sabato 23 novembre 2013

La Cappella Minutolo del Duomo di Napoli di Massimo Capuozzo

La cappella Minutolo è stata resa famosa da Boccaccio che a Napoli lungamente e piacevolmente aveva soggiornato e che ambientò nel sepolcro di Filippo Minutolo una parte della novella di Andreuccio da Perugia (Decameron II, 5) in cui il giovane s’infila nel sarcofago del cardinale Filippo e ruba l’anello al defunto prelato.
La cappella, uno dei migliori esempi di architettura e di decorazione gotica, si apre sul fondo del transetto destro all’angolo del Duomo. Originariamente essa era situata nella Basilica Stefania, completamente demolita perché coincideva con lo sviluppo architettonico del transetto del nuovo edificio gotico, conserva tuttora la struttura gotica originaria: fu ricostruita come cappella gentilizia dei Capece Minutolo per volontà arcivescovo Filippo Minutolo quando questi, nel 1294 per volontà di Carlo II, aveva ripreso i lavori di costruzione della cattedrale sospesi alla morte di Carlo I d’Angiò.

La cappella presenta un bel pavimento a mosaico  e tarsie marmoree con al centro lo stemma di famiglia e risalente alla fine del XIII secolo.
Sulle pareti ci sono affreschi di epoche diverse. Accanto all’ingresso, sulla sinistra, sono raffigurati S. Antonio da Padova e Santa Caterina da Siena; segue nella cunetta Santa Maria Maddalena ricoperta dalla sua fluente chioma e poi le Storie dei Santi Pietro e Paolo e di altri santi e la bellissima Crocifissione, eseguiti tra il 1285 e il 1290 da Montano d'Arezzo.
Nel 1402 vi fu aggiunta una tribuna.
Sull'altare della cappella vi è il sepolcro del cardinale Arrigo Minutolo  c’è la tomba del cardinale Arrigo Minutolo († 1412), realizzata da marmorari romani. La cuspide, adorna di statuette e piramidi, presenta al centro lo stemma della famiglia ed è sostenuta da quattro colonne intagliate a bassorilievi poggianti sui dorsi di quattro leoni. 
La cassa sepolcrale, sostenuta da tre piccole colonne a spirale e da due statue raffiguranti la Mansuetudine e la Carità, è adornata da una Natività affiancata da un lato da Santa Anastasia e da San Girolamo che pone la mano sul capo dell’inginocchiato Arrigo raffigurato da bambino, e dall’altro S. Pietro e da S. Gennaro. Sotto l’urna sepolcrale è posto lo scalino dell’altare adornato con bassorilievi che rappresentano la Madonna del Principio attorniata dai dodici Apostoli. La statua giacente del Cardinale copre il sarcofago ed è circondata da quattro Angeli, due dei quali reggono il padiglione dove è raffigurato in rilievo il Crocifisso con la Vergine e San Giovanni
La tavola dell’altare è sostenuta da due piccole colonne e da lastra di marmo bianco adornata a destra e a sinistra dai due Sacerdoti dell’Antico testamento, Aronne e Zaccaria, con turiboli in mano. Una teca contenente Reliquie è posta fra le due figure. Ai piedi dell'altare vi è una lapide posta da Fabrizio Capece Minutolo che ricorda il diritto di patronato della famiglia sulla Cappella.
Sulla destra dell’altare c’è la tomba del cardinale Filippo Minutolo († nel 1301), opera di un seguace di Arnolfo di Cambio e caratterizzata da figure, prese in prestito dall'arte bizantina. La cassa è retta da piccole colonne tortili e riporta un’iscrizione che ricorda l'impegno della famiglia Capece Minutolo nel mantenere viva la cura della Cappella.
A sinistra dell’altare c’è la tomba dell’arcivescovo di Salerno, già canonico della Cattedrale di Napoli, Orso Minutolo, morto nel 1327.
Nel muro destro c'è una nicchia con l'immagine di San Nicola di Mira.
Di fronte, a sinistra, è di grande interesse una pregevole icona di legno dorato con la Crocifissione e quattro Santi del senese Paolo di Giovanni Fei: questa era un altarino portatile del Cardinale Arrigo Minutolo, davanti alla quale dovunque egli celebrava la messa. Più avanti una porta laterale antistante all’altare permette l’accesso alla sagrestia, decorata con ovali raffiguranti Vescovi e Cardinali della famiglia.
Massimo Capuozzo

giovedì 21 novembre 2013

La cappella del Succorpo Il duomo di Napoli: la cappella del Succorpo. Di Massimo Capuozzo

La cappella del Succorpo, detta anche confessione di San Gennaro o cappella Carafa, corrisponde alla cripta della cattedrale.
La cappella, limpido esempio di architettura rinascimentale e luogo di singolare ed intensa suggestione, fu eretta tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento per volontà del cardinale Oliviero Carafa (1430 - 1511), che riportò in città le reliquie di san Gennaro, sottratte furtivamente, nell’831, da Sicone I, principe di Benevento, dal luogo di sepoltura di Napoli – cimitero catacombale di San Gennaro. Le spoglie mortali del santo furono custodite a Benevento fino al 1154, ma il re normanno Guglielmo I, non ritenendo più la città un luogo sicuro e temendo che potessero essere di nuovo trafugate, dispose che fossero segretamente trasferite presso l’Abbazia di Montevergine, dove furono  tenute nascoste per secoli dai monaci Benedettini e dove rimasero fino al momento dell’ultima traslazione.
La Cappella del Succorpo è unanimemente considerata, fin dall'epoca della sua costruzione, «la principessa de tucte le cappelle» pertanto, fino ad oggi ha goduto pressoché ininterrottamente di una singolare fortuna nella storiografia artistica europea – come ha sottolineato di recente Francesco Abbate in La scultura napoletana del Cinquecento del 1992 – che ne ha ripercorso le varie tappe.
Conclusasi l'avventura francese di Carlo VIII in Italia e succeduto sul trono di Napoli Federico III d’Aragona dopo la prematura morte di suo nipote Ferrante II, noto come Ferrandino, il 13 gennaio 1497 l'arcivescovo Alessandro Carafa compì la solenne traslazione nel duomo di Napoli delle reliquie di San Gennaro dall'abbazia di Montevergine e della quale era abate commendatario suo fratello il Cardinale Oliviero Carafa, che aveva chiesto ed ottenuto da Alessandro VI Borgia il permesso di poterle trasportare a Napoli.
Per la conservazione delle reliquie, il cardinale Carafa fece costruire una cappella, nota come il succorpo di San Gennaro, che, iniziata nell'ottobre del 1497 quasi sicuramente su progetto del giovane Donato Bramante che, come emerge da uno studio di Roberto Pane – Guillermo Sagrera, architetto del 1962 – venne in città su invito di Oliviero Carafa, e che il progetto fu tradotto in opera e terminato nel 1506 dallo scultore lombardo Tommaso Malvito (seconda metà del XV secolo – 1524) che ne diresse la realizzazione con suo figlio Giovan Tommaso.
I lavori per ricavare la cappella nell’area sottostante il presbiterio furono iniziati con notevoli difficoltà di carattere tecnico e statico nel 1497. Nel 1501 furono alzate le colonne e nel 1506 fu consacrata diventando anche il definitivo luogo di sepoltura del cardinale Carafa. Nel 1891 la cappella fu egregiamente restaurata da un discendente dei Carafa ai quali la cappella gentilizia appartiene.
La cripta, opera pregevolissima che si include nel raffinatissimo filone del Rinascimento napoletano – particolare declinazione dell’arte rinascimentale – costituisce uno dei più notevoli monumenti rinascimentali di Napoli: si tratta, infatti, dal punto di vista decorativo e scultoreo, dell'insieme più significativo del Rinascimento napoletano sia per la qualità e per l'omogeneità della realizzazione sia per il suo eccellente stato di conservazione. Le scale d’accesso erano decorate con rilievi mitologici ed allegorici tolti nel 1741-44. All’ingresso ci sono  le porte bronzee cinquecentesche eseguite su disegno di Malvito e decorate dagli stemmi dei Carafa.
L’interno si presenta come un ambiente rettangolare (12 x 9 m), interamente rivestito di marmi scolpiti e diviso in tre navate da dieci colonne. Notevole e di grandissimo molto pregevole è il pavimento cosmatesco, con l’utilizzazione di tessere e tasselli colorati.
La decorazione si compone di lesene con grottesche ed elementi allegorici che adornano i dieci piccoli altari laterali: cinque absidiole per lato, con altrettanti altari, con diverse decorazioni di puro sapore rinascimentale.
In fondo alla Cappella si apre un’abside quadrata, coperta a cupola e ornata da ritratti in due medaglioni.
Nell'abside, fra due altari, sotto l’altare centrale c’è l’urna bronzea del 1511 che racchiude l’olla fittile medievale – vaso panciuto corto e dal collo largo e di ceramica non smaltata – in cui sono conservati i resti mortali di san Gennaro.
Ai lati, l’intradosso delle finestre è ornato da angeli con lo stemma dei Carafa. Si ricorda ancora una figura di Madonna con Bambino e gli Evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Nella navata centrale campeggia a fronte dell'altare la notevolissima scultura del committente Oliviero Carafa inginocchiato in preghiera, su di uno sgabello di qualità nettamente inferiore rispetto alla stessa figura del presule genuflesso, un tempo attribuita a Giovan Tommaso Malvito o addirittura a Michelangelo, ma che oggi si propende ad attribuire ad uno scultore romano non precisamente identificabile. In ogni caso, la nitida geometria rinascimentale che ospita la statua del committente in preghiera, trasforma l'ambiente in un luogo dove spirito, pietra e carne si compongono e si incontrano, in una dimensione inedita e teatrale.
Volgendo lo sguardo al soffitto di Tommaso Malvito, esso è frazionato in diciotto cassettoni, ornati da figure di santi e da quattro teste di cherubini: il soffitto è praticamente un cielo composto di diciotto formelle di cui dieci hanno il nome del Santo in una tabella e otto son riconoscibili dai simboli iconografici. Come pietre angolari ai quattro angoli del soffitto campeggiano le figure dei quattro principali dottori della Chiesa occidentale San Gregorio Magno, Sant’Agostino da Ippona, Sant’Ambrogio e San Girolamo, tutti e quattro a stringere verso il centro del cassettonato i primi sette patroni della città di Napoli ritratti in busti e divisi per gruppi ed ovvero San Gennaro, Sant’Agrippino, Sant’Aspreno, Sant’Atanasio, San Severo e Sant’Eufebio con Sant’Agnello. I bassorilievi del soffitto includono inoltre episodi di David e Giuditta.
Nell'esecuzione dei marmi Tommaso Malvito ebbe come aiuti il figlio Giovan Tommaso, Nunziato d'Amato ed altri della sua vasta bottega.
Tommaso Malvito è stato un grande maestro che ha saputo respirare la cosiddetta atmosfera dell’arco: dopo un probabile tirocinio nella sua terra d'origine, confermato da alcuni stilemi rilevabili nelle opere documentate, la storiografia è sostanzialmente concorde nel ritenerlo attivo a Napoli all'inizio degli anni Settanta del Quattrocento, coinvolto in alcuni importanti cantieri scultorei presso i quali erano operanti maestranze lombarde, come l'altare Miroballo a S. Giovanni a Carbonara e la Tomba di Diomede Carafa a S. Domenico Maggiore. Dopo un periodo marsigliese al seguito di Francesco Laurana, giunse la definitiva consacrazione di Malvito nell'ambito della produzione scultorea partenopea con la direzione del cantiere del succorpo del duomo, celebrato dai contemporanei come la reina di tucte le cappelle. Se è dubbia la paternità del progetto architettonico, non sussistono dubbi nel riferirgli la regia della vasta decorazione marmorea che si sviluppa lungo le pareti e il soffitto. Tale impresa ha contribuito a definire Malvito come artista che eccelse soprattutto nell'ambito della decorazione a grottesche. Le pareti sono infatti articolate da paraste ornate con candelabre di estrema delicatezza e fantasia nell'intaglio, alcune delle quali messe in relazione ad analoghi esempi realizzati da Andrea Bregno a Roma. La rappresentazione della figura umana è invece relegata al soffitto, che presenta riquadri con la Madonna col Bambino e busti di santi, di più debole esecuzione, ma segnando comunque un momento elevatissimo della stagione rinascimentale italiana.
Un ruolo fondamentale riguarda il committente, Oliviero Carafa tipica figura di uomo del rinascimento: Cardinale e uomo d'armi, capo della flotta cristiana contro i Turchi, prese Smirne. Ebbe larga parte in un disegno di riforma della Chiesa, preparato per ordine di Alessandro VI nel 1497, e, come protettore dell'ordine domenicano, sostenne Savonarola, finché questi non si ribellò al pontefice. Promosse le arti a Roma fece costruire la cappella Carafa in S. Maria sopra Minerva affrescata da Filippino Lippi, fece restaurare S. Lorenzo fuori le mura, S. Maria in Aracoeli, a Napoli fece costruire il succorpo del duomo e protesse letterati e filosofi.

Massimo Capuozzo