venerdì 4 gennaio 2013

La formazione di Sofonisba Anguissola. Di Massimo Capuozzo

Nata intorno al 1530 nella suggestiva cornice della città di Cremona, dalla nobile famiglia piacentina degli Anguissola, dal Conte Amilcare e da Bianca Ponzoni, due nobili non molto ricchi, ma assai colti ed amanti delle arti liberali. Sofonisba era la prima di sette figli, seguivano cinque sorelle e un fratello: Elena, Lucia, Minerva, Europa, Anna Maria ed Asdrubale. A lei ed al fratello Asdrubale spettò continuare nel nome la saga cartaginese iniziata dal nonno Annibale.
Il nobile Amilcare, influenzato dal clima intellettuale ed aperto della cultura cremonese e, sull’esempio del giurista Agostino Gallarati che sostenne il talento letterario della figlia Partenia, intese le inclinazioni artistiche delle figlie e tentò di promuoverle presso le più alte cariche del tempo.
Amilcare aveva un ruolo importante nella società, faceva parte del consiglio dei Decurioni, che governava la città di Cremona per conto dell’impero spagnolo di Filippo II. Questa attività gli permise importanti contatti con personaggi in vista sia spagnoli sia italiani. Bianca ebbe un ruolo importante nella famiglia con le sue altolocate conoscenze, probabilmente riuscì a promuovere il talento artistico delle sue figlie. I tempi erano maturi per un riconoscimento dei talenti femminili, ad iniziare dalle corti, dove si misero in luce.
Le Sofonisbe, come le chiama il misogino Carlo Emilio Gadda, crebbero insieme, istruite e assecondate dai genitori a coltivare i loro talenti intellettuali ed artistici. Una storia di illuminata anticipazione di ciò che, a distanza di poco meno di tre secoli, divenne la costruzione borghese dell’identità femminile di classe medio-alta: secondo i suoi genitori, infatti, la musica, la poesia, l’arte potevano sposarsi con la maternità, con la dedizione ai figli, con la cura della casa, purché non si facessero mestiere, purché non emancipassero la donna dal perimetro della casa e della famiglia, procurandole autonomia, decisionalità e denaro da amministrare.
Intorno al 1546, le Sofonisbe continuarono ad essere indirizzate dal padre verso una formazione intellettuale piuttosto liberale e sicuramente anticonformista per l’epoca. Perseguendo l’obiettivo di un modello di socialità filo-femminile, e coltivando la speranza di garantire lustro e continuità alla propria stirpe, Amilcare Anguissola decise, infatti, di coltivare le qualità delle proprie figlie, avviandole a studi umanistici ed artistici. In virtù di un padre per certi aspetti anticonvenzionale, come Amilcare, che si può considerare, senza dubbio, un precursore di quella che, pochi secoli dopo, diventò l’educazione tradizionale delle future nobildonne, la figura di Sofonisba acquisisce oggi una valenza storica ancora più significativa.
Nel 1546, Amilcare Anguissola si accordò con il pittore Bernardino Campi (1546 – 1549) giovane – era più grande di Sofonisba soltanto di  dieci anni – ma destinato ad una carriera folgorante e gli mandò a bottega le due maggiori, Sofonisba ed Elena, di poco più piccola, affinché imparassero a disegnare e a dipingere dopo il tirocinio Elena però decise di entrare in convento.
Il ventiquattrenne maestro Bernardo era un pittore di formazione mantovana non imparentato con i cremonesi Giulio Campi e Antonio Campi e Vincenzo Campi, era il tipico esponente del Manierismo lucido, elegante e sofisticato di Parmigianino. Campi era famoso per i ritratti, ed Amilcare desiderava che le figlie potessero seguire questa strada potendo, in un futuro, ritrarre l’aristocrazia che essi frequentavano e in quel periodo la corsa al ritratto era diventata una vera mania.
Certamente le due ragazze non frequentarono la bottega vera e propria accanto a garzoni e apprendisti di ogni  genere, ma per tre anni si recarono tutti i giorni a casa del pittore, accompagnate da una domestica, sotto la vigilanza della madre e ricevettero un’educazione che fornì loro i rudimenti dell’arte, in particolar modo dedicandosi allo studio dei ritratti dal naturale e tralasciando l’invenzione dei consueti soggetti religiosi.
Nel 1549, però, Bernardino dovette lasciare Cremona, per ritrarre Ippolita Gonzaga, figlia del governatore di Milano: trasferitosi in maniera stabile Milano alla corte di Ferrante I Gonzaga, esportò le novità del Manierismo in una scuola pittorica ancora attardata nell'imitazione dello stile di Leonardo e Gaudenzio Ferrari.
Sebbene le sorelle fossero già pronte per camminare da sole, il padre le volle affiancare al più anziano Bernardino Gatti detto il Sojaro (1549-1551ca), pavese d’origine, ma radicato tra Cremona e Piacenza era ben legato alla vivace cultura artistica cremonese del Cinquecento: i suoi modelli furono Pordenone e Correggio, che fu suo maestro, riuscì a combinare questi motivi in una formula personale di classicismo, senza escludere inflessioni naturalistiche di sapore lombardo.
Sofonisba ritornò in famiglia si specializzò nel ritratto ed insegnò le tecniche alle sorelle Lucia, Europa e Anna Maria e proprio nell’ambiente domestico nacquero i suoi dipinti più celebri. In questo periodo spesso i modi figurativi sono collocati all’incrocio di diverse traiettorie, tra il linguaggio dell'area emiliana e lombarda, quello che affluisce dalle scuole nordiche, in particolare quelle fiamminghe, e le influenze iniziali provenienti dalla Spagna. Il repertorio che si viene definendo predilige, più che la pittura religiosa o storica, i temi delle nature morte magari ambientate nelle vaste cucine e soprattutto la pratica del ritratto, nella quale Sofonisba eccelle, nel virtuosismo, nella resa dei dettagli di stoffe e gioielli, nell'attenzione per una resa fisiognomica che sottolinea, nell'individuo, la sua aderenza alla società di corte.
Massimo Capuozzo

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