lunedì 16 giugno 2014

Così è (se vi pare): dalla novella al dramma Di Massimo Capuozzo

Così è (se vi pare) è tratta dalla novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero.
La commedia fu rappresentata per la prima volta il 18 giugno 1917, ma Pirandello ne presentò una nuova edizione arricchita nel 1925, adattandola alla rappresentazione teatrale modificandola quasi completamente.
L'opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l'inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell'esteriorità, un'impossibilità a conoscere la verità assoluta che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi.
La commedia è suddivisa in tre atti, articolati a loro volta in sei scene il primo e nove i restanti.
La novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero è poi ripresa nel dramma di Così è (se vi pare), esempio tipico di passaggio dalla novella al teatro. Il racconto e la sua trasposizione teatrale hanno una trama di fondo in comune e i personaggi principali sono gli stessi, ma lo sviluppo della narrazione si differenzia, soprattutto nella seconda parte della rappresentazione. Per prima cosa i commenti del narratore sono assegnati ad un personaggio principale del teatro, Lamberto Laudisi, per altro non presente nella novella e i dialoghi fra i personaggi che conoscono entrambi i punti di vista sono molto più frequenti in Così è (se vi pare), anche se riprendono sempre idee e pensieri già espressi nel racconto originale. Nella seconda parte della rappresentazione si trovano anche due incontri tra la signora Frola e il genero, il primo programmato dalle signore di Valdana e il secondo involontario, che non sono presenti nella novella. Il finale di Così è (se vi pare), inoltre, è caratterizzato dalla comparsa in scena della prima o seconda moglie del signor Ponza, personaggio che, invece, ha un ruolo marginale in La signora Frola e il signor Ponza, suo genero.
La storia ruota attorno al problema della verità vera e apparente, che innesta anche la discussione sul tema della follia (che sarà poi ripreso e approfondito nel successivo Enrico IV). Si racconta di come suocera e genero appena arrivati a Valdana (nella Novella) capoluogo di provincia (come da didascalia), inquietino la tranquillità della popolazione, che non sa più distinguere tra fantasia e realtà. La lontananza delle loro abitazioni in un paese sconosciuto fa pensare ad una reciproca incompatibilità di carattere; sennonché, uno alla volta, la signora Frola e il signor Ponza, vengono a dare la propria spiegazione della situazione, ciascuno accusando di follia l’altro. Fino al finale, diverso in novella e commedia, e dunque da analizzare separatamente.
La novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero fu forse ideata già nel 1915, fu pubblicata per la prima volta nel 1917 nella raccolta E domani, lunedì, edizione Treves. Ricomparve poi soltanto nella raccolta postuma Una giornata, edizione Mondatori, la cui caratteristica è il suo prendere il nome dall’ultima novella costituente la raccolta, a differenza delle altre, che assumevano il titolo della prima novella.

Ma insomma, ve lo figurate? c'è da ammattire sul serio tutti quanti a non poter sapere chi tra i due sia il pazzo, se questa signora Frola o questo signor Ponza, suo genero. Cose che càpitano soltanto a Valdana, città disgraziata, calamìta di tutti i forestieri eccentrici! Pazza lei o pazzo lui; non c'è via di mezzo: uno dei due dev'esser pazzo per forza. Perché si tratta niente meno che di questo... Ma no, è meglio esporre prima con ordine. Sono, vi giuro, seriamente costernato dell'angoscia in cui vivono da tre mesi gli abitanti di Valdana, e poco m'importa della signora Frola e del signor Ponza, suo genero. Perché, se è vero che una grave sciagura è loro toccata, non è men vero che uno dei due, almeno, ha avuto la fortuna d'impazzirne e l'altro l'ha ajutato, séguita ad ajutarlo così che non si riesce, ripeto, a sapere quale dei due veramente sia pazzo; e certo una consolazione meglio di questa non se la potevano dare. Ma dico di tenere così, sotto quest'incubo, un'intera cittadinanza, vi par poco? togliendole ogni sostegno al giudizio, per modo che non possa più distinguere tra fantasma e realtà. Un'angoscia, un perpetuo sgomento. Ciascuno si vede davanti, ogni giorno, quei due; li guarda in faccia; sa che uno dei due è pazzo; li studia, li squadra, li spia e, niente! non poter scoprire quale dei due; dove sia il fantasma, dove la realtà. Naturalmente, nasce in ciascuno il sospetto pernicioso che tanto vale allora la realtà quanto il fantasma, e che ogni realtà può benissimo essere un fantasma e viceversa. Vi par poco? Nei panni del signor prefetto, io darei senz'altro, per la salute dell'anima degli abitanti di Valdana, lo sfratto alla signora Frola e al signor Ponza, suo genero. Ma procediamo con ordine. Questo signor Ponza arrivò a Valdana or sono tre mesi, segretario di prefettura. Prese alloggio nel casolare nuovo all'uscita del paese, quello che chiamano "il Favo". Lì. All'ultimo piano, un quartierino. Tre finestre che danno sulla campagna, alte, tristi (ché la facciata di là, all'aria di tramontana, su tutti quegli orti pallidi, chi sa perché, benché nuova, s'è tanto intristita) e tre finestre interne, di qua, sul cortile, ove gira la ringhiera del ballatojo diviso da tramezzi a grate. Pendono da quella ringhiera, lassù lassù, tanti panierini pronti a esser calati col cordino a un bisogno. Nello stesso tempo, però, con maraviglia di tutti, il signor Ponza fissò nel centro della città, e propriamente in Via dei Santi n. 15, un altro quartierino mobigliato di tre camere e cucina. Disse che doveva servire per la suocera, signora Frola. E difatti questa arrivò cinque o sei giorni dopo; e il signor Ponza si recò ad accoglierla, lui solo, alla stazione e la condusse e la lasciò lì, sola. Ora, via, si capisce che una figliuola, maritandosi, lasci la casa della madre per andare a convivere col marito, anche in un'altra città; ma che questa madre poi, non reggendo a star lontana dalla figliuola, lasci il suo paese, la sua casa, e la segua, e che nella città dove tanto la figliuola quanto lei sono forestiere vada ad abitare in una casa a parte, questo non si capisce più facilmente; o si deve ammettere tra suocera e genero una così forte incompatibilità da rendere proprio impossibile la convivenza, anche in queste condizioni.

Naturalmente a Valdana dapprima si pensò così. E certo chi scapitò per questo nell'opinione di tutti fu il signor Ponza. Della signora Frola, se qualcuno ammise che forse doveva averci anche lei un po' di colpa, o per scarso compatimento o per qualche caparbietà o intolleranza, tutti considerarono l'amore materno che la traeva appresso alla figliuola, pur condannata a non poterle vivere accanto.
Gran parte ebbe in questa considerazione per la signora Frola e nel concetto che subito del signor Ponza s'impresse nell'animo di tutti, che fosse cioè duro, anzi crudele, anche l'aspetto dei due, bisogna dirlo. Tozzo, senza collo, nero come un africano, con folti capelli ispidi su la fronte bassa, dense e aspre sopracciglia giunte, grossi mustacchi lucidi da questurino, e negli occhi cupi, fissi, quasi senza bianco, un'intensità violenta, esasperata, a stento contenuta, non si sa se di doglia tetra o di dispetto della vista altrui, il signor Ponza non è fatto certamente per conciliarsi la simpatia o la confidenza. Vecchina gracile, pallida, è invece la signora Frola, dai lineamenti fini, nobilissimi, e una aria malinconica, ma d'una malinconia senza peso, vaga e gentile, che non esclude l'affabilità con tutti.
Ora di questa affabilità, naturalissima in lei, la signora Frola ha dato subito prova in città, e subito per essa nell'animo di tutti è cresciuta l'avversione per il signor Ponza; giacché chiaramente è apparsa a ognuno l'indole di lei, non solo mite, remissiva, tollerante, ma anche piena d'indulgente compatimento per il male che il genero le fa; e anche perché s'è venuto a sapere che non basta al signor Ponza relegare in una casa a parte quella povera madre, ma spinge la crudeltà fino a vietarle anche la vista della figliuola. Se non che, non crudeltà, protesta subito nelle sue visite alle signore di Valdana la signora Frola, ponendo le manine avanti, veramente afflitta che si possa pensare questo di suo genero. E s'affretta a decantarne tutte le virtù, a dirne tutto il bene possibile e immaginabile; quale amore, quante cure, quali attenzioni egli abbia per la figliuola, non solo, ma anche per lei, sì, sì, anche per lei; premuroso, disinteressato... Ah, non crudele, no, per carità! C'è solo questo: che vuole tutta, tutta per sé la mogliettina, il signor Ponza, fino al punto che anche l'amore, che questa deve avere (e l'ammette, come no?) per la sua mamma, vuole che le arrivi non direttamente, ma attraverso lui, per mezzo di lui, ecco. Sì, può parere crudeltà, questa, ma non lo è; è un'altra cosa, un'altra cosa ch'ella, la signora Frola, intende benissimo e si strugge di non sapere esprimere. Natura, ecco... ma no, forse una specie di malattia... come dire? Mio Dio, basta guardarlo negli occhi. Fanno in prima una brutta impressione, forse, quegli occhi; ma dicono tutto a chi, come lei, sappia leggere in essi: la pienezza chiusa, dicono, di tutto un mondo d'amore in lui, nel quale la moglie deve vivere senza mai uscirne minimamente, e nel quale nessun altro, neppure la madre, deve entrare. Gelosia? Sì, forse; ma a voler definire volgarmente questa totalità esclusiva d'amore.
Egoismo? Ma un egoismo che si dà tutto, come un mondo, alla propria donna! Egoismo, in fondo, sarebbe quello di lei a voler forzare questo mondo chiuso d'amore, a volervisi introdurre per forza, quand'ella sa che la figliuola è felice, così adorata... Questo a una madre può bastare! Del resto, non è mica vero ch'ella non la veda, la sua figliuola. Due o tre volte al giorno la vede: entra nel cortile della casa; suona il campanello e subito la sua figliuola s'affaccia di lassù.
- Come stai Tildina?
- Benissimo, mamma. Tu?
- Come Dio vuole, figliuola mia. Giù, giù il panierino!
E nel panierino, sempre due parole di lettera, con le notizie della giornata. Ecco, le basta questo. Dura ormai da quattr'anni questa vita, e ci s'è abituata la signora Frola. Rassegnata, sì. E quasi non ne soffre più.
Com'è facile intendere, questa rassegnazione della signora Frola, quest'abitudine ch'ella dice d'aver fatto al suo martirio, ridondano a carico del signor Ponza, suo genero, tanto più, quanto più ella col suo lungo discorso si affanna a scusarlo.
Con vera indignazione perciò, e anche dirò con paura, le signore di Valdana che hanno ricevuto la prima visita della signora Frola, accolgono il giorno dopo l'annunzio di un'altra visita inattesa, del signor Ponza, che le prega di concedergli due soli minuti d'udienza, per una "doverosa dichiarazione", se non reca loro incomodo.
Affocato in volto, quasi congestionato, con gli occhi più duri e più tetri che mai, un fazzoletto in mano che stride per la sua bianchezza, insieme coi polsini e il colletto della camicia, sul nero della carnagione, del pelame e del vestito, il signor Ponza, asciugandosi di continuo il sudore che gli sgocciola dalla fronte bassa e dalle gote raschiose e violacee, non già per il caldo, ma per la violenza evidentissima dello sforzo che fa su se stesso e per cui anche le grosse mani dalle unghie lunghe gli tremano; in questo e in quel salotto, davanti a quelle signore che lo mirano quasi atterrite, domanda prima se la signora Frola, sua suocera, è stata a visita da loro il giorno avanti; poi, con pena, con sforzo, con agitazione di punto in punto crescenti, se ella ha parlato loro della figliuola e se ha detto che egli le vieta assolutamente di vederla e di salire in casa sua. Le signore, nel vederlo così agitato, com'è facile immaginare, s'affrettano a rispondergli che la signora Frola, sì, è vero, ha detto loro di quella proibizione di vedere la figlia, ma anche tutto il bene possibile e immaginabile di lui, fino a scusarlo, non solo, ma anche a non dargli nessun'ombra di colpa per quella proibizione stessa. Se non che, invece di quietarsi, a questa risposta delle signore, il signor Ponza si agita di più; gli occhi gli diventano più duri, più fissi, più tetri; le grosse gocce di sudore più spesse; e alla fine, facendo uno sforzo ancor più violento su se stesso, viene alla sua "dichiarazione doverosa".
La quale è questa, semplicemente: che la signora Frola, poveretta, non pare, ma è pazza. Pazza da quattro anni, sì. E la sua pazzia consiste appunto nel credere che egli non voglia farle vedere la figliuola. Quale figliuola? E' morta, è morta da quattro anni la figliuola: e la signora Frola, appunto per il dolore di questa morte, è impazzita: per fortuna, impazzita, sì, giacché la pazzia è stata per lei lo scampo dal suo disperato dolore. Naturalmente non poteva scamparne, se non così, cioè credendo che non sia vero che la sua figliuola è morta e che sia lui, invece, suo genero, che non vuole più fargliela vedere. Per puro dovere di carità verso un'infelice, egli, il signor Ponza, seconda da quattro anni, a costo di molti e gravi sacrifici, questa pietosa follia: tiene, con dispendio superiore alle sue forze, due case: una per sé, una per lei; e obbliga la sua seconda moglie, che per fortuna caritatevolmente si presta volentieri, a secondare anche lei questa follia. Ma carità, dovere, ecco, fino a un certo punto: anche per la sua qualità di pubblico funzionario, il signor Ponza non può permettere che si creda di lui, in città, questa cosa crudele e inverosimile: ch'egli cioè, per gelosia o per altro, vieti a una povera madre di vedere la propria figliuola. Dichiarato questo, il signor Ponza s'inchina innanzi allo sbalordimento delle signore, e va via. Ma questo sbalordimento delle signore non ha neppure il tempo di scemare un po', che rieccoti la signora Frola con la sua aria dolce di vaga malinconia a domandare scusa se, per causa sua, le buone signore si sono prese qualche spavento per la visita del signor Ponza, suo genero. E la signora Frola, con la maggior semplicità e naturalezza del mondo, dichiara a sua volta, ma in gran confidenza, per carità! poiché il signor Ponza è un pubblico funzionario, e appunto per questo ella la prima volta s'è astenuta dal dirlo, ma sì, perché questo potrebbe seriamente pregiudicarlo nella carriera; il signor Ponza, poveretto - ottimo, ottimo inappuntabile segretario alla prefettura, compìto, preciso in tutti i suoi atti, in tutti i suoi pensieri, pieno di tante buone qualità - il signor Ponza, poveretto, su quest'unico punto non... non ragiona più, ecco; il pazzo è lui, poveretto; e la sua pazzia consiste appunto in questo: nel credere che sua moglie sia morta da quattro anni e nell'andar dicendo che la pazza è lei, la signora Frola che crede ancora viva la figliuola. No, non lo fa per contestare in certo qual modo innanzi agli altri quella sua gelosia quasi maniaca e quella crudele proibizione a lei di vedere la figliuola, no; crede, crede sul serio il poveretto che sua moglie sia morta e che questa che ha con sé sia una seconda moglie. Caso pietosissimo! Perché veramente col suo troppo amore quest'uomo rischiò in prima di distruggere, d'uccidere la giovane moglietta delicatina, tanto che si dovette sottrargliela di nascosto e chiuderla a insaputa di lui in una casa di salute. Ebbene, il povero uomo, a cui già per quella frenesia d'amore s'era anche gravemente alterato il cervello, ne impazzì; credette che la moglie fosse morta davvero: e questa idea gli si fissò talmente nel cervello, che non ci fu più verso di levargliela, neppure quando, ritornata dopo circa un anno florida come prima, la moglietta gli fu ripresentata. La credette un'altra; tanto che si dovette con l'ajuto di tutti, parenti e amici, simulare un secondo matrimonio, che gli ha ridato pienamente l'equilibrio delle facoltà mentali. Ora la signora Frola crede d'aver qualche ragione di sospettare che da un pezzo suo genero sia del tutto rientrato in sé e ch'egli finga, finga soltanto di credere che sua moglie sia una seconda moglie, per tenersela così tutta per sé, senza contatto con nessuno, perché forse tuttavia di tanto in tanto gli balena la paura che di nuovo gli possa esser sottratta nascostamente. Ma sì. Come spiegare, se no, tutte le cure, le premure che ha per lei, sua suocera, se veramente egli crede che è una seconda moglie quella che ha con sé? Non dovrebbe sentire l'obbligo di tanti riguardi per una che, di fatto, non sarebbe più sua suocera, è vero? Questo, si badi, la signora Frola lo dice, non per dimostrare ancor meglio che il pazzo è lui; ma per provare anche a se stessa che il suo sospetto è fondato.
- E intanto, - conclude con un sospiro che su le labbra le s'atteggia in un dolce mestissimo sorriso, - intanto la povera figliuola mia deve fingere di non esser lei, ma un'altra, e anch'io sono obbligata a fingermi pazza credendo che la mia figliuola sia ancora viva. Mi costa poco, grazie a Dio, perché è là, la mia figliuola, sana e piena di vita; la vedo, le parlo; ma sono condannata a non poter convivere con lei, e anche a vederla e a parlarle da lontano, perché egli possa credere, o fingere di credere che la mia figliuola, Dio liberi, è morta e che questa che ha con sé è una seconda moglie. Ma torno a dire, che importa se con questo siamo riusciti a ridare la pace a tutti e due? So che la mia figliuola è adorata, contenta; la vedo; le parlo; e mi rassegno per amore di lei e di lui a vivere così e a passare anche per pazza, signora mia, pazienza... Dico, non vi sembra che a Valdana ci sia proprio da restare a bocca aperta, a guardarci tutti negli occhi, come insensati? A chi credere dei due? Chi è il pazzo? Dov'è la realtà? dove il fantasma? Lo potrebbe dire la moglie del signor Ponza. Ma non c'è da fidarsi se, davanti a lui, costei dice d'esser seconda moglie; come non c'è da fidarsi se, davanti alla signora Frola, conferma d'esserne la figliuola. Si dovrebbe prenderla a parte e farle dire a quattr'occhi la verità. Non è possibile. Il signor Ponza - sia o no lui il pazzo - è realmente gelosissimo e non lascia vedere la moglie a nessuno. La tiene lassù, come in prigione, sotto chiave; e questo fatto è senza dubbio in favore della signora Frola; ma il signor Ponza dice che è costretto a far così, e che sua moglie stessa anzi glielo impone, per paura che la signora Frola non le entri in casa all'improvviso. Può essere una scusa. Sta anche di fatto che il signor Ponza non tiene neanche una serva in casa. Dice che lo fa per risparmio, obbligato com'è a pagar l'affitto di due case; e si sobbarca intanto a farsi da sé la spesa giornaliera, e la moglie, che a suo dire non è la figlia della signora Frola, si sobbarca anche lei per pietà di questa, cioè d'una povera vecchia che fu suocera di suo marito, a badare a tutte le faccende di casa, anche alle più umili, privandosi dell'ajuto di una serva. Sembra a tutti un po' troppo. Ma è anche vero che questo stato di cose, se non con la pietà, può spiegarsi con la gelosia di lui.

Intanto, il signor Prefetto di Valdana s'è contentato della dichiarazione del signor Ponza. Ma certo l'aspetto e in gran parte la condotta di costui non depongono in suo favore, almeno per le signore di Valdana più propense tutte quante a prestar fede alla signora Frola. Questa, difatti, viene premurosa a mostrar loro le letterine affettuose che le cala giù col panierino la figliuola, e anche tant'altri privati documenti, a cui però il signor Ponza toglie ogni credito, dicendo che le sono stati rilasciati per confortare il pietoso inganno. Certo è questo, a ogni modo: che dimostrano tutt'e due, l'uno per l'altra, un meraviglioso spirito di sacrifizio, commoventissimo; e che ciascuno ha per la presunta pazzia dell'altro la considerazione più squisitamente pietosa. Ragionano tutt'e due a meraviglia; tanto che a Valdana non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di dire che l'uno dei due era pazzo, se non l'avessero detto loro: il signor Ponza della signora Frola, e la signora Frola del signor Ponza. La signora Frola va spesso a trovare il genero alla prefettura per aver da lui qualche consiglio, o lo aspetta all'uscita per farsi accompagnare in qualche compera: e spessissimo, dal canto suo, nelle ore libere e ogni sera il signor Ponza va a trovare la signora Frola nel quartierino mobigliato; e ogni qual volta per caso l'uno s'imbatte nell'altra per via, subito con la massima cordialità si mettono insieme; egli le dà la destra e, se stanca, le porge il braccio, e vanno così, insieme, tra il dispetto aggrondato e lo stupore e la costernazione della gente che li studia, li squadra, li spia e, niente!, non riesce ancora in nessun modo a comprendere quale sia il pazzo dei due, dove sia il fantasma, dove la realtà.

Suddivisa da spazi tipografici bianchi in quattro segmenti, di cui più brevi il primo e l’ultimo, con quasi la funzione di cornice entro cui si inquadra il dramma esistenziale che ruota attorno alla confessione che fanno i due co-protagonisti, che è argomento della situazione, che però resta irrisolta.
Il racconto è affidato ad una voce narrante che parla in prima persona, ma senza una propria identità, svolgendo quindi il ruolo imprecisato degli abitanti di Valdana, che è appunto il luogo dell’ambientazione geografica.
1. Il segmento più breve di tutti, parte con un attacco in medias res alquanto caotico, per rendere fin dall’inizio il sentimento che si intende trasmettere, della confusione venutasi a creare in seguito a tale situazione. Ma insomma, ve lo figurate? Sì, ma cosa, se non siamo ancora a conoscenza dell’antefatto e dell’identità dei due personaggi nominati? Cosa di cui si rende conto anche l’io narrante, avvertendo la necessità di spiegare con ordine e per sommi capi l’angoscia in cui vivono da tre mesi gli abitanti di Valdana. Salvo poi lasciarsi trascinare ancora dalla propria foga oratoria, discutono su quanto ancora il lettore non sa. Ma si tratta di un ritorno ad un ingarbugliamento voluto dallo stesso autore, che in tal modo conferisce al tutto quella patina di follia, immedesimendosi con essa.
2. Ma procediamo con ordine. Passando così a raccontare il casus belli che ha suscitato una tale inquietudine: il signor Ponza, segretario di prefettura, e la signora Frola, suocera di questi, dei quali viene anche fornita una descrizione fisica e caratteriale. Chi scapitò per questo nell’opinione di tutti fu il signor Ponza, dall’aspetto non certo gradevole, di contro ai lineamenti fini, nobilissimi della suocera, l’unico problema – dice la donna – è che le vieta anche la vista della figliuola. La signora però non accusa mai il genero, decantandone anzi a tutto il vicinato le straordinarie virtù, la pienezza chiusa…di tutto un mondo d’amore… nel quale la moglie deve vivere senza mai uscirne minimante… egoismo che si da tutto, come un mondo, alla propria donna!
3. La versione del signor Ponza è leggermente diversa.  Vi devo fare una dichiarazione doverosa, dice. È cominciamo ad addentrarci in tal modo nei meandri nascosti e tortuosi della coscienza di entrambe. Per lui la signora Frola, poveretta, non pare, ma è pazza. Non ha voluto accettare la morte della figlia (anche lei una pensionata della memoria), credendola ancora viva in quella che è invece la sua seconda moglie. Loro due acconsentono, consapevoli di come soltanto una tale illusione le permetta di essere ancora in vita. Notizia questa che sconvolge decisamente chi lo ascolta.
4. Ma questo balordimento … non ha neppure il tempo di scemare un po’, che rieccoti la signora Frola la quale dichiara a sua volta, ma in confidenza, per carità! Che il signor Ponza, poveretto su quest’unico punto … non ragiona più! Il pazzo, dunque, è lui. E racconta la propria versione dell’accaduto. Di come lui, col suo troppo amore aveva rischiato di distruggere la salute della moglie, che per un lungo periodo era stata costretta ad un ricovero in ospedale; passato il quale egli non aveva più riconosciuto la donna come la propria moglie. E per fargliela riprendere si era dovuto inscenare un nuovo matrimonio. Il sospetto della donne è soltanto che egli, ormai completamente rinsavito, continui a fingere perché pensa che gli possa essere nuovamente sottratta. Innescando in tal modo anche l’altro conflitto pirandelliano fra Realtà e Finzione. Con l’ultimo punto rientra in gioco la figura del narratore/portavoce degli abitanti e delle tante domande che una tale situazione suscita. Chi è il pazzo? Dove la realtà? Dove il fantasma?
La commedia Così è (se vi pare) andata in scena il 18 giugno 1917 al Teatro Olimpia di Milano ad opera della compagnia di Virgilio Talli; fu poi pubblicata nel gennaio dell’anno successivo su La Nuova Antologia, edizione ancora presso l’editore Treves e gli altri, nelle varie edizioni che essi fecero della raccolta Maschere Nude.
Pur se suddivisa in tre atti, non cambia di molto l’ambientazione del non accaduto, che passa semplicemente dal salotto allo studio del consigliere Agazzi, dove è condensata in pochi personaggi-tipo tutta la popolazione di Valdana.
Con tale commedia, e maggiormente rispetto a Pensaci, Giacomino! Pirandello rompe definitivamente con quello che era ormai il topos del teatro dell’epoca che, con il suo lessico ridondante e la bravura degli attori-narratori distraeva il pubblico dal messaggio che l’opera intendeva trasmettere. Anche perché poi, probabilmente, il messaggio da trasmettere non era poi tanto importante, se si era trovato modo di ovviarlo con tali metodi.
Così è (se vi pare) inaugura quella che va sotto il nome di svolta pirandelliana, incentrando la propria attenzione sul rapporto autore/personaggio/pubblico; facendo passare in secondo piano l’azione, la vicenda.
Qui, come nelle commedie successive, i fatti sono già accaduti. Resta da costruire sulla scena quanto da essi deriva; le reazioni che ne conseguono.
Ma manca anche il finale. Cosa che crea una profonda rottura tanto con il teatro contemporaneo quanto con quello classico, i quali praticavano una drastica suddivisione vittime/carnefici, conferendo la palma ora agli uni ora agli altri.
Per Pirandello invece non c’è una conclusione, anche se pare che fino alla fine se ne persegua una. Così non si può non provare l’amarezza della disillusione, quando finalmente ci si trova davanti il personaggio che unico potrebbe svelare l’enigma; ed invece questo stesso personaggio, rigido, in gramaglie, col volto nascosto da un fitto velo nero, impenetrabile, quale appunto la Verità che impersona, dice semplicemente: Per me, io sono colei che mi si crede.
Con questa, e con l’ironica battuta successiva di Laudisi: Ed ecco, sugnori miei, come parla la verità, si chiude il primo dei tanti drammi di Pirandello che non approdano alla conclusione tanto sospirata a cui il pubblico a lui contemporaneo era abituato.
Prima di tutto la folla della popolazione di Valdana viene trasformata nei pochi personaggi che prendono parte alla discussione in casa Agazzi: i signori Agazzi, marito e moglie; Dina, loro figlia; e signori Sirelli, marito e moglie; il signor prefetto; il commissario Centori; le signore Cini e Nenni.
Figura importante è Lamberto Laudisi, che qui prende la parte del narratore fuoricampo della novella e dà l’input, rivelandosi sarcasticamente riflessivo, mostrando il tutto dal punto di vista dell’assurto in cui rischia di finire la situazione. Una presenza-assenza che si fa portavoce di Pirandello. Sembra il solo ad avere capito la Verità, che non è né bianco né nero, ma passa attraverso le varie sfumature che cambiano a seconda dell’osservatore.
Non vale dunque la pena di analizzare  punto per punto l’intera commedia: ci limiteremo a dire che, dopo un incipit che ci trasporta in un convenzionalmente arredato salotto medio borghese, siamo subito messi a confronto proprio con quella mentalità medio borghese, per cui il gioco va condotto secondo le regole (quelle appunto medio borghesi dell’epoca). Con la necessità di dare in pasto alla curiosità del pubblico le motivazioni private che causano un determinato comportamento.
Andandosi gradualmente riempiendo il salotto, prende il via la macchina burocratica in cui si trasforma la curiosità pubblica: da che non è stato possibile arrivare per vie legali ad un chiarimento della situazione (i documenti relativi al loro stato civile sono andati distrutti da un terremoto) si avverte si avverte l’esigenza dello scontro diretto, impietoso che viola il sacro rispetto dovuto al dolore di entrambi, che ha luogo nell’ultima scena del secondo atto.
Sarebbe importante far notare altre scene, come quella II, 3 del monologo di Laudisi allo specchio, che riproduce il topos pirandelliano del “vedersi vivere” che da Mattia Pascal attraverso Serafino Gubbio giunge fino a Vitangelo Moscarda.

LAUDISI (Andrà un po' in giro per lo studio, sogghignando tra sé e tentennando il capo; poi si fermerà davanti al grande specchio su la mensola del camino, guarderà la propria immagine e parlerà con essa) Oh, eccoti qua!
La saluterà con due dita; strizzando furbescamente un occhio, e sogghignerà.
Eh caro! - Chi è il pazzo di noi due?
Alzerà una mano con l'indice appuntato contro la sua immagine che, a sua volta, appunterà l'indice contro di lui. Sogghignerà ancora, poi:
Eh, lo so: io dico: "tu", e tu col dito indichi me. - Va' là, che così a tu per tu, ci conosciamo bene noi due! - Il guajo è che, come ti vedo io, non ti vedono gli altri! E allora, caro mio, che diventi tu? Dico per me che, qua di fronte a te, mi vedo e mi tocco - tu, - per come ti vedono gli altri - che diventi? - Un fantasma, caro, un fantasma! - Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa.
Il cameriere, entrato, resterà sbalordito a sentir le ultime parole del Laudisi allo specchio. Poi chiamerà:
CAMERIERE Signor Lamberto.
LAUDISI Eh?
CAMERIERE Ci sono due signore. La signora Cini e un'altra.
LAUDISI Vogliono me?
CAMERIERE Hanno chiesto della signora. Ho detto che si trovava a visita dalla signora Frola qua accanto, e allora...
LAUDISI Allora?
CAMERIERE Si sono guardate negli occhi; poi, hanno battuto le manine coi guanti: - "Ah sì? ah sì?" e m'hanno domandato, friggendo, se non c'era proprio nessuno in casa.
LAUDISI Tu avrai risposto che non c'era nessuno.
CAMERIERE Ho risposto che c'era lei.
LAUDISI Io? No. - Quello che conoscono loro, se mai!
CAMERIERE (più che mai sbalordito) Come dice?
LAUDISI Ma, scusa, ti pare lo stesso?
CAMERIERE (c.s. tentando squallidamente un sorriso a bocca aperta) Non capisco.
LAUDISI Con chi stai parlando tu?
CAMERIERE (basito) Come... con chi sto parlando?... Con lei.
LAUDISI E sei proprio sicuro che io sia lo stesso di quello che chiedono codeste signore?
CAMERIERE Ma... non saprei... Hanno detto il fratello della signora...
LAUDISI Caro! Ah... - Eh sì, allora sono io; sono io... - Falle entrare, falle entrare...
Il cameriere si ritirerà voltandosi parecchie volte a riguardarlo come se non credesse più ai suoi occhi.

Ma qui interessa inquadrare per linee generali quello che è l’approdo/non approdo di tale commedia di cui Giovanni Macchia dice che «la crudeltà pirandelliana è nel vietare ai suoi personaggi la tragedia, la via della tragedia, contro il fato o contro gli uomini e in questo rifiuto è uno dei segni della sua modernità». È la crudeltà del sentimento del contrario, del dolore che ride di se stesso, e si esprime appunto nelle parole finali di Laudisi, e nella finale risata dopo la quale cala la tela.

SCENA SETTIMA
DETTI, la SIGNORA AMALIA
AMALIA (entrerà di furia, costernatissima, dall'uscio a sinistra, annunziando) La signora Frola! La signora Frola è qua!
AGAZZI No! Perdio, chi l'ha chiamata?
AMALIA Nessuno! è venuta da sé!
IL PREFETTO No! Per carità! Ora, no! La faccia andar via, signora!
AGAZZI Subito via! Non la fate entrare! Bisogna impedirglielo a ogni costo! Se la trovasse qua, gli sembrerebbe davvero un agguato!
SCENA OTTAVA
DETTI, la SIGNORA FROLA, TUTTI GLI ALTRI.
La signora Frola s'introdurrà tremante, piangente, supplicante, con un fazzoletto in mano, in mezzo alla ressa degli altri, tutti esagitati.
SIGNORA FROLA Signori miei, per pietà! per pietà! Lo dica lei a tutti, signor Consigliere!
AGAZZI (facendosi avanti, irritatissimo) Io le dico, signora, di ritirarsi subito! Perché lei, per ora, non può stare qua!
SIGNORA FROLA (smarrita) Perché? perché?
Alla signora Amalia:
Mi rivolgo a lei, mia buona signora...
AMALIA Ma guardi... guardi, c'è lì il Prefetto...
SIGNORA FROLA Oh! lei, signor Prefetto! Per pietà! Volevo venire da lei!
IL PREFETTO No, abbia pazienza, signora! Per ora io non posso darle ascolto. Bisogna che lei se ne vada! se ne vada via subito di qua!
SIGNORA FROLA Sì, me n'andrò! Me n'andrò oggi stesso! Me ne partirò, signor Prefetto! per sempre me ne partirò!
AGAZZI Ma no, signora! Abbia la bontà di ritirarsi per un momento nel suo quartierino qua accanto! Mi faccia questa grazia! Poi parlerà col signor Prefetto!
SIGNORA FROLA Ma perché? Che cos'è? Che cos'è?
AGAZZI (perdendo la pazienza) Sta per tornare qua suo genero: ecco! ha capito?
SIGNORA FROLA Ah! Sì? E allora, sì... sì, mi ritiro mi ritiro... subito! Volevo dir loro questo soltanto: che per pietà, la finiscano! Loro credono di farmi bene e mi fanno tanto male! Io sarò costretta ad andarmene, se loro seguiteranno a far così; a partirmene oggi stesso, perché lui sia lasciato in pace! - Ma che vogliono, che vogliono ora qua da lui? Che deve venire a fare qua lui? - Oh, signor Prefetto!
IL PREFETTO Niente, signora, stia tranquilla! stia tranquilla, e se ne vada, per piacere!
AMALIA Via, signora, sì! sia buona!
SIGNORA FROLA Ah Dio, signora mia, loro mi priveranno dell'unico bene, dell'unico conforto che mi restava: vederla almeno da lontano la mia figliuola!
Si metterà a piangere.
IL PREFETTO Ma chi glielo dice? Lei non ha bisogno di partirsene! La invitiamo a ritirarsi ora per un momento. Stia tranquilla!
SIGNORA FROLA Ma io sono in pensiero per lui! per lui, signor Prefetto! sono venuta qua a pregare tutti per lui; non per me!
IL PREFETTO Sì, va bene! E lei può star tranquilla anche per lui, gliel'assicuro io. Vedrà che ora si accomoderà ogni cosa.
SIGNORA FROLA E come? Li vedo qua tutti accaniti addosso a lui!
IL PREFETTO No, signora! Non è vero! Ci sono qua io per lui! Stia tranquilla!
SIGNORA FROLA Ah! Grazie! Vuol dire che lei ha compreso...
IL PREFETTO Sì, sì, signora, io ho compreso.
SIGNORA FROLA L'ho ripetuto tante volte a tutti questi signori: è una disgrazia già superata, su cui non bisogna più ritornare.
IL PREFETTO Sì, va bene, signora... Se le dico che io ho compreso!
SIGNORA FROLA Siamo contente di vivere così; la mia figliuola è contenta. Dunque... - Ci pensi lei, ci pensi lei... perché, se no, non mi resta altro che andarmene, proprio! e non vederla più, neanche così da lontano... Lo lascino in pace, per carità!
A questo punto, tra la ressa si farà un movimento; tutti faranno cenni; alcuni guarderanno verso l'uscio; qualche voce repressa si farà sentire.
VOCI Oh Dio... Eccola, eccola!
SIGNORA FROLA (notando lo sgomento, lo scompiglio, gemerà perplessa, tremante) Che cos'è? Che cos'è?
SCENA NONA
DETTI, la SIGNORA PONZA, poi il SIGNOR PONZA.
Tutti si scosteranno da una parte e dall'altra per dar passo alla signora Ponza che si farà avanti rigida, in gramaglie, col volto nascosto da un fitto velo nero, impenetrabile.
SIGNORA FROLA (cacciando un grido straziante di frenetica gioja ) Ah! Lina... Lina... Lina...
E si precipiterà e s'avvinghierà alla donna velata, con l'arsura d'una madre che da anni e anni non abbraccia più la sua figliuola. Ma contemporaneamente, dall'interno, si udranno le grida del signor Ponza che subito dopo si precipiterà sulla scena.
PONZA Giulia!... Giulia!... Giulia!...
La signora Ponza, alle grida di lui, s'irrigidirà tra le braccia della signora Frola che la cingono. Il signor Ponza, sopravvenendo, s'accorgerà subito della suocera così perdutamente abbracciata alla moglie e inveirà furente:
Ah! L'avevo detto io i sono approfittati così, vigliaccamente, della mia buona fede?
SIGNORA PONZA (volgendo il capo velato, quasi con austera solennità) Non temete! non temete! Andate via.
PONZA (piano, amorevolmente, alla signora Frola ) Andiamo, sì, andiamo...
SIGNORA FROLA (che si sarà staccata da sé, tutta tremante, umile, dall'abbraccio, farà eco subito, premurosa, a lui) Sì, sì... andiamo, caro, andiamo...
E tutti e due abbracciati, carezzandosi a vicenda, tra due diversi pianti, si ritireranno bisbigliandosi tra loro parole affettuose. Silenzio. Dopo aver seguito con gli occhi fino all'ultimo i due, tutti si rivolgeranno, ora, sbigottiti e commossi alla signora velata.
SIGNORA PONZA (dopo averli guardati attraverso il velo dirà con solennità cupa) Che altro possono volere da me, dopo questo, lor signori? Qui c'è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato.
IL PREFETTO (commosso) Ma noi vogliamo rispettare la pietà, signora. Vorremmo però che lei ci dicesse -
SIGNORA PONZA (con un parlare lento e spiccato) - che cosa? la verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola -
TUTTI (con un sospiro di soddisfazione) - ah!
SIGNORA PONZA (subito c.s.) - e la seconda moglie del signor Ponza -
TUTTI (stupiti e delusi, sommessamente) - oh! E come?
SIGNORA PONZA (subito c.s.) - sì; e per me nessuna! nessuna!
IL PREFETTO Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra!
SIGNORA PONZA Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.
Guarderà attraverso il velo, tutti, per un istante; e si ritirerà. In silenzio.
LAUDISI Ed ecco, o signori, come parla la verità
Volgerà attorno uno sguardo di sfida derisoria.
Siete contenti?
Scoppierà a ridere.
Ah! ah! ah! ah!
Tela


Significativo è anche il cambiamento del titolo infatti mentre quello della novella suggerisce l’idea di un rapporto cronachistico come poi non accade poiché i due personaggi sono soltanto dei portatori di un punto di vista, ciascuno il suo, togliendoli invece dal titolo come Pirandello fa nella commedia, i due personaggi perdono anche la centralità soggettiva nella strategia narrativa che diventa anche nel titolo, quale effettivamente è nella storia, la ricerca della Verità, così è, attraverso il suo inquadramento dai vari punti, se vi pare.

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