giovedì 15 maggio 2014

Il tempio di Capo Athenaion: una memoria storica di Angela Miranda

La storia del Mediterraneo è segnata da capi e promontori e i navigatori, con il loro punto di vista, valorizzarono questi luoghi nei quali il contatto tra la terra ed il mare avveniva in modo maestoso, facendone la sede di dei e di eroi.
Da quei capi e da quei promontori le divinità proteggevano e controllavano la navigazione, beneficiando di un punto di osservazione idoneo a manifestare agli occhi di tutti il loro potere.
I promontori furono i grandi osservatori del Mediterraneo.
Uno di questi è il punto estremo della Penisola Sorrentina, chiamato Punta Campanella, un promontorio calcareo, in fase preistorica collegato con Capri, propaggine estrema dei monti Lattari. Esso racchiude oltre alle bellezze naturali anche un’egregia memoria archeologica: Punta della Campanella, infatti, secondo le fonti antiche, è il luogo, dove sorse il Tempio di Athena. La fondazione mitica di questo tempio è attribuita ad Odisseo, ma fino a poco tempo fa si possedeva una così scarsa documentazione che indusse alcuni studiosi a localizzare il tempio in punti di Massa Lubrense diversi da quello in cui realmente esso era collocato. La sua esatta localizzazione è stata difficile perché il luogo è esposto all’azione distruttiva degli agenti atmosferici e inoltre le testimonianze rinvenute sono pochissime. Le tracce trovate, anche se non in grande quantità, hanno tuttavia fatto sì che gli studiosi moderni localizzassero definitivamente il tempio di Athena sull’estremità del promontorio.
Prima di procedere sulla trattazione di questa memoria archeologica è opportuno chiarire se si trattasse di un tempio o di un santuario.
I santuari erano un insieme organico di edifici con diverse funzioni, di cui poteva far parte anche un tempio: templi isolati, infatti, non dovrebbero essere chiamati santuari perché mancava loro quella pluralità di fenomeni relazionati fra loro, anche se ogni singolo tempio era potenzialmente un santuario, poiché col tempo gli si potevano aggiungere altri edifici. Esaminando i santuari di Magna Grecia e della madre patria, due aspetti assumono particolare rilievo: la loro ubicazione e il loro sviluppo. Uno dei problemi fondamentali dei santuari greci è dato dalla loro collocazione: in conformità a questa essi si distinguono in santuari urbani ed extraurbani. Mentre i santuari urbani erano posti nei luoghi di più facile contatto dei cittadini con i loro dei – in genere nell’agorà o sull’acropoli –, i santuari extraurbani erano invece collocati in posizione solitaria, talvolta di difficile accesso, proprio perché si credeva che quei luoghi fossero stati scelti dalle divinità.
Sull’ubicazione dei santuari esistono dunque varie congetture, poiché le origini del culto tramandate dalla letteratura antica non ne spiegano le vere ragioni. Una delle cause più realistiche riguardo alla collocazione di un santuario greco fu la continuazione di un culto indigeno in contrasto con i greci; diversamente la scelta avveniva perché il luogo era ritenuto gradito alle divinità o adatto al loro culto per le sue caratteristiche ambientali.
Nell’evoluzione dei santuari greci si possono osservare diversi modi di articolazione. La più regolare è quella concentrica, per cui tutti gli edifici si raggruppano, attraverso i secoli, intorno a un’area, che perciò deve essere considerata il centro spirituale e cultuale di tutto il santuario; ciò non esclude l’esistenza di centri minori, che però sono subordinati a quello maggiore. Nell’ambito della Magna Grecia, tra gli esempi di articolazione concentrica si possono inserire il santuario di Era alla foce del Sele e quella della Malaphoros presso Selinunte.
Volendo comparare l’importanza archeologica dei santuari magno-greci con quelli della madre patria si deve costatare che, in genere, i santuari magno-greci mostrano un minor numero di trasformazioni e palesano una scarsa vitalità rispetto a quelli della madre patria. I santuari della Magna Grecia avevano un ruolo fondamentale e una grande importanza sociale dato che costituivano il punto di incontro interculturale tra i greci, gli italici e gli etruschi. Nell’opera Santuari di Etruria di Giovanni Colonna afferma che nell’antichità i santuari sorgevano principalmente in luoghi isolati e non erano localizzati da strutture architettoniche ben definite, ma comunque avevano recinzioni sacre e depositi dedicati al culto quali le stipi.
Chiariti questi aspetti di carattere generale osserviamo quello che sappiamo del santuario di Punta Campanella. Questo, ormai è accertato, si trovava sul canale tra il promontorio e Capri, passaggio quasi obbligato per chi navigava fra le colonie greche in Sicilia e quelle del Sinus Cumanus, come era indicato il golfo di Napoli: la pertinenza della stipe votiva all’Athenaion e l’ubicazione del Santuario stesso, che Strabone colloca proprio sull’estremità del promontorio, è ormai certa. Inoltre la straordinaria scoperta del prof. Mario Russo di un’epigrafe in lingua osca, databile al III-II sec. a.C., avvenuta nel 1985, accerta la localizzazione precisa del tempio sulla punta estrema del promontorio di Punta della Campanella. Questa iscrizione di carattere pubblico menziona tre Meddices Minervii (Magistrati di Minerva) che appaltarono e collaudarono i lavori dell’approdo/scala di levante che conduce al Santuario. Il restauro dell’approdo si deve probabilmente mettere in rapporto con l’arrivo da Roma nel 172 a.C. di una deputazione del Senato romano che, così come avevano stabilito i Decemviri dopo la consultazione del Libri Sibillini, doveva procedere a sacrifici propiziatori in onore di Athena in conseguenza di un prodigio verificatosi sul Campidoglio.
La frequentazione cultuale del promontorio è stata ampiamente documentata ininterrottamente dalla metà del VI secolo alla prima metà del II secolo a.C., ma dalla seconda metà del II sec. a.C. il vuoto di documentazione dimostrerebbe che il culto di Athena sia caduto nell’oblio durante gli ultimi anni della Repubblica, sebbene il nome latino della dea – Minerva – continuasse a caratterizzare il promontorio, come si legge ancora nei documenti medievali che riguardano la Torre di avvistamento, in Boccaccio (Decameron V, 6) e nei vari portolani fino al ‘700 e sebbene la Via Minervia collegasse, in epoca romana, l’approdo di Punta Campanella ed il Tempio di Minerva alle città di Pompei e Stabia.
La via Minervia era un importante ed unico asse viario tra Sorrento e Stabia e tutto l’entroterra campano. Questa antica via attraversava tutta la penisola sorrentina fino al suo lembo estremo, proprio il promontorio di Punta della Campanella, dove si ergeva il Tempio di Minerva che ha dato il nome alla strada stessa. Noi non conosciamo con precisione il tracciato della via Minerva ma possiamo ipotizzare una via che partita da capo Ateneo, arrivava a Termini e da qui scendeva fino a Sorrento dove diventava decumano nel centro della città (l’attuale via S. Cesareo), attraversava la piana secondo l’attuale Corso Italia, oltrepassava il vallone di Meta a Ponte Maggiore, saliva verso Alberi, per poi ridiscendere fino al Rivo D’Arco; da cui la via arrivava tangenzialmente a Vico e proseguiva fino a Stabia. Il basolato romano in pietra calcarea è ancora ben visibile in molti tratti nonostante sia stato ricoperto in più punti da pavimentazioni moderne.
Il contesto culturale nel quale si integra il culto di Athena è un contesto che racchiude due elementi: terra ed acqua, litorale e mare aperto, elementi geo-topografici palesemente relazionabili alla navigazione. La prerogativa marina di Athena è rafforzata dal materiale ceramico rinvenuto. Sembra che nell’età arcaica doveva esistere un grande culto di questa divinità da cui conseguì costruzione del tempio. Il culto della dea era probabilmente rivolto al patrocino dell’accesso marittimo del Golfo: fin dall’età arcaica, infatti, la dea era considerata idonea a proteggere la navigazione essendo dotata di grande intelligenza e di abilità pratica. È azzardato, tuttavia, ipotizzare la presenza dei soli greci in questo tempio anche se è probabile che il Promontorio fosse sotto il controllo di Cuma: esso era infatti frequentato dalle altre popolazioni italiche e dai romani. Verso la fine del V secolo a.C., infatti, i Sanniti si riversarono dall’Appennino centrale verso le coste dell’Italia meridionale e nel IV secolo a.C. anche la Penisola Sorrentina fu occupata. Dopo le guerre sannitiche la penisola Sorrentina fu completamente romanizzata e i resti più cospicui appartengono a questa fase e più in particolare all’età Tiberiana quando il luogo, abbandonato il culto di Minerva, acquistò una grande importanza strategica essendo l’approdo più prossimo a Capri. La consacrazione immutata ad Athena convalida che il suo culto non fu mai interrotto nel corso degli anni, anche se acquisì il nome romano della divinità ossia Minerva.
I vasi che sono stati rinvenuti nella stipe votiva sono fondamentalmente legati al rito della libagione che, per il santuario della punta della Campanella, è ben documentato dalle fonti archeologiche e letterarie. Anche contenitori e oggetti connessi con il santuario sono ben rappresentanti.
Dell’antico tempio non rimane ormai quasi più niente: i resti archeologici più cospicui appartengono all’età di Tiberio (14 – 37 d. C.), quando il luogo, abbandonato il culto di Athena, divenne di fondamentale importanza strategica essendo l’approdo più vicino a Capri, sede della residenza imperiale.
In età tiberiana fu edificata una villa, sulla cui terrazza inferiore, dove sorgeva l’antico tempio, attualmente si trova la cinquecentesca Torre Minerva. La seconda terrazza ha conservato i resti di 4 piccole esedre con sedili in muratura, con funzione probabilmente solo decorativa e di sosta. Fra la seconda e la terza terrazza vi è un pavimento in cocciopesto limitato a nord da un muro pertinente probabilmente ad un ingresso della villa. Sulla terza e la quarta terrazza resta quasi nulla ad eccezione di una cisterna e resti di una probabile torre di segnalazione. Sulla quinta c’è anche l’accesso all’approdo orientale con epigrafe sulla parete rocciosa e sulla quinta terrazza si notano una serie di muri paralleli addossati alla montagna.
I santuari della Magna Grecia avevano un ruolo fondamentale e una grande importanza sociale dato che costituivano il punto di incontro interculturale tra i greci, gli italici e gli etruschi. Molte volte i santuari erano comuni a più città e quindi erano frequentati da devoti provenienti da luoghi lontani, ma sempre ubicati nel bacino del Mediterraneo: nei rinvenimenti di santuari della Magna Grecia sono, infatti, presenti manufatti di differente derivazione. Oltre alla ceramica votiva bisogna prendere in considerazione le statuette di terracotta con elmo frigio.
Il santuario di Athena – Minerva di Punta Campanella ebbe un’importanza propiziatoria della stessa divinità. Oggi, questo importante sito archeologico, inserito in un ambiente naturale di sublime bellezza, dovrebbe essere maggiormente valorizzato e tutelato dagli enti locali al fine di preservare le testimonianze del passato alle generazioni future.
Angela Miranda

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