mercoledì 27 maggio 2015

Incontro con un'opera: Il porto sepolto di Giuseppe Ungaretti

Il porto sepolto
Da Il porto sepolto di Giuseppe Ungaretti[1]
·         Questa breve poesia porta il titolo della prima e omonima raccolta di Ungaretti, pubblicata a Udine nel 1916. Sono versi che ci parlano della vita dell'autore e della città in cui è nato, Alessandria d'Egitto. Il titolo del componimento è parte integrante di esso, fondamentale per la comprensione del testo: spiega infatti il luogo in cui arriva il poeta, la meta del suo viaggio introspettivo. Questo porto, definito da Ungaretti "sepolto", è un'immagine carica di simbolismo, in cui il dato reale si fa tramite per comunicare una verità più remota ed universale. L'aggettivo"sepolto" porta infatti con sé l'idea di un mondo sottostante e precedente: è un porto antico che ci ricollega al tempo della nascita di Alessandria (e ad un porto di epoca tolemaica addirittura antecedente), e che ha in sé “un inesauribile segreto”. Qualcuno aveva narrato di questo luogo a un Ungaretti in giovane età che ne era rimasto profondamente colpito. Questo segreto, il porto, è ciò che la poesia riesce a riportare alla luce con i suoi versi, e poi a"disperdere", cioè, a diffondere e divulgare tra i lettori: in tal senso, la poesia e l'attività del poeta sono il compimento dell'illuminazione iniziale che ha permesso la scoperta del mistero stesso.
·         La narrazione poetica e la parola rappresentano, agli occhi dell'autore e di tutta una tradizione letteraria, un mezzo di conoscenza di se stessi, qualcosa attraverso cui indagare l'ignoto che vive dentro ciascuno di noi. Ed ecco che il ripercorrere le epoche, il discendere per riscoprire il "porto sepolto", diventano simbolo di un viaggio introspettivo che Ungaretti compie grazie alla narrazione poetica. L'idea dell'indagare e della discesa ci riportano immediatamente a una tradizione antica e mitica, ricordandoci pure il tema della discesa agli Inferi, tanto presente nella letteratura classica. Dal punto di vista metrico, Il porto sepolto è emblematico della produzione poetica ungarettiana: la lirica è composta da versi liberi e molti brevi, inframmezzati da pause frequenti. La protagonista assoluta è sempre la parola singola e la punteggiatura è completamente assente.

Mariano il 29 giugno 1916[2].

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
di inesauribile[3] segreto.

Italia
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni

Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra

Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia

E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
Locvizza, l'1 ottobre 1916



Sono una creatura
·         Sono una creatura è una delle poesie più celebri della raccolta Il porto sepolto di Ungaretti, e presenta i tratti tipici di queste poesie: la brevità, l'istantaneità dell'immagine, il paragone analogico, tipico della poesia simbolista a cui Ungaretti deve molto, e soprattutto lo spezzato ritmico. L'espressionismo è la cornice culturale che permette di capire il poeta de Il porto sepolto e L'allegria.
·         Il componimento è basato sull'iterazione e sull'anafora ("così fredda | così dura | così prosciugata [...]") e sullo spezzato ritmico, che prende i versi della tradizione, li disgrega e isola le parole.
·         Il mondo inorganico della pietra e dell'acqua è un mondo fondamentale nel Porto sepolto ed emerge anche dal titolo, che richiama l'antico porto di Alessandria ormai scomparso e sepolto. È qui presente, inoltre, il tema della memoria, della memoria degli scomparsi e dei sommersi dalla guerra o, come per l'amico Moammed Sceab, dalla crisi identitaria. La poesia si conclude con quello che il poeta indica come proverbio "la morte si sconta vivendo". Espediente tipico della poesia di Ungaretti, i proverbi ricorrono in diversi componimenti, ma sempre oscuri ed ermetici. In questo caso sembra riferirsi al rimpianto e al senso di colpa dei vivi nei confronti dei morti: la colpa di essere rimasti in vita al posto dei sommersi che non ce l'hanno fatta.
·         La poetica di Ungaretti è segnata dalla presenza degli scomparsi: il poeta sopravvive e resiste, ma reca tutti i segni, le ferite e le colpe di questa sopravvivenza. Altra poesia significativa è San Martino del Carso, dove di nuovo la soggettività, la psicologia, la memoria e il senso dell'individuo si trasfondono in un'immagine minerale delle rovine, della distruzione portata dalla guerra.

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele[4]

così fredda
così dura
così prosciugata[5]

così refrattaria[6]
così totalmente[7]
disanimata[8].

Come questa pietra
è il mio pianto[9]
che non si vede.

La morte
si sconta
vivendo[10].

Veglia
·         La poesia "Veglia" è stata composta da Ungaretti il 23 dicembre 1915, ed era inclusa inizialmente nella raccolta "Porto Sepolto", poi confluita nel 1931 in "Allegria".
·         Si tratta della quarta poesia della raccolta ed è la prima che affronta il tema della guerra, che Ungaretti visse personalmente tra il dicembre del 1915 fino alla fine dell'anno successivo. È un componimento in versi liberi. Rilevante è l'assenza della punteggiatura, caratteristica mutuata da Ungaretti dalla poesia futurista. C'è una tendenza a versi di singole parole, per dar loro rilievo, per esempio: "digrignata", "penetrata", "massacrato". Nella poesia sono presenti anche: rime e rime interne("buttato… massacrato"; "digrignata… penetrata"), assonanze (bocca / volta; lettere / piene; tanto / attaccato), allitterazioni (come quella della dentale "inTera", "noTTaTa", "buTTaTo"), che accentuano l'andamento ritmico. Tema centrale della poesia è la guerra, che si manifesta nella truce immagine del compagno di trincea ucciso vicino al poeta. L'assenza di punteggiatura e l'uso di participi passati rende persistente l'immagine. Leggermente staccata è la frase finale, in cui il poeta mette in evidenza il suo attaccamento alla vita in una situazione disperata di morte. La violenza della guerra fa scoprire al poeta il desiderio di vivere.

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata

buttato vicino
a un compagno
massacrato[11]

con la sua bocca
digrignata[12]

volta al plenilunio
con la congestione[13]

delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio

ho scritto
lettere[14] piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita[15]

Fratelli
·         Fratelli è stata composta da Ungaretti il 15 luglio 1916, durante la Prima Guerra Mondiale. Lo schema metrico è quello dei versi liberi, tipici dei componimenti della fase ermetica del poeta. La poesia si apre con una domanda, e il punto interrogativo è l'unico segno ortografico presente nel componimento. In questa fase poetica Ungaretti usa raramente i segni di punteggiatura, di conseguenza risulta molto importante e mostra uno scarto stilistico rilevante. Nella prima frase è presente un iperbato: viene, infatti, invertito l'ordine sintattico (il vocativo "fratelli" è posto in fondo alla frase e in un verso isolato). 
·         Fratelli è la parola-chiave dell'intera poesia in netto contrasto con la situazione in cui è ambientato il componimento, durante la guerra. L'ambito militare è sottolineato dalla parola "reggimento" nel verso iniziale. Il vocativo "fratelli" non si rivolge semplicemente a una moltitudine indefinita, ma parla anche al singolo individuo. La parola viene posta al di là dello schieramento di appartenenza, quindi il poeta potrebbe rivolgersi anche al nemico. La poesia prosegue con tre analogie che correlano tre immagini alla parola tematica "fratelli": "Parola tremante nella notte"; "Foglia appena nata"; e "Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità". In queste immagini è da notare l'uso del participio presente: tremante, spasimante e presente con funzione modale. Importanti perchè rendono indefinite e incerte le qualità dei sostantivi, a cui si riferiscono.
·         Tutto il componimento sottolinea il senso di precarietà esistenziale dell'uomo e la sua fragilità, evidente nell'immagine della foglia appena nata e nel forte enjambement creato tra "alla sua" e "fragilità". Il poeta è consapevole dell'incertezza della vita, soprattutto nella situazione in cui si trova, e lo mostra nel verso "[...] uomo presente alla sua fragilità".
·         Metro: versi liberi.

Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli[16]?

Parola tremante[17]
nella notte

Foglia appena nata[18]
Nell'aria spasimante

involontaria rivolta[19]
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

San Martino del Carso
·         La poesia San Martino del Carso va considerata all'interno dell'esperienza della prima guerra mondiale, che è stata primaria fonte di ispirazione per Ungaretti, tanto da costituire uno dei principali filoni tematici della sua poesia. La prima versione di questo componimento risale infatti al 1917, e viene pubblicata nella raccolta Il porto sepolto. Successivamente, nel 1931, ne appare una versione aggiornata, questa volta nel volume L'Allegria. La versione del 1931 verrà editata nuovamente dall'autore nel 1969 in Vita di un uomo con l'aggiunta dell'indicazione del luogo e della data in cui è stata effettivamente scritta la poesia (a Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916). Questa operazione editoriale viene applicata dall'autore a tutte le poesie del Porto sepolto che risalgono al 1917. Se ci soffermiamo sul numero di anni che separano la prima dall'ultima versione della poesia, più di cinquanta, capiamo quanto fosse dinamico e vivo il rapporto che Ungaretti manteneva con la propria scrittura.
·         In questa lirica il poeta sceglie nuovamente di esprimere tutta la disperazione e l'orrore che gli derivano dall'esperienza al fronte attraverso un confronto tra l'uomo e la natura, mettendo in relazione la propria disperazione, dovuta alla morte di compagni e amici, alla desolazione di un paese devastato dai combattimenti, San Martino del Carso. I versi che appaiono nel 1917 sono venti, nel 1931 ne troviamo solo dodici: il lavoro compiuto dal poeta mira quindi in questo caso a ripulire il testo da tutti gli elementi descrittivi (come i vv. 5 e 10 del testo originale), condensando invece la tragica riflessione del poeta in poche, icastiche parole ("è il mio cuore | il paese più straziato") ciò che in precedenza veniva spiegato in maniera più analitica ed esplicita. Il paragone continuo tra cuore del poeta e condizione del paese è sottolineato anche dalla struttura simmetrica evidente nelle due quartine che appaiono nella versione definitiva della poesia.

Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916

Di queste case[20]
non è rimasto
che qualche
brandello di muro[21]

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato[22]

I fiumi
da Il porto sepolto di Giuseppe Ungaretti
·         Collocata in ventiduesima posizione ne Il porto sepolto, la poesia I fiumi, in strofe di versi liberi, è una delle più note di Ungaretti, che, come egli stesso dichiara, trasfonde qui alcuni motivi essenziali della sua poetica e della sua visione del mondo. La questione è spiegata dallo stesso poeta, nel momento in cui prepara le Note per l’edizione definitiva delle proprie opere: “[I fiumi] è il vero momento nel quale la mia poesia prende insieme a me chiara coscienza di sé: l’esperienza poetica è l’esplorazione d’un personale continente d’inferno, e l’atto poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentire che solo in poesia si può cercare e trovare libertà”.
·         In tal senso, I fiumi è utile per ricavare addirittura una definizione ungarettiana della poesia: “La poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza, quella d’essere un uomo d’oggi, ma anche un uomo favoloso [...]: nel suo gesto d’uomo, il vero poeta sa che è prefigurato il gesto degli avi ignoti nel seguito di secoli impossibile a risalire, oltre le origini del suo buio”.
·         Metro: versi liberi.

Cotici il 16 agosto 1916 [23]
Mi tengo a quest’albero mutilato[24]
abbandonato in questa dolina[25]
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo[26]
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un’urna[27] d’acqua
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo[28] scorrendo
mi levigava
come un suo sasso

Ho tirato su
le mie quattro ossa
e me ne sono andato
come un acrobata[29]
sull’acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino[30]
mi sono chinato a ricevere
il sole

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra[31]
dell’universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani[32]
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato
le epoche[33]
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio[34]
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza[35]
nelle distese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido[36]
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre[37]

Soldati
Da L’allegria[38]di Giuseppe Ungaretti
·         Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere con estrema efficacia la condizione del soldato che da un momento all’altro può essere stroncata dalla guerra così come una foglia in autunno in procinto di staccarsi dal ramo: basta un colpo di vento per far morire la foglia, così come basta un colpo di fucile a far cadere il soldato.
·         La fragilità insita sempre nella condizione umana è accentuata dalla contingenza bellica, che rende ancor più precaria l’esistenza dell’uomo.
·         Questa poesia fa parte della sezione Girovago della raccolta Allegria.
·         Quattro versi liberi: unendo i versi 1-2 e 3-4 si ottengono due perfetti settenari. L’assenza della punteggiatura, come in molte altre liriche di Ungaretti, accentua la capacità espressiva delle parole.

Bosco di Courton luglio 1918

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.




[1] Giuseppe Ungaretti - Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto, figlio di due immigrati lucchesi. Il padre operaio dello scavo del Canale di Suez, muore pochi anni dopo la nascita del poeta.
Studia alla scuola svizzera École Suisse Jacot, una prestigiosa scuola della città egiziana: conosce la letteratura francese attraverso la rivista Mercure de France e inizia a leggere le opere dei simbolisti francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire, anche grazie ai consigli dell'amico Moammed Sceab.
Si avvicina alla letteratura italiana con l'abbonamento alla rivista La Voce.
Si trasferisce a Parigi nel 1912, dove conosce il poeta Apollinaire, con cui stringe subito amicizia. Incontra anche Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico e Modigliani.
Nel 1914 Ungaretti è a Milano e sostiene la fazione interventista.
Nel 1915 si arruola volontario. Combatte sul Carso in Friuli, un paesaggio che Ungaretti ritrarrà nella suaprima raccolta Il porto sepolto, pubblicato in 60 copie nel 1916. 
Il porto sepolto fa parte del nucleo originario della poesia di Ungaretti, al centro delle successive metamorfosi editoriali, prima Allegria di naufragi e poi L'allegria
Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, conosciuta nel 1918 in Francia.
Si impiega al Ministero degli Esteri. Aderisce al fascismo, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.
Nel 1923 viene ristampato Il porto sepolto con la prefazione di Benito Mussolini, conosciuto qualche anno prima, durante la campagna interventista.
Ungaretti, irrequieto e legato alla cultura degli intellettuali francesi, si allontana dal fascismo e la seconda metà degli anni '20 rappresenta per lui un duro periodo di povertà.
Nel 1928 Ungaretti si converte al cattolicesimo, conversione che emerge nell'opera Sentimento del Tempo del 1933. 
Nel 1936 si trasferisce in Brasile, a San Paolo, dove ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l'università della città. Rimane in Brasile fino al 1942. Nel 1939 muore il figIio Antonietto. 
Questo tragico evento è evidente in molte poesie delle raccolte Il Dolore (1947) e Un Grido e Paesaggi (1952).
Muore nel 1970 a Milano, dopo che la sua opera era stata raccolta in un unico volume Vita di un uomo nella prima edizione della raccolta Meridiani della casa editrice Mondadori nel 1969.
[2] L’indicazione in calce al componimento di data e luogo di stesura di ogni pezzo del Porto sepolto rende la raccolta ungarettiana una sorta di diario lirico della guerra, in cui trasporre, a brandelli e per immagini strappate alla massacrante vita del fronte, tutto l’orrore del conflitto e tutto l’attaccamento alla vita che ne consegue.
[3] Quel … inesauribile: ossimoro quel nulla che non si esaurisce
[4] S. Michele: il rimando autobiografico (che, nella poetica ungarettiana, vuole sempre aprirsi ad una dimensione universale e totalizzante) è al monte San Michele del Carso, presso Gorizia, teatro di alcune delle più aspre battaglie della Prima Guerra Mondiale.
[5] così prosciugata: alcuni hanno letto ed interpretato nella “pietra prosciugata” cui Ungaretti si paragona un simbolo dell’immanenza dell’uomo e del suo radicamento nella contingenza della guerra, cui si oppone, in netta antitesi l’immagine acquatica (si pensi al Porto sepolto o a I fiumi), che sta a rappresentare invece l’unione e la comunanza tra il singolo e la cerchia dei suoi simili, affiancata dall’evasione dalla situazione presente.
[6] refrattaria: ovvero insensibile, ormai incapace di una qualsiasi reazione; la condizione del poeta è insomma quella di una progressiva disumanizzazione e perdita di sé, tanto che il suo pianto, il suo dolore “non si vede” (v. 11).
[7]L’enjambement (“totalmente | disanimata”) sottolinea con ulteriore forza la similitudine tra la sofferenza del poeta e la pietra senza anima.
[8] disanimata: si noti la climax (dal greco κλῖμαξ, “scala”) dei termini utilizzati (“fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata”), confermata dall’anafora di “così” in apertura di ogni verso: tutto ciò rende assoluta ed impietosa la diagnosi del poeta su se stesso e la propria anima.
[9] La sequenza dei primi dieci versi, tutta orchestrata sull’analogia tra la pietra del Carso e il pianto del poeta, è alquanto studiata dal punto di vista stilistico e letterario. Da un lato, si nota il ricorso insistito ai fonemi - t - e - s - che danno un ritmo ribattuto e salmodiante (come se Sono una creatura fosse una sorta di preghiera laica e disperata) a tutto il componimento, cui contribuisce pure la ripresa (tecnicamente, una epanalessi) del v. 1 al v. 9; dall’altro, al culmine della climax degli aggettivi e dei participi che scandiscono il periodo, c’è un sottile rimando intertestuale dantesco (Purgatorio, XV, 135: “quando disanimato il corpo giace”), a testimonianza della continua ricerca letteraria ungarettiana anche nei versi spezzati ed isolati del Porto sepolto.
[10] Il valore aforistico (come una specie di proverbio sentenzioso) dell’ossimoro finale, che unisce la morte e la vita, si ritrova anche in una lettera di Ungaretti all’amico Giovanni Papini dell’8 luglio 1916, in cui il poeta confida, con lucidità e cupa ironia: “Pensavo: c’è qualcosa di gratuito al mondo, Papini, la vita; c’è una pena che si sconta, vivendo, la morte” (la lettera è citata in L. Piccioni, Ungarettiana. Lettura della poesia, aneddoti, epsitolari inediti, Firenze, Vallecchi, 1980, p. 193).
[11] massacrato: l’uso costante di participi passati dà forma alla struttura sintattica del testo, secondo una tecnica (applicata anche in altre poesie quali Fratelli e Sono una creatura) che Ungaretti recupera dal Futurismo di Marinetti.
[12] I frequenti “a capo” che isolano le parole rendono la lettura del testo frammentata e tragica, isolando i termini-chiave della poesia: “massacrato” (v. 4), “digrignata” (v. 6), “penetrata” (v. 10), tutti participi passati che indicano il passaggio analogico dall’orrore della guerra alla riflessione intima del poeta (“nel mio silenzio”, v. 11).
[13] la congestione: emerge qui l’attenta ricerca ungarettiana sul lessico (e sui connessi effetti ritmico-sonori), per comunicare tutta la drammaticità della guerra: “buttato” (v. 2), “massacrato” (v. 4), “digrignata” (v. 6), “congestione” (v. 8).
[14] lettere: queste lettere sono metaforicamente indirizzate a tutta l’umanità, con la quale il poeta, proprio in un momento di estrema difficoltà, riscopre un profondo senso di fratellanza.
[15] La poesia di Ungaretti, soprattutto quella della fase del Porto sepolto, si gioca anche su studiati effetti grafici; in questo caso lo spazio bianco che isola i tre versi finali contribuisce a sottolinearne meglio il messaggio, che suona quasi come una sentenza assoluta: anche nell’orrore della guerra, non viene meno l’amore (e l’attaccamento) a ciò che resta della vita.
[16]fratelli: parola-chiave che apre e chiude il componimento, e a cui si connettono tutti gli altri termini del testo (“parola tremante”, “foglia”, “involontaria rivolta”). Il tema passa così dalla realtà della guerra al senso di fratellanza che, nonostante tutto, prova ad instaurarsi tra i soldati.
[17] tremante: la sensazione di paura e di timore, connessa al pericolo di morire da un momento all’altro, è trasferita dagli uomini del reggimento alla parola-chiave fratelli”, che in tal senso vibra e risuona nella notte simboleggiando tutta la fragilità umana dei “soldati (come appunto recitava il titolo originale della poesia nella raccolta del 1916).
[18] foglia appena nata: analogia ungarettiana (come in altri testi, da ‘Sono una creatura’ a ‘San Martino del Carso’, che isola in un singolo verso tutta la fragilità dell’uomo.
[19]involontaria rivolta: riproposizione del tema della fratellanza umana nel momento del più cupo dolore; la parola “fratelli”, scambiata tra due reggimenti in una notte di guerra e di morte, diventa una forma di ribellione istintiva e spontanea (come se la sofferenza avesse portato a galla l’intima natura di ciascuno) all’assurda tragicità della realtà.
[20] Tratto stilistico da sottolineare di San Martino del Carso è appunto l’uso sapiente degli aggettivi deittici (cioè di tutti quegli elementi linguistici come pronomi e aggettivi dimostrativi, avverbi di luogo o tempo e così via, che indicano la situazione spaziotemporale in cui avviene la comunicazione) e dei pronomi indefiniti. Ungaretti da un lato punta infatti a collocare la propria esperienza in un clima e un orizzonte ben definito (quello tragico e straniante della guerra di trincea: “queste case”, v. 1) ma al tempo stesso eleva le sue considerazione ad un valore universale sul senso dell’esistenza e della vita umana (“qualche brandello”, v. 4; “tanti”, v. 5; “tanto”, v. 8).
[21] Si noti qui la figura retorica dell’anastrofe, che consiste nell’inversione dell’ordine naturale del periodo (secondo lo schema soggetto - verbo - complementi). È un esempio di come la poetica ungarettiana, radicalmente innovativa nel proporre la parola “nuda” sulla pagina (nel rifiuto delle regole metriche convenzionali e addirittura della punteggiatura), si affidi comunque a tecniche espressive attentamente studiate, e non affatto banali o immediate.
[22] Come in altri testi della raccolta, i versi conclusivi assumono valore di sentenza, e riassumono il senso della breve lirica. In questo caso, il risultato è raggiunto attraverso il procedimento dell’analogia (frequentissima ne Il porto sepolto e ne L’allegria ma tipica di gran parte della poesia del Novecento) che, rende in forma implicita una similitudine che sarebbe esplicita, abolendo il “come” che serve per instaurare il paragone. Così, dal rapporto di somiglianza si passa a quello, più forte, di identità: il “cuore” del poeta è effettivamente un “paese straziato” dalla guerra e dal dolore.
[23]Cotici (o, secondo la grafia slovena, Cotiči) è un'altura, su cui sorge pure un piccolo borgo, presso San Michele del Carso, da cui il 19° Reggimento italiano difese Gorizia dall’assedio austriaco.
[24]quest’albero mutilato: l’albero viene personificato attraverso l’uso del verbo "mutilare", tipicamente attribuito ad essere umani, e richiama così in maniera il campo semantico della guerra e della sofferenza, da cui il poeta pare astrarsi in un istante di pace.
[25] dolina: cavità caratteristica del paesaggio carsico.
[26] guardo: contemplando il cielo il poeta cerca un’astrazione dai dolori e dalle brutture della guerra, recuperando la propria dignità di essere umano.
[27] mi sono disteso in un’urna: metafora che porta con sé il richiamo alla morte e alla tomba (dato che l’urna è appunto un antico vaso cinerario) ma che allude pure - nell’accezione ambivalente di Ungaretti - al riposo e alla pace con cui si entra in comunicazione con la propria identità più remota. La tomba e l’acqua rappresentano poi due chiari segnali del ciclo di vita e morte.
[28] I quattro fiumi che ricorrono nel ricordo del poeta compongono quasi una cartina geografica (a sud il Nilo, ad ovest il Serchio, a nord la Senna, a ovest appunto l’Isonzo) che è anche una carta d’identità del poeta (il Serchio come fiume degli avi, il Nilo per l’infanzia, la Senna per la maturazione umana, l’Isonzo per il drammatico presente).
[29]come un acrobata: similitudine che, riprendendo l’immagine del circo evocata al v. 4, sottolinea la difficoltà di camminare sui sassi bagnati dal fiume.
[30]  beduino: il termine rimanda all’infanzia del poeta, trascorsa in Egitto. Si chiude con questa strofe la prima parte della poesia, dove il poeta descrive la situazione dalla quale è scaturita la sua adesione alla vita; nei successivi, egli riporterà alla memoria tutti i fiumi che, autobiograficamente, scorrono ora per lui nell’Isonzo.
[31]una docile fibra: è un passaggio fondamentale della lirica, dato che è in questo momento di pace e di unione con il tutto che, pur nella tragedia della guerra, Ungaretti scopre e riconosce l’intima armonia che lo rende parte (“fibra”, appunto) dell’intero universo.
[32]occulte mani: per Ungaretti sono “le mani eterne che foggiano assidue il destino di ogni essere vivente” (G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1970, p. 524).
[33] le epoche della mia vita: la sensazione di fusione con il tutto proietta il poeta come fuori dal tempo, tanto che gli eventi della sua breve esistenza (Ungaretti nel 1916 ha ventott’anni) diventano epoche storiche.
[34] Il Serchio è un fiume della Lucchesia, la pianura attorno alla città di Lucca, di cui era originaria della famiglia del poeta.
[35] ardere d’inconsapevolezza: Ungaretti allude al fatto che durante gli anni dell’adolescenza e della giovinezza in Egitto (che Ungaretti lascia nel 1912) era mosso da passioni che solo l’esperienza all’Isonzo gli ha permesso di decifrare compiutamente. Si ribadisce così l’importanza de I fiumi all’interno della poetica ungarettiana, e non solo de Il porto sepolto.
[36] torbido: A Parigi Ungaretti compie passi importanti per la propria formazione, entrando in contatto con i principali esponenti delle avanguardie artistico-letterarie del periodo (da Apollinaire a Picasso, da Breton a Marinetti, da De Chirico ad Amedeo Modigliani), ma vive anche il grande dolore del suicidio dell’amico fraterno Moammed Sceab.
[37]una corolla di tenebre: la poesia si chiude su quest’immagine che allude alle tenebre della guerra che, come in un fiore, si stringono attorno al poeta, chiudendogli ogni prospettiva di futuro. A ciò corrisponde non a caso una sensazione di ricordo misto ad angoscia.
[38] L'allegria - È la raccolta di poesie più conosciuta e divulgata di Giuseppe Ungaretti. Il percorso editoriale che ha portato alla pubblicazione della versione definitiva di quest'opera nel 1969 è stato lungo e complesso. Nel 1919 infatti il poeta pubblica Allegria di naufragi, raccolta che riunisce tutte le poesie scritte fino a quel momento, comprese quelle presenti ne Il porto sepolto, libro a sua volta pubblicato nel 1916 e composto dai testi scritti al fronte tra 1915 e 1916. Nel 1923 Ungaretti pubblicò una nuova raccolta poetica, questa volta più semplicemente intitolata L'allegria: da quel momento Ungaretti non smise mai di rimaneggiare e modificare il volume, editandolo nuovamente nel 1931, nel 1936 e nel 1942, fino ad arrivare alla versione del 1969, anno precedente a quello della morte del poeta stesso.
A causa della sua ampiezza, delle modifiche e delle aggiunte subite negli anni; L'allegria è un'opera abbastanza varia a livello tematico. Riunisce, infatti, al suo interno versi legati all'esperienza diretta della Prima Guerra Mondiale a poesie che ricordano alcuni momenti della vita privata dell'autore. Il titolo dell'opera esprime la gioia che l'animo umano prova nell'attimo in cui si rende conto di aver scongiurato la morte, drammaticamente contrapposto al dolore per essere uno dei pochi sopravvissuti al naufragio: questo sentimento si esprime con particolare intensità durante il periodo al fronte, ma attraversa tutta la raccolta e si concretizza nell'ossimoro del titolo.
L'elemento comune a tutti i componimenti è soprattutto quello autobiografico: Ungaretti stesso definiva L'allegria un diario. Per quanto riguarda la struttura poetica dell'opera, e in generale della produzione ungarettiana, la protagonista principale e indiscussa è sempre la parola, considerata dal poeta un veicolo fondamentale nella riscoperta dell'io. Per riconoscerle autonomia e libertà, Ungaretti sceglie di comporre sempre liriche molto brevi e scarne, inframmezzate da pause che tendono a focalizzare l'attenzione sul singolo vocabolo, per sottolinearne l'impatto semantico e la forza comunicativa; il superfluo viene costantemente accantonato.

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