lunedì 24 dicembre 2012

Longobardi, Normanni all'ombra della Cattedrale di Salerno di Massimo Capuozzo


Tra stretti vicoli e piccole botteghe artigianali, si erge uno dei più suggestivi esempi di architettura medioevale del Mezzogiorno d’Italia, la maestosa Cattedrale di San Matteo.
Alla sua costruzione contribuirono soprattutto due circostanze: la traslazione delle reliquie di San Matteo da Capaccio a Salerno e la conquista della città, nel 1075, da parte del duca normanno Roberto  il Guiscardo, che, sconfitto Gisulfo II principe di Salerno, pose fine al principato longobardo. Roberto il Guiscardo era già noto ai salernitani perché aveva sposato la colta principessa Sichelgaita, sorella di Gisulfo II: esortato dall'arcivescovo Alfano I, dispose che si costruisse una grande cattedrale in onore di San Matteo, non solo per rafforzare la propria potenza e la propria immagine, ma soprattutto per guadagnarsi il favore della cittadinanza e la benevolenza del Papa.
Con la demolizione delle chiese paleocristiane di S. Maria degli Angeli, sorta a sua volta sulle rovine di un tempio romano, e di S. Giovanni Battista e con le donazioni delle famiglie patrizie salernitane si ricavarono i terreni su cui fu edificata la nuova Cattedrale reimpiegando colonne, capitelli, architravi e lastre marmoree dei templi pagani della città. La sua realizzazione avvenne in tempi brevissimi forse troppo brevi: già nel 1081 fu, infatti, terminato il primo nucleo architettonico costituito anche simbolicamente dalla Cripta, in cui furono riposte le spoglie di S. Matteo e dei Santi e Martiri salernitani.
Le vicende della costruzione di questa Cattedrale sono strettamente connesse all’intreccio politico fra Alfano I, l’agonizzante potere longobardo e l’ascesa normanna di Roberto il Guiscardo.
Alfano come il suo amico l’abate Desiderio di Montecassino, era un longobardo di nobile famiglia – imparentata con quella del principe di Salerno – e divenne anch’egli monaco in Santa Sofia di Benevento. Eletto abate di San Benedetto e poi arcivescovo di Salerno per la sua fama di scrittore versatile e colto, produsse pregevoli Inni, ispirati ad Orazio, e scrisse opere di vario genere: agiografia, teologia e medicina, e raffinate traduzioni dal greco, base di successive esperienze cliniche e di ricerca medica. Durante il suo episcopato, in corrispondenza con il movimento per la riforma della Chiesa, Alfano accompagnò a Costantinopoli il principe di Salerno Gisulfo II, ospite del facoltoso mercante amalfitano Pantaleone, per chiedere sostegno ed aiuto militare al basileus Costantino X Ducas contro il cognato Roberto e i suoi normanni e per promuovere una lega anti-normanna. Ma Gisulfo, a sua insaputa, lasciò Alfano in ostaggio all'Imperatore d'Oriente: dopo una inimmaginabile fuga tornò in Italia dove fu accolto da Roberto il Guiscardo e dalla moglie, la principessa Sichelgaita. Quando nel 1075 il Guiscardo conquistò Salerno, Alfano fece da mediatore, nella delicata fase di transizione, tra longobardi e normanni. Per il ritrovamento delle reliquie di San Matteo lo stesso Papa Gregorio VII si rallegrò con Alfano, che approfittò di tanto entusiasmo per proporre a Roberto il Guiscardo la costruzione di un monumento che manifestasse tutta la santità e lo splendore di Salerno che, nel 1076, era divenuta la capitale dello stato normanno: una nuova cattedrale che potesse accogliere le reliquie di San Matteo. La costruzione iniziò nel 1080 con il patrocinio di Roberto il Guiscardo, ricordato come committente da alcune iscrizioni sul portale centrale e fu consacrata dallo stesso papa Gregorio VII che nel 1084, in piena lotta per le investiture, era stato condotto a Salerno – dove morì nel maggio 1085 – dallo stesso Roberto il Guiscardo, dopo essere stato liberato dall'assedio dell'imperatore Enrico IV, in Castel Sant’Angelo.
Nella vicenda della cattedrale di Salerno entra un nuovo protagonista: Papa Gregorio VII le cui linee-guida della riforma furono l'imitazione degli apostoli e il ritorno alle consuetudini della Chiesa delle origini, che in campo artistico si manifestò in un ritorno a forme e a temi paleocristiani: l'arte divenne in questo modo un concreto mezzo di propaganda papale delle idee riformatrici. Uno dei punti di partenza di questo ritorno al passato è stato individuato nell'opera di Desiderio, poi successore di Gregorio con il nome di Vittore III, che volle ricostruire il suo monastero ispirandosi alle grandi basiliche paleocristiane con la consacrazione della chiesa nel 1070. Nell'ambito della produzione libraria, le influenze più rilevanti della riforma gregoriana sono state individuate nella diffusione delle grandi bibbie atlantiche e nel rinnovamento della tipologia degli Exultet in Italia meridionale conseguente all'imposizione della liturgia romana su quella greca.
I celebrati avori conservati nel Museo Diocesano e la cosiddetta cattedra gregoriana della Cattedrale sono stati messi da alcuni in relazione con la presenza di Gregorio a Salerno. Nell'impiego di marmi antichi rilavorati per i braccioli a protomi leonine della cattedra – presumibilmente quella impiegata da Gregorio VII durante la cerimonia di consacrazione del duomo – si trova attuato concretamente quel ritorno all'Antico, legato alla riforma gregoriana, che trovò un seguito nella produzione di seggi papali a Roma fino all'inizio del Duecento.
La Cattedrale fu costruita tra il 1080 ed il 1084 e, alla fine dello stesso anno consacrata dal papa Gregorio VII; per l’eccessiva celerità con cui fu costruita e per i cedimenti di terreno dovuti a numerosi sismi, subì nei secoli numerosi rifacimenti.

L'arcivescovo Alfano I, proveniente da Montecassino e legato all'abate Desiderio, si ispirò alla chiesa costruita da quest'ultimo e ai modelli romani: Alfano, che aveva assistito alla costruzione della nuova basilica cassinese e che nel 1071 era presente alla celebre cerimonia organizzata da Desiderio per inaugurare la nuova abbazia, si ispirò per la forma e per la pianta della costruzione  al modello della chiesa abbaziale di Montecassino, conoscendone profondamente il significato. La cattedrale di Salerno con le sue tre navate – di cui quella centrale molto larga – l’alzato altissimo, le tre absidi che ne coronano il fondo, il quadriportico d'accesso, riprende esattamente quegli elementi di esaltazione della romanità che Desiderio aveva introdotto a Montecassino, ispirandosi alle basiliche paleocristiane di Roma pur con delle novità, come ad esempio la forma della cripta ad aula con lo spazio scandito da colonne e con le absidi in corrispondenza con quelle del transetto superiore. L'elemento di romanità a Salerno è evidente anche nella presenza di numerosi elementi di spoglio: colonne, capitelli, architravi.
Della tipologia cassinese Alfano modificò solo le dimensioni, che furono quasi raddoppiate – nonostante i problemi tecnici ed economici che una tale soluzione comportava – per esaltare l'importanza di Salerno. L'imitazione di modelli aulici che caratterizzò gli stili dei mosaicisti neocampani che lavorarono per gli arcivescovi Alfano appare nei mosaici del duomo di Salerno. In realtà l'intera decorazione del duomo è attribuita sia ad Alfano I, sia al suo successore Alfano II (1085-1121).
L'aspetto attuale corrisponde per ampia parte alla ristrutturazione barocca, avviata dopo il terremoto del 5 giugno 1688 su progetto dell'architetto napoletano Arcangelo Guglielmelli e soprattutto all’opera di Ferdinando Sanfelice, modificato e completato dall'architetto romano Carlo Buratti.

L'ingresso attuale è stato modificato rispetto a quello medievale: mentre quello romanico prevedeva dodici scalini semicircolari, quello attuale si presenta invece con una scalinata monumentale a doppia rampa: dell’antico prospetto resta solo il portale detto Porta dei Leoni a causa di due statue ai lati degli stipiti raffiguranti un leone – simbolo della forza – e una leonessa con il suo cucciolo – simbolo della carità. Sull’architrave, scolpita ad imitazione di un portale romano, una scritta ricorda a chi entra l’alleanza tra i principati di Salerno e di Capua. Il fregio, raffigurante una pianta di vite – evidente rimando al salvifico Sangue di Cristo – presenta altre decorazioni animali: una scimmia – simbolo dell’eresia – ed una colomba che becca i datteri – simbolo dell’anima che si pasce dei piaceri ultraterreni; in alto sulla lunetta un affresco del Seicento raffigura San Matteo mentre scrive il Vangelo ispirato dall’angelo.
L'ampio atrio, unico esempio di quadriportico romanico in Italia oltre a quello della chiesa di Sant’Ambrogio a Milano, è circondato da un porticato – ideale continuazione verso l’esterno delle navate interne – retto da ventotto colonne di spoglio, provenienti dal vicino Foro Romano, con archi a tutto sesto rialzato decorati con intarsi di pietra vulcanica sulle lesene e ai pennacchi poggiati su capitelli corinzi, che riecheggiano tipologie islamiche. L’atrio, completato da uno splendido loggiato soprastante a bifore e pentafore, è arricchito su tutti i lati da una serie di sarcofagi romani, riutilizzati in epoca medievale, configurandosi come una specie di Pantheon  cittadino.

Sul lato meridionale sorge l’alto e maestoso campanile arabo-normanno della metà del XII secolo. Il monumentale campanile si eleva per quasi 52 metri con una base di circa dieci metri per lato, fu commissionato da Guglielmo da Ravenna, arcivescovo di Salerno dal 1137 al 1152. La sua particolare composizione risponde ad una precisa esigenza statica poiché i primi due piani, indubbiamente più pesanti, sono in travertino e costituiscono una solida base di sostegno. Gli altri due piani sono in blocchetti di laterizio, certamente più leggeri. Tutti i piani sono alleggeriti da ampie bifore che scaricano i pesi lateralmente sugli angoli. La torretta costituisce la parte più interessante con la decorazione a dodici archi a tutto sesto intrecciati con alternanza regolare di diversi materiali policromi. Le forme del campanile, inoltre, rimandano a precise simbologie bibliche. I piani sono tre, numero equivalente ai livelli dell’universo secondo le Sacre Scritture; inoltre, la forma cubica vuol ricordare la loro fisicità. La torretta, invece, ha una forma circolare che nella Bibbia equivale all’elemento ultraterreno; la parete esterna è percorsa da dodici colonnine – quanti sono gli apostoli – che reggono la fascia stellata a sei punte – stella ebraica – che è la raffigurazione del paradiso. In cima a tutto vi è la cupola, la cui perfetta forma sferica rappresenta Dio.

L'ingresso principale alla chiesa è costituito da una porta di bronzo bizantina, uno dei sei esemplari bizantini presenti in Italia, fusa direttamente a Costantinopoli nel 1099, inserita in un bel portale marmoreo medievale. La porta fu donata alla città da due coniugi, Landolfo e Guisana Butrumile, è formata da cinquantaquattro formelle in gran parte raffiguranti croci bizantine, presenta al centro una teoria di 6 icone raffiguranti S. Paolo, S. Pietro, S. Simeone, Gesù benedicente, S. Matteo e la Vergine, la raffigurazione simbolica di due grifi che si abbeverano ad un fonte battesimale – il grifo, oltre che dell’immortalità dell’anima, è anche simbolo della famiglia normanna degli Altavilla, ai quali apparteneva il fondatore Guiscardo. Le porte bronzee bizantine di Salerno insieme con le altre costituiscono una straordinaria testimonianza del patrimonio artistico del Medioevo e un documento unico della produzione metallurgica di Costantinopoli, di cui nelle regioni dell’impero d’Oriente non è sopravvissuto nessun altro caso simile. Questi preziosi manufatti non rappresentano solo un rilevante fenomeno di gusto legato al sempre più largo successo riscosso dalle arti suntuarie di Bisanzio in epoca romanica, ma sono anche un documento di primaria importanza per ricostruire quelle rotte commerciali e artistiche mediterranee nelle quali svolsero un ruolo decisivo le Repubbliche marinare, soprattutto Venezia, Amalfi e Pisa.
La basilica è un imponente edificio a tre navate, ma probabilmente in origine dovevano essere cinque, di cui quella centrale è sormontata da una volta a botte, mentre il transetto presenta delle capriate in legno rifatte negli anni cinquanta.
La navata centrale, originariamente su colonne di spoglio – le colonne ed i capitelli originari sono stati in parte scoperti all'interno dei pilastri barocchi durante i restauri – si apre sull'ampio presbiterio nel quale si conservano il pavimento ad intarsi marmorei e porzioni dei mosaici.
Al termine della navata s’inserisce un coro ligneo: l’arcivescovo Romualdo II Guarna (1163-1181) eresse nel Duomo una parete, rivestita di marmi e mosaici, che separava il transetto dalla navata: iconostasi ante litteram, demolita nel XIX secolo e sulla quale – secondo un’altra ipotesi – probabilmente erano posti gli avori, divideva l'area presbiteriale dalla navata, una divisione, ulteriormente sottolineata dalla delimitazione dei due celebri amboni e del candelabro pasquale degli ultimi decenni del XII secolo. Durante le ristrutturazioni barocche sia l'ambone sia l'iconostasi hanno subito delle alterazioni che rendono oggi impossibile una ricostruzione dettagliata della configurazione iniziale. Attorno all'altare si conserva ancora l’antico recinto costituito da lastre ricoperte con intarsi marmorei.
I due amboni salernitani, sorretti da colonnine tipicamente bizantine decorate con un intarsio di pietre policrome e decorate con sculture e mosaici di ambito siciliano, hanno un ruolo fondamentale nella storia dell’arredo liturgico delle chiese del Mezzogiorno: dal periodo paleocristiano ed altomedievale fino alla rinascita dei secoli XII e XIII, questo tipo di arredo liturgico era caratterizzato dalla presenza di un ambone a doppia rampa, privo quindi di colonne. A Roma, cuore pulsante del patrimonium Petri, è molto documentata la tipologia a doppia rampa, ma nei territori di influenza campana invece i pulpiti di Salerno, strutturati a cassa su colonne, dovettero svolgere dalla fine del XII secolo un’azione normativa tale da non lasciare più spazio a nessuna variante, diventando l’indiscusso modello di riferimento. I pulpiti salernitani Guarna e d’Aiello soppiantarono immediatamente la struttura a doppia rampa, sebbene molto diffusa, come si evince anche dal superstite ambone Rogadeo della Cattedrale di Ravello o dalle numerose miniature degli Exultet, ispirando a seguire tutti i pulpiti prodotti in area campana, dalla stessa Ravello a Caserta, da Capua a Sant’Angelo in Formis, da Teano a Sessa Aurunca.

Sulla sinistra, a cornu evangeli, è collocato l’ambone Guarna del 1180 che, finemente decorato con mosaici e sculture, fu donato da Romualdo Guarna, come è riportato sull’iscrizione che corre lungo il parapetto. Il pulpito è retto da quattro colonne, tre delle quali sormontate da bellissimi capitelli figurati, mentre la quarta presenta il capitello a motivi vegetali. Uno dei tre è decorato con figure dalle code serpentiformi poste negli spigoli. Il secondo presenta sulle facce delle figure femminili elegantemente scolpite in abbigliamento classico e figure maschili che come atlanti sorreggono con fatica gli spigoli del capitello. Nel terzo le figure femminili sono sostitute da altrettante figure maschili mentre negli spigoli trovano posto leoni accucciati. Colpisce il naturalismo con cui sono scolpite, quasi a tutto tondo, le figure. Sugli archi si trovano, in rilievo sul fondo intarsiato, le raffigurazioni di evangelisti – San Matteo e San Giovanni – e profeti. La base della cassa è delimitata da una cornice scolpita a tralci avvitati. Un'aquila domina il gruppo marmoreo che costituisce il leggio: si narrava che l'aquila, quando diventava vecchia, con volo possente si librava fino al sole, le piume si bruciavano al calore ed essa cadeva in mare, dal quale poi emergeva ringiovanita. Sul fondo del lettorino poligonale si osserva il rilievo raffigurante la testa di Abisso. Particolarmente interessanti sono le figure di atlanti uno giovane ed uno vecchio che si trovano sugli spigoli. Particolarmente ricca è la lastra rivolta verso la navata: nastri intrecciati ricavano degli spazi in cui trovano posto figure di uccelli e draghi. Al particolare pregio delle sculture si affianca la preziosità della decorazione musiva fondata sul ripetersi e sul complicarsi del modulo di ispirazione bizantina del disco inscritto in una fascia a motivi geometrici sempre diversi. Ogni pluteo è decorato da cinque dischi, di porfido o di tessere musive dorate, uniti da volute in mosaico. Un astratto valore iconico distingue nei dischi in alto un mondo superiore, sede degli eletti, e nei dischi in basso un mondo inferiore, il nostro. Il disco al centro simboleggia Gesù: centro dello spazio cosmico e della storia. Come la scultura, anche la decorazione musiva appare in piena sintonia con quanto era stato espresso nei grandi cantieri palermitani.

Molto più grande è l'ambone D’Ajello del 1195 posto a destra, a cornu epistulae la cui donazione è attribuita alla famiglia dell’arcivescovo Niccolò D’Aiello. Se l’attribuzione è incerta, evidente appare l’affinità stilistica con l’ambone Guarna, con il muro di recinzione e con il cero pasquale, il che fa ipotizzare una contemporaneità di esecuzione nella seconda metà del XII secolo. L’ambone è a pianta rettangolare su dodici colonne a fusto liscio con capitelli in cui si ripetono più motivi ornamentali; sui pannelli a mosaico si ritrova il motivo del disco inserito in una cornice a spirale. I capitelli del colonnato, di fattura più semplice rispetto a quelli dell'altro ambone soprattutto quelli con figure di uccelli, protomi e cornucopie, sono in stretto collegamento con quelli di analogo soggetto, ma di fattura meno raffinata, del chiostro di Monreale. Le lastre sono ricoperte con motivi a nastri intrecciati a quinconce che ritagliano spazi ricoperti con minuti intarsi multicolori. L'ambone ha due lettorini di cui quello rivolto verso la navata raffigurante l'aquila che artiglia la testa dell'uomo col serpente. Il secondo, rivolto verso il presbiterio, è costituito da due diaconi stanti su leoncini. Lo stile del rilievo è molto diverso dal precedente è richiama esperienze di tipo settentrionale, francesi o tedesche.

Accanto all’ambone maggiore, c’è il candelabro del cero pasquale, cilindrico e ricoperto da tarsie a zig-zag, a spirale e lineari. La base di tipo corinzio è affiancata da quattro figure di orsi accovacciati mentre il fusto è diviso in tre parti da nodi di cui quello superiore è decorato con raffinati intarsi naturalistici.
Su tutta l'area prebiteriale – coro, presbiterio e transetto – sono realizzati con motivi di tarsie policrome eseguiti su ordine dell’arcivescovo Guglielmo da Ravenna, nella prima metà del XII secolo.
Le tre absidi si innestano direttamente sul muro orientale del transetto. Degli ampi mosaici originari, della fine dell'XI secolo, rimangono solo pochi ma significativi frammenti dei simboli di Matteo e Giovanni. Sul fondo dell'abside centrale si trova la cattedra che si dice appartenuta al vescovo Alfano in fondo troneggia l’altare decorato con paliotti d’argento. Nell'abside sinistra un mosaico dell'XI secolo, completato ad affresco nel XIV secolo, raffigura il Battesimo di Cristo. L’abside della navata destra, detta Cappella dei Crociati, perché durante la visita di Papa Urbano II, fu istituita una confraternita che si proponeva di raccogliere soldati e fondi per la liberazione del Santo Sepolcro. Il committente, Giovanni da Procida, la fece costruire e rivestire di mosaici nel 1258: Giovanni da Procida raffigurato in atto di genuflessione nei pressi della figura centrale di San Matteo. Il mosaico al centro della cappella rappresenta San Matteo in trono; al di sopra San Michele Arcangelo, ai lati San Lorenzo, Giacomo, Fortunato e Giovanni. Ai piedi di San Matteo si vede, in piccolissime proporzioni, la figura di Giovanni da Procida. Sotto l’altare è presente l’urna del Papa Gregorio VII che morì in esilio a Salerno a causa della lotta per le investiture. I mosaici che ornano tutta quest’area furono tutti rifatti nel 1954, ma degni di nota, poiché originali, sono quelli della navata destra nonché quello bellissimo della controfacciata, raffigurante San Matteo benedicente col Vangelo risalente agli anni di passaggio dal XII al XIII secolo.
Al livello inferiore, in corrispondenza dell'altare centrale, vi è la Cripta, primo nucleo nella costruzione del duomo. Già nel Marzo 1081, alla presenza di Roberto Guiscardo e dell'Arcivescovo Alfano I, erano deposte le reliquie di san Matteo, dei santi martiri e di altri santi. La cripta si estende sotto il transetto ed il coro ed è costituita da un ambiente a sala con nove file di tre campate, con volta a crociera poggiate su colonne; queste ultime si snodano nelle diverse direzioni e formano, con mirabile effetto architettonico, un intreccio di curve che degradano sfumando. L'impianto a sala riprende una tipologia utilizzata dai monaci cluniacensi, ma la costruzione complessiva della Cattedrale è frutto del nuovo clima spirituale e religioso dell’XI secolo. Nel XVII secolo si determinarono per la Basilica inferiore grandi trasformazioni anche dovute allo stato di degrado in cui versava. I lavori furono commissionati a Domenico Fontana, responsabile del progetto architettonico e decorativo.
Sempre dalla sagrestia si ha accesso al complesso dell’ex seminario che attualmente ospita il Museo diocesano: in esso sono conservati numerosi reperti tra cui sculture, pale d’altare e frammenti decorativi provenienti dalla Cattedrale, inoltre nel museo sono esposti gli Avori Salernitani: tessere decorate su avorio e raffiguranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, che una volta decoravano l’antico altare della Cattedrale.
La stessa scelta iconografica della serie di tavolette d'avorio contiene un forte richiamo alla tradizione romana. Questo ciclo di sessantasette tavole e tavolette d'avorio scolpito, raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento – provenienti dalla Cattedrale ed ora esposte per la maggior parte nel Museo Diocesano di Salerno – è la più vasta, completa e meglio conservata serie di opere eburnee del Medioevo cristiano al mondo. Il complesso proviene dall'area artistico-culturale di Amalfi e Salerno che dal finire del secolo XI al XIII produsse opere rilevanti, ed esso rappresenta uno sforzo di inventiva, creatività e composizione notevole che non si ritrova nemmeno nei contemporanei paliotti o retabli per altare.

Questi avori sono stati oggetto di un dibattito critico molto complesso, nel quale si sono registrate posizioni assai differenti sui committenti, sulla cronologia, sull’identificazione degli autori e sulla possibile collocazione originaria – dossale, cattedra episcopale, reliquiario, porta d'avorio. Le formelle furono realizzate verosimilmente per arredare l’altare maggiore della cattedrale, con la raffigurazione degli Episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento – tema iconografico della decorazione delle antiche basiliche romane a partire da S. Pietro – circondati da cornici a decori vegetali, dalle figure degli apostoli e da testine di oranti, anch’essi realizzati in avorio. Un ciclo complesso, quindi, ma smembrato già alla fine del XII secolo per sottrarlo all’incursione depredatrice dell’imperatore Enrico VI.

I pezzi più affascinanti e artisticamente pregevoli sono quelli raffiguranti le storie legate all’Antico e il Nuovo Testamento. Nelle prime, le figure e le ambientazioni si stagliano entro tavolette di forma rettangolare che hanno un andamento orizzontale e in questo modo, gli autori riuscirono a rappresentare nella stessa formella anche due episodi contemporaneamente. Nelle storie neotestamentarie, invece, le raffigurazioni si dipanano sulle superfici in senso verticale: ciò fa intuire che, nella posizione originaria del ciclo, esso avesse una funzione diversa, quasi centrale nella composizione. Altro fattore rilevante è lo stile diverso, frutto del felicissimo amalgama tra gli stili locali di tendenza normanna, araba e bizantina, quest'ultima orientata al recupero dell'arte classica, segno tangibile che l'opera sia attribuibile ad almeno tre maestri e con una sovrabbondanza decorativa e di sfondi che fa pensare ad una sorta di horror vacui. Vi sono inoltre richiami precisi a Salerno e al mondo orientale, con la città e i templi simili più a minareti e moschee che a chiese cristiane. Sia i personaggi principali, sia quelli secondari sono rappresentati mentre compiono un’azione, in cui nulla è lasciato al caso; proprio come un attore in scena, ogni figura ha un ruolo specifico e fondamentale ai fini della rappresentazione dell’episodio narrato, e raramente funge da sfondo scenografico. Sorprendenti sono gli elementi decorativi che impreziosiscono le architetture, le ambientazioni e le vesti, raffigurati in modo preciso ed essenziale. L’analisi stilistico-formale delle figure e delle architetture ha rivelato come ad intagliare gli avori furono ben tre personalità artistiche differenti, ma operanti probabilmente nella stessa bottega salernitana. Artisti che adoperarono una svolta sul piano culturale, allontanandosi dai modi della scuola amalfitana ancora imperante alla fine dell’XI secolo, per accostarsi ai nuovi intendimenti romanici provenienti dall’Italia settentrionale e dalla Francia meridionale e della Spagna. Dal confronto con la cassetta eburnea di Farfa si deduce che dovettero esistere una o più botteghe – attive nella Costa d'Amalfi – in cui era lavorato l'avorio: questo ciclo di tavolette eburnee mostra anche un evidente collegamento della manifattura in questione all'insieme delle arti suntuarie, prima fra tutte l'oreficeria che richiedeva l'uso degli stessi strumenti, quali il cesello, applicati ad opere fragili e delicate – interessante presenza questa di orefici di origine greca o siciliana nell'area fra Amalfi e Salerno. La raffinatezza dell'esecuzione, la libertà di espressione e di inventiva e la complessità del risultato, caratterizza questa bottega, di elevatissimo livello nell'ambito del panorama artistico campano. Come in genere tutto il panorama artistico campano anche questi avori attestano i possibili contatti con l'arte islamica che certamente in qualche modo giungeva tramite i contatti commerciali tra le due sponde del Mediterraneo. L'apporto dell'arte islamica si coglie nella grande perizia e nell’estro profusi per la resa degli apparati decorativi, per il ricorso a distese di elementi floreali, fitomorfi se non addirittura astratti, spesso usati come semplice riempitivo di superfici che altrimenti sarebbero risultate vuote. 

La prima caratteristica che differenzia nettamente le tavolette eburnee dalla cassetta di Farfa è il grande rilievo dato all'impianto architettonico che inquadra le scene, le suddivide e ne costituisce l'elaborato fondale; sebbene in nessun caso l'artista sia riuscito a far realmente muovere le figure in uno spazio dotato di profondità ma questo non rientrava nelle sue intenzioni, egli si è accontentato piuttosto di offrire ai personaggi un fondale estremamente ricco e preziosamente cesellato, che manca del tutto in altre opere coeve. Il ricorso sistematico alle quinte architettoniche nonché alla spartizione dei riquadri istoriati mediante altri elementi architettonici come colonnine e paraste, lega saldamente gli artefici delle tavolette all'arte bizantina ed al mondo tardo antico e carolingio da cui proviene il maggior numero di elaborazioni del tema iconografico di Cristo nel Limbo, intento a trarne fuori i Progenitori. Ma il richiamo all'arte tardo antica risiede soprattutto nell'uso dell'elemento architettonico come quinta ed inquadramento; in questo senso il richiamo più immediato è con le numerose fronti di sarcofago, a porte di città, ad immagini di edifici, mura merlate e porte, così frequenti nei cicli pittorici e musivi delle basiliche e chiese tardo antiche e altomedievali, spesso raffigurate a simboleggiare la Gerusalemme celeste quale ambientazione delle teofanie che decoravano absidi e grandi arche sepolcrali.
Massimo Capuozzo

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