripresa da Signorelli, è forse già sintomo di un
turbamento dell’arte che aveva raggiunto la perfezione dei temi e della forma
nella corti dell’adulto Rinascimento.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Ebbene,
anche nel <i>Tondo Doni</i> con la Sacra Famiglia in primo piano, si nota come
Michelangelo continui ad essere uno scultore anche quando dipinge: San
Giuseppe la Madonna e anche il Bambino sono caratterizzati da una grande
fisicità, da muscoli ben definiti che risaltano dal fondo grazie ad una marcata
linea di contorno. Proprio in quest’opera, nell’avvitamento verso l’alto
comincia ad apparire completamente distinguibile la <i>linea serpentinata</i>, cioè quella
torsione delle figure che segnò il tramonto dell’equilibrio classico.</span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwdHXKJelNCyppDwfLV87mZitUzLZltbEtgcZFCUAvlbvNRRvgVULLtgdViNWkRC45erWZ1Y6HImk3WLGMVYYY-x8zhZOmM0TiRVjCrfgp5-9tQyTidYmLkyJi1_Hy9UcaFJYRZkFovMQ/s1689/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1689" height="378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwdHXKJelNCyppDwfLV87mZitUzLZltbEtgcZFCUAvlbvNRRvgVULLtgdViNWkRC45erWZ1Y6HImk3WLGMVYYY-x8zhZOmM0TiRVjCrfgp5-9tQyTidYmLkyJi1_Hy9UcaFJYRZkFovMQ/w640-h378/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Al
primo sguardo, la </span><i style="text-align: justify;">Battaglia di Cascina</i><span style="text-align: justify;"> colpisce per le posture dei
personaggi, per quelle </span><i style="text-align: justify;">linee serpentinate</i><span style="text-align: justify;"> che appaiono così lontane
dall’equilibrio classico cui si è abituati dallo studio del Rinascimento e
che ne sanciscono il tramonto.</span></div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Eppure,
quel dispiegamento di addominali, di trapezi, di bicipiti e di glutei che
suscitano oggi tanta ammirazione negli appassionati di fitness, provocarono il
profondo disgusto in Leonardo, che paragonava quei corpi a grossi sacchi
di noci, e suscitarono un moralistico orrore del Perugino, forse ancora
traumatizzato dalle prediche di Savonarola, e ne rimase profondamente
scandalizzato.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Michelangelo,
piuttosto rissoso, ingiuriò il Perugino, finirono al tribunale, ma il corpo
umano rimase il centro indiscusso di tutta la sua produzione, avendo condotto e
continuando a condurre fondamentali ricerche di anatomia, per individuare
l’esatta posizione della forma del corpo, e di fisiologia, per individuare il
funzionamento dei fasci muscolari, dei tendini, delle cartilagini e delle ossa,
per rappresentare con precisione le forme del corpo sia in stasi sia in
movimento.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Analizzando
poi più attentamente il Cartone, la varietà delle posizioni è impressionante.
Ognuna ruota nel proprio spazio come una statua a tutto tondo, ciascuno in una
cinetica diversa, in base al movimento che si prepara a compiere. Eppure,
nonostante le torsioni anticlassiche a “serpentina” o forse grazie ad esse, i
movimenti si presentano sempre naturali.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">La
scena dell’avviso dell’imminente pericolo del nemico aveva consentito a
Michelangelo anche di cimentarsi nella raffigurazione del groviglio di corpi, a
lui tanto cara, come aveva dimostrato, ancora giovinetto nella <i>Battaglia fra
centauri e Lapiti</i> e come sarebbe stato di lì a poco nella Cappella Sistina. </span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-fkHoKNrjCUu5C4UU5-8ms0CjcvxPYIscKP3tDw3jRhbmsP1dGo9Rn4xOINTSd5fzAXzgHhYQb5eJSCxB54KzGlbfyFZTNmKZsMQ1SVzFukxM448OkofUdjL-WTN1b3LPC1dc2W8l7bI/s1140/Michelangelo%252C_battaglia_dei_centauri%252C_casa_buonarroti.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1056" data-original-width="1140" height="370" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-fkHoKNrjCUu5C4UU5-8ms0CjcvxPYIscKP3tDw3jRhbmsP1dGo9Rn4xOINTSd5fzAXzgHhYQb5eJSCxB54KzGlbfyFZTNmKZsMQ1SVzFukxM448OkofUdjL-WTN1b3LPC1dc2W8l7bI/w400-h370/Michelangelo%252C_battaglia_dei_centauri%252C_casa_buonarroti.jpg" width="400" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Si
vede chi si affretta ad armarsi per aiutare ai compagni, chi si allaccia la
corazza e molti che indossano le armi in strani atteggiamenti dettati dalla
fretta. Chi eretto, chi in ginocchio, chi piegato e chi sorpreso a giacere.</div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">A
quelle anatomie possenti e massicce, a quei corpi che si torcono nei movimenti
più disparati, a quei volti dei combattenti si aggiunge l’elemento dello
stupore e si riesce quasi a percepire la loro paura per l’avvicinamento
improvviso di un pericolo inaspettato e la loro angoscia per l’esito incerto.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Tra
tutti, alcuni si evidenziano per una fisionomia particolare e per una maggiore
definizione: l’uomo al centro, che si sta avvolgendo la testa con un panno forse
è Galeotto Malatesta, capitano di ventura che si era unito ai fiorentini;
accanto a lui c’è un uomo non più giovane con una lancia in mano che sembra
correre verso lo spettatore. È Manno Donati riconoscibile dall’elmo indossato
sul capo e perché impugna uno scudo.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">E
se è vero che la situazione stessa - l’uscita improvvisa dei soldati dall’acqua
del fiume e la fretta di rivestirsi per affrontare il combattimento - imponeva a
tutti questi slanci dinamici, è altrettanto vero che a monte del
cartone c’era stato un lungo studio delle pose, ben documentato dalle
fonti grafiche. E così il disegno prende un andamento circolare, che asseconda
le rotondità del corpo, soprattutto in corrispondenza delle spalle e delle
natiche, dove cioè la muscolatura si fa più evidente e, al tempo stesso, esalta
l’energia e il dinamismo delle figure.</span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5O2f5TgR_2QnKSDzDLLa_IEzrZf_PAo2RptkwqssOCxKQP2lsXRZJ6q3wtuk39isL1d4Z9y5kyD8HX9YNHGLlIJvew0GSuRL3dXDcALcWX5LyGe7yH-9tBUgv2p_RBv4tpjs9mPd-M5I/s1689/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1689" height="379" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5O2f5TgR_2QnKSDzDLLa_IEzrZf_PAo2RptkwqssOCxKQP2lsXRZJ6q3wtuk39isL1d4Z9y5kyD8HX9YNHGLlIJvew0GSuRL3dXDcALcWX5LyGe7yH-9tBUgv2p_RBv4tpjs9mPd-M5I/w640-h379/michelangelo+la+battaglia+di+cascina.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Michelangelo
enfatizza la rappresentazione dei vigorosi corpi nudi, in torsioni impossibili,
scorci mai visti, pose artificiose, in parte desunte dalla classicità e in
parte ispirate al principio della “varietas”, preso a prestito dalla cultura
letteraria, ma ormai entrato nel linguaggio figurativo più sperimentale. Su
quest’opera così innovativa, ormai lontana dall’equilibrio e dalla compostezza
del linguaggio rinascimentale, si sarebbe formata un’intera generazione di
giovani artisti, tra i quali si deve ricordare lo stesso Raffaello, a Firenze
dal 1504 al 1508.</div></span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiKA0U8cgjZnLdd42RGRClIpDzSaeLCWRdA3LIZL94DfAYUwtTElRRHc8uh6vhTkULsgeQO8TXxRsw0Wd4L7uA8mbh8St5XC2mtrML_eMIha0J7bNENcbThhwbdgrISO6YHQK4RDvuk_g/s2048/Titian++il+baccanale+degli+andi+1523_1524.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1844" data-original-width="2048" height="576" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiKA0U8cgjZnLdd42RGRClIpDzSaeLCWRdA3LIZL94DfAYUwtTElRRHc8uh6vhTkULsgeQO8TXxRsw0Wd4L7uA8mbh8St5XC2mtrML_eMIha0J7bNENcbThhwbdgrISO6YHQK4RDvuk_g/w640-h576/Titian++il+baccanale+degli+andi+1523_1524.jpg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">La
fama del cartone, e probabilmente anche di una o di più derivazioni, giunse
fino a Venezia, dove Tiziano, all’inizio degli anni Venti, inserì una figura
desunta dall’opera di Michelangelo in uno dei quattro dipinti per il <i>Camerino
di alabastro</i> del duca Alfonso d’Este.</div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Anche
Cellini nella sua autobiografia, ribadisce come, per la propria formazione, sia
stata fondamentale la conoscenza delle opere fiorentine di Michelangelo, in
particolare modo della <i>Battaglia di Cascina</i> che descrive così: “<i>...quelle
fanterie ignude che corrono a l’arme, e con tanti bei gesti, che mai né degli
antichi, né d’altri moderni non si vide opera che arrivasse a così alto segno</i>”.</span></div><div style="text-align: left;"><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">Proprio
a Benvenuto Cellini spetterà la definizione di “</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">scuola del mondo</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large; text-align: justify;">” attribuita
sia al cartone di Michelangelo sia a quello di Leonardo, per la loro esemplare
funzione di modello innovativo per le nuove generazioni di artisti.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5cO89VDPNFGr2RU7HDMvhrrkPUi_fB6srZw_-yBch6rgU2rmqaNZDrrw01Xp-nHTJ5x28ykELqdxqG-ZR5Z3ihMaZIC2vXd24OTvw_Q7R2oRQggPHjvOCwjUPZ6uF11AVeBKw4n6OJTc/s900/Luca+Signorelli%252C+Resurrezione+della+carne%252C+affresco%252C+1500-02%252C+Orvieto.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="713" data-original-width="900" height="507" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5cO89VDPNFGr2RU7HDMvhrrkPUi_fB6srZw_-yBch6rgU2rmqaNZDrrw01Xp-nHTJ5x28ykELqdxqG-ZR5Z3ihMaZIC2vXd24OTvw_Q7R2oRQggPHjvOCwjUPZ6uF11AVeBKw4n6OJTc/w640-h507/Luca+Signorelli%252C+Resurrezione+della+carne%252C+affresco%252C+1500-02%252C+Orvieto.jpg" width="640" /></a></div></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Un
altro aspetto considerevole è che anche nella <i>Battaglia di Cascina</i> Michelangelo si ricolleghi a Luca Signorelli, nello specifico alla
<i>Resurrezione della carne</i>, una delle scene del <i>Ciclo del Giudizio
Universale</i>, nella stupefacente <i>Cappella di San Brizio</i>, del <i>Duomo</i> di
Orvieto. Questo riferimento è per me estremamente importante, perché nella
Storia dell’Arte gli affreschi orvietani di Signorelli sono sicuramente il più
esplicito campanello d’allarme dell’incombente crisi religiosa, che la
sensibilità di Michelangelo coglie al volo. Michelangelo era cresciuto nel
giardino di San Marco, il convento di patronato mediceo di cui era priore il
frate predicatore Girolamo Savonarola e ne aveva ascoltato le brucianti
prediche.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Nell'immaginario
dell'adolescente Michelangelo l'atmosfera intorno al priore e quella intorno al
Magnifico si incrociarono dando vita alla dialettica propria del pensiero
michelangiolesco, un orizzonte culturale che teneva insieme aspirazioni
riformatrici e passione per l’antichità pagana, la logica del concreto e il
misticismo spirituale. Spinte e controspinte dunque che sostennero e che
affascinarono sempre Michelangelo e che si equilibrarono, costituendo il
sostrato di tutti i suoi capolavori, dagli esordi fino alle sue ultime opere.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Anche
in questo caso la raffigurazione michelangiolesca ha una duplice valenza. Da un
lato il giovane maestro celebra un episodio eroico della storia fiorentina e
per Michelangelo, come per Savonarola, la libertà politica era la <i>condicio
sine qua non</i> della vita morale e religiosa, e allude pertanto al momento eroico
della spiritualità cristiana. Dall’altro lato, per ogni cristiano, come per il
soldato, l’ora della prova estrema giunge sempre inaspettata, ma è proprio
quella paura che diventa angoscia può diventare forza di riscatto.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Si
delinea così, l’ideale eroico di Michelangelo ancora più di quanto non fosse
nel solitario eroe romantico <i>David</i>. Nella <i>Battaglia di Cascina</i> l’eroe è
colui che, vincendo l’inerzia e il sonno della carne, afferma la propria
spiritualità combattendo il male e si salva.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">La
figura dell’eroe è massiccia e muscolosa affinché il peso della materia sia
evidente; ma anche nella massa si suscita un moto che la scuote, che la strappa
all’inerzia, che le imprime una spinta che la riscatta.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Le
opere di Leonardo e di Michelangelo erano diventate famose ancora prima della
loro esecuzione in affresco per la straordinaria idea che i due artisti ne
diedero già nei cartoni preparatori.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Come
<i>La battaglia di Anghiari</i> di Leonardo, anche “<i>La Battaglia di Cascina</i>” ci è
pervenuta purtroppo solo attraverso qualche bozzetto preparatorio di
Michelangelo e attraverso numerose copie, tratte dal cartone ed eseguite da
allievi e da artisti di ogni dove, fatte al tempo e in seguito, anche se non tutte
fedeli.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Tra
queste la più conosciuta e interessante è quella che si avvicina maggiormente
all’originale attribuita al suo allievo Aristotele da Sangallo (1481-1551),
realizzata con la tecnica della grisaille e oggi conservata alla <i>Holkham Hall</i> di Norfolk. Sangallo ne aveva fatto una prima copia su cartone dalla quale, nel
1542, su suggerimento di Vasari, deriva “<i>un quadro ad olio di chiaro scuro</i>”
(quindi non a colori, riproducendo l’effetto del cartone originario), da
identificare con la tavola oggi nella collezione Leicester.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">Pur
essendo andato perduto l’originale, secondo lo studio delle fonti è stato
possibile formulare ricostruzione anche se ovviamente abbastanza sommaria: al
centro si sarebbe dovuto trovare un soldato indossante le braghe, mentre a
sinistra di quest’ultimo sarebbe dovuto esserci un gruppo di cavalieri, mentre
ai lati dovrebbero esserci stati altri soldati in corsa, rappresentati
nell’atto di salire a cavallo. Nulla osta tuttavia ipotizzare che Michelangelo
abbia voluto dipingere solo quella scena a grandezza umana per evidenziare il
gigantismo degli eroi.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">La
datazione della copia più fedele cioè quella del Sangallo dovrebbe risalire a
un periodo anteriore al 1519, perché in seguito il cartone fu smembrato in
molti pezzi, servendo, infatti, come studio per altri artisti, rimasti
affascinati dal capolavoro michelangiolesco.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; text-align: justify;">L‘opera
del Sangallo può dare solo l’idea della composizione e della scena centrale,
non avendo la certezza se essa raffiguri tutta la composizione di Michelangelo
del cartone originale o forse solo una parte dello stesso, ma non
meraviglierebbe nemmeno che Michelangelo abbia deciso di raffigurare solamente
quella parte della battaglia.</span></div><p></p>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-20595060737397764582023-11-13T00:41:00.000-08:002023-11-13T00:41:13.564-08:00L’Impressionismo 4: Il muro di gomma dell’Accademia. Di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopo la proiezione in avanti, un <i>flashforward</i>, sempre secondo i ben parlanti, in cui ho mostrato la scomposizione della forma fino al suo stesso dissolvimento, col mio racconto ritorno ora ai pittori accademici che per lungo tempo avevano regnato come sovrani assoluti e incontrastati nell'<i>Académie des beaux-arts</i> e avevano dominato il <i>Salone di Pittura e Scultura</i>, comunemente detto il <i>Salon</i> che, come già sappiamo, era luogo di passaggio obbligato per poter esporre, per avere visibilità, per farsi conoscere e infine per ottenere le tanto agognate commissioni pubbliche e statali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Tutto questo sempre secondo il tipico sistema di un’<i>Arte di regime</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In questo caso, quello assolutista e quello napoleonico.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In termini di unità nazionale, la Francia era lo Stato di più lunga vocazione e tradizione unitaria del continente europeo e di riflesso da secoli non esisteva più alcun policentrismo neppure culturale. Cioè esisteva, ma non contava, e se l’Arte continuava ad esistere, era quella delle botteghe. La bottega come luogo di produzione non sarebbe uno svantaggio, anzi, ma quest’arte rimaneva marginale e di limitata visibilità. Insomma era solo un fenomeno locale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il processo di centralizzazione dello Stato, cominciato nel nebuloso passaggio dal primo al secondo millennio, aveva avuto come riflesso la centralità della capitale con la presenza della corte reale e degli uffici: dal che la Francia si era incominciata a identificare con Parigi e tutto ciò che non era parigino era meno importante, anzi era invisibile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Questo però non era un fenomeno completamente e sempre positivo, perché produceva una mancata dialettica fra centro e periferia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I re, una volta realizzata la monarchia <i>nazionale</i>, avevano realizzato una monarchia <i>assoluta</i>, raggiunta pienamente con il regno di Luigi XIV, il Re Sole.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I sovrani dettavano legge nella nazione, Parigi dettava legge in termini di moda, l’Accademia dettava legge nell’Arte mentre altri centri culturali non facevano alcun testo ed erano considerati la <i>sonnolenta provincia</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Paris, c'est la France!</i> o <i>La France, c'est Paris!</i>, come si diceva allora e come ancor oggi si è soliti dire e pensare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Per questo motivo era quasi impossibile risplendere nel campo artistico nazionale senza passare per Parigi e per l’Accademia con le sue ferree e inamovibili regole.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La Scuola di Belle Arti di Parigi aveva il compito di insegnare le conoscenze tecniche essenziali alla professione di pittore, di architetto e di scultore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Questo non sarebbe un errore perché in tutto ci vuole <i>know how</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il curriculum per gli studenti di Belle Arti prevedeva numerose prove, oltre quella di ammissione. Naturalmente al concorso di ammissione si doveva giungere già preparati.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L’aspirante studente doveva prepararsi preventivamente in laboratori privati guidati da artisti più o meno famosi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Non tutti avevano lo stesso livello, ma i migliori laboratori offrivano la possibilità di imparare, tra le altre cose, a macinare i pigmenti, a preparare le tele e a sondare il marmo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La difficoltà della prova comportava infatti che l'allievo dovesse presentarsi al concorso solo dopo aver seguito un lungo percorso di apprendistato presso un qualche laboratorio privato, nel quale aveva già seguito un rigoroso itinerario di studio: copia di disegni o di stampe e, dopo mesi di esercizio, passava al tratteggio e allo sfumato. Un successivo passaggio consisteva nella copia dei gessi, nella riproduzione di busti o d'intere opere classiche, accompagnata dallo studio della Storia dell'Arte, della Letteratura e della Mitologia, essendo frequenti i temi che nella pittura e nella scultura erano tratti da qui.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Superata questa fase, l'allievo poteva iniziare lo <i>studio della natura</i>, disegnando un modello vivente secondo alcuni passaggi: dal semplice schizzo, alla maggiore definizione dell'abbozzo in cui si imparava a dividere le ombre dalle penombre e dalla luce, fino alla cura del dettaglio e al disegno completo. Infine il modello vivente andava in ogni caso <i>corretto</i>, eliminando le <i>imperfezioni della natura</i>, correggendole secondo un modello ideale di nobiltà e di decoro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Intanto l'allievo proseguiva per suo conto lo studio della composizione con la pratica dello <i>schizzo rapido</i> di momenti di vita quotidiana, un esercizio utile per sollecitare l'immaginazione personale, che era tradotta poi su appositi quaderni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Giunto all’Accademia dopo un severo esame di ammissione, lo studente ripeteva il corso di disegno già seguito nel laboratorio nel quale si era preparato per frequentare finalmente il corso di pittura, simile a quello di disegno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Allo <i>schizzo</i>, per il quale nell'Accademia erano tenuti appositi corsi, era attribuita grande importanza, seguiti poi da concorsi: lo schizzo provava la creatività dell'allievo che, trascurando i dettagli, dava forma generale alla propria concezione della composizione. Questa creatività doveva tuttavia essere sottoposta a disciplina e regolata dallo studio. Così, dallo <i>schizzo</i> si procedeva all'<i>abbozzo,</i> eseguito a carboncino sul quale si passava la cosiddetta <i>salsa</i>, un rosso-mattone leggero, poi si impastavano i chiari e si diluivano le ombre per renderle quasi trasparenti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il cardine del corso accademico risiedeva dunque nella <i>copia</i>: del modello vivente, dei gessi, che riproducevano la statuaria antica, e dei dipinti dei maestri del Rinascimento. In questo modo l'allievo non solo s'impadroniva della loro tecnica manuale e del loro modo di organizzare i volumi, ma assumeva soprattutto una <i>forma mentis</i> rivolta al passato, da dove traeva costantemente la fonte della propria invenzione, che spesso non era altro che una citazione di opere classiche: il pittore formato in questo modo dall'Accademia era indotto a <i>rifare</i> il già fatto o a <i>variare</i> il già inventato o a <i>mimetizzare</i> le fonti utilizzate.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La formazione accademica attestava la professionalità dell'artista, che poteva così presentarsi in società con le <i>carte in regola</i>. Per ottenere però il definitivo riconoscimento e garantirsi le commissioni ufficiali dello Stato e quelle private dei collezionisti occorreva però la pubblica consacrazione di un successo che avveniva al <i>Prix de Rome</i> e al <i>Salon</i> di Parigi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il famoso concorso <i>Prix de Rome</i> era la prova più importante e consentiva ai vincitori di soggiornare presso l’<i>Académie de France</i> a Roma. I temi del concorso, come del resto quelli di ammissione, erano sempre tratti dalla <i>storia antica</i>, dalle <i>storie bibliche</i> o dalla <i>mitologia</i> e, una volta a Roma, i destinatari del premio continuavano a essere controllati dall'Accademia, dovendo inviare a Parigi diverse opere, mentre studiavano dal vivo il patrimonio artistico dell'Antichità e del Rinascimento nella culla stessa del <i>classicismo</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopo il loro soggiorno a Roma, gli artisti dovevano continuare a inviare opere all'Accademia per essere ammessi all'annuale famigerato <i>Salon</i>, mentre ormai già incominciavano a lavorare per ricchi mecenati e, se erano più fortunati, per lo Stato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il controllo dell'Accademia era dunque totale e si estendeva anche alla giuria del <i>Salon</i>, i cui membri erano scelti ogni anno fra i componenti stessi dell’Accademia in una sorta di <i>conclave</i> in cui i giurati erano naturalmente scelti dal senato accademico in base alla loro piena <i>ortodossia</i> e la giuria era pertanto la sua espressione più diretta.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In questo modo il cerchio si chiudeva: la giuria, emanazione del verbo dell’Accademia e dei suoi comandamenti, rifiutava in ogni caso qualsiasi opera che non ne rispettasse i principi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In soldoni non era consentito agli artisti di <i>esplorare</i> altri soggetti, nuove tecniche o semplicemente di innovare nel loro processo creativo e, <i>sic et simpliciter</i>, non li si ammetteva all’esposizione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Certo tutti potevano <i>democraticamente</i> inviare le loro opere, ma se non erano conformi ai gusti dell’Accademia esse erano rinviate al mittente senza alcuna motivazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Col passare dei decenni, si era creato quindi l’<i>accademismo</i> – in questo caso il suffisso <i>ismo</i> è inteso come una degenerazione del fenomeno –, una specie di fortino dell’inamovibilità e della conservazione che propugnava a oltranza l’osservanza scrupolosa e priva di originalità dei canoni dell'insegnamento accademico nell'esecuzione di un'opera d’Arte e che resisteva a oltranza all’avanzare del nuovo, nonostante le forti critiche al suo conservatorismo non solo da parte degli artisti <i>alternativi</i>, ma anche da parte della stampa più illuminata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Già nel suo saggio critico all’edizione del <i>Salon</i> del 1845, <i>Charles Baudelaire</i> (1821 – 1867) aveva concluso il suo scritto augurandosi di vedere nel successivo <i>Salon</i> «<i>il vero pittore, [che è] colui che sa carpire alla contemporaneità il suo lato epico e l'avvento del nuovo!</i>».</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nel 1846, era capitato che il pittore realista <i>Gustave Courbet</i> (1819 – 1867) avesse presentato al <i>Salon,</i> ben otto tele ancorché in forma anonima e di esse era stato accettato solo il <i>Ritratto dell'artista</i>, conosciuto come <i>L'uomo dalla cintura di cuoio</i>, oggi al ‘<i>Museo d’Orsay</i>’ a Parigi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfQYbbO5e9KV1BzpOv6XTl_wNZKXVCCGnmY0g0_1L_GcPTR7586952d23mrajol6mrU3XdWBt0fRSn-JDJtiyqcRWiiRv8F0A7KXvGhPpVWBR4ktiqEwRo3EvyDzZDS5ysbUbWQzFTrbXZXJZsSyk-Zjone2TG50dtwUxJxItMlkkRSl1rpBF2V8TTZRA/s1200/Fig.%201%20-%20luomo-con-la-cintura-di-pelle-courbet-gustave.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfQYbbO5e9KV1BzpOv6XTl_wNZKXVCCGnmY0g0_1L_GcPTR7586952d23mrajol6mrU3XdWBt0fRSn-JDJtiyqcRWiiRv8F0A7KXvGhPpVWBR4ktiqEwRo3EvyDzZDS5ysbUbWQzFTrbXZXJZsSyk-Zjone2TG50dtwUxJxItMlkkRSl1rpBF2V8TTZRA/w400-h400/Fig.%201%20-%20luomo-con-la-cintura-di-pelle-courbet-gustave.jpg" width="400" /></a></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nonostante l’anonimato però alcuni giurati avevano riconosciuto il pittore e lo avevano punito, escludendo dall’esposizione anche quella tela che avevano precedentemente accettato. Courbet si sentì profondamente ferito, protestò vivamente e quest’episodio, che rifletteva esplicitamente la prevenzione della giuria, suscitò l'ira di due scrittori che erano anche rinomati e ascoltati critici d’arte: <i>Charles Baudelaire</i> e <i>Jules Champfleury</i> (1821 – 1889).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nel saggio sul <i>Salon</i> del 1846, Baudelaire, alzò infatti ancora di più l’asticella della polemica contro gli Accademici, dichiarando che i veri artisti erano <i>lavoratori emancipati</i> (leggasi <i>svincolati</i>, <i>liberi</i>) e, se non fosse stato chiaro, aggiunse che, quando si parlava di veri artisti, non si trattava <i>dei prodotti delle scuole</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Se riflettiamo su questi due concetti, Baudelaire, appena prima della metà dell’Ottocento parlava di nuovo di <i>Romanticismo</i> naturalmente di quello essenziale, non della moda romantica. Nella sua riflessione andava oltre, affermando che <i>il Romanticismo si identifica[va] con il presente</i> e dichiarava che per lui <i>il Romanticismo era l'espressione più recente, più attuale della bellezza</i>. Quasi nella conclusione saggio aggiungeva una vera e propria stilettata, definendo il colore come l’autentica ricerca dell'armonia dei due toni, dell’equilibrio fra caldo e freddo e concludeva con un affondo dicendo che <i>un disegnatore è solo un colorista fallito</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Tenuto conto dei principi su cui si basava l’Accademia, si trattava di una vera e propria dichiarazione di guerra. Le parole di Baudelaire innervosirono sicuramente gli Accademici, ma i tempi non erano ancora maturi per considerare quest’attacco destabilizzante e tutto rimase com’era prima.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Courbet, anche se non vendeva - </span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">e occorre dire che non vendeva perché le sue opere erano lontane dall’<i>orizzonte delle attese</i> degli acquirenti -, cominciava però a diventare personaggio di spicco sullo scenario artistico parigino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopo quest’insuccesso del 1846, Courbet, fiero e sdegnoso, se ne partì con l’amico Champfleury alla scoperta del Belgio che visitò come scrisse lui stesso <i>da cima a fondo</i> e dove fece una vera e propria scorpacciata dei pittori fiamminghi e della loro visione <i>lenticolare</i> della realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Quando ritornò a Parigi poco prima della fine del 1847 si trasferì in uno studio a <i>Rue Hautefeuille</i>, non lontano dalla birreria <i>Andler-Keller</i>, che però frequentava già da alcuni anni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Andler-Keller</i> era una delle prime birrerie aperte a Parigi ed era gestita da <i>Mère Grégoire</i> di cui Courbet avrebbe dipinto nel 1855 il ritratto che vediamo qui sotto.</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR9QnH0kYvBK5uhK_dzj_DgRmpZCfSNm5ZRrWTH3Sv_5hvH0zA5vzy4EX2SQTsmHM0KfrAjZAMqil2tz45Hsf98dvGCUCk8X2WE1dIZcidCeo9W5fseitieVZcdsDxXe63iPBgy1IEm1t9p1ujDk13S_7JgddMQfRBrWmXfErFlANkiqlJBJ9ZdEtcdE0/s769/Fig.%202%20-%20La_M%C3%A8re_Gr%C3%A9goire_(1855)_by_Courbet.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="769" data-original-width="584" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR9QnH0kYvBK5uhK_dzj_DgRmpZCfSNm5ZRrWTH3Sv_5hvH0zA5vzy4EX2SQTsmHM0KfrAjZAMqil2tz45Hsf98dvGCUCk8X2WE1dIZcidCeo9W5fseitieVZcdsDxXe63iPBgy1IEm1t9p1ujDk13S_7JgddMQfRBrWmXfErFlANkiqlJBJ9ZdEtcdE0/w486-h640/Fig.%202%20-%20La_M%C3%A8re_Gr%C3%A9goire_(1855)_by_Courbet.png" width="486" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Mi soffermo su questo perché non è solo una nota di colore, ma perché questa birreria diventò un formidabile luogo di arte e di cultura in cui Courbet stabilì il suo quartier generale. Lì, in mezzo ad amici, si elaboravano grandi teorie. La frequentavano Charles Baudelaire che abitava lì nei pressi e lo scultore </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Auguste Clésinger</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1814 – 1883) autore del </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Monumento funebre a Chopin</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> e di una ineffabile </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Pietà</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> nella </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Chiesa di Saint-Sulpice</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> a Parigi, e che diceva di sentirsi di casa da </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Mère Grégoire</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">. Anche il cosiddetto </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">gruppo di Ornans</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> si incontrava lì: tra loro c’erano </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Urbain Cuenot</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1820 - 1867), </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Adolphe Marlet</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">, il poeta narratore e traduttore </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Max Buchon</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1818 - 1869) e il musicista </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Alphonse Promayet</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1822–1872), amici di infanzia del pittore ai quali fece dei bei ritratti.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheJ7jInV9_XJDQ1cgzp_BI_xRS54X9JrVstw8-mYcpuAojx_NhZ-7pLvVM7VQJ5Lt7d-OSmf6ewIyvt-cE9A4TmIEu0HkjhrDzEqHoXZkByYwxDOnj6CtZDeGVuaJ1WZ1y58f1RH2eMvKdydF8mPDvpFxqzKFn3KVDobaz674kdf_C2EvrYLL3fgv_Ovk/s427/Fig.%203%20-%20Portrait%20Of%20Urbain%20Cuenot%20From%20Gustave%20Courbet.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="342" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheJ7jInV9_XJDQ1cgzp_BI_xRS54X9JrVstw8-mYcpuAojx_NhZ-7pLvVM7VQJ5Lt7d-OSmf6ewIyvt-cE9A4TmIEu0HkjhrDzEqHoXZkByYwxDOnj6CtZDeGVuaJ1WZ1y58f1RH2eMvKdydF8mPDvpFxqzKFn3KVDobaz674kdf_C2EvrYLL3fgv_Ovk/w320-h400/Fig.%203%20-%20Portrait%20Of%20Urbain%20Cuenot%20From%20Gustave%20Courbet.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2xPWE4_v79eUkBHky3Ktospoubfzn5zkNwLWT1oZfplxHhL_jlnVUrqmOV73nH5qljIztbVUGC1Tb3mukAj2LwAW0Kpk-0bPJKhpVZeO2Zl6Pnn4douYz82kwpCW4sEq0nr19DGPvl0K9g683dfao20NULt3dclH8LL5vKkIUhz0-owwGEaK4S29i_us/s500/Fig.%206.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="333" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2xPWE4_v79eUkBHky3Ktospoubfzn5zkNwLWT1oZfplxHhL_jlnVUrqmOV73nH5qljIztbVUGC1Tb3mukAj2LwAW0Kpk-0bPJKhpVZeO2Zl6Pnn4douYz82kwpCW4sEq0nr19DGPvl0K9g683dfao20NULt3dclH8LL5vKkIUhz0-owwGEaK4S29i_us/w426-h640/Fig.%206.jpg" width="426" /></a></div><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6zFes-4pZPenph_GPal_wKjoXkPDcp59nJlgz-Dzu7yrt9FxNXWKrZugjOb-hwkWtsGkGuzaukOVViVPhEf2b-gC8vepysgut-fe6_MQ7KqwpzTjtncaw0PC0FYYMIaQ5kdohEY39RAeXyHzs3JNWwmfC8fhm_tX8Ui4HR6Czw8yRiuYBMQNXe5uXSyc/s1002/Fig%20.%205%20%20-%20Portrait_de_Max_Buchon_by_Gustave_Courbet.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1002" data-original-width="536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6zFes-4pZPenph_GPal_wKjoXkPDcp59nJlgz-Dzu7yrt9FxNXWKrZugjOb-hwkWtsGkGuzaukOVViVPhEf2b-gC8vepysgut-fe6_MQ7KqwpzTjtncaw0PC0FYYMIaQ5kdohEY39RAeXyHzs3JNWwmfC8fhm_tX8Ui4HR6Czw8yRiuYBMQNXe5uXSyc/w342-h640/Fig%20.%205%20%20-%20Portrait_de_Max_Buchon_by_Gustave_Courbet.png" width="342" /></a></div><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq_xYI340IXkvZ3rtyW8CUmYr16pbM3jCgO81q5xHj6_G9Dmo55UTfjPgqNUxAlf_70yZPFFflJUx_sCZwGNDew_QsYpT1fHS7lnpok3T-gaHu1eON3awJIvH-MSfC6md1LaZn9OMcIA1s0SmqKk2-e-UtZ9UpA2uIgMddFK3wDh4KPmpjFs2y3GLKFPA/s700/Fig.%204%20-%20Gustave-Courbet-Portrait-of-Adolphe-Marlet-3-.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="558" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq_xYI340IXkvZ3rtyW8CUmYr16pbM3jCgO81q5xHj6_G9Dmo55UTfjPgqNUxAlf_70yZPFFflJUx_sCZwGNDew_QsYpT1fHS7lnpok3T-gaHu1eON3awJIvH-MSfC6md1LaZn9OMcIA1s0SmqKk2-e-UtZ9UpA2uIgMddFK3wDh4KPmpjFs2y3GLKFPA/w319-h400/Fig.%204%20-%20Gustave-Courbet-Portrait-of-Adolphe-Marlet-3-.jpg" width="319" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Altro frequentatore assiduo era lo scrittore parigino </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Henry Murger</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1822 – 1861) autore di </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Scene di vita della Bohème</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">, un’opera interessantissima per conoscere i vari personaggi di spicco del </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Quartiere latino</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> sulla riva sinistra della Senna, del quale Courbet eseguì un ritratto oggi al </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Museo d’Orsay,</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> il pittore </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Alexandre Schanne</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1823 – 1887) e l’intero mondo </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">bohémien</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> parigino, un mondo nato ai margini del movimento romantico che si traduceva in uno stile di vita che riuniva in sé il rifiuto del dominio borghese e della sua </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">razionalità</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> e la ricerca di un ideale artistico.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Di questo mondo bohémien Courbet assunse l'atteggiamento, il <i>look</i> – capelli, barba e pipa –, ma soprattutto gli ideali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il giornalista <i>Alfred Delvau</i> (1825 – 1867), aedo di questo mondo, riferisce che Courbet parlava a voce alta e impostata che la sua imponente statura e il suo gusto per la birra e per la musica, facevano di lui un <i>leader</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">A febbraio del 1848, la rivoluzione li sorprese, fu proclamata la <i>Seconda Repubblica</i> che immediatamente abolì la commissione giudicatrice dei <i>Salon</i>, che sarebbe stata ripristinata poco dopo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L’effetto immediato in campo artistico fu che il <i>Salon</i> di quell’anno accettò contemporaneamente tre disegni e sette tele di Courbet che, nonostante una <i>menzion d'onore</i>, non trovò nessun acquirente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La critica si risvegliò ancor più sonora di prima in suo favore: nel quotidiano democratico <i>Le National</i>, <i>Prosper Haussard</i> (1802 - 1866) lodò soprattutto <i>Le Violoncelliste</i>”, un altro autoritratto che il critico disse ispirato da Rembrandt, mentre <i>Jules Champfleury</i> in <i>Le Pamphlet</i> ammirò <i>La Nuit de Walpurgis</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNsCIbaHpJmjrlacRM0VmhiUkAyhs0N25Z6H0RMeiSYZm0RobeRFavufuZC2wIma6h98YM3fe-MTLHBQCAkYGAQMkQN09ep2pKLaOP9z2IsL6rMny4ZgG8gFS59hlcMNAzbT3eMzpfKLLXZUGMqrzIPuDo0DYRYJiJ8zRoEjERZP5clRsAOdJ3flsZwuk/s900/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_-_Self-Portrait_(The_Cellist)_-_WGA05489.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="700" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNsCIbaHpJmjrlacRM0VmhiUkAyhs0N25Z6H0RMeiSYZm0RobeRFavufuZC2wIma6h98YM3fe-MTLHBQCAkYGAQMkQN09ep2pKLaOP9z2IsL6rMny4ZgG8gFS59hlcMNAzbT3eMzpfKLLXZUGMqrzIPuDo0DYRYJiJ8zRoEjERZP5clRsAOdJ3flsZwuk/w498-h640/Fig.%207%20-%20Gustave_Courbet_-_Self-Portrait_(The_Cellist)_-_WGA05489.jpg" width="498" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> Massimo Capuozzo</span></div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-49241857507172363932023-11-06T01:02:00.000-08:002023-11-20T08:02:46.232-08:00Il Manierismo 4: Leonardo da Vinci e la battaglia di Anghiari di Massimo Capuozzo<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Leonardo, dopo aver lavorato per più di un anno
al cartone preparatorio nello studio che gli era stato allestito dalla Signoria
di Firenze nella </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Sala del Papa</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> del </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Convento di Santa Maria Novella</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">,
cominciò anche la realizzazione del dipinto in Palazzo Vecchio.<br /></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Battaglia
di Anghiari</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> del 29 giugno 1440 doveva rappresentare l’epico scontro non
solo militare ma anche ideologico tra l’esercito repubblicano fiorentino e
quello milanese dei dispotici Visconti. Lo scontro quindi non si giocava solo
sul piano politico: la </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">libertas</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">
repubblicana era infatti difesa ad ogni costo contro nemici e tiranni che
ne impedivano la realizzazione.<br /></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Un’ideologia di tacitiana memoria.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAC-oWQejNwnszMm8dpQMCwrv3Ezv011KVy5uKCVHaDT3NCwe3civoL2UJx-WURWhWHVLGiaep5DiHVLBGEDniGH5PuHuTbD2XYGdXJ1zNblF6RTRsYfnUtTPHzWNgJJoW1prAM2Tgn_U/s1030/leonardo_da_vinci%252C_The_Battle_of_Anghiari_by_Rubens%252C_Louvre.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="708" data-original-width="1030" height="440" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAC-oWQejNwnszMm8dpQMCwrv3Ezv011KVy5uKCVHaDT3NCwe3civoL2UJx-WURWhWHVLGiaep5DiHVLBGEDniGH5PuHuTbD2XYGdXJ1zNblF6RTRsYfnUtTPHzWNgJJoW1prAM2Tgn_U/w640-h440/leonardo_da_vinci%252C_The_Battle_of_Anghiari_by_Rubens%252C_Louvre.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Sebbene il capolavoro di Leonardo non sia
sopravvissuto, il dipinto, prima del sovrastante affresco di Vasari, non doveva
essere rovinato del tutto, se, negli anni successivi, alcuni autori descrissero
la scena della Battaglia e se ne fu eseguito un discreto numero di copie,
da artisti contemporanei o di poco successivi, ancorché di diverso valore.</div><div style="text-align: justify;">Dell’opera se ne può tuttavia avere qualche
idea, anche attraverso alcuni studi e alcuni schizzi preparatori dello
stesso Leonardo. La più famosa e interessante testimonianza della <i>Battaglia di
Anghiari</i>, a parte i disegni di Leonardo, resta sicuramente la copia di Rubens,
che il maestro fiammingo, circa un secolo dopo, dovette eseguire copiando
direttamente dal cartone preparatorio che allora esisteva ancora. Il disegno
di Rubens è oggi conservato nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Museo
del Louvre</i> a Parigi.</div><div style="text-align: justify;">La Battaglia di Anghiari aveva visto la
schiacciante vittoria dei soldati fiorentini comandati da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gian Paolo Orsini</i> sulle truppe di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Filippo Maria Visconti</i>, comandate da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nicolò Piccinino</i> in seno ad una guerra che vedeva schierati il
Papa, la Repubblica di Venezia e quella di Firenze, riuniti in una lega contro
la politica espansionistica dei Visconti.</div></span>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxWQjPIbd84mgM7Hc36IRqaF0NdWqzVoCmyNC9ZzeQRGjpHLvoaBDP8Tv5oZrh2KSMAjPhKPTMXkAw0i-POhfPGydfL0XJkf9gFaIIKk9s8hFy1J9bzKtUyU5MHh2AzPMutyDkZbMxCVE/s1018/A.Fedi+-+M.Carboni.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="1018" height="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxWQjPIbd84mgM7Hc36IRqaF0NdWqzVoCmyNC9ZzeQRGjpHLvoaBDP8Tv5oZrh2KSMAjPhKPTMXkAw0i-POhfPGydfL0XJkf9gFaIIKk9s8hFy1J9bzKtUyU5MHh2AzPMutyDkZbMxCVE/w640-h252/A.Fedi+-+M.Carboni.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Dal dipinto di Rubens si evince che Leonardo
mette subito a fuoco l’episodio centrale intorno a cui sarebbe dovuto ruotare
tutto il resto: lo scontro fra i due condottieri Orsini e Piccinino per il
possesso dello stendardo visconteo.</div><div style="text-align: justify;">Nell’impaginazione, Leonardo riprende
un’invenzione già utilizzata più di vent’anni prima, nello sfondo dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Adorazione dei magi</i> della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Galleria degli Uffizi</i>, trasformando il
gruppo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">antropoequino</i>, come lo
definisce Longhi, in una sorta di moto centrifugo di incontrollata violenza,
pronto, come una specie di buco nero, a fagocitare tutto ciò che trova intorno
a sé: sembra quasi che nella giovanile <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Adorazione
dei magi</i>, trasposta in enorme scala, Leonardo abbia sostituito il composto
ed armonico gruppo della Madonna col bambino con quella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">pazzia bestialissima</i>, come il maestro definiva una battaglia. In
altri termini è come se quella zuffa che nell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Adorazione</i> era relegata nel fondo della scena, ingrandita qui a
dismisura, abbia conquistato il proscenio, eliminando il gruppo sacro.</div></span>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilpDLVuM5im_LUKMMg5jg1Uby_sDpIMmNe52lL9VWvlvEPbbMR84lifX78f5V5YbmIFApRkcOI1xX2-bsHpxQfDAB_cWWsYa0V03SvyJ8-9icDTjakPaMlHhH9mUDadn9ZX3DFwoh3jfE/s1000/leonardo-da-vinci-adorazione-dei-magi.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="987" data-original-width="1000" height="632" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilpDLVuM5im_LUKMMg5jg1Uby_sDpIMmNe52lL9VWvlvEPbbMR84lifX78f5V5YbmIFApRkcOI1xX2-bsHpxQfDAB_cWWsYa0V03SvyJ8-9icDTjakPaMlHhH9mUDadn9ZX3DFwoh3jfE/w640-h632/leonardo-da-vinci-adorazione-dei-magi.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Dagli studi preparatori di Leonardo e dalla
copia di Rubens, si comprende l’idea straordinaria del genio di Leonardo che,
per evidenziare la violenza della guerra e, in un certo senso, per dimostrarne
il dissenso, concepisce un’immagine vorticosa di uomini e cavalli impegnati in
una lotta furibonda, frutto soltanto di un furore cieco.</div><div style="text-align: justify;">Questa composizione rappresenta quattro
cavalieri che lottano instancabilmente per conquistare un gonfalone: quello in
primo piano afferra l’asta di schiena, torcendosi animatamente, quelli centrali
si scontrano direttamente sguainando le spade, mentre i loro cavalli sbattono
il muso l'uno contro l'altro quasi a volersi azzannare, l’ultimo cavaliere è
appena visibile in secondo piano, col cavallo che spalanca il morso come a
voler strappare l'estremità dell'asta. Tre fanti sono stati atterrati e colpiti
dagli zoccoli dei cavalli: due al centro, uno addosso all'altro, mentre quello
in primo piano cerca invano di coprirsi con uno scudo.</div><div style="text-align: justify;">Leonardo rende il senso vorticoso del
movimento, la precarietà della lotta, l’atmosfera polverosa e anche il furore
dei combattenti, smentendo decisamente l’idea che egli sapesse rappresentare
solo la dolcezza dei sentimenti.</div></span>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjit0dJgPuX0QG1efi2opbcLoup-3tgv2mpLxi2RNKmL3wC7Y2H3m9WR-hqMt-_o2xC5u4K2HhWrOGicFwYojWi-ZSyeIwad3Vzwq6m3IqXq7sH9SJCwcja748hqM_VZB0irQ2v-N-9LXM/s1030/leonardo_da_vinci%252C_The_Battle_of_Anghiari_by_Rubens%252C_Louvre.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="708" data-original-width="1030" height="440" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjit0dJgPuX0QG1efi2opbcLoup-3tgv2mpLxi2RNKmL3wC7Y2H3m9WR-hqMt-_o2xC5u4K2HhWrOGicFwYojWi-ZSyeIwad3Vzwq6m3IqXq7sH9SJCwcja748hqM_VZB0irQ2v-N-9LXM/w640-h440/leonardo_da_vinci%252C_The_Battle_of_Anghiari_by_Rubens%252C_Louvre.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Il disegno di Rubens e gli schizzi di
Leonardo rivelano l’impaginazione del dipinto: una serie di episodi individuali
che, aggrovigliandosi, raccontano di lotte furiose, narrate nel minimo
dettaglio, curate nella perfezione anatomica di uomini e cavalli, con grande
uso del chiaroscuro e di effetti a tre dimensioni, scolpiti nelle anatomie di
impetuosi cavalli e di veementi cavalieri.</div><div style="text-align: justify;">Quello stupendo groviglio di corpi equini e
umani lascia intuire come poteva essere concepita da Leonardo una battaglia, e
non solo quella di Anghiari, tra cavalli imbizzarriti e contorti, armigeri
pronti al combattimento o già impegnati fino allo stremo delle forze, ma tutti
accecati dall’odio.</div><div style="text-align: justify;">È un’immagine sublime che avviluppa anche lo
spettatore.</div><div style="text-align: justify;">Diversamente dalle precedenti rappresentazioni
di battaglie, Leonardo concepì la sua come un fenomeno della natura, come un
turbine vorticoso che ricorda le nubi che si scontrano durante una tempesta:
tra quei vortici di fumo e di polvere, il dipinto raffigura episodi di una
lotta furibonda, cavalieri e cavalli animati in una lotta serrata, cavalli che
sembrano belve infuriate e smorfie feroci di combattenti contorti in torsioni
innaturali, eccitati dal sangue e carichi di adrenalina allo scoccare della
battaglia, caratterizzati da espressioni forti e drammatiche.</div><div style="text-align: justify;">Tutta la scena riflette il pensiero di Leonardo
fondato su una visione pessimistica dell'uomo che, scatenando una battaglia,
sconvolge la natura, uomini e bestie senza alcuna differenza, e confonde tutto
nel turbine polveroso di un ritmo senza principio né fine. La tensione
drammatica e la potenza di rappresentazione che dovevano caratterizzare il
dipinto traspaiono in questa copia, tratta sia dai disegni preparatori sia dal
cartone, tanto che Shearman<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Leonardo%20La%20battaglia%20d'Anghiari.docx#_ftn1" name="_ftnref1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span face=""Arial",sans-serif" style="line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-fareast-theme-font: minor-fareast;">[1]</span><!--[endif]--></span></a> parla
di un livello mai immaginato di energia e violenza nella pittura storica prima
di quel momento.</div><div style="text-align: justify;">Insomma un capolavoro grandissimo e di
altrettanto grandi proporzioni. Se, come sembra, doveva trattarsi di un grande
trittico murale, Leonardo aveva realizzato solo la zona centrale della
battaglia, riservandosi forse di dipingere in seguito i due pannelli laterali.</div><div style="text-align: justify;">Grande sperimentatore e uomo di scienze, come
nel caso del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cenacolo</i>, Leonardo non
si fermò all’esecuzione del lavoro, ma tentò di attuare l’antica tecnica dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">encausto</i>: fece la prova su un quadrato
della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sala del Papa</i> che diede esito
positivo, ma quando si trattò di applicare il procedimento sull’ampia
superficie muraria in Palazzo Vecchio, accendendo dei fuochi alla base, mentre
la zona inferiore si seccò regolarmente, «lassù alto per la distantia grande
non vi aggiunse il calore e colò»<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Leonardo%20La%20battaglia%20d'Anghiari.docx#_ftn2" name="_ftnref2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span face=""Arial",sans-serif" style="line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-fareast-theme-font: minor-fareast;">[2]</span><!--[endif]--></span></a>.</div><div style="text-align: justify;">A causa di questo esito disastroso, fra la fine
del 1505 e l’inizio del 1506, Leonardo, demoralizzato, sospese i lavori avendo dunque
realizzato soltanto la parte centrale del grande dipinto.</div><div style="text-align: justify;">Sembra che la serena grandezza della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Vergine delle rocce</i> si sia rarefatta e
che al suo posto sia subentrato come un demone un pathos drammatico più
michelangiolesco che leonardesco.</div></span>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2SXVegsy1QM7uMArmeFfhItaXZvL4UwqXWriZXGmqU_NNNMH4VdevFagdcrJBpxi0yYh_No5CwRxt2Ca631ieIw7Ej1lv_gBx6jCAJhjeYXa94jVVL7D12-LoipatCxB3Auy85ABdqig/s2048/Leonardo_Da_Vinci_-_Vergine_delle_Rocce_%2528Louvre%2529.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1291" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2SXVegsy1QM7uMArmeFfhItaXZvL4UwqXWriZXGmqU_NNNMH4VdevFagdcrJBpxi0yYh_No5CwRxt2Ca631ieIw7Ej1lv_gBx6jCAJhjeYXa94jVVL7D12-LoipatCxB3Auy85ABdqig/w404-h640/Leonardo_Da_Vinci_-_Vergine_delle_Rocce_%2528Louvre%2529.jpg" width="404" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Dai due disegni preparatori dei volti di
cavalieri, corrucciati o urlanti nell’impeto dell’assalto, conservati oggi al <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Museum of fine art</i> di Budapest, traspare
la consapevolezza dell’universalità di certi istinti primordiali: il volto
dell’uomo, devastato dalla ferocia dell’urlo, con la testa di tre quarti, è
abitualmente identificato con Niccolò Piccinino subisce una terribile, brutale
trasformazione per esprimere l’essenza della guerra.</div><o:p></o:p></span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhffuWwixluzMTASRgk5ofNAFkv-YDVS7NQwUMvLLhWtmOiQrNGcYHILrP_BNz6PGqX0tjmkhORgcAgqK1uokwHt2I7YV-Zz6TSSJKWmSCHRztInttJnaFdfWdZ0IjEk7ekhMvAb1VmyGc/s672/Leonardo_da_Vinci+studio+per+niccol%25C3%25B2+piccininol.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="672" data-original-width="467" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhffuWwixluzMTASRgk5ofNAFkv-YDVS7NQwUMvLLhWtmOiQrNGcYHILrP_BNz6PGqX0tjmkhORgcAgqK1uokwHt2I7YV-Zz6TSSJKWmSCHRztInttJnaFdfWdZ0IjEk7ekhMvAb1VmyGc/s320/Leonardo_da_Vinci+studio+per+niccol%25C3%25B2+piccininol.jpg" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><div style="text-align: justify;">Il secondo disegno corrisponde alla figura di un
guerriero che si trova nella parte destra della scena: potrebbe trattarsi di
Gian Paolo Orsini, il giovane capitano fiorentino.</div><o:p></o:p></span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span><span face=""Arial",sans-serif" style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span><span face=""Arial",sans-serif" style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9xrbwSlqKh9_0JeA2x0mTDL_CFcsIg0kxPYJEDhP9sTD4aC9v61AyFtJn1OuVRx_O18SHaBItuZVEElE0TvKTr_4X1XxuFauU3E1rkWoonpMNcqXcSA81AtsOdq3m33LXPMmDgoGFb5M/s900/leonardo+studio+per+la+battaglia+di+anchiari+1.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="900" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9xrbwSlqKh9_0JeA2x0mTDL_CFcsIg0kxPYJEDhP9sTD4aC9v61AyFtJn1OuVRx_O18SHaBItuZVEElE0TvKTr_4X1XxuFauU3E1rkWoonpMNcqXcSA81AtsOdq3m33LXPMmDgoGFb5M/s320/leonardo+studio+per+la+battaglia+di+anchiari+1.jpeg" width="320" /></a></span></span></div><span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Grande interesse per un’ideale ricostruzione
della </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Battaglia di Anghiari</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> è un
lavoro di </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Giovan</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Francesco Rustici</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> (1475-1554), un allievo della bottega del
Verrocchio, che realizzò dei modelli in creta dei cavalieri dipinti da Leonardo, forse
proprio mentre il maestro realizzava la stesura in </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Palazzo Vecchio</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> o</span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;"> </i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">forse sono
riconducibili al cartone originario di Leonardo: questi modellini sono
conservati nel </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large; mso-bidi-font-style: normal;">Museo Nazionale del
Bargello </i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">a Firenze. </span></div></span><p></p><p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span><span face=""Arial",sans-serif" style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span><span face=""Arial",sans-serif" style="font-family: verdana; font-size: large; line-height: 150%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCM8VMuBgN77OsQ9YMOOP7ConWhL8nIYLoU2gbP9S9JQCGXHvK276l0y6P21pd_Km2TxdHIqzutoBqbiCxOimsliaztFWrv-6MgfHcy8L9igXAx9Jb7fAAN627GQqJ750NAWw_Z2sk1x4/s1081/Gianfrancesco_rustici%252C_scena_di_combattimento+1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1081" data-original-width="990" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCM8VMuBgN77OsQ9YMOOP7ConWhL8nIYLoU2gbP9S9JQCGXHvK276l0y6P21pd_Km2TxdHIqzutoBqbiCxOimsliaztFWrv-6MgfHcy8L9igXAx9Jb7fAAN627GQqJ750NAWw_Z2sk1x4/w366-h400/Gianfrancesco_rustici%252C_scena_di_combattimento+1.jpg" width="366" /></a></span></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Tra questi si possono distinguere alcune pose disegnate
anche da Rubens, insieme ad altre mai rappresentate da artisti posteriori
grazie alle quali, sono sopravvissute anche altre scene originarie, non
riportate altrove.</div><o:p></o:p></span><p></p><p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOWPlK-kGxmGyc21pb0f1Gu94txkbXYYL-Z05tci0_X3tpbLqkqxkt17fcvIjhrjV6gTSrQOSQHBawdBtNF9Nz4MFa43-sVCmCKorJ9pLda694fzYLT0VjwjUP4fJ9GVatGaIo-gsxSVM/s1440/giovan_francesco_rustici+gruppo_di_guerrieri+2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1393" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOWPlK-kGxmGyc21pb0f1Gu94txkbXYYL-Z05tci0_X3tpbLqkqxkt17fcvIjhrjV6gTSrQOSQHBawdBtNF9Nz4MFa43-sVCmCKorJ9pLda694fzYLT0VjwjUP4fJ9GVatGaIo-gsxSVM/w388-h400/giovan_francesco_rustici+gruppo_di_guerrieri+2.jpg" width="388" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</div></span><p></p>
<div style="mso-element: footnote-list;"><span style="font-family: arial;"><!--[if !supportFootnotes]--><br clear="all" />
</span><hr align="left" size="1" width="33%" />
<span style="font-family: arial;"><!--[endif]-->
</span><div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
<p class="MsoFootnoteText" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Leonardo%20La%20battaglia%20d'Anghiari.docx#_ftnref1" name="_ftn1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%;"><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-fareast-theme-font: minor-fareast;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></span></span></a><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%;"> <span style="background: white; color: #202122;">John Shearman, <i>Mannerism</i>,
Harmondsworth, 1967, edizione italiana <i>Manierismo</i>, SPES, 1983.</span><o:p></o:p></span></span></p>
</div>
<div id="ftn2" style="mso-element: footnote;">
<p class="MsoFootnoteText" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/Leonardo%20La%20battaglia%20d'Anghiari.docx#_ftnref2" name="_ftn2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%;"><span style="mso-special-character: footnote;"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-fareast-theme-font: minor-fareast;">[2]</span></span><!--[endif]--></span></span></span></a><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 7pt; line-height: 115%;"> <span style="background: white; color: #050505;">Anonimo Gaddiano (Cod. Magliab. XVII,
17, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)</span></span></span><span face=""Arial",sans-serif"><o:p></o:p></span></p>
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-70541927734036273712023-10-30T00:08:00.001-07:002023-10-30T00:08:24.713-07:00I fiamminghi 4: il Rinascimento nordico e la questione fiamminga<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Come esiste una <i>questione omerica</i> nella <i>Storia della Letteratura greca</i> così esiste una <i>questione fiamminga</i> nella <i>Storia dell’Arte</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Entrambe al momento sono irrisolvibili e non so se mai potranno essere risolte. Conoscerne tuttavia i termini è molto utile per comprendere più a fondo i due fenomeni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nel caso della <i>questione fiamminga</i>, il dibattito sul <i>carattere</i>, tardomedievale o rinascimentale, va avanti da oltre due secoli durante i quali storici dell'Arte, pensatori e studiosi di Storia hanno espresso le più disparate opinioni sul ruolo che questi artisti ebbero nello sviluppo dell'Arte in Europa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In questo appassionante dibattito, il <i>nazionalismo</i> ha giocato un ruolo considerevole e spesso deviante, come sempre accade con ogni nazionalismo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Hanno Wijsman</i> – in <i>Rinascimento nordico? L'arte borgognona e olandese nell'Europa del Quattrocento</i> del 2010 –, mostra la disamina delle posizioni degli storici dell'Arte, indica poi il profondo disaccordo su una soluzione conclusiva dei vari problemi posti in campo, e sostiene infine che in questa discussione ancora non ci si è liberati di due idee guida: da un lato, sulla scorta di Burckhardt, dell'<i>autoproclamata </i>supremazia degli artisti italiani come Ghiberti, Alberti, Vasari e Michelangelo, dall’altro della caratterizzazione incisiva e ancora molto incidente di Huizinga sull'Arte nordica come prodotto ancora tardo medievale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Certamente non è facile definire le direzioni artistiche attive in tutto il continente europeo, ma bisogna tenere conto delle tre forze in gioco, componenti ineludibili nel Quattrocento: la <i>cultura delle corti</i>, la <i>cultura civica</i> nata nell'ambiente urbano, e non ultima la <i>cultura degli umanisti</i> in latino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il latino, lingua franca durante tutto il Medioevo, era diventata nel Quattrocento la lingua degli intellettuali europei e dell'<i>Umanesimo</i> mentre i vari volgari continuavano a svilupparsi e a soppiantarlo sempre più articolatamente nell’uso quotidiano e anche esordendo nella letteratura: in ragione dell’<i>Umanesimo</i> in Italia fu naturale, quasi automatico, che il <i>Rinascimento</i> fosse considerato l'Arte dell'<i>Umanesimo</i>. E per molti aspetti fu così: in Italia infatti la base intellettuale del Rinascimento era stata la versione in Arte e in Letteratura del pensiero filosofico umanistico, derivato dal concetto di <i>humanitas</i> romana e dalla riscoperta del pensiero classico greco che voleva <i>l'uomo misura di tutte le cose</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Questo nuovo modo di pensare, questa nuova <i>visione del mondo</i> si manifestò in ogni aspetto della cultura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Su questo fenomeno prettamente italiano successivamente si è innestata l’espressione <i>Rinascimento nordico</i> riferita all’Arte fiamminga del Quattrocento e usata da <i>Hippolyte Taine</i> per la prima volta in <i>Philosophie de l'art dans les Pays-Bas</i> del 1869.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Wijsman</i> trova però inadeguata la definizione <i>Rinascimento nordico</i> di Taine e seguenti perché la pittura fiamminga è lontana dal concetto centrale di <i>rinascita del mondo classico</i> a cui invece l’Arte rinascimentale è sostanzialmente ancorata: il recupero della classicità non appare infatti nella pittura delle Fiandre, a meno che non ci si riferisca a quei pittori della fine del Quattrocento che si calarono così profondamente nell’atmosfera italiana da dare origine alla corrente dei <i>romanisti</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Wijsman</i> aggiunge che anche l’espressione <i>Ars Nova</i>, mutuata dal campo musicale e oggi talvolta ricorrente per definire l’<i>Arte fiamminga</i>, potrebbe sembrare solo apparentemente valida per descrivere la direzione presa dall'Arte nei Paesi Bassi del Quattrocento, ma lo studioso olandese non la trova comunque del tutto adeguata perché finirebbe per isolare quest'Arte da quanto le è accaduto intorno in Italia, in Francia e nell’area tedesca sulla riva destra del Reno. Infine <i>Wijsman</i> conclude il suo articolo dichiarando il problema al momento irrisolto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In questo racconto di oggi, percorrerò la strada delle proposte, almeno delle più significative,</span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> perché ogni intervento, anche se limitatamente e talvolta opinabilmente, aiuta a comprendere meglio e più criticamente il fenomeno dell’<i>Arte fiamminga</i> del Quattrocento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Si può parlare di <i>Rinascimento nordico</i>? Sono rinascimentali tutte le opere del Quattrocento e del Cinquecento o solo quelle che si ispirano all'Arte greco-romana piuttosto che a quella medievale? E ancora. I primi fiamminghi, cioè quelli del Quattrocento, si possono definire <i>rinascimentali</i>?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Se per rinascimentale noi intendiamo solo il <i>recupero dell’antico</i> allora l’aggettivo <i>nordico</i> non è appropriato, e non riduttivamente per la <i>scuola fiamminga</i>, ma perché essa è diversa, è semplicemente <i>altro</i> rispetto alla scuola italiana, perché il primo Rinascimento, quello del Quattrocento, fu un fenomeno prettamente italiano legato al recupero dell’antico, al di là del fatto che poi nel suo complesso, il Rinascimento possa essersi successivamente diffuso in quasi tutta l’Europa occidentale del Cinquecento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Se non esiste un preciso riferimento alla diffusione dell’Arte italiana e se l’Arte non è nettamente ispirata alle forme classiche, allora è preferibile parlare più genericamente di una <i>fioritura premoderna</i> delle varie scuole europee che abbiano risentito di una più o meno vaga influenza di alcune tecniche messe in campo dagli artisti italiani del Rinascimento finché poi nella sua fase conclusiva, quella del famigerato <i>Manierismo</i>, la moda rinascimentale dilagò a macchia d’olio in tutta l’Europa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Si rifletta però su questo punto perché è quello da cui parte la posizione dello storico olandese <i>Johan Huizinga</i> (1872 – 1945) molto interessante, ma in parte discutibile, che ha polarizzato la <i>questione fiamminga</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga non trovava <i>rinascimentali</i> i primi fiamminghi, ma li considerava ancora tardo medioevali e riteneva che, per quanto riguardava il Nord Europa, il Rinascimento non fosse stato tanto l'inizio di qualcosa di nuovo, quanto la sua scomparsa: nella sua opera <i>L’Autunno del Medioevo</i>, del 1919 più volte riveduto e tradotto in Italia nel 1940, parla letteralmente di una <i>consunzione</i> delle forme culturali medievali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga parla di questo crepuscolo della civiltà medievale a proposito del Rinascimento in Francia e nei Paesi Bassi della Borgogna. Per lui il Trecento e il Quattrocento sono stati un grandioso e malinconico riepilogo e, insieme, un lento e inesorabile tramonto della civiltà medioevale e dell'Arte tardogotica. Nell'esasperata formalità e nel <i>romanticismo</i> della vita di corte tardomedievale, l’eminente studioso non vede altro che un meccanismo di difesa contro il crescente involgarimento della società <i>moderna</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Le critiche mosse a Huizinga sono fondate soprattutto sul fatto che la sua rappresentazione di quei due secoli si basava eccessivamente sui rituali specifici della corte borgognona e non teneva conto della vitalità crescente delle industriose e fiorenti città commerciali dei Paesi Bassi della Borgogna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Come Burckhardt, che Huizinga ammirava molto, neanche lui deliberatamente si volle servire di documenti d'archivio, ma studiò cronache e letteratura. Una sorta di <i>controstoria</i>, scritta attraverso il pensiero che gli intellettuali avevano di sé e del loro mondo. Del loro <i>sentiment</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Quando fu pubblicata, la sua opera fu qualcosa di nuovo nel panorama critico e storiografico perché, più che essere uno studio storico, fu un esempio di <i>storia della cultura</i> e <i>della mentalità</i> di cui <i>Il tramonto del Medioevo</i> è stato uno degli archetipi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga ha cercato di evocare l'immagine di un'epoca, seguendo l'esempio di Jacob Burckhardt. Prendendo in considerazione gli stessi secoli dello studioso svizzero, ma in un’altra area, quest’opera, colta e affascinante, offre parecchi spunti di riflessione e, nella misura in cui lo storico elvetico evidenzia la novità della civiltà del Rinascimento in Italia, lo storico olandese sottolinea la continuità della civiltà medioevale durante il Trecento e il Quattrocento, ma ne evidenzia anche il senso e la consapevolezza della sua fine. Sono due opere diverse, ma complementari: mentre Burckhardt celebra il <i>nuovo</i> di un mondo che nasce, Huizinga rievoca il <i>vecchio</i> di un mondo che muore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Per essere capiti a fondo, Burckhardt e Huizinga, vanno contestualizzati: sono figli del loro tempo e della loro cultura di formazione e se Burckhardt ha una visione idealistico-romantica del Rinascimento e lo predilige, Huizinga ha una visione decadentista del tardo Medioevo e lo commuove.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga ha studiato la cultura del tardo Medioevo attraverso l’<i>immaginario culturale</i> e il titolo dell’opera lo chiarisce immediatamente creando la <i>metafora dell’autunno</i>, stagione che non è ancora la fine, ma che ad essa si avvia, per catturare quella cultura nella sua interezza. Il sottotitolo invece chiarisce seccamente di cosa si tratta: uno <i>studio sulle forme di vita e di pensiero dei secoli XIV e XV in Francia e nei Paesi Bassi</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il titolo, l’autunno, è l'immagine che lo stesso Huizinga ebbe di quei secoli, non secoli di fioritura, ma secoli di appassimento: come avviene per la vegetazione in autunno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga studiò il Medioevo in modo completamente diverso rispetto a molti storici prima di lui: non raccontò infatti una storia di guerre e di trattati, oppure una storia di agricoltura e di commercio, ma raccontò come la gente nel tardo Medioevo affrontava la vita. Una vita molto più intensa della sua, per certi aspetti della nostra epoca. Tutto allora era più duro del lusso moderno: l'uomo medievale si confrontava con la <i>ferocia della vita</i> e per affrontare quella ferocia, per darle un senso e un significato, il Medioevo aveva creato ogni tipo di <i>forme di vita</i>: le storie, i rituali, i dipinti, la moda, gli edifici.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga discute queste diverse <i>forme</i> di vita attraverso una varietà di temi, come l'ideale cavalleresco di coraggio e di onore, l’amore e l’erotismo, e la fede cristiana. Ma poi ci avverte che in quell’autunno del Medioevo, in quel Trecento e Quattrocento franco-borgognoni, queste forme si erano completamente svuotate, avevano perduto il potere di dare un senso alla vita e avevano invece incominciato a condurre una vita propria, che aveva sempre meno a che fare con la vita reale in uno iato insanabile. Huizinga, per esempio, descrive come i cavalieri volessero aderire così tanto alla <i>forma</i> di <i>cavaliere</i> che doveva apparire sempre coraggioso e onorevole: quei cavalieri finivano per comportarsi in modo goffo durante i loro viaggi e le loro battaglie e di conseguenza talvolta perdevano la vita inutilmente come era accaduto nella battaglia di Poitiers e molto più evidentemente nella battaglia di Azincourt. Quasi come antenati di Don Chisciotte, incapaci di adeguarsi ai cambiamenti del mondo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Alla fine del Medioevo, gli uomini talvolta dimenticavano ciò che era veramente necessario, ostinandosi a ubbidire a ciò che le <i>forme di vita</i> di un altro tempo, ormai andato, esigevano da loro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In <i>L'autunno del Medioevo</i> per esempio parla ampiamente del rituale del lutto come di una di quelle forme svuotate con cui l'uomo del tardo medioevo affrontava la vita e la morte, ma si trattava ovviamente del lutto per i re e per i principi. In quella fine del Medioevo, lo sfarzo funebre era diventato semplicemente un fatto artistico e un vuoto spettacolo. Si pensi ai solenni funerali di Filippo l’Ardito e a quelli di suo figlio Giovanni senza Paura, tradotti in scultura nei loro meravigliosi mausolei funebri.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In quello sfarzo funebre diventato opera d’arte c'era qualcosa di smisurato, l’iperbole del dolore, contraltare dell'iperbole della gioia delle altrettanto smisurate feste di corte e a tal proposito si pensi invece al matrimonio di Carlo VI di Francia o di Filippo il Buono o di Carlo il Temerario, duchi di Borgogna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Per quanto quelle <i>forme</i> diventassero artificiali nel tardo Medioevo, esse restavano necessarie per esprimere ogni passione, ogni violenza, per dare significato a ogni dubbio e bellezza nella vita come nella morte di un monarca. Così lo <i>spirito</i> del Medioevo indugia tra il <i>dolore</i> e la sua <i>espressione iperbolica</i>, e tra la <i>bellezza colorata</i> delle forme e la <i>disperazione nera</i> della vita vera.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Huizinga interpreta quei due secoli come nutriti di nostalgia per quel mondo che stava scomparendo, ma comunque nutriti anche del senso di precarietà della vita, della morte, da cui l'uomo cercava di evadere, sfuggendo alla malinconia, per rifugiarsi nelle regioni del sogno, in contrapposizione all’esplosione gioiosa della vita che Burckhardt vedeva brulicare nel Rinascimento in Italia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">E proprio a proposito di Jan van Eyck, artista simbolo di questo significativo momento nelle Fiandre, Huizinga scrisse: “<i>... il naturalismo dei van Eyck, che nella Storia dell'Arte è solitamente considerato un preludio al Rinascimento, dovrebbe piuttosto essere considerato come il pieno sviluppo dello spirito tardo medievale</i>”. Un concetto che può essere ampiamente controbattuto, ma che lascia comprendere che in fondo è la radicalità soggettiva del pensiero dello storico che affascina e che d’altro canto stimola la riflessione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Prima di Huizinga altri studiosi si erano applicati al <i>fenomeno fiammingo</i>. Per questo potremmo definire <i>L’autunno del Medioevo</i> una sorta di <i>summa</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In Germania, storici di varia ispirazione compreso l'intenditore d'Arte e storico <i>Georg Friedrich Waagen</i> (1794 – 1868), hanno approfondito il tema dell’origine tedesca del <i>senso della realtà</i> dei fiamminghi. E secondo <i>Waagen</i>, nel suo <i>pamphlet</i> sui fratelli van Eyck del 1832, l'Arte europea aveva imboccato nel Quattrocento due direzioni principali: quella <i>idealizzante</i> e quella <i>realistica</i>. L'idealizzazione era l'eredità dell'Arte greca classica ed era stata raccolta dagli italiani a partire dal Trecento e per lui questo tipo di Arte si adattava maggiormente al temperamento dei popoli latini, mentre l'emersione dell'Arte fiamminga era la manifestazione del <i>realismo germanico</i>. Una visione molto interessante, ma in ogni caso Waagen considerava anche lui l'arte di Jan van Eyck un’Arte ancora medievale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L'Abate francese <i>Chrétien Dehaisnes</i> (1825 – 1897), nell’<i>Histoire de l’art dans la Flandre, l’Artois et le Hainaut avant le XV siècle</i> del 1886, pone un altro problema relativo alla questione fiamminga.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">In quale ambiente sociale nasce per lui l’Arte fiamminga?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Per Dehaisnes la grandezza dell'Arte dei primi fiamminghi è dovuta alla loro avversione per la vita di corte e alla loro profonda religiosità. Secondo lui, infatti Jan van Eyck era chiaramente inferiore a suo fratello Hubert perché l’opera di Jan era molto meno religiosa e molto più realisticamente religiosa di quella di Hubert, che era riuscito invece a trovare un equilibrio ragionevole tra le due opposte correnti del realismo: da un lato la grandezza dell'idealismo e dall'altro l'influenza cristiana. Per Dehaisnes anche <i>Rogier van der Weyden</i> mancava dell'<i>idealismo cristiano</i> e della <i>verità</i> dei grandi maestri, mentre Memling era stato l'artista più devoto e più cristiano che le Fiandre avessero mai prodotto e il più grande pittore della scuola fiamminga. Anche per Dehaisnes, il senso della realtà dei primi fiamminghi potrebbe essere ricondotto al loro senso germanico della realtà, ma non approfondiva e tanto meno argomentava il problema suscitato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Per lui, la grandezza della pittura fiamminga consiste nella sua <i>religiosità</i> che è la sua matrice più autentica e non in quella della <i>corte</i>, e nello specifico di quella borgognona. Occorre riflettere però sul fatto che nella pittura fiamminga, pur essendo essa nata dall’alveo della <i>cultura cortese</i> del <i>Gotico internazionale</i>, si legge una maggiore consistenza fisica rispetto alle immagini idealizzate del lusso aristocratico e una maggiore verosimiglianza materiale delle immagini. Da che cosa dipendeva tutto questo?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Era stata l’arte della borghesia fiamminga, non certo nata nell’ambiente della corte, a dar vita ad un arricchimento dello stile <i>Gotico internazionale</i> infondendovi un senso tutto nuovo di naturalismo basato sui valori emergenti della cultura mercantile borghese: un assoluto realismo nella rappresentazione delle figure umane, di oggetti, di ambienti naturali o interni, di personaggi sacri e perfino nella resa della luce e della realtà atmosferica. Questo vuol dire che l’Arte fiamminga si è nutrita anche dei valori più terreni e materiali della cultura mercantile in cui essa si stava sviluppando.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Giovanni Battista Cavalcaselle</i> (1819 –1897) e <i>John Crowe</i> (1825 - 1896) in <i>Storia dell’antica pittura fiamminga</i> del 1899, ebbero un’opinione molto diversa dall'Abate Dehaisnes, e considerarono invece l'Arte dei primi fiamminghi come il prodotto della cultura della corte borgognona. Questo nessuno può del tutto negarlo. Per questi due studiosi la pittura fiamminga fu una forma d’Arte che mise in evidenza la ricchezza e il lusso di quella corte, con le rappresentazioni realistiche delle vesti di broccato d'oro, dei gioielli e di sfarzosità simili. Ma per loro quel realismo duro, a volte anche crudele, non lasciava spazio all'elevazione dell'uomo, che sarebbe dovuta essere il vero traguardo di un’Arte rinascimentale, un traguardo che però non poteva essere raggiunto a causa del legame con la corte che ancorava quest’arte al Medioevo. Cavalcaselle e Crowe sentivano per esempio che <i>Rogier van der Weyden</i> non idealizzava a sufficienza i volti di Maria e di Cristo e che solo <i>Memling</i> sapeva esprimere la grazia nei loro occhi. Pertanto per loro la storia dell'Arte fiamminga fu una storia di declino, il declino del Medioevo – preannunciando così la visione di Huizinga – mentre quella dell'Arte italiana cioè quella <i>rinascimentale</i> fu una storia di un’ascesa verso la modernità – come aveva proclamato Burckhardt.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I due studiosi accentuarono l’origine di <i>corte</i> della prima pittura fiamminga ed evidenziarono che essa, essendo legata a una struttura medievale come la corte, persiste in una iconografia non ancora moderna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I francesi <i>Théophile Toré</i> (1807 – 1869), <i>Charles Blanc</i> (1813 –1882) e <i>Paul Mantz</i> (1821 -1895) nella seconda metà dell’Ottocento nutrivano molta ammirazione per la scuola realista olandese del Seicento. Un elemento questo che apparentemente c’entrerebbe poco con la <i>questione fiamminga</i>, ma che invece introduce un altro problema ancorché collaterale, quello dei rapporti fra la pittura fiamminga del Quattrocento e quella Olandese del Seicento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La posizione di Torè, Blanc e Mantz era il risultato delle fervide discussioni in Francia tra i <i>classicisti</i>, rispettosi delle norme accademiche, e i <i>repubblicani</i> che erano invece dei convinti sostenitori del <i>realismo</i> ed erano fin troppo felici di trovare nel realismo olandese del Seicento degli antesignani e di emulare questa scuola, che secondo loro era il risultato della cultura borghese-repubblicana dell’Olanda. Essi però non vedevano alcuna connessione tra i primi fiamminghi che consideravano fondamentalmente pittori di corte mentre la pittura olandese del Seicento nasceva invece dal libero spirito repubblicano delle <i>Sette Province Unite</i> del Nord.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Autori di poco successivi, come <i>Alfred Michiels</i> (1813 - 1892) e <i>Hippolyte Taine</i> (1828 – 1893), consideravano invece i <i>primi fiamminghi</i> come pionieri di pittori come <i>Jacob van Ruysdael</i>, <i>Meindert Hobbema</i>, <i>Govert Flinck</i> e <i>Rembrandt</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: xx-large;">Questa tesi diventò sempre più comune in Francia e diventò opinione maggioritaria che la scuola olandese fosse l'erede dei primi fiamminghi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La questione dell’eredità fiamminga nella pittura olandese è una tesi piuttosto facilmente sostenibile, ma ovviamente non si può assumere in modo assoluto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il travaso estetico dalle Fiandre ai Paesi Bassi del nord era avvenuto realmente e non per via ipotetica nel Cinquecento quando Anversa era ancora la capitale culturale di tutti i Paesi Bassi. La ricchezza della città forniva molta clientela quindi altrettanta domanda d’Arte pertanto la concorrenza reciproca tra gli artisti fiamminghi stimolò l'innovazione e il miglioramento della produzione artistica. Quando però nei Paesi Bassi scoppiarono disordini dopo l'iconoclastia del 1566, il dominio di Anversa finì e durante l'assedio della città nel 1585, circa 150.000 fiamminghi fuggirono nei Paesi Bassi del Nord, dove erano più sicuri.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Grazie alla relativa tranquillità di Haarlem, la città diventò l'insediamento preferito dai rifugiati fiamminghi e in una ventina d’anni Haarlem raddoppiò la sua popolazione: fra questi rifugiati c'erano anche molti artisti, come il pittore manierista e primo storico dell’Arte dei Paesi Bassi: ‘<i>Karel van Mander</i>’</span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">. È fuori discussione che la pittura paesaggistica mostri chiaramente l'influenza dei fiamminghi sullo sviluppo dell'Arte olandese: i fiamminghi dipingevano da secoli paesaggi come sfondo per i ritratti, e rifugiati fiamminghi come <i>Roelandt Savery</i> e <i>Gillis van Coninxloo</i> portarono con sé nei Paesi Bassi del Nord la tradizione del paesaggismo fiammingo e resero il paesaggio sempre più preminente nei loro dipinti. Lo stesso vale per le opere di <i>David Vinckboons</i> che dipinse opere religiose e scene di vita quotidiana: nei suoi dipinti, chiese e castelli olandesi sembrano apparire in un paesaggio montano italiano. È sorprendente come la realtà non fosse importante in questi primi paesaggi: essi creavano principalmente atmosfere, ma non riproducevano necessariamente la realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dopo l'iconoclastia e la rivolta contro il re di Spagna, nei Paesi Bassi la chiesa scomparve come committente importante. Gli artisti risposero a questa nuova situazione adattandosi e dipingendo altri soggetti e ora che i cittadini stavano incominciando a prendere il potere, c’era più richiesta di ritratti e di scene di vita quotidiana. Anche la ritrattistica olandese di <i>Frans Hals</i> deve molto agli artisti fiamminghi. Nel Cinquecento ad Anversa erano raffigurati ritratti su larga scala in uno stile molto realistico nel solco di <i>Jan van Eyck</i> e di <i>Hans Memling</i> diversamente dallo stile degli artisti italiani che dipingevano ritratti idealizzati.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fu dunque grazie ai rifugiati fiamminghi, che l’approccio realistico giunse anche nei Paesi Bassi del Nord, dove fino allora non esisteva una tradizione di ritrattistica. L'influenza di Rubens in Frans Hals è chiaramente visibile nei suoi primi dipinti e solo più tardi Hals avrebbe sviluppato il suo caratteristico stile sciolto e gli sfondi scuri, ma, per tutta la sua vita, avrebbe mantenuto il realismo dei ritratti fiamminghi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L'immigrazione di centinaia di artisti fiamminghi ebbe perciò grande influenza sullo sviluppo dell'arte olandese e non so se la grande Arte, quella del cosiddetto <i>Secolo d'oro olandese</i>, avrebbe avuto così tanto successo senza la conoscenza e la tradizione dei pittori fiamminghi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nella sua opera prima citata <i>Taine</i>, basandosi ancora sulla definizione di Burckhardt, parlò per la prima volta in forma estensiva di un <i>Rinascimento nordico</i>, fiammingo o cristiano, contrapposto al più paganeggiante Rinascimento italiano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Meno di dieci anni dopo, <i>Eugène Fromentin</i> (1820 – 1876) nel suo <i>Les Maîtres d'autrefois</i> del 1876 affrontò la questione di una doppia origine, cortese e religiosa, nella pittura fiamminga del Quattrocento, citando due esempi campione: Jan van Eyck rappresentante della sfarzosa cultura di corte borgognona e Hans Memling esponente dell'ascetismo della vita monastica, ma definì entrambi ancora chiara espressione della cultura medievale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Dal 1870 anche gli olandesi incominciarono a esprimersi sull'argomento. Il primo fu <i>Johannes van Vloten</i> (1818 – 1883) nel 1874, che ricalcava in gran parte quanto espresso da Thoré e da Taine, ma, diversamente da Thoré, seguì il pensiero di Taine, vedendo nei primi fiamminghi l'inizio di una <i>scuola olandese</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Van Vloten fu seguito da <i>Conrad Busken Huet</i> (1826 – 1886), che nel suo ampio studio <i>La terra di Rembrandt</i>, completato nel 1884, ebbe un'influenza duratura sull'immagine dei Paesi Bassi soprattutto nel Seicento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La storiografia olandese deve ancora molto a quest’opera per l’immagine della cultura e dell’arte olandese fornita da Huet che si colloca sullo stesso livello storiografico dell'<i>Autunno del Medioevo</i> di Huizinga anche se con minore notorietà internazionale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nella sua prefazione al volume, Huet afferma di voler presentare gli Olandesi dal punto di vista della Storia d'Europa, gettando così una nuova luce sul suo popolo le cui molte contraddizioni rimangono tuttora irrisolti: il Calvinismo e il duro modo olandese di commerciare, il carattere religioso della società e lo spietato sfruttamento coloniale in Occidente e in Oriente. Sulla base delle sue convinzioni Huet vide infatti la scuola fiamminga e quella olandese come espressione di due culture diverse. Per lui, la pittura olandese del Seicento era il risultato dell'energia nazionale e il realismo dei pittori olandesi del Seicento aveva radici ben più antiche rispetto ai primi fiamminghi: a testimonianza di ciò faceva ampio riferimento all’arte di <i>Claus Sluter</i>, lo scultore di Filippo l’Ardito che, nonostante il suo lavoro nel sud e a Digione, aveva conservato la sua identità olandese.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">All'inizio del Novecento, gli orientamenti non puntavano tutti nella stessa direzione e questo sarebbe continuato per qualche tempo: <i>Louis Courajod</i> aveva infatti riportato in scena il termine <i>Rinascimento del Nord</i> e la mostra di Bruges del 1902 rilanciò la discussione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">All’idea di Huizinga di una permanenza tardomedievale nell’Arte fiamminga del Quattrocento hanno avuto posizioni molto diverse altri studiosi che lo hanno preceduto, tra cui <i>Louis Courajod</i> (1841 – 1896) e <i>Hippolyte Fierens-Gevaert</i> (1870 – 1926), che sostennero invece che i primi fiamminghi potessero essere visti come i fondatori di un <i>Rinascimento settentrionale</i> anzi sostenevano che era stata la loro arte a dare origine al Rinascimento italiano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nelle sue opere Louis Courajod cercò costantemente di contraddire le tesi generalmente accettate secondo le quali la cultura italiana aveva dato origine all'Arte rinascimentale. Secondo lui, invece, nessuna innovazione essenziale nella cultura e nelle arti si trova in Italia, ma solo nel nord della Francia e nei Paesi Bassi, e l'Italia avrebbe solo aggiunto una patina antica all'opera compiuta. Purtroppo però Courajod è stato sempre molto apodittico e non ha mai argomentato come.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L’influsso fiammingo sull’Arte italiana da una certa data in poi è indubitabile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma che cosa si può intendere per <i>Rinascimento settentrionale</i> se non una diffusione dell’Arte italiana nella fase del <i>Manierismo</i> che ha concluso il Rinascimento?</span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> E questo è avvenuto solo dopo che si era placata l’ondata della Riforma, frantumatasi poi nei suoi variegati protestantesimi, e dopo che la Riforma aveva gravemente danneggiato l’Arte con le sue radicali iconoclastie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Courajod usava forse il termine <i>Rinascimento</i> intendendo il Quattrocento e gran parte del Cinquecento e considerava rinascimentale quel periodo di tempo? Ma se è così commetteva un errore grossolano perché neppure in Italia l’Arte di quel periodo può essere definita tutta <i>rinascimentale</i>, per la presenza ancora viva del linguaggio <i>Gotico internazionale</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Tirando ora le fila del discorso, tutta l’Arte europea agli inizi del Quattrocento, compresa quella italiana, parlava ancora univocamente un solo linguaggio artistico: quello dell’<i>Arte tardo gotica</i>. Ma fermenti di novità erano già chiaramente visibili all’orizzonte ed essi si concentravano soprattutto in due precise aree geografiche: la <i>Toscana</i> e le <i>Fiandre</i>. In Toscana, come è noto, si sviluppò quell’arte che noi oggi definiamo «rinascimentale». Nelle Fiandre si sviluppò negli stessi anni un’arte, che oggi chiamiamo «fiamminga», destinata anch’essa a conoscere un’ampia fortuna e ad influenzare nel profondo il resto dell’Arte europea successiva.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">All’inizio del Quattrocento la situazione artistica era simile a quella che si era verificata a fine Duecento inizio Trecento: allora c’era un’arte di tradizione, quella bizantina che, con la sua quasi millenaria tradizione, aveva attraversato in lungo e in largo tutto il Medioevo ed aveva egemonizzato il panorama artistico, dall’altra c’erano due nuove proposte che si stavano sviluppando tra l’Italia e i paesi a nord delle Alpi, dove stavano sorgendo due nuovi stili che scossero molto profondamente la stagnante estetica bizantina: l’<i>Arte italiana</i> prerinascimentale, per intenderci quella di Giotto, dei Pisano, di Cavallini, dei Lorenzetti e così via, e l’<i>Arte gotica</i> nata al di là delle Alpi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Agli inizi del Quattrocento la situazione era quasi simile, solo che questa volta l’arte che monopolizza la scena internazionale era quella gotica, mentre le nuove proposte stilistiche provenivano dall’Arte fiamminga nel solco della tradizione tardogotica, e da quella rinascimentale italiana nel solco di quella trecentesca. Nel corso del Quattrocento fu sempre più l’Arte italiana rinascimentale a diffondersi in Europa e a conquistare i gusti della committenza finché, alla fine del secolo, fu proprio il Rinascimento ad imporsi come nuovo linguaggio artistico europeo soppiantando in larga parte il Gotico, tranne nell’Architettura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Le differenze tra l’Arte rinascimentale e quella fiamminga sono molte, ma se ne devono evidenziare subito due: mentre l’Arte del Rinascimento rivoluzionò un po’ tutte le arti figurative – architettura, pittura, scultura e arti applicate –, le novità dell’Arte fiamminga riguardarono invece solo la pittura. L’altra differenza sostanziale è che l’Arte rinascimentale ebbe una portata molto più rivoluzionaria, in quanto impostò una nuova visione artistica più autenticamente moderna, e per questo alla fine ebbe ragione di altri stili artistici, mentre l’Arte fiamminga in fondo va vista, come aveva già intuito Huizinga, come un’evoluzione dell’Arte tardo gotica, e comunque un’evoluzione tesa a conquistare un maggior <i>naturalismo</i>, ma che sostanzialmente non metteva del tutto in crisi uno stile che era ancora espressione di un mondo basato su princìpi e valori propri del Medioevo europeo: sacralità, cortesia e cavalleria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Molti e variegati sono stati i protagonisti dell’Arte fiamminga. Tra di loro il più noto è sicuramente <i>Jan Van Eyck</i> che la tradizione storiografica ha indicato come l’inventore di questo nuovo movimento artistico. Oggi però le nostre conoscenze ci permettono di affermare che, in realtà, a far nascere il nuovo stile contribuì essenzialmente anche un altro artista, la cui personalità appare ancora non sempre ben definita: <i>Robert Campin</i> il nome con cui attualmente è riconosciuto un artista che, fino a poco tempo fa, era noto solo con il nome convenzionale di <i>Maestro di Flemalle</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma è esistito un prima di questi due grandi maestri, come in Italia è esistito un prima di Masaccio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Sebbene il <i>Gotico internazionale</i> fosse molto più in linea con il mondo della corte, e sebbene rimanesse ancora un’arte molto idealizzata e spesso innaturale nella rappresentazione delle persone e dell'architettura, lo stile dei <i>Primi Fiamminghi</i> – ma come del resto anche l’Arte del Rinascimento in Italia aveva le sue radici nel Gotico Internazionale –, tra il 1350 e il 1420 ebbe alcuni maestri dell’area dei Paesi Bassi che incominciarono ad allontanarsi dalla leziosità di quello stile, adottando un’espressione più realistica, definita <i>realismo pre-eyckiano</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Una bella manifestazione di questo <i>realismo fiammingo</i> si trova nell'<i>Apocalisse in medio olandese</i> all’incirca del 1400 di due ignoti miniaturisti del luogo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma già dalla seconda metà del Trecento, sempre più artisti provenienti dalle Fiandre, dall'Hainaut, da Liegi, dal Limburgo, dalla Gheldria e dall'Olanda si erano trasferiti in Francia, prima presso Giovanni II di Francia e poi presso suo figlio Carlo V, per lavorare per la corte regia o per i fratelli di Carlo V: Filippo l’Ardito, Giovanni di Berry e Luigi I d'Angiò.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Alcuni di loro svolsero un lavoro pionieristico aprendo la strada al <i>realismo</i>, ad esempio, il <i>Maestro di Le Remède de Fortune</i>, che diede origine alla suggestione spaziale anche nel piano bidimensionale di una miniatura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Nel 1371 il pittore di corte <i>Jan Boudolf</i> eseguì un ritratto probabilmente abbastanza realistico del sovrano e introdusse l'arco diaframma per chiudere lo spazio tra il re e il spettatore, un'<i>inventio</i> che sarebbe stata seguita fino a <i>Petrus Christus</i>, <i>Rogier van der Weyden</i> e <i>Dirk Bouts</i>. Il pittore di Bruges <i>Jacob Coene</i> (1405 – 1430), associabile al <i>Maestro di Boucicaut</i>, fu l’inventore della <i>prospettiva aerea</i>, una tecnica pittorica in cui è possibile creare un'impressione di profondità nel dipinto, principalmente attraverso l'uso del colore, e fu anche un precursore nel campo della <i>raffigurazione del paesaggio</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I primi pittori coinvolti in questa evoluzione della pittura fiamminga, perché non si tratta di una rivoluzione attuata da Campin e van Eyck, furono <i>Jean de Beaumetz</i> di Atrecht e <i>Jan Maelwael</i> di Gheldria, che lavoravano anche a Digione per Filippo l’Ardito. <i>Melchior Broederlam</i> di Ypres, insieme a <i>Jacob de Baerze</i> di Dendermonde, ricevettero proprio dal duca Filippo l'incarico di eseguire la grande pala d'altare per Champmol: per esempio Broederlam dipinse un <i>Giuseppe</i> così realistico nel pannello con la <i>Fuga in Egitto</i>, che non sembrerebbe fuori luogo in un dipinto di <i>Pieter Brueghel il Vecchio</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">E indimenticabili per questa evoluzione furono i<i> fratelli di Limburgo</i>, che, come miniaturisti, produssero opere meravigliose e di grande novità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Le origini di <i>Jan van Eyck</i> e di <i>Robert Campin</i> sono da ricercare tutte in questi pittori.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ma oltre questi due artisti, l’Arte fiamminga conobbe altri straordinari interpreti per tutto il Quattrocento: <i>Petrus Christus</i>, <i>Rogier van der Weyden</i>, <i>Hans Memling</i>, <i>Giusto di Gand</i>, <i>Hugo Van der Goes</i>, <i>Quinten Massys</i> e <i>Dirk Bouts</i> solo per citare i più noti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><i>Giusto di Gand</i>, <i>Hugo van der Goes</i> e <i>Rogier van der Weyden</i>, furono attivi anche in Italia, influenzando notevolmente lo sviluppo dell’Arte rinascimentale stessa. Ma le influenze non furono a senso unico. Anzi, il contatto con l’Arte italiana determinò una svolta anche nell’Arte fiamminga nel passaggio dal Quattrocento al Cinquecento, restando quest’ultima profondamente segnata da un gusto classico di chiara impronta italianizzante.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Ne restarono immuni solo due artisti, tra i più originali dell’intera scuola fiamminga: <i>Hieronymus Bosch</i> attivo tra fine Quattrocento e primi anni del Cinquecento e <i>Pieter Brueghel il Vecchio</i> attivo alla metà del Cinquecento. La loro visione fantastica e inquietante, a volte grottesca a volte perfino plebea, parlava un linguaggio pittorico assolutamente originale che, recuperando filoni più popolareschi della tradizione nordica e tedesca, giunse a risultati completamente diversi rispetto alla tradizione stessa inaugurata dai fiamminghi dei primi decenni del Quattrocento.<br /><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>Massimo Capuozzo</span></div><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn5" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-58554553672430495312023-10-14T01:39:00.000-07:002023-10-14T01:39:05.625-07:00Il Manierismo 3: Pier Soderini e le committenze pubbliche di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Sostenitore non troppo fazioso del partito mediceo dei “<i>Palleschi</i>” (per ricordare il partito filomediceo), ma al contempo stimatissimo in tutta la città, Soderini guidò col titolo di Gonfaloniere un governo moderato che cercò la conciliazione fra i partiti e che inaugurò una politica di incremento delle arti, volta ad accrescere il prestigio della nuova Repubblica e, perché no, anche a legare il suo nome a grandi imprese artistiche.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Fig. 1<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP2WgP8cbs8Mfvypn94v22uWZ7s2xEi9E_ErdEcAOPhNwydfbnQLPHR_XJLUQClmcePJiofsONXeL4RTK029Gg1jh3-dcLAvJq_Kuc5KU-tuPWB2YWO3xEdrrwEtakV_QzLYDsOs-AvLvX7pxwwGHOPdx2zy27lwnJKxmnvzIrIZj6YvjdL-Um3m_7pIY/s1994/Ridolfo%20del%20Ghirlandaio%20-%20Ritratto%20di%20Piero_Soderini_(1450-1522).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1994" data-original-width="1424" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP2WgP8cbs8Mfvypn94v22uWZ7s2xEi9E_ErdEcAOPhNwydfbnQLPHR_XJLUQClmcePJiofsONXeL4RTK029Gg1jh3-dcLAvJq_Kuc5KU-tuPWB2YWO3xEdrrwEtakV_QzLYDsOs-AvLvX7pxwwGHOPdx2zy27lwnJKxmnvzIrIZj6YvjdL-Um3m_7pIY/w458-h640/Ridolfo%20del%20Ghirlandaio%20-%20Ritratto%20di%20Piero_Soderini_(1450-1522).jpg" width="458" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Oltre alla commissione del <i>David</i> nel 1503, Pier Soderini maturò l'idea di far decorare la grande <i>Sala del Maggior Consiglio</i> di Palazzo Vecchio – corrispondente oggi al <i>Salone dei Cinquecento</i> –, con dei dipinti storico celebrativi che raffigurassero imprese militari vittoriose conseguite dai fiorentini.</div><div style="text-align: justify;">La grande sala era stata voluta da Savonarola nel 1494 in seguito alla straordinaria rivoluzione <i>piagnona</i> i cui princìpi, promossi dal frate, avevano portato i cittadini al governo di Firenze, distaccandosi dagli antichi schemi di potere. Vasari, che avrebbe completamente trasformato la sala, la descrive come un ambiente trapezoidale sulla cui parete orientale, base maggiore del trapezio, era collocata una tribuna, una severa loggia di legno architravata collocata al centro della parete dove sedeva la Signoria, sommo organo politico, costituita da otto Priori e dal Gonfaloniere di Giustizia. Ai suoi lati rimanevano libere due ampie porzioni di parete alte circa sette metri e larghe diciotto, nelle quali si sarebbero dovute dipingere le due battaglie.</div><div style="text-align: justify;">Originariamente entrambe le opere erano state commissionate a Leonardo, ma ben presto Soderini si rese conto che Leonardo, impegnato anche nel progetto per la deviazione delle acque dell'Arno, non aveva tempo per realizzare le due opere ed ebbe l’idea di mettere a confronto i due sommi artisti fiorentini commissionando a Michelangelo la <i>Battaglia di Cascina</i>, appena ebbe completato il David.</div><div style="text-align: justify;">Umberto Baldini, grande conoscitore di Michelangelo e delle cose fiorentine, studiando l'antico aspetto del Salone, ipotizza non a torto che i due dipinti, più che essere affrontati, dovevano trovarsi sulla stessa parete, quella orientale, in due spazi affiancati: a destra doveva trovarsi il dipinto di Leonardo e a sinistra quello di Michelangelo<a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/IL%20MANIERISMO/DA%20PUBBLICARE.docx#_ftn1">[1]</a>.</div><div style="text-align: justify;">Soderini quindi, favorito dalla felice congiuntura che vedeva a Firenze contemporaneamente due dei più grandi maestri fiorentini, reduci da grandi successi in altri Stati italiani, riuscì a coinvolgere nell'impresa i due massimi artisti fiorentini dell’epoca.</div><div style="text-align: justify;">Fino ad allora la grande sala era stata molto spoglia, di un’austerità quasi monastica, ma con quelle decorazioni la Repubblica fiorentina perseguiva un progetto di chiara propaganda politica: enfatizzare le più importanti vittorie dell’esercito fiorentino all'insegna della celebrazione della rinata Repubblica e del suo trionfo contro i nemici, protetta da Dio e dalla virtù dei suoi uomini. In quel modo Leonardo e Michelangelo, due personalità così diverse e contrastanti, sarebbero stati messi a confronto diretto. Ciascuno dei due dipinti avrebbe dovuto coprire una superficie di 7 × 17,5 metri, ma per un caso bizzarro e per ragioni molto diverse, nessuno dei due dipinti fu mai completato.</div><div style="text-align: justify;">Massimo Capuozzo<br />____________________________________________</div><div style="text-align: justify;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/IL%20MANIERISMO/DA%20PUBBLICARE.docx#_ftnref1">[1]</a> Umberto Baldini Palazzo Vecchio e i quartieri monumentali. Firenze 1950</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-90084486441562562902023-10-04T00:22:00.002-07:002023-10-04T00:22:38.741-07:00I fiamminghi 3: prima di tutto il Rinascimento <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Prima di delineare le varie voci del dibattito sulla pittura fiamminga, la cosiddetta <i>questione fiamminga</i> ritengo necessario chiarire il concetto di <i>Rinascimento</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Che cosa è stato?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">E poi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È possibile adattare questo concetto all’Arte fiamminga?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel suo articolo del 1944, pubblicato nel volume <i>Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale</i> del 1960, lo storico tedesco americano <i>Erwin Panofsky</i> (1892-1968) definì il Rinascimento come "<i>una rinascita dell'antichità classica, dopo un periodo di completa perdita delle tradizioni classiche</i>".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Secondo una definizione più ampia, il Rinascimento fu “<i>una fioritura universale di Arte, Letteratura, Filosofia, Scienze e delle conquiste sociali dopo un periodo di declino e stagnazione</i>”. Anche questa definizione implicitamente presenta in modo negativo il Medioevo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Secondo una terza definizione, apparentemente abbastanza facile da applicare e comunemente molto usata, “<i>il Rinascimento è l’identificazione con un periodo di tempo</i>”, vale a dire il Quattrocento e il Cinquecento. <br />Questa definizione, così semplicisticamente chiara, è però anche la più deviante delle precedenti, prima di tutto perché anche in Italia – dove nacque il fenomeno <i>Rinascimento </i>– questi due secoli subirono grandi trasformazioni tanto che cronologicamente se ne possono distinguerne due fasi, più analiticamente tre, forse anche quattro; a maggior ragione poi, se ci riferiamo al contesto europeo, i limiti cronologici del fenomeno conoscono ampie differenze sia tra le varie discipline sia tra le varie aree geografiche.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il Rinascimento quindi non fu affatto un fenomeno unitario. E non poteva esserlo. Ciò di cui siamo certi è che il suo sviluppo coincise con l'inizio dell'Età Moderna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">E da qui sorge un’altra <i>vexata quaestio</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Che cosa si intende per Età Moderna?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Difficile stabilire quando essa inizi, peggio ancora che cosa essa significhi tenuto conto che il termine deriva dal tardo latino <i>modernus</i> che deriva dall’avverbio <i>modo</i> che significa <i>ora</i>. Banalizzando al massimo la questione, possiamo dire che <i>moderno</i> è tutto ciò che non è né <i>antico</i> né <i>medievale</i>. Ma questo non soddisfa nessuno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il passaggio dal Medioevo alla Modernità fu un fenomeno “<i>in divenire</i>”, ma tutta la Storia è in continuo divenire: è solo una questione di ritmo più o meno veloce, perché essa si muove sempre anche quando sembra immobile. Questo passaggio fu segnato da fenomeni mai di breve, ma sempre di media e di lunga durata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ricordiamoli. Il consolidamento degli Stati europei non avvenne in un sol giorno e in certi casi, in Europa non sembra ancora del tutto compiuto: si ricordi la guerra nei Balcani e la guerra in atto dell’Ucraina. I viaggi transoceanici portarono l’Europa in contatto, e non solo pacifico anzi non lo fu quasi mai, con gli altri mondi fin allora sconosciuti come l’America e successivamente l’Oceania, dando origine al fenomeno della <i>europeizzazione del mondo</i>. Il disfacimento del feudalesimo avvenne in un processo secolare e non dovunque nello stesso tempo e neppure nello stesso modo, si pensi che la fine della servitù della gleba in Russia avvenne solo nel 1917. La crisi degli <i>universalismi medievali</i> – Impero e Papato –, comportò la nascita dei particolarismi gli Stati cittadini, regionali e nazionali. La fine dell’unità religiosa dell’Europa occidentale (la chiesa orientale già si era distaccata mezzo millennio prima) ebbe tempi di assestamento lunghi che si possono considerare conclusi forse solo con la fine della <i>Guerra dei trent’anni</i> nel 1648. La borghesia, una classe sociale prima esigua ed ininfluente, man mano diventò sempre più potente e determinante tanto da portare all’affermazione del <i>capitalismo</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Come si può facilmente osservare, molti di questi fenomeni per la loro maggiore estensione nel tempo superarono di gran lunga la portata dei due secoli che oggi noi definiamo i secoli del Rinascimento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Di solito gli storici occidentali nelle loro sintesi – sempre molto brutali ma sempre necessarie –, concordano sul fatto che la <i>Modernità</i> inizi dappertutto nell’Europa occidentale fra la metà del Quattrocento e quella del Cinquecento in base ad alcuni eventi particolarmente simbolici e precisamente collocabili nel tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Ricordiamoli. La fine della <i>Guerra dei Cent’anni</i> nel 1453; l’<i>invenzione della stampa a caratteri mobili in metallo</i> nel 1455; la <i>Caduta dell’Impero d’Oriente</i> nel 1454; l’<i>unificazione completa della Spagna</i> con la caduta dell’ultimo emirato arabo e la <i>scoperta dell’America</i>, entrambe nel 1492; la <i>Riforma protestante</i> che incominciò nel 1517; la <i>Controriforma cattolica</i> che incominciò nel 1545.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Se dunque si fa una media di queste date si arriva al 1492, alla data cioè che più comunemente è indicata nei manuali di Storia come fine del Medioevo e inizio dell’Età Moderna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Detto questo, ora passiamo al termine <i>Rinascimento </i>come tutti lo conosciamo. Si badi però che non è il termine <i>rinascita</i> che ha un’origine ben più antica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i>Jules Michelet</i> intitolò <i>Rinascimento</i> il settimo volume della sua <i>Histoire de France</i>, pubblicato nel 1855, e fu il primo a rappresentare il Rinascimento come un'epoca separata e come la nascita del pensiero moderno, per definire il vasto movimento culturale che ebbe luogo nell'Europa occidentale durante il Quattrocento e il Cinquecento e che era stato un periodo di <i>transizione</i> tra il Medioevo e gli <i>inizi</i> dell'Età Moderna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il concetto di <i>transizione</i> della fase rinascimentale, presente in tutte le più importanti scuole storiografiche europee è pienamente condivisibile, poco condivisibili sono invece i due concetti che serpeggiano nel suo pensiero: il primo è che il movimento abbia avuto come epicentro la Francia e il secondo è che il Rinascimento abbia avuto un rilievo maggiore in campo politico piuttosto che in campo artistico e culturale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Contro il suo pensiero già Lucien Febvre aveva levato dettagliatamene le sue critiche. Certamente in politica il Rinascimento contribuì molto allo sviluppo dei costumi e delle convenzioni della diplomazia, e nel campo scientifico a una maggiore dipendenza dall'osservazione e dal ragionamento induttivo. Ma in ogni caso, sebbene il Rinascimento abbia visto rivoluzioni intellettuali importanti, come l'introduzione dei due moderni sistemi bancario e di contabilità, è sicuramente meglio conosciuto per i suoi sviluppi artistici e per i contributi di personalità poliedriche come Leonardo da Vinci e Michelangelo, che hanno ispirato il <i>termine-mito</i> di <i>uomo del Rinascimento </i>inteso nel senso di <i>homo universalis</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È inoltre opportuno precisare qualcosa sull’origine del termine <i>Rinascimento</i> che Michelet usa in forma anglo francesizzata <i>Renaissance,</i> ma che semanticamente non è tuttavia nuovo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il concetto di <i>rinascita</i> era infatti già apparso per la prima volta nelle <i>Vite degli artisti</i> di Giorgio Vasari all’incirca nel 1550 quando l’artista e storico usò questo termine, per descrivere la frattura con la tradizione artistica medievale. Vasari a sua volta si basò anche sulla concezione che gli umanisti del Quattrocento avevano già accennato: Leon Battista Alberti in campo architettonico, e Lorenzo Valla in campo paleografico e filologico avevano infatti usato l’aggettivo <i>gotico</i> per indicare uno stile di barbari in cui essi non si riconoscevano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo termine in seguito avrebbe perduto quest’accezione negativa e identificato lo stile di un’epoca, peraltro molto lunga nel tempo, estesa nello spazio europeo oltre che a suo modo molto modernizzatrice: il <i>Gotico</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La teoria di Vasari, privata di certi eccessi ideologici, è ancora percorribile e ha un suo senso: per lui le arti erano decadute con il crollo dell'Impero Romano ed egli sosteneva inoltre, non senza campanilismo, che esse erano state salvate dagli artisti toscani a partire dal Duecento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sarebbe poi opportuno precisare per ragioni storiche, che il <i>fenomeno umanistico</i> ebbe un’origine prettamente italiana ed avvenne senza alcuna <i>autoproclamazione</i> di superiorità, ma solo come presa d'atto da parte di alcuni intellettuali che si stavano creando una nuova <i>visione del mondo</i> e che quest’ultima prese il via proprio nella penisola delle repubbliche e delle signorie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Innegabilmente questo cambiamento fu un fenomeno solo elitario e, al di fuori di questa élite, la gente comune continuò a vivere come era sempre vissuta: nel Medioevo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Dopo Michelet, con la sua attenzione prestata al periodo, l'altro storico che ha avuto grande influenza nel plasmare il concetto di <i>Rinascimento</i> è stato lo svizzero <i>Jacob Burckhardt</i> (1818 – 1897), che lo definì cronologicamente come il periodo intercorrente tra Giotto e Michelangelo, cioè dal Trecento alla metà del Cinquecento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel suo concetto di <i>Rinascimento</i> Burckhardt evidenziò l'emersione del moderno spirito individualista che il Medioevo fino a quel momento aveva inibito.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È difficile non concordare con lui.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La sua opera più importante è <i>La cultura del Rinascimento in Italia</i> del 1860 e tradotta che, insieme al <i>Die Geschichte der Renaissance in Italien</i> del 1867, ha costituito il principale punto di partenza della storiografia sul Rinascimento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il libro, nonostante un'interpretazione solo politica e culturale del fenomeno e nonostante le attuali controversie sugli argomenti forniti, rimane tutt’ora una pietra miliare per lo studio del Rinascimento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Con quest’opera, Burckhardt non diede solo inizio a una nuova visione del Rinascimento, ma anche a una nuova forma di storiografia, attenta a rilevare l’elemento tipico di un’epoca, il principio fondamentale che caratterizza, unifica e informa di sé tutte le sue manifestazioni. In pratica ripropose il principio della <i>reductio ad unum</i> caro ad Aristotele.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sulla base di questa metodologia si deve a lui la prima interpretazione del Rinascimento come un’età in cui furono riscoperti e rivalorizzati valori come l’immanenza e l’individualismo e come una <i>civiltà totale</i> in cui l’uomo potesse sviluppare pienamente le sue capacità morali, intellettuali e artistiche.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nella sua ricerca di modelli culturali specifici, Burckhardt riteneva che il passaggio dal collettivismo sociale e culturale medievale alla più individualistica età moderna potesse essere fatto risalire all'Italia del Trecento e del Quattrocento. Per lui la secolare lotta tra Impero e Papato aveva creato un vuoto politico e morale che aveva consentito la nascita di una concezione di Stato, moderno autocosciente, nonché all'emancipazione dell'individuo creativo dalla collettività.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Burckhardt vedeva la fase <i>umanistica</i> del Rinascimento, ossia quella del Quattrocento, come la rinascita dell'antichità classica e per l'uomo la riscoperta di se stesso e del mondo che lo circondava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nella sua indagine esaminava le cronache rinascimentali scritte da questi stessi <i>umanisti</i>, trascurate dagli storici che fin allora si basavano solo sulle fonti primarie, per esaminare il clima politico e culturale del periodo. E questo è stato un suo grande pregio, ma forse anche il suo limite perché il clima <i>politico e culturale</i> riguardava solo un’esigua minoranza: siamo però a metà Ottocento e i più scaltriti studi di <i>Sociologia della Cultura</i> erano ancora lontani da venire.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il valore dell’opera di Burckhardt risiede proprio nell’aver considerato come artisti e studiosi rinascimentali valutavano se stessi e il loro tempo e per questo adottò l’idea del Rinascimento come <i>rinascita</i> dell’antichità classica, aggiungendo a questo le sue personali nozioni di nascita dell’<i>individualismo</i> e della <i>modernità</i>, allo stereotipo diventato ormai d’uso comune del recupero delle arti e delle scienze antiche.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Burckhardt ha sottolineato soprattutto i contrasti tra Medioevo e Rinascimento e ha considerato quest’ultimo la <i>guida</i> di un’alba nuova sorta per l'uomo: la modernità. Per questo descrive il Rinascimento italiano come il punto di frattura fra Medioevo e inizio della Modernità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Gli storici oggi non accettano più questa versione così netta di una frattura col Medioevo e le loro argomentazioni si possono raggruppare in due categorie, valide tutte, ma tutte nate <i>ex post.</i> In primo luogo gli uomini del Rinascimento erano molto più tradizionalisti nei loro comportamenti, ideali e congetture, ed erano incardinati in comportamenti ancora <i>medievali</i>, anche se non sempre ne condividevano riti e miti. Gli studiosi francesi dell’<i>Ecole des Annales</i> obiettavano a Burckhardt che il Rinascimento fu un cambiamento elitario e che quindi non ebbe quell'impatto sulla società che lo storico gli attribuiva. In secondo luogo sostengono che il Rinascimento in Italia non fu un evento così straordinario: i medievalisti infatti sottolineano che un simile <i>rinascimento</i> aveva già avuto luogo nel IX secolo al tempo di Carlo Magno, che anche la <i>Rinascita carolingia</i> aveva visto una ripresa dell'interesse per i testi classici e che anche in quel caso c’era stata una notevole attività letteraria e artistica. Lo stesso valeva anche per la <i>Rinascita ottoniana</i> e per quella del XII secolo. Insieme a queste <i>rinascite</i> ricordo anche la <i>rinascita teodoriciana</i> nell’ultimo quarto del V secolo che non è sottovalutabile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Tuttavia di fronte al continuo declino della cultura nel Medioevo nei suoi mille anni e più di durata, di rinascite ce ne furono, ma furono fenomeni circoscritti e di breve durata, mentre la rinascita che si attivò dalla seconda metà del Trecento non ha avuto più soluzione di continuità fino ad oggi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">È vero che Burckhardt ha creato un’immagine del Rinascimento come il brillante inizio dei tempi moderni e la fine dell'oscuro e incivile Medioevo che lo aveva preceduto. È anche certo che lo ha collocato solo nell’Italia del Quattrocento. E non c’è dubbio infine che il suo pensiero risenta di umori romantici, ma non per questo si può abolire il concetto stesso di Rinascimento da lui formalizzato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Peter Burke, storico britannico della cultura e autore di numerose opere sul Rinascimento, pur contestando alcune posizioni di Burckhardt nel suo volume “<i>Il Rinascimento</i>” del 1987 tradotto, ritiene che, se noi oggi continuassimo a pensare il Rinascimento, come ha fatto Burckhardt e come è tutt’ora vivo nell’immaginario collettivo, cioè come una meraviglia culturale a sé stante o un'improvvisa comparsa dell'età moderna, avremmo sicuramente un’idea appiattita della Storia; se invece noi usiamo il termine e il concetto di ‘<i>Rinascimento</i>’ – che Burke ritiene tuttora valido –, per indicare un gruppo particolare di cambiamenti nella cultura occidentale, esso può essere visto come una classificazione ancora bene utilizzabile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">L’opera di Burckhardt rimane ancor oggi un punto di riferimento, soprattutto quando lo storico vede nel Rinascimento il ritorno della civiltà occidentale alle sue radici classiche, <i>antropocentriche</i> e non più <i>teocentriche</i>. Per lui infatti i due aspetti salienti del Rinascimento erano la visione <i>secolare</i> del mondo e l'autocoscienza dell'individuo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In linea con lo scetticismo generale per le periodizzazioni stabilite dagli storici, il Rinascimento ha avuto una storiografia lunga, complessa e tormentata: nell’ampio e talvolta aspro dibattito tra gli storici che hanno reagito all’esaltazione ottocentesca del <i>Rinascimento</i> e dei singoli <i>eroi</i> della cultura e della politica, etichettati ironicamente <i>eroi del Rinascimento</i>, si è giunti perfino a discutere l’utilizzabilià del termine stesso e del suo uso come categoria storica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Per queste forme di <i>revisionismo</i>, il termine <i>Rinascimento</i> ha rischiato di cadere in disuso tra gli storici tanto che alcuni ne hanno addirittura auspicato la fine, perché fuorviante e soprattutto perché vi hanno visto l'uso anacronistico della Storia come glorificazione degli ideali della modernità. Altri studiosi hanno anche dubitato che il Rinascimento sia stato un <i>avanzamento</i> culturale rispetto al Medioevo, altri infine lo hanno visto invece come un periodo di pessimismo e di nostalgia per l'antichità classica, mentre gli storici sociali ed economici dell’<i>École des Annales</i>, grandi sostenitori della <i>teoria della lunga durata dei fenomeni sociali</i>, ipotizzano invece un’assoluta continuità tra Medioevo e Modernità e sostengono che l'idea di una rivoluzione intellettuale o scientifica successiva al Rinascimento sia stata soltanto un mito. Nonostante i numerosi punti, anche interessanti dei sostenitori della <i>tesi della continuità</i>, la maggior parte degli studiosi sostiene ancora oggi la visione tradizionale di una rivoluzione scientifica iniziata nel Rinascimento riferendola al metodo induttivo di Leonardo, pur sostenendo che Medioevo e Rinascimento siano legati, come scriveva Panofsky, «<i>da mille legami</i>».</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Perché niente nasce dal niente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il britannico Kenneth Clark come il tedesco americano Panofsky – e come loro anche tanta parte della scuola francese – hanno definito il Rinascimento un <i>movimento della Storia europea</i>, quindi non solo limitato all’Italia, e lo hanno associato al recupero della dignità della letteratura, della filosofia e delle arti dell'antichità greco-romana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il <i>Rinascimento</i> fu il risultato della diffusione delle idee dell'<i>Umanesimo</i> che, tutte insieme, determinarono una nuova concezione dell'uomo e del mondo con nuovi approcci nei diversi campi delle arti, della politica, della filosofia e della scienza, e che sostituirono l’interpretazione <i>teocentrica</i> medievale con quella <i>antropocentrica</i> moderna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Sempre <i>Peter Burke</i> ha visto nel Rinascimento e nella sua nuova esaltazione della cultura antica – in Filosofia come in Arte e in Letteratura –, uno slancio in avanti che, con il suo nuovo e superiore mezzo di diffusione della <i>stampa</i>, con le grandi <i>scoperte geografiche</i>, con le sue <i>riforme religiose</i> e con il suo <i>dinamismo economico</i> inusitato fino allora e favorito da numerose innovazioni, ha soppiantato tutta la cultura dell'Europa tardo medievale, caratterizzata dall'<i>Arte gotica</i>, dall'<i>ideale della cavalleria</i> e dalla <i>filosofia scolastica</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Questo slancio accompagnò anche un cambiamento nella rappresentazione e nella visione del mondo: in una prospettiva artistica europea, il Rinascimento significò infatti anche una <i>rottura</i> con l'unità stilistica e culturale dell’Occidente europeo che, fino a quel momento aveva avuto una visione <i>sovranazionale</i>, in politica come in arte. Quest’impulso al rinnovamento intellettuale si verificò dopo la cosiddetta <i>crisi del tardo Medioevo</i>, che incominciò con la <i>Grande carestia</i> del 1315-17 e giunse fino alla <i>Peste nera</i> che infuriò in Europa dal 1347-50, che spaccò a metà il Trecento e che infine diede luogo a un enorme cambiamento in tutti i settori della società in seguito al grave <i>collasso demografico</i>, alla forte <i>instabilità politica</i> e ai grandi <i>sconvolgimenti religiosi</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nel suo lavoro sul Rinascimento, lo studioso tedesco americano Panofsky condivise molto di Burckhardt e nella Storia dell'Arte occidentale fu un vivace sostenitore della periodizzazione sostenuta da Burckhardt difendendone la visione di Rinascimento come rottura con il Medioevo precedente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Personaggi <i>medievali</i> come Dante, Petrarca e Boccaccio, Giotto e la scuola fiorentina, Duccio da Buoninsegna e la scuola senese, Nicola e la scuola pisana avrebbero per Panofsky guidato l'emergere di un clima spirituale nuovo, preparandone così il cammino, pur rimanendo essi stessi uomini del Medioevo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Risalendo al problema delle origini, è opinione comune e inattaccabile che il Rinascimento, inteso come visione umanistica, sia incominciato a Firenze, uno dei tanti Stati dell’Italia di allora. Varie teorie sono state proposte per spiegarne le sue ragioni e le sue caratteristiche, che si sono concentrate su una varietà di fattori tra cui: le peculiarità sociali e civiche della Firenze dell'epoca, la sua struttura politica, il mecenatismo della famiglia dominante, i Medici che diedero vita a una cripto signoria, e non ultima la migrazione di studiosi greci e la diffusione dei loro testi in Italia dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi ottomani.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Accettata la nascita del Rinascimento in Italia, osserviamo anche quanto si dice a proposito della sua <i>fuoriuscita</i> oltre le Alpi, considerando un elemento fondamentale: la <i>Geografia</i> importa quanto la <i>Storia</i> in tutte le manifestazioni della Cultura. In base a questo si consideri ancora che neppure in Italia ci fu un solo Rinascimento, ma ce ne furono tanti quante furono le corti più importanti: Milano, Venezia, Genova, Ferrara, Mantova, Firenze, Urbino, Napoli, fervidi centri culturali e artistici nel Quattrocento a cui si aggiunse dall’inizio del Cinquecento svettando su tutti la Roma papale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Come in Italia, anche il <i>Rinascimento nordico</i> – così impropriamente definito perché avvenuto a nord del Rinascimento italiano cioè a nord delle Alpi –, fu vario ed assunse caratteristiche diverse da regione a regione dell’Europa. Per questo è più proprio parlare di <i>scuole</i> con caratteristiche stilistiche proprie, dettate dalla peculiarità delle loro varie culture su cui il fenomeno rinascimentale si innestava. Dagli ultimi anni del Quattrocento, il Rinascimento italiano incominciò a diffondersi in tutta Europa e influenzò l’Arte e la cultura delle varie regioni: da quel momento diventò il <i>Rinascimento</i> – espressione però da usare <i>cum grano salis</i> – <i>francese, spagnolo, tedesco, inglese, fiammingo, polacco</i> e questi fenomeni, a loro volta, si svilupparono in altri movimenti più o meno nazionali e più o meno locali, ciascuno con attributi diversi, dovuti ai sostrati diversi che l’idea estetica rinascimentale italiana incontrava durante il suo percorso nelle diverse aree in cui si propagava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Se invece ci si riferisce a quella parte di Rinascimento che chiamiamo <i>Manierismo</i>, allora sì che questa <i>moda italiana</i> ebbe un carattere internazionale come era già accaduto per il <i>Gotico internazionale</i> che era dilagato in Europa dal primo Trecento fino al Quattrocento e talvolta anche oltre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In base ai tempi, la scuola toscana e quella fiamminga, che all’epoca corrispondevano alle aree commerciali e artistiche più avanzate furono le prime a contaminarsi con le loro rispettive differenze.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In Francia il Rinascimento apparve alla fine del Quattrocento con gli stessi i tratti caratteristici dell’Italia: sete di vita, spirito di libera ricerca e fiducia nell'Uomo. Anche il Rinascimento francese discusse molto la mentalità del Medioevo e cercò nuove forme di vita e di civiltà. Fu il periodo dei pittori e degli scultori utilizzati dai re, fra cui i mecenati più significativi furono Francesco I ed Enrico II. Questo è infatti il <i>periodo francese</i> di <i>Leonardo da Vinci</i> che concluse la sua vita in Francia nel castello di Cloux, ma è anche il periodo della creazione della <i>Scuola di Fontainebleau</i> e dell'arrivo a Parigi di Caterina de’ Medici nel Cinquecento e poi di sua nipote Maria, entrambe influenti regine di Francia. La prima fase del Rinascimento francese fu lo <i>stile Luigi XII</i> che in architettura definì il passaggio dallo stile gotico a quello primo rinascimentale, incidentalmente conseguente alle <i>Guerre d’Italia</i> di Carlo VIII e di Luigi XII che misero la Francia in stretto contatto con il Rinascimento italiano. Questo primo stile, tuttavia, declinò dal 1515, soprattutto nella <i>Valle della Loira</i>, dove la piena accettazione del Rinascimento italiano si fece sentire più rapidamente con Francesco I che importò il modello dell'Arte italiana, commissionando opere ad artisti italiani, tra cui lo stesso Leonardo, costruendo grandiosi palazzi con grandi spese e dando così inizio al vero e proprio Rinascimento francese, che si concluse come in Italia e altrove con la stagione del <i>Manierismo</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Anche in Polonia, estrema propaggine cattolica nelle terre slave ortodosse, il Rinascimento fu importato direttamente dall'Italia da intellettuali e artisti fiorentini e talvolta anche dei Paesi Bassi, che diedero inizio al Rinascimento polacco. A Cracovia giunsero artisti di spicco dall'Europa occidentale e vi furono educate le menti più eccezionali: lì si formò il centro principale di sviluppo della cultura rinascimentale polacca per iniziativa del re </span><i style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Sigismondo il Vecchio</i><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> che diede origine all'Arte rinascimentale polacca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nell’Arte inglese, il Rinascimento si sviluppò rachiticamente e faticosamente tra l’inizio del Cinquecento e del Seicento: si diffuse molto lentamente e il suo culmine avvenne durante l'<i>età elisabettiana</i>, (1558 - 1603). Il Rinascimento in Inghilterra fu molto diverso da quello italiano perché la letteratura e la musica furono le forme d'arte dominanti, mentre le arti figurative furono molto meno importanti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Nei Paesi Bassi invece gli scambi commerciali con l'Italia di città, come Gand e Bruges nel Quattrocento e Anversa nel Cinquecento, aumentarono senza interruzioni e con essi aumentò anche lo scambio culturale, ma nell'Arte, e soprattutto nell'architettura, le influenze tardo gotiche rimasero fino all'arrivo del Barocco, anche se i pittori si ispiravano sempre più a modelli italiani, pur continuando a mantenere le loro forti peculiarità per tutto il Quattrocento mentre nel Cinquecento si diffusero sempre più i cosiddetti <i>romanisti</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Come molti umanisti in Italia, anche molti umanisti tedeschi furono interessati alla rinascita delle arti figurative: gli impulsi umanistici plasmarono anche la nuova pittura di paesaggio di <i>Albrecht Altdorfer</i> e quella di più ampio respiro di <i>Albrecht Dürer</i>. Anche il grande laboratorio di pittura di <i>Lucas Cranach</i> era strettamente legato a intellettuali umanisti. Occorre ricordare però che il <i>Rinascimento nordico</i> fu anche strettamente legato alla Riforma protestante e ai conseguenti conflitti interni ed esterni, quelli tra i variegati gruppi del Protestantesimo, e quelli con la Chiesa cattolica romana, conflitti che si protrassero fino al 1648 quando il Rinascimento era ormai superato. Le guerre di religione che incendiarono l’Europa ebbero effetti duraturi nel tempo anche in campo artistico per la riluttanza nei confronti dello splendore e del fasto del Rinascimento italiano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Anche il <i>Rinascimento spagnolo</i> presenta una graduale influenza del movimento artistico e culturale ispirato all'antichità classica. Il nuovo orientamento umanistico nel 1470 ricevette un pieno impulso per diversi eventi storici che si succedettero nel giro di pochi anni. La nuova estetica, apprezzata subito dal potente duca di Mendoza, fu introdotta nella corte e nel clero, mescolandosi con gli stili puramente iberici, come l'<i>arte nazarí</i> del morente regno di Granada, il <i>gotico</i> esaltato e personale della regina Isabella e lo <i>stile fiammingo</i> che si diffuse nella penisola iberica grazie ai matrimoni dei rampolli dei duchi di Borgogna con infanti e infante dei regni di Portogallo e di Spagna: questi legami dinastici, nel corso del Cinquecento si sarebbero ulteriormente intensificati e uniti con la casa d’Asburgo. Inizialmente l’influsso dell'Italia nei regni iberici avvenne più sommessamente ma poi andò sempre aumentando: gradualmente artisti meno famosi cominciarono a essere chiamati dall'Italia, contemporaneamente apprendisti spagnoli furono inviati in botteghe italiane e sempre maggiormente furono importati disegni, progetti, libri, incisioni, dipinti e quant’altro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il pensiero rinascimentale è stato caratterizzato da tre aspetti principali: la rivalutazione della natura, la riscoperta dei classici; la centralità dell'essere umano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In campo artistico le prime manifestazioni relative al rinnovamento furono la <i>ricerca della prospettiva</i>, la <i>formulazione delle regole della prospettiva lineare centrica</i>, che organizzava lo spazio unitariamente intorno a un centro, il <i>ritorno alla bellezza classica</i> e lo <i>studio della figura umana</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La caratteristica principale della pittura rinascimentale è la naturalezza delle raffigurazioni: la realtà doveva essere rappresentata infatti senza le deformazioni e le simbologie che avevano caratterizzato il <i>Romanico</i> e il <i>Gotico</i> e, sotto il profilo espressivo, l'immagine doveva essere sempre l’interpretazione della realtà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La <i>rappresentazione prospettica</i> si doveva applicare anche nelle opere scultoree, attraverso la ricerca della profondità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">L’attenzione all'uomo come individuo, nella fisionomia, nell'anatomia e nella rappresentazione delle emozioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La diffusione della pittura a olio e l’uso della tela furono due importantissime innovazioni entrambe importate dalle Fiandre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">La rinnovata ricerca sulla scultura in bronzo e sul calcestruzzo nell’architettura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Il rifiuto degli elementi decorativi e ritorno all'essenzialità.<br />Massimo Capuozzo</span></div><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn6" style="mso-element: footnote;">
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-70862335778790541092023-09-23T01:36:00.000-07:002023-09-23T01:36:32.726-07:00I Fiamminghi: 2 difficoltà di una denominazione. Di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La denominazione <i>primitivi fiamminghi</i> o <i>primitifs flamands</i> o <i>Valamingen Primitieve</i> nacque a partire dal 1840 quando, sotto l'influenza ormai radicata del Romanticismo, si incominciarono a rivalutare le <i>radici</i> delle <i>nazioni</i>, quindi ad apprezzare quei momenti in cui si erano create tradizioni nazionali in opposizione alla violenza omogeneizzartice dell’Impero romano sia d’Oriente sia d’Occidente, considerato soppressore e sopraffattore delle tradizioni delle varie etnie che preesistevano ad esso.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">La cosa non era esattamente così, ma essi così credevano.</div><div style="text-align: justify;">In questo clima le persone, soprattutto la borghesia, incominciarono a rivalutare la pittura, e, in adesione allo spirito folk dell’epoca, il termine <i>primitif</i> fu introdotto per descrivere la prima pittura italiana che si stava liberando dal <i>giogo</i> della cultura figurativa bizantina.</div><div style="text-align: justify;">Per analogia, i pittori del Quattrocento la cui produzione poteva essere collocata nelle Fiandre, nel Brabante e a Tournai furono chiamati <i>Les Primitifs flamands</i> o in olandese i <i>Valamingen Primitieve</i>.</div><div style="text-align: justify;">L’aggettivo <i>primitivi</i> è decisamente bruttino, anche se in realtà esso fu usato senza un’accezione dispregiativa ed era inteso nel senso di <i>precoci</i>, <i>primi</i> o di <i>iniziali</i> così come era usato per descrivere anche l'Arte del Beato Angelico che era definita <i>une Art à la pureté primitif</i>.</div><div style="text-align: justify;">A metà dell’Ottocento, anche un poco prima il termine fu coniato in Inghilterra dai <i>Preraffaeliti</i>” in relazione principalmente all'Arte italiana e fiamminga del Trecento e del Quattrocento e anche a quella francese, che quegli artisti <i>moderni</i> apprezzavano per quella sua sincera semplicità e per quella forza espressiva che essi vi percepivano.</div><div style="text-align: justify;">Quest’espressione, decisamente infelice, non voleva quindi far torto alla pittura di Giotto, di Masaccio o di van Eyck, anzi grandi teorici come <i>Giorgio de Chirico</i> e <i>Carlo Carrà</i> oltre ai pittori di <i>Novecento italiano</i> e alla sua teorizzatrice, la critica d’Arte <i>Margherita Sarfatti</i>, utilizzarono quest’espressione per indicare che per una vera riforma dell’Arte, dopo il disordine delle <i>Avanguardie storiche</i> e quello ancora maggiore della <i>Prima Guerra Mondiale</i>, doveva partire proprio da quei pittori, <i>quei primitivi italiani</i> che in Italia incominciarono a cambiare il trattamento della pittura introducendo tre nuovi principi: l'<i>umanizzazione dei personaggi rappresentati</i>, la <i>comparsa di paesaggi</i> e le <i>architetture complesse</i> passando così da uno <i>Stile bizantino</i> a uno <i>Stile latino</i> o, più propriamente, italiano.</div><div style="text-align: justify;">Quindi i Preraffaeliti intendevano l’Arte italiana fino al Quattrocento, o meglio come annunciava la loro stessa denominazione, fino a prima di Raffaello che, secondo loro, ne aveva inquinato i valori con il suo sofisticato classicismo.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1842, il termine era usato anche per denominare la scuola pittorica delle Fiandre, indicata dai francesi come <i>École primitive flamande</i> fino ad estenderla anche a tutta la scuola francese che precede la <i>scuola di Fontainebleau</i>. Alla scuola francese del Quattrocento è dedicata la rassegna dei primitivi francesi al secondo livello dell’<i>ala Richelieu</i> che non hanno però la fama dei loro equivalenti fiamminghi o italiani.</div><div style="text-align: justify;">I francesi usano anch’essi quest’espressione per indicare che questo passaggio dalla pittura medievale a quella rinascimentale era esistito anche da loro.</div><div style="text-align: justify;">Sebbene in Belgio fosse ancora in atto una discussione tra gli storici dell'Arte francesi e belgi sulla terminologia da utilizzare, la denominazione <i>primitivi Fiamminghi</i> si affermò rapidamente grazie al successo della <i>Exposition des Primitifs Flamands</i>, la celebre mostra retrospettiva che si tenne a Bruges nel 1902.</div><div style="text-align: justify;">Quest’evento portò la pittura delle Fiandre del Quattrocento all'attenzione degli studiosi, ma anche del grande pubblico.</div><div style="text-align: justify;">Riflessione stravagante e un <i>cantuccio per me</i>.</div><div style="text-align: justify;">Spesso, in nome dei nazionalismi, anche somme figure di intellettuali finiscono per prendere scivoloni colossali, inficiando con questi il loro prestigio culturale. Quando lo scopriamo, perché non si smette mai di imparare, è come se improvvisamente una macchia d’inchiostro cadesse su una statua di marmo cristallino che, per intenderci, è il bianco immacolato di Carrara, quello del David. E questo è capitato a me in questa mia indagine sui Fiamminghi. Il sentimento nazionale è comprensibile come ogni sentimento perché fa parte di noi umani, ma è poco giustificabile quando esso è spinto fino al più vieto e fanatico nazionalismo.</div><div style="text-align: justify;">È questo il caso di un grande intellettuale tedesco che ai primi dell’Ottocento, insieme al suo grande merito di gettare la basi del Romanticismo, cercò anche di trascinare i fiamminghi del Quattrocento con bizzarri e risibili argomenti, nel patrimonio culturale tedesco. Parlo di Friedrich Schlegel, uno dei padri del Romanticismo, che rivendicò alla Germania le opere di <i>Jan van Eyck</i> considerandolo un <i>antico pittore tedesco</i> e prendendosi anche la briga di collocarlo nella <i>scuola di Colonia</i>: importante, certamente di livello, ma che non ha niente a che vedere con van Eyck e soprattutto che non si discosta di un millimetro dai canoni del <i>Gotico internazionale</i>.</div><div style="text-align: justify;">Queste teorie di Schlegel diventarono popolari negli ambienti interessati alla riscoperta dell'Arte nordica, perché essi consideravano la tradizione germanica superiore a quella latina a cui essi la contrapponevano. Un preconcetto questo duro a morire almeno fino alla metà del Novecento. Forse, ma non ci giurerei.</div><div style="text-align: justify;">Quasi un secolo dopo, <i>Max Jakob Friedländer</i>, curatore e direttore del <i>Kaiser Friedrich Museum</i> di Berlino, fu il più ardente sostenitore della teoria di Schlegel.</div><div style="text-align: justify;">La sua opera in quattordici volumi più i due di aggiornamento, considerata basilare per lo studio dei fiamminghi, diventò l'opera di riferimento sull'argomento e Friedländer diventò meritatamente l'autorità più riconosciuta in materia.</div><div style="text-align: justify;">Ma anche Friedländer trova la sua buccia di banana dell’ideologia.</div><div style="text-align: justify;">La sua teoria del germanesimo della cultura figurativa fiamminga storicamente non regge perché le Fiandre, al sorgere della pittura dei primi fiamminghi, facevano parte del ducato di Borgogna quindi della Francia e vi fecero parte almeno fino al 1454 ed erano state quindi oltremodo <i>contagiate</i> dalla cultura francese.</div><div style="text-align: justify;">Nonostante ciò, per Friedländer era tuttavia impossibile riconoscere che i capolavori del primo Rinascimento nordico – se di Rinascimento nordico si può parlare e io non lo penso – provenissero dal sud o dalla sfera di influenza francese, quindi sostenne che il termine <i>primitivi fiamminghi</i> che per me è solo brutto, per lui era anche impreciso, inadatto, quindi sbagliato, perché questa scuola comprendeva molti pittori che provenivano dal di fuori della contea delle Fiandre.</div><div style="text-align: justify;">Classica questione di lana caprina.</div><div style="text-align: justify;">I Paesi Bassi, d'altra parte, erano per lui parte integrante della storia tedesca quindi patrimonio della cultura tedesca, ma tralasciava che quei paesi per la loro massima parte appartenevano al ducato francese di Borgogna.</div><div style="text-align: justify;">Un ragionamento cervellotico, portato avanti pur di sostenere la sua tesi, che fa dimenticare che sia stato uno dei più grandi <i>connaisseur</i> del Novecento. E a questo proposito, anche lui ha fatto di Jan van Eyck un pittore autenticamente tedesco.</div><div style="text-align: justify;">Una soluzione elegante quindi per lui fu quella di parlare di <i>altniederländische Malerei</i>, con cui incorporava il movimento artistico prettamente fiammingo nella cultura tedesca e lo sottraeva alla cultura francese. E questo, sarebbe il danno minore, perché quella cultura fu puramente e autenticamente fiamminga finché in quell’area non si diffuse l’imperante Rinascimento italiano <i>sub specie</i> di Manierismo e anche quando in quella regione si diffuse il Barocco fu sempre un Barocco nella sua versione fiamminga, nettamente diversa da quella dei Paesi Bassi del Nord.</div><div style="text-align: justify;">Ma la cosa più grave di questa sua interpretazione era il fatto che sottraeva il riconoscimento dell’eredità fiamminga alla pittura dei Paesi Bassi.</div><div style="text-align: justify;">Il pensiero <i>aprioristico</i> di Friedländer andava poi in difficoltà in termini di coerenza con il fenomeno <i>Rogier van der Weyden</i>.</div><div style="text-align: justify;">Rogier non apparteneva alla <i>tribù</i> buona, ossia quella germanica, e quindi Friedländer aveva difficoltà a riconoscerlo e a collocarlo come un <i>antico pittore olandese</i>. Eppure qualcosa di positivo lo aveva però trovato in van der Weyden ed era che, secondo lui, non si era mai lasciato influenzare dall'Arte italiana né durante né dopo il suo viaggio in Italia. Questo avvalorava anche l’altra sua tesi secondo cui nel Quattrocento l'influenza artistica andava da nord a sud e mai viceversa.</div><div style="text-align: justify;">Anche <i>Erwin Panofsky</i> difese la denominazione, ma solo essa, proposta da Friedländer. Tedesco di origine e fuggito dai nazisti negli Stati Uniti nel 1933, Erwin Panofsky, adottò la definizione di <i>Max Friedländer</i>, <i>Vroeg-Nederlandse schilderkunst</i> nel suo lavoro <i>Early Netherlandish Painting</i> del 1953, lanciando così la sua ulteriore diffusione negli ambienti anglofoni.</div><div style="text-align: justify;">Panofsky, però, nella sua corrispondenza con gli amici, descriveva la sua opera come il suo <i>grande libro fiammingo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Nonostante tutto questo, l’espressione <i>primitivi fiamminghi</i> si può ancora trovare abbastanza frequentemente in lingua inglese, ancora nella letteratura artistica contemporanea.</div><div style="text-align: justify;">L’espressione <i>Antica pittura olandese</i> adottata in olandese come <i>Vroeg-Nederlandse schilderkunst</i> si riferisce alla pittura di Van Eyck fino agli ultimi decenni del Cinquecento compresi <i>Pieter Brueghel</i> e <i>Hieronymus Bosch</i>.</div><div style="text-align: justify;">Nell'Europa meridionale Francia, Italia, Spagna e Portogallo, quest’espressione invece non avuto fortuna pertanto non si è mai diffusa.</div><div style="text-align: justify;">Alcuni storici dell'Arte di lingua olandese oggi usano anch’essi l’espressione, <i>Pittura antica dei Paesi Bassi</i> o <i>Pittura dei primi Paesi Bassi</i>, ma moltissimi anche in Olanda hanno continuato e continuano ancora a usare il termine <i>Primitivi fiamminghi</i>, denominazione questa che continua ad essere usata dal grande pubblico. Anche la commercializzazione di importanti fiere e mercati antiquari sfrutta ancora deliberatamente la notorietà di questo <i>marchio</i>.</div><div style="text-align: justify;">E io invece continuo a sostenere che si dovrebbe usare la denominazione <i>Prima pittura fiamminga</i> o <i>Pittura fiamminga del Quattrocento</i> solo per distinguerla da quella fiamminga rinascimentale e barocca.</div><div style="text-align: justify;">Massimo Capuozzo</div></span> <div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn2" style="mso-element: footnote;">
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-10804662145020056662023-09-16T05:21:00.000-07:002023-09-16T05:21:05.812-07:00Il Manierismo 2: Il “milieu” fiorentino e il momento del concepimento della “maniera moderna”<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;">Se si volesse realmente stabilire dove e quando nasce la <i>maniera moderna</i>, in accordo con Roberto Longhi e con la bellissima metafora di Benvenuto Cellini, dovremmo rivolgere l’attenzione a uno dei più importanti eventi artistici avvenuti a Firenze, con i lavori di decorazione della <i>Sala del Maggior Consiglio</i> in <i>Palazzo Vecchio</i>.</span></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Fu lì che effettivamente nacque la <i>maniera moderna</i>. In quei corpi travolti dall’ardore della battaglia, appena stilizzati da Leonardo nel cartone della <i>Battaglia di Anghiari</i>, e in quelli atletici, sorpresi alle spalle dai nemici e quasi bloccati dalla loro stessa perfezione anatomica eseguiti da Michelangelo per la <i>Battaglia di Cascina</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig.1 battaglia di Anghiari</div><div style="text-align: justify;">Fig. 2 battaglia di Cascina</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3BCrpJ3jHCoMwkhiLPJTaiPJqZYqrAvdkRrxn9hqaBm5OPQ3OTdQaDRyT6WelnAvAUBdtXZgEciGxeivEs-CysXaCJ0QEYm7TM5a8NpEzqoabtYdOrJ7k9Y8NF5b62jjzgb9VzUxI45f7TMJMFM8EWqqjdf7wm3kBhCGFiBQyYOPqYvGMAhWtpsiOyC8/s1179/fig%201%20-%20Peter_Paul_Ruben's_copy_of_the_lost_Battle_of_Anghiari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="857" data-original-width="1179" height="466" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3BCrpJ3jHCoMwkhiLPJTaiPJqZYqrAvdkRrxn9hqaBm5OPQ3OTdQaDRyT6WelnAvAUBdtXZgEciGxeivEs-CysXaCJ0QEYm7TM5a8NpEzqoabtYdOrJ7k9Y8NF5b62jjzgb9VzUxI45f7TMJMFM8EWqqjdf7wm3kBhCGFiBQyYOPqYvGMAhWtpsiOyC8/w640-h466/fig%201%20-%20Peter_Paul_Ruben's_copy_of_the_lost_Battle_of_Anghiari.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzeXxp4Sn5TwnermaL11NzWGmQBd5Z0a7DwsJhO78FB5EK5H21iq_kiQ3h6NSzyEYftDbw5----g2VzpnyHhuL-d2Lo-i6hGX5TZckxnOaKEfXRO9fPkQkQfWR9kKZsRqCG-gvXP13ViyX9ugvr0i3mAyvZa_Lezqf2ATz0QCk8Q2GxiRfUa3ssOM3wWM/s1689/fig%202%20-%20La_batalla_de_Cascina_-_Sangallo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1689" height="378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzeXxp4Sn5TwnermaL11NzWGmQBd5Z0a7DwsJhO78FB5EK5H21iq_kiQ3h6NSzyEYftDbw5----g2VzpnyHhuL-d2Lo-i6hGX5TZckxnOaKEfXRO9fPkQkQfWR9kKZsRqCG-gvXP13ViyX9ugvr0i3mAyvZa_Lezqf2ATz0QCk8Q2GxiRfUa3ssOM3wWM/w640-h378/fig%202%20-%20La_batalla_de_Cascina_-_Sangallo.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">In quella singolar tenzone a colpi d’arte che si sarebbe dovuta svolgere a Palazzo Vecchio e che vedeva impegnati i due più grandi interpreti del classicismo fiorentino all’inizio del secolo, era lì che sarebbe nata la <i>maniera moderna</i>.</div><div style="text-align: justify;">L’osservazione dei due cartoni e la riflessione su essi è percepibile anche nel turbamento di valori percepito da Raffaello e che è palpabile esaminando un intero percorso che parte dalla <i>Madonna del Baldacchino</i>, che il giovane maestro urbinate cominciò nel 1507, prima di partire per Roma.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3 la Madonna del baldacchino</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimiD0yf1Jv49meBFpi6JE565VWNrzo_vH94BRRSkoyNb-rgNEAMyHIJZeoxHWgVfLq347QyLuy2OZWUvDeamFSaxx5j-gyJkCa2TWdC6_YHjsCaZsdYafioFL1FlS0QlcsOLtXnOzNCrRcjlvhk738AlI2LyOD7QVCDTscNjh406rW-Pm90gzUCmxIEMk/s1018/fig%203%20-%20Madonna_del_Baldacchino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1018" data-original-width="805" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimiD0yf1Jv49meBFpi6JE565VWNrzo_vH94BRRSkoyNb-rgNEAMyHIJZeoxHWgVfLq347QyLuy2OZWUvDeamFSaxx5j-gyJkCa2TWdC6_YHjsCaZsdYafioFL1FlS0QlcsOLtXnOzNCrRcjlvhk738AlI2LyOD7QVCDTscNjh406rW-Pm90gzUCmxIEMk/w506-h640/fig%203%20-%20Madonna_del_Baldacchino.jpg" width="506" /></a></div><div style="text-align: justify;">Ma è bene procedere per gradi visto che tutto nasce a Firenze quindi, prima di soffermare l’attenzione sull’evento delle due <i>battaglie</i>, è fondamentale riflettere sul <i>milieu</i> fiorentino alla fine del Quattrocento.</div><div style="text-align: justify;">L’ultimo decennio del Quattrocento per il Rinascimento fiorentino era stato un periodo di rallentamento rispetto alla potente spinta innovativa dei decenni precedenti che era partita fin dagli anni Venti del secolo. Avendo ormai consolidato l’uso della <i>prospettiva lineare</i>, gli artisti avevano incominciato a concentrarsi sulla dinamica delle masse, sui giochi di forme in movimento e sull’intensità espressiva.</div><div style="text-align: justify;">Ma osserviamo ora il corpo vivo della politica fiorentina dell’ultimo decennio del Quattrocento.</div><div style="text-align: justify;">Dapprima con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, poi nel 1494 con la cacciata suo figlio Piero che era diventato il nuovo signore, a Firenze si era aperta una gravissima crisi. In seguito la crisi si era prolungata con anni dominati dall’esaltata predicazione del frate domenicano Gerolamo Savonarola che dobbiamo immaginare come una sorta di <i>rivoluzione degli ayatollah</i> in Iran.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju1FbiddOoaK_O6myNwc-T_tHwCsqZHSKvuJ0IfIUJdba-Yni2Mvqfo45UmBe_GTMU463MAIxNSlsHsKzCwOIGZNN5FtLcgucO0g9PU89n87wwd_60di7cZH1itxoSUjijwC51OIUSoiB3uqKGJgUWaMACrweAGO5MfWWnQGUK8qUAoLYYIS6W9nlj91M/s1200/fig%204%20-%20Girolamo_Savonarola_by_Fra_Bartolommeo_(1497).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="811" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju1FbiddOoaK_O6myNwc-T_tHwCsqZHSKvuJ0IfIUJdba-Yni2Mvqfo45UmBe_GTMU463MAIxNSlsHsKzCwOIGZNN5FtLcgucO0g9PU89n87wwd_60di7cZH1itxoSUjijwC51OIUSoiB3uqKGJgUWaMACrweAGO5MfWWnQGUK8qUAoLYYIS6W9nlj91M/w432-h640/fig%204%20-%20Girolamo_Savonarola_by_Fra_Bartolommeo_(1497).jpg" width="432" /></a></div><div style="text-align: justify;">Ecco il frate nel celebre ritratto eseguito da Fra Bartolomeo.</div><div style="text-align: justify;">Sermoneggiando nelle piazze di Firenze contro la corruzione del potere politico e di quello dei Papi a Roma, il frate raccolse intorno a sé numerose schiere di sostenitori.</div><div style="text-align: justify;">Con il pugno di ferro tipico dei fondamentalisti, Savonarola guidò la città dal 1494 al 1498, con una linea politica intransigente, fautrice di una riforma ascetica dei costumi e culturalmente ostile alle dottrine neoplatoniche e umanistiche che avevano dominato la cultura mediceo-laurenziana.</div><div style="text-align: justify;">Una specie di ritorno al più cupo Medioevo.</div><div style="text-align: justify;">Savonarola esaltava il rigore nei costumi, nella fede e nell’arte: tutto ciò che era ritenuto profano o diretto a infiammare i sensi piuttosto che a elevare lo spirito rischiava di essere sequestrato da bande di fanatici che entravano a viva forza nelle botteghe degli artisti e rovistavano in cerca di opere d’arte ritenute sacrileghe. Si aprì così una feroce iconoclastia, dannosa come tutte le iconoclastie. Savonarola e i suoi seguaci vedevano come profana l’esaltazione dell’uomo e della bellezza e questa loro visione culminò con il <i>falò delle vanità</i>, nel quale molte opere d’arte furono bruciate pubblicamente con acclamazioni di un tale disgustoso fanatismo, che un mercante veneziano che assisteva inorridito alla scena, staccò invano un assegno di ventimila fiorini d’oro per comprare in blocco quelle opere e per sottrarle alla loro tragica fine.</div><div style="text-align: justify;">La scena artistica risentì molto profondamente di questo nuovo contesto che passava bruscamente dal paganeggiante mondo mediceo a quello quaresimale savonaroliano, ma anche perché le opere ora provenivano prevalentemente dalla committenza <i>piagnona</i>, cioè quella dei seguaci del pensiero di Savonarola.</div><div style="text-align: justify;">La crisi religiosa e i ripensamenti che ne derivarono colpirono le personalità artistiche più sensibili. Assente Leonardo da Vinci, da molti anni a Milano presso la corte di Ludovico il Moro, il giovane Michelangelo, molto vicino alla famiglia de’ Medici, ma anche sensibile alla predicazione di Savonarola, fuggì da Firenze in occasione della cacciata di Piero e vi tornò verso il 1495 ma, poco dopo, se ne partì per Roma. <i>Baccio della Porta</i>, molto colpito dalle prediche di Savonarola, distrusse tutte le opere che aveva realizzato fino a quel momento, prese i voti e diventò <i>Fra Bartolomeo</i>. Altri artisti continuarono la produzione, adattando il loro stile al nuovo contesto morale: <i>Sandro Botticelli</i> abbandonò i soggetti profani e caricò le sue opere di significati psicologici e morali, <i>Filippino Lippi</i> realizzò opere dense di significati religiosi. Anche la bottega del Perugino realizzò alcune importanti opere intensamente quaresimali.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div><div style="text-align: justify;">fig. 6</div><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHlCSySXH-ZmWVgJUwWsd5Au-i7GhL88xSrUKWstkW-PYTmgLNrykWbEaNa-jNfXTDHFdfopvk350uSX1Yru_gzE-ooscW2Z-7WNCMdK-iDLqtoWR85ZFcJipBUNE8O0BYLge4oi54zSU1bXXis_S-r6J6xGJM9tiGNsKAkVJcu5mqOR6azg-u97OTSHY/s1041/fig%205%20-%20Botticelli,_crocifissione_simbolica,_fogg_art_museum.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1041" data-original-width="720" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHlCSySXH-ZmWVgJUwWsd5Au-i7GhL88xSrUKWstkW-PYTmgLNrykWbEaNa-jNfXTDHFdfopvk350uSX1Yru_gzE-ooscW2Z-7WNCMdK-iDLqtoWR85ZFcJipBUNE8O0BYLge4oi54zSU1bXXis_S-r6J6xGJM9tiGNsKAkVJcu5mqOR6azg-u97OTSHY/w442-h640/fig%205%20-%20Botticelli,_crocifissione_simbolica,_fogg_art_museum.jpg" width="442" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFMDFEvM_SllOiDJV2lIwZhsGLsEUbj87nTIfiUc-efWvbRHfhlVTdmzh-i0U2vDgI4aRED2ktVZaupRDIJAd9X9lCY2GTjsHZU0h-v4ZXCEAJCStkbTXlECpCCu4Y0t8kchKVYndahVL3X5fCxlytsTwubP-n7hDMdAj6dWntzujDCB9p7Nh-BoDaCyc/s1023/fig%206%20-%20Adorazione_dei_magi,_filippino_lippi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1023" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFMDFEvM_SllOiDJV2lIwZhsGLsEUbj87nTIfiUc-efWvbRHfhlVTdmzh-i0U2vDgI4aRED2ktVZaupRDIJAd9X9lCY2GTjsHZU0h-v4ZXCEAJCStkbTXlECpCCu4Y0t8kchKVYndahVL3X5fCxlytsTwubP-n7hDMdAj6dWntzujDCB9p7Nh-BoDaCyc/w626-h640/fig%206%20-%20Adorazione_dei_magi,_filippino_lippi.jpg" width="626" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPWomKHl4sM7d_xqs9n-B6N71bfjpbmUexnJSLU4tsgP3b9dtHy5kAoNHbtuDXUbkQAl8iScAvRyj-4JuRXbU-ZIiRqG24lTlxyeHUN8RhZ5qoHU67aKFSh0cr0TCSy2aYPhcpGrKgrSnKyCYOzHX3BzsZZ1q8whpQGmsk-UPqC5L5dXo00N4J3L_Btt0/s2500/fig%207%20-%20Ascension%20-%20Perugino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2500" data-original-width="1621" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPWomKHl4sM7d_xqs9n-B6N71bfjpbmUexnJSLU4tsgP3b9dtHy5kAoNHbtuDXUbkQAl8iScAvRyj-4JuRXbU-ZIiRqG24lTlxyeHUN8RhZ5qoHU67aKFSh0cr0TCSy2aYPhcpGrKgrSnKyCYOzHX3BzsZZ1q8whpQGmsk-UPqC5L5dXo00N4J3L_Btt0/w414-h640/fig%207%20-%20Ascension%20-%20Perugino.jpg" width="414" /></a></div><div style="text-align: justify;">Nel 1498, però tutto quel rigore morale e religioso, così tirannicamente imposto da Savonarola da determinare un clima spesso di puro terrore, improvvisamente cessò: il fondamentalismo del frate lo condusse dritto dritto alla scomunica da parte di Papa Alessandro VI Borgia e, condannato a morte per eresia, fu brutalmente interrogato, processato e poi impiccato e bruciato in <i>Piazza della Signoria</i>, la piazza simbolo della politica di Firenze.</div>Fig. 8</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibIDM56y1y8qKenSR2EMCjFnwsX-BT3m_7qcCr68cD9_UKj2OXwEEEDEHvHCuaMBZ1LHl6Ejd2y0yjwUoHHUJ7TtU4JXuhmpGoWvhsH-kk9Lmiyo9Aly4MgAsgrcXGMDPe7uPM14GgDn6x0frtwij8rc9WClKxvcWvJ2Q82n1xMjOM0nxr4tk8Bl6iyLk/s881/fig%208%20-%20Hanging_and_burning_of_Girolamo_Savonarola_in_Florence.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="881" height="558" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibIDM56y1y8qKenSR2EMCjFnwsX-BT3m_7qcCr68cD9_UKj2OXwEEEDEHvHCuaMBZ1LHl6Ejd2y0yjwUoHHUJ7TtU4JXuhmpGoWvhsH-kk9Lmiyo9Aly4MgAsgrcXGMDPe7uPM14GgDn6x0frtwij8rc9WClKxvcWvJ2Q82n1xMjOM0nxr4tk8Bl6iyLk/w640-h558/fig%208%20-%20Hanging_and_burning_of_Girolamo_Savonarola_in_Florence.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Anche se il regime di Savonarola era finito tragicamente, per i Medici però non era ancora possibile il ritorno al potere e, ancora per tre o quattro anni, la città fu teatro di dissidi, di zuffe e di spargimento di sangue fra i <i>piagnoni</i>, sostenitori del pensiero di Savonarola, e i <i>palleschi</i>, sostenitori dei Medici.</div><div style="text-align: justify;">La situazione di disaccordo trovò una sua certa ricomposizione agli inizi del Cinquecento quando la Repubblica raggiunse finalmente una sua stabilità con l’elezione di <i>Pier Soderini</i> a <i>Gonfaloniere di Giustizia</i> nel 1501, incarico che gli fu poi conferito a vita nel 1502, ma che mantenne solo fino al 1512.</div><div style="text-align: justify;">Osserviamo che cosa accade in questo primo decennio del Cinquecento a Firenze mentre sembrava che fosse ritornata un poco di tranquillità.</div><div style="text-align: justify;">Certo è affascinante e nello stesso tempo inquietante pensare che il Rinascimento abbia toccato le sue vette più sorprendenti in uno dei periodi più turbolenti della Storia della penisola.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1502, Filippino Lippi affresca la <i>Cappella Strozzi</i> nella <i>Basilica di Santa Maria Novella</i>: due ali di folla si dispongono ai lati di una scena centrale vuota, dominata soltanto dall’evento di <i>San Filippo che esorcizza la creatura demoniaca</i> dal Tempio di Hieropoli, una struttura classica e bizzarra che ricorda l’<i>Altare di Pergamo</i> o che anticipa le successive strutture di Raffaello.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 9</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhf0Io4BwQcohs7n2sfWuGtRnmtv5cGc5FIKG8AdR-V0p6Z-P2pS4Hb3LSalXUfMxPmDQHli0GELcSXF9DVLYvQUbFYX8HrdzDSX2VsPc184pjwfuI0Ln1l6DLRHhX4iPqiyPZklDf1K0UrNqYkmsjZs0u8RFDYGcEXzkDD0uW1XN4TABhr2_dnYp9wYSg/s973/fig%209%20-%20Filippino_lippi,_san_filippo_apostolo_evoca_il_mostro_dal_tempio_di_marte_di_hierapolis,_cappella_di_filippo_strozzi,_santa_maria_novella_1486-1502,_firenze.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="973" data-original-width="970" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhf0Io4BwQcohs7n2sfWuGtRnmtv5cGc5FIKG8AdR-V0p6Z-P2pS4Hb3LSalXUfMxPmDQHli0GELcSXF9DVLYvQUbFYX8HrdzDSX2VsPc184pjwfuI0Ln1l6DLRHhX4iPqiyPZklDf1K0UrNqYkmsjZs0u8RFDYGcEXzkDD0uW1XN4TABhr2_dnYp9wYSg/w638-h640/fig%209%20-%20Filippino_lippi,_san_filippo_apostolo_evoca_il_mostro_dal_tempio_di_marte_di_hierapolis,_cappella_di_filippo_strozzi,_santa_maria_novella_1486-1502,_firenze.jpg" width="638" /></a></div><div style="text-align: justify;">Filippino è un epigono di una linea classicistica, (anche se oggi, alla luce dei più recenti studi su questo maestro, questo concetto appare alquanto riduttivo) e, accanto a lui, ci sono altri suggestivi interpreti come <i>Mariotto Albertinelli</i>, con la <i>Crocifissione</i> del 1506 per la <i>Certosa del Galluzzo</i>, <i>Raffaellino del Colle</i> e <i>Lorenzo di Credi</i> col suo “<i>Battesimo di Cristo</i>”.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 10 e 11</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdw7ikCVq5cm9_W09JnVOfPFkqyEl6fdWcR3I13NmGXgCkIWftWWUoTekAmp-uxjUj2IZ7Ye8g9-GQFtMTfD5_YdNg1jE991kJjnf4u5r0DpBEayc-wHaubNjGuyusYNrR6OO6qC6wsrrEWt3TT00sTZWrd2AxP2SttarTHrde9XBi-Y7a6ozaCdUhzC8/s640/fig.%2010%20-mariotto%20albertinelli%20crocifissiione%20della%20%20Certosa%20del%20Galluzzo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="427" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdw7ikCVq5cm9_W09JnVOfPFkqyEl6fdWcR3I13NmGXgCkIWftWWUoTekAmp-uxjUj2IZ7Ye8g9-GQFtMTfD5_YdNg1jE991kJjnf4u5r0DpBEayc-wHaubNjGuyusYNrR6OO6qC6wsrrEWt3TT00sTZWrd2AxP2SttarTHrde9XBi-Y7a6ozaCdUhzC8/w428-h640/fig.%2010%20-mariotto%20albertinelli%20crocifissiione%20della%20%20Certosa%20del%20Galluzzo.jpg" width="428" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZ7NX6eQDKMcMEpfLSmm8W9D1ZWOQrzGI2mI-x5dBsbbXvxNLjCJ6UoWM_n16mWI7TAfBnork0myg_elTbpmlPpf1AbgCXpfJ5nY16FeicgrmDGTWSYXT1ts28wwW6LdoptB3a7uHaq8gyB2hePyaXx1qJ7LAUhAwHcUz-McHIATsMV9ul-P1CUVxRBYM/s971/fig%2011%20-%20lorenzo%20di%20credi%20-%20battesimo%20di%20Cristo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="971" data-original-width="899" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZ7NX6eQDKMcMEpfLSmm8W9D1ZWOQrzGI2mI-x5dBsbbXvxNLjCJ6UoWM_n16mWI7TAfBnork0myg_elTbpmlPpf1AbgCXpfJ5nY16FeicgrmDGTWSYXT1ts28wwW6LdoptB3a7uHaq8gyB2hePyaXx1qJ7LAUhAwHcUz-McHIATsMV9ul-P1CUVxRBYM/w592-h640/fig%2011%20-%20lorenzo%20di%20credi%20-%20battesimo%20di%20Cristo.jpg" width="592" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel pieno del fervore artistico della Repubblica di Soderini nell’ottobre del 1504 se ne giunge bel bello a Firenze anche il giovane Raffaello con l’intenzione di esaminare di persona la portata di quegli eventi artistici la cui risonanza si propagava dovunque. Forse vi era giunto con una lettera di presentazione di <i>Giovanna Feltria</i>, duchessa di Urbino, per il Gonfaloniere Pier Soderini, ma l’autenticità di questa lettera è tuttora incerta.</div><div style="text-align: justify;">Il suo viaggio nasceva piuttosto dalla fama di cui godeva la città: negli anni del soggiorno fiorentino di Raffaello dal 1504 al 1508, Firenze stava rivivendo un’altra età dell’oro dopo lo splendore della stagione laurenziana.</div><div style="text-align: justify;">Siamo nella fase centrale della Repubblica di Pier Soderini e in questa stagione Firenze è davvero una nuova Atene: i forestieri lo sapevano e vi giungevano infatti anche d’oltralpe, soprattutto gli spagnoli, che lavorano fianco a fianco con artisti fiorentini e altri italiani.</div><div style="text-align: justify;">Il 24 gennaio del 1504, quando Michelangelo stava completando il <i>David</i>, si svolse un incontro significativo: gli uomini della Repubblica fiorentina avevano convocato un gruppo di artisti famosi affinché esprimessero un parere sul luogo più adatto in cui collocare il <i>David</i>. I partecipanti furono tanti e i nomi lasciano comprendere la temperie culturale della Firenze di quel momento e rappresentano quanto di più alto la città esprimesse: Botticelli, il Perugino, Leonardo, Filippino Lippi, Piero di Cosimo, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea della Robbia, il Cronaca, Lorenzo di Credi, Francesco Granacci. Dei grandi mancava solo Andrea Sansovino che in quel momento non era a Firenze, ma a Roma dove aveva incarichi prestigiosi.</div><div style="text-align: justify;">Si deve inoltre considerare che Firenze era di per sé un laboratorio permanente di Arte dove i giovani artisti potevano formarsi esercitandosi sulle opere della grande tradizione da Giotto a Masaccio e poi tutti avevano la possibilità di aggiornarsi sulle novità di allora, a cominciare dai cartoni preparatori di Leonardo e Michelangelo per le monumentali raffigurazioni delle <i>battaglie</i> di Anghiari e di Cascina che Benvenuto Cellini avrebbe definito <i>la scuola del mondo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Chi veniva a Firenze al tempo della Repubblica di Soderini aveva quindi anche la possibilità di conoscere dal vivo, saggiandone tutta la portata innovativa, opere che sono rimaste incunaboli della <i>maniera moderna </i>che a Firenze aveva uno dei suoi centri più illustri.</div><div style="text-align: justify;">Nel maggio del 1504 dopo aspre polemiche il <i>David</i> fu posto nell’arengario di <i>Palazzo Vecchio</i>, ma di Michelangelo a Firenze, oltre al cartone, già c’erano il <i>Tondo Doni</i>, il <i>San Matteo</i> così come di Leonardo non c’era solo il cartone della <i>Battaglia di Anghiari</i>, ma un altro cartone, quello con <i>Sant’Anna</i> della <i>National Gallery</i> di Londra, e in quel periodo Leonardo in mezzo ai suoi studi scientifici sul volo, stava lavorando al ritratto della <i>Gioconda</i> che gli studiosi rievocano sempre, ogni volta che si parla dei ritratti fiorentini di Raffaello per esempio dal <i>Ritratto di Maddalena Strozzi</i> databile fra il 1506 e il 1507.</div><div style="text-align: justify;">Figg. 12, 13, 14, 15, 16.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhanCYcxE1la81YNU07xJirpG1HU8eO0G73uFwCeV6JnpcpHR7h9E9awuY0X3-1_XwmGaLaB3AsBxgO4L39tFCxE2rxt__twl2bCxi5mRZXxPEvvHn3RNSyRVXRCytUF1x7dq0kRvwlxDtL0-brIb2RwU9p6z1tZcktbPYwYdVaMrgMuQk6Jlj1QQsau7g/s1024/fig%2012%20michelangelo%20-%20david.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="683" data-original-width="1024" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhanCYcxE1la81YNU07xJirpG1HU8eO0G73uFwCeV6JnpcpHR7h9E9awuY0X3-1_XwmGaLaB3AsBxgO4L39tFCxE2rxt__twl2bCxi5mRZXxPEvvHn3RNSyRVXRCytUF1x7dq0kRvwlxDtL0-brIb2RwU9p6z1tZcktbPYwYdVaMrgMuQk6Jlj1QQsau7g/w640-h426/fig%2012%20michelangelo%20-%20david.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMqN5_chl5DzhH5B8qVzlgLFhPkprAumY4FCWNuWr3_LpT9p0ERYISaj0mB-Ors-_onDkW87JoVnWoB6ktWroQBiNEVLHH7vTWN-scNQYCnCCzrFMiumFA-qiW9csq376cobLfRDCC8B2LTr8XRJQmucwCQJMzjfd8sH4YuQcQSpbzGkPlAWYx9ff_TEo/s1600/fig%2013%20tondo%20doni.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1591" data-original-width="1600" height="636" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMqN5_chl5DzhH5B8qVzlgLFhPkprAumY4FCWNuWr3_LpT9p0ERYISaj0mB-Ors-_onDkW87JoVnWoB6ktWroQBiNEVLHH7vTWN-scNQYCnCCzrFMiumFA-qiW9csq376cobLfRDCC8B2LTr8XRJQmucwCQJMzjfd8sH4YuQcQSpbzGkPlAWYx9ff_TEo/w640-h636/fig%2013%20tondo%20doni.png" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJyMpx0cjOZH-FpiZyf_PjLEKJJ5vToSIdDLiIWeE6h5PTQDAfjkxVyaoSJv1sWmCx-8TYuMPp5bBs2w00GPuZMD_PsnMEccBYxW9DLIBLkS182HZjR3Xe7JKAxC8pI3V-C9eYn2o6fB1ac95Zq2qdMAK2I9kg8cJf_P8b2xYPHpUa5HeYXHNMx5KmH9A/s2688/fig%2014%20-%20Leonardo_-_St._Anne_cartoon.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2688" data-original-width="2000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJyMpx0cjOZH-FpiZyf_PjLEKJJ5vToSIdDLiIWeE6h5PTQDAfjkxVyaoSJv1sWmCx-8TYuMPp5bBs2w00GPuZMD_PsnMEccBYxW9DLIBLkS182HZjR3Xe7JKAxC8pI3V-C9eYn2o6fB1ac95Zq2qdMAK2I9kg8cJf_P8b2xYPHpUa5HeYXHNMx5KmH9A/w476-h640/fig%2014%20-%20Leonardo_-_St._Anne_cartoon.jpg" width="476" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhd_z_eKkxK5mPAh8H_u_OdVbzBoDtohvzqHpuvB_VVjpLbjkqmVNHSjtIydGbgBx6sh_KSWc5WwMx8B7FtdTQcRJ0nBcabjHAY9_HMqCMBKLucbYNbYeGGasAQj2uuVDgCROXtoF99fC_15PKOd_CfIBjvFNYuDepCB-RAMWz7hw3_CDb0KhaaZ-DgwtI/s2500/fig.%2016%20-%20Ritratto_di_maddalena_strozzi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2500" data-original-width="1723" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhd_z_eKkxK5mPAh8H_u_OdVbzBoDtohvzqHpuvB_VVjpLbjkqmVNHSjtIydGbgBx6sh_KSWc5WwMx8B7FtdTQcRJ0nBcabjHAY9_HMqCMBKLucbYNbYeGGasAQj2uuVDgCROXtoF99fC_15PKOd_CfIBjvFNYuDepCB-RAMWz7hw3_CDb0KhaaZ-DgwtI/w442-h640/fig.%2016%20-%20Ritratto_di_maddalena_strozzi.jpg" width="442" /></a></div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Dopo l’esercizio sui prodigiosi modelli che Firenze offriva a larga mano, giovani e maestri già affermati avevano modo di confrontare le loro indagini espressive nelle botteghe, mentre stava germogliando la <i>maniera moderna</i>: gli artisti si radunavano nelle botteghe a discutere di arte non solo fra loro, ma anche con molti cittadini comuni incuriositi da quegli ambienti e spesso erano presenti e partecipi anche intellettuali umanisti. Dalle botteghe la cultura letteraria e figurativa si propagava in città proprio grazie a queste proficue discussioni e il patrimonio culturale cresceva non solo negli esclusivi circoli umanistici, ma anche nelle botteghe degli artisti con incontri in cui ognuno, portando la specificità delle proprie competenze, contribuiva alla complessità del pensiero comune. Ci si fermava specialmente nelle stanze di <i>Baccio d’Agnolo</i>, classe 1462, dove c’era sempre qualcuno con cui scambiare opinioni ed idee sull’espressione nuova che andava maturando e, proprio in quella rinomata bottega, il linguaggio di Raffaello, che fino a quel momento era stato sostenuto dalla soavità del Perugino e si era impreziosito mediante il suo sodalizio con il Pinturicchio a Siena, trovò un lessico nuovo e una nuova sintassi in un rapporto profondo ed appassionato non solo coi maestri maturi, ma anche con gli artisti giovani, soprattutto con il suo coetaneo <i>Ridolfo del Ghirlandaio</i> con il quale strinse una solida e duratura amicizia.</div><div style="text-align: justify;">Massimo Capuozzo</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-33275499287023240422023-09-12T23:01:00.002-07:002023-12-05T08:00:46.970-08:00L’Impressioniamo: 3 Avanguardia fra le avanguardie – Di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Da quando Saint Simon, personaggio illuminante ma di non grandissima fortuna allora come oggi, parlò di avanguardie culturali in uno dei suoi ultimi scritti dal profetico titolo <i>L'artista, lo scienziato e l'industriale</i> del 1824, le avanguardie hanno cominciato ad esistere consapevolmente come movimenti d'opposizione, talvolta come correnti vere e proprie, fino ad imporsi scuotendo violentemente l'<i>Arte ufficiale</i>.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Riflettiamo un solo attimo sull’aggettivo <i>ufficiale</i> coniugato al sostantivo <i>Arte</i>: ci accorgiamo quanto esso sia estraneo in relazione all’Arte.</div><div style="text-align: justify;">Osserviamo alcuni aggettivi che ricorrono più frequentemente per definire l’Arte.</div><div style="text-align: justify;">Ci sono dei denotativi <i>storico culturali</i>: preistorica, antica, greca, romana, medievale, romanica, gotica, rinascimentale, barocca, classica, moderna, contemporanea, razionalista, pop, figurativa, astratta, minore, applicata, decorativa, popolare, ricca, povera, sconosciuta, storica.</div><div style="text-align: justify;">Ci sono dei <i>valutativi</i>: bella, brutta, colorata, comprensibile, incomprensibile, facile, difficile, conosciuta, creativa, desueta, nuova, educativa, espressiva, falsificata, interessante.</div><div style="text-align: justify;">Ancora esistono <i>classificativi</i>: poetica, letteraria, architettonica, scultorea, pittorica, scenografica, grafica, oratoria, drammatica, fotografica, cinematografica, musicale, magica, teatrale, televisiva, uditiva, marziale.</div><div style="text-align: justify;">Quelli <i>geografici</i>: italiana, spagnola, francese, fiamminga, olandese, germanica, orientale, occidentale, africana, asiatica, americana islamica e quant’altro.</div><div style="text-align: justify;">Come si più facilmente notare, tutti gli aggettivi utilizzabili accanto ad Arte sono sempre intrinsechi all’Arte stessa.</div><div style="text-align: justify;">L’aggettivo <i>ufficiale</i> che, per definizione lessicale, “<i>intende qualcosa di emanato dall'autorità competente, con caratteri di piena garanzia, di validità e di autenticità</i>” semanticamente appartiene a un campo estrinseco all’Arte e fa capo invece a un’istituzione, lo Stato, che la proclama come quella <i>ufficiale</i>” pertanto come quella dotata di <i>validità</i>.</div><div style="text-align: justify;">Di che cosa dunque parliamo quando discutiamo di <i>Arte ufficiale</i>?</div><div style="text-align: justify;">Purtroppo quest’espressione, tristemente rievocativa, è riferita a un fenomeno che indica l'insieme delle creazioni artistiche riconosciute, sostenute, e proposte da un <i>regime</i> che può essere politico o religioso, oppure l’espressione indica quelle creazioni artistiche rispondenti al gusto delle istituzioni culturali di un determinato Stato.</div><div style="text-align: justify;">Come si può ora facilmente comprendere è qualcosa che proviene dal di fuori dell’Arte e non dal suo interno, dal suo sistema.</div><div style="text-align: justify;">È ovvio che un'Arte ufficiale può esistere solo quando esistono regimi dispotici, declinati in tutte le loro varie forme, a partire da quello dei faraoni o da quello di Augusto nel I secolo, fino a giungere ai regimi autocratici di oggi, per quanto questi ultimi, più rozzi che nel passato e, a quanto pare, nella maggior parte dei casi sono molto meno attenti a un’estetica degna di tal nome.</div><div style="text-align: justify;"><i>Arte</i> e <i>Cultura</i> possono tuttavia anche partecipare alla propaganda politica e promuovere un'ideologia. E questo accade quando gli artisti e gli intellettuali sono <i>organici</i> al sistema, inoltre la promozione di un tipo di Arte da parte di un regime, spesso avviene a svantaggio di un altro tipo di Arte che non corrisponde ai criteri che quel regime <i>statuisce</i> – uso volutamente un termine giuridico-normativo –, come <i>Arte ufficiale</i>.</div><div style="text-align: justify;">A questo punto avviene che qualsiasi forma <i>alternativa</i> di Arte sia emarginata, ostacolata o addirittura vietata, come successe per esempio in Francia sotto il Primo e il Secondo Impero, quando l'<i>Arte accademica</i> era sostenuta dal potere, a scapito di altre forme d’Arte come quella dei grandi maestri del <i>Realismo</i> e poco dopo di quelli dell'<i>Impressionismo</i>, che furono per molto tempo osteggiati.</div><div style="text-align: justify;">In Arte come in Letteratura, alcuni artisti o scrittori che diciamo d'avanguardia rifiutano spesso ogni forma di apparentamento con i loro predecessori e il più delle volte li considerano il <i>sistema costituito</i> e consolidato da abbattere, quindi assumono posizioni di netto contrasto rifiutando recisamente qualsiasi forma d’Arte che abbia preceduto la loro.</div><div style="text-align: justify;">Talvolta poi il termine <i>avanguardia</i> è usato per riferirsi ad artisti, che sono <i>presumibilmente</i> in anticipo rispetto ai tempi e che attribuiscono valore a un'opera in base al suo <i>carattere inedito</i> e spesso forse troppo in anticipo rispetto ai tempi senza interessarsi dell’<i>orizzonte delle attese</i> del pubblico.</div><div style="text-align: justify;">In questo modo le avanguardie reagiscono anche all’assioma del <i>modello eterno di bellezza</i>, pertanto l'artista si concentra nella sua creazione e produzione, cercando di carpire l'essenza stessa della modernità, sempre in continua gestazione, per rompere con le concezioni tradizionali dell'Arte, alias con il culto della rappresentazione <i>naturalistica</i> e con il <i>realismo</i> puro o idealizzato che sia, ma sempre tipico dell'Arte figurativa.</div><div style="text-align: justify;">Un'avanguardia fa inoltre sempre riferimento a una concezione individualistica e personale della <i>creazione</i>, secondo l’idea estetica che era stata già propugnata dal <i>Romanticismo</i> puro, ma che, rispetto all’idea romantica, è meno direttamente legata all'idea di una <i>missione storica</i> da parte dell'artista.</div><div style="text-align: justify;">In questo senso si può dire che l’<i>avanguardia impressionista</i> abbia continuato per strade diverse la rivoluzione dell’Arte romantica, un’aurora rimasta al momento incompiuta per i classicismi ancora imperanti in Europa. Una rivoluzione, quella romantica, che, avanzando e talvolta indietreggiando, precedette le successive avanguardie che avrebbero posto fine all'Arte figurativa, caratterizzata dalla rappresentazione di immagini riconoscibili del mondo intorno a noi, a volte fedeli e accurate, a volte distorte e avrebbe portato alla completa dissoluzione della forma.</div><div style="text-align: justify;">È bello ed è affascinante percorrere le tappe salienti della lunga marcia che, partendo da Turner giunge fino all’<i>Astrattismo</i> e all’<i>Informale</i>, e rifiutano nelle opere pittoriche e plastiche la rappresentazione di oggetti reali, creando composizioni capaci di esistere al di fuori delle informazioni ricevute dal mondo circostante. Fu una strada lunga, tortuosa, punteggiata di avanzamenti e di ritorni indietro, ma in ogni caso in ogni ritorno indietro la situazione non fu mai più come era stata precedentemente.</div><div style="text-align: justify;">Per mostrare questo cammino mostrerò alcuni dipinti che indicano secondo me in maniera esemplare il passaggio dalla forma alla sua negazione e che ha portato infine all’Arte informale.</div><div style="text-align: justify;">Punto di partenza è naturalmente ciò che è assolutamente formale e prendo come riferimento <i>Le Sabine</i> di <i>David</i> del 1799, un’opera di cui mi occupai tempo fa, quando il Romanticismo emetteva i suoi primi vagiti.</div><div style="text-align: justify;">Fig.1</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0f/F0440_Louvre_JL_David_Sabines_INV3691_rwk.jpg"></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0f/F0440_Louvre_JL_David_Sabines_INV3691_rwk.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizo0-P94nvhHmGKNTwdcZzKT6wZVAA8oV3Ve2LZ5jmGvJKWuTrNRAM6vmNkELKglArUZ53qMHyPZ3HdRD_Sw4tK-fIYaBxYlBC2EXT5uFaIn5I-mGs7eQNNgYkXnXqegR1DnN9UJwBkdgHF8cWnXTGeMyMqpFmVRFrivEf0js90ZxWQkx2oiPjToTnzqE/s4944/fig%20.%201%20-%20David%20Sabines.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3702" data-original-width="4944" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizo0-P94nvhHmGKNTwdcZzKT6wZVAA8oV3Ve2LZ5jmGvJKWuTrNRAM6vmNkELKglArUZ53qMHyPZ3HdRD_Sw4tK-fIYaBxYlBC2EXT5uFaIn5I-mGs7eQNNgYkXnXqegR1DnN9UJwBkdgHF8cWnXTGeMyMqpFmVRFrivEf0js90ZxWQkx2oiPjToTnzqE/w640-h480/fig%20.%201%20-%20David%20Sabines.jpg" width="640" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">Il primo passaggio è Turner con <i>L'incendio delle Camere dei Lord e dei Comuni</i> del 1835 del <i>Cleveland Museum of Art</i>.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 2</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMQ_VJpy0U55cVIUgGOEgEuSQR13fS2P1zMMrwrqlOeQirVo5n2TkhSn4wtjyDUI3sclDOyxXWS7QCRKxQU3K24kFluwJFuuv94P_98pzFIAJ-qA8ALg9RDTBON8BaLPECS11VglDe-2pfrkhVyHTdxd2-OHvbd8j19sRkANnhBy0YI4rSQOufTA3EwvA/s15155/fig%202%20%20William_Turner%20-%20The%20Burning%20of%20the%20Houses%20of%20Lords%20and%20Commons,_-%201834_--_Cleveland_Museum_of_Art.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="11254" data-original-width="15155" height="476" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMQ_VJpy0U55cVIUgGOEgEuSQR13fS2P1zMMrwrqlOeQirVo5n2TkhSn4wtjyDUI3sclDOyxXWS7QCRKxQU3K24kFluwJFuuv94P_98pzFIAJ-qA8ALg9RDTBON8BaLPECS11VglDe-2pfrkhVyHTdxd2-OHvbd8j19sRkANnhBy0YI4rSQOufTA3EwvA/w640-h476/fig%202%20%20William_Turner%20-%20The%20Burning%20of%20the%20Houses%20of%20Lords%20and%20Commons,_-%201834_--_Cleveland_Museum_of_Art.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Poi guardiamo ancora una volta l’iconico <i>Impressioni. Sole nascente</i> di Claude Monet del 1872 del <i>Musée Marmottan Monet</i> di Parigi.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 3</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXgrLxjk1qCSMFj_VoBbuPQLKyj2zFXJRGiS5h6MUNx2eALL9HXEt7HRcVnLA3i4bXQutuuqdPuqJadZlXJ4kt6do7O6aFTn_Dn2VSCAtdYxtNkHa-ck1oYEvNCQYDtF2OYSPpHrZ57qFJncry5ApWvGfCKGD5A_JaSyhvsbBrn_0p80bV6xqeb0Z0qf8/s5773/fig%203%20-%20Monet%20-%20Impression,_Sunrise.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4478" data-original-width="5773" height="496" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXgrLxjk1qCSMFj_VoBbuPQLKyj2zFXJRGiS5h6MUNx2eALL9HXEt7HRcVnLA3i4bXQutuuqdPuqJadZlXJ4kt6do7O6aFTn_Dn2VSCAtdYxtNkHa-ck1oYEvNCQYDtF2OYSPpHrZ57qFJncry5ApWvGfCKGD5A_JaSyhvsbBrn_0p80bV6xqeb0Z0qf8/w640-h496/fig%203%20-%20Monet%20-%20Impression,_Sunrise.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Poi soffermiamo la nostra attenzione su Pablo Picasso, con il suo <i>Mouline de la Galette</i>, del 1900, del <i>Museo Guggenheim</i> di New York.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 4</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4vGMdSpFmi0h59RoqRhL5HEIehtBQgNVpR12dltrFfwwriELC4Q6NsgzEKHd7qVcV49clCwB2YmsPgHHRVBglQFvutCcQeT8Ycu4U46rkM_HsdSG00ELWVfgI2B0Bc00GZdQ6LluvFtyu2oYr3npzkCsUACNW52v6ibiiYyeXM_GkdafBhmevuycbdtM/s700/fig%20.%204%20-%20Moulin-de-la-Galette-Picasso.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="393" data-original-width="700" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4vGMdSpFmi0h59RoqRhL5HEIehtBQgNVpR12dltrFfwwriELC4Q6NsgzEKHd7qVcV49clCwB2YmsPgHHRVBglQFvutCcQeT8Ycu4U46rkM_HsdSG00ELWVfgI2B0Bc00GZdQ6LluvFtyu2oYr3npzkCsUACNW52v6ibiiYyeXM_GkdafBhmevuycbdtM/w640-h360/fig%20.%204%20-%20Moulin-de-la-Galette-Picasso.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Poi è il turno di <i>Henri Matisse</i>, con la prima versione del quadro <i>La danza</i> del 1909 del <i>Museo di Arte Moderna</i> di New York.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 5</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiElejxgVckBG2MfA3LjLCk8BCzGKjbbZZyh2sINB_l9N7H2SbjMC3ahZrgt-lLJPM-qfPjFKQf44lXdw3Qsp9-cXbE-sJ9EZJfbpXX0gEsxuPy5IFdw5y3c3FmLGT3Du3mAyEnrlCWDWVWnAgInLNwSoS7VKYxiSJ6US31TFvVuqHMMbqXPvmn55miAVM/s1654/fig.%205%20-%20Henri%20Matisse%20-%20La%20danza-prima-versione.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1082" data-original-width="1654" height="418" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiElejxgVckBG2MfA3LjLCk8BCzGKjbbZZyh2sINB_l9N7H2SbjMC3ahZrgt-lLJPM-qfPjFKQf44lXdw3Qsp9-cXbE-sJ9EZJfbpXX0gEsxuPy5IFdw5y3c3FmLGT3Du3mAyEnrlCWDWVWnAgInLNwSoS7VKYxiSJ6US31TFvVuqHMMbqXPvmn55miAVM/w640-h418/fig.%205%20-%20Henri%20Matisse%20-%20La%20danza-prima-versione.png" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Appena un anno dopo nel 1910, <i>Umberto Boccioni</i> realizza <i>La città che sale</i> del <i>Museo di Arte Moderna</i> a New York.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 6</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj02b15uQHhsfED6cgNzz7QYQIaR3IAV9XeotDXlV9t1Sitl1f32baDAMbADN-O1n6hcjJ2-esCNggwMDjWU27dTB0iv7GpKAx_An4dm63FO_n0MGGt9w_bdZ2VZ4OmtUZAONLT97J9rqJwnl27zw6avlLsSJ7CHmlM2tJcw-qie9dOMW49tqWYjHujiP0/s2583/fig.%206%20-%20Umberto%20Boccioni%20-La%20citt%C3%A0%20che%20sale.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1715" data-original-width="2583" height="424" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj02b15uQHhsfED6cgNzz7QYQIaR3IAV9XeotDXlV9t1Sitl1f32baDAMbADN-O1n6hcjJ2-esCNggwMDjWU27dTB0iv7GpKAx_An4dm63FO_n0MGGt9w_bdZ2VZ4OmtUZAONLT97J9rqJwnl27zw6avlLsSJ7CHmlM2tJcw-qie9dOMW49tqWYjHujiP0/w640-h424/fig.%206%20-%20Umberto%20Boccioni%20-La%20citt%C3%A0%20che%20sale.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Nel 1913-14 <i>Ernst Ludwig Kirchner</i> realizza <i>Scena di strada berlinese</i> del <i>Museo dell’arte tedesca e austriaca</i> di New York.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 7</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPID67-tLJzTpzNSr5h2_87IMAxCbLchHM7VxntDOsKXTiGduqaZu8eZu9Vj6RkZszQpX8q4zPG-b1VDqWdyvl2Af5ohBFjFZlnFEeq-WIeHn2-9x_n4WOj7Umz4U2a0-hdUSDXGJ8JroD-U-74vCswtVSYE4igdvXALbmYtRQ-XmDNVmhJEt0hTaddVE/s2560/fig.%207%20-%20Ernst%20Ludwig%20Kirchner%20-%20Scena%20di%20strada%20berlinese%20-1913-14.-.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="1890" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPID67-tLJzTpzNSr5h2_87IMAxCbLchHM7VxntDOsKXTiGduqaZu8eZu9Vj6RkZszQpX8q4zPG-b1VDqWdyvl2Af5ohBFjFZlnFEeq-WIeHn2-9x_n4WOj7Umz4U2a0-hdUSDXGJ8JroD-U-74vCswtVSYE4igdvXALbmYtRQ-XmDNVmhJEt0hTaddVE/w472-h640/fig.%207%20-%20Ernst%20Ludwig%20Kirchner%20-%20Scena%20di%20strada%20berlinese%20-1913-14.-.jpg" width="472" /></a></div><div style="text-align: justify;">E infine <i>Vasilij Kandinskij </i>con <i>Composizione VII</i> del 1913 della <i>Galleria Tretjakov</i> di Mosca.</div><div style="text-align: justify;">Fig. 8</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXTM6fIKKH0u5apPiXW5yQxLjgbCLlKJhaTfjaJfkqd-F5KpzpyY2ZAUPagHxNnEd8Mm_YO1EANwyrkRYPWK91RJdkRLn3uIYnPNsjbLkc3Elwml71RRakG7D52nqezkJn7McKbJ6wpTwaWd4ro3F3i5GLCkpTPMqiI1tiVKs7ggxIvjfd-sEqTrjcXSs/s1842/fig.%208%20-%20Vasilij%20Kandinskij%20-%20Composizione-VII-1913..jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1842" height="416" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXTM6fIKKH0u5apPiXW5yQxLjgbCLlKJhaTfjaJfkqd-F5KpzpyY2ZAUPagHxNnEd8Mm_YO1EANwyrkRYPWK91RJdkRLn3uIYnPNsjbLkc3Elwml71RRakG7D52nqezkJn7McKbJ6wpTwaWd4ro3F3i5GLCkpTPMqiI1tiVKs7ggxIvjfd-sEqTrjcXSs/w640-h416/fig.%208%20-%20Vasilij%20Kandinskij%20-%20Composizione-VII-1913..jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;">Come si può facilmente osservare le date si avvicinano sempre di più a mano a mano che arriviamo al primo Novecento che è noto proprio come l’<i>Età delle avanguardie</i>.</div><div style="text-align: justify;">Massimo Capuozzo</div></span>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-30645436107705341202023-09-07T00:58:00.000-07:002023-09-07T00:58:10.531-07:00L’Impressionismo 2: i prodromi romantici. di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">In che cosa questi giovanotti, accomunati sotto l’etichetta di <i>impressionisti</i>, erano veramente tutti d’accordo?</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">A quanto pare, a parte quel loro vago anelito per la realtà, avevano una sola precisa percezione comune e questa era invece chiarissima: una sensibilità nuova, ma non tanto come vedremo in seguito, che voleva sbarazzarsi della noia delle citazioni classiche e classicheggianti.</div><div style="text-align: justify;">Il punto vero era quello.</div><div style="text-align: justify;">Tutti loro volevano reagire all’<i>Arte accademica</i>, quel mastodonte erto a sistema che essi definivano dispregiativamente <i>accademismo</i> o, nel peggiore del casi, <i>art pompier</i>, che era la roccaforte del <i>Classicismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">E qui devo fare un necessario passo indietro anche se non eccessivamente lungo, e raggiungere con un salto non troppo spericolato gli inizi dell’Ottocento.</div><div style="text-align: justify;">L’Arte era stata irreggimentata dalle varie <i>Accademie di Belle Arti</i>, non soltanto da quella francese. Ma siccome con l’Impressionismo ci troviamo in Francia, conviene osservare da vicino quel che succedeva nell’<i>Accademia</i> o <i>Scuola delle Belle Arti</i> francese, rifondata nel 1817 sulle ceneri e sul modello della vecchia Accademia, istituita ai tempi di Luigi XIV.</div><div style="text-align: justify;">Siamo in piena <i>Restaurazione</i> – sul trono di Parigi era stato restaurato Luigi XVIII, conte di Provenza e fratello del re decapitato – e l’Accademia fu rifondata a specchio della prima con l’intento di ripristinare il <i>Classicismo</i> e di soffocare i fremiti liberali della rivoluzione romantica ai suoi primi vagiti, almeno in campo artistico e almeno in Francia.</div><div style="text-align: justify;">Ma da che cosa nasceva quest'ostilità?</div><div style="text-align: justify;">L’Arte professata nell’Accademia era caratterizzata da temi storici e mitologici e dall'orientalismo, sulla scia di David (1748 – 1825) e di Ingres (1780 – 1867). Due colossi nella loro epoca, e anche oggi, ma essi erano <i>classicisti.</i></div><div style="text-align: justify;">Su di loro si basavano i principi dell'Arte accademica che erano considerati imprescindibili perché si potesse parlare di Arte.</div><div style="text-align: justify;">Anche se più che principi ispiratori erano <i>regole</i> ferree invalicabili, ma di più, erano <i>dogmi</i> indiscutibili che andavano dalla massima osservanza alla <i>gerarchia dei generi</i>, alle dimensioni della tela, (la regola stabiliva che quanto più <i>nobile</i> e importante era il soggetto, tanto maggiore doveva essere il suo supporto: per esempio, una <i>scena di genere</i> doveva essere di formato molto ridotto rispetto a quello del genere più nobile, quello storico, sacro profano mitologico o allegorico che fosse).</div><div style="text-align: justify;">Altro principio tassativo era la superiorità del disegno sul colore, infatti per gli accademici se non c'era disegno, non poteva esserci la pittura.</div><div style="text-align: justify;">Se si comprendono bene questi tre fondamentali principi si potranno capire a fondo anche le nebulose ragioni degli <i>Impressionisti</i> e <i>contro</i> che cosa essi combattevano.</div><div style="text-align: justify;">L’Accademismo si era ulteriormente irrigidito a tutela del <i>Classicismo </i>contro il <i>Romanticismo</i> considerato troppo rivoluzionario: in estrema sintesi l’equazione classicismo sta a restaurazione come romanticismo sta a rivoluzione è quasi sempre verificabile ne fanno eccezione in letteratura Leopardi e pochi altri. Ma Leopardi è eccezionale in tutto.</div><div style="text-align: justify;">Ancora alla metà Ottocento l’Accademia pervadeva anche gli spazi artistici ed espositivi pubblici che contavano, esercitando su essi il più rigido monopolio e privilegiando artisti come <i>Ernest Meissonier</i>, classe 1815, <i>Alexandre Cabanel</i>, classe 1823, <i>Jean-Léon Gérôme</i>, classe 1824, <i>William Bouguereau</i>, classe 1825 e <i>Fernand Cormon</i> classe 1845, considerati i più rappresentativi esponenti dell’accademismo e i più strenui difensori del <i>classicismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Ritengo opportuno mostrare alcune loro opere rappresentative che essi realizzarono intorno alla metà del secolo per capire di cosa si tratta e che cosa davvero si combattesse sul versante opposto.</div><div style="text-align: justify;">Figg. 1, 2, 3, 4 e 5</div><div style="text-align: justify;">1 Alexandre Cabanel “<i>Fallen Angel</i>” 1846</div><div style="text-align: justify;">2 Ernest Meissonier “<i>Campagne de France</i>” 1864</div><div style="text-align: justify;">3 Jean-Léon Gérôme “<i>Young Greeks Attending a Cock Fight</i>” 1846</div><div style="text-align: justify;">4 William Bouguereau “<i>La Tricoteuse</i>” 1869</div><div style="text-align: justify;">5 Fernand Cormon <i>Murder in the Seraglio</i> 1874</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQuf5CFpTzUvbVLO1irEAlod901JO1wKSEqWSXjRg0SgkkkqtggXqme-ujvlA60nmYNzDN3u72TTr_-iP-CZmrxPgsB8NNeOxdRQKZd54eVdT0hqhhrLFOK0BvLaq2Vors6FzqIuDxEmZwYUX5sMGGNEoGBHqR06LAHsMoV5b0ROjCiYdwPBeMFpcrFB0/s1280/fig.%201%20-%20Fallen_Angel_(Alexandre_Cabanel).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="812" data-original-width="1280" height="406" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQuf5CFpTzUvbVLO1irEAlod901JO1wKSEqWSXjRg0SgkkkqtggXqme-ujvlA60nmYNzDN3u72TTr_-iP-CZmrxPgsB8NNeOxdRQKZd54eVdT0hqhhrLFOK0BvLaq2Vors6FzqIuDxEmZwYUX5sMGGNEoGBHqR06LAHsMoV5b0ROjCiYdwPBeMFpcrFB0/w640-h406/fig.%201%20-%20Fallen_Angel_(Alexandre_Cabanel).jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUg5fEaEIzUKeKqsVYzxID1CUNuTvLWLBFuU4bQbM1aVBP9I9WzqlOOg4GvUgTGOOF336MdjJplNuxwrYgdnKZX7Ba144fIitcKAJdp9uRRol8Y2vJ7rprXyIiBsKw3IvFLXlMM67MvjlHDsR4Fv4R-f0fDth6msuTGnMnQVlQJuXeN99rUuXsU15H38s/s1280/fig.-%202Meissonier_-_1814,_Campagne_de_France.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="799" data-original-width="1280" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUg5fEaEIzUKeKqsVYzxID1CUNuTvLWLBFuU4bQbM1aVBP9I9WzqlOOg4GvUgTGOOF336MdjJplNuxwrYgdnKZX7Ba144fIitcKAJdp9uRRol8Y2vJ7rprXyIiBsKw3IvFLXlMM67MvjlHDsR4Fv4R-f0fDth6msuTGnMnQVlQJuXeN99rUuXsU15H38s/w640-h400/fig.-%202Meissonier_-_1814,_Campagne_de_France.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeozVHaHPy-qf01S5Zf454imi-XdNbJClOSOg96bVgU2WFAfFz5Zy_iHLPr8Sj0xYj0t2utMW8Kky1euQKcSvzhpgCCRFKYAOO0daz2QhKJ8yay73HwxIEajGO56PTC8EntNcxmcx0_gv9TsvVrZ-wyIR1ch86xFMTP2K_X4UsObLHVLsC7owpJcQcZlg/s4658/fig%203%20-%20Jean-L%C3%A9on_G%C3%A9r%C3%B4me_-_Young_Greeks_Attending_a_Cock_Fight_-_Google_Art_Project.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3232" data-original-width="4658" height="444" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeozVHaHPy-qf01S5Zf454imi-XdNbJClOSOg96bVgU2WFAfFz5Zy_iHLPr8Sj0xYj0t2utMW8Kky1euQKcSvzhpgCCRFKYAOO0daz2QhKJ8yay73HwxIEajGO56PTC8EntNcxmcx0_gv9TsvVrZ-wyIR1ch86xFMTP2K_X4UsObLHVLsC7owpJcQcZlg/w640-h444/fig%203%20-%20Jean-L%C3%A9on_G%C3%A9r%C3%B4me_-_Young_Greeks_Attending_a_Cock_Fight_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSVaYG5uJjzZXrFrjzrl1o6SB9ch3PtGCRRrdMHEVMgXT1h0iL01YdylChkYwVhlAlYm841_9Pk4W0MNzAIL-hwX7cIrionAzq3aGXOJ8Xex7X_4OEB9aTBEcjzeIu6pIgC8EVpRG1Q_tIV47rHkmTiZ4ivDthyNd6TVEcGdAWYgbfxdjubx4J7K2Wy1g/s1118/fig..%204%20-%20The_Knitting_Woman_painting_by_William-Adolphe_Bouguereau.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1118" data-original-width="701" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSVaYG5uJjzZXrFrjzrl1o6SB9ch3PtGCRRrdMHEVMgXT1h0iL01YdylChkYwVhlAlYm841_9Pk4W0MNzAIL-hwX7cIrionAzq3aGXOJ8Xex7X_4OEB9aTBEcjzeIu6pIgC8EVpRG1Q_tIV47rHkmTiZ4ivDthyNd6TVEcGdAWYgbfxdjubx4J7K2Wy1g/w402-h640/fig..%204%20-%20The_Knitting_Woman_painting_by_William-Adolphe_Bouguereau.jpg" width="402" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNwHtsM0YoxShqX5chMR1P_Dy3gHNdCH6cm3Sshy0Vcjo7r0OqQgbDhakxRjjecKA7JSk6b2-Hpa05uCdSHEY1CLum8ct6e1UArGzkj5Bn68jt10X9_5-SqbYWDwV8xXDqS_ELqYoBVzv6sKZ9yAXmCgAMqRs4EPy33xOMQv04CiCIcCeEoNASbr8WhRs/s1660/fid.%205%20-%20Murder_in_the_Seraglio_by_Fernand_Cormon_(1874).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1660" height="462" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNwHtsM0YoxShqX5chMR1P_Dy3gHNdCH6cm3Sshy0Vcjo7r0OqQgbDhakxRjjecKA7JSk6b2-Hpa05uCdSHEY1CLum8ct6e1UArGzkj5Bn68jt10X9_5-SqbYWDwV8xXDqS_ELqYoBVzv6sKZ9yAXmCgAMqRs4EPy33xOMQv04CiCIcCeEoNASbr8WhRs/w640-h462/fid.%205%20-%20Murder_in_the_Seraglio_by_Fernand_Cormon_(1874).jpg" width="640" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Le regole e i principi che informavano l’Accademia riguardavano anche il <i>Salone di Pittura e Scultura</i>, comunamente noto come il <i>Salon</i> cioè quello spazio espositivo per le <i>mostre periodiche di artisti viventi</i>.</div><div style="text-align: justify;">Il <i>Salon</i> parigino era un evento davvero essenziale nella vita artistica della Francia dell’Ottocento ed era l'unico luogo in cui gli artisti avevano la possibilità di esporre pubblicamente le loro opere, quindi era un'occasione rara e molto importante per poter ottenere un riconoscimento ufficiale.</div><div style="text-align: justify;">Sempre intorno alla seconda metà dell'Ottocento in Francia si acuì anche l’opposizione fra <i>accademismo</i> e <i>modernità</i>, e l’offensiva antiaccademica fu lanciata da <i>Charles Baudelaire</i>, classe 1821, critico d’arte ancor prima che genio poetico: questo bipolarismo classicismo-modernità, insito anche nello stesso Baudelaire poeta, avrebbe segnato profondamente tutta la <i>Storia dell'Arte</i> dalla seconda metà del secolo fino a tutto il Novecento.</div><div style="text-align: justify;">Durante il <i>Salon</i> del 1846 alcuni critici e artisti espressero il loro fastidio, e tra gli altri ci furono gli scritti spesso taglienti di <i>Charles Baudelaire</i>.</div><div style="text-align: justify;">In realtà il manipolo di giovanotti che noi oggi chiamiamo <i>Impressionisti</i>, seguiti ormai anche da qualche signorina, furono un’<i>avanguardia</i> dell’Ottocento. Qualcuno pensa la prima, ma non è vero infatti in Italia questo fenomeno era stato preceduto di qualche anno da quello dei <i>Macchiaioli</i>, un altro gruppo di pittori alternativi all’<i>Accademia delle Belle Arti</i>, in questo caso quella di Firenze, che fece meno rumore della loro per una serie di ragioni che non sto qui ad elencare per non essere troppo <i>stravagante</i>. Ma il <i>macchiaiolismo</i> non fu meno significativo e dirompente.</div><div style="text-align: justify;">Non uso in maniera impropria il termine <i>avanguardia</i> perché, già dal 1824, dunque in pieno Romanticismo, il filosofo <i>Claude-Henri de Saint Simon</i>, lo aveva adoperato per la prima volta come traslato, (come sono belli e creativi i traslati!), privandolo del suo primigenio significato militare e riferendolo <a href="https://fr-m-wikipedia-org.translate.goog/wiki/XIXe_si%C3%A8cle?_x_tr_sl=fr&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc"></a>a persone che intraprendono azioni nuove o sperimentali, in particolare nelle arti e nella cultura.</div><div style="text-align: justify;">Una breve riflessione: anche il Romanticismo - quello vero non quello che poi si verificò in forme annacquate e ibridate -, era stato un’avanguardia, forse la prima della modernità, e aveva inaugurato un nuovo modo di essere <i>artista</i>.</div><div style="text-align: justify;">Mi si perdoni la digressione retrospettiva, il <i>flash back,</i> come dicono i ben parlanti, ma essa mi sembra doverosa per comprendere quanto l’Impressionismo non sia un’antitesi del Romanticismo, come spesso si pensa sempre in base al meccanismo semplificativo ad uso scolastico di tesi antitesi, ma ne sia una naturale e forse inconsapevole continuazione.</div><div style="text-align: justify;">Il Romanticismo nella sua massima estensione cronologica era coinciso quasi perfettamente con il periodo della <i>Restaurazione</i>, attuata dal 1815 e mantenuta in piedi, anche se con qualche scossone, fino alla grande esplosione rivoluzionaria del 1848.</div><div style="text-align: justify;">L’atteggiamento della <i>cultura ufficiale</i>, ossia quella dell’Assolutismo aveva sostanzialmente un comprensibile atteggiamento conservatore, ovvero <i>classicista</i> con tutto il suo apparato di regole e di postulati: l’atteggiamento antiromantico era una storia che in Italia avrebbe preso <i>ex post</i> il nome di <i>polemica classico romantica</i>, ma che in Francia aveva riaperto la secolare <i>querelle des Anciens et des Modernes</i> o in modo più pregnante <i>querelle des Classiques et des Modernes</i> e che in altri paesi europei, in contrasto al Romanticismo, espresse gli stessi concetti polemici in lingue diverse.</div><div style="text-align: justify;">Tutto questo solo per dire che il Romanticismo, almeno in Arte, non fu il facile idillio che di solito è proposto e non ebbe vita tranquilla, come potrebbe invece apparire nei testi scolastici, senza parlare poi di un suo concepimento che ebbe una genesi ancora più complessa e tormentata.</div><div style="text-align: justify;">Opponendosi alle regole accademiche e alla tradizione, il <i>Romanticismo</i> riproponeva un mito, quello dell’eroe, e ne proponeva uno nuovo, quello del <i>genio</i>, ossia di colui che con capacità innate e con una spiccata sensibilità verso la natura e tutto quello che la comprendeva, eseguiva eccellentemente e <i>di getto</i> le sue opere. Entrambi i miti evidenziano la caratteristica peculiare del Romanticismo: l’<i>individualismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Questo concetto di <i>esecuzione di getto</i>, era quanto di più diverso potesse esistere rispetto alle <i>regole</i> delle Accademie.</div><div style="text-align: justify;">L’indole di questo tipo di artista, il <i>genio</i>, lo portava ad allontanarsi anche dalla società e a rinchiudersi nel suo <i>solipsismo</i>, affiancando e al concetto di <i>genialità</i> spesso quello di <i>sregolatezza</i>.</div><div style="text-align: justify;">Ma bisogna fare bene attenzione.</div><div style="text-align: justify;">Quando usiamo il termine <i>sregolatezza</i> relativamente a quello di <i>genio</i>, non dobbiamo automaticamente pensare al primo significato del termine quello riferito più comunemente a una persona con <i>abitudini di vita stravaganti e disordinate</i> che potrebbe fare dei romantici dei debosciati. Un tratto questo che in qualcuno di loro si manifestò pure, si pensi a Lord Byron. Ma la <i>sregolatezza</i> cui si voleva associare la <i>genialità</i>, specialmente in campo artistico, era però riferita a quello che essi consideravano le capacità innate e la naturale predisposizione all’Arte che consentivano loro una formazione autonoma, <i>sregolata</i> rispetto alle <i>regole</i> che la società nelle sue varie innervature imponeva. Comprese quelle riguardanti l’Arte e tutto il complesso sistema che la componeva.</div><div style="text-align: justify;">Secondo la concezione romantica, il <i>Genio</i> è la fonte dell’<i>Arte</i> ed è un vero e proprio <i>creatore</i>.</div><div style="text-align: justify;">Provo a sviluppare questa concezione del <i>genio creatore</i> che potrebbe sembrare il frutto di un fanatismo delirante, ma in effetti è il caposaldo rivoluzionario della concezione estetica del <i>Romanticismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Per i romantici l'opera d'arte è espressione del <i>sentimento</i> soggettivo e come tale non è frutto della <i>razionalità</i>, ma dell'<i>intuito</i> del <i>genio</i>. Solo lui, dotato di facoltà superiori, è capace di creare dal nulla, immortalando con l'opera il suo pensiero.</div><div style="text-align: justify;">Il <i>Romanticismo</i> vedeva solo nel <i>genio</i> l’unica possibilità di creare qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che esiste, secondo la sua <i>ispirazione</i>. Per il <i>Romanticismo</i>, e qui veniamo al concetto di <i>sregolatezza</i>, l’Arte non è governata da regole, perché essa è la capacità <i>assoluta</i> di creare qualcosa di nuovo attraverso l’energia ispiratrice del <i>genio</i>, quindi non è assolutamente riducibile a un insieme di regole da applicare meccanicamente, ma è il frutto della <i>libera creatività</i> che non sottostà a nessuna regola.</div><div style="text-align: justify;">Il <i>Genio</i>, inteso come capacità di <i>creazione assoluta</i> che trascende ogni regola, esprime la stessa potenza vitale della natura: se la bellezza artistica fosse infatti riducibile alla semplice esecuzione di un insieme di regole prestabilite, l’Arte sarebbe un’attività puramente meccanica e l’opera d’Arte sarebbe eseguibile praticamente da parte di chiunque avesse appreso le <i>regole dell’Arte</i>, che consistono nelle varie tecniche di esecuzione.</div><div style="text-align: justify;">Per il <i>Romanticismo</i> quindi l’Arte è tale solo se non segue nessuna regola predeterminata pertanto il <i>genio</i> deve partire dalla liberazione del sentimento e dalla forza immaginativa.</div><div style="text-align: justify;">Per questo motivo il <i>genio</i> è l’unico mediatore tra il mondo e l’infinito (che in termini filosofici chiamiamo con Schelling l’<i>Assoluto</i>), incomprensibile e inesprimibile mediante la logica concettuale e mediante la razionalità a cui l’uomo per lo più soggiace, mentre è percepibile solo attraverso la <i>creazione</i> artistica.</div><div style="text-align: justify;"><i>Creazione</i> si badi non più <i>imitazione</i>.</div><div style="text-align: justify;">Era un messaggio molto rivoluzionario non privo di astrattezza e di difficile realizzazione.</div><div style="text-align: justify;">Naturalmente, di fronte a un pensiero così radicale, non mancarono le forti critiche a questi artisti intellettuali <i>antisistema</i> che avevano abbracciato l’estetica romantica e, di fatto, il <i>sistema</i> identificabile nelle <i>Accademie</i> impedì a molti di loro di vendere le proprie opere, costringendoli a vivere nella miseria, a meno che essi non avessero alle loro spalle una famiglia benestante.</div><div style="text-align: justify;">E sappiamo bene che questo fenomeno si è verificato, ma ancora oggi è tutto da indagare e difficile da ricostruire per la perdita di un numero non identificabile di opere d’Arte perdute.</div><div style="text-align: justify;">Ora è abbastanza naturale che un pensiero così radicale e che controbatteva sui due fronti del razionalismo e del classicismo fosse osteggiato perfino da intellettuali di un certo rilievo non appena usciva al di fuori dall’ambito delle università.</div><div style="text-align: justify;">Immanuel Kant, che ho sempre visto come l’ultimo illuminista e il primo romantico, aveva già messo in luce nella sua celebre trilogia della “ragione” l’impossibilità dello studio razionale della metafisica ed aveva cercato altre vie fra cui anche quella dell’estetica.</div><div style="text-align: justify;">Il problema è che i tempi non erano ancora maturi per la rivoluzione del Romanticismo, troppo radicale per essere applicata del tutto, e per questo rimase in parte incompiuta.</div><div style="text-align: justify;">Osserviamone le ragioni.</div><div style="text-align: justify;">L’estetica romantica si basava sul concetto ben noto, anche prima di loro, che la natura non produceva il bello ideale, perché aveva le sue imperfezioni e perfino i suoi orrori, che tuttavia erano emendati dall’Arte, secondo un pensiero che si incardinava già in Platone e che si era sviluppato nelle varie fasi del Neoplatonismo. Ma la <i>Natura</i>, così com’era imperfetta e talvolta violenta, dava luogo a immagini che potevano ispirare nell’Arte due sentimenti tanto fondamentali quanto diversi: il <i>pittoresco</i> e il <i>sublime</i>. Queste due componenti erano ineludibili in tutta l’estetica romantica sia nel suo approccio con il <i>reale</i> sia in quello con il <i>trascendente</i>.</div><div style="text-align: justify;">Lo svizzero Füssli, inglese di adozione e principale precursore del Romanticismo artistico, giunse ad esprimere nelle sue opere – per la prima volta secondo il <i>mainstream</i> critico, ma non penso sia la prima volta – la poetica del <i>sublime</i>, un concetto che identifica la bellezza dell’opera d’arte o degli spettacoli naturali con la forza del sentimento che essi riescono a suscitare. La stessa sensazione di sgomento che si prova davanti all’incontrollabilità di eventi naturali estremi.</div><div style="text-align: justify;">In Germania, dove il movimento romantico si era fatto corrente con i fondamentali scritti teorici del <i>Circolo di Jena</i> e con quelli della rivista <i>Athenäum</i> di Berlino, i giovani romantici avevano vissuto la <i>Rivoluzione francese</i> come la grande speranza per un rinnovamento politico e culturale volto a un progressivo allontanamento dai dispotici canoni artistici classicisti.</div><div style="text-align: justify;">Nella rivista <i>Athenäum</i>, fondata dai fratelli Schlegel, c’è la più chiara esposizione dell'estetica del Romanticismo che diede vita a un’arte universale in cui tutte le diverse forme d'espressione si sarebbero dovute unire e fondere insieme fino a raggiungere una compenetrazione tra arte e vita fino allora ignota nella <i>modernità</i>.</div><div style="text-align: justify;">Ma in Germania come altrove, tutti gli artisti, compreso il grande <i>Caspar David Friederich</i>, classe 1774, avevano anche loro una bella base accademica, troppo vincolante e determinante per permettere loro di lanciarsi a capofitto nella pittura <i>di getto</i>.</div><div style="text-align: justify;">In Francia il <i>Romanticismo</i> tese ad affermarsi come movimento culturale e artistico impegnato sul fronte delle tematiche libertarie politiche e sociali, ma si spinse anche a svilupparsi in forme individualistiche, di inquietudine e di ribellione, fra l’isolamento e un impegno politico, spesso eroico e talvolta addirittura esasperato.</div><div style="text-align: justify;"><i>Théodore Géricault</i>, classe 1791, pur mantenendo la forma classica, operò un rinnovamento con una pittura i cui temi sono fedeli alla storia e alla cronaca contemporanea.</div><div style="text-align: justify;">Moderno nei contenuti <i>Géricault</i>, ma stilisticamente classico.</div><div style="text-align: justify;">Ancora romantico e francese è <i>Eugène Delacroix</i>, classe 1798, che pur rimase un fermo ammiratore di <i>Jacques-Louis David</i> e del suo stile neoclassico. Dopo i moti rivoluzionari del 1830, dipinse <i>La libertà che guida il popolo</i> in cui celebrava <i>les trois glorieuses</i>, le giornate di luglio in cui il popolo parigino era insorto contro Carlo X, ultimo fratello del povero Luigi XVI, e campione di una delle più arcigne restaurazioni dopo il Congresso di Vienna.</div><div style="text-align: justify;">In questo modo l’artista aveva espresso la sua volontà di distaccarsi dalla Storia e dai miti del passato, per rappresentare, ancorché allegoricamente, la Storia a lui contemporanea. Il dipinto fu acquistato dal nuovo governo francese, guidato dal re Luigi Filippo, ma ci fu subito uno stop: ritenuto infatti troppo rivoluzionario da alcuni funzionari ne fu impedita l’esposizione in pubblico.</div><div style="text-align: justify;">E questo episodio la dice lunga sulla censura.</div><div style="text-align: justify;">In Italia il movimento romantico si affacciò consapevolmente nel 1816. L’arte romantica italiana si sviluppò soprattutto nell’area lombardo veneta, dove gli artisti si impegnarono per lo più a diffondere, attraverso la pittura, gli ideali politici risorgimentali che miravano alla formazione di un sentimento nazionale italiano, a sostegno della lotta contro la dominazione austriaca, ma in ogni caso, sempre sulle basi dell’accademismo da cui non riuscì mai a staccarsi neppure “<i>Francesco Hayez</i>”, classe 1791, il principale punto di riferimento della pittura romantica italiana.</div><div style="text-align: justify;">Del resto occorre ricordare che in Italia Manzoni che si professava romantico impiegò la bellezza di diciannove anni per scrivere e rivedere il suo capolavoro, (altro che scrittura di getto!), e Leopardi, il massimo poeta romantico italiano, si professava un fervente classicista.</div><div style="text-align: justify;">Decisamente di umori più distintamente romantici anche nella forma, fu <i>Francisco Goya</i>, classe 1746, che ebbe il grande merito di traghettare la Spagna dal tardo Barocco al Romanticismo. Dalla sua pittura emergono la forza visionaria e il rifiuto di modelli assoluti di bellezza. Ritrasse scene campestri e feste popolari spagnole di <i>sentimento</i> pittoresco che gli garantirono il favore dei circoli aristocratici della corte spagnola.</div><div style="text-align: justify;">Ma tra il 1819 e il 1823 sulle pareti di una sua casa madrilena Goya eseguì delle pitture <i>nere</i> fortemente orientate al senso del <i>sublime</i>. Esemplare è una delle scene <i>Saturno che divora uno dei suoi figli</i> in cui l’artista esprime la bestialità <i>sublime</i> del potere che teme l’usurpazione.</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il tema allude certamente al clima repressivo della Spagna di Ferdinando VII, che costrinse Goya a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in Francia, dove si affiancò a <i>Géricault</i> e a <i>Delacroix</i>.</div><div style="text-align: justify;">Se in Spagna Goya fu un caso sporadico, ma pieno di slancio verso il Romanticismo, in Inghilterra, i massimi esponenti della pittura romantica furono: <i>William Blake</i>, <i>William Turner</i> e <i>John Constable</i>.</div><div style="text-align: justify;"><i>William Blake</i>, classe 1757, poeta, pittore e disegnatore, illustrò la <i>Bibbia</i>, il <i>Paradiso perduto</i> di Milton, il <i>Libro di Giobbe</i>, la <i>Divina Commedia</i>. La sua era una personalità visionaria, ossessionato dal problema del peccato originale, realizzò illustrazioni dallo stile grandioso ed espressivo, con evidenti richiami a Michelangelo.</div><div style="text-align: justify;"><i>William Turner</i>, classe 1775, è tuttavia il pittore romantico per eccellenza, le cui considerazioni sulla pittura, in base alle quali l’arte non si apprende attraverso lo studio, ma è il frutto di qualità personali e di sensibilità, vanno perfettamente a taglio con la teoria romantica del <i>genio</i>.</div><div style="text-align: justify;">Turner predilesse il tema della natura e del paesaggio, con particolare attenzione alla luce e all’atmosfera, nella quale le forme tendono a dissolversi perdendo la loro reale consistenza.</div><div style="text-align: justify;">Il dipinto <i>Pioggia, vapore e velocità</i> una delle opere più iconiche di Turner è anche una delle prime rappresentazioni del treno che qui si confonde con la natura in un’atmosfera indistinta in cui sfumano i contorni e le individualità delle cose: un unico movimento pervade la natura attraverso la vibrazione e la mescolanza dei colori. Il quadro, nel suo ardito sperimentalismo formale, anticipa la pittura impressionista.</div><div style="text-align: justify;">Nei suoi paesaggi <i>John Constable</i>, classe 1776, tenta invece di rendere ciò che vede, senza cercare effetti nobilitanti e valorizza i particolari più umili.</div><div style="text-align: justify;">Nel dipinto <i>Il carro di fieno</i> Constable rappresenta una scena agreste in un preciso momento dell’anno; trasmette, attraverso la resa di effetti atmosferici e luminosi, una tranquilla operosità. Constable non si limitava a rendere fedelmente la natura, ma la trasformava in un ambiente sereno capace di accogliere idilliacamente l’uomo.</div><div style="text-align: justify;">L’impatto del Romanticismo nel corso della Storia ebbe una portata tuttora sottovalutata e paradossalmente, nonostante la notorietà del fenomeno, ancora in parte da indagare. Spesso per esempio non si considera che mentre il Romanticismo veleggiava per l’Europa, l’Arte, nonostante i boicottaggi e i freni imposti dall’accademismo, non era più in completa balia del mecenatismo e così l’artista era pienamente libero di riscoprirsi parte della natura. Inoltre molte delle idee dell’estetica romantica camminarono come un fiume carsico percorrendo l’Ottocento e il Novecento ogni tanto affiorando in forme diverse.</div><div style="text-align: justify;">Osserviamo ora i dipinti che ritengo più iconici degli autori citati ponendoli come sempre in ordine crescente di data.</div><div style="text-align: justify;">Anche se un occhio è poco esperto, provi a vedere dove si compie con maggiore pienezza la <i>rivoluzione</i> romantica e in che cosa si preluda all’<i>Impressionismo</i> facendo riferimento ai dipinti esposti nel mio primo racconto sull’<i>Impressionismo</i>.</div><div style="text-align: justify;">Figg. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6RZIVIWDBuV0C_fkDQRQQjbNh8OHQlHxmKTsoTwzWBbtldSw8XxEl1u8hd9MoZpWYuPy_lGFuaVPq5NeWdrDBQrUS4mALUPgnq8MnFpEBuhfZNKNLFlb4R49mwbWFZTx8hxhwnW1B4MBtw0zM9oIri-ZlK9rFLPTuC88YLdDrz1T3Q3jZJtq4RWAvn6c/s904/fig.%206%20-Fussli-incubo-analisi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="733" data-original-width="904" height="518" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6RZIVIWDBuV0C_fkDQRQQjbNh8OHQlHxmKTsoTwzWBbtldSw8XxEl1u8hd9MoZpWYuPy_lGFuaVPq5NeWdrDBQrUS4mALUPgnq8MnFpEBuhfZNKNLFlb4R49mwbWFZTx8hxhwnW1B4MBtw0zM9oIri-ZlK9rFLPTuC88YLdDrz1T3Q3jZJtq4RWAvn6c/w640-h518/fig.%206%20-Fussli-incubo-analisi.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglhsiS_Yby-yfIdlr45iSDJPng_kaH7r2_aBYFGE3P2YzBtW_URbp7NR09QiAFDJ_-pzdzeh5uPW2PbtjaorRn0clmhpCGF2J3_5mPIaOSFWiXfA35blz-S4EwqZQDhkamxB-fDIZ216GohYaNOhdn0etxeFba2o1_uc-py54cKe7SPyDX7to8UeDEtLk/s1536/fig%207%20-%20Oberon,_Titania_and_Puck_with_Fairies_Dancing._William_Blake._c.1786.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1071" data-original-width="1536" height="446" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglhsiS_Yby-yfIdlr45iSDJPng_kaH7r2_aBYFGE3P2YzBtW_URbp7NR09QiAFDJ_-pzdzeh5uPW2PbtjaorRn0clmhpCGF2J3_5mPIaOSFWiXfA35blz-S4EwqZQDhkamxB-fDIZ216GohYaNOhdn0etxeFba2o1_uc-py54cKe7SPyDX7to8UeDEtLk/w640-h446/fig%207%20-%20Oberon,_Titania_and_Puck_with_Fairies_Dancing._William_Blake._c.1786.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid69L5zhcm_0Ne67dzjEnm1H4Q3pVFy4qc9jCsqgqgO20vg9pNDrORmYAhl62pZC1549yF9X7XgHrMf8HZ2dKTTD-gz-D5JQ5v-MpR2qWOYxQ7oovF2HtUXywqsBTJCEmM4TIpmtW-3JTxsKZP9_BYRwb-rkzkMq7p1IacgJP5Oalvq0TX9M8ffrOQHjc/s1280/fig%208%20-%20caspar_David_Friedrich_-_Abtei_im_Eichwald_-_Google_Art_Project.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="820" data-original-width="1280" height="410" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid69L5zhcm_0Ne67dzjEnm1H4Q3pVFy4qc9jCsqgqgO20vg9pNDrORmYAhl62pZC1549yF9X7XgHrMf8HZ2dKTTD-gz-D5JQ5v-MpR2qWOYxQ7oovF2HtUXywqsBTJCEmM4TIpmtW-3JTxsKZP9_BYRwb-rkzkMq7p1IacgJP5Oalvq0TX9M8ffrOQHjc/w640-h410/fig%208%20-%20caspar_David_Friedrich_-_Abtei_im_Eichwald_-_Google_Art_Project.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixVNPUC3lN_U9ubbay4Y18NDOANvZWB3rSoGiY9x5vBfUZSq90RR7xs4gJ_tw-911UEK-lFYuqpn26ZjbYT3fOU8Q3N8eEL87Ua_ogUm41B_4nkdji4z90e-mMcCe9QU1geoMx3at3bcsZVn9kdcAMPf2Jf6k5uBQGdyCXl-PG0xCYMC6wkEVUVsITW5A/s5872/fig.%209%20-%20JEAN_LOUIS_TH%C3%89ODORE_G%C3%89RICAULT_-_La_Balsa_de_la_Medusa_(Museo_del_Louvre,_1818-19).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4008" data-original-width="5872" height="436" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixVNPUC3lN_U9ubbay4Y18NDOANvZWB3rSoGiY9x5vBfUZSq90RR7xs4gJ_tw-911UEK-lFYuqpn26ZjbYT3fOU8Q3N8eEL87Ua_ogUm41B_4nkdji4z90e-mMcCe9QU1geoMx3at3bcsZVn9kdcAMPf2Jf6k5uBQGdyCXl-PG0xCYMC6wkEVUVsITW5A/w640-h436/fig.%209%20-%20JEAN_LOUIS_TH%C3%89ODORE_G%C3%89RICAULT_-_La_Balsa_de_la_Medusa_(Museo_del_Louvre,_1818-19).jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVzf_xYXi7scbVm_3BET5SEHF5T6OQm0ZF1UYagnaiak11IEvItBLVwtR1Hwoaz50J989jFRZWgOLaUOjdGeVUO-g0wtIms9odzifv6G_xCdii6xOoY039alwC7Dj6qOtBunPYvHsYabeiwAgICWrSt56VjS1deG95l-Zt5ZnNU14jMDZeNyU8DoAkPYw/s2547/fig%2010%20-%20John_Constable_The_Hay_Wain.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1756" data-original-width="2547" height="442" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVzf_xYXi7scbVm_3BET5SEHF5T6OQm0ZF1UYagnaiak11IEvItBLVwtR1Hwoaz50J989jFRZWgOLaUOjdGeVUO-g0wtIms9odzifv6G_xCdii6xOoY039alwC7Dj6qOtBunPYvHsYabeiwAgICWrSt56VjS1deG95l-Zt5ZnNU14jMDZeNyU8DoAkPYw/w640-h442/fig%2010%20-%20John_Constable_The_Hay_Wain.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy9v6JYVtRwMhig0DDdj2WNuwt4z5f-rHcHvCZlkcW4-7ys-6UaExKhNyy5iY0tnznOw4OfA0bzFN2EbW-g8vLHym2zEMNMTHOooZ7Ap97j_Qaxm0d63SHRiiBZNtY2_RVs10ZIgXzA26u_HGW-sp_1q97Vb4xrLLAyl7OcYBovlnaffZOHj-4JGZBzcY/s1024/fig%2011%20-%20Saturno-che-divora-i-suoi-figli-goya-analisi.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="583" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy9v6JYVtRwMhig0DDdj2WNuwt4z5f-rHcHvCZlkcW4-7ys-6UaExKhNyy5iY0tnznOw4OfA0bzFN2EbW-g8vLHym2zEMNMTHOooZ7Ap97j_Qaxm0d63SHRiiBZNtY2_RVs10ZIgXzA26u_HGW-sp_1q97Vb4xrLLAyl7OcYBovlnaffZOHj-4JGZBzcY/w364-h640/fig%2011%20-%20Saturno-che-divora-i-suoi-figli-goya-analisi.png" width="364" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEho617-hXdh0-14rVDMhwqEvDH4CXaI4MzAw8HYgF8mkItPH4-pt0RMHUD9uqFvn9ov1bK5rJKp9yhybIsXhCyJTM2TWqbBRnCu93XtKVzMsPij0_xHjVX0XEhfgkSBDHjOw6aUxgEr778UXLm6D3ESGh8o8CipqT6CK-i4cYSKIowyycG_X1r6YCxBnek/s3133/Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_La_libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2480" data-original-width="3133" height="506" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEho617-hXdh0-14rVDMhwqEvDH4CXaI4MzAw8HYgF8mkItPH4-pt0RMHUD9uqFvn9ov1bK5rJKp9yhybIsXhCyJTM2TWqbBRnCu93XtKVzMsPij0_xHjVX0XEhfgkSBDHjOw6aUxgEr778UXLm6D3ESGh8o8CipqT6CK-i4cYSKIowyycG_X1r6YCxBnek/w640-h506/Eug%C3%A8ne_Delacroix_-_La_libert%C3%A9_guidant_le_peuple.jpg" width="640" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></span><div style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1Vflq8xLCF50_NCh_i1gVEdTq102UV0uIArL8m2rLnr_9KiJ-Y4M4HNIbLNU5nNoP46VcH1Yz5V73W34HQXBOk-Xs4nb8-dKBQm3vNOdD_dhkp48_auEO33JcqerdR1XOFqE7e_cCQhT1PeF--0zrN0WLViNpGxF9PFe5ZmIgBSQxrKWALcT8UuWs2_o/s3176/fig.%2014%20-%20Francesco_Hayez%20-%20bagno%20di%20ninfe.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2419" data-original-width="3176" height="488" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1Vflq8xLCF50_NCh_i1gVEdTq102UV0uIArL8m2rLnr_9KiJ-Y4M4HNIbLNU5nNoP46VcH1Yz5V73W34HQXBOk-Xs4nb8-dKBQm3vNOdD_dhkp48_auEO33JcqerdR1XOFqE7e_cCQhT1PeF--0zrN0WLViNpGxF9PFe5ZmIgBSQxrKWALcT8UuWs2_o/w640-h488/fig.%2014%20-%20Francesco_Hayez%20-%20bagno%20di%20ninfe.jpg" width="640" /></a></div><div style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><br /></div><div style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg749V6m5lFvVH8BQNodle7c_7b1OebgIAAD1wLqyX59JEtHDL652sc7bwFx-hG4IqGsz8A87-HuixabnhhH9kXIojj_yshXZ3EKBXtPltaZF16MdWEJ_W2jA73Z4VYhKEG-nqkDeZyE2ZAfl3vQb0RU75psP0ToM3amwqqLvSj21VjGUoPn8cwk0FRaQU/s5661/15%20-%20Turner_-_Rain,_Steam_and_Speed_-_National_Gallery_file.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="4226" data-original-width="5661" height="478" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg749V6m5lFvVH8BQNodle7c_7b1OebgIAAD1wLqyX59JEtHDL652sc7bwFx-hG4IqGsz8A87-HuixabnhhH9kXIojj_yshXZ3EKBXtPltaZF16MdWEJ_W2jA73Z4VYhKEG-nqkDeZyE2ZAfl3vQb0RU75psP0ToM3amwqqLvSj21VjGUoPn8cwk0FRaQU/w640-h478/15%20-%20Turner_-_Rain,_Steam_and_Speed_-_National_Gallery_file.jpg" width="640" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">6 Fussli “<i>Incubo</i>” 1781</div><div style="text-align: justify;">7 William Blake “<i>Oberon,Titania and Puck with Fairies Dancing</i> 1786</div><div style="text-align: justify;">8 Caspar David Friedrich <i>Abtei im Eichwald</i> 1808-10</div><div style="text-align: justify;">9 Theodore Gericault <i>La zattera della Medusa</i> 1818-19</div><div style="text-align: justify;">10 John Constable <i>The Hay Wain</i> 1821</div><div style="text-align: justify;">11 Francisco Goya <i>Saturno che divora i suoi figli</i> 1823</div><div style="text-align: justify;">12 Eugene Delacroix <i>La libertà guida il popolo</i> 1830</div><div style="text-align: justify;">13 Francesco Hayez <i>Danza delle Ninfe</i> 1831 </div><div style="text-align: justify;">14 Turner <i>Rain Steam and Speed</i> 1844</div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
</div>
</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7341733083144808101.post-28152206480733223142023-07-23T01:02:00.009-07:002023-08-02T00:39:38.119-07:00Il Manierismo: 1 Fra “Classicismo precoce” e "anticlassicismo precoce". Di Massimo Capuozzo<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><b>Il Manierismo: 1 fra “Classicismo precoce” e anticlassicismo precoce</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Tra Quattrocento e Cinquecento, in buona parte dell’Italia centrale si era affermata una forma di classicismo non legata ai modelli antichi. Un classicismo che Roberto Longhi definì <i>precoce</i> le cui caratteristiche peculiari erano la preferenza per figure dagli atteggiamenti sereni, per composizioni equilibrate e proporzionate, per tonalità armoniose, per un ritmo regolare e cadenzato dei personaggi e per un’atmosfera di melanconica rassegnazione.</div></span><div style="mso-element: footnote-list;"><div id="ftn2" style="mso-element: footnote;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Il massimo interprete di questa tendenza era <i>Pietro Perugino</i>, classe 1450, ma ancora il primo Raffaello, almeno fino a quasi tutto il suo soggiorno fiorentino. <br />Il Perugino ebbe il merito di diffondere questo stile in tutta la penisola attraverso l’infaticabile attività della sua operosa bottega.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Come spesso accade, accanto a un classicismo precoce si formò anche un anticlassicismo precoce.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Rispetto a questa forma espressiva che appare così dominante nel <i>sistema delle corti</i> della fine del Quattrocento e dell’inizio del Cinquecento, alcuni artisti operanti su tutta la penisola avviarono un percorso di confronto che sfociò spesso in una reazione di aperta contrapposizione. Caratteristica comune di questi artisti era l’intento sperimentale, spesso determinato da urgenze espressive desunte da modelli tedeschi, altre volte da una visione religiosa più austera, ma che faceva più facilmente breccia sul popolo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La linea anticlassicista aveva già in sé i germi della <i>crisi</i> del classicismo rinascimentale. Questa spinta contrapposta e, per certi aspetti imprevedibile, è già riconoscibile nei tre più grandi interpreti della stagione fiorentina degli inizi del Cinquecento: Leonardo, Michelangelo e Raffaello. In loro sono già insiti i germi della crisi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I cartoni di Michelangelo e di Leonardo per <i>Palazzo Vecchio</i> a Firenze sono veri e propri esempi di come il naturalismo rinascimentale possa toccare vertici sconosciuti in materia di espressione umana e di forza anatomica, ma sono anche il <i>luogo</i> in cui si assiste al primo e più coerente tentativo di erosione dall’interno dei rinati <i>modelli</i> classici.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqNan220ZnCVYKacKNWRU31gJxF2MZ3eavUMNJrK3EMd6SqUCT9rNWrFlBzjoQoI9CtycWkW7eGnpSoeMrAl3e50s3IkN0lqwpNzy-9tfeg9iQG76e8jePtveNscXHvaEu89tSSU8U71tsmkF6XYAS0yj-gqBNycxTe6miYf1eCyMrUHL0CR-E9VgGekw/s1179/fig.%201%20-%20Peter_Paul_Ruben's_copy_of_the_lost_Battle_of_Anghiari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="857" data-original-width="1179" height="466" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqNan220ZnCVYKacKNWRU31gJxF2MZ3eavUMNJrK3EMd6SqUCT9rNWrFlBzjoQoI9CtycWkW7eGnpSoeMrAl3e50s3IkN0lqwpNzy-9tfeg9iQG76e8jePtveNscXHvaEu89tSSU8U71tsmkF6XYAS0yj-gqBNycxTe6miYf1eCyMrUHL0CR-E9VgGekw/w640-h466/fig.%201%20-%20Peter_Paul_Ruben's_copy_of_the_lost_Battle_of_Anghiari.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJXJxOusK0sZFRiF9JNyD0K4pXuWO0eoc7W0ftgpH52Hza9SB0kDh_U3lC9-4MGuVH43JDZ1_VAf3OeKBdMVDCtvJWGOZeBd5RCRWhtPsHy_AL4HakaALF2biwXP8F_7DBbwXFLo_s7OZ75OlzP4qrZHhcXuCaqJDtu3hOwFNxNncGyGuHpG_VERnnyUY/s1689/fig%202%20-%20La_batalla_de_Cascina_-_Sangallo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1689" height="378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJXJxOusK0sZFRiF9JNyD0K4pXuWO0eoc7W0ftgpH52Hza9SB0kDh_U3lC9-4MGuVH43JDZ1_VAf3OeKBdMVDCtvJWGOZeBd5RCRWhtPsHy_AL4HakaALF2biwXP8F_7DBbwXFLo_s7OZ75OlzP4qrZHhcXuCaqJDtu3hOwFNxNncGyGuHpG_VERnnyUY/w640-h378/fig%202%20-%20La_batalla_de_Cascina_-_Sangallo.jpg" width="640" /></a></div></span><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">nessuna delle due è opera dei due maestri infatti sono copie la prima di Rubens la seconda di Antonio da Sangallo</span></div>Leonardo e Michelangelo, dopo aver fornito esempi altissimi del più puro stile rinascimentale – come nel <i>Cartone di Sant’Anna</i> alla <i>National Gallery</i> di Londra o nel <i>David</i> alle <i>Gallerie dell’Accademia</i> a Firenze – si trovarono tra il 1505 e il 1506 a lavorare fianco a fianco nella <i>Sala del Maggior Consiglio</i> di <i>Palazzo Vecchio</i> a Firenze. I loro <i>cartoni</i> per Palazzo Vecchio sono esempi perfetti di come il naturalismo rinascimentale possa toccare vertici sconosciuti in materia di espressione umana e di forza anatomica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB6bIakhuY-jZZ8R4omecv6u6Jgo-3T3qDY_lUfEusxqrxRNYsh7ElbCaT2ZBa_UWtPbSZmPk5Z-UIFUQQrZWz2WIdRHVNuQLe0WKBg3SBNBWpxJNeSjr731RsKqUVLSpq2G_m6qXBcc9NJLerUQHeQLRvZMNGfthOOeQdEyUc0SCQZvEnb7sG5AWPMkw/s2688/fig.%203%20-%20Leonardo_-_St._Anne_cartoon.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2688" data-original-width="2000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB6bIakhuY-jZZ8R4omecv6u6Jgo-3T3qDY_lUfEusxqrxRNYsh7ElbCaT2ZBa_UWtPbSZmPk5Z-UIFUQQrZWz2WIdRHVNuQLe0WKBg3SBNBWpxJNeSjr731RsKqUVLSpq2G_m6qXBcc9NJLerUQHeQLRvZMNGfthOOeQdEyUc0SCQZvEnb7sG5AWPMkw/w476-h640/fig.%203%20-%20Leonardo_-_St._Anne_cartoon.jpg" width="476" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggefPAumjhUJZJOX1HOeYZpqmJpvXVsb9lnP7pFjZSQV8sqcP69LMUTR0EKdqkDOn5OVJrSv-Tk7vGC2FaQl2eI5r2rshX71g1OBUOkJxfhOopNAAqInsIuiWb7LmQq9ocWM6y2vy_rio1xcLXOr0GHnwzVwnjGhjSY5oJoaTMscvtEO9whE3CQIzsyPo/s9099/fig.%204%20-%20Michelangelo's_David_-_right_view_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="9099" data-original-width="6210" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggefPAumjhUJZJOX1HOeYZpqmJpvXVsb9lnP7pFjZSQV8sqcP69LMUTR0EKdqkDOn5OVJrSv-Tk7vGC2FaQl2eI5r2rshX71g1OBUOkJxfhOopNAAqInsIuiWb7LmQq9ocWM6y2vy_rio1xcLXOr0GHnwzVwnjGhjSY5oJoaTMscvtEO9whE3CQIzsyPo/w437-h640/fig.%204%20-%20Michelangelo's_David_-_right_view_2.jpg" width="437" /></a></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Fu Michelangelo, tuttavia, come è stato unanimemente rilevato e condiviso dagli studi</span><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/IL%20MANIERISMO/Il%20manierismo.docx#_ftn1" style="font-family: verdana; font-size: x-large;">[1]</a><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">, a svolgere il ruolo fondamentale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I cosiddetti <i>manieristi</i> si ispirarono non soltanto alle sue opere tarde, come potrebbe apparire più evidente, ma anche a quelle della prima maturità e anche le sue sculture servirono da modello: dal <i>David</i> alle tarde <i>Pietà</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">L’ispirazione grandiosa e ad un tempo profondamente drammatica di Michelangelo diede l’esempio di profonda spiritualità cristiana in contrapposizione ai concetti paganeggianti di <i>naturalismo</i> e di <i>armonia</i> del primo Rinascimento di botticelliana memoria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Con lo stesso proponimento i giovani artisti si ispirarono a Leonardo. Le sue più celebri opere diedero loro altrettante suggestioni, non soltanto per la bellezza delle invenzioni, ma anche per l’inquietudine che le pervade, per il loro poetico chiaroscuro e forse anche per la perfezione dei dettagli.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Favorito dall’osservazione empirica della realtà, Leonardo mise a punto una perfetta prospettiva aerea – lo sfumato – che completasse la prospettiva lineare. Questa fu una svolta rivoluzionaria. Leonardo superava attraverso la prospettiva aerea la prospettiva lineare che offriva solamente una progressiva riduzione delle dimensioni degli oggetti rispetto al punto di vista con la convergenza delle linee, verso un punto – quello di fuga – collocato all’orizzonte.</span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggrq9n92_Ht6yktGtbzj6RjTJJi5-hDqe_5YJAVIYQNlzTa1HiMI3euH9niMhX2Bd5xDZU1JeAhyANAzyCaiS3AIWe8wK-G9TmsIFIxHp0_wlVVNQWo6moJjOUZCeFX49QvVg25vUisSHscqHngUyrvLHCd5PdODCoU1FmlzsvqIj1GPEObuTRZcJlzdY/s5889/fig.%205%20-%20L%C3%A9onard_de_Vinci,_sainte_Anne,_Louvre.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="5889" data-original-width="3926" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggrq9n92_Ht6yktGtbzj6RjTJJi5-hDqe_5YJAVIYQNlzTa1HiMI3euH9niMhX2Bd5xDZU1JeAhyANAzyCaiS3AIWe8wK-G9TmsIFIxHp0_wlVVNQWo6moJjOUZCeFX49QvVg25vUisSHscqHngUyrvLHCd5PdODCoU1FmlzsvqIj1GPEObuTRZcJlzdY/w426-h640/fig.%205%20-%20L%C3%A9onard_de_Vinci,_sainte_Anne,_Louvre.jpg" width="426" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">La correzione della prospettiva aerea fu di portata rivoluzionaria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">I giovani artisti della <i>maniera</i> si rivolsero con uguale intensità anche a Raffaello: con particolare riferimento alle <i>Stanze vaticane</i>, con il loro clima eroico, con la ricerca di composizione e di movimento, che colpirono quei giovani artisti, e non solo coloro che lavoravano presso la sua bottega. Dopo la morte di Raffaello, i suoi collaboratori, diretti da Giulio Romano, abbandonarono definitivamente lo stantio <i>equilibrio</i> rinascimentale non contro, ma secondo le intenzioni stesse del loro maestro, come dimostrano i suoi disegni originali e le sue ultime opere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;">Massimo Capuozzo</span></div><div style="text-align: justify;">____________________________________________________________________________________</div> <span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><a href="file:///D:/Users/acer/Desktop/IL%20MANIERISMO/Il%20manierismo.docx#_ftnref1">[1]</a> Paola Barocchi, <i>Michelangelo e il Manierismo</i>, in <i>Arte antica e Arte moderna</i>, Firenze Sansoni 1964.</div></span>
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</div>Don Milani: quaderni di letterehttp://www.blogger.com/profile/02227287887081509756noreply@blogger.com0