sabato 17 maggio 2014

La Cattedrale di Castellammare di Stabia di Rosaria Esposito

A Castellammare di Stabia nel corso dei secoli si sono susseguite quattro cattedrali che sorgevano man mano nelle zone più abitate[1].
Nel 1456 un violento terremoto devastò il napoletano, si ritenne opportuna la costruzione della cattedrale ex novo.
Nel 1517 una commissione di alcuni cittadini affidò all'architetto Giovanni Donadio (1449 – 1530) il compito di progettare la nuova chiesa, ma, per motivi sconosciuti, questo progetto non fu mai realizzato. Nel 1569 ci fu un secondo tentativo da parte del vescovo Antonio Laureo, anch'esso senza alcun esito. Ludovico Maiorana (1543 - 1590), divenuto vescovo nel 1581, vendette i ruderi della vecchia cattedrale situata al castello, ricavando una discreta somma da poter investire nella costruzione della nuova: nel 1587 l'amministrazione della città concesse l'autorizzazione per l'avvio dei lavori, sovvenzionando il progetto con una gabella su carne, olio, formaggio ed altri generi alimentari acquistati nelle botteghe cittadine o nella Regia Dogana.
La nuova chiesa sorse sui resti di quella precedente al Quartuccio, il progetto fu affidato all'architetto napoletano Pietro Antonio de Sanctis e realizzati da Santoro Cortolano e Paolo Fasano. Il vescovo Maiorana, pose la prima pietra il 22 novembre 1587. La costruzione proseguì lentamente e terminò soltanto nel 1643, quando furono concesse dalla Città cappelle gentilizie a varie famiglie.
Questo edificio nella forma e nella struttura si mostrava già armonioso e considerevole: conteneva tre navate, con cinque cappelle per lato, tutte di patronato laico, ma mancavano ancora molti elementi. Nel 1668 vi fu istallato anche il nuovo organo, a destra dell'altare maggiore.
Nel 1713 fu costruito l’Atrio: la scalinata in piperno antistante l'atrio fu realizzata nel 1714, ma questo dopo circa cinquant’anni rischiava il crollo e fu così costruito ex novo nel 1774.
Dopo la costruzione dell'Atrio e dell'Altare Maggiore, si decise anche di ristrutturare il campanile e nel 1782, il consiglio comunale decise di costruire un nuovo campanile sul suolo comunale.
La cattedrale non subì ulteriori interventi fino al 1875 anno in cui, su iniziativa del canonico primicerio Matteo Rispoli e su iniziale progetto dell'architetto stabiese Ignazio Rispoli, il 15 agosto il vescovo Francesco Saverio Petagna diede inizio ai lavori per l'ampliamento della Cattedrale poiché le mutate condizioni della città avevano portato all'aumento della popolazione da novemila ad oltre trentacinquemila abitanti.
La cattedrale che era a forma di basilica, senza crociera, senza cupola e con l'abside immediatamente dopo l'arco maggiore, ebbe una crociera larghissima, la grande cupola e il nuovo abside, e si presenta così a forma di croce latina con i bracci uscenti oltre le navate laterali, con tre cappelle su ciascun braccio.
Nel 1878 la direzione fu affidata all’ingegnere Giovanni Rispoli che si occupò anche del progetto della nuova facciata della Cattedrale.
Nel 1879 iniziò anche la costruzione della nuova cappella di San Catello.
Nel 1880 fu recuperato dal monastero della Pace l'antico Coro ligneo e sistemato nell'abside. Tutti questi lavori si conclusero nel 1893, quando il vescovo Vincenzo Sarnelli consacrò definitivamente la cattedrale.
La costruzione dell'intera facciata del Duomo fu eseguita nel 1895 sotto la direzione e secondo il disegno dell'ing. Giovanni Rispoli. Tali lavori furono effettuati in pietra di Malta, compresi i laterali, meno però il campanile ed il portico.
La facciata si presenta con quattro colonne in granito rosso lucidate e quattro basi corrispondenti in travertino, lavorate a bugiarda fina e con tutte le scorniciature in pietra di Malta con capitelli, stemma, corona di alloro, balaustre e mensole occorrenti.
Le porte in bronzo della Cattedrale, realizzate dallo scultore fiorentino Antonio Berti, furono offerte dalla Banca Stabiese nel 1985 per celebrare il 50° anniversario della sua fondazione. La porta centrale, oltre i sei quintali di peso, è costituita da due ante, ciascuna delle quali, divisa in quattro pannelli. Sull'anta destra, partendo dal basso verso l'alto, si osservano le Fonti delle acque minerali; sul secondo pannello sono invece scolpiti vescovi e cardinali al cui centro figura San Catello; sul terzo pannello Gesù consegna le chiavi della città a San Catello e, al suo fianco, i protettori e le donne in preghiera; sul quarto riquadro S. Michele che uccide il drago a simboleggiare la vittoria del bene sul male. Sull'anta sinistra, partendo dal basso verso l'alto, si osservano Navi in allestimento tratte da una stampa d'epoca; sul secondo pannello i papi da Pio IX fino a Giovanni Paolo II in atto di inaugurare le celebrazioni dell'anno santo, mentre intorno vi sono fanciulli e fanciulle che lo scultore ha visto come gli uomini del duemila ai quali va il messaggio di pace dell'Anno Santo straordinario mentre sovrastano infine le teste dei Papi lo stemma della città e quello del capitolo; sul terzo pannello la Cena di Emmaus e le fanno da sfondo la cupola della cattedrale, un'ala di palazzo Farnese ed un torrione del castello; sul quarto riquadro l'Assunta cui è dedicato la Cattedrale. Le varie raffigurazioni lievitano verso l'alto attraverso una sorta di movimento ascensionale culminante nello Spirito Santo che irradia la sua luce su tutta l'opera. Fa da cornice a questa grande composizione scultorea un fregio che comprende i grandi santi italiani da S. Francesco a S. Benedetto, da S. Chiara a S. Gennaro. Dello stesso artista sono anche le due porte bronzee laterali, con motivi ornamentali geometrici, costituite da due maniglie raffiguranti una coppia di colombi nell'una e di scoiattoli nell'altra. Queste tre porte bronzee sono opera dello scultore fiorentino Antonio Berti.


L’interno appare in tutta la sua maestosità: si articola a croce latina e pavimentato con marmi bianco e grigio, con tre navate e cinque cappelle per lato. La crociera, oltre all'altare maggiore apre ad altre due cappelle per lato e presenta due altari agli estremi.
All'interno si può ammirare una grande quantità di opere di notevole interesse artistico. Tra le testimonianze pittoriche sono da menzionare due dipinti di Ribera e del suo ambito, quadri di Vincenzo da Forlì, Giovan Battista Spinelli, Nunzio Rossi, Giuseppe Marullo, Giuseppe Bonito e Giacinto Diano. Tra le opere scultoree si devono segnalare un ciborio marmoreo del 1518, attribuito a Andrea da Fiesole e la statua di San Michele Arcangelo del Faito del XV-XVI secolo, attribuito alla bottega di Francesco Laurana.
Nella cappella di San Catello, oltre alla statua del patrono cittadino, risalente al 1609, si ammira il sarcofago del Buon Pastore, proveniente dall’area christianorum, databile tra il III e il IV secolo.
Dieci pilastri con base marmorea ed il fusto di porfido reggono l'elegante cornicione ricco di medaglioni, rosette, ovuli, dentelli ed ornato di dorature finissime. Dalla cornice attraverso i finestroni disposti simmetricamente piove una luce tenue[2].
Nelle dieci lunette sovrastanti vi sono delle figure simboliche raffiguranti le tipiche virtù che si attribuiscono a San Catello[3], e, al vertice di ciascuna lunetta, su fregio dorato, vi è una testa di angelo di bronzo ed a fianco due altri celesti patroni.
Sotto la volta, in una cornice a rilievo molto sfarzosa, vi sono tre affreschi di Vincenzo Paliotti. I due estremi sono più piccoli e separati dal medio che ricordano eventi biblici della chiesa applicati a San Catello. I temi dei due affreschi più piccoli sono: San Catello nel carcere di Roma e San Catello liberato dal carcere; l'altro che è lungo più della metà dell'intera volta, raffigura San Catello che ritorna ai suoi figli per la via Pompeiana cosparsa di fiori, col clero ed il popolo accorso a festeggiarlo, mentre l'Assunta dal cielo vibra su di lui raggi di viva luce.
In fondo alla parete d'ingresso vi sono dipinti Noè che fu salvo dal diluvio universale nell'arca ed Abramo prescelto da Dio ad essere padre del popolo credente che nella corruzione generale: i due Patriarchi che ebbero segni di speciale predilezione divina.
A destra e a sinistra della porta principale vi sono alle pareti quattro lapidi di marmo di cui una ricorda la venuta di Papa Pio IX Mastai Ferretti a Castellammare.
A destra la prima cappella è dedicata a San Nicola: sull'altare centrale un bel dipinto di Giovan Battista Spinelli (1613  1658) che rappresenta San Nicola di Mira; sulla parete di destra Santa Barbara e su quella di sinistra Sant'Antonio da Padova entrambi di Salvatore Mollo, un allievo di Cestari  firmati e datati 1776.
Santa Barbara è a destra in atto di inginocchiarsi e guarda in alto, indossa abiti leggeri ed impalpabili e ricchi di drappeggio, con veste gialla e bianca e mantello rosso azzurro e reca sul capo il diadema del martirio. 
Sant'Antonio da Padova  sta per inginocchiarsi alla presenza del Bambino Gesù che è a destra in alto su di una nuvoletta e sullo sfondo motivi architettonici e un drappo rosso. Ai piedi dell'altare, una statua raffigurante Cristo deposto.


La seconda cappella è la Cappella del Rosario: al centro dell'altare vi è una tavola della Madonna del Rosario del 1570 di un pittore ignoto del '500, che raffigura la Madonna del Rosario: il quadro originariamente si trovava nella basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli.  I personaggi sono tutti a grandezza naturale: al centro è posta la Madonna del Rosario ed ai suoi piedi, da un lato santa Caterina da Siena, santa Lucia da Siracusa e santa Margherita d'Antiochia, mentre dall'altro san Domenico di Guzman, san Francesco di Paola e san Francesco d'Assisi; il quadro presenta diversi problemi di conservazione, soprattutto si notano le spaccature, segno delle giunture delle sottostanti assi in legno.
A destra c'è la Natività di Giovan Vincenzo D'Onofrio da Forlì con la Vergine in veste rossa e manto azzurro, san Giuseppe in preghiera ed un gruppo di pastorelli; 
a sinistra, sempre dello stesso autore, l'Assunzione che raffigura gli apostoli presso il sepolcro vuoto della Vergine che a sua volta è seduta su un trono di nuvole.
La terza cappella, invece, dedicata a San Catello[4]: l'altare con il tabernacolo, tutto di finissimi marmi e bronzi, ha sotto la mensa un sarcofago marmoreo, della fine del III o del principio del IV secolo, trovato nel 1878 durante gli scavi effettuati per la costruzione della cappella. Secondo l'architetto De Rossi è questo uno dei più antichi dei sarcofagi cristiani con il simbolo del Buon Pastore. Questo simbolo, infatti, si trova ripetuto all'estremità, sotto forma di due bassorilievi rappresentanti ciascuno un pastore, con a fianco il proprio cane ed un ariete sulle spalle. Al centro vi è scolpita la figura di una matrona, coperta di un ricco drappeggio, con una bambina alla sua sinistra[5].
La statua di San Catello fu ordinata nel 1604 a uno scultore napoletano di nome Giovanni Battista, di cui si ignora il cognome, fu terminata dopo quattro anni e portata a Castellammare il 16 gennaio 1609. Secondo il professor Di Capua, questa statua è copia di altra più antica che risaliva al 1200 o 1300, la quale a sua volta era copia di altra statua di stile greco bizantino. Fra i particolari degli antichi originali, la statua conserva la forma della mitra, i guanti rossi, quattro anelli ed il manipolo col piviale. La statua, in legno duro, alta m. 1.60, si presenta come un prezioso esemplare di scultura raffigurante un vecchio dalla barba bianca, dal profilo rigoroso ed asciutto, che guarda davanti a sé. La bocca semiaperta è la bocca di un vecchio bonario, che sta in ginocchio su un ricco cuscino, con la testa eretta e le braccia incrociate sul petto, vestito con i paramenti sacri e che prega Dio per il suo popolo[6].
La quarta cappella detta Cappella di Sant'Anna e San Gioacchino o della Sacra Famiglia è quella dedicata alla Visitazione: sull'altare c’è una composizione di tre statue, di un autore ignoto del '700, raffiguranti Sant'Anna, San Gioacchino e la Madonna da bambina: i busti sono realizzati in cartapesta eccetto la testa, le mani e i piedi che sono in legno, mentre le vesti sono in gesso; nella parete di destra c'è la tela di San Filippo Neri ispirata a quella di Guido Reni, collocata nella chiesa  di Santa Maria in Volpicella a Roma: il quadro fu voluto dal vescovo Giuseppe Coppola nel periodo compreso tra il 1750 e il 1760. Sulla parete di sinistra la bellissima tela raffigurante la Visitazione di Giacinto Diano firmato e datato 1802.


La quinta cappella è la Cappella dell'Immacolata: sull'altare vi è la statua lignea dell'Immacolata, forse dono di Mons. Petagna; sulla parete di destra, in alto, c'è un bassorilievo in stucco che raffigura la Presentazione al tempio e in basso una statuetta del Bambino Gesù in legno dell'Ottocento; sulla parete di sinistra in alto c'è un bassorilievo in stucco che raffigura l'Annunciazione e in basso statua in cartapesta raffigurante Sant'Antonino, donata nel 1926 dal rettore della basilica di Sorrento del Santo.
Sullo sfondo del braccio destro della crociera c'è la statua del Reccia dedicata a San Giuseppe, gli affreschi di Paliotti rappresentanti La gloria ed il patrocinio di san Giuseppe e quattro Patriarchi.


Sulla sinistra della stessa abbiamo la Cappella di San Michele: essa è a pianta ottagonale con pavimento in marmi policromi. Al centro, in una grande nicchia a fondo dorato, vi è l'antica statua di San Michele proveniente dalla chiesetta fondata sul Faito da San Catello e Sant'Antonino. L'Arcangelo è raffigurato in toga romana, una raffigurazione iconografica antichissima e comunque anteriore a quella che fu usata dopo l'apparizione sul monte Gargano. Il diadema, la lancia e lo scudo sono stati aggiunti per coprire i guasti dovuti a rotture per incendi e per fulmini che colpirono l'immagine quando si trovava ancora sul monte.
Le ampie pareti laterali di questa splendida cappella sono ornate da due grandi tempere di Salvatore Cozzolino rappresentanti uno, un Angelo che libera San Pietro dalla prigione di Gerusalemme, l'altro, San Michele che scaccia Satana dalla tomba di Mosè. I quadri della volta rappresentano: La scala di Giacobbe, La caduta degli angeli ribelli, Gli angeli che chiamano le anime al Giudizio finale, L'apparizione dei tre angeli ad Abramo.
Nello sfondo di questa navata si vede il Monumento funebre a Mons. Sarnelli che resse la diocesi dal 1879 al 1897: l'opera, datata 1912, raffigura un Angelo della Fede sovrastante un basamento nel quale emerge l'immagine di Mons. Sarnelli con un'iscrizione. L'angelo, alto 2 metri, è scolpito in marmo di Carrara bianco, mentre il basamento è di marmo giallo di Telese; il monumento fu inaugurato il 15 agosto 1914 dal Vescovo Mons. Michele De Jorio, immediato successore di Mons. Sarnelli.
Al lato destro dell'altare maggiore si osserva la cappella della Madonna dei Flagelli: sull'altare c'è la statua della Madonna dei Flagelli in legno e teloplastica del XIX secolo; a sinistra c'è la tela che la Natività, attribuita al Ribera.


L'altare maggiore di marmi policromi è opera di pregio; anche il ciborio è dello stesso stile ed è coronato da graziose teste di angioletti sulla sponda della cornice; sopra di esso sulla parete di fondo ci sono quattro colonne di marmo con venature rosso-scure dalla base e dal capitello tutto dorato che sorreggono un ricco frontone triangolare nel cui fregio c'è l'invito VENI CORONABERIS; sul timpano c'è il monogramma della Madonna e al di sopra il simbolo dell'umana Redenzione.


Nello spazio compreso fra due colonne, in una maestosa cornice, c'è L'Assunzione al cielo di Maria Vergine tela del XVII secolo di Nunzio Rossi, allievo di Massimo Stanzione e di Guido Reni: la Vergine, sostenuta dagli Angeli ascende al cielo, mentre gli Apostoli contemplano stupefatti e commossi il grandioso avvenimento; la maestà impressa nel volto della Vergine, ma più che altro l'atteggiamento naturale del volto degli Apostoli rivelano nello stesso tempo stupore e commozione[7].
Nel presbiterio sono notevoli le due tribune affrontate, il cui prospetto riccamente dorato consta d'un colonnato e di una gelosia sovrastante, tramezzata da due quadri di grande valore in ricche cornici lo stesso di oro, che rappresentano scene dell'antico testamento. Entrambe queste opere sono di ignoti del XVIII secolo: una tela raffigura Il sacrificio di Isacco Abramo col coltello vibrato, in atto di sacrificare il figliolo bendato e posto sulla catasta, mentre un angelo trattenendogli il braccio gli addita un ariete impigliato tra i pruni; l'altra tela raffigura Agar, ancella di Abramo, turbata e piena d'affanno, perché, trafelata di sete, vede agonizzare nel deserto di Betsabea il suo amato Ismaele.

Il coro ligneo, recuperato nel 1880 dalla chiesa della Pace, è a due registri: il superiore per i canonici e l'inferiore per gli ebdomadari.
Poiché il Duomo è dedicato alla Madonna Assunta e a San Catello, gli affreschi della cupola e della volta dell'abside sono ispirati alla Madonna[8], mentre quelli della volta della navata centrale sono dedicati a San Catello.


A sinistra dell'Altare Maggiore, c’è la cappella dell'Ara Pacis già dedicata all'Immacolata che è sorta negli anni tra il 1924 e il 1928 per iniziativa di don Raffaele Vanacore e su progetto di Giuseppe Pandolfi. Al centro si ammira la splendida Deposizione di Gesù del Ribera, dono del conte Vincenzo Coppola al vescovo Vincenzo Maria Sarnelli[9]. Subito dopo, si apre la cappella del Santissimo Sacramento, anticamente di patronato della Città. Si ha memoria in Duomo già nel 1542 di un'antica Arciconfraternita dal titolo del S. S . Corpo di Cristo e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista che fece erigere questa cappella[10]. Questa cappella ha una pianta ottagonale con pavimento di marmi colorati. Al centro sull'altare, in una cornice di marmi rari, la splendida Deposizione attribuita ad Andrea Sabatini da Salerno, raffigurante Cristo accolto dall'Eterno Padre con ai lati i due Giovanni, il Battista e l'Evangelista. Non poteva essere collocata in luogo più adeguato, dal momento che raffigura nel tempo stesso l’Eucarestia come sacrificio e come sacramento. Mentre infatti rappresenta l'Eterno Padre che accoglie negli abbracci il suo Ingenito umanato, morto per la salvezza degli uomini, aleggia ai suoi piedi un piccolo stuolo di angioletti, uno dei quali stringe fra le mani l'Ostensorio con l'Ostia, cioè a dire Gesù in sacramento. Ai lati del Redentore privo di vita appaiono i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evengelista: l'uno , infatti, gli preparò la via, l'altro sul Golgota, ai piedi della Croce, ne raccolse l'ultimo soffio vitale; uno lo proclamò Agnello di Dio venuto a redimere il mondo, l'altro prese nota e promulgò  a vantaggio degli uomini il testamento del suo amore.

Notevole è il tabernacolo dell'altare centrale, opera del XIX secolo, realizzato in pietre dure di grande valore: agata di Sicilia, diaspro, lapislazzuli, radice di ametista, sormontato da una croce di lapislazzuli e da sei statuette bronzee ed inserito in un altare del XVIII secolo. A destra si nota un sacrario per oli santi del XVII secolo.
In alto un dipinto che rappresenta La pesca di Pietro. Sulla parete di sinistra ciborio datato 1518 del vescovo Pietro de Flores.
In alto La cena di Emmaus. Nella cupola ottagonale vi sono quattro dipinti del Paliotti, datati 1891 che rappresentano l'ultima cena di Gesù con gli Apostoli, la Manna del deserto, il sacrificio di Melchisedec, l'Angelo che porta il pane ad Elia sulla vetta dell'Oreb. La cappella è stata completamente restaurata nel 1996.
Il braccio sinistro della crociera è dedicato al Cuore di Gesù. Al centro, possiamo ammirare la statua lignea dello scultore Reccia di Napoli. Nella volta: il quadro grande è l'apparizione del Cuore di Gesù a Santa Margherita; il più piccolo rappresenta Gesù in mezzo alle turbe languenti. Sulle lunette i simboli di alcune virtù che alludono al mistero dell'amore divino. Queste sono tutte opere di Vincenzo Paliotti del 1891. Ai lati del grande finestrone vi sono affrescati Mosè ed Elia, sempre del Paliotti.
La quinta cappella di sinistra è la Cappella del Santissimo Crocifisso Sull'altare si può ammirare un crocifisso ligneo, forse del XVII secolo. Sulla parete a destra statua lignea dell'Addolorata del XIX secolo, a sinistra busto ligneo di San Biagio, forse del XIX secolo. Da qui si accede agli appartamenti vescovili e all'antica sagrestia.
La quarta cappella è la Cappella di San Francesco di Sales. Al centro statua lignea di San Francesco di Sales. A destra tempera del Franciosa, datata 1932, con scena della vita del Santo; a sinistra altra scena della vita del santo di De Nicola con la seguente scritta.
La terza cappella, la Cappella della Madonna del Carmine. Al centro ammiriamo la tela della Vergine che libera le anime del Purgatorio di Angelo Mozzillo datata 1793. Alle pareti laterali vi sono due tondi a tempera rappresentanti, a destra Santa Teresa del Bambino Gesù e a sinistra Santa Teresa di Marillac.
La seconda cappella è la Cappella di Lourdes che anticamente era dedicata a San Gaetano e dove vi erano le antiche sepolture dei Vescovi stabiesi. Al centro le statue della Madonna di Lourdes e di Bernadette. A destra dipinto a tempera del Franciosa, datato 1929, rappresentante l'Apparizione della vergine con l'acqua miracolosa scaturita dalla roccia a Massabielle; a sinistra tempera di F. De Nicola, datata 1929, che rappresenta la Processione dell'Eucarestia. In questa cappella vi era una tela raffigurante la Madonna, San Tommaso e San Gaetano del pittore F. Tirone, datato 1747, con lo stemma del Vescovo Pio Tommaso Milante. Spostata in un primo tempo in sagrestia, oggi si trova nel braccio sinistro della crociera.


La prima cappella a sinistra è la Cappella del Battistero. Al centro c’è la tela di Giuseppe Bonito che rappresenta la Consegna delle chiavi a San Pietro, acquistato nel 1888 dal comune di Castellammare su consiglio del pittore Domenico Morelli. Sotto il dipinto vi è il Sacro Fonte di forma artistica e di pregiati marmi antichi. Alle pareti tempere di F. De Nicola: a destra il Battesimo di Gesù e a sinistra Gesù e i fanciulli. A sinistra c’è una colonna paleocristiana in marmo con capitello, ritrovata nel sottosuolo della cattedrale.


L'ultima cosa che rimane da vedere prima di uscire dal Duomo è l'organo. Esso appare maestoso, orchestrale, plurifonico con un prospetto tutto splendido d'oro di raro effetto e con colonne dello stesso ordine della cantoria. Con esso armonizza il sacro pergamo, sotto la prima arcata destra, sostenuto da colonne ioniche di verde antico, dove risaltano i simboli di quei quattro evangelisti.
Nella Cattedrale durante il periodo natalizio è allestito un bellissimo presepe, composto da pastori a grandezza naturale, realizzati tra il XVII secolo e il 1910, visibile dal 24 dicembre al 19 gennaio[11].
Rosaria Esposito


[1] La prima cattedrale di Castellammare di Stabia, fra il quarto e il decimo secolo, era ubicata alle falde della collina di Varano, nell’attuale territorio comunale di Gragnano. Qui vi pontificò anche il Vescovo e patrono S. Catello. Questa cattedrale e la città di Stabia furono però distrutte da un'alluvione.
Dopo la catastrofe la seconda cattedrale fu collocata nei pressi del castello medioevale. Infine la terza cattedrale sorse nel XIII secolo, nella zona dell’attuale piazza Quartuccio.
[2] Lo stile della Cattedrale è quello corinzio dalla base attica nei cui capitelli i viticci spirali si svolgono con simmetria dalle foglie di acanto.
[3] La longanimità offre il diadema, lo zelo stringe e calca serpenti, l'affabilità ha le braccia conserte, la costanza ha in mano la palma ed ai piedi una corona, l'elemosina protende la mano e ripone in un'arcula l'obolo raccolto, la preghiera recita la corona mirando il crocifisso ed un teschio, il perdono ha le palme congiunte in uniformità ai supremi voleri, la fede colle braccia in croce mira il calice con l'ostia, la speranza tocca un'ancora, la carità accarezza dei pargoli. Tutte sono in atteggiamento vivace ed espressivo
[4] Per la sua grandiosa solennità, può essere considerata, una vera e propria chiesa nella chiesa. Questa cappella fu realizzata al posto della cappella del Crocifisso durante i lavori di ampliamento della Cattedrale voluti dal vescovo Sarnelli, su commissione della famiglia Coppola. Entrando vi è prima un ambulacro dove, a destra, c'è il sepolcro marmoreo del vescovo Agostino D'Arco e, a sinistra, quello del vescovo Francesco Saverio Petagna, opera dello scultore Mossuto. Più avanti, a sinistra, una lapide in bronzo, su disegno di Galloppi che ricorda l'eruzione del Vesuvio del 1906; di fronte c'è un'altra lapide che ricorda l'alluvione del 1764. Prima di entrare nella cappella vera e propria vi è un corridoio che a destra conduce in sagrestia e a sinistra in canonica. In alto vi sono dei medaglioni che rappresentano i vescovi stabiesi, opera del decoratore gragnanese Giuseppe Lamonica. Entrando poi nella cappella, a sinistra, in una nicchia, si osserva una statua lignea dell'Ottocento rappresentante San Clemente Papa.
[5] Ai lati dell'altare ci sono due opere di Francesco Filosa del 1957: a destra l'eruzione del Vesuvio del 1906 e a sinistra una scena della guerra del 1940 e in alto sull'arcosolio gli stemmi di Mons. Petagna e Mons. Sarnelli e sull'arco è scritto: Posuit me Dominus custodem populi mei. Nella cupoletta della cappella di San Catello è affrescata la gloria del Santo; nei cassettoni sono ritratti, in campo d'oro, i dodici Apostoli ai quali erano una volta dedicate altrettante chiese della città alcune delle quali ancora esistenti. Ai lati delle due vetrate colorate, sono effigiati San Francesco d'Assisi, San Domenico, San Vincenzo Ferreri e San Francesco Saverio. Nella volta dell'altare è dipinta la Madonna fra gli angeli; nel sottarco d'ingresso si ammirano San Catello e Sant'Antonino in preghiera nella grotta del Faito, su di loro aleggia l'immagine guerriera dell'Arcangelo San Michele. Questi bellissimi affreschi furono dipinti da Vincenzo Paliotti. Le pareti laterali della cappella sono ornate da due grandi reliquiari, su cassettoni di legno dorato a forma di croci.
[6] Nel corso degli anni la statua, specialmente la testa, è stata soggetta a qualche guasto e fu restaurata. Nel 1954 furono accertati guasti ancora più gravi, dovuti all'usura del tempo per cui si ritenne urgente provvedere a nuovi radicali lavori di restauro. Tale incarico fu assunto dall'artista Prof. Gustavo Girosi, che portò la scultura alla sua primitiva bellezza, sollecitato dal Vescovo Mons. Agostino D'Arco.
[7] La cornice del quadro è sostenuta da due angeli di bronzo dorato succinti e con le ali spiegate, con in mano un libro aperto. Di essi uno porta un'aquila e l'altro la testa alata di un bue, simboli degli Evangelisti Luca e Giovanni, dei quali l'uno celebrò le glorie della Madonna, l'altro quelle di Cristo.
[8] La volta dell'abside contiene cinque finestroni nelle cui lunette, a fondo dorato, sono effigiati su cattedra bizantina cinque simboli della Vergine: Vas spirituale, Vas honorabile, Stella matutina, Rosa in Iericho, Lilium convallium. Al centro della volta c'è lo Spirito settiforme in breve cerchio, al quale convergono tutte le coppie di spigoli trapunte di stelle, che ricorrono dai pilastri. Fra questi spigoli convergono tre affreschi del D'Agostino (1888): San Giuseppe che dorme ed è informato del sublime mistero mentre la sposa seduta al suo fianco è assorta in divina contemplazione; la Vergine presentata al tempio; la Vergine incoronata da Gesù; più grande è l'affresco di Maria che risorge dal sepolcro: agli angoli di esso ci sono i quattro Dottori della Chiesa greca: San Atanasio, San Gregorio Nazianzeno, San Basilio e San Giovanni Crisostomo.
Il dipinto della cupola è la città santa di Dio, la Gerusalemme celeste, proprio come la vide San Giovanni nell'isola di Patmos. L'antico dei giorni, dagli occhi di fuoco, fiammante, ed i piedi simili all'oricalco siede su un maestoso trono fra sette candelieri d'oro con ceri accesi, circondato da un'iride simile allo smeraldo ed avente ai piedi il libro dei sette sigilli con l'agnello svenato che solo può aprirlo mentre ventiquattro vecchi genuflessi dinanzi a lui si tolgono lo scettro e lo adorano fra le acclamazioni di una turba sterminata di angeli e di santi. Sempre in essa troviamo rappresentata l'Apocalisse con la Vergine Assunta al cielo. Nel sottarco, un grande quadro rappresenta gli Apostoli che trovano vuoto e cosparso di fiori il sarcofago che doveva contenere il corpo della Vergine; un altro quadro più piccolo rappresenta l'incoronazione della Vergine per mano di Cristo. Nei quattro archi che sostengono la cupola sono effigiati i sedici profeti, ritratti dall'artista D'Agostino nel tipo e nelle vesti ebraiche e secondo la loro speciale ispirazione. Così dei profeti maggiori Isaia è in atto di chi annunzia sublimi misteri, Geremia in sembiante di chi predica il luttuoso eccidio della patria, Ezechiele in aspetto di chi assicura il termine dei travagli ed il vicino trionfo, Daniele in atto di ripetere il prossimo indubitato avvento del divin Redentore. Dei minori: Gioele è in atto di chi geme nel pianto ed esorta al ravvedimento, Amos è volto al cielo, da cui vede cadere fuoco sui nemici, Aggeo sorride per la ricostruzione del tempio, di cui predice le glorie, Zaccaria è in vista d'essere ucciso mentre predica, Michea mira spaventato l'arato suolo della patria, Giona predica ai Nonoviti la penitenza, Malachia è in sembianza di un angelo che rivela il sacramento dell'amore, Nahum addita lo sterminio dell'esercito assiro, Osea fa cenno da parte di Dio di ripudiare la Giudea, Sofonia ode e manifesta eventi luttuosi, Elia predica con gaudio le glorie della Chiesa, Abacuc acciuffato per i capelli è tratto nella fossa dei leoni, dove è chiuso il profeta Daniele. Negli scolli fra gli archi nelle lunette triangolari sono dipinti i quattro Evangelisti, secondo il tipo ed i costumi orientali ciascuno col simbolo da cui nella sua profetica visione fu visto adombrato da Ezechiele. Così San Matteo che intese nel suo vangelo a descrivere l'umana natività di Cristo è ritratto mirando sul volto di un angelo mentre nota con stilo le sue proprietà; San Marco che descrive Gesù come re e signore di tutte le cose è rappresentato con il leone di cui è simbolo la fortezza; San Luca che volle dimostrare che il figlio di Maria era veramente Gesù ha ai piedi il bove animale atto a significare il sacerdozio; San Giovanni sta come rapito in estasi nell'empireo a contemplare i supremi misteri, ed ha per simbolo l'aquila uccello che si erge a voli sublimi ed è dotato di vista così acuta da poter fissare in pieno pomeriggio anche il sole. Sul tamburo della cupola sono scolpiti i busti di sette Dottori, fra i più devoti alla Madonna e, al centro il Papa del Rosario San Pio V. Nell'intercolumnio, tra i finestroni si possono ammirare le otto beatitudini in forma di angeli, ciascuna nell'atteggiamento suo proprio, e con un nappo d'oro nell'aperta mano pieno d'odoriferi timiami, da cui emana verso il cielo un profumo soave simbolo delle orazioni dei Santi, il cui fervore prodotto dalla mortificazione si innalza al cielo e torna a Dio gradito e accetto. Su di un'altra breve, elegante cornice con un colonnato tutto all'intorno rotto di quanto in quanto da mensoline sporgenti e da otto medaglioni che racchiudono i simulacri di otto santi Vescovi, che si sono segnalati nel celebrare le grandezze e le glorie di Maria: cioè San Pio V, San Germano, S. Pier Damiani, San Idelfonso, San Bonaventura Sant'Anselmo, San Francesco di Sales e Sant’Alfonso.
[9] Sulle pareti i nomi degli stabiesi caduti nella prima guerra mondiale (1915-1918) scolpiti in ordine alfabetico su sei grandi lapidi in marmo, tre per lato. Pende dal soffitto una lampada votiva, pregevole lavoro artistico degli operai del Cantiere Navale; a terra, al centro della cappella c'è una lapide marmorea. Tutti i dipinti a tempera sulle pareti sono di Salvatore Franciosa (1925); nella cappella si notano sei moschetti, quattro elmetti, due grossi bossoli ed un cannoncino, tutti della prima guerra mondiale che contribuiscono a dare al Sacrario un'impronta di profonda austerità, e nello stesso tempo invitano alla meditazione e alla preghiera.
[10] Questa Arciconfraternita decadde agli albori del XIX secolo e fu fatta rivivere con decreto reale del 2 dicembre 1855 auspice il Vescovo Petagna che assegnò come sede dei confratelli il salone vescovile. Questo sodalizio si componeva esclusivamente di gentiluomini e di persone dottorate ed aveva precedenza su tutte le altre confraternite della città. Di questo sodalizio si ha memoria anche nel 1756, quando i suoi amministratori ebbero convenzione con Giuseppe Bonito affinché dipingesse per 800 ducati un quadro per il cappellone in cornu epistole dell'altare maggiore, cappellone costruito negli anni 1750-5.
[11] Questo presepe è un capolavoro dell’arte sacra, composto da circa ottanta elementi databili tra il XVII e i primi anni del XX secolo. I personaggi sono decorati con pitture policrome e rivestiti da pregiate sete e tessuti antichi di influenza settecentesca. La caratteristica di questa collezione è costituita dalle grandi dimensioni dei “pastori”, dai settanta centimetri a quasi un metro e mezzo: statue bellissime, molto espressive, con busto in stoppa e arti in legno intagliato. Il sacerdote Francesco Saverio Petagna (1812-1878) possedeva diversi pastori, realizzati da valenti madonnari napoletani. Questo sunto storico trova riscontro negli studi di Gennaro Borrelli, da cui si ricava che attorno al 1840 il sacerdote Francesco Petagna faceva plasmare una Vecchia di 140 centimetri alla bottega dei fratelli Giuseppe e Francesco Verzella per il presepe che allestiva nella chiesa di San Ferdinando a Napoli. In conseguenza della nomina del sacerdote a vescovo della città (20 gennaio 1850) la collezione giunse a Castellammare. Sembra che la raccolta iniziale non fosse interamente di proprietà del Petagna, che dovette dividere la collezione in due parti: quanto oggi è superstite del gruppo dei pastori rimasti a Napoli sarebbero alcune statue presenti nel presepe della sacrestia del Gesù Vecchio. Il vescovo volle, poi, commissionare un gran numero di pastori per completare le scene e aggiungere personaggi alla raccolta iniziale. Certamente molti pastori sono riconducibili alla citata bottega dei Verzella, che operava a Napoli in un laboratorio accanto alla chiesa di San Nicola del Pozzo, nella strada dell’Arcivescovado. Sembra che nel momento di massimo splendore il presepe raggiungesse il numero di cinquecento pezzi più un migliaio di accessori. Nonostante le tante vicissitudini una importante testimonianza di questa collezione (circa ottanta elementi) è giunta a noi in ottimo stato di conservazione grazie all'amore e ai sacrifici di tanti benemeriti stabiesi.
Rosaria Esposito

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