Scerbanenco (1911 – 1969), sebbene sia ancora piuttosto riduttivo, può essere considerato il padre del poliziesco italiano, colui al quale Lucarelli, Machiavelli e Pinketts debbono più di una semplice ispirazione: non a caso alcuni tra i maggiori registi italiani di gialli si siano cimentati nell’adattamento delle opere di Scerbanenco per il grande schermo.
Oggi che il panorama del giallo italiano è sempre più contaminato da influenze estere, che si moltiplicano gli scrittori, ma sembrano mancare i veri autori, è il caso di riscoprire un classico ancora poco conosciuto, capace di parlare all’Italia di oggi, nonostante faccia riferimento a quella di ieri.
Nunzia Monanni Scerbanenco, giornalista e scrittrice, ricorda Giorgio Scerbanenco e il suo Duca Lamberti nel volume “Il ritorno del duca” in questi termini Duca Lamberti, creatura nata dalla penna di suo marito: «Per Scerbanenco, mio compagno di vita, Duca Lamberti era il suo alter ego, quello che lui avrebbe voluto essere sia fisicamente sia psicologicamente. Giovane, bello, alto magro, bruno, forte: un romagnolo esplosivo e irriducibile, senza paura con lo sguardo cattivo, ma dolcissimo negli affetti familiari. Sicuro e deciso. Unica sua incertezza la difficile scelta fra l’essere poliziotto o medico».
Con l'antologia “Il ritorno del Duca”, edita da Garzanti a cura di Gian Franco Orsi, sedici 16 giallisti riportano in vita Duca Lamberti, il medico investigatore nato dalla fantasia di Scerbanenco. Sedici autori dei giorni nostri rendono omaggio a Scerbanenco con sedici storie, ciascuna delle quali rappresenta in maniera personale il personaggio di Duca Lamberti e reinterpreta le atmosfere "noir" evocate da Scerbanenco, autore chiave della storia del noir europeo.
Oltre agli inediti di Scerbanenco, tracce di romanzi che l'autore non riuscì a scrivere, l’antologia propone i racconti “Medicina nera” di Alan D. Altieri, “Temendo l'inverno imminente” di Matteo Bortolotti, “L'anniversario” di Alfredo Colitto, “Duca e l'invertito” di Leonardo Gori, “Non si impara niente” di Carmen Iarrera, “Preludio a un massacro di inizio anno” di Diana Lama, “Lo sguardo di Mussolini” di Ernesto G. Laura, “La bionda della valanga” di Nunzia Monanni Scerbanenco, “Salto nel buio” di Giancarlo Narciso, “La faccia del vincitore” di Ben Pastor, “E i modenesi alla domenica” di Giuseppe Pederiali, “Duca e il professore” di Patrizia Pesaresi, “La morte risale a ieri sera” di Biagio Proietti, “L'ultima donna e la prima televisione” di Claudia Salvatori, “Bassa stagione” di Giampaolo Simi, “Duca Lamberti in crociera” di Diego Zandel.
Perché questo tardivo omaggio a Scerbanenco? Perché i quattro romanzi del ciclo di Duca Lamberti, pubblicati fra il 1966 e il 1969, rivoluzionarono la letteratura noir italiana e sono divenuti nel tempo pietre miliari di riferimento per più generazioni di lettori e narratori. In quelle storie come ben sottolineava nel 1968 il critico del giornale francese Le Combat: «soffocata dal caldo, madida di pioggia o persa nella nebbia ma sempre velenosa, Milano diviene una grande città mitica!». A più di quarant’anni dalla sua nascita, l’eroe protagonista di quelle storie di Scerbanenco riappare in quest’antologia speciale che contiene non solo sedici omaggi di autori italiani contemporanei, ma anche le trame complete del quinto e del sesto romanzo che avrebbero proseguito quella saga, se solo Scerbanenco non fosse prematuramente scomparso nel 1969.
I titoli di queste opere sono: “I pulcini e il sadico”, ma l’autore aveva anche ipotizzato “I signori muoiono in silenzio”, “So morire da me” e “Safari per un mostro”.
Nella prima storia scopriamo che Duca Lamberti, riammesso nell’ordine dei medici si sarebbe sposato con la sua amata Livia Ussaro: si segue così, passo a passo, la luna di miele dei neosposi in Francia, un luogo non particolarmente amato da Duca. Il loro viaggio in auto si trasforma, però ben presto in un incubo, visto che i due si troveranno ad occuparsi, loro malgrado, del caso di un assassino e seviziatore di bambini, abituato ad abbandonare i corpi delle sue vittime in riva ai fiumi.
Nel secondo abbozzo di romanzo “Le sei assassine”, del quale è proposto in volume oltre alla sinossi anche il primo capitolo autografo rimasto incompiuto, Lamberti è alle prese con un giallo enigmatico: l’omicidio del playboy Goffredo Borsaris, della cui morte sono sospettate sei misteriose donne a causa di un’enigmatica lettera anonima.
Le due trame preparate da Giorgio Scerbanenco sono molto precise e dettagliate ed è molto probabile che lo scrittore, come era nel suo stile, le avrebbe seguite nel minimo dettaglio.
Per quanto riguarda invece i racconti-omaggio contenuti ne “Il ritorno del Duca”, il curatore del volume Gianfranco Orsi spiega come tutti gli autori coinvolti abbiano aderito immediatamente con entusiasmo all’operazione. «C'è chi ha privilegiato il personaggio di Mascaranti; chi ha fatto incontrare Arthur Jelling e con Duca Lamberti; chi ha sdraiato Duca sul letto dello psicanalista Musatti; chi lo ha coinvolto nel periodo più buio del terrorismo; chi ha imbarcato un Duca Lamberti avanti negli anni su una nave da crociera nel Mediterraneo; chi lo ha ringiovanito agli anni universitari e chi a quelli dell’infanzia, mettendone già in risalto le doti di investigatore...».
Ed è sintomatico che molti dei racconti puntino sul ruolo di medico di Duca Lamberti a partire da “Medicina Nera” di Sergio Altieri che apre la raccolta. Duca è divenuto consulente di patologia forense e ci appare nelle prime pagine, mentre rende omaggio alla tomba della sua Livia Ussaro. «Un eroe bruciato - come racconta Sergio Altieri - oltre la soglia di un ennesimo “Secolo Maledetto”. Un guerriero ormai canuto. Ma che comunque non esita a “scrutare nell’abisso”».
Un medico capace di combattere con le sue stesse armi un terribile caif della mafia nigeriana, un uomo molto diverso da quello che ci appare in una storia come “La bionda della valanga” di Nunzia Monanni, in cui lo vediamo all’opera «in un reparto di chirurgia d’urgenza, dove ha a che fare non solo con incidenti, traumi e malattie acute, ma anche con vittime, e artefici di crimini violenti; e, naturalmente, con la polizia».
Lo sceneggiatore e regista Biagio Proietti ha ripercorso nel suo racconto “La morte risale a ieri sera” la lavorazione cinematografica dell’adattamento de “I milanesi ammazzano al sabato” da lui stesso sceneggiato nel 1970. Sul set del film si aggira proprio Duca Lamberti che assiste alla realizzazione di una fiction dedicata a una delle sue più drammatiche indagini e si trova a muoversi fianco a fianco del regista Puccio Binari, sotto le cui mentite spoglie Proietti cela il vero Duccio Tesseri, che gli chiede di fare da consulente per la realizzazione della pellicola. E sempre Duca si troverà anni dopo sull’ambulanza che troverà morto suicida l’attore Mark, nel quale è facile riconoscere il Frank Wolff della realtà, che aveva interpretato il suo ruolo al cinema. In queste tre storie sintomatiche troviamo tre elementi basilari del dna di Duca: la rabbia, il coraggio e la pietà.
Si è detto all’inizio che sarebbe riduttivo considerare Scerbanenco solo uno scrittore di genere, nello specifico del noir ma Giorgio Scerbanenco oltre che lo “scrittore e giornalista italiano di origine ucraina” è stato un autore dotato di incredibile prolificità e versatilità e, soprattutto, poliedrico ed eclettico, capace di muoversi a suo agio tra i generi più disparati. Giocando con i tutti i “colori” della letteratura di genere, egli mischia tranquillamente il giallo con il rosa e con il rosso del sangue e della passione, spruzzando su tutto un po’ di nero. Così, nei suoi libri, l’amore va a braccetto con la morte, le lame affilate dei coltelli si alternano alla dolcezza dei baci appassionati e la felicità può essere raggiunta solo pagando l’altissimo prezzo di un sacrificio estremo. Scerbanenco ha spaziato in ogni campo della narrativa, perfino nel western e nella fantascienza, ma Milano ed i suoi ambienti sono i veri protagonisti dei suoi romanzi: sarebbe incomprensibile lo scarto letterario di Scerbanenco se non si tenesse conto del ruolo privilegiato che egli conferisce agli ambienti milanesi, che trasudano di odio, d’amore e di una violenza talora efferata, incrociata con la lussuria, ma essi sono anche ricchi di dolcezza e di poesia, con punte di struggente lirismo. Le stesse tematiche dei suoi romanzi, prostituzione, bullismo, traffico d’armi, alcolismo, aborto ed eutanasia fanno di Scerbanenco, più volte definito dispregiativamente “macchina per scrivere” un lucido osservatore della società nella quale è vissuto ed uno scrittore profetico, capace di individuare problematiche che sarebbero diventate poi scottanti nella realtà odierna.
Nato a Kiev, nell'allora Russia imperiale, da padre ucraino e da madre italiana, in tenera età, Scerbanenco si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano, al seguito della madre: suo padre fu ucciso durante la rivoluzione russa, sua madre morì pochi anni più tardi. Costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi, egli praticò molti mestieri, l’operaio, il conduttore di ambulanze, il fresatore, il magazziniere ed il fattorino, prima di arrivare al mondo dell'editoria.
Scerbanenco collaborò a numerose riviste, tra cui noti settimanali femminili, come "Novella", "Bella" e "Annabella": su quest’ultimo ha tenuto la famosa rubrica "La posta di Adrian", come correttore di bozze, ed ha inoltre ricoperto importanti incarichi redazionali e direttivi in alcuni settimanali femminili, sempre ritenendosi di lingua madre italiana e soffrendo l'essere considerato "straniero", nonostante i suoi romanzi fossero pubblicati dai più grandi editori italiani ed il successo di pubblico.
Da un po’ di anni a questa parte è in corso la riscoperta di Scerbanenco con la conseguente pubblicazione di molte delle sue opere.
Il suo esordio narrativo è del 1935 con Gli uomini in grigio, cui seguirono nel 1938 Il terzo amore presso Rizzoli e nel 1939, Il paese senza cielo.
Negli anni Quaranta per il ciclo Supergiallo Mondadori, ideò la figura di Arthur Jelling, un archivista della polizia di Boston, il suo primo romanzo giallo fu “Sei giorni di preavviso” del 1940, cui seguirono altri quattro romanzi: La bambola cieca del 1941, Nessuno è colpevole del 1941, L’antro dei filosofi del 1942 ed Il cane che parla del 1942.
Nel frattempo negli anni Cinquanta Scerbanenco inizia un altro ciclo di Romanzi detto “Il ciclo messicano”, che comprende “Il grande incanto” del 1948, “La mia ragazza di Magdalena” del 1949, “La luna messicana” 1949 ed “Innamorati” del 1951.
Solo dal dopoguerra, tuttavia, la vena artistica di Scerbanenco potè scatenarsi senza impedimenti, offrendo al lettore il ritratto di un’Italia malinconica e crudele, terribilmente simile a quella dei giorni nostri, un’Italia cui lo scrittore guardava con l’occhio attento di un critico, che non si lascia ingannare dalle false promesse del boom economico e della rinascita: a poco a poco arrivano le industrie, gli elettrodomestici, il progresso, ma il degrado resta quello di sempre, anzi, aumenta, come aumenta la criminalità.
Scerbanenco parlava di questo degrado: a lui bastavano poche righe per tratteggiare perfettamente l’universo delle periferie, delle grandi città, Milano in primo luogo, congestionate dal traffico, dalla folla, freddi polmoni d’acciaio imbevuti di egoismo, dove i giovani crescono circondati da fabbriche e da palazzoni antiestetici, dove non c’è futuro, dove si muore per pochi spiccioli e dove anche sognare diventa una colpa da espiare.
In un posto come questo, a contatto con ladruncoli e bestemmiatori, sono nati e cresciuti Duilio e Simona nel romanzo “Al mare con la ragazza” del 1950 che, nonostante tutto, hanno imparato ad amarsi. Il loro unico desiderio è quello di poter, un giorno, vedere il mare che da piccoli confondevano con l’acqua fangosa delle pozzanghere in cui sguazzavano. Un desiderio semplice, innocente che li porterà a scontrarsi con l’amara realtà di un destino tragico; per andare al mare ci vogliono soldi e i soldi, purtroppo, in un simile contesto, non si possono racimolare che in modo illecito: una rapina, un colpo di rivoltella, il sangue, il sedile grigio che diventa sempre più scuro e Simona, immobile. Per inseguire una speranza Duilio si ritrova così a guidare come un automa, con il cadavere della fidanzata chiuso nel bagagliaio e la polizia alle calcagna.
Scerbanenco non lascia spazio alla consolazione, nessuno può salvarsi da un abbrutimento quasi fisiologico: Milla, nel romanzo “La ragazza dell’addio” del 1956, non è bella, ma ha tutto quello che una ragazza della sua età potrebbe desiderare: una splendida villa, amici, soldi e il grande affetto di suo padre, eppure passa le giornate a struggersi d’amore per Martino, un bravo ragazzo di estrazione umile e che, dal canto suo, non sa se frequentarla spinto da un sentimento sincero o da interesse. La profonda indagine psicologica è la reale protagonista di questo romanzo: l’autore scava nell’animo dei personaggi, traendone delle figure tristi e appassionate, attanagliate da continui dubbi e incapaci anche solo di scorgere una felicità che parrebbe offerta su un piatto d’argento.
Secondo l’idea di Scerbanenco anche i ricchi soffrono, e del resto, egli nei suoi libri non fa sconti a nessuno. Ad esempio Emanuela Sinistalqui, protagonista del romanzo “Dove il sole non sorge mai”, ha quasi sedici anni ed è una contessa, ma questo non impedisce che sia accusata, per un errore, di aver aiutato tre criminali a compiere una rapina e che sia rinchiusa prima in un sudicio riformatorio, tormentata da cimici e altri insetti, e poi in un severo istituto di correzione, insieme a piccole delinquenti e ragazze difficili, umiliata e controllata a vista da istitutrici-secondine. Scerbanenco racconta una discesa all’inferno: gli interrogatori avvilenti, i dialoghi sboccati delle compagne di stanza, gli sguardi di disprezzo, il terrore di rimanere confinata per sempre in un luogo dove appunto il sole non sorge mai; infine, racconta il turpe retroscena della vicenda: una nonna, rispettabile e stimata nobildonna, che riceve uomini e trasforma la sua casa in uno squallido bordello.
Le armi con le quali Scerbanenco combatteva la società che aveva di fronte, i suoi lati oscuri, le perversioni, le ossessioni che la inquinano sono l’ironia ed il sarcasmo e, nel corso degli anni, regala ai lettori centinaia di altri personaggi tutti ugualmente indimenticabili.
Queste ultime pubblicazioni, appartenenti al cosiddetto ciclo di romanzi "neri", sono le opere più famose di Scerbanenco e quelle per cui ancora oggi è ricordato tra i migliori autori di genere giallo italiano. Non vi è dubbio, infatti, che Scerbanenco sia da considerare tuttora il maestro ideale dei giallisti italiani, almeno dagli anni settanta, ma i suoi romanzi, oltre ad essere dei piccoli gioielli del noir, riletti oggi, appaiono anche come uno spaccato umano ed amaro dei nostri anni Sessanta, che rivelano un’Italia difficile, persino cattiva, ansiosa di emergere, ma disincantata, certo lontana dalla immagine edulcorata e brillante, che spesso è data degli anni del boom economico. È un’Italia reduce dalla seconda guerra mondiale, una nazione falcidiata dai bombardamenti, le città sono in ginocchio moralmente ed economicamente e la ricostruzione del paese appare lenta e difficoltosa.
Vent’anni più tardi, una sequela di avvenimenti riguardanti la storia economica ed industriale Italiana portano la nazione verso un progressivo arricchimento, tale che all’inizio degli anni ’60 si giunge a definire quel momento storico il “Miracolo economico”, ma, mentre si verifica in tutta Italia il “Boom Economico”, se da un lato vi è l’aspetto positivo del boom, dall’altro nel capoluogo lombardo è coltivata una violenza sempre meno romantica e sempre più cinica.
Milano si scopre città violenta, dura e aspra, che cresce su se stessa, perdendo la propria identità. Il tempo della “ligera”, la mala romantica e senza pistola è finito e Milano è diventata come Chicago. La “ligera”, principalmente composta di ladri, truffatori, rapinatori, piccoli estorsori e papponi, ha poco a che fare con le grandi potenze del crimine organizzato italiano, anche se si può dire che dalle sue file sono usciti criminali del calibro di Renato Vallanzasca e Luciano Lutring.
Giorgio Scerbanenco descrive Milano e gli anni ‘60 in maniera diversa, capta i processi violentissimi provocati dalla modernizzazione, riversando nelle pagine dei suoi romanzi, senso morale e senso di indignazione. Milano è lo specchio scuro del Boom.
Il successo di Scerbanenco arrivò però con la serie dedicata a Duca Lamberti, perché solo con questi romanzi Scerbanenco iniziò nel 1966 a diventare affermato al grande pubblico, appena tre anni prima della sua morte.
“Venere Privata” è un romanzo nato da una sfida che Scerbanenco volle lanciare al suo editore Garzanti, dichiarandogli che avrebbe inviato un manoscritto, un giallo, così, per gioco.
Oreste del Buono, allora responsabile di “Gialli Garzanti” rimase colpito dalla vena tagliente, cinica, spietata, straordinariamente “noir”, di uno scrittore fino ad allora considerato di genere per la sua produzione “rosa”, sebbene di “rosa” Scerbanenco non abbia mai scritto.
Era il 1966 e con quel romanzo della sua seconda nascita letteraria, Scerbanenco si guadagnerà gli appellativi di “Maigret dei Navigli” “Simenon della Scala”, personaggio ed autore non assimilabili all’italo-ucraino, fondatore di un nuovo modo di scrivere, solo a torto e riduttivamente considerato il “padre” del giallo italiano: in effetti, Scerbanenco non scrive gialli, come non scrive romanzi rosa, ed il suo modo di raccontare non assomiglia nemmeno al noir americano francese ed inglese. Scerbanenco si inventa un modo completamente nuovo e diverso di raccontare le sue storie, storie nere fatte da uomini soli e da situazioni cupe, dalle quali sembra non esserci nessuna via di scampo al di fuori del vivere.
Questa è la chiave di lettura per capire Scerbanenco: a lui non bastava creare dei personaggi, egli li viveva, si immedesimava in loro, spesso erano proprie proiezioni, altre volte erano resoconti di vite altrui che solo un grande ascoltatore di anime poteva racchiudere in 100 o poche più pagine.
Questa brevissima digressione, riguardante lo Scerbanenco uomo-scrittore è necessaria per introdurre “Venere privata”, il primo romanzo della tetralogia di Duca Lamberti.
Il romanzo è ambientato nella Milano degli anni Sessanta, una Milano violenta e spietata, dominata dai trafficanti di droga e dal mercato della prostituzione. Il prologo iniziale dà un saggio dello stile di Scerbanenco: dialoghi diretti e brevi, uno stile rapido ed incalzante, non privo tuttavia di particolari descrittivi.
«"Come si chiama lei?"
"Marangoni Antonio, io sto lì, alla Cascina Luasca, sono più di cinquant'anni che tutte le mattine vado a Rogoredo in bicicletta.”.
"Non state a perdere tempo con questi vecchi, torniamo al giornale.”.
"E' lui che ha scoperta la ragazza, ce la può descrivere, se no dobbiamo passare all'obitorio e siamo in ritardo."
"Io l'ho vista quando è arrivata l'ambulanza, era vestita di celeste."
"Vestita di celeste. Capelli?"
"Scuri, ma non neri."
"Scuri, ma non neri."
"Aveva dei grandi occhiali da sole, rotondi."
"Occhiali da sole, rotondi."
"Non si vedeva quasi niente del viso, era coperto dai capelli."
"Andate via, non c'è niente da vedere."
"Non c'è niente da vedere, l'agente ha ragione, torniamo al giornale."
"Andate via, andate via. Non dovevate andare a scuola?"
"Già, qui è pieno di ragazzini."
"Quando sono arrivato io si sentiva odore di sangue."
"Dica, dica, signora Marangoni."
"Si sentiva odore di sangue."
"Naturale, era dissanguata."
"Non si sentiva nessun odore, era passato troppo tempo, siamo arrivati qui con la camionetta."
"Dica, dica, agente."
"In questura vi dicono tutto, io sono qui per tenere lontano questa marmaglia, non parlo coi giornalisti. Ma non c'era odore di sangue, non ci può essere."
"L'ho sentito io, e ho il naso buono. Sono sceso in bicicletta perchè dovevo spandere acqua, ho appoggiato la bicicletta in terra."
"Dica, dica, signora Marangoni."
"Mi sono avvicinato a quei cespugli, ecco, proprio quelli, e così ho visto la scarpa, il piede insomma."
"Andate via, circolate, non c'è niente da vedere, tutta questa gente per vedere un pezzo di prato vuoto."
"Io al principio ho visto solo la scarpa, il piede dentro non lo vedevo, ho allungato la mano."
"Alberta Radelli, ventitré anni, commessa, trovata a Metanopoli, località cascina Luasca, il cadavere è stato scoperto alle cinque e mezzo del mattino dal signor Marangoni Antonio, abito celeste, capelli scuri ma non neri, occhiali rotondi, io comincio a telefonare questo, poi torno a riprenderti."
"Allora ho sentito che dentro la scarpa c'era il piede e sono rimasto male, ho scostato tutte quelle erbacce e l'ho vista, si capiva subito che era morta."»
Duca Lamberti è figlio di un poliziotto di origini romagnole che, dopo aver prestato servizio in Sicilia, dov’era stato accoltellato in servizio da un mafioso, che lo aveva privato dell'uso di un braccio e lo aveva relegato a lavori di ufficio, fu trasferito a Milano, presso la Questura di via Fatebenefratelli.
Grazie ai sacrifici del padre e dietro la sua spinta, Duca consegue la laurea in medicina ed inizia ad esercitare la professione medica presso una rinomata clinica. Il giovane medico ha in cura un'anziana signora, ormai allo stadio terminale e, dietro sua esplicita richiesta, le somministra un'iniezione letale. Duca è processato per aver praticato l'eutanasia ed è condannato a tre anni di carcere che sconta a San Vittore.
Il padre di Duca non riesce a sostenere gli eventi e muore a pochi giorni dalla sentenza. Duca Lamberti è dunque prima di tutto un uomo, un uomo particolare, che comincia a presentarsi, parlandoci del suo passato. Duca Lamberti esce dal carcere. Dopo tre anni con una sigaretta accesa ad osservare i sassolini che costituiscono il ciottolato dei lunghi viali di Milano, immensi, per chi non vede spazi aperti da qualche anno.
Scerbanenco dosa i fatti come è nel suo stile, con tempi cinematografici, con lunghissime pause, in cui il lettore non è oggetto passivo ma attivissimo spettatore di un film.
Durante la carcerazione, Càrrua, amico e collega del padre, si occuperà del sostentamento della sorella di Duca, Lorenza e della piccola Sara, nata da una relazione illegittima di Lorenza. Appena Duca esce dal carcere è aiutato da Càrrua, che gli procura un incarico molto confidenziale. Duca trasforma la particolare situazione in una vera e propria indagine poliziesca, andando contro ogni superficialità e perbenismo. Durante questa indagine è affiancato dall'agente Mascaranti che d'ora in poi sarà al suo fianco in ogni indagine. Duca incontra anche la giovane laureata Livia Ussaro, tragicamente coinvolta nell'indagine e che diventerà la sua compagna.
In “Venere privata” sono dunque presentati tutti o quasi i personaggi che fanno parte del breve ciclo dell’investigatore milanese.
Ciò che è fondamentale per capire l’essenza del ciclo di Duca e quello dei racconti della Milano nera è l’unicità con cui l’autore sa afferrare gli stati d’animo dei suoi personaggi, tutti metaforicamente raggruppati in una stanza e pronti ad esplodere al primo contrasto interiore, alla prima piccola nevrosi, senza eccedere nella psicanalisi, ma avendo comunque un substrato filosofico. I filosofi che attraggono Scerbanenco traspaiono nelle sue pagine, in “Venere privata” ad esempio Livia Ussaro per Duca-Scerbanenco “è un po’ troppo Kantiana” dietro le cui parole “c’erano degli imperativi categorici e dei prolegomeni a qualunque metafisica futura voglia presentarsi come scienza”.
Duca, uomo dalla grande moralità e dalla grande umanità, che non riesce a rimanere indifferente da poliziotto quale si sente di fronte ai casi che mano a mano si trova ad affrontare è invece di altra natura.
Molto appropriato è, infatti, quanto sostiene Andrea G. Pinketts nel documentario “Scerbanenco Noir”[1], il quale afferma che la differenza sostanziale tra gli investigatori italiani creati dalle penne di altri noiristi e Duca Lamberti è che quest’ultimo “si incazza”.
Ciò non è cosa da poco, non solo per il contesto sociale nel quale esso si ritrova, siamo nel periodo del Boom e l’Italia si sta risollevando, ma soprattutto perché a differenza di altri personaggi totalmente positivi, a tratti quasi super eroici, Duca Lamberti è uomo, con tutti i suoi limiti, ma dotato di sentimento, di passione, di cuore. Duca Lamberti si rivela un “Poliziotto solitudine e rabbia” e, grazie al suo autore, rivoluziona le regole e gli stilemi del noir, ispirando non solo gli scrittori che verranno in seguito, ma anche una generazione di registi, come ad esempio Duccio Tessari e Fernando Di Leo che, in modo più o meno diretto, renderanno sempre omaggio al maestro Scerbanenco, reo di aver rappresentato, una città, Milano in rapida evoluzione, che cresce su se stessa smarrendo la propria identità, una città dove la malavita non colpisce più di fioretto, ma dove ormai con in braccio un mitra si può rivoltare l’ordine sociale: insomma, Scerbanenco anticipa e racconta l’Italia che verrà.
Nella prima indagine descritta in Venere privata, Duca Lamberti è appena uscito dal carcere e Càrrua gli procura la prima occupazione: dovrà aiutare Davide Auseri ad uscire dal tunnel dell'alcolismo. Davide è il figlio dell'ingegner Auseri, importante industriale della plastica della Brianza. È un ragazzo tanto ricco quanto solo, ma ben presto Duca scopre che Davide è un ragazzo normale e solo un trauma potrebbe averlo spinto a cercare un solitario rifugio nel whisky: Davide, infatti, confessa di sentirsi responsabile per il suicidio di un'occasionale prostituta, Alberta Radelli, da lui accompagnata in un rapido viaggio da Milano a Roma e ritorno. Un anno prima, Davide aveva conosciuto casualmente Alberta e dopo aver passato una giornata insieme l'aveva abbandonata presso Metanopoli. Il giorno seguente Davide aveva letto su “La Notte” del ritrovamento del cadavere della ragazza con le vene tagliate.
Alberta aveva fatto cadere sulla Giulietta del ragazzo un piccolo oggetto, sconosciuto per Davide, e che solo ora Duca riconosce come il rullino fotografico Minox.
La stampa delle foto rivela le pose nude della bruna Alberta e di un'altra ragazza bionda. Da qui parte la vera indagine poliziesca, che porta Lamberti ed Auseri ed i reali investigatori di polizia Càrrua e Mascaranti a ricostruire la triste vicenda degli omicidi di Alberta Radelli e di Maurilia Arbati, la bionda presente nelle foto di nudo, ritrovata annegata nel Tevere nei giorni seguenti alla scoperta del suicidio inscenato per Alberta.
L'indagine porta Duca a fare la conoscenza di Livia Ussaro, una giovane laureata amica di Alberta. Livia si limiterà a riferire le confidenze di Alberta in merito al servizio fotografico, Duca Lamberti scopre che le due ragazze, oltre ad essere prostitute occasionali, posavano entrambe come modelle per foto pornografiche in un fantomatico studio gestito da un tedesco, ma offrirà persino la sua collaborazione a fare da esca per cercare di individuare qualcuno degli organizzatori del traffico internazionale di prostituzione che si cela dietro a tutta questa storia.
Nel successivo romanzo, “Traditori di tutti”, Duca è coinvolto nell'indagine sulla morte dell'avvocato Sompani, suo compagno di carcere e riesce a smascherare una banda dedita al traffico d'armi e di droga. Durante questa indagine Duca acquista la consapevolezza di essere tagliato per fare l'investigatore e decide di accettare la proposta di Càrrua e di diventare poliziotto presso la Questura di Milano.
Duca Lamberti ha conosciuto l'avvocato Sompani in carcere, ma non ha mai stretto amicizia con quel personaggio "repellente".
Turiddu Sompani è stato trovato nel naviglio pavese: è annegato all'interno di una Fiat 1300 assieme ad Adele Terrini. È una strana coincidenza: l'avvocato, infatti, era in carcere perché ritenuto responsabile dell'annegamento di un suo amico, ritrovato nella sua auto insieme con una donna, nel Lambro, vicino alla Conca Fallata. In Piazza Leonardo da Vinci la primavera entra nell'appartamento di Duca, ma la quiete è interrotta. Chi è il signor Silvano Solvere, che si presenta a casa di Lamberti come un caro amico di Turiddu. Chi sarà la misteriosa signorina per cui Solvere chiede di eseguire un delicato intervento chirurgico, offrendo un'elevata ricompensa e un particolare interessamento per la riammissione di Lamberti all'ordine medico?
Duca è coinvolto suo malgrado in una vicenda tragica e complicata: subito intuisce che sarà necessario il sostegno e l'aiuto di Càrrua. L'accordo è fatto, seguito dal fido agente Mascaranti, Duca esegue l'imenoplastica su Giovanna Marelli, una giovane commessa originaria di Romano Banco, presso Buccinasco. Dopo l'intervento, la ragazza deve rimanere ferma e riposare, ma non dorme e racconta la sua vicenda al dottore. Giovanna il giorno seguente dovrebbe sposare Ulrico Brambilla, il ricco macellaio proprietario della macelleria di Ca' Tarino e di altre tre tra Milano, Romano Banco e Buccinasco. Lei non lo ama, il suo uomo è Silvano. Poche ore dopo Giovanna lascia l'appartamento e sale sull'auto dove Silvano l'aspetta.
L'agente Morini su un'auto civetta segue i due, mentre costeggiano il naviglio pavese verso Buccinasco. Scoppia un violento temporale ed accade l'imprevisto. L'auto di Silvano, incrociando un'altra auto è crivellata di proiettili e ormai fuori controllo piomba nel naviglio.
Duca non sa ancora nulla dell'accaduto, quando inizia a ricostruire i dettagli di quanto raccontato da Giovanna. Presto l'indagine vera e propria decolla e porta Duca a scoprire i traffici che ruotano attorno al ristorante La Binaschina, vicino alla Certosa di Pavia.
Con “Traditori di tutti”, Scerbanenco vinse nel 1967 a Parigi il premio francese “Grand prix de littérature policière”, prestigioso riconoscimento letterario francese per il genere giallo, fondato nel 1948 dal critico e scrittore Maurice-Bernard Endrèbe, premio che l’autore non ritirò per timidezza.
Nel terzo e penultimo romanzo, “I ragazzi del massacro”, Duca Lamberti si aggira, forse meno del solito, nella sua Milano Nera, ma ricalca le orme del suo predecessore, Arthur Jelling, archivista per la polizia di Boston che riusciva a risolvere gli enigmi più complicati, rimanendo seduto alla sua scrivania, investigando più l’umano che quanto gli sta attorno.
“I ragazzi del massacro” è il romanzo più “logico” di Scerbanenco, meno noir e per certi versi più classico, ma non per questo scontato. “I ragazzi del massacro” sfiora il romanzo sociale, entra nella dissertazione pedagogica, portando sotto gli occhi del lettore un’inconfutabile verità, la realtà di una certa parte della popolazione ai margini, border-line.
Un'aula scolastica, una lavagna piena di parolacce e disegni osceni e il cadavere di una giovane donna completamente nuda, orrendamente massacrata di botte, i suoi abiti sparsi dappertutto. La vittima è Matilde Crescenzaghi, fragile e delicata signorina della piccola borghesia dell'Alta Italia, "insegnante di varie materie e anche buona educazione" nella scuola serale Andrea e Maria Fustagni. Un ambiente non molto raccomandabile, visto che spesso gli studenti sono già passati per il riformatorio o vengono da famiglie difficili.
Duca Lamberti è alle prese questa volta con un ambiente insolito, morboso, feroce. I ragazzi di Scerbanenco, pur non essendo “I ragazzi di vita” di Pasolini, a tratti, torna quello stesso vissuto periferico. Tra le righe l’autore da una parte denuncia la realtà, ma allo stesso tempo la compatisce, ma non la giustifica: Scerbanenco tramite Duca si infervora, combatte, finché non riesce a risolvere la complicata trama, che si è venuta a comporre all’interno di quelle quattro mura “sporche” e buie di una piccola e misera aula scolastica serale.
La bellezza nei romanzi di Scerbanenco, in realtà, non sta alla fine, nella soluzione del “giallo, ma negli spiragli, in quelle zone d’ombra dei sentimenti umani che pochi sanno capire e che pochissimi sanno descrivere: Scerbanenco sapeva quanto fosse disperato il male della gente comune, sapeva si, descrivere perfettamente i meccanismi della mala, ma allo stesso modo era a conoscenza del fatto che la mala, intesa come organizzazione non avesse un cuore, il cuore, inteso, però come luogo in cui alloggia l’umano vivere.
Scerbanenco amava sondare, perchè il vero investigatore, era proprio lui, un uomo che non si limitava a raccontare delle storie per il gusto di scrivere, la sua necessità “a tratti fisica” era quella di “vivere” gli altri, entrare nelle loro storie, far sapere anche alla persona più sola al mondo che qualcuno, in fondo si interessava a lei. Scerbanenco, trasmette questa sua indole “alla Adrian” anche al suo investigatore Lamberti.
L’umanità di Duca, in particolar modo ne “I ragazzi del massacro” traspare in due occasioni: la prima è autobiografica e riguarda la sua nipotina, mentre la seconda è inerente al trattamento non propriamente “legale” che Duca fa della custodia di uno dei ragazzi, è, infatti, proprio narrando il periodo “casalingo”di Duca, che ne trasale l’indole vera ed informale del poliziotto.
La cura del dettaglio è importantissima, con poche essenziali righe, l’autore ci permette di visualizzare perfettamente l’ambiente da lui immaginato: sebbene le aule e la casa di Duca non abbiano molto spazio all’interno del libro eppure riescono ad essere costantemente presenti, sinergiche e dinamiche. Il ritmo narrativo come negli altri episodi si mantiene alto, la scrittura di Scerbanenco è ferma e decisa, barocca quanto basta nei suoi dettagli truculenti.
Come sempre non c’è la presunzione da parte di Scerbanenco di dare la morale, ma il lettore ha tutti gli elementi per indignarsi senza che qualcun altro lo guidi nel farlo.
In quegli anni, all’epoca della pubblicazione della tetralogia di Lamberti, Andrea Camilleri sosteneva che Scerbanenco avesse “[…] un’immaginazione rivolta al male […]”, quando invece come riconobbe lo stesso in seguito “[…] aveva capito tutto. Aveva preceduto tutti di decenni.” Ed ancora “quando lessi la Milano Nera di Scerbanenco presi coraggio e cominciai a conferire anche io nelle mie storie dei nomi Italiani ai personaggi.”.
In «I milanesi ammazzano al sabato», Duca Lamberti, alla sua ultima apparizione, deve fronteggiare la sete di giustizia del Signor Amanzio Berzaghi, che ha visto scomparire improvvisamente da casa, sua figlia Donatella, ventottenne, alta quasi due metri, del peso di un quintale circa, lunghissimi capelli biondi le circondano un viso gentile e un sorriso strano, da bambina.
Donatella ha ventotto anni, ma pensa come una bambina di sei, è una minorata mentale, che sorride a tutti, soprattutto agli uomini, è incontrollabile così suo padre, ex camionista dal passato “segnato” da un incidente sul lavoro è costretto a tenerla nascosta in casa tra bambole e dischi musicali; Donatella è bellissima, sembra una svedese, con lunghi capelli biondi e quel profilo d’altri tempi, talmente bella da far paura, soprattutto al suo povero padre, costantemente in pensiero per quella sua unica e sventurata figlia.
Donatella è sparita da casa, nonostante la sorveglianza del vecchio padre. Della ricerca si occupa Duca Lamberti che si getta in questa indagine tra case d’appuntamento, magnaccia, atrocità e squallore. Su tutti, su Duca, sul vecchio camionista, sugli assassini, sui magnaccia e sulle prostitute, domina una Milano splendida nella sua ferocia in un tiepido inizio d’autunno, una Milano diversa da quella che gli stessi milanesi conoscono. Una città lontana dagli stereotipi e per questo ancora più viva.
Ne “I milanesi ammazzano al sabato” l’intrigo giallo è forte, Scerbanenco, pur rimanendo ben saldo alla sua matrice noir riesce, come con il precedente “I ragazzi del massacro”, a tessere gli uni con gli altri, elementi d’indagine ed elementi deduttivi, creando un humus quasi documentaristico, quando deve setacciare le case d’appuntamento milanesi tramite il proprio alter ego Duca.
Milano è una città vivace, povera, animata da grandi speranze, che si è affacciata agli anni Cinquanta con un proletariato affamato, costretto dalle condizioni economiche a dover commettere piccoli furti e modesti crimini per “guadagnarsi” da vivere con un’attività considerata allora “d’ingegno”.
Tra queste attività potremmo annoverare la figura del “macrò” termine gergale che indica colui che sfrutta donne che si prostituiscono.
Qui però, non abbiamo a che fare con il Luca Canali di “Milano calibro 9”, che raccoglie ventidue racconti neri di Scerbanenco, ventidue storie dure, disperate, di morti ammazzati e di traffici oscuri, con impreviste pieghe di tenerezza e sconcertanti sussulti d'amore, ventidue frammenti di vita, fulminei e feroci, che parlano dell'atrocità, della miseria, dell'assurdità di questo mondo. L'immaginazione di Scerbanenco pare volersi superare in ogni racconto, la sua fantasia raccoglie spunti e svolge trame in qualsiasi parte d'Italia. Ma è a Milano che torna sempre, e a Milano si svolgono quasi tutti questi racconti: una città sentina di vizi e di misfatti, odiosa e odiata ma irresistibile, scoperta e ricreata con un tono inconfondibile di verità. Come non abbiamo a che fare con “La mala ordina”, il film del 1972, diretto da Fernando Di Leo, ma siamo di fronte ad un’organizzazione ben strutturata e radicata sul territorio, nella quale cadono allo stesso modo, ma con ruoli diversi povere ragazze senza speranze e ricchi industriali in cerca di giochi particolari. Così, ci troviamo di fronte ad un’ampia galleria di “vizietti”, c’è chi vuole la minorenne, chi quella affetta da nanismo, chi la bella esotica di colore e chi la gigantessa.
La narrazione di Scerbanenco riguardante la descrizione del fenomeno “prostituzione” ha piuttosto diversi punti in comune con la successiva indagine cinematografica compiuta da Carlo Lizzani con il suo “Storie di vita e malavita”. Infatti, i due approcci spesso combaciano, il lettore/spettatore partecipa anch’egli in prima persona al viaggio, ma non ne viene mai moralmente coinvolto.
I personaggi che fanno da contorno a tutti suddetti ambienti hanno sì dei lati pietosi, ma si rivelano poi intaccati dal marciume che li circonda ed incapaci di un qualsiasi tipo di abnegazione.
Con fare da poliziotto vecchio stampo e coadiuvato dal fedele Mascaranti, Duca si inoltrerà in questa sua ultima apparizione in una Milano “centrale del vizio”, il lettore, può cogliere, grazie alle diverse sfaccettature del romanzo, il rapporto tra alte e basse sfere della criminalità.
La fonte del male però, è spesso da ricercare negli ambienti più prossimi e familiari ed anche questo “caso” confermerà la regola, riuscendo a spiazzare grazie alla grande abilità dell’autore anche il lettore più abituato.
Per quanto riguarda la figura di Lamberti, è evidente che il romanzo non fosse stato concepito come pietra “tombale” della tetralogia: in questo episodio, Duca prosegue, infatti, la sua “relazione” con Livia Ussaro, ma non compie alcun passo significativo nell’arco dello svolgimento dei fatti.
Con la sua scrittura semplice ma rigorosa, con lo scorrere fluido della narrazione in una trama in cui si intersecano i fili di passato e presente, Scerbanenco si impone, con questo e gli altri romanzi, protagonista Duca Lamberti, tre dei quali furono portati sullo schermo rispettivamente da Fernando Di Leo, Duccio Tessari e da Yves Boisset Due tra i più affermati autori contemporanei di noir come Carlo Lucarelli e Andrea J. Pinketts hanno per questo tributato il giusto omaggio all’opera dello scrittore. Romanzi, come I milanesi ammazzano al sabato, che, a distanza di oltre trent'anni dalla loro pubblicazione, rimangono attualissimi soprattutto per l’atmosfera che l’autore riesce a evocare.
Nell’Italia degli anni ’60, nella Milano capitale del boom economico, Scerbanenco individua primi i segnali della crisi della società di massa che esploderà di lì a pochi anni. Indifferenza, disillusione, cinismo non dominano solo gli squallidi ambienti della delinquenza, comune e non, descritti con rigore chirurgico dagli occhi dell’ex medico Duca Lamberti, questi mali pervadono, infatti, tutta la società moderna, dalle famiglie alto borghesi, come in “Venere privata” ai giovani immigrati che vivono di espedienti nella palude metropolitana. Un’aria malsana che inquina Milano e tutte le città d’Italia, ma che non ferma coloro che hanno ancora voglia di giustizia, pur nella consapevolezza dell’inutilità dei propri sforzi, come Duca Lamberti, uno dei più riusciti del panorama letterario poliziesco, che unisce alla capacità analitica di Maigret un’umanità tutta lombarda, nascosta sotto un carattere apparentemente ruvido, ma sempre presente, pronta a venire fuori in ogni occasione, purché sia quella giusta.
Giorgio Scerbanenco quindi chiude con anticipo il ciclo di Duca Lamberti proprio nel momento in cui era prossimo a “sfornarne” un nuovo capitolo dedicato alle indagini milanesi dal provvisorio titolo “I pulcini e il sadico”.
L'anno successivo, nel momento culminante della sua carriera, morì improvvisamente a Milano.
Nel 1970, nella serie ‘Suspence’ di Longanesi, uscì postumo ‘Al servizio di chi mi vuole’, primo ed unico romanzo d’una serie che avrebbe dovuto avere come protagonista la figura d’un “para” italiano, Ulisse Orsini, soldato di ventura.
Nel 1994 sono dati alle stampe "I milanesi ammazzano al sabato", "Noi due e nient' altro", "Appuntamento a Trieste" e "Cinquecentodelitti".
Nel 1995, "Lupa in convento", "Cinque casi per l'investigatore Jelling", "Principesse di Acapulco", "Spie non devono amare", "Al mare con la ragazza" e "Non rimanere soli".
Nel 1996, "Ladro contro assassino", "Millestorie" e "Storie dal futuro e dal passato".
Nel 1999, "Ragazzi del massacro", "Al servizio di chi mi vuole" e "La Ragazza dell'addio".
Nel 2004, infine, "La mia ragazza di Magdalena" appartenente al "ciclo del nuovo Messico".
Nel 1993, alla memoria di Scerbanenco è dedicato il più importante premio per la narrativa gialla italiana, il Premio Scerbanenco.
Nel 2006 è stata realizzata una docufiction sulla sua vita, con interviste e testimonianze di chi l'ha conosciuto, ad opera del regista Stefano Giulidori, presentata con successo al Noir in Festival di Courmayeur.
Oltre ai Romanzi citati si fornisce la bibliografia completa dei Romanzi di Scerbanenco non citati nell’articolo:
1941: L’amore torna sempre (Sacse)
1941: Oltre la felicità (Sacse)
1941: Quattro cuori nel buio (Sacse)
1942: È passata un’illusione (Sacse)
1943: Cinque in bicicletta (Mondadori)
1943: Il mestiere di uomo (Aragno 2006)
1943: Si vive bene in due (Mondadori)
1944: Il cavallo venduto (Rizzoli)
1945: Johanna della foresta (Rizzoli)
1947: Ogni donna è ferita (Rizzoli)
1948: Quando ameremo un angelo (Rizzoli)
1949: La sposa del falco (Rizzoli)
1950: Anime senza cielo (Rizzoli)
1952: I giorni contati (Rizzoli)
1952: Il fiume verde (Rizzoli)
1952: Il nostro volo è breve (Rizzoli)
1953: Amata fino all’alba (Rizzoli)
1953: Appuntamento a Trieste (Rizzoli)
1953: Uomini e colombe (Rizzoli)
1954: Desidero soltanto (Rizzoli)
1954: La mano nuda (Rizzoli)
1955: Mio adorato nessuno (Rizzoli)
1956: I diecimila angeli (Rizzoli)
1956: Via dei poveri amori (Rizzoli)
1957: Cristina che non visse (Rizzoli)
1958: Elsa e l’ultimo uomo (Rizzoli)
1958: Il tramonto è domani (Rizzoli)
1959: Noi due e nient’altro (Rizzoli)
1961: Viaggio di nozze in grigio (Rizzoli)
1963: La sabbia non ricorda (Rizzoli)
1969: Milano calibro 9 (Garzanti)
1970: Il centodelitti (Garzanti)
1974: I sette peccati capitali e le sette virtù capitali (Rizzoli)
1974: Né sempre né mai (Sonzogno)
1975: La notte della tigre (Rizzoli)
1976: L’ala ferita dell’angelo (Rizzoli)
1985: Romanzo rosa (Rizzoli)
1989: La vita in una pagina (Mondadori)
1993: Il falcone e altri racconti inediti (Frassinelli)
2000: Basta col cianuro (Cartacanta)
2002: Uccidere per amore (Sellerio)
2005: Racconti neri (Garzanti)
2006: Uomini ragno (Sellerio)
[1] (contenuto all’interno del dvd Raro/Nocturno di Milano Calibro 9
Oggi che il panorama del giallo italiano è sempre più contaminato da influenze estere, che si moltiplicano gli scrittori, ma sembrano mancare i veri autori, è il caso di riscoprire un classico ancora poco conosciuto, capace di parlare all’Italia di oggi, nonostante faccia riferimento a quella di ieri.
Nunzia Monanni Scerbanenco, giornalista e scrittrice, ricorda Giorgio Scerbanenco e il suo Duca Lamberti nel volume “Il ritorno del duca” in questi termini Duca Lamberti, creatura nata dalla penna di suo marito: «Per Scerbanenco, mio compagno di vita, Duca Lamberti era il suo alter ego, quello che lui avrebbe voluto essere sia fisicamente sia psicologicamente. Giovane, bello, alto magro, bruno, forte: un romagnolo esplosivo e irriducibile, senza paura con lo sguardo cattivo, ma dolcissimo negli affetti familiari. Sicuro e deciso. Unica sua incertezza la difficile scelta fra l’essere poliziotto o medico».
Con l'antologia “Il ritorno del Duca”, edita da Garzanti a cura di Gian Franco Orsi, sedici 16 giallisti riportano in vita Duca Lamberti, il medico investigatore nato dalla fantasia di Scerbanenco. Sedici autori dei giorni nostri rendono omaggio a Scerbanenco con sedici storie, ciascuna delle quali rappresenta in maniera personale il personaggio di Duca Lamberti e reinterpreta le atmosfere "noir" evocate da Scerbanenco, autore chiave della storia del noir europeo.
Oltre agli inediti di Scerbanenco, tracce di romanzi che l'autore non riuscì a scrivere, l’antologia propone i racconti “Medicina nera” di Alan D. Altieri, “Temendo l'inverno imminente” di Matteo Bortolotti, “L'anniversario” di Alfredo Colitto, “Duca e l'invertito” di Leonardo Gori, “Non si impara niente” di Carmen Iarrera, “Preludio a un massacro di inizio anno” di Diana Lama, “Lo sguardo di Mussolini” di Ernesto G. Laura, “La bionda della valanga” di Nunzia Monanni Scerbanenco, “Salto nel buio” di Giancarlo Narciso, “La faccia del vincitore” di Ben Pastor, “E i modenesi alla domenica” di Giuseppe Pederiali, “Duca e il professore” di Patrizia Pesaresi, “La morte risale a ieri sera” di Biagio Proietti, “L'ultima donna e la prima televisione” di Claudia Salvatori, “Bassa stagione” di Giampaolo Simi, “Duca Lamberti in crociera” di Diego Zandel.
Perché questo tardivo omaggio a Scerbanenco? Perché i quattro romanzi del ciclo di Duca Lamberti, pubblicati fra il 1966 e il 1969, rivoluzionarono la letteratura noir italiana e sono divenuti nel tempo pietre miliari di riferimento per più generazioni di lettori e narratori. In quelle storie come ben sottolineava nel 1968 il critico del giornale francese Le Combat: «soffocata dal caldo, madida di pioggia o persa nella nebbia ma sempre velenosa, Milano diviene una grande città mitica!». A più di quarant’anni dalla sua nascita, l’eroe protagonista di quelle storie di Scerbanenco riappare in quest’antologia speciale che contiene non solo sedici omaggi di autori italiani contemporanei, ma anche le trame complete del quinto e del sesto romanzo che avrebbero proseguito quella saga, se solo Scerbanenco non fosse prematuramente scomparso nel 1969.
I titoli di queste opere sono: “I pulcini e il sadico”, ma l’autore aveva anche ipotizzato “I signori muoiono in silenzio”, “So morire da me” e “Safari per un mostro”.
Nella prima storia scopriamo che Duca Lamberti, riammesso nell’ordine dei medici si sarebbe sposato con la sua amata Livia Ussaro: si segue così, passo a passo, la luna di miele dei neosposi in Francia, un luogo non particolarmente amato da Duca. Il loro viaggio in auto si trasforma, però ben presto in un incubo, visto che i due si troveranno ad occuparsi, loro malgrado, del caso di un assassino e seviziatore di bambini, abituato ad abbandonare i corpi delle sue vittime in riva ai fiumi.
Nel secondo abbozzo di romanzo “Le sei assassine”, del quale è proposto in volume oltre alla sinossi anche il primo capitolo autografo rimasto incompiuto, Lamberti è alle prese con un giallo enigmatico: l’omicidio del playboy Goffredo Borsaris, della cui morte sono sospettate sei misteriose donne a causa di un’enigmatica lettera anonima.
Le due trame preparate da Giorgio Scerbanenco sono molto precise e dettagliate ed è molto probabile che lo scrittore, come era nel suo stile, le avrebbe seguite nel minimo dettaglio.
Per quanto riguarda invece i racconti-omaggio contenuti ne “Il ritorno del Duca”, il curatore del volume Gianfranco Orsi spiega come tutti gli autori coinvolti abbiano aderito immediatamente con entusiasmo all’operazione. «C'è chi ha privilegiato il personaggio di Mascaranti; chi ha fatto incontrare Arthur Jelling e con Duca Lamberti; chi ha sdraiato Duca sul letto dello psicanalista Musatti; chi lo ha coinvolto nel periodo più buio del terrorismo; chi ha imbarcato un Duca Lamberti avanti negli anni su una nave da crociera nel Mediterraneo; chi lo ha ringiovanito agli anni universitari e chi a quelli dell’infanzia, mettendone già in risalto le doti di investigatore...».
Ed è sintomatico che molti dei racconti puntino sul ruolo di medico di Duca Lamberti a partire da “Medicina Nera” di Sergio Altieri che apre la raccolta. Duca è divenuto consulente di patologia forense e ci appare nelle prime pagine, mentre rende omaggio alla tomba della sua Livia Ussaro. «Un eroe bruciato - come racconta Sergio Altieri - oltre la soglia di un ennesimo “Secolo Maledetto”. Un guerriero ormai canuto. Ma che comunque non esita a “scrutare nell’abisso”».
Un medico capace di combattere con le sue stesse armi un terribile caif della mafia nigeriana, un uomo molto diverso da quello che ci appare in una storia come “La bionda della valanga” di Nunzia Monanni, in cui lo vediamo all’opera «in un reparto di chirurgia d’urgenza, dove ha a che fare non solo con incidenti, traumi e malattie acute, ma anche con vittime, e artefici di crimini violenti; e, naturalmente, con la polizia».
Lo sceneggiatore e regista Biagio Proietti ha ripercorso nel suo racconto “La morte risale a ieri sera” la lavorazione cinematografica dell’adattamento de “I milanesi ammazzano al sabato” da lui stesso sceneggiato nel 1970. Sul set del film si aggira proprio Duca Lamberti che assiste alla realizzazione di una fiction dedicata a una delle sue più drammatiche indagini e si trova a muoversi fianco a fianco del regista Puccio Binari, sotto le cui mentite spoglie Proietti cela il vero Duccio Tesseri, che gli chiede di fare da consulente per la realizzazione della pellicola. E sempre Duca si troverà anni dopo sull’ambulanza che troverà morto suicida l’attore Mark, nel quale è facile riconoscere il Frank Wolff della realtà, che aveva interpretato il suo ruolo al cinema. In queste tre storie sintomatiche troviamo tre elementi basilari del dna di Duca: la rabbia, il coraggio e la pietà.
Si è detto all’inizio che sarebbe riduttivo considerare Scerbanenco solo uno scrittore di genere, nello specifico del noir ma Giorgio Scerbanenco oltre che lo “scrittore e giornalista italiano di origine ucraina” è stato un autore dotato di incredibile prolificità e versatilità e, soprattutto, poliedrico ed eclettico, capace di muoversi a suo agio tra i generi più disparati. Giocando con i tutti i “colori” della letteratura di genere, egli mischia tranquillamente il giallo con il rosa e con il rosso del sangue e della passione, spruzzando su tutto un po’ di nero. Così, nei suoi libri, l’amore va a braccetto con la morte, le lame affilate dei coltelli si alternano alla dolcezza dei baci appassionati e la felicità può essere raggiunta solo pagando l’altissimo prezzo di un sacrificio estremo. Scerbanenco ha spaziato in ogni campo della narrativa, perfino nel western e nella fantascienza, ma Milano ed i suoi ambienti sono i veri protagonisti dei suoi romanzi: sarebbe incomprensibile lo scarto letterario di Scerbanenco se non si tenesse conto del ruolo privilegiato che egli conferisce agli ambienti milanesi, che trasudano di odio, d’amore e di una violenza talora efferata, incrociata con la lussuria, ma essi sono anche ricchi di dolcezza e di poesia, con punte di struggente lirismo. Le stesse tematiche dei suoi romanzi, prostituzione, bullismo, traffico d’armi, alcolismo, aborto ed eutanasia fanno di Scerbanenco, più volte definito dispregiativamente “macchina per scrivere” un lucido osservatore della società nella quale è vissuto ed uno scrittore profetico, capace di individuare problematiche che sarebbero diventate poi scottanti nella realtà odierna.
Nato a Kiev, nell'allora Russia imperiale, da padre ucraino e da madre italiana, in tenera età, Scerbanenco si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano, al seguito della madre: suo padre fu ucciso durante la rivoluzione russa, sua madre morì pochi anni più tardi. Costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi, egli praticò molti mestieri, l’operaio, il conduttore di ambulanze, il fresatore, il magazziniere ed il fattorino, prima di arrivare al mondo dell'editoria.
Scerbanenco collaborò a numerose riviste, tra cui noti settimanali femminili, come "Novella", "Bella" e "Annabella": su quest’ultimo ha tenuto la famosa rubrica "La posta di Adrian", come correttore di bozze, ed ha inoltre ricoperto importanti incarichi redazionali e direttivi in alcuni settimanali femminili, sempre ritenendosi di lingua madre italiana e soffrendo l'essere considerato "straniero", nonostante i suoi romanzi fossero pubblicati dai più grandi editori italiani ed il successo di pubblico.
Da un po’ di anni a questa parte è in corso la riscoperta di Scerbanenco con la conseguente pubblicazione di molte delle sue opere.
Il suo esordio narrativo è del 1935 con Gli uomini in grigio, cui seguirono nel 1938 Il terzo amore presso Rizzoli e nel 1939, Il paese senza cielo.
Negli anni Quaranta per il ciclo Supergiallo Mondadori, ideò la figura di Arthur Jelling, un archivista della polizia di Boston, il suo primo romanzo giallo fu “Sei giorni di preavviso” del 1940, cui seguirono altri quattro romanzi: La bambola cieca del 1941, Nessuno è colpevole del 1941, L’antro dei filosofi del 1942 ed Il cane che parla del 1942.
Nel frattempo negli anni Cinquanta Scerbanenco inizia un altro ciclo di Romanzi detto “Il ciclo messicano”, che comprende “Il grande incanto” del 1948, “La mia ragazza di Magdalena” del 1949, “La luna messicana” 1949 ed “Innamorati” del 1951.
Solo dal dopoguerra, tuttavia, la vena artistica di Scerbanenco potè scatenarsi senza impedimenti, offrendo al lettore il ritratto di un’Italia malinconica e crudele, terribilmente simile a quella dei giorni nostri, un’Italia cui lo scrittore guardava con l’occhio attento di un critico, che non si lascia ingannare dalle false promesse del boom economico e della rinascita: a poco a poco arrivano le industrie, gli elettrodomestici, il progresso, ma il degrado resta quello di sempre, anzi, aumenta, come aumenta la criminalità.
Scerbanenco parlava di questo degrado: a lui bastavano poche righe per tratteggiare perfettamente l’universo delle periferie, delle grandi città, Milano in primo luogo, congestionate dal traffico, dalla folla, freddi polmoni d’acciaio imbevuti di egoismo, dove i giovani crescono circondati da fabbriche e da palazzoni antiestetici, dove non c’è futuro, dove si muore per pochi spiccioli e dove anche sognare diventa una colpa da espiare.
In un posto come questo, a contatto con ladruncoli e bestemmiatori, sono nati e cresciuti Duilio e Simona nel romanzo “Al mare con la ragazza” del 1950 che, nonostante tutto, hanno imparato ad amarsi. Il loro unico desiderio è quello di poter, un giorno, vedere il mare che da piccoli confondevano con l’acqua fangosa delle pozzanghere in cui sguazzavano. Un desiderio semplice, innocente che li porterà a scontrarsi con l’amara realtà di un destino tragico; per andare al mare ci vogliono soldi e i soldi, purtroppo, in un simile contesto, non si possono racimolare che in modo illecito: una rapina, un colpo di rivoltella, il sangue, il sedile grigio che diventa sempre più scuro e Simona, immobile. Per inseguire una speranza Duilio si ritrova così a guidare come un automa, con il cadavere della fidanzata chiuso nel bagagliaio e la polizia alle calcagna.
Scerbanenco non lascia spazio alla consolazione, nessuno può salvarsi da un abbrutimento quasi fisiologico: Milla, nel romanzo “La ragazza dell’addio” del 1956, non è bella, ma ha tutto quello che una ragazza della sua età potrebbe desiderare: una splendida villa, amici, soldi e il grande affetto di suo padre, eppure passa le giornate a struggersi d’amore per Martino, un bravo ragazzo di estrazione umile e che, dal canto suo, non sa se frequentarla spinto da un sentimento sincero o da interesse. La profonda indagine psicologica è la reale protagonista di questo romanzo: l’autore scava nell’animo dei personaggi, traendone delle figure tristi e appassionate, attanagliate da continui dubbi e incapaci anche solo di scorgere una felicità che parrebbe offerta su un piatto d’argento.
Secondo l’idea di Scerbanenco anche i ricchi soffrono, e del resto, egli nei suoi libri non fa sconti a nessuno. Ad esempio Emanuela Sinistalqui, protagonista del romanzo “Dove il sole non sorge mai”, ha quasi sedici anni ed è una contessa, ma questo non impedisce che sia accusata, per un errore, di aver aiutato tre criminali a compiere una rapina e che sia rinchiusa prima in un sudicio riformatorio, tormentata da cimici e altri insetti, e poi in un severo istituto di correzione, insieme a piccole delinquenti e ragazze difficili, umiliata e controllata a vista da istitutrici-secondine. Scerbanenco racconta una discesa all’inferno: gli interrogatori avvilenti, i dialoghi sboccati delle compagne di stanza, gli sguardi di disprezzo, il terrore di rimanere confinata per sempre in un luogo dove appunto il sole non sorge mai; infine, racconta il turpe retroscena della vicenda: una nonna, rispettabile e stimata nobildonna, che riceve uomini e trasforma la sua casa in uno squallido bordello.
Le armi con le quali Scerbanenco combatteva la società che aveva di fronte, i suoi lati oscuri, le perversioni, le ossessioni che la inquinano sono l’ironia ed il sarcasmo e, nel corso degli anni, regala ai lettori centinaia di altri personaggi tutti ugualmente indimenticabili.
Queste ultime pubblicazioni, appartenenti al cosiddetto ciclo di romanzi "neri", sono le opere più famose di Scerbanenco e quelle per cui ancora oggi è ricordato tra i migliori autori di genere giallo italiano. Non vi è dubbio, infatti, che Scerbanenco sia da considerare tuttora il maestro ideale dei giallisti italiani, almeno dagli anni settanta, ma i suoi romanzi, oltre ad essere dei piccoli gioielli del noir, riletti oggi, appaiono anche come uno spaccato umano ed amaro dei nostri anni Sessanta, che rivelano un’Italia difficile, persino cattiva, ansiosa di emergere, ma disincantata, certo lontana dalla immagine edulcorata e brillante, che spesso è data degli anni del boom economico. È un’Italia reduce dalla seconda guerra mondiale, una nazione falcidiata dai bombardamenti, le città sono in ginocchio moralmente ed economicamente e la ricostruzione del paese appare lenta e difficoltosa.
Vent’anni più tardi, una sequela di avvenimenti riguardanti la storia economica ed industriale Italiana portano la nazione verso un progressivo arricchimento, tale che all’inizio degli anni ’60 si giunge a definire quel momento storico il “Miracolo economico”, ma, mentre si verifica in tutta Italia il “Boom Economico”, se da un lato vi è l’aspetto positivo del boom, dall’altro nel capoluogo lombardo è coltivata una violenza sempre meno romantica e sempre più cinica.
Milano si scopre città violenta, dura e aspra, che cresce su se stessa, perdendo la propria identità. Il tempo della “ligera”, la mala romantica e senza pistola è finito e Milano è diventata come Chicago. La “ligera”, principalmente composta di ladri, truffatori, rapinatori, piccoli estorsori e papponi, ha poco a che fare con le grandi potenze del crimine organizzato italiano, anche se si può dire che dalle sue file sono usciti criminali del calibro di Renato Vallanzasca e Luciano Lutring.
Giorgio Scerbanenco descrive Milano e gli anni ‘60 in maniera diversa, capta i processi violentissimi provocati dalla modernizzazione, riversando nelle pagine dei suoi romanzi, senso morale e senso di indignazione. Milano è lo specchio scuro del Boom.
Il successo di Scerbanenco arrivò però con la serie dedicata a Duca Lamberti, perché solo con questi romanzi Scerbanenco iniziò nel 1966 a diventare affermato al grande pubblico, appena tre anni prima della sua morte.
“Venere Privata” è un romanzo nato da una sfida che Scerbanenco volle lanciare al suo editore Garzanti, dichiarandogli che avrebbe inviato un manoscritto, un giallo, così, per gioco.
Oreste del Buono, allora responsabile di “Gialli Garzanti” rimase colpito dalla vena tagliente, cinica, spietata, straordinariamente “noir”, di uno scrittore fino ad allora considerato di genere per la sua produzione “rosa”, sebbene di “rosa” Scerbanenco non abbia mai scritto.
Era il 1966 e con quel romanzo della sua seconda nascita letteraria, Scerbanenco si guadagnerà gli appellativi di “Maigret dei Navigli” “Simenon della Scala”, personaggio ed autore non assimilabili all’italo-ucraino, fondatore di un nuovo modo di scrivere, solo a torto e riduttivamente considerato il “padre” del giallo italiano: in effetti, Scerbanenco non scrive gialli, come non scrive romanzi rosa, ed il suo modo di raccontare non assomiglia nemmeno al noir americano francese ed inglese. Scerbanenco si inventa un modo completamente nuovo e diverso di raccontare le sue storie, storie nere fatte da uomini soli e da situazioni cupe, dalle quali sembra non esserci nessuna via di scampo al di fuori del vivere.
Questa è la chiave di lettura per capire Scerbanenco: a lui non bastava creare dei personaggi, egli li viveva, si immedesimava in loro, spesso erano proprie proiezioni, altre volte erano resoconti di vite altrui che solo un grande ascoltatore di anime poteva racchiudere in 100 o poche più pagine.
Questa brevissima digressione, riguardante lo Scerbanenco uomo-scrittore è necessaria per introdurre “Venere privata”, il primo romanzo della tetralogia di Duca Lamberti.
Il romanzo è ambientato nella Milano degli anni Sessanta, una Milano violenta e spietata, dominata dai trafficanti di droga e dal mercato della prostituzione. Il prologo iniziale dà un saggio dello stile di Scerbanenco: dialoghi diretti e brevi, uno stile rapido ed incalzante, non privo tuttavia di particolari descrittivi.
«"Come si chiama lei?"
"Marangoni Antonio, io sto lì, alla Cascina Luasca, sono più di cinquant'anni che tutte le mattine vado a Rogoredo in bicicletta.”.
"Non state a perdere tempo con questi vecchi, torniamo al giornale.”.
"E' lui che ha scoperta la ragazza, ce la può descrivere, se no dobbiamo passare all'obitorio e siamo in ritardo."
"Io l'ho vista quando è arrivata l'ambulanza, era vestita di celeste."
"Vestita di celeste. Capelli?"
"Scuri, ma non neri."
"Scuri, ma non neri."
"Aveva dei grandi occhiali da sole, rotondi."
"Occhiali da sole, rotondi."
"Non si vedeva quasi niente del viso, era coperto dai capelli."
"Andate via, non c'è niente da vedere."
"Non c'è niente da vedere, l'agente ha ragione, torniamo al giornale."
"Andate via, andate via. Non dovevate andare a scuola?"
"Già, qui è pieno di ragazzini."
"Quando sono arrivato io si sentiva odore di sangue."
"Dica, dica, signora Marangoni."
"Si sentiva odore di sangue."
"Naturale, era dissanguata."
"Non si sentiva nessun odore, era passato troppo tempo, siamo arrivati qui con la camionetta."
"Dica, dica, agente."
"In questura vi dicono tutto, io sono qui per tenere lontano questa marmaglia, non parlo coi giornalisti. Ma non c'era odore di sangue, non ci può essere."
"L'ho sentito io, e ho il naso buono. Sono sceso in bicicletta perchè dovevo spandere acqua, ho appoggiato la bicicletta in terra."
"Dica, dica, signora Marangoni."
"Mi sono avvicinato a quei cespugli, ecco, proprio quelli, e così ho visto la scarpa, il piede insomma."
"Andate via, circolate, non c'è niente da vedere, tutta questa gente per vedere un pezzo di prato vuoto."
"Io al principio ho visto solo la scarpa, il piede dentro non lo vedevo, ho allungato la mano."
"Alberta Radelli, ventitré anni, commessa, trovata a Metanopoli, località cascina Luasca, il cadavere è stato scoperto alle cinque e mezzo del mattino dal signor Marangoni Antonio, abito celeste, capelli scuri ma non neri, occhiali rotondi, io comincio a telefonare questo, poi torno a riprenderti."
"Allora ho sentito che dentro la scarpa c'era il piede e sono rimasto male, ho scostato tutte quelle erbacce e l'ho vista, si capiva subito che era morta."»
Duca Lamberti è figlio di un poliziotto di origini romagnole che, dopo aver prestato servizio in Sicilia, dov’era stato accoltellato in servizio da un mafioso, che lo aveva privato dell'uso di un braccio e lo aveva relegato a lavori di ufficio, fu trasferito a Milano, presso la Questura di via Fatebenefratelli.
Grazie ai sacrifici del padre e dietro la sua spinta, Duca consegue la laurea in medicina ed inizia ad esercitare la professione medica presso una rinomata clinica. Il giovane medico ha in cura un'anziana signora, ormai allo stadio terminale e, dietro sua esplicita richiesta, le somministra un'iniezione letale. Duca è processato per aver praticato l'eutanasia ed è condannato a tre anni di carcere che sconta a San Vittore.
Il padre di Duca non riesce a sostenere gli eventi e muore a pochi giorni dalla sentenza. Duca Lamberti è dunque prima di tutto un uomo, un uomo particolare, che comincia a presentarsi, parlandoci del suo passato. Duca Lamberti esce dal carcere. Dopo tre anni con una sigaretta accesa ad osservare i sassolini che costituiscono il ciottolato dei lunghi viali di Milano, immensi, per chi non vede spazi aperti da qualche anno.
Scerbanenco dosa i fatti come è nel suo stile, con tempi cinematografici, con lunghissime pause, in cui il lettore non è oggetto passivo ma attivissimo spettatore di un film.
Durante la carcerazione, Càrrua, amico e collega del padre, si occuperà del sostentamento della sorella di Duca, Lorenza e della piccola Sara, nata da una relazione illegittima di Lorenza. Appena Duca esce dal carcere è aiutato da Càrrua, che gli procura un incarico molto confidenziale. Duca trasforma la particolare situazione in una vera e propria indagine poliziesca, andando contro ogni superficialità e perbenismo. Durante questa indagine è affiancato dall'agente Mascaranti che d'ora in poi sarà al suo fianco in ogni indagine. Duca incontra anche la giovane laureata Livia Ussaro, tragicamente coinvolta nell'indagine e che diventerà la sua compagna.
In “Venere privata” sono dunque presentati tutti o quasi i personaggi che fanno parte del breve ciclo dell’investigatore milanese.
Ciò che è fondamentale per capire l’essenza del ciclo di Duca e quello dei racconti della Milano nera è l’unicità con cui l’autore sa afferrare gli stati d’animo dei suoi personaggi, tutti metaforicamente raggruppati in una stanza e pronti ad esplodere al primo contrasto interiore, alla prima piccola nevrosi, senza eccedere nella psicanalisi, ma avendo comunque un substrato filosofico. I filosofi che attraggono Scerbanenco traspaiono nelle sue pagine, in “Venere privata” ad esempio Livia Ussaro per Duca-Scerbanenco “è un po’ troppo Kantiana” dietro le cui parole “c’erano degli imperativi categorici e dei prolegomeni a qualunque metafisica futura voglia presentarsi come scienza”.
Duca, uomo dalla grande moralità e dalla grande umanità, che non riesce a rimanere indifferente da poliziotto quale si sente di fronte ai casi che mano a mano si trova ad affrontare è invece di altra natura.
Molto appropriato è, infatti, quanto sostiene Andrea G. Pinketts nel documentario “Scerbanenco Noir”[1], il quale afferma che la differenza sostanziale tra gli investigatori italiani creati dalle penne di altri noiristi e Duca Lamberti è che quest’ultimo “si incazza”.
Ciò non è cosa da poco, non solo per il contesto sociale nel quale esso si ritrova, siamo nel periodo del Boom e l’Italia si sta risollevando, ma soprattutto perché a differenza di altri personaggi totalmente positivi, a tratti quasi super eroici, Duca Lamberti è uomo, con tutti i suoi limiti, ma dotato di sentimento, di passione, di cuore. Duca Lamberti si rivela un “Poliziotto solitudine e rabbia” e, grazie al suo autore, rivoluziona le regole e gli stilemi del noir, ispirando non solo gli scrittori che verranno in seguito, ma anche una generazione di registi, come ad esempio Duccio Tessari e Fernando Di Leo che, in modo più o meno diretto, renderanno sempre omaggio al maestro Scerbanenco, reo di aver rappresentato, una città, Milano in rapida evoluzione, che cresce su se stessa smarrendo la propria identità, una città dove la malavita non colpisce più di fioretto, ma dove ormai con in braccio un mitra si può rivoltare l’ordine sociale: insomma, Scerbanenco anticipa e racconta l’Italia che verrà.
Nella prima indagine descritta in Venere privata, Duca Lamberti è appena uscito dal carcere e Càrrua gli procura la prima occupazione: dovrà aiutare Davide Auseri ad uscire dal tunnel dell'alcolismo. Davide è il figlio dell'ingegner Auseri, importante industriale della plastica della Brianza. È un ragazzo tanto ricco quanto solo, ma ben presto Duca scopre che Davide è un ragazzo normale e solo un trauma potrebbe averlo spinto a cercare un solitario rifugio nel whisky: Davide, infatti, confessa di sentirsi responsabile per il suicidio di un'occasionale prostituta, Alberta Radelli, da lui accompagnata in un rapido viaggio da Milano a Roma e ritorno. Un anno prima, Davide aveva conosciuto casualmente Alberta e dopo aver passato una giornata insieme l'aveva abbandonata presso Metanopoli. Il giorno seguente Davide aveva letto su “La Notte” del ritrovamento del cadavere della ragazza con le vene tagliate.
Alberta aveva fatto cadere sulla Giulietta del ragazzo un piccolo oggetto, sconosciuto per Davide, e che solo ora Duca riconosce come il rullino fotografico Minox.
La stampa delle foto rivela le pose nude della bruna Alberta e di un'altra ragazza bionda. Da qui parte la vera indagine poliziesca, che porta Lamberti ed Auseri ed i reali investigatori di polizia Càrrua e Mascaranti a ricostruire la triste vicenda degli omicidi di Alberta Radelli e di Maurilia Arbati, la bionda presente nelle foto di nudo, ritrovata annegata nel Tevere nei giorni seguenti alla scoperta del suicidio inscenato per Alberta.
L'indagine porta Duca a fare la conoscenza di Livia Ussaro, una giovane laureata amica di Alberta. Livia si limiterà a riferire le confidenze di Alberta in merito al servizio fotografico, Duca Lamberti scopre che le due ragazze, oltre ad essere prostitute occasionali, posavano entrambe come modelle per foto pornografiche in un fantomatico studio gestito da un tedesco, ma offrirà persino la sua collaborazione a fare da esca per cercare di individuare qualcuno degli organizzatori del traffico internazionale di prostituzione che si cela dietro a tutta questa storia.
Nel successivo romanzo, “Traditori di tutti”, Duca è coinvolto nell'indagine sulla morte dell'avvocato Sompani, suo compagno di carcere e riesce a smascherare una banda dedita al traffico d'armi e di droga. Durante questa indagine Duca acquista la consapevolezza di essere tagliato per fare l'investigatore e decide di accettare la proposta di Càrrua e di diventare poliziotto presso la Questura di Milano.
Duca Lamberti ha conosciuto l'avvocato Sompani in carcere, ma non ha mai stretto amicizia con quel personaggio "repellente".
Turiddu Sompani è stato trovato nel naviglio pavese: è annegato all'interno di una Fiat 1300 assieme ad Adele Terrini. È una strana coincidenza: l'avvocato, infatti, era in carcere perché ritenuto responsabile dell'annegamento di un suo amico, ritrovato nella sua auto insieme con una donna, nel Lambro, vicino alla Conca Fallata. In Piazza Leonardo da Vinci la primavera entra nell'appartamento di Duca, ma la quiete è interrotta. Chi è il signor Silvano Solvere, che si presenta a casa di Lamberti come un caro amico di Turiddu. Chi sarà la misteriosa signorina per cui Solvere chiede di eseguire un delicato intervento chirurgico, offrendo un'elevata ricompensa e un particolare interessamento per la riammissione di Lamberti all'ordine medico?
Duca è coinvolto suo malgrado in una vicenda tragica e complicata: subito intuisce che sarà necessario il sostegno e l'aiuto di Càrrua. L'accordo è fatto, seguito dal fido agente Mascaranti, Duca esegue l'imenoplastica su Giovanna Marelli, una giovane commessa originaria di Romano Banco, presso Buccinasco. Dopo l'intervento, la ragazza deve rimanere ferma e riposare, ma non dorme e racconta la sua vicenda al dottore. Giovanna il giorno seguente dovrebbe sposare Ulrico Brambilla, il ricco macellaio proprietario della macelleria di Ca' Tarino e di altre tre tra Milano, Romano Banco e Buccinasco. Lei non lo ama, il suo uomo è Silvano. Poche ore dopo Giovanna lascia l'appartamento e sale sull'auto dove Silvano l'aspetta.
L'agente Morini su un'auto civetta segue i due, mentre costeggiano il naviglio pavese verso Buccinasco. Scoppia un violento temporale ed accade l'imprevisto. L'auto di Silvano, incrociando un'altra auto è crivellata di proiettili e ormai fuori controllo piomba nel naviglio.
Duca non sa ancora nulla dell'accaduto, quando inizia a ricostruire i dettagli di quanto raccontato da Giovanna. Presto l'indagine vera e propria decolla e porta Duca a scoprire i traffici che ruotano attorno al ristorante La Binaschina, vicino alla Certosa di Pavia.
Con “Traditori di tutti”, Scerbanenco vinse nel 1967 a Parigi il premio francese “Grand prix de littérature policière”, prestigioso riconoscimento letterario francese per il genere giallo, fondato nel 1948 dal critico e scrittore Maurice-Bernard Endrèbe, premio che l’autore non ritirò per timidezza.
Nel terzo e penultimo romanzo, “I ragazzi del massacro”, Duca Lamberti si aggira, forse meno del solito, nella sua Milano Nera, ma ricalca le orme del suo predecessore, Arthur Jelling, archivista per la polizia di Boston che riusciva a risolvere gli enigmi più complicati, rimanendo seduto alla sua scrivania, investigando più l’umano che quanto gli sta attorno.
“I ragazzi del massacro” è il romanzo più “logico” di Scerbanenco, meno noir e per certi versi più classico, ma non per questo scontato. “I ragazzi del massacro” sfiora il romanzo sociale, entra nella dissertazione pedagogica, portando sotto gli occhi del lettore un’inconfutabile verità, la realtà di una certa parte della popolazione ai margini, border-line.
Un'aula scolastica, una lavagna piena di parolacce e disegni osceni e il cadavere di una giovane donna completamente nuda, orrendamente massacrata di botte, i suoi abiti sparsi dappertutto. La vittima è Matilde Crescenzaghi, fragile e delicata signorina della piccola borghesia dell'Alta Italia, "insegnante di varie materie e anche buona educazione" nella scuola serale Andrea e Maria Fustagni. Un ambiente non molto raccomandabile, visto che spesso gli studenti sono già passati per il riformatorio o vengono da famiglie difficili.
Duca Lamberti è alle prese questa volta con un ambiente insolito, morboso, feroce. I ragazzi di Scerbanenco, pur non essendo “I ragazzi di vita” di Pasolini, a tratti, torna quello stesso vissuto periferico. Tra le righe l’autore da una parte denuncia la realtà, ma allo stesso tempo la compatisce, ma non la giustifica: Scerbanenco tramite Duca si infervora, combatte, finché non riesce a risolvere la complicata trama, che si è venuta a comporre all’interno di quelle quattro mura “sporche” e buie di una piccola e misera aula scolastica serale.
La bellezza nei romanzi di Scerbanenco, in realtà, non sta alla fine, nella soluzione del “giallo, ma negli spiragli, in quelle zone d’ombra dei sentimenti umani che pochi sanno capire e che pochissimi sanno descrivere: Scerbanenco sapeva quanto fosse disperato il male della gente comune, sapeva si, descrivere perfettamente i meccanismi della mala, ma allo stesso modo era a conoscenza del fatto che la mala, intesa come organizzazione non avesse un cuore, il cuore, inteso, però come luogo in cui alloggia l’umano vivere.
Scerbanenco amava sondare, perchè il vero investigatore, era proprio lui, un uomo che non si limitava a raccontare delle storie per il gusto di scrivere, la sua necessità “a tratti fisica” era quella di “vivere” gli altri, entrare nelle loro storie, far sapere anche alla persona più sola al mondo che qualcuno, in fondo si interessava a lei. Scerbanenco, trasmette questa sua indole “alla Adrian” anche al suo investigatore Lamberti.
L’umanità di Duca, in particolar modo ne “I ragazzi del massacro” traspare in due occasioni: la prima è autobiografica e riguarda la sua nipotina, mentre la seconda è inerente al trattamento non propriamente “legale” che Duca fa della custodia di uno dei ragazzi, è, infatti, proprio narrando il periodo “casalingo”di Duca, che ne trasale l’indole vera ed informale del poliziotto.
La cura del dettaglio è importantissima, con poche essenziali righe, l’autore ci permette di visualizzare perfettamente l’ambiente da lui immaginato: sebbene le aule e la casa di Duca non abbiano molto spazio all’interno del libro eppure riescono ad essere costantemente presenti, sinergiche e dinamiche. Il ritmo narrativo come negli altri episodi si mantiene alto, la scrittura di Scerbanenco è ferma e decisa, barocca quanto basta nei suoi dettagli truculenti.
Come sempre non c’è la presunzione da parte di Scerbanenco di dare la morale, ma il lettore ha tutti gli elementi per indignarsi senza che qualcun altro lo guidi nel farlo.
In quegli anni, all’epoca della pubblicazione della tetralogia di Lamberti, Andrea Camilleri sosteneva che Scerbanenco avesse “[…] un’immaginazione rivolta al male […]”, quando invece come riconobbe lo stesso in seguito “[…] aveva capito tutto. Aveva preceduto tutti di decenni.” Ed ancora “quando lessi la Milano Nera di Scerbanenco presi coraggio e cominciai a conferire anche io nelle mie storie dei nomi Italiani ai personaggi.”.
In «I milanesi ammazzano al sabato», Duca Lamberti, alla sua ultima apparizione, deve fronteggiare la sete di giustizia del Signor Amanzio Berzaghi, che ha visto scomparire improvvisamente da casa, sua figlia Donatella, ventottenne, alta quasi due metri, del peso di un quintale circa, lunghissimi capelli biondi le circondano un viso gentile e un sorriso strano, da bambina.
Donatella ha ventotto anni, ma pensa come una bambina di sei, è una minorata mentale, che sorride a tutti, soprattutto agli uomini, è incontrollabile così suo padre, ex camionista dal passato “segnato” da un incidente sul lavoro è costretto a tenerla nascosta in casa tra bambole e dischi musicali; Donatella è bellissima, sembra una svedese, con lunghi capelli biondi e quel profilo d’altri tempi, talmente bella da far paura, soprattutto al suo povero padre, costantemente in pensiero per quella sua unica e sventurata figlia.
Donatella è sparita da casa, nonostante la sorveglianza del vecchio padre. Della ricerca si occupa Duca Lamberti che si getta in questa indagine tra case d’appuntamento, magnaccia, atrocità e squallore. Su tutti, su Duca, sul vecchio camionista, sugli assassini, sui magnaccia e sulle prostitute, domina una Milano splendida nella sua ferocia in un tiepido inizio d’autunno, una Milano diversa da quella che gli stessi milanesi conoscono. Una città lontana dagli stereotipi e per questo ancora più viva.
Ne “I milanesi ammazzano al sabato” l’intrigo giallo è forte, Scerbanenco, pur rimanendo ben saldo alla sua matrice noir riesce, come con il precedente “I ragazzi del massacro”, a tessere gli uni con gli altri, elementi d’indagine ed elementi deduttivi, creando un humus quasi documentaristico, quando deve setacciare le case d’appuntamento milanesi tramite il proprio alter ego Duca.
Milano è una città vivace, povera, animata da grandi speranze, che si è affacciata agli anni Cinquanta con un proletariato affamato, costretto dalle condizioni economiche a dover commettere piccoli furti e modesti crimini per “guadagnarsi” da vivere con un’attività considerata allora “d’ingegno”.
Tra queste attività potremmo annoverare la figura del “macrò” termine gergale che indica colui che sfrutta donne che si prostituiscono.
Qui però, non abbiamo a che fare con il Luca Canali di “Milano calibro 9”, che raccoglie ventidue racconti neri di Scerbanenco, ventidue storie dure, disperate, di morti ammazzati e di traffici oscuri, con impreviste pieghe di tenerezza e sconcertanti sussulti d'amore, ventidue frammenti di vita, fulminei e feroci, che parlano dell'atrocità, della miseria, dell'assurdità di questo mondo. L'immaginazione di Scerbanenco pare volersi superare in ogni racconto, la sua fantasia raccoglie spunti e svolge trame in qualsiasi parte d'Italia. Ma è a Milano che torna sempre, e a Milano si svolgono quasi tutti questi racconti: una città sentina di vizi e di misfatti, odiosa e odiata ma irresistibile, scoperta e ricreata con un tono inconfondibile di verità. Come non abbiamo a che fare con “La mala ordina”, il film del 1972, diretto da Fernando Di Leo, ma siamo di fronte ad un’organizzazione ben strutturata e radicata sul territorio, nella quale cadono allo stesso modo, ma con ruoli diversi povere ragazze senza speranze e ricchi industriali in cerca di giochi particolari. Così, ci troviamo di fronte ad un’ampia galleria di “vizietti”, c’è chi vuole la minorenne, chi quella affetta da nanismo, chi la bella esotica di colore e chi la gigantessa.
La narrazione di Scerbanenco riguardante la descrizione del fenomeno “prostituzione” ha piuttosto diversi punti in comune con la successiva indagine cinematografica compiuta da Carlo Lizzani con il suo “Storie di vita e malavita”. Infatti, i due approcci spesso combaciano, il lettore/spettatore partecipa anch’egli in prima persona al viaggio, ma non ne viene mai moralmente coinvolto.
I personaggi che fanno da contorno a tutti suddetti ambienti hanno sì dei lati pietosi, ma si rivelano poi intaccati dal marciume che li circonda ed incapaci di un qualsiasi tipo di abnegazione.
Con fare da poliziotto vecchio stampo e coadiuvato dal fedele Mascaranti, Duca si inoltrerà in questa sua ultima apparizione in una Milano “centrale del vizio”, il lettore, può cogliere, grazie alle diverse sfaccettature del romanzo, il rapporto tra alte e basse sfere della criminalità.
La fonte del male però, è spesso da ricercare negli ambienti più prossimi e familiari ed anche questo “caso” confermerà la regola, riuscendo a spiazzare grazie alla grande abilità dell’autore anche il lettore più abituato.
Per quanto riguarda la figura di Lamberti, è evidente che il romanzo non fosse stato concepito come pietra “tombale” della tetralogia: in questo episodio, Duca prosegue, infatti, la sua “relazione” con Livia Ussaro, ma non compie alcun passo significativo nell’arco dello svolgimento dei fatti.
Con la sua scrittura semplice ma rigorosa, con lo scorrere fluido della narrazione in una trama in cui si intersecano i fili di passato e presente, Scerbanenco si impone, con questo e gli altri romanzi, protagonista Duca Lamberti, tre dei quali furono portati sullo schermo rispettivamente da Fernando Di Leo, Duccio Tessari e da Yves Boisset Due tra i più affermati autori contemporanei di noir come Carlo Lucarelli e Andrea J. Pinketts hanno per questo tributato il giusto omaggio all’opera dello scrittore. Romanzi, come I milanesi ammazzano al sabato, che, a distanza di oltre trent'anni dalla loro pubblicazione, rimangono attualissimi soprattutto per l’atmosfera che l’autore riesce a evocare.
Nell’Italia degli anni ’60, nella Milano capitale del boom economico, Scerbanenco individua primi i segnali della crisi della società di massa che esploderà di lì a pochi anni. Indifferenza, disillusione, cinismo non dominano solo gli squallidi ambienti della delinquenza, comune e non, descritti con rigore chirurgico dagli occhi dell’ex medico Duca Lamberti, questi mali pervadono, infatti, tutta la società moderna, dalle famiglie alto borghesi, come in “Venere privata” ai giovani immigrati che vivono di espedienti nella palude metropolitana. Un’aria malsana che inquina Milano e tutte le città d’Italia, ma che non ferma coloro che hanno ancora voglia di giustizia, pur nella consapevolezza dell’inutilità dei propri sforzi, come Duca Lamberti, uno dei più riusciti del panorama letterario poliziesco, che unisce alla capacità analitica di Maigret un’umanità tutta lombarda, nascosta sotto un carattere apparentemente ruvido, ma sempre presente, pronta a venire fuori in ogni occasione, purché sia quella giusta.
Giorgio Scerbanenco quindi chiude con anticipo il ciclo di Duca Lamberti proprio nel momento in cui era prossimo a “sfornarne” un nuovo capitolo dedicato alle indagini milanesi dal provvisorio titolo “I pulcini e il sadico”.
L'anno successivo, nel momento culminante della sua carriera, morì improvvisamente a Milano.
Nel 1970, nella serie ‘Suspence’ di Longanesi, uscì postumo ‘Al servizio di chi mi vuole’, primo ed unico romanzo d’una serie che avrebbe dovuto avere come protagonista la figura d’un “para” italiano, Ulisse Orsini, soldato di ventura.
Nel 1994 sono dati alle stampe "I milanesi ammazzano al sabato", "Noi due e nient' altro", "Appuntamento a Trieste" e "Cinquecentodelitti".
Nel 1995, "Lupa in convento", "Cinque casi per l'investigatore Jelling", "Principesse di Acapulco", "Spie non devono amare", "Al mare con la ragazza" e "Non rimanere soli".
Nel 1996, "Ladro contro assassino", "Millestorie" e "Storie dal futuro e dal passato".
Nel 1999, "Ragazzi del massacro", "Al servizio di chi mi vuole" e "La Ragazza dell'addio".
Nel 2004, infine, "La mia ragazza di Magdalena" appartenente al "ciclo del nuovo Messico".
Nel 1993, alla memoria di Scerbanenco è dedicato il più importante premio per la narrativa gialla italiana, il Premio Scerbanenco.
Nel 2006 è stata realizzata una docufiction sulla sua vita, con interviste e testimonianze di chi l'ha conosciuto, ad opera del regista Stefano Giulidori, presentata con successo al Noir in Festival di Courmayeur.
Oltre ai Romanzi citati si fornisce la bibliografia completa dei Romanzi di Scerbanenco non citati nell’articolo:
1941: L’amore torna sempre (Sacse)
1941: Oltre la felicità (Sacse)
1941: Quattro cuori nel buio (Sacse)
1942: È passata un’illusione (Sacse)
1943: Cinque in bicicletta (Mondadori)
1943: Il mestiere di uomo (Aragno 2006)
1943: Si vive bene in due (Mondadori)
1944: Il cavallo venduto (Rizzoli)
1945: Johanna della foresta (Rizzoli)
1947: Ogni donna è ferita (Rizzoli)
1948: Quando ameremo un angelo (Rizzoli)
1949: La sposa del falco (Rizzoli)
1950: Anime senza cielo (Rizzoli)
1952: I giorni contati (Rizzoli)
1952: Il fiume verde (Rizzoli)
1952: Il nostro volo è breve (Rizzoli)
1953: Amata fino all’alba (Rizzoli)
1953: Appuntamento a Trieste (Rizzoli)
1953: Uomini e colombe (Rizzoli)
1954: Desidero soltanto (Rizzoli)
1954: La mano nuda (Rizzoli)
1955: Mio adorato nessuno (Rizzoli)
1956: I diecimila angeli (Rizzoli)
1956: Via dei poveri amori (Rizzoli)
1957: Cristina che non visse (Rizzoli)
1958: Elsa e l’ultimo uomo (Rizzoli)
1958: Il tramonto è domani (Rizzoli)
1959: Noi due e nient’altro (Rizzoli)
1961: Viaggio di nozze in grigio (Rizzoli)
1963: La sabbia non ricorda (Rizzoli)
1969: Milano calibro 9 (Garzanti)
1970: Il centodelitti (Garzanti)
1974: I sette peccati capitali e le sette virtù capitali (Rizzoli)
1974: Né sempre né mai (Sonzogno)
1975: La notte della tigre (Rizzoli)
1976: L’ala ferita dell’angelo (Rizzoli)
1985: Romanzo rosa (Rizzoli)
1989: La vita in una pagina (Mondadori)
1993: Il falcone e altri racconti inediti (Frassinelli)
2000: Basta col cianuro (Cartacanta)
2002: Uccidere per amore (Sellerio)
2005: Racconti neri (Garzanti)
2006: Uomini ragno (Sellerio)
[1] (contenuto all’interno del dvd Raro/Nocturno di Milano Calibro 9
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