lunedì 21 novembre 2022

La pittura marittima in Olanda di Massimo Capuozzo

Nel Seicento, gli Olandesi diventarono leader nei viaggi marittimi, nei trasporti, nel commercio e nella sicurezza della navigazione. Mentre le loro enormi navi da carico e quelle da guerra attraversavano gli oceani, le loro navi di piccolo tonnellaggio e i pescherecci navigavano invece nell'entroterra e nei corsi d'acqua costieri. L'acqua, croce e delizia per gli Olandesi, fu un elemento fondamentale per i loro successi economici e marittimi, ma era anche fonte di piacere e di divertimento: nei caldi mesi dell’estate, le spiagge coperte di dune offrivano infatti splendide vedute panoramiche, mentre d’inverno i canali ghiacciati fornivano un luogo per pattinare, per giocare e per godersi la vita all'aria aperta per gente di tutte le età. In una nazione di marinai e di pattinatori non sorprende quindi che i pittori olandesi siano stati se non gli “inventori” del genere della “pittura marittima”, almeno i perfezionatori e tanto meno stupisce che questo soggetto sia stato così straordinariamente popolare e praticato, non meraviglia inoltre che i soggetti marini siano diventati i preferiti dei collezionisti e degli artisti del periodo né sorprende infine che questo genere sia stato elevato a nuove vette dai pittori olandesi che avevano un abbondante mercato. Ai tempi di “Hals”, di “Rembrandt” e di “Vermeer”, cioè negli anni di punta dell’arte olandese del Seicento, essi dipinsero opere superlative e appassionanti e, come successe per i paesaggi di terra, fu fondamentale il passaggio alla veduta artificiale soprelevata cioè “a volo d’uccello”, tipica della precedente pittura. Con la pittura olandese il mare diventò dunque un nuovo e grande soggetto d’arte. Le opere che celebravano il loro commercio, che commemoravano le loro vittorie militari e che ritraevano i paesaggi marini diventarono un genere molto popolare al servizio dei gusti della prospera “Repubblica olandese”: mecenati aristocratici e ricchi borghesi commissionarono opere destinate sia al godimento privato sia all'esposizione pubblica. Queste opere furono le prime in cui artisti europei raffigurarono realisticamente ambienti naturali marini, rendendo le atmosfere costiere e quelle oceaniche con straordinaria attenzione e con virtuosistica tecnica. Del resto che cosa può uguagliare il mare come soggetto di rappresentazione per la sua versatilità, per molteplici stati d'animo che è capace di suscitare e per gli effetti ottici di acqua e di luce così coinvolgenti? I maestri olandesi della pittura e del colore, attratti dai paesaggi marini, svilupparono nuovi approcci alla composizione e alla tecnica. Maestri com’erano dell'aria, della luce e dell'acqua, essi usarono il loro talento per trasmettere sulla tela un mondo magico, ricco di allegorie politiche e di allusioni religiose: una nave poteva rappresentare con la stessa forza il progresso individuale di un'anima o il destino unitario di una nazione. Tempeste e naufragi fornivano un ampio e drammatico scenario, allusivo di evidente pericolo da parte di una potenza superiore, mentre rocce seminascoste suggerivano il senso dell’insidia del mistero, dell’incertezza o addirittura del soprannaturale. Affermazioni o sconfitte militari assumevano significati che esprimevano chiaramente la posizione politica o spirituale dell'artista – o quella del suo mecenate – in termini di consenso o di dissenso. Quando gli Olandesi incominciarono a emergere come potenza militare ed economica mondiale, mostrarono attraverso la loro arte un'immagine sempre più fedele del loro paese e del loro stile di vita. Il mare e i vascelli che lo attraversavano avevano un significato ricco di simboli, da cui gli artisti fiamminghi e olandesi traevano naturalmente il linguaggio visivo che i soggetti marittimi offrivano. Le esplorazioni e l'espansione globale dell’Olanda ne animarono la pittura, alimentando un particolare desiderio per le scene tanto scandinave quanto mediterranee e le relazioni commerciali finirono per modificare anche il gusto e l'immaginario degli Olandesi con la rappresentazione di abeti e di ghiacciai del nord e di monumenti e rovine idealizzati del sud. Gli appassionati d'arte cominciarono ad avere familiarità con le ambientazioni italiane e la loro semplice vista evocava piacere, eleganza ed esotismo.

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Di solito, un pittore olandese del Seicento rientrava in una di quattro categorie, “ritrattista”, “paesaggista”, “pittore di nature morte” o “pittore di scene di genere”. Per questa ragione la loro pittura raggiunse un elevatissimo grado di specializzazione e per questa stessa ragione raramente un artista poteva sperare di raggiungere grandezza e successo in più di un genere di pittura. Alcuni pittori però e tra loro “Jan van Goyen” (1596 – 1656) e “Jacob van Ruisdael” (1628/29 – 1682), si sono divertiti a catturare anche i dintorni marini dentro e intorno alla costa olandese. Osserviamoli più da vicino. “Jan Josephszoon van Goyen” era un paesaggista di Leida. Si mosse ad ampio spettro nel genere: dipinse infatti paesaggi forestali, marini, fluviali, urbani, invernali, scene di spiagge, vedute architettoniche e anche paesaggi con contadini. Artista estremamente prolifico lasciò circa milleduecento dipinti e più di mille disegni. Van Goyen iniziò come apprendista a Leida ma come molti pittori olandesi del suo tempo, anche lui si recò ad Haarlem e studiò arte con “Esaias van de Velde”. A 35 anni, fondò una sua bottega all'Aia. I suoi paesaggi raramente raggiungevano prezzi elevati, ma van Goyen compensava il prezzo modesto dei singoli dipinti aumentandone la loro produzione, dipingendo in modo sottile e rapido con una tavolozza limitata a pigmenti più economici. Fig 1

Nonostante le sue innovazioni sul mercato, van Goyen cercava però più entrate, sia attraverso altri lavori dell’indotto come mercante e banditore d'asta, sia speculando in bulbi di tulipani e nel mercato immobiliare, due strade quasi sempre sicure per investire denaro. L'esperienza di van Goyen tuttavia lo portò solo a enormi debiti e per onorarli fu costretto a vendere prima nel 1652 e poi nel 1654 la sua collezione di dipinti e disegni, per poi trasferirsi in una casa più piccola. Quando morì nel 1656 a L'Aia, ancora incredibilmente indebitato di 18.000 fiorini, la sua vedova fu costretta a vendere i mobili e i dipinti rimanenti. (fig.2)
Sebbene abbia tenuto una bottega, i suoi unici allievi registrati erano “Nicolaes van Berchem”, “Jan Steen” e “Adriaen van der Kabel”, ma l'elenco dei pittori che ha influenzato è molto più ampio. I problemi di van Goyen forse influenzarono anche influenzato le prime prospettive di affari del suo allevo e genero Jan Steen, che lasciò L'Aia nel 1654. (fig.3)

In base alle categorie dell’arte olandese del seicento Jan van Goyen sarebbe classificato principalmente come un paesaggista, ma con un occhio anche per i soggetti di genere della vita quotidiana. (fig. 4)

Dipinse molti canali dentro e intorno all'Aia, nonché i villaggi che circondano la campagna di Delft, Rotterdam, Leida e Gouda. Van Goyen utilizzava una tecnica particolare di preparazione del supporto. Sulla sua tavolozza macinava una collezione di colori di grigi neutri, terra d'ombra, ocra e verde terra che sembravano estratti dalla terra stessa che dipingeva. Si serviva di olio per pittura con cui macinava i suoi pigmenti in polvere e quindi era solito applicare strati sottili di colore che poteva facilmente sfumare. (fig.5)
Le aree scure del dipinto erano mantenute molto sottili e trasparenti con abbondanti quantità di olio in modo che la luce che colpisce il dipinto in queste sezioni si disperda e sia assorbita dallo sfondo pittorico. Le aree più chiare dell'immagine erano trattate in modo più pesante e opaco con una generosa quantità di piombo bianco, la biacca, mescolato al colore. La luce che cade sul dipinto in una sezione di luce è riflessa sullo spettatore: l'effetto è di un realismo sorprendente e di una qualità tridimensionale. La superficie di un dipinto finito ricorda una spuma fluida e morbida, magistralmente montata e modellata con il pennello. "Nei suoi paesaggi marini liberamente composti degli anni Cinquanta del Seicento, raggiunse l'apice del suo lavoro creativo, producendo dipinti di sorprendente perfezione." (H.U. Beck)
Jan van Goyen è stato notoriamente influente sui pittori di paesaggi del suo secolo. La sua qualità tonale era una caratteristica che molti imitavano. Secondo l’“Istituto Olandese di Storia dell’Arte”, questo maestro esercitò molta influenza su “Cornelis de Bie”, “Jan Coelenbier”, “Cornelis van Noorde”, “Abraham Susenier”, “Herman Saftleven”, “Pieter Jansz van Asch” e “Abraham van Beijeren”. (Fig.6)
Per quanto riguarda Jacob van Ruisdael è stato il più grande paesaggista Olandese. Non è nota la sua data esatta della nascita è sconosciuta, ma in base a un documento del 1661 indica la sua età di trentadue anni dovrebbe essere nato nel 1630 o all’incirca. Suo padre, Isaack (1599 circa – 1677), e gli zii Jacob (1594 circa – 1656) e Salomon van Ruysdael (1602 circa - 1670), nacquero a Naarden e, a quell'epoca, il cognome della sua famiglia era De Gooyer. Dopo la morte di suo nonno Jacob Jansz de Gooyer nel 1616, suo padre e suoi zii cambiarono il loro nome di famiglia in Van Ruysdael dalla tenuta di campagna "Ruysdael" o Ruisschendaal vicino Blaricum alla città natale di De Gooyer. Il 12 novembre 1628 Isaack van Ruysdael, ormai vedovo, si sposò per la seconda volta con Maycken Cornelisdr, suo figlio Jacob potrebbe essere stato il figlio di questo matrimonio. Oltre alle sue attività documentate come mercante di quadri e produttore di cornici in ebano, Isaack van Ruysdael era anche un pittore. (fig. 8)
Le prime opere di Jacob van Ruisdael, datate 1646, furono realizzate quando aveva solo diciassette o diciotto anni. Nel 1648 Entrò nella Gilda di San Luca di Haarlem. (fig.9)
Non si sa chi fossero i suoi primi maestri, ma probabilmente imparò la pittura da suo padre e da suo zio Salomon. Alcuni dei paesaggi di dune che realizzò alla fine degli anni Quaranta del Seicento attingono chiaramente alle opere di Salomon, mentre i suoi paesaggi boscosi di questi anni suggeriscono che abbia avuto contatti anche con l'artista di Haarlem “Cornelis Vroom” (1591–1661 circa). Arnold Houbraken scrive che Ruisdael imparò il latino su richiesta di suo padre e che in seguito studiò medicina, diventando un famoso chirurgo ad Amsterdam, ma è solo un’ipotesi anche se sostenuta da due documenti. (fig.10)

Durante i primi anni Cinquanta, Ruisdael si recò in Vestfalia vicino al confine olandese-tedesco con “Nicolaes Pietersz Berchem” (1620–1683), che Houbraken identifica come grande amico di Ruisdael. Tra i siti che visitarono c'era il castello di Bentheim, che appare nelle opere di entrambi gli artisti di questo periodo. (fig 11)

Intorno al 1656 Ruisdael si stabilì ad Amsterdam dove, il 14 luglio 1657, fu battezzato nella Chiesa Riformata. Nel 1659 ottenne la cittadinanza di Amsterdam e il suo nome compare ancora nei registri l'anno successivo quando testimoniò l'8 luglio che “Meindert Lubbertsz”, che in seguito cambiò il suo nome in “Meindert Hobbema” (1638 - 1709), era stato suo allievo.
Ad Amsterdam, Ruisdael deve aver conosciuto il lavoro dell’olandese, “Allart van Everdingen” (1621 - 1675), che risiedette in quella città dal 1652 circa.
Everdingen aveva viaggiato in Scandinavia negli anni Quaranta del Seicento e aveva dipinto vedute di pinete e cascate rocciose, soggetti che Ruisdael esplorò a metà degli anni Sessanta del Seicento. Dal 1670 circa, Ruisdael visse nel negozio del mercante d'arte e di libri di Amsterdam “Hieronymous Sweerts”, situato appena fuori la Dam, la piazza pubblica principale di Amsterdam. Fu sepolto nella sua città natale di Haarlem il 14 marzo 1682, ma potrebbe essere morto ad Amsterdam, dove è registrato nel gennaio di quell'anno. (fig 12)
Tra i più grandi e influenti artisti olandesi del diciassettesimo secolo, Ruisdael fu anche il paesaggista più versatile, infatti come van Goyen dipinse ogni tipo di soggetto paesaggistico. (fig. 13)
Le sue opere sono caratterizzate da una combinazione di osservazione quasi scientifica e una visione compositiva monumentale, persino eroica, sia che il suo soggetto sia una scena di una foresta drammatica o una vista panoramica di Haarlem. All'inizio della sua carriera lavorò anche come incisore. Tredici delle sue stampe sono sopravvissute, insieme a un numero considerevole di disegni. (fig. 14)
Ruisdael ebbe numerosi seguaci, i più importanti dei quali furono Hobbema e il fiammingo “Jan van Kessel il Vecchio” (1626 - 1679). Inoltre, molti altri artisti sono associati a lui per aver contribuito con figure ai suoi paesaggi. Tra questi ci sono “Nicolaes Pietersz Berchem” (1620 - 1683), “Philips Wouwerman” (1619 - 1668), “Adriaen van de Velde” (1636 - 1672), “Johannes Lingelbach” (1622 circa – 1674) e “Gerard van Battem” (1636 – 1684 circa). (figg.15 e 16)

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Un vero pioniere della “pittura marittima” olandese fu “Hendrick Vroom” (1562 circa – 1640) considerato se non il fondatore di questo genere in Olanda, almeno colui che lo ha innovato, allontanandosi dal punto di vista "a volo d'uccello" della precedente arte marittima olandese e mostrando nelle sue opere una percezione più ribassata e una rappresentazione più realistica degli stessi mari.
Vroom era haarlemmer e gran parte di ciò che si sa della sua vita deriva dalla biografia che il pittore e storico dell’Arte “Karel van Mander” gli dedicò nel suo "Schilder-boeck" e che sembra un affascinante racconto d'avventura.

Nato in una famiglia di artisti, iniziò la sua carriera come ceramografo di stile Faenza. Diciannovenne Hendrick, per controversie col suo patrigno si imbarcò su una nave diretta a Siviglia e da lì giunse a Livorno e Firenze fino a Roma. Da quel momento il suo fu un girovagare avventuroso, Parigi, Lisbona, Danzica e quando tornò ad Haarlem, era un artista di fama internazionale.

Subito dopo il suo ritorno ad Haarlem ricevette due importanti commissioni per i disegni degli arazzi che furono poi eseguiti a Bruxelles nel 1592–95.

Nei suoi dipinti ad olio Vroom registrò importanti eventi delle flotte olandese e inglese, fornendo un ritratto dettagliato delle navi. La maggior parte di queste opere, descritte da van Mander sono andate perdute.

Dopo la morte di van Mander, Vroom ottenne le sue più importanti commissioni: battaglie grandi e decorative, scene cerimoniali e viste sulla spiaggia introdussero nuovi meccanismi compositivi che furono adottati dai più giovani pittori di marine olandesi.

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Haarlem ebbe una folta pattuglia di pittori marini ed Hendrick Cornelisz Vroom fece scuola: Hans Goderis, Cornelis Verbeeck e Cornelis Claesz van Wieringen furono tutti più o meno direttamente influenzati da Hendrick Cornelisz Vroom che, una volta diventato membro della “Gilda di San Luca” di Haarlem, ebbe tra i suoi allievi Aert Anthonisz, Nicolaes de Kemp, Jan Porcellis e gli stessi suoi figli Cornelis Hendriksz Vroom e Frederik Hendricksz Vroom. (Fig 1)

Hans Goderis (1595/1600 – 1656/59) e Cornelis Verbeeck (1585/91 – dopo il 1637) sono menzionati per la prima volta nel libro “Harlemias” di “Theodorus Schrevelius” in quanto dediti alla pittura marina.
Goderis dipinse principalmente opere marine e secondo l’Istituto Storico dell’Arte olandese, fu allievo di Jan Porcellis. (fig 2)

Anche Verbeeck dipinse principalmente opere marine e fu direttamente influenzato da Vroom. Alcune delle sue opere sono esposte alla National Gallery of Art di Washington. (fig 3)

Secondo l’Istituto Storico dell’Arte olandese era conosciuto come “Smit” per la sua somiglianza caratteriale con un fabbro noto per le sue diverse risse.
Cornelis Claesz van Wieringen (1576 circa – 1633) (fig 4) nacque e morì ad Haarlem. Era il figlio di un capitano di navi di Haarlem e disegnò, dipinse e incise con i suoi amici Hendrick Goltzius e Cornelis van Haarlem. Ricoprì anche importanti incarichi nella Gilda di San Luca di Haarlem di cui divenne membro nel 1597.

Si specializzò in dipinti raffiguranti navi e battaglie navali e ricevette commissioni dai consigli municipali di Haarlem e di Amsterdam.
Van Wieringen dipinse l'immagine più popolare della leggenda di Haarlem, mostrando come una nave di Haarlem spezzò il “boma”, la catena protettiva del porto egiziano della città di Damietta, ottenendo così un'importante vittoria sull'Islam.
L’episodio sarebbe avvenuto durante la Quinta Crociata nel 1218/19.
La storia racconta che i cavalieri di Haarlem e gli innovativi costruttori navali svolsero un ruolo importante nella caduta di Damietta. L'accesso alla città attraverso il Nilo era chiuso da una grande e pesante catena portuale, ma una nave Haarlem, dotata di una sega di ferro fissata lungo la prua e lungo la parte anteriore della chiglia, segò la catena del porto di Damietta e permise alla flotta di attaccare con successo. Si tratta di un racconto leggendario, ma ogni sera tra le nove e le nove e mezza due campane della Chiesa di San Bavone di Haarlem suonano, per commemorare la conquista della città egiziana durante il suo l'assedio.
Il dipinto di van Wieringen riscosse un successo tale che fu richiesta la sua riproduzione in forma di arazzo ed entrambe le opere si trovano nel “Museo Frans Hals” di Haarlem.
Aert Anthoniszoon, noto anche come Aart o Aert van Antum (1579\80 - 1620) era di Anversa (fig 5)

I suoi genitori si trasferirono ad Amsterdam nel 1591 e forse Aert fu allievo di Vroom.
Di lui si sa poco e niente perché la sua vita e la sua opera furono trascurate o omesse dai biografi dei pittori dell'inizio del Seicento e del Settecento come nel caso Arnold Houbraken, di solito sempre prodigo di informazioni.
Anche di “Nicolaes de Kemp” (1574 – 1647) si sa molto poco: era di Haarlem, fu anche lui allievo di Hendrik Cornelisz Vroom ed era noto per i suoi quadri marini. (fig 6)


Cornelis Hendriksz Vroom (1591 - 1661) era figlio del pittore Hendrick Cornelisz Vroom, fratello maggiore di Frederick e di Jacob, e padre del pittore Jacob Cornelisz Vroom. Diventò membro della Gilda di San Luca di Haarlem dal 1634.
Come suo padre, Vroom è meglio conosciuto per i suoi paesaggi e paesaggi marini ed esercitò molta influenza sul collega paesaggista di Haarlem Jacob van Ruisdael.
Fu un ben noto paesaggista di Haarlem insieme a "Joh. Jakobsz.", che soggiornò in Italia per molti anni, "Nicol. Zuyker", Gerrit Claesz Bleker, Salomon van Ruysdael (fig 7), e Reyer van Blommendael (fig 8).


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Jan Porcellis (1580/84 – 1632) era nativo di Gand, quindi era un fiammingo, trapiantato nel nord dei Paesi Bassi. Era figlio del capitano di nave Jan Pourchelles che portò la sua famiglia a Rotterdam, in fuga dalle persecuzioni spagnole. Il fatto che sia stato figlio di un marittimo ci dice molto sulla sua dimestichezza col mare e con le navi.
La sua data di nascita è sconosciuta, ma deve certamente precedere il 1584, poiché fu in quell'anno che i suoi genitori si unirono ai protestanti in fuga da Gand, quando la città fu presa per la seconda volta dagli Spagnoli durante la “Guerra degli ottant’anni”.
A Rotterdam il giovane artista è documentato per la prima volta solo nel 1605 in occasione del suo matrimonio.
Secondo Arnold Houbraken, il biografo degli artisti, Jan Porcellis si formò ad Haarlem con Hendrick Cornelisz Vroom, ma questo non è stato mai dimostrato, sebbene le sue prime opere ne ricalchino lo stile.
Quasi certamente Porcellis iniziò la sua carriera come grafico, probabilmente lavorando per l'incisore ed editore di Rotterdam Jan van Doetechum, specializzato in produzione di mappe, di libri illustrati e di raffigurazioni di navi.
A Rotterdam ebbe tre figli, tuttavia Porcellis ebbe anche gravi difficoltà finanziarie e nel 1615 subì l’onta del fallimento e dichiarò bancarotta.
Si trasferì allora ad Anversa, dove per la prima volta è menzionato come pittore. La maggior parte dei dipinti realizzati in questo periodo era seriale e la sua produzione era venduta in mercati all’aperto e, siccome non erano firmati, la maggior parte di essi è considerata oggi perduta. È tuttavia possibile identificarne solo una decina degli anni dal 1615 al 1620 sicuramente attribuibili a lui, la maggior parte dei quali raffigurano battaglie, tempeste e vedute di porti.
Nel 1617 era stato anche accolto come maestro indipendente nella Gilda di San Luca di Anversa, ma i suoi problemi finanziari continuarono a sussistere finché non decise di stabilirsi ad Haarlem, vedovo e con tre figli, nel 1622 e fu allora che la sua la sua carriera finalmente decollò.
Nel 1622 Porcellis ad Haarlem, continuò sempre nel solco della pittura marittima, ma l'ambientazione dei quadri di questo periodo non era mai precisata e lasciata sempre in un contesto ambiguo, diversamente dal stile abituale dei pittori marittimi contemporanei, come Jan Brueghel il Vecchio o Hendrick Cornelisz Vroom, che tradizionalmente ritraevano i porti ben distinguibili o vedute ben riconoscibili del fiume Spaarne ad Haarlem.
Qui vediamo una Veduta del porto di Napoli durante una battaglia navale di Brueghel e la “Veduta di Horn” di Vroom. 1 e 2.


Ma perché Porcellis è così diverso e si allontana da cotanto affermati maestri?

Il suo stile è molto evidentemente innovativo già ad Haalem: l'enfasi che gli altri pittori esprimono sulle navi, Porcellis la esprime sull'atmosfera e sull'acqua. A differenza dei suoi predecessori che hanno optato per paesaggi marini colorati e pieni di dettagli aneddotici, Porcellis ha introdotto la coesione nei suoi dipinti e ha reso visibili le condizioni meteorologiche con le sue nuvole e gli effetti di luce drammatici, riuscendo a rappresentare le forze della natura in sottili sfumature di marrone e grigio.
I due anni di Porcellis ad Haarlem videro probabilmente l'inizio dell’ascesa della sua reputazione e della sua prosperità economica: ottenne maggiore popolarità grazie ai dettagli atmosferici nei suoi dipinti, in particolare nel ritrarre la Veduta sulla spiaggia di Haarlem, sopra raffigurata, e molti dei suoi quadri sono stati trovati in vari luoghi e palazzi europei, come “Palazzo Venezia” a Roma, o nella collezione dell’Imperatore di Germania, a segno della sua fama in termini di quantità e di qualità di acquirenti.
In questi anni ad Haarlem fu anche pubblicata da Jan Pietersz una prestigiosa serie di venti delle sue incisioni.
Nel 1624 Porcellis lasciò Haarlem e andò a vivere ad Amsterdam e nel 1626 si stabilì a Voorburg vicino a L'Aia.
Tra il 1627 e il 1629 si trasferì più o meno permanentemente nel villaggio di Zoeterwoude, nei dintorni di Leida, dove visse i suoi ultimi anni in prosperità e dove morì ricco e famoso, possedendo grandi proprietà.
Alcuni suoi capolavori spiegano il motivo per cui Porcellis, già ai suoi tempi era considerato come il primo vero grande pittore marittimo. Prima di lui la pittura marittima era ancora ingenua, aneddotica, colorata, semplice e decorativa. Nelle sue opere invece il genere maturò rapidamente evolvendo in una forma d'arte indipendente che poteva già competere con altri campi ben consolidati della pittura.
Porcellis raggiunse un livello senza precedenti di verosimiglianza nella resa atmosferica e sicuramente fu questa qualità che permise a Constantijn Huygens, perspicace esperto d’Arte dell’epoca, di osservare che Porcellis era molto più avanti di Hendrick Vroom, considerato il pittore marittimo più rispettato della vecchia generazione.
Porcellis era stimatissimo anche da molti artisti di spicco del suo tempo che collezionarono avidamente le sue opere: Rubens ne possedeva una, Rembrandt sei, Allart van Everdingen tredici e Jan van de Cappelle, artista marittimo e celebre collezionista nonché intenditore d’arte, ne possedeva non meno di sedici e tutti loro lo ritenevano un pittore straordinario.
Joachim Oudaan (1628 – 1692), eminente  poeta, drammaturgo e antiquario olandese, ne cantò le capacità descrittive onorandolo con una poesia. Voglio citarne alcuni versi perché è bella e mi è costato molto tempo di ricerca e di traduzione.

“Il vento si alza più in alto,
la vela con esso si gonfia più arrotondata.
Attento alla scotta, timoniere,
che ti vanti di averne sottomessi molti di venti.
Chi, con il cuore pieno di orgoglio,
si vergogna di aver preso uno scoglio
quando siamo stati in difficoltà?
Qui le onde sono agitate,
il marinaio e il comandante faticano così tanto
al timone e in coperta
per spezzare le onde che si infrangono sulla prua
se si riesce.
La giacca da marinaio del timoniere è sommersa,
mentre un flutto che batte sull’asta
balza indietro e cade in mille goccioline rotonde,
e rende i capelli del marinaio
come le teste dei cani nell’acqua.
Una nuvola viene dall'alto, che,
spinta avanti e indietro da travi di vento,
inizia all'improvviso a scaricare;
schizza a bordo e perfora tanto più gravemente
il berretto blu da marinaio,
attraverso stivali e giacche antipioggia
un ammollo per la pelle.
A cui non presta più attenzione,
Ma geme mentre il vento ruggisce
tanto che rimbomba
il timone è costretto sottovento,
la nave è su una costa bassa,
Spingi, marinaio, usa la tua forza.
Eppure un tipo simpatico di solito si siede
sul ponte principale e guarda il gioco
anche se il vento lo sferza e gli acquazzoni lo percuotono.
Anche Porcellis si insinua nel castello di prua,
ma considera la tempesta con calma,
nonostante acqua, pioggia, grandine e tuoni,
per esaminare dal vero questo elemento furioso,
e che egli incide nei suoi pensieri.

Samuel van Hoogstraten, il meticoloso pittore della realtà della seconda metà del Seicento, tanto meticoloso da essere considerato oggi un anticipatore dell’iperrealismo, definì Porcellis nel 1678 "il grande Raffaello della pittura marina".
È sintomatico della sua fama nascente che nel 1628, quando Porcellis viveva già a Voorburg, Samuel Ampzing, lo storico aedo della città di Haarlem, lo incluse nel suo “Beschrijvinge ende lof der stad Haerlem”, rivendicandolo come artista di Haarlem.
Il contributo che ha dato Porcellis alla pittura marina è davvero formidabile. A guardare la sua vita e il suo tardo successo sembra che a lui si addica il motto “per aspera ad astra”.
Al di là del pur autorevole giudizio di Huygens, le sue opere hanno avviato il passaggio decisivo dal primo realismo alla fase tonale, promuovendo un nuovo stile nella pittura marina, uno stile concentrato su cieli nuvolosi e su acque agitate, una rottura radicale dalla precedente attenzione dell'arte marittima dedita per lo più alla narrazione della grandiosità delle navi in​​contesti reali.
Si osservi questo capolavoro. 4

In questa scena della tempesta c’è il potente senso del dramma, la travolgente illusione dello spazio, l'espressività, il trattamento della luce e dell'oscurità che irrobustiscono il genere come mai prima d’allora.
Pochi artisti furono in grado di instillare un realismo così avvincente nel soggetto tradizionale delle navi in pericolo su un mare agitato.
Numerosi pittori di marine più anziani di lui avevano già trattato questo tema come una metafora: fallimenti umani, orgoglio eccessivo, amori infelici, affari di stato avversi. Ma Porcellis fu il primo a rendere così palpabile lo spettacolo.
Colpisce di questo dipinto la relativa facilità e la gestione tecnica, affermate da pennellate vivaci e dallo fondo che luccica in particolare nell'acqua e nel cielo, con cui Porcellis ha evocato una tempesta così complessa e così pienamente convincente.
Questa notevole caratteristica richiama alla mente un aneddoto che Hoogstraten racconta a proposito di una gara tra Francois Knibbergen, pittore di paesaggi uniformi, Jan van Goyen e Porcellis.
Ognuno di loro doveva eseguire un dipinto in un solo giorno. Knibbergen iniziò a dipingere, dettaglio per dettaglio, e ogni dettaglio sembrava completato subito. Van Goyen iniziò in un modo completamente diverso, il suo naturalmente: prima coprì la sua tela con aree scure e più chiare e poi completò il dipinto senza sforzo, aggiungendo una grande varietà di motivi paesaggistici. Porcellis, invece, sembrava perdere tempo prima di cominciare effettivamente a dipingere, ma di fatto stava componendo il quadro nella sua mente. Esattamente come dice il poeta Joachim Oudaan.
Porcellis completò il dipinto prima della fine della giornata e Hoogstraten racconta che il suo lavoro era superiore per la sua disinvolta naturalezza e per qualcosa di straordinario che non si era mai visto nei quadri che non erano nati dalla sua mano.
In effetti, anche questo dipinto dovette essere stato attentamente studiato prima. In primo luogo, l'oscuro baldacchino di nuvole torreggianti, così efficacemente in contrasto con i raggi della luce solare che provengono da sinistra, impone allo spettatore l’allerta. Solo allora l’autore comincia a guidare lo sguardo dell’osservatore verso l'azione sull'acqua.
La scena è piena di dettagli attentamente osservati e ognuno ha uno scopo preciso nel raccontare una storia: i gabbiani che volteggiano come avvoltoi intorno alle navi aumentano il livello tensione drammatica, ma indicano anche il cambiamento della direzione delle raffiche di vento e migliorano l'illusione di profondità. L’imbarcazione alla deriva evoca poeticamente i disagi che le navi hanno dovuto già sopportare. Il barile nell’acqua.
Senza dubbio quest’opera risale all’ultimo periodo dell'artista, quando Porcellis aveva raggiunto il massimo delle sue possibilità espressive.
Il suo realismo è così avanzato che, pur mantenendo il colore dell’acqua verde scuro, esso alla fine tende a scomparire lasciando il posto a una narrazione monocromatica e pienamente convincente del mare agitato di una burrasca.
Questo raro e tardo capolavoro di Porcellis è un culmine della pittura marina olandese del Seicento e uno dei più netti avvicinamenti dal pittoresco al sublime.
Questo stile che nutre l'arte marittima, con la maggior parte della tela che mostra mare e cielo, pose le basi per le opere successive di questo genere.
Il suo stile diventò ben presto riconoscibile grazie all'uso di mille tonalità di luce diverse, esemplificate in dipinti come questa Tempesta in mare, che comprende effetti di luce inediti.
L’itinerario artistico di Jan Porcellis si è sviluppato nel solco della pittura marittima olandese. Henrick Vroom, che secondo Houbraken era stato il maestro di Porcellis, era stato sicuramente abile nella raffigurazione di navi, trattando anche lui soggetti come pesci, pescatori e altri barcaioli.
I primi dipinti di Porcellis risalgono al 1612 dimostrano che padroneggiava già bene lo stile di Vroom, un maestro che all'epoca godeva di molta popolarità. 
Degna di nota di questo primo periodo è anche l'interpretazione di una Battaglia navale di notte che presenta una battaglia navale in notturno, con navi nemiche appena visibili e un graduale riconoscimento dei soggetti. Una battaglia navale notturna fino a quel momento era la prima nell'arte olandese. 5

“Tempesta in mare” riflette molte caratteristiche che erano importanti nell'era di Vroom, sia per la sua teatralità sia per le sue convenzioni di resa pittorica. 6.

Jan Porcellis sa rappresentare le forze della natura in toni presumibilmente marroni e grigi, dal bianco argento al buio minaccioso. In questo dipinto si può quasi sentire l'atmosfera del mare in tempesta, con le onde alte e un cielo tempestoso.
Queste due opere fanno parte di una serie di tre dipinti di mare, che illustrano una tempesta. Il loro formato suggerisce che originariamente fossero state realizzate come soprapporte. Le due opere superstiti della serie sono le prime, le più antiche sopravvissute fra le opere di Porcellis: devono essere state dipinte forse prima del 1612. Lo mostrano le opere realizzate nel preciso stile aneddotico tipico dell'illustrazione di navi, che aveva appreso da Hendrick Cornelis Vroom. La luna fa capolino in un cielo nuvoloso; numerosi vascelli illuminati dalle loro lanterne in primo piano; quello al centro con banderuola giallo-blu-giallo all'albero di trinchetto; ai lati, pescherecci che calano in mare le reti.
Altri pittori di marine seguirono l'esempio e negli anni Venti del Seicento anche i pittori di paesaggi e di nature morte iniziarono anch’essi a realizzare dipinti monocromi.
Nonostante tutti i pericoli che ritrae, Porcellis non pone mai troppa enfasi sulla distruzione spettacolare lo dimostra il fatto che non è mai rappresentato direttamente nessun grande relitto di navi.
L’osservatore è piuttosto invitato a capire che cosa succede gradualmente, ma si ferma sempre un attimo prima della tragedia. Le sue navi hanno una solida presenza nell'acqua e l'atmosfera grigia e nebbiosa contrasta e offusca l'orizzonte e le navi in ​​lontananza. La screziatura del cielo è proiettata dal sole sulla terra bruna che diventa verde alla luce.
Questi effetti non erano stati furono mai tentati da Vroom o dai suoi contemporanei, e davvero in Porcellis sono molto avanzati per la sua epoca. Questi esperimenti sarebbero sempre portati avanti nella preoccupazione per tutta la sua vita per le sottigliezze atmosferiche.
È noto che all'epoca di Porcellis la nave era considerata una metafora e il viaggio per mare era un simbolo della vita, per questo i temi marini come la tempesta in mare o il naufragio ricordano allo spettatore la fragilità umana e il potere divino. Ma non so se ai dipinti di Porcellis si possa attribuire un messaggio morale.
Nove opere su dieci di Porcellis prima del 1620 ritraggono navi della flotta olandese, che rappresentano battaglie, tempeste o vedute del porto argomenti familiari anche ai primi pittori di mare, ma la prima opera datata del 1620 segna un cambiamento nel suo stile.
Il dipinto ritrae piccole navi da trasporto che navigano in una fresca brezza. 7.

Questo è stato il primo dipinto olandese ad essere ambientato in un paesaggio marino non identificabile con i famosi porti. La magistrale disposizione e stilizzazione degli elementi formali indicano che Porcellis aveva raggiunto la maturità della sua opera nel momento in cui questa tavola fu dipinta.
Il periodo di Haarlem di Jan Porcellis, 1622-1624, fu l'inizio del suo periodo prospero in cui produsse dipinti nello stile delle vedute della spiaggia, una specialità locale. Questo periodo lo vede anche produrre opere di cielo quasi monocromatiche, caratterizzate da efficaci manipolazioni di luci e ombre.
I cieli di Porcellis sono stati rivoluzionari sotto molti aspetti come l'ambientazione, i sottili cambiamenti nel paesaggio e gli stati d'animo mutevoli come i cieli nordici. La maggior parte delle sue opere mature ritraggono il mare come ospitale, anche se scomodo o pericoloso.
Il contributo di Porcellis all'arte olandese risiede anche nella sua enfasi sugli effetti drammatici della luce, pur avendo una composizione generalmente contenuta.
Jan Porcellis ha elaborato un modo originale di pittura marina incentrato sugli effetti tonali, promuovendo atmosfere vivide e paesaggi marini in modo monocromatico. Come si vede in questo dipinto Navi in una tempesta vicino a una costa rocciosa. 8.



Questi elementi stilistici furono poi visti tra i suoi contemporanei come Jan van Goyen, Pieter de Molijn e Salomon van Ruysdael che, il più delle volte, seguivano Porcellis nelle sue raffigurazioni di navi anonime circondate da vaste distese di mare e cielo.
Piuttosto che essere commissionati, questi dipinti erano solitamente realizzati per la vendita sul mercato aperto, il che può riflettersi nella fluidità degli elementi stilistici non tradizionalmente caratteristici della pittura marina.
I suoi seguaci includevano suo figlio Julius, così come il fratello di sua moglie, “Henrick van Anthonissen” e “Simon de Vlieger”.
Le sue opere più famose sono esposte in importanti musei di tutto il mondo non solo nei Paesi Bassi, ma anche in Russia, Germania, Regno Unito, Francia e Nord America.

domenica 13 novembre 2022

Il Rinascimento nordico: lungo la Valle del Reno

Fresca è l'aria e l'ombra cala,
scorre il Reno quetamente;
sopra il monte raggia il sole
declinando all'occidente.

È Heinrich Heine tradotto da Diego Fabri che risuonava dolcemente nella memoria scolastica di me bambino mentre ricostruivo questa pagina di Arte fiorita alla fine del Medioevo sulle rive del grande fiume.
La Valle del Reno è anche sfondo di numerose leggende, come la “roccia di Loreley” e gli epici canti dei “Nibelunghi”, di antichi castelli e di fortezze arroccate che, nel Medievo, erano spesso in conflitto tra di loro per il controllo del fiume e fra il suono di corni di guerra sembra distinguere i canti sublimi della grande Ildegarde e delle sue consorelle. Vigneti scoscesi che ricoprono le alture circostanti dove il terrazzamento dei ripidi pendii ha modellato il paesaggio in molti modi per oltre due millenni definendo i tratti più pittoreschi della Valle del Reno.
Questo è il luogo dell’anima della lettura odierna.
Dal precedente racconto della Boemia si è visto che dal 1390 al 1420 circa, vi fu una notevole corrispondenza, anche particolarmente stretta, tra opere prodotte in regioni fra loro distanti dell'Europa occidentale, centrale e settentrionale, il che permette di stabilire un rapporto tra artisti come il “Maestro Francke” ad Amburgo, il “Maestro di Boucicaut” a Parigi poi a Milano, il renano “Maestro del Jardin de Paradis”, “Stefano da Verona”, che italiano non era ma che lo fu di formazione, gli italiani, “Gentile da Fabriano” e “Pisanello” e i franco-fiamminghi “fratelli di Limburgo”, al servizio, tra gli altri, del duca di Berry. Insomma quel tanto che basta per definire internazionale questa fase del Gotico.
Li osservo singolarmente, tenuto che il baricentro dell’area qui considerata è la Valle del grande fiume Reno che un tempo costituiva il “limes” occidentale dell’Impero romano e da sempre, come ogni frontiera, è stata luogo di scontro, ma anche e soprattutto di incontro di culture diverse. E così è avvenuto anche nella cultura del “Gotico internazionale”.
La zona renana, dalla Foresta Nera, dove il grande fiume nasce, fino al Mare del Nord dove sfocia, conobbe alla fine del Medioevo una fase di grande dinamismo economico e culturale.
Il Reno era una vera e propria autostrada per la sua navigabilità e con i suoi numerosi affluenti quasi tutti navigabili era una fitta rete viaria. Come nell’antichità il grande fiume riprese la sua importante funzione commerciale e insieme al Rodano i due fiumi erano stati per secoli nel mondo antico le vie del commercio fra mondo baltico e modo mediterraneo.
Ancora una volta il Reno assolse a questa funzione diventando una via di collegamento con la “Lega anseatica” e il cuore dell’Europa.
La Germania non era uno stato unitario, ma era segmentata, come l’Italia, in principati che dipendevano solo nominalmente dal potere centrale dell’Impero. Tra questi territori emergevano le città "libere", una sorta di “città-stato”, dotate di particolari concessioni che garantivano loro privilegi commerciali e un'ampia autonomia amministrativa.
Nel Trecento, ma di fatto anche prima, fra queste città era nata la “Lega anseatica”, un’associazione di città e di comunità mercantili, articolata in forma di federazione commerciale e difensiva, creata a metà del Trecento con sede a Lubecca e comprendeva città della Germania, oltre a insediamenti commerciali nel Mar Baltico, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Polonia, in Russia e in altri territori baltici.
Ben presto nelle città partecipanti si manifestò una cultura artistica e architettonica comune. Il cuore di questi centri era la “Piazza del mercato”, luogo simbolo delle attività cittadine, dove si affacciava il “Municipio”, edificio anch’esso simbolo del prestigio e della ricchezza locale. Nelle vicinanze si trovava poi spesso la cattedrale ovviamente gotica.
La loro architettura era caratterizzata da un esterno con mattoni a vista, anche negli edifici privati, mentre l'interno presentava di solito un'intonacatura a calce.
Per quanto riguarda la scultura, fu notevole la creazione di altari a scomparti, anche se purtroppo quello che ci è pervenuto è solo una parte minima della produzione originaria che fu invece vastissima.
Tornando sulle rive del Reno, in questa zona si sviluppò uno stile magico ed affascinante detto "stile cortese", “morbido”, “tenero”, l’aggettivo tedesco si può tradurre in vari modi, ma in ogni caso diverso dal drammatico ed espressivo Gotico che caratterizza generalmente l'arte tedesca.
Lungo questa valle lambita dal Reno c’erano importanti centri come Costanza, Basilea, ma il più attivo fu senz’altro Colonia dove esisteva, oltre a un florido commercio, una forte e dinamica committenza artistica sia laica sia religiosa. Fiorirono la scultura, la pittura, l'oreficeria, la miniatura. Le rappresentazioni erano spesso incentrate su immagini femminili sinuose ed eleganti, calate in atmosfere fiabesche.
Un dipinto emblematico dello sviluppo dello “stile cortese” in Germania è la “Madonna e santi nel giardino del Paradiso” [[1]], dipinto da un maestro anonimo che opera nella valle del Reno, il cosiddetto “Maestro dell'Alto Reno”, o “Maestro del Giardino del Paradiso di Francoforte”, un pittore, attivo nella regione nel primo quarto del Quattrocento, che deve il suo nome convenzionale, e si spera provvisorio, alla sua opera più famosa, il “Giardino del Paradiso”, conservata allo “Städel Art Institute” di Francoforte.


Questo maestro è particolarmente rappresentativo perché tutta la sua attenzione è concentrata sui minuziosi dettagli delle specie botaniche, degli strumenti musicali, degli uccelli variopinti.
È una graziosa tavoletta di non grandi dimensioni, misura infatti 26,3 x 33,4 cm databile intorno al 1410.
La collocazione di questo Maestro nella zona dell'Alto Reno, e più in particolare a Strasburgo in Alsazia, oggi gode di un ampio consenso tra gli storici dell'Arte in particolare per la presenza autenticata di altre due tavole, “La Natività della Vergine” e “Il dubbio di Giuseppe”, provenienti probabilmente da una grande pala, non più esistente, dedicata alla Vergine e dipinta per l'ex convento di Saint-Marc a Strasburgo, con il quale “Le Jardin de Paradis” mantiene somiglianze notevoli da poterne servire come prova.
Lo stile del “Maestro dell'Alto Reno” e le sue maniere lo rendono uno dei più alti rappresentanti del “Gotico internazionale”. Le forme sono chiare e raffinate e il gusto per i colori puri si riflette nella predilezione per il verde, il rosso, il blu e il bianco, eredi dell'eleganza e della grazia cortese. Ma a catturare l'attenzione è soprattutto la delicatezza con cui i personaggi sono rappresentati: visi da bambino con guance piene, bocche e menti piccoli, begli occhi finemente disegnati, teste piegate con grazia, mani dalle dita sottili, ecc. Contenuto e forma si uniscono per creare un'atmosfera morbida di contemplazione pacifica e meditazione serena.
Sebbene nessun documento consenta di definire con precisione i rapporti con gli altri pittori, lo stile del “Giardino del Paradiso” è segnato da un'evidente influenza della miniatura francese e la composizione della “Natività della Vergine” si dice direttamente ispirata da un affresco senese di Ambrogio Lorenzetti prodotto nel 1335 e oggi scomparso, ma probabilmente pervenuto a questo sconosciuto maestro tramite di una raccolta di disegni, o per opera di un seguace di Lorenzetti, come “Andrea di Bartolo”.
Inoltre, la cura dei dettagli, che dona a ogni personaggio una vera interiorità, anche se qualsiasi nozione di individualità sarebbe comunque assente, e la raffigurazione meticolosa della natura – piante e animali sono chiaramente identificabili nelle scene all'aperto – riflette la diffusione delle nuove idee dell'Umanesimo e del Rinascimento nella Renania all'inizio del Quattrocento.
I tentativi di identificare il pittore sono stati vani e la costituzione del corpus difficile. Sono ritenuti di mano del Maestro, oltre allo stesso “Giardino del Paradiso”, i due pannelli di Strasburgo, la “Natività della Vergine” e il “Dubbio di Giuseppe”, per i quali si è largamente acquisito un consenso. A questo gruppo di opere si aggiungono, meno certamente e i quattro pannelli della “Vita di Giuseppe”.
Al di là dei problemi filologici osserviamo la tavoletta del “Giardino del Paradiso” In un giardino fiorito e cinto da alte mura merlate, regna la Madonna, regina di questa corte, seduta presso un tavolo esagonale con cibi e bevande, mentre sfoglia un “Libro d'ore”. Sulla sinistra, una delle “Pie Donne” coglie frutti da un albero, in primo piano un'altra attinge dell’acqua con un mestolo d'oro alla “fontana della vita”, simbolo iconografico associato al battesimo, e la terza, forse “Santa Caterina d'Alessandria”, regge uno strumento musicale davanti a un Gesù Bambino, che lo sta suonando.
In primo piano sulla destra tre cavalieri, tengono una sorta di “sacra conversazione” e sorvegliano la piacevole scena: sono “San Giorgio”, identificabile dal drago morto riverso sotto di lui, “San Michele arcangelo”, con accanto una scimmia incatenata, simbolo del demonio domato, e “San Sebastiano”, addossato a un albero.
Questo dipinto è tra le realizzazioni più significative della pittura del “Gotico internazionale”, perché mostra l'attenzione degli artisti dell'epoca per i dettagli più minuti, sacrificando probabilmente la coerenza spaziale e la corretta disposizione compositiva delle figure: i personaggi sono infatti disposti in uno spazio non ancora dominato da un'impostazione logico-geometrica e tutta l'attenzione del pittore è dedicata ai minuziosi dettagli delle specie botaniche, degli strumenti musicali, degli uccelli colorati.
La scena sacra è solo un pretesto per mostrare un gruppo di giovani intenti alle più varie occupazioni di una corte: la lettura, la musica, la raccolta di frutti, la conversazione, l'abbeverarsi a una fresca fonte.
Il giardino murato, memoria dell’”hortus conclusus”, è pieno di fiori e di uccelli, rappresentati con notevole realismo ed è ricco di dettagli piacevoli ispirati al mondo cortese, come la scimmietta, la tavola imbandita, il giardino recintato con gli  iris e con altre piante da fiore.
Ma ora osserviamo in ordine, per quanto possibile cronologico, questi maestri, spesso anonimi, come l’autore di questa tavola, noto col nome convenzionale di “Maestro dell'alto Reno” forse tedesco, attivo intorno al 1410. Ma prima due parole ancora su questo ignoto artista, probabilmente dell'alto Reno e formatosi in Alsazia: a lui o alla sua cerchia si deve ancora attribuire una “Madonna delle fragole” [[2]] databile al 1425 circa e ora al “Museum der Stadt” di Soletta in Svizzera: la tavola prende nome dalla presenza delle fragole disseminate sul prato il cui rosso è un presagio della morte di Gesù.


Cronologicamente precedente e di rilievo si incontra “Bertram von Minden” noto come “Mastro Bertram” (1340 circa – 1414\15), uno dei più importanti pittori del “Gotico internazionale”.
Della sua formazione non si sa nulla di preciso: si ritiene che abbia imparato dagli artisti di corte dell'imperatore Carlo IV a Praga e alcuni storici dell'Arte attribuiscono la sua evoluzione stilistica a un presunto pellegrinaggio a Roma, ma è tutto troppo vago per essere attendibile. Esiste una sola certezza: questi “maestri” si muovevano molto e sono paragonabili in questo ai “mastri comacini” che prima e dopo il mille diffusero il verbo della costruzione in tutta l’Europa che risorgeva dopo secoli innegabilmente bui.
Sulla formazione di “Mastro Bertram” si possono dunque fare solo ipotesi: un possibile apprendistato a Minden in Renania, perché la cattedrale fu completata nel Trecento e doveva essere arredata. Poi Bertram, essendo un artigiano itinerante, può aver visitato grandi centri d'arte come Praga, sede dell'imperatore del “Sacro Romano Impero” Carlo IV, e, viaggiando lungo il Reno, visitò centri come Strasburgo in Alsazia e la città anseatica di Colonia. Nel 1367 fu menzionato per la prima volta come pittore ad Amburgo, la città porto sull’Elba, anch’essa parte dell’Hansa, ma doveva essere già noto anche come intagliatore di legno e come miniatore.
Mastro Bertram gestiva un grande laboratorio in cui pittori e intagliatori lavoravano per eseguire un'ampia varietà di ordini ed era assistito da due garzoni e due apprendisti. Per Amburgo e per gli amburghesi, lui e la sua bottega si sono occupati di incastonare, dipingere e di restaurare sculture, di miniare documenti e anche bisacce, nonché di un albero portacandele e di ciondoli e da Amburgo Bertram ricevette le più importanti commissioni artistiche dell'epoca, tra cui l'altare maggiore della “Chiesa di San Pietro”, la prima chiesa parrocchiale della città anseatica.
Quest’ancona d’altare è considerata la sua opera più importante e oggi è noto come “Grabower Altar” [[3]] che la tradizione vuole completato nel 1383.
Con le portelle aperte Bertram pose, su due registri di dodici dipinti ciascuno, diciotto scene tratte dalla “Genesi”, dalla “Creazione” fino alla “Storia di Isacco” e sei scene dell'”Infanzia di Cristo”, dall'”Annunciazione” alla “Fuga in Egitto”, al centro, sopra la predella, c’è la parte scolpita, collocata su due registri: in mezzo al cassone, la “Crocifissione”, tra due ordini sovrapposti di Profeti, Apostoli e Santi, posti in nicchie. Nei giorni non festivi, quando le ante erano chiuse, l'altare presentava una serie di scene dipinte ora perdute. Il complesso programma iconografico è stato attribuito a un teologo e giurista amburghese tale “Wilhelm Hoborch”.


In queste scene dalla tenue coloritura, le figure sono rese con una corporeità plastica, ma dalle proporzioni ancora piuttosto tozze.
Le opere di Bertram appartengono al “Gotico internazionale”, particolarmente popolare a Praga e a Strasburgo e per la grande affinità stilistica con i dipinti di “Mastro Theodorik” nel Castello di Karlstein, è possibile ipotizzare una linea di origine di mastro Bertram dalla pittura boema: per questo diversi storici dell'Arte considerano probabile che il più lungo soggiorno di Bertram sia avvenuto a Praga.
Non è trascurabile tuttavia un legame con l'arte della Vestfalia, che non può sorprendere dato il luogo di nascita di questo maestro: lo stile di Bertram è infatti attinente anche alla "Pala della Crocifissione" [[4]] di Osnabrück, realizzato da “Conrad von Soest” ed oggi custodito nel “Museo Wallraf-Richartz” di Colonia.


Le raffigurazioni di animali e di paesaggi nei dipinti di mastro Bertam mostrano anche una stretta vicinanza alla miniatura francese, che ha dato molto tono e molte dritte a tutto il “Gotico internazionale” tantoda poter immaginalre la miniatura l’arte guida. Dopo la morte di Bertram, un pittore di nome “Johannes” rilevò la sua casa e probabilmente fu anche il suo successore nella bottega amburghese.
“Conrad von Soest” originariamente “Conrad van Sost” (1370 circa – dopo 1422), era di Dortmund in Vestfalia cioè nella Renania settentrionale. Mastro Conrad fu principalmente un maestro di pittura su tavola e svolse un ruolo decisivo nell'introduzione del cosiddetto stile “cortese” del “Gotico internazionale” nella Germania settentrionale. La sua opera ebbe infatti effetti di vasta portata sulla pittura tedesca del Quattrocento.[[5]]


Le sue principali opere sopravvissute sono state influenzate dai manoscritti miniati francesi e da alcuni primi esempi a Parigi della prima pittura dei Paesi Bassi: la sua conoscenza dettagliata dei modelli e delle tecniche parigine lascia ipotizzare un soggiorno a Parigi negli anni Ottanta del Trecento.
L'“altare di Wildunger”, noto anche come “Pala della Crocifissione”, è una grande pala d'altare pieghevole, un tipo particolarmente diffuso nell'Europa centrale, in cui la teca fissa può essere chiusa da ante mobili. Quest’opera fu realizzata intorno al 1403 è l’elemento di maggior pregio nella “Chiesa evangelica” della città di Bad Wildungen ed è considerata un'opera fondamentale della pittura tedesca su tavola.
La pala è di grandi proporzione infatti aperta misura 189 × 611 cm. ed è costituita da tredici immagini dell'interno, mostra scene della “Vita della Vergine” e della “Passione di Cristo”, inclusa la più antica rappresentazione di vetri conosciuta a nord delle Alpi. Al centro della pala è raffigurata la “Crocifissione” sul cui retro è scritta una cronaca locale coeva piuttosto abrasa. Manca la predella su cui poggiava tutta la macchina.
Sul pannello laterale sinistro ci sono l'“Annunciazione” e la “Natività” in alto e a seguire l’ “Adorazione dei Magi” e l' “Offerta del bambino nel tempio”.
A sinistra della “Crocifissione” c'è l'“Ultima Cena”. A destra della grande immagine principale c'è la scena di “Gesù nell’orto degli ulivi”. Si prosegue sulla fascia destra con l' “Interrogatorio di Pilato” e accanto la “Flagellazione di Gesù”. 
In basso a sinistra accanto alla scena della Crocifissione c'è la “Resurrezione” e a destra l'“Ascensione”. Nell'ala destra ci sono le scene della “Pentecoste” e di “Cristo giudice del mondo”. Si dice che il consigliere teologico per il programma iconografico sia stato il cappellano “Conrad Stolle”, che lavorò a Wildungen intorno al 1400.
Lo stile e il tipo di altare di mastro Conrad sono propri della Vestfalia, ma basati sulla cultura figurativa francese mentre la scoperta dello spazio e della prospettiva sono dovute all'influsso della pittura borgognona.
Quest’opera ebbe una notevole influenza anche sulle regioni della Germania meridionale lungo il Reno.
Di “mastro Conrad” è anche Il “Marienaltar” [[6]], è un grande trittico con “Scene della vita della Vergine”, per la “Chiesa di Santa Maria” di Dortmund, datato intorno al 1420. Nel corso dei secoli la pala è stato più volte manipolata e oggi sopravvive solo come frammento. La lunetta e la predella della pala sono andate perdute.


Quest’opera è considerata un capolavoro del tardo gotico ed è uno splendido esempio dello “stile cortese”. La pala, concepita come un trittico, è l'ultima opera conosciuta del pittore e la completò poco prima della sua morte.
Originariamente era stata progettata come un’ancona d'altare con serratura, i pannelli all'esterno ora possono essere visti dal retro, ma in contrasto con l'interno, sono molto guasti.
Un grande protagonista, nel quale sono riconoscibili alcuni dei tratti più tipici del “Gotico internazionale”, fu “mastro Francke” (1380 circa – 1440 circa), noto anche come “frate Francke” perché apparteneva all’Ordine dei Frati Predicatori di Zutphen nei Paesi Bassi, quindi allo stesso ordine a cui apparteneva anche un altro frate pittore a lui contemporaneo, Beato Angelico.
A Parigi, mastro Francke studiò le “Arti liberali”, ma anche pittura nei laboratori dei miniatori: per ragioni stilistiche è infatti ipotizzabile la sua formazione in uno “scriptorium” parigino.
Il titolo di “maestro” ossia "Magister" attribuito a Francke suggerisce che abbia studiato teologia a Parigi e questo era perfettamente in linea con la tradizione dell'ordine domenicano di istruire i frati dotati, educandoli alla pittura e liberarli in cambio da altre mansioni. Secondo questa congettura, è anche possibile che frate Francke non abbia mai completato gli studi teologici e che il titolo di “maestro” non fosse dovuto un titolo universitario, ma fosse una specie di titolo onorifico.
Si stima che “mastro Francke” era giunto ad Amburgo intorno al 1420 al più tardi nel 1424 quando era entrato nel “Priorato di San Giovanni” ad Amburgo, che vi sia vissuto per circa una ventina d’anni, e che il suo sviluppo artistico sia stato un allontanamento dalla tendenza contemporanea: ad Amburgo, infatti l'arte di “mastro Francke” non aveva predecessori immediati, dal momento che “mastro Bertram”, precedente artista di spicco, era già morto intorno al 1415. “Maestro Francke” di lui non mostra quasi nessuna influenza, mentre potrebbe essere stato influenzato più dallo stile cortese di “Conrad von Soest”, di circa dieci anni più vecchio di “Maestro Francke”, che lavorò a Münster in Vestfalia. L'attività artistica di mastro Francke rimase inoltre anche senza un successore in città, sebbene il monastero domenicano fosse al centro di una fitta rete di relazioni delle varie forze socioeconomiche presenti in città. Ciò è evidente, tra l'altro, dal fatto che le “Confraternite dei Mercanti” in Inghilterra e nelle Fiandre possedevano cappelle nella Chiesa di San Giovanni, che oggi non esiste più come quasi tutto ad Amburgo: durante la notte fra il 27 e il 28 luglio 1943 ventuno chilometri quadrati della città furono infatti inceneriti dai bombardamenti inglesi. E questo succede in ogni guerra anche quando essa è “necessaria”.
“Maestro Francke” morì verosimilmente ad Amburgo, dove risiedeva alla fine della sua carriera.
“L'uomo dei dolori” [[7]] del 1435, appeso alla parete del coro nella chiesa principale di Amburgo, San Pietro e ora nella “Hamburger Kunsthalle”, è probabilmente l'ultimo dipinto creato dalla mano “mastro Francke”.



Di lui sopravvivono due polittici d'altare, dedicati uno a “San Tommaso di Canterbury” [[8]] molto frammentario e l’altro a “Santa Barbara” [[9]], questo fortunatamente conservato integro, caratterizzatati da uno stile intenso che mostra consapevolezza dell'arte della corte francese e della prima pittura dei Paesi Bassi.



Il Polittico di Santa Barbara del 1415, è una tempera su tavola di grandi dimensioni, oggi conservato al “Museo nazionale di Finlandia” di Helsinki e fu realizzato probabilmente per la Cattedrale del porto anseatico di “Turku” in Finlandia, con parti scolpite al centro, probabilmente opera della bottega del maestro scolpite su suo disegno, con il gruppo con la “Morte di Maria” e due rilievi in ciascuno dei lati interni degli sportelli con “Scene tratte dalla vita della Vergine”. Nelle doppie ante dipinte si trovano otto “Scene della vita di Santa Barbara”.

Le fonti si possono individuare sia nelle miniature francesi, sia nella pittura della Borgogna sia nell’ “Altare di Wildung” di “Conrad von Soest” per quanto attiene agli aspetti plastici.
Particolare importanza riveste la scena del “Tradimento e punizione dei pastori” [[10]] (91 x 54 cm.), considerata uno dei capolavori del “Gotico internazionale” europeo.
L'episodio narrato è quello di Dioscuro, padre di Barbara, e dei suoi aiutanti che stanno cercando con cattive intenzioni la fuggiasca Santa Barbara; fermatisi a chiedere informazioni a due pastori, essi vengono a sapere conoscenza della strada che essa ha preso. Per il tradimento della volontà divina dei pastori, le loro pecore furono trasformate in cavallette. Il pittore ha creato una scena surreale, dove ogni convenzione spaziale è abolita in favore di una nuova immediatezza narrativa. Dei due piani nei quali è composta la scena, il primo piano ha figure più piccole di quelle in secondo piano, oltre la cortina di alberi e rocce, che giganteggiano con la loro mole innaturale. La santa si trova in posizione defilata, ma è ben riconoscibile dall'aureola, sul lato destro, indicata sia dai pastori sia dal padre. Nel registro inferiore si vedono i due piccoli pastori, rappresentati con minuzia di particolari, che tradiscono la santa. La prodigiosa punizione del gregge trasformato in cavallette è rappresentata come in divenire, con la metà destra già trasformata in insetti; anche le cavallette, per convenzione espressiva, sono raffigurate grandi quasi quanto le pecore.
Altre scene sono dedicate alla fuga prodigiosa della santa, come quella del “Miracolo del muro” [[11]], che sorse improvvisamente per bloccare la strada al padre: anche in questo caso la santa è rappresentata mentre fugge serena in un'estremità del pannello, mentre in primo piano si vede il padre furioso che brandisce la spada e stringe il pugno.
Nel “Martirio di Santa Barbara” si vede la santa, col petto nudo, mentre è legata e torturata dai suoi aguzzini.

I mercanti amburghesi della Confraternita che operavano in Inghilterra commissionarono a “mastro Francke” la decorazione della loro cappella nella “Chiesa di San Giovanni” con la pala d'altare dedicata a “San Tommaso di Canterbury”, il santo che avevano eletto loro patrono in Inghilterra.
L'altare di Tommaso fu probabilmente eretto nel 1436, perché solo in quell’anno la cappella era diventata proprietà dei mercanti amburghesi in Inghilterra: prima infatti apparteneva alla Confraternita dei mercanti fiamminghi.
Sempre nel 1436, la confraternita mercantile tedesca fece erigere un “Altare della Trinità” nella chiesa domenicana di “Santa Caterina” a Tallinn in Estonia.
Il pannello di legno era stato portato ad Amburgo nel 1429 per essere dipinto lì da un "monaco nero", espressione presumibilmente riferita al mantello dell'abito domenicano. Il “monaco nero” molto probabilmente era il maestro Francke, ma appena 100 anni dopo, il 14 settembre 1524, la pala d'altare della Trinità fu distrutta nel corso dell'iconoclastia seguita alla Riforma protestante. I tre conventi domenicani di Tallinn, di Amburgo e Zutphen appartenevano tutti alla provincia domenicana della Sassonia.
Della “Pala d'altare di San Tommaso di Canterbury”, completata nel 1436, sopravvivono nella “Kunsthalle” di Amburgo solo nove pannelli che includono scene della “Passione”, della “Vita di Maria” e del “Martirio di San Tommaso Becket”, Arcivescovo di Canterbury. Questo santo era il patrono dei mercanti di Amburgo a Londra. Fu eretto probabilmente nella cappella di loro patronato della chiesa domenicana di San Giovanni ad Amburgo. La ricostruzione dei pannelli suggerisce che la pala d'altare fosse originariamente doppiamente visibile, con i pannelli più esterni tuttavia perduti. Alla prima apertura si potevano vedere le scene mariane e quelle di San Tommaso, che hanno lo stesso fondo rosso con stelle dorate. La seconda apertura dava una visione delle raffigurazioni della Passione su fondo oro. Le donne piangenti ai piedi della croce sono un frammento del pannello centrale, che un tempo mostrava una Crocifissione al centro.
“Mastro Francke” era un rappresentante del cosiddetto "stile cortese", in cui gli artisti si battevano per forme espressive più graziose e affascinanti in contrasto con le prime forme piuttosto rigide del gotico. “Mastro Francke” usava spesso questa dolcezza in uno stimolante contrasto con la rappresentazione cruda della violenza. La mimica facciale e i gesti dei suoi personaggi sono caratterizzanti. L’opera di “Mastro Francke” mostra approcci alla rappresentazione della profondità spaziale ed è caratterizzato dall'uso di colori forti e splendenti. Alcuni studiosi hanno tracciato controversi, come si è detto possibili parallelismi stilistici con la miniatura parigina del Quattrocento.
Dipinse figure molto originali, con le proporzioni rovesciate tra figure in primo e in secondo piano: si pensi alle famose Storie di santa Barbara dove in una scena dei cavalieri appaiono come giganti oltre la boscaglia mentre i contadini in primo piano sono molto più piccoli.
Nella sua arte si trova anche un forte risalto agli elementi più drammatici e truculenti, come nelle figure del Cristo dopo la passione, smagrito, deformato dal dolore e con il realistico sangue che cola ancora dalle ferite, oppure nelle scene di martirio, come quella di Tommaso Becket, dove non sono risparmiati i particolari più macabri, come la ricca veste vescovile macchiata dai fiotti di sangue delle ferite.
Probabilmente in area renana, o nell'estremo nord della Francia, si trovava la bottega del cosiddetto “maestro di Rimini”, specializzato nella produzione di sculture in alabastro durante l’ultimo quarto del Trecento e il primo del Quattrocento, poi esportate in tutta Europa.
Il “Maestro di Rimini”, detto anche “Maestro dell'Altare di Rimini” è uno scultore francese o fiammingo probabilmente di Tournai o di Lille, il cui floruit fu tra il Trecento e il Quattrocento. Questo artista fu titolare di una grande bottega di scultori attivi nella produzione di sculture in alabastro per commissioni diffuse in tutta Europa. Le sue opere oggi sono frammentarie e spesso decontestualizzate, al punto di rendere difficile la ricostruzione della sua attività, ma restano nel complesso di un livello qualitativo abbastanza elevato, quasi sempre i soggetti rappresentati sono caratterizzati da un'espressione colta e raffinata.
La sua origine e la sua attività si collocano al confine tra Francia e Belgio, non a caso nella regione di Arras, dove all'epoca fioriva l'arte della lavorazione dell'alabastro. Alcune considerazioni stilistiche suggeriscono che il laboratorio avesse sede a Tournai o Lille o nei dintorni. Altri studi, invece, hanno variamente legato la bottega alla Renania e ai Paesi Bassi, forse sintomo della concentrazione sotto un unico nome di figure di culture artistiche diverse. Il dettaglio più noto e più insolito della produzione di questo maestro è la presenza delle sue opere nei principali centri del nord Italia, per ragioni ancora incerte.
La ricostruzione della vasta e complessa produzione scultorea di questa bottega ruota attorno alla sua opera con la quale è identificato, l’“Altare della Crocifissione” [[12]] una volta a “Santa Maria delle Grazie” a Rimini e oggi alla “Liebieghaus” a Francoforte sul Meno, oltre ad altre opere italiane.

L'Altare della Crocifissione di Rimini è un gruppo scultoreo in alabastro, proveniente dal santuario francescano di Santa Maria delle Grazie a Rimini e oggi solo parzialmente conservato a Francoforte.
È considerata la più grande opera di questo misterioso maestro.
L'altare fu costruito intorno al 1430 per il santuario francescano di Rimini e rimase di proprietà del convento fino al 1910, quando i frati, per finanziare il rifacimento del tetto, dovettero venderla a un antiquario romano che a sua volta la vendette al museo tedesco, dove è ancora oggi conservata.
Il gruppo è costituito da un Crocifisso sul Calvario circondato dai dodici apostoli. L'attuale assetto museale, che colloca gli Apostoli divisi in due gruppi di sei, disposti in fila accanto alla Crocifissione, è puramente ipotetico e rappresenta solo un tentativo di ricostruzione.
Al centro è la Crocifissione, con il braccio verticale della croce particolarmente allungato, con alla base Maria Maddalena inginocchiata che abbraccia il “patibulum” della croce. Ai lati ci sono le croci dei due ladroni, molto più piccole. La croce di sinistra comprende alla base il gruppo di tre Marie con Longino, il soldato che trafisse il fianco di Gesù con una lancia, e un suo servo; la croce di destra comprende “Stefaton” che, secondo la tradizione medievale, offrì a Gesù la spugna imbevuta di aceto, un centurione e un giovane scalzo. Tra il gruppo di destra e la croce, isolato, c’è San Giovanni Evangelista.
Gli Apostoli, invece, sono tutti isolati gli uni dagli altri e caratterizzati ciascuno dai propri attributi iconografici.
Lo stato di conservazione delle parti superstiti è sostanzialmente buono, ma non c'è traccia della struttura che avrebbe dovuto contenerle. Un solo apostolo è senza testa.
La realizzazione delle sculture, nonostante l'affinità stilistica, suggerisce diverse concezioni stilistiche, perché gli Apostoli seguono un approccio consolidato e tradizionale, mentre il gruppo del Calvario appare molto più moderno. Si potrebbe immaginare che la parte centrale sia opera del maestro mentre le statue “a latere” siano opere degli allievi.
Gli apostoli hanno vesti quasi indistinguibili, costituite da una serie di tessuti piuttosto che da lunghi cappe, con grandi quantità di tessuti similmente drappeggiati. I volti sono abbastanza differenziati, ma le espressioni sono prive di individualità. In generale, gli Apostoli sono trattati in modo da apparire figure astratte e senza tempo, puramente simboliche nell'ambito della scena centrale.
Al Calvario, ogni figura è invece caratterizzata da una propria fisionomia che le conferisce il suo carattere peculiare. L'artista si serve della bruttezza per accentuare la cecità di Longino e la debolezza mentale del suo servo. Anche gli abiti degli spettatori della Crocifissione sono contemporanei all’epoca della realizzazione, dettagli che conferiscono alla scena centrale un'impronta incisiva di attualità e di realismo.
Non si sa se la bottega si sia trasferita in Italia cosa possibile ma è probabile che la bottega non si sia mai trasferita e che la sua produzione si sia specializzata in piccoli lavori, facili da trasportare, smontare e rimontare, e quindi destinati all'esportazione. Questo spiegherebbe perché tutte le opere ad essa relative sono piccole e perché sono disperse praticamente in tutta Europa, a prescindere dagli spostamenti che hanno subito nel corso dei secoli. Inoltre, l’iconoclastia operata nel Cinquecento, dopo la Riforma protestante nei paesi del Nord Europa, mai avvenuta nell'Italia della Controriforma, potrebbe essere all'origine di un pregiudizio e far credere che la bottega abbia lasciato più opere in Italia che altrove.

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