lunedì 18 marzo 2024

Amore e Psiche di Antonio Canova. Lettura di Massimo Capuozzo

“Per diventare veramente un grande artista, bisogna fare di più che prendere semplicemente in prestito qua e là da pezzi antichi [...] È meglio studiare gli esempi greci giorno e notte, assorbire il loro stile, imprimerlo nella propria mente; poi, sviluppa la tua strada, ma senza mai perdere di vista la magnifica natura, ricercando in essa questi stessi principi” (Antonio Canova).

Psiche ravvivata dal bacio d'Amore è un gruppo marmoreo dello scultore Antonio Canova.
L’opera fu commissionata dal colonnello inglese John Campbell e fu realizzata tra il 1784 e il 1793 e oggi conservata al Museo del Louvre, dove è una delle sculture più apprezzate dal pubblico.
La scultura mostra due figure che si abbracciano: un giovane alato e nudo e una fanciulla il cui panneggio è scivolato, rivelando quasi tutto il suo corpo. Il giovane si china verso la ragazza e la solleva per baciarla.
L'opera raffigura il ricongiungimento di Amore e Psiche, basato su un racconto tratto da Le Metamorfosi o L'asino d'oro, romanzo scritto dall'autore latino Apuleio intorno al 150 d.C. Questo famoso racconto è stato oggetto di molte interpretazioni da parte degli artisti fin dal Rinascimento. Raffaello, ad esempio, sulla sua base eseguì un ciclo di affreschi che illustrano questo mito in una loggia al piano terra della villa del banchiere Chigi a Roma, oggi nota come Villa Farnesina di cui ho avuto l’opportunità di raccontare. 
La storia di Psiche presenta una rivalità tra una ragazza greca e Venere, la dea della bellezza e dell'amore. Figlia di un re, Psiche è eccezionalmente bella. Venere, gelosa di lei, costringe i genitori ad abbandonarla legata ad una roccia, offerta al primo venuto. Cupido, dio dell'amore e figlio di Venere, la nota e se ne innamora. La fece trasportare nel suo palazzo e la visitò ogni notte, di nascosto, al buio. Purtroppo Psiche, troppo curiosa (le sorelle, gelose, le avevano fatto credere di essere amata da un mostro), accende una lampada ad olio per illuminare il compagno. Scopre felicemente la sua bellezza ma, allo stesso tempo, lo sveglia versandogli una goccia di olio infuocato sulla spalla. Cupido, la cui identità è poi rivelata, teme l'ira di sua madre che odia Psiche. Deve lasciare immediatamente la ragazza, che è dispiaciuta. Venere, per vendetta, costringe Psiche a compiere diverse prove. L'ultima è quella di riportare un elisir di bellezza dagli inferi. Nonostante il divieto, Psiche lo apre e si addormenta, avvelenata.
Cupido va a cercarla e scopre il sua incoscienza. La abbraccia e la resuscita.
È questo il momento che Antonio Canova sceglie di rappresentare. 
I due amanti partirono quindi per l'Olimpo, dove si sposarono.
Cupido si china teneramente verso Psiche, che si abbandona tra le sue braccia. Tra la vita e la morte, si raddrizza per cingere la testa del giovane dio.
Antonio Canova, era nato in Veneto e risiedeva a Roma.
Fu il più famoso scultore del suo tempo e realizzò opere mitologiche, ritratti e tombe. Scolpì ritratti di Napoleone e della sua famiglia, in particolare quello di sua sorella Paolina nei panni della dea Venere
Lo stile di Canova è in linea con la tendenza neoclassica. Si tratta di un ritorno all'antica arte greco-romana, che unisce lo studio della natura alla ricerca della bellezza idealizzata. Questa estetica è stata onorata dal teorico tedesco Winckelmann, che ha celebrato la nobile semplicità e l'immagine serena delle opere antiche.
Per la sua composizione, lo scultore si ispirò a un dipinto di Ercolano raffigurante un fauno e una baccante.
Canova unisce le due figure in forma piramidale, prolungata a forma di X dalle ali trasparenti di Cupido (scolpite separatamente). 
Le linee rette contrastano con le linee morbide delle braccia, creando un equilibrio tra forza e morbidezza, vita e morte, sensualità e freddezza Immagine principale.
Le braccia alzate di Psiche formano un cerchio che incornicia i due volti, su cui si concentra la nostra attenzione. Se Canova cerca la purezza e la semplicità delle linee, la resa illusionistica dei dettagli (la carne liscia, la roccia ruvida, le trame del vaso, il panneggio) porta un tocco di sensualità, persino di erotismo.

Una maniglia posta sulla base della scultura permetteva di ruotarla e di ammirarla da diverse angolazioni 

In greco, psiche significa l'anima, il respiro, ma anche la farfalla che simboleggia l'anima nella sua immateriale leggerezza.
Canova realizzò anche un altro gruppo marmoreo raffigurante Psiche e Cupido, in piedi, in contemplazione di una farfalla, per lo stesso committente.
Le Metamorfosi di Apuleio danno forma al mito personificando l'animo umano nella forma di una fanciulla bella e innocente. La favola di Psiche ci presenta l'amore come una rivelazione, un traguardo da raggiungere per una migliore conoscenza di sé. Ma questa rivelazione ha conseguenze nefaste: Psiche, nella sua ricerca dell'amore, deve affrontare prove che la portano alla morte. Era la fine della storia che interessava di più pensatori e artisti. Cupido abbraccia Psiche, la riporta in vita, le dona l'immortalità perché, attraverso il loro matrimonio, diventa una dea.
Riferendosi al pensiero di Platone, gli intellettuali del Rinascimento videro in questa leggenda un’allegoria metafisica. Illustrerebbe il tema del vagabondaggio dell'anima che, attraverso prove purificatrici, raggiunge la perfetta bellezza. Questa ricerca dell'elevazione e dell'immortalità si traduce nell'unione dell'anima umana e dell'amore divino, meta dell'esistenza terrena secondo la Platone.
Per esprimere quest’idea di amore puro e innocente, Canova scelse di regalare alle sue figure corpi adolescenziali di una bellezza immateriale.
La grazia e la delicatezza di questa scultura realizzata alla fine del Settecento furono ammirate dai contemporanei e guadagnarono la fama internazionale dello scultore.
Antonio Canova è stato un maestro della scultura neoclassica e uno dei maestri del Neoclassicismo. Ha svolto un ruolo importante nell'allontanamento dai Barocco e dal Rococò, riportando la scultura italiana alle sue radici nell'antichità classica.
Figlio di uno scalpellino, fu assunto giovanissimo come apprendista presso lo scultore Giuseppe Bernardi e nel 1775 aprì una propria bottega a Venezia, ma viaggiò anche a Roma e Napoli e visitò i siti archeologici di Ercolano e Pompei.
Nel 1781 si stabilì definitivamente a Roma e fu protetto dei papi Clemente XIII e Clemente XIV, che gli affidarono la realizzazione delle loro tombe. Successivamente, dopo la conquista della città e dell'Italia da parte dei francesi, e pur essendo contrario al nuovo regime, Canova fu scultore alla corte di Napoleone ed esercitò una notevole influenza sull'arte e sull'architettura francese realizzando numerosi ritratti di Napoleone e della sua famiglia, talvolta prendendo in prestito dalla mitologia classica. Non era favorevole alla semplice copia di sculture antiche, ma piuttosto alla creazione di opere originali ispirate a questo stile (La ballerina, 1818-1822 circa).                                                                       
                                                                         Massimo Capuozzo

lunedì 11 marzo 2024

Rosa Bonheur e “Il mercato dei cavalli”. Lettura di Massimo Capuozzo

Rosa Bonheur fa molteplici riferimenti alle grandi opere della storia dell'Arte, ai fregi del Partenone e ai cavalli di Théodore Géricault.
Aveva trentun anni quando espose gigantesca tela “Il mercato dei cavalli a Parigi”, al Salon del 1853, un dipinto realista a olio su tela di dimensioni monumentali di 250 x 500 cm che la pittrice realizzò dal 1852 al 1855 e che è rimasta l'opera più grande e ambiziosa della pittrice.
Con questa tela la giovane artista si confrontava con l'animale nobile per eccellenza, il cavallo la cui raffigurazione era stata riservata fino a quel momento agli uomini.
Questo dipinto le portò fama internazionale, in un'epoca in cui il lavoro delle pittrici e delle scultrici era largamente ignorato sia dalla critica sia dai collezionisti.
Si pensi che in francese non esiste il femminile di ‘pittore’ e ‘scultore’.
La Bonheur era già una famosa pittrice di animali a Parigi prima che ‘Il Mercato dei cavalli’ fosse dipinto ma, quando quest’opera fece il giro della Gran Bretagna e degli Stati Uniti la Bonheur diventò una celebrità internazionale.
Come ogni capolavoro, anche “Il mercato dei cavalli” ha avuto una storia lunga e affascinate a partire dal momento in cui nacque l’idea fino alla progettazione e poi dalla realizzazione fino alla sua destinazione finale.
Sembra che l’idea sia nata nel 1850 nel corso di un suo viaggio nei Pirenei dove aveva visto un branco di cavalli bradi: quella scena bella e selvaggia la colpì profondamente. Poi nel 1851 incominciò a frequentare il mercato dei cavalli a Parigi che, fino alla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento, si trovava lungo il “Boulevard de l'Hôpital” e si teneva due volte a settimana. La Bonheur frequentò il mercato, per oltre un anno, osservando a lungo i cavalli, i mercanti e gli stallieri che facevano camminare, trottare e galoppare la loro merce sulla pista per mostrare agli acquirenti le loro qualità. Ne realizzò schizzi assorbendone l'atmosfera.
La pittrice impiegò più di tre anni per progettare il suo capolavoro. In corso d’opera documentava il suo soggetto recandosi in abiti maschili con un camice al mercato dei cavalli di Parigi due volte a settimana per diciotto mesi, realizzando schizzi e chiacchierando con commercianti di cavalli e stallieri.
Il fatto che la pittrice godesse di un “permission de travestissement” le permetteva di indossare abiti da uomo che, come disse in seguito, per lei erano una e propria protezione e le evitavano commenti sgradevoli da parte dei mercanti e degli stallieri che così la prendevano per un ragazzino, data anche la sua piccola statura.
La pittrice raccontò più tardi alla sua amica e biografa ‘Anna Klumpke’ che quando si trovava tra i mercanti di cavalli che provavano i loro cavalli, pensava ai calchi del fregio del Partenone e che aveva provato il desiderio di realizzare una cosa del genere, ma non per imitare Fidia, quanto per interpretarlo in chiave moderna.
Fu con questo spirito che la Bonheur realizzò innumerevoli studi e composizioni. Ancora alla Klumpke raccontò che nel 1851 o 1852, quando aveva iniziato i suoi studi per il ‘Mercato dei Cavalli’, la pittrice era stata avvicinata dal Duca de Morny, allora Ministro degli Interni (da questo ministero dipendevano anche le ‘Belle Arti’) in vista di un ordine di Stato. L'artista gli aveva presentato degli schizzi di una “Fienagione” e di un “Mercato di cavalli”, ma il duca aveva optato per l’acquisto del primo soggetto. In seguito al successo ottenuto per “Il Mercato dei cavalli” che aveva suscitato così tanto clamore sulla stampa francese il duca de Morny, si rese conto di quanto avesse sbagliato a mostrarsi scettico di fronte a quel soggetto.
Dando preminenza al disegno, moltiplicò gli studi a matita o carboncino: fece infiniti studi sulla messa in scena, poi studi sui movimenti e sui dettagli. Prestò particolare attenzione allo studio dei personaggi in termini di postura e di gesti. Infine, quando la messa in scena le diventò più chiara, realizzò studi ad olio su tele di medio formato che le permettessero di giudicare quello che lei definiva "l'effetto".
Per fortuna degli gli storici questi studi preparatori sono oggi noti grazie ad una raccolta di fotografie su lastre di vetro che proprio Anna Klumpke scattò provvidenzialmente prima che, nel maggio e giugno del 1900, gli studi della Bonheur fossero venduti e dispersi un anno dopo la sua morte.
Rosa Bonheur espose per la prima volta il ‘Mercato dei cavalli’, allora incompiuto, al ‘Salon’ di Parigi del 1853, durante il quale nonostante l’incompiutezza affascinò moltissimo il pubblico, era grandissimo e fece scalpore al Salon e si fece notare per le sue grandi qualità e come un grande complimento per l’epoca e fu salutato dalla critica come un “quadro virile”.
I critici del ‘Salon’ ne sottolinearono la raffinata esecuzione, le sue grandi qualità compositive e dichiararono che, pur conoscendo già le opere di Rosa Bonheur come quelle della più illustre ‘pittrice di animali’ della moderna scuola francese, il suo talento non si era mai rivelato così completamente e in così grandi proporzioni e affermarono che dai tempi di Géricault mai nessuno si era cimentato nel difficile studio del cavallo con una tale consapevolezza, disegnando e dipingendo cavalli con tale conoscenza della forma e del movimento.
Sembrava che la Bonheur avesse carpito il segreto da Géricault.
Attraverso il ‘Mercato dei cavalli’, che l’artista non ebbe paura di esporre anche se incompleto, si avvicinò in un certo senso alla pittura storica, per le dimensioni e per la concitazione drammatica della scena. Secondo i critici del “Salon” la sua opera apparteneva alla grande scuola e andava esaminata a parte, perché rivelava studi scrupolosi e rare qualità di disegnatrice e di colorista. Dopo la chiusura del “Salon” del 1853, Rosa Bonheur espose quello che sarebbe diventato il suo capolavoro a Gand nel 1854 poi a Bordeaux, sua città natale e quando il dipinto fu completato, fu presentato all'’Esposizione Universale” di Parigi del 1855 dove ottenne un riconoscimento universale.
Con questo colpo magistrale l'artista, dichiarando di essersi trovata improvvisamente e follemente all'apice della sua carriera, si impose sia per le dimensioni della tela, un formato fino ad allora riservato alla pittura di Storia, appannaggio degli uomini, sia per la violenza del soggetto prescelto.
Rosa Bonheur vendette “Il mercato dei cavalli” a ‘Ernest Gambart’, per 40.000 franchi, una cifra enorme per il mercato d’Arte di allora, si pensi che quasi solo con questa vendita la pittrice acquistò un castello con una vasta tenuta presso Fontainebleau
Gambart era un mercante d’Arte e gallerista belga con sede a Londra, grazie al quale la fama di Rosa oltrepassò i confini di Parigi e della Francia.
Per trovare un acquirente, Gambart espose nel 1855 il “Mercato dei cavalli” nella sua Galleria francese, poi nelle principali città del Regno Unito, poi negli Stati Uniti dove, dopo varie compravendite, nel 1887 fu infine acquistato dal ricco uomo di affari americano “Cornelius Vanderbilt II” per 268.000 franchi, oltre sei volte di più di quanto era stato comprato da Gambart, che lo donò al “Metropolitan Museum” di New York dove oggi è esposto.
Quest’opera fu riprodotta su numerosi supporti tra cui perfino la carta da parati, segnando la definitiva conferma della notorietà americana di Rosa Bonheur.
Questa grande tela, raffigurazione della pura potenza animale, è ispirata al mercato dei cavalli di Parigi e mostra la scena in cui si vendono cavalli da tiro, in particolare della razza ‘Percheron’.
Questi magnifici animali bianchi maculati sono i cavalli più forti e più conosciuti fra le razze equine francesi allevati per trasportare grandi pesi.
Anatomicamente caratterizzati da collo forte, da lombi corti e larghi, da una groppa vigorosa, dalla testa piccola, da gambe sottili, da mantello grigio trota e da andature nervose, erano inizialmente allevati per la loro capacità di spostare rapidamente veicoli trainati da cavalli al trotto ed erano massicciamente impiegati per l'ufficio postale e dalla società ‘Omnibus” che forniva un regolare servizio di trasporto pubblico.
Abituati a trainare carichi sempre più pesanti a passo e al trotto, questi cavalli erano usati anche nei lavori agricoli e nell'aratura.
Nella tela i cavalli sono colti da tutti i caratteri psicologici e in tutte le caratteristiche anatomiche distintive della loro particolare specie. Ben raggruppati, i cavalli, occupano i primi piani e tutto lo spazio che l'occhio riesce a comprendere.
Sono rappresentati al trotto, al galoppo o cavalcati da rozzi stallieri in manica di camicia noti come i ‘téméraire’, figure tipiche in ogni mercato di cavalli.
Le stesse varie andature dei cavalli sono rese con estrema fedeltà.
I garretti vigorosi sono riprodotti senza alcuna esagerazione, la lucentezza della mantello rivela una brillantezza argentea che evita lo splendore freddo e compatto dell’effetto marmo.
La Bonheur ha ritratto fedelmente il modo con cui gli addestratori manovravano i loro cavalli in movimenti energici in modo da dimostrare la loro forza e la loro mobilità ai potenziali acquirenti.
In questo dipinto non vediamo però alcun acquirente, quindi la scena appare ancor più selvaggia e incontrollata di quanto potrebbe essere stata nella realtà.
Il viale alberato visto in diagonale che prospetticamente diminuisce da destra a sinistra, definisce la ampiezza del mercato e conduce lo sguardo dell’osservatore in lontananza verso la cupola dell'Ospedale della Salpêtrière.
Al centro, si vede una pista lunga duecento metri divisa centralmente e separata da una palizzata: su entrambi i lati, le bancarelle sono ombreggiate da filari di alberi.
Nel dipinto, la pittrice ha focalizzato l'ampio movimento rotatorio dei cavalli sull’estremità sinistra della pista.
In questa composizione, la Bonheur ha catturato magistralmente la muscolatura dei cavalli Percheron, che nella loro forza e nella loro maestosa potenza sono travolti nella corsa guidati dai loro spericolati fantini.
Lo studio comportamentale dei cavalli dimostra che la maggior parte di loro sono tesi, o addirittura in una situazione di sofferenza tanto che al centro del dipinto due cavalli si impennano, rifiutando il trattamento loro inflitto. Ad eccezione della coppia uomo-cavallo roano sulla sinistra della composizione, gli stallieri addirittura faticano a contenere la foga di questi cavalli che danno la sensazione di voler fuggire di volersi liberare e il cavallo bianco sembra addirittura avere un’espressione terrorizzata.
La questione della libertà degli animali risuona in molte opere dell'artista.
Attraverso questa drammatica immagine la pittrice ha voluto tradurre il trattamento subito dai cavalli da parte dei mercanti che, per ingannare gli acquirenti, somministravano sostanze stupefacenti agli animali per migliorarne le prestazioni e il giorno prima e la mattina stessa del mercato li frustavano in modo tale che essi raggiungessero uno stato tale di sovreccitazione e di paura che alla fine del mercato al minimo schiocco di frusta si impennavano terrorizzati da quel rumore dando una falsa idea della loro ‘superpotenza’.
La luce brillante dei colori esalta l’agitazione del branco e l’eccitazione della scena e crea una lucentezza sulle enormi groppe dei cavalli.
Rosa Bonheur ha reso quasi tangibile la convulsione dei loro muscoli e delle loro criniere al vento, catturando l’attimo in cui i cavalli che si impennano e poi si tuffano e la forza e la destrezza dei loro conduttori con una realtà quasi fotografica.
L’artista ha anche catturato il loro spirito e il loro mondo, con i suoi rumori, gli odori e il senso di pericolo, e li ha trasformati in grande Arte.
Nel “Mercato dei cavalli”, la Bonheur è memore dei calchi che aveva visto del fregio in marmo per il Partenone in cui Fidia aveva mostrato forti guerrieri che controllavano cavalli impennati e aveva studiato a fondo anche l'opera di Théodore Géricault, un pittore della generazione precedente la sua che spesso raffigurava cavalli in situazioni traumatiche e che era stato il primo artista francese a visitare fiere di cavalli e macelli.
È il caso di “Mazeppa” di Théodore Géricault del 1823, un dipinto ad olio su tela che raffigura il personaggio storico Ivan Mazeppa legato a un cavallo selvaggio. Il dipinto si trova in una collezione privata ma non è chiaro dove si trovi esattamente la collezione privata: il dipinto è stato venduto all’asta da Christie’s nel 2018.
                                                                             Massimo Capuozzo

domenica 3 marzo 2024

La fienagione in Alvernia di Rosa Bonheur. Lettura di Massimo Capuozzo

Dopo il suo primo grande successo artistico, “L'aratura nel Nivernese” esposto al ‘Salon’ di Parigi nel 1849, Rosa Bonheur mostrò gli studi di due nuovi dipinti al duca Charles de Morny, ministro dell’interno francese responsabile allora anche delle Belle Arti.
Il ministro scartò “Il mercato dei cavalli” e commissionò invece “La fienagione in Alvernia”.
La Bonheur però si concentrò prima sul completamento della “Fiera dei cavalli” e de Morny tentò di cambiare idea dopo la strepitosa accoglienza che il dipinto ebbe, sebbene incompiuto, al ‘Salon’ di Parigi nel 1853.
Il dipinto raffigura il caricamento del fieno su un carro trainato da quattro buoi inquadrati in posizione latero-frontale, alcune figure umane sono intente a caricarlo e a lavorare in un prato senza ostacoli. Sono le prime ora del mattino.
Questo è il soggetto e l'impostazione dell’opera.
Niente quindi potrebbe esserci di più semplice, niente di più insignificante e tuttavia non c’è niente di più squisito per verità ed esecuzione in quest’opera.
In questo dipinto il posto centrale è occupato dall'animale non dall’uomo.
La forza della Bonheur è stata quella di mettere i buoi in primo piano ed essi, da protagonisti, occupano quasi tutta la larghezza del dipinto mentre gli uomini sono soltanto delle comparse sullo sfondo dell’azione.
Celebrando una festa contadina, come la raccolta del fieno per nutrire gli animali durante l’inverno, la pittrice ha elevato la pittura del mondo animale al rango della pittura storica in cui sono centrali l’uomo-eroe e la sua vicenda. Qui invece è centrale l’animale-eroe ma eroe del quotidiano, non dello straordinario, ma dell’ordinario.
Questi buoi muggenti sono come la Bonheur li ha visti nella realtà: sono proprio così, massicci e vigorosi, dalle loro bocche gocciolano lunghi fili di schiuma. E se quest'ultimo dettaglio potrebbe sembrare eccessivo nel suo realismo, alcuni tocchi nel loro mantello sono di singolare delicatezza e poesia.
Nonostante la perfezione si potrebbe dire fotografica dei minimi dettagli, questo dipinto è ampio e potente come quel bue che si presenta quasi di fronte all’osservatore, con il suo meraviglioso petto di tonalità più bruna, luccicante, che sfuma nel rosso.
I buoi aspettano pazientemente, assistiti da un uomo con un cappello a falda larga. Altri uomini tagliano l'erba con la falce, mentre le donne raccolgono il fieno e altri uomini usano i forconi per sollevare il fieno su un grande mucchio sul carro.
Rosa Bonheur andò fino all’Alvernia più interna per osservare quei buoi sul posto, come avrebbe fatto in seguito con il camoscio di montagna.
Scattava fotografie che lei stessa avrebbe sviluppato, realizzava schizzi e si impegnava in lavori fortemente accademici: una volta che ebbe raccolto all'esterno tutto il suo materiale documentario, lavorò in laboratorio, studiò l'animale nei libri di anatomia per comprenderne in dettaglio il corpo e i muscoli.
Nel 1854 questo dipinto fu acquistato dallo Stato francese per 20.000 franchi. Quando fu esposto all'’Esposizione Universale’ di Parigi nel 1855, come pendant all'’Aratura del Nivernese’, vinse una medaglia d'oro. Quando in occasione dell'‘Esposizione Universale’ di Parigi del 1900 fu allestita la mostra retrospettiva sull'Arte francese dell’Ottocento quest’opera fu scelte insieme ai maggiori capolavori francesi di quel secolo che si chiudeva.
Dal 1874 al 1878 il dipinto fu conservato al ‘Museo del Lussemburgo’, per poi essere trasferito al ‘Castello di Fontainebleau’, dove si trova tuttora.
                                                                            Massimo Capuozzo