venerdì 11 settembre 2015

Storia classe I

I MODULO
Preistoria e protostoria[1]
La preistoria - La preistoria è il periodo della storia precedente l'invenzione della scrittura[2].
Con la comparsa di testimonianze scritte infatti gli storici hanno, per la loro ricostruzione degli eventi, una più ampia documentazione che giustifica questa periodizzazione convenzionale.
La lunghissima fase della storia dell'uomo prima dell'invenzione della scrittura inizia 100 mila anni fa quando nella regione dell'attuale Sud-Africa emerse un tipo umano detto Homo Sapiens Sapiens che fisicamente risulta in tutto identico all'uomo attuale.
Tuttavia due milioni di anni fa, nella regione intorno al Lago Vittoria, un ominide utilizzò per la prima volta degli utensili e con questi creò altri utensili, dando inizio alla storia della tecnica e alla storia del pensiero anche se proprio nella tecnica, il pensiero umano ha avuto la sua preistorica applicazione prima di divenire in seguito anche religione[3], arte[4], filosofia[5] e scienza[6].
Perciò si prova un sentimento religioso per quel primo utensile che non ha paragoni in tutta la storia dell'universo giustifica l’inizio della preistoria umana appunto circa 2 milioni di anni fa con il primo utensile anche se i gruppi di ominidi che utilizzarono utensili non erano fisicamente come gli umani attuali cioè homo sapiens sapiens.
Queste considerazioni hanno allungato di molto il periodo di cui la preistoria si occupa.
Il termine Preistoria indica pure la disciplina, la paleontologia[7] che studia la presenza e l'attività dell'uomo nella preistoria.
L’età della pietra è suddivisa in due fasi principali:
·         la fase paleolitica o della pietra antica che comprende tutto il periodo dalla comparsa dell’uomo fino all’invenzione dell’agricoltura.
·         la fase neolitica o della pietra nuova che coincide con la nascita e l’affermazione dell’agricoltura e dei primi villaggi stabili.

Il paleolitico – È un periodo di continui cambiamenti climatici in cui si alternano quattro glaciazioni, epoche caratterizzate da clima polare, ed interglaciazioni. Durante le glaciazioni l’Europa era completamente ghiacciata escluse le coste del Mediterraneo, mentre durante i periodi interglaciali il clima era temperato e piovoso.
Durante il paleolitico si verificò l’ominazione ossia la comparsa dell’uomo sulla terra.
Secondo la teoria evolutiva l’uomo si è evoluto dai primati.
Durante il Paleolitico inferiore compare l’Australopiteco fra i 3 ed i 4 milioni di anni fa.
L’Homo abilis, primo membro della famiglia umana, compare successivamente: diversamente dai precedenti ominidi era capace di usare utensili ed aveva una più grande struttura cerebrale. L’Homo abilis comincia ad usare strumenti di pietra ed utilizza grandi animali come fonte di cibo, e durante il quale la dimensione del cervello aveva cominciato a ingrandirsi in modo significativo.
Circa 1.600.000 di anni fa l’Homo erectus compare in Africa nella zona della Rift Valley: dall’Africa Orientale, si diffonde rapidamente in Europa e in Asia quindi è il primo ominide a diffusione intercontinentale. L’Homo erectus è un cacciatore e raccoglitore, egli impara ad utilizzare ed a produrre il fuoco, a fabbricare strumenti di pietra, a costruire capanne con le fronde degli alberi, a costruire muri di pietra. La scoperta del fuoco è un la conquista  fondamentale. Tutto questo, insieme con la capacità di costruire efficienti ripari, permette all’uomo di abbandonare i climi tropicali di cui è originario e di spostarsi verso i climi più rigidi. L’Homo erectus era più alto dell’Homo abilis, aveva un cervello più sviluppato e viveva regolarmente in luoghi in cui restava per un tempo più prolungato. L’Homo erectus era in grado di dare la caccia a grossi animali, spesso utilizzava la pelliccia per ripararsi dal freddo. Macellava le prede ed era in grado di costruire muri in pietra come riparo. L’Homo erectus scompare circa 250.000 anni fa.
Nel Paleolítico Medio compaiono l’Homo di Neanderthal e l’Homo sapiens, che hanno perso tutti i caratteri primitivi: i loro strumenti rivelano una tecnica notevole. Le mani possiedono le nostre stesse abilità: abile nella caccia, è capace di pensiero astratto e di idee creative. Conosce e produce il fuoco; costruisce oggetti complessi.
La sua economia era fondamentalmente predatoria: caccia, pesca, raccolta. Gli ominidi nomadi e la popolazione era molto ridotta. Alcune tribù praticavano l’infanticidio, non potendo nutrire i piccoli per cui le tribù erano poco numerose. Non possedevano il concetto di conservazione delle provviste, né quelli di proprietà privata e di divisione sociale del lavoro.
Nel Paleolítico Superiore comparve l’Homo Sapiens Sapiens o Uomo di Cro-magnon, capace di pensiero astratto e di idee creative, si serve di un linguaggio codificato, abita in case costruite e in grotte, pratica riti funebri, crea una cultura, pratica cacce organizzate. La popolazione aumenta.
L’uomo di Cromagnon credeva che quando la natura offriva l’abitazione, era bene sfruttarla. Sull’entrata della grotta spesso essi stendevano alcune pelli sorrette da un’armatura di rami per chiudere l’imboccatura e consentire all’ambiente di riscaldarsi. Al centro della grotta un fuoco serviva per riscaldare e per cuocere le carni.
Per ventimila anni, dal 30.000 al 10.000 a.C., essa produsse anche un’enorme quantità di opere d’arte: statuette d’argilla e di pietra e pitture e graffiti rinvenuti sulle pareti delle caverne scoperte in Francia, in Spagna e in Italia: intere pareti sono state dipinte con figure di animali, cervi, cavalli, bisonti, mammut e di uomini.
Queste figure facevano parte probabilmente di una sorta di rito magico per assicurarsi il successo della caccia, si credeva forse che colpire l’animale rappresentato durante il rito avrebbe favorito la sua cattura. Esse sono le più antiche espressioni artistiche dell’uomo: esse non scaturivano da ciò che noi oggi chiamiamo senso estetico[8]. Gli artisti preistorici non dipingevano per arredare le caverne: colori e forme rispondevano certamente a un’esigenza fortemente condivisa da tutta la comunità ed probabilmente essa cercava di placare le ansie create dalla difficoltà di trovare cibo. Le opere di Cro-Magnon insomma, avevano certamente un significato magico-religioso.
Il conquista del fuoco e la capacità di costruire permise agli uomini di difendersi dal freddo e dalle animali feroci e ancora di migliorare l’alimentazione: i membri della tribù collaboravano nella caccia, avevano un capo, lo sciamano[9], che dirigeva la caccia e teneva funzioni religiose per rendere la caccia più efficace e per permettere di nutrire più facilmente i piccoli.
In questo periodo aumenta la quantità e la qualità di strumenti di selce specializzati, ed aumentano anche gli strumenti che servono unicamente a fabbricarne altri e che dimostrano quindi nei loro costruttori un’elevata capacità di progettazione. Tra tutti emerge il bulino, un attrezzo appuntito di pietra, ideato per incidere ossa, corna di cervo, avorio e legno in modo da ricavarne altri attrezzi di uso quotidiano. Quando la selce divenne un materiale di largo consumo non ci si accontentò più di quella che si trovava sulla superficie della terra, ma si scavarono delle vere e proprie miniere con pozzi e gallerie.
L’arco, usato come arma per la caccia ai cervi e sfruttato nella sua applicazione pacifica: il trapano. Col bulino furono costruiti pugnali, aghi di osso dotati di cruna, fibbie e persino bottoni: questi popoli portavano indumenti di pelle cuciti, con maniche e pantaloni, che accrescevano notevolmente l’efficienza dei cacciatori durante i rigidi inverni della quarta glaciazione. Tra i progressi tecnici va segnalata anche l’invenzione della tecnica dell’incastro. Ormai le lance sono munite regolarmente di punte uncinate d’osso, di corno di cervo o di selce e alcune affilatissime lame di selce sono fissate in manichi di osso o di legno. Prima di allora tutto veniva direttamente impugnato dalla mano: l’incastro è il primo passo verso l’uso di un dispositivo meccanico.
Proseguendo su questa via, gli uomini paleolitici inventarono l’arco.
Dal punto di vista economico, tuttavia, i popoli dell’ultima fase del Paleolitico non avevano fatto nessun progresso rispetto ai loro predecessori. Vivevano ancora esclusivamente di caccia e di raccolta e la loro fiorente cultura non rispecchiava altro che un certo grado di ozio, reso possibile da una selvaggina particolarmente abbondante rispetto ai livelli degli stadi precedenti.

Il Neolitico – Per migliaia di secoli gli uomini vissero di caccia e di piante selvatiche; poi inventarono un nuovo sistema per procurarsi il cibo: la coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali. L’invenzione di queste pratiche produsse un fondamentale cambiamento non solo nella vita economica, ma anche nella mentalità e nella cultura degli uomini, segnando il passaggio ad un atteggiamento attivo nella ricerca del cibo: l’uomo non si limitò più a cercare le piante o gli animali che si trovavano in natura, ma cominciò a produrre i suoi alimenti, a crearli con le sue mani, acquistando la capacità di trasformare le risorse naturali per la propria utilità. Fu una vera e propria rivoluzione, che diede origine a cambiamenti radicali nel modo di vivere e rappresentò una svolta decisiva nell’evoluzione della società umana.
Le tracce più antiche di lavori agricoli sono quelle del Vicino Oriente, tra l’Asia Minore sud-orientale e l’attuale Iraq. In questa zona sono stati dissepolti utensili agricoli in pietra che sembrano risalire a circa 10.000 anni fa: con essi sono stati trovati chicchi fossili di orzo e di frumento coltivati, testimonianza che in quelle terre, a quel tempo, l’uomo coltivava le piante e lavorava la terra. L’agricoltura ebbe dunque le sue prime origini negli altipiani del Vicino e Medio Oriente (Mesopotamia settentrionale, Anatolia[10] sud-orientale, Palestina), la cosiddetta mezzaluna fertile. Le prime piante coltivate furono l’orzo, il miglio, il frumento.
La Mezzaluna Fertile è una regione del Medio Oriente che include l'Antico Egitto, il Levante e la Mesopotamia. Questa regione è spesso indicata come la culla della civiltà per la sua straordinaria importanza nella storia umana dal Neolitico all'Età del Bronzo ed all’Età del Ferro.
Nelle fertili valli dei quattro grandi fiumi della regione, il Nilo, il Giordano, il Tigri e l’Eufrate, si svilupparono le prime civiltà agricole ed i primi grandi Stati dell'Antichità.
L'importanza della Mezzaluna Fertile è tuttavia associata soprattutto al Neolitico e alla nascita dell'agricoltura.
La zona occidentale intorno al Giordano e all'alto Eufrate diede le origini ai più antichi insediamenti neolitici noti, intorno al IX millennio; a questo periodo risale per esempio il sito di Gerico.
Intorno al Giordano, al Tigri e all'Eufrate si svilupparono le prime società complesse dell'Età del Bronzo, che divennero poi le prime nazioni e ad esse si riconducono anche i primi esempi di sistemi di scrittura.
Diversi cause resero questa regione il teatro ideale della rivoluzione neolitica. Il clima della Mezzaluna Fertile favoriva la crescita di diverse specie di cereali e legumi selvatici. Si trovavano nella regione le varianti selvatiche delle otto coltivazioni fondamentali del Neolitico.
Inoltre erano presenti quattro delle cinque più importanti specie animali da allevamento: le mucche, le capre, le pecore e i maiali; la quinta specie, il cavallo, non si trovava nella Mezzaluna, ma era diffuso in regioni limitrofe.
L’arte di coltivare le piante nacque probabilmente da osservazioni casuali e tali casuali circostanze poterono verificarsi un po’ ovunque tra i popoli raccoglitori. Tuttavia, la cronologia di apparizione dell’agricoltura fa pensare piuttosto a una sua espansione progressiva: dal Medio Oriente all’Asia, di qui all’America, forse seguendo gli spostamenti dei popoli agricoltori. Ciò appare evidente soprattutto in Europa, dove l’agricoltura si diffuse a iniziare circa da 8000 anni fa.
Sulle cause per cui l’uomo inventò l’agricoltura esistono due ipotesi:
·         alcuni studiosi la collegano alle mutate condizioni ambientali con cui gli uomini dovettero confrontarsi dopo la fine delle grandi glaciazioni infatti il clima diventò più caldo e più secco pertanto diminuì la selvaggina, fino ad allora, assieme ai frutti selvatici, base dell’alimentazione umana e così la scoperta che si potevano far crescere le piante, seminandole, aprì agli uomini un nuovo modo per vincere la fame.
·         Altri studiosi la collegano con la crescita demografica, che a un certo punto rese impossibile la sopravvivenza con la sola economia di caccia e raccolta; essa pertanto stimolò l’inventiva dei gruppi umani e provocò la nascita delle pratiche di coltivazione.
In tutte e due le ipotesi, promotore del cambiamento fu sempre il bisogno, che spinse gli uomini a cercare nuovi modi per procurarsi il cibo. La crescita progressiva delle risorse alimentari, messe a disposizione dalla pratica dell’agricoltura, consentì agli uomini di moltiplicarsi.
Scattò così un meccanismo sconosciuto nelle società primitive: l’abbondanza di cibo faceva crescere il numero degli uomini e questi tendevano ad allargarsi su nuovi territori alla ricerca di altre terre da coltivare.
A differenza di quanto era accaduto prima, i gruppi umani dediti all’agricoltura mostrarono una naturale tendenza all’espansione: anche questo motivo rende probabile l’ipotesi che l’agricoltura sia stata portata nelle varie regioni del mondo dai gruppi umani che progressivamente le occupavano.
Quasi certamente l’agricoltura fu un’invenzione della donna: erano infatti le donne ad occuparsi della raccolta delle piante, mentre gli uomini andavano a caccia.
La pratica dell’agricoltura richiese la costruzione di nuovi attrezzi, adatti alla nuova attività: nacque così la zappa, poi, molti secoli dopo, l’aratro di legno, al quale si aggiunse il giogo quando si scoprì che gli animali potevano essere impiegati nel lavoro dei campi.
Contemporaneamente alle tecniche agricole, l’uomo incominciò a scoprire i modi per addomesticare e allevare gli animali: galline, maiali, pecore, cammelli, cavalli, renne, asini, elefanti, bovini, cani.
Spesso agricoltura ed allevamento si integrarono: gli agricoltori erano anche allevatori e utilizzavano gli animali non soltanto come cibo, ma anche come aiuto nel lavoro dei campi e nei trasporti. Altre volte si formarono gruppi di uomini dediti esclusivamente alla pastorizia che conservavano abitudini nomadi ormai abbandonate dagli agricoltori.
In questi casi poteva accadere che i pastori entrassero in conflitto con gli agricoltori, in quanto i primi avevano bisogno di spazi aperti e di spostamenti frequenti, i secondi invece avevano necessità di recintare la terra, per proteggerla dal passaggio degli animali.
Per migliaia di anni il materiale più usato fu la pietra dura. Poi si scoprirono i metalli che a poco a poco si rivelarono di grande utilità e diventarono di larghissimo impiego: armi, attrezzi ecc.

L’età dei metalli – La scoperta dei metalli è stato un ulteriore passo decisivo nell’evoluzione delle culture umane.
L’età dei metalli ebbe inizio in tempi diversi a seconda delle regioni e si suddivide in:
·         età del rame o eneolitica
·         età del bronzo
·         età del ferro che per le sue caratteristiche di durezza e resistenza si diffuse come il metallo di più largo impiego.


II MODULO
Le civiltà dell’età del bronzo – Nel IV millennio l'uomo compie un notevole progresso nel campo delle invenzioni e raggiunge un grado di civiltà molto più elevato:
·         inventa la ruota ed il carro che, attac­cato ai cavalli, permette di percorrere distanze fino a quel momento insuperabili;
·         inventa la vela, che gli permette di spostarsi sul mare, sfruttan­do la forza dei venti;
·         scopre e perfeziona la metallurgia.
Dapprima la lavorazio­ne del rame, poi quella del bronzo, rendono possibile la costruzione di oggetti metallici che si rivelano della massima utilità nei lavori agricoli, nel­le costruzioni e nel commercio. In questo periodo inizia l'era delle relazioni commerciali che condussero ad una più rapida evoluzione della società.
Fino al II millennio si assiste alla formazione di sette aree geopolitiche:
·         l’area mesopotamica
·         l’area egizia
·         l’area siro-palestinese
·         l’area anatolica
·         l’area egeo-cretese
·         l’area greca continentale
·         l’area italica

I popoli della Mesopotamia (3000 - 538 a. C.) - La Mesopotamia antica (la terra tra i due fiumi), è una vasta pianura percorsa dai fiumi Tigri ed Eufrate, cui deve la propria fortuna economica perché essi, durante le piene, ricoprivano il terreno di un limo molto fertile che rendeva prospera l’agricoltura.
La Mesopotamia offriva facili vie di comunicazioni con l’Asia Centrale e il Mediterraneo, per cui fu un incrocio per i traffici tra Africa, Asia ed Europa.
Prima degli inizi del XX secolo si credeva che non esistesse una civiltà precedente a quella assira, oggi invece si sa che precedentemente si fosse affermata un’antichissima civiltà, importantissima sia per cultura sia per religione.
In questo periodo, due popoli stanziati sul corso inferiore dei due fiumi, si alternarono nella predominio sulla regione: i Sumeri e gli Accadi.
I Sumeri giunsero in Mesopotamia intorno al 3500 a.C. e fondarono varie città[11]- stato[12] che ebbero grande fioritura: l’età classica Sumera terminò con l’invasione degli Accadi che conquistarono la Mesopotamia nel 2400 a.C.
Gli Accadi invasero la Mesopotamia sotto Sargon I che stabilì la sua supremazia sui Sumeri. Sargon (2335 - 2279)  fu il primo sovrano a riunire l’impero[13] di Accad e quello sumero e promosse quest’espansione, conquistando molte delle regioni circostanti per creare un impero che si espandeva fino al Mar Mediterraneo e all’Asia Minore.
Dopo il crollo dell’Impero di Sargon, seguì in Mesopotamia un breve periodo di arretramento, ma dal 2200 a.C al 2000 a.C ci fu una breve rinascita della civiltà sumera, finché la Mesopotamia fu conquistata dagli Amorrei, antica popolazione nomade di stirpe semitica[14], che abitava la Siria e la Palestina, e che occupò le terre a ovest dell'Eufrate dalla seconda metà del III millennio a. C, stabilendo la propria capitale, a Babilonia. La dinastia amorrea regnò fino al 1730 a.C circa quando la Mesopotamia fu unificata sotto il dominio Babilonese.
Si delineò così il primo Impero Babilonese (1700-1100 circa) che ebbe in Hammurabi (1728-1686) il principale rappresentante.
Hammurabi stabilì come capitale Babilonia, la città più importante della regione estesa dal Golfo Persico fino alla Siria e all’Assiria; egli ebbe il merito di raccogliere tutta la tradizione giuridica precedente nel codice di leggi più antico della storia. Grazie al codice di Hammurabi[15], si realizzò infatti anche l’unificazione giuridica ed amministrativa del paese.
L’impero babilonese fu messo in crisi dall’affermazione nell’Asia Anteriore di alcuni popoli indoeuropei (Ittiti, Urriti, Cassiti) detti anche popoli dei monti perché provenienti dai monti dell’Asia Minore e dall’Altopiano Iranico.
I babilonesi svilupparono una civiltà che durò dal 2003 al 539 a.C.
L’Impero babilonese fu sottomesso dagli
·         Ittiti nel 1500 circa
·         Cassiti ed Elamiti per circa 500 anni,
·         Assiri intorno al 1100.
L’Assiria si estendeva a settentrione, sulla sinistra del Tigri, ed aveva come città più importanti Assur e Ninive. Per molti secoli gli Assiri erano stati sottomessi ai Babilonesi, ma durante la crisi dell’impero babilonese si erano costituiti in regno indipendente.
Gli Assiri fondarono una monarchia di tipo aristrocratico-militare che si suddivide in tre periodi:
·         il regno antico (2003-1365).
·         l’Impero Assiro (1362-936) che conquistò la Babilonia, ma declinò per la pressione dei nomadi aramei.

La civiltà egizia (3000 – 1163) – Gli Egiziani erano un popolo di stirpe camitica con apporti semitici.
L’Egitto deve la sua ricchezza e la sua antica cultura al Nilo che nasce dagli altipiani dell’Africa orientale e attraversa tutto l’Egitto sfociando nel Mediterraneo. Durante l’estate, nel periodo delle piogge, il Nilo inondava le sabbie desertiche rendendole fertili e particolarmente adatte all’agricoltura alla fine della piena.
L’Alto Egitto, montuoso, era dedito alla pastorizia, il basso Egitto, pianeggiante e vicino alle coste del Mediterraneo, dedito all’agricoltura e al commercio.
Il periodo predinastico è la fase precedente alla formazione dello stato unitario egiziano: il periodo comincia indefinitamente nella preistoria e giunge fino al 3100 a.C. In quest’epoca i distretti dell’Alto Egitto costituivano unità politiche autonome sorte intorno ad un villaggio. Ciascun distretto aveva divinità specifiche, alcune delle quali, anche in relazione agli sviluppi politici, diverranno poi divinità nazionali dell'Egitto. Nel periodo predinastico i distretti si unirono in un unico regno, dando così vita all'Alto Egitto.
Un processo analogo avvenne a nord con la costituzione del Basso Egitto, la Terra del giunco ossia la regione del delta del Nilo.
Nel periodo predinastico il paese è suddiviso in due grandi regni:
·         Il Regno dell’Alto Egitto il cui re portava una corona rossa bassa con la figura di un serpente;
·         Il Regno del Basso Egitto il cui re portava una corona bianca a forma di tiara con un avvoltoio dalle ali aperte.
A Narmer, sovrano dell’Alto Egitto, è attribuita l'unificazione del Basso Egitto con l'Alto Egitto intorno al 3000, dando quindi inizio al periodo dinastico. Il sovrano regnò su tutto l'Egitto essendo questi rappresentato con in capo da un lato la corona del Basso Egitto e, dall'altro, quella dell'Alto Egitto. A Narmer si attribuisce la fondazione della città di Menphi: la nuova città, posta nel punto di giunzione tra Alto e Basso Egitto, fu eretta per essere la capitale del nuovo regno unificato.
Il Regno Antico (2850-2050) è il periodo cui risalgono le costruzioni più famose ed imponenti della civiltà egizia: le piramidi. Il regno antico si divide in
·         periodo thinitico (2850-2650), in cui la capitale fu Thinis, nel medio Egitto ed abbraccia la storia delle prime due dinastie
·         periodo menfitico (2650-2050), in cui la capitale fu Menfi, nel basso Egitto ed abbraccia la storia dalla terza alla decima dinastia.
Il fatto più noto relativo a questo periodo è la costruzione delle piramidi[16], monumenti funebri dei re di questo periodo storico.
Il Regno Medio (2050-1580), detto anche primo periodo tebano ebbe come capitale Tebe. In questo periodo si succedettero le dinastie dalla XI alla XVII.
Di queste la più ricordata è la XII per le conquiste militari, per la prosperità economica e per alcune grandiose realizzazioni edilizie. Senursit III estese il dominio dell’Egitto a sud fino alla Nubia ed ad nordest fino alla Palestina. In questo periodo l’Egitto subì l’invasione degli Hyksos  ossia le popolazioni che penetrarono in Egitto alla fine del periodo del Medio Regno. Il potere degli Hyksos terminò con l’avvento della XVIII dinastia, che ripristinò l’unità dello stato, dando inizio al periodo detto Nuovo Regno.
Il Regno Nuovo (1580-1163) fu il periodo più fiorente della storia egizia.
Tra il 1570 e il 1085 a.C. l’Egitto diventò infatti un grande impero militare: in Africa fu conquistata la Libia, mentre il faraone Tutmosi III si spinse fino ai paesi della Mesopotamia, costringendoli a pagargli tributi.
Nel 1480 a.C., con la battaglia di Megiddo, l’Egitto conquistò anche la Fenicia e la Palestina.
Il faraone Amenofi IV (1377-1358 a.C.) tentò di consolidare questo impero. In particolare introdusse il nuovo culto universale del dio Aton[17], il Sole, sia per dare unità religiosa e morale ai diversi popoli che facevano parte del grande impero egizio, sia per combattere il potere eccessivo dei sacerdoti del precedente dio Amon, che pretendevano gran parte dei ricchi tributi provenienti dall’Asia Minore e volevano controllare le stesse decisioni del faraone.
Tuttavia la riforma di Amenofi IV fallì ed il successivo faraone Tutankhamon (1333-1323 a.C.) ristabilì la religione tradizionale, riuscendo però a ridimensionare il potere dei sacerdoti.
Altre guerre seguirono contro gli Ittiti, che cercavano di espandere i propri domini a danno degli Egizi, ma furono fermati da Ramses II nella battaglia di Kadesh nel 1296.
Ramses II è considerato il più grande e magnifico tra i faraoni. Tra i monumenti che Ramses ha lasciato ricordiamo il tempio al dio Ammone e il Ramesseum, suo monumento sepolcrale, sulla riva destra del Nilo presso Karnak.
Più tardi in Egitto giunsero nuovi invasori, i Popoli del mare, popolazioni di incerta provenienza che furono respinte in diverse occasioni dal faraone Ramses III (1195-1163 a.C.). In questa difesa, tuttavia, furono perdute regioni importanti come la Palestina e la Nubia.

Gli Ebrei (2100 - 1200) – Gli Ebrei abitavano la terra di Canaan, confinante a Nord con la catena del Libano e dell’Antilibano, a sud con il deserto del Sinai, a Est con il deserto Arabico, a ovest con il Mediterraneo. In origine la terra di Canaan fu abitata dai Cananei, popolo etnicamente affine ai Fenici, ma intorno al 1200 a.C., la terra di Canaan fu invasa dagli Ebrei; essi ne occuparono gran parte e la ribattezzarono Eretz Yisrael, terra di Israele. Una parte della regione tuttavia resistette all’occupazione e continuò a lungo ad essere abitata da popolazioni cananee.
La regione più fertile della Palestina era la Galilea e si estendeva dalle montagne del Libano a sud fino al monte Tabor. Nel centro della Palestina c’era la Samaria, a sud la Giudea, arida e dirupata, con la capitale Gerusalemme.
A Oriente era l’attuale Transgiordania, che gli Ebrei chiamavano Gilead.
La Palestina fu molto importante perché diede origine a Ebraismo e Cristianesimo, inoltre essa era l’unica via terrestre praticabile tra l’Egitto, la Siria e la Mesopotamia: fondamentale fu quindi il suo ruolo nell’emigrazione e nel commercio.
Nel 2100 a.C. il patriarca Abramo, capo riconosciuto politicamente e religiosamente dal popolo ebreo, viveva con la sua gente a Ur, nella Caldea meridionale.
Secondo la tradizione, un giorno Abramo ricevette da Dio l’ordine di abbandonare la Caldea e di guidare il suo popolo fino alla terra di Canaan. Abramo e il suo popolo affrontarono terribili traversie finché non giunsero ad occupare la terra ad occidente del Giordano. Da questa occupazione nacque il nome di Ebrei, che significa abitanti dell’altra parte del fiume.
Ad Abramo successe suo figlio Isacco, ad Isacco successe Giacobbe.
Giacobbe fu chiamato anche Israele, che significa forte dinanzi a Dio. Giacobbe ebbe 12 figli, ma il suo preferito era Giuseppe. I fratelli erano gelosi di Giuseppe e un giorno decisero di venderlo ad alcuni mercanti che lo condussero in Egitto. Grazie alla sua intelligenza Giuseppe diventò ministro del Faraone. La Palestina dovette affrontare delle gravi carestie così i fratelli vennero in Egitto a far provviste. Giuseppe li riconobbe e ottenne dal Faraone il permesso di trasferire il popolo ebreo in Egitto. Dal 1650 al 1300 circa. gli Ebrei rimasero in Egitto dove prosperarono, ma non si mescolarono mai agli Egiziani: conservarono lingua, religione, cultura.
Dopo la cacciata degli Hyksos, gli Egiziani estesero il loro odio nei confronti degli stranieri agli Ebrei, mai integrati, e li tennero in Egitto come schiavi, sottoponendoli a lavori molto duri.
Gli Ebrei furono liberati dall’oppressione egiziana da Mosè, il quale, secondo la tradizione, aveva ricevuto da Dio l’incarico di riportare il popolo eletto nella Terra Promessa (la Palestina).
La Bibbia racconta che il Faraone, vedendo che gli Ebrei aumentavano in numero e in potenza malgrado i maltrattamenti, aveva ordinato che fossero uccisi tutti i neonati maschi dei discendenti di Giacobbe. Mosè fu sottratto a questo destino dalla madre che lo depose in un canestro sulla riva del Nilo in un posto dove aveva l’abitudine di bagnarsi la figlia del Faraone. Quest’ultima lo fece portare nel palazzo reale, dove fu allevato e istruito.
Mosè riuscì a guidare gli Ebrei fuori dall’Egitto e ad attraversare il mar Rosso. Il popolo ebreo non raggiunse però subito la Terra Promessa, ma vagò per 40 anni nel deserto. Secondo la Bibbia, tale ritardo fu dovuto alla necessità di una completa rigenerazione spirituale del popolo ebraico, prima di affrontare le bellicose popolazioni cananee.
Durante la peregrinazione nel deserto Mosè, secondo la tradizione, ricevette le Tavole della Legge (I dieci comandamenti) da Dio sul monte Sinai. Mosè morì prima di raggiungere la Terra Promessa.
Il comando fu preso da Giosuè, il quale, attraversato il Giordano, riuscì ad espugnare la città di Gerico e ad occupare gran parte della Palestina dopo una serie di battaglie terribili contro i Cananei.
Il territorio fu diviso tra undici tribù di Israele, che era composto da dodici tribù. La dodicesima, la tribù di Levi da cui erano tratti i sacerdoti, fu esclusa da ogni proprietà e sarebbe vissuta disseminata tra le altre dalle quali avrebbe ricevuto la decima parte dei prodotti dell’agricoltura.
Alla morte di Giosuè le dodici tribù ripresero la loro autonomia e si governarono da sole, conservando tra loro soltanto legami religiosi.

I Fenici (1600-1100 a.C.) – I Fenici occupavano una striscia di terra lunga circa 250 chilometri compresa tra il mare Mediterraneo a Ovest, le montagne del Libano a est, la Palestina a Sud.
Il territorio offriva poco dal punto di vista agricolo, ma le coste offrivano buoni porti e le montagne erano ricche dei famosi cedri del Libano, alberi adattissimi alla costruzione di navi, sia per i tronchi dritti e lunghi e sia per la qualità del legno, molto resistente all’acqua.
I principali centri dei Fenici furono tutte città di mare divenute ricche e potenti con i commerci: Biblo, Berito (odierna Beirut), Sidone e Tiro.
I Fenici vivevano nelle valli che si dipartivano dalla catena del Libano. Non formarono mai uno stato unitario, ma città-stato spesso in lotta tra loro. Per questo non si può tracciare la storia dei Fenici come un racconto unitario, ma seguendo le vicende delle singole città stato.
·         Biblo fu stata la prima città della Fenicia a raggiungere ricchezza: ebbe rapporti commerciali molto antichi con l’Egitto, ma poi i rapporti commerciali si trasformarono in rapporti di sudditanza e durarono fino al 1730, anno in cui l’invasione degli Hycsos tagliò fuori l’Egitto dal commercio con il Mediterraneo. Quando nel 1500 circa i Faraoni riuscirono a cacciare gli Hycsos, Biblo e le altre città della Fenicia ricaddero sotto il dominio egizio.
·         Sidone raggiunse il massimo della sua potenza tra il 1500 e il 1100, approfittando del crollo della potenza marittima cretese. La sua potenza fu tale che anche quando fu sotto il dominio egiziano, Sidone riuscì comunque a conservare propri re, una propria flotta e completa libertà di commercio. Sidone fondò numerose colonie in tutto il Mediterraneo Orientale; la sua potenza fu abbattuta da uno dei Popoli del mare, i Filistei che abitavano le coste della Palestina.

La civiltà cretese (3000 - 1450 a.C.) La civiltà cretese o minoica si sviluppò lungo le coste e nelle isole dell’Egeo dal III millennio al 1400 a.C. e prende il nome dall’isola di Creta, dove gli scavi archeologici hanno portato alla luce le testimonianze di questa civiltà.
Dopo una fase neolitica iniziata intorno al 7000 a.C., iniziò il periodo dell'età dei metalli, corrispondente all'epoca che va dall’età del rame all'inizio dell'età del bronzo, durante il quale nuove genti di origine anatolica si stanziarono sull'isola.
Questo periodo è caratterizzato da un consistente incremento demografico, cui seguì una progressiva estensione delle aree abitate, e dalla comparsa della scrittura ideografica. Già in quest'epoca sono attestati contatti con l'Egitto.
La vantaggiosa posizione geografica di Creta favorì il sorgere della prima civiltà mediterranea e di un fiorente impero marittimo che dal Mare Egeo controllava una rete commerciale che raggiungeva l'Egitto, la Siria, le regioni a nord del Mar Nero e l'Occidente.
Il periodo di massima fioritura della civiltà minoica inizia verso il 2000 a.C. con il Minoico medio. Caratteristiche peculiari della nuova fase protopalaziale sono la comparsa della scrittura alfabetica, la costruzione dei primi palazzi a Cnosso ed a Festo e l'inizio della ceramica policroma.
Due grandi città, Cnosso e Festo, si dividevano il territorio dell’isola, che fu poi unificato sotto il dominio di Cnosso.
La civiltà cretese si basava prevalentemente sull’agricoltura, grazie al fertile suolo dell’isola che produceva olio, grano e vino in abbondanza, e sul commercio marittimo.
Dotata di una potente flotta e governata da sovrani amici fra loro, Creta godeva di prosperità e pace che, grazie anche ad un florido commercio con altre città della Grecia, dell’Egitto e della Siria, le consentirono di arricchirsi in modo considerevole.
Era un’isola fertile, dove si coltivava grano, orzo e una cospicua varietà di spezie, vi crescevano gli ulivi e i fichi, le api davano un ottimo miele, il bestiame forniva pelli, latte e formaggio.
Alcuni di questi prodotti erano esportati su larga scala; in cambio i Cretesi acquistavano rame, stagno, oro, argento, avorio, le materie prime che erano lavorate dagli artigiani locali e spesso riesportate sotto forma di prodotti finiti. La loro abilità commerciale era famosa quanto quella degli abitanti di Biblo o di Ugarit; e in entrambi i casi abilità mercantile significava anche pirateria. Tra il commercio e la razzia il mondo antico non faceva molta differenza.
Le città cretesi erano prive di mura, forse perché il mare proteggeva gli isolani da pericoli esterni e rari erano i conflitti interni. Nelle città più importanti sorgevano i palazzi che, oltre ad essere la residenza del re, erano anche il centro delle attività economiche, con i loro grandi magazzini per la raccolta del cibo, le botteghe artigianali, gli archivi, gli spazi teatrali dove si svolgevano cerimonie pubbliche.
La presenza di diversi palazzi dimostrerebbe che l’antica società minoica era divisa in piccoli regni indipendenti, ognuno retto da un sovrano, tra i quali il minosse di Creta doveva avere un ruolo preminente.
Il palazzo non aveva nulla della fortezza e non ospitava solo re e regine, principi e principesse, ma anche una folla di artigiani. I palazzi erano composti di numerosi saloni, stanze, terrazze, scalinate, giardini. In essi trovavano sede gli uffici dell’amministrazione e della corte, i depositi dei viveri, i magazzini dei prodotti destinati al commercio. Erano, nello stesso tempo, residenze dei re e templi religiosi.
Verso la prima metà del XVII secolo, i grandi palazzi furono distrutti, forse a causa di un terremoto.
La fase del medio minoico, vide la ricostruzione dei palazzi delle grandi città cretesi e l'inizio del massimo splendore dell'architettura e dell'arte minoica.
Sono ignote le cause per cui tale civiltà, verso il 1450 a.C., improvvisamente crollò. Due sono comunque le ipotesi prevalenti:
·         la conquista violenta da parte degli Achei, provenienti dalla città greca di Micene che segnò la fine della grande civiltà: Creta non fu più in grado di riprendersi, ma gran parte della sua tradizione e della sua cultura furono raccolte dalla vicina Grecia;
·         una devastante eruzione vulcanica della vicina isola di Santorini cancellò in poche ore all’incirca nel 1400 a.C., dopo una serie di scosse, il vulcano esplose con una violenza inaudita. Quando il vulcano esplose, gran parte dell’isola sprofondò, lasciando appunto un buco, occupato dal mare. Enormi quantità di detriti e ceneri furono scagliate ad incredibili distanze.

Gli Indoeuropei - Verso la fine del III millennio a.C., alcune popolazioni, si insediarono gradualmente in un’area compresa tra la penisola del Deccan (attuale India) e le isole britanniche. Esse erano accomunate tra loro dal fatto di parlare lingue geneticamente imparentate perché discendenti da un’ipotetica madrelingua, l’indoeuropeo.
Il termine indoeuropeo designa dunque un fatto essenzialmente linguistico cui è stata aggiunta una valenza storica, indicando anche tutte quelle genti che parlano quelle lingue.
Ci sono due teorie sull’origine di queste popolazioni:
·         la prima, anche in ordine di tempo, le vuole originarie del bacino della Vistola, tra il mare del Nord e il mar Nero, dal quale poi si sarebbero portate verso i Balcani e l’area egeo-anatolica.
·         la seconda le identifica con i portatori della civiltà kurganica (a causa della caratteristica delle tombe a tumulo rinvenute; kurogan) sorta a partire dal V millennio a.C. intorno al mar Nero, e che mostra affinità con la cultura dei popoli indoeuropei: tombe a fossa ricoperte da tumuli, gli insediamenti fortificati, le mazze di guerra, i vasi di ceramica cordata, l’uso del rame. Alcune testimonianze evidenziano che avessero anche addomesticato il cavallo e facessero uso del carro con ruota piena.
Le grandi migrazioni iniziarono tra il quarto e il terzo millennio a.C., dopo la definitiva scomparsa dell’ultimo periodo glaciale. Ampie comunità di cacciatori, nuovamente coagulate, iniziarono a partire da una vasta area nordica che si estendeva nello spazio compreso tra la Scania, le rive meridionali e orientali del Baltico, e le propaggini occidentali delle steppe caucasiche. Presto nacquero la civiltà indiana e quella persiana: allo stesso modo le asce e il carro da guerra segnarono l’arrivo degli Indoeuropei in Anatolia, così come nel bacino del Tarim.
L’arrivo degli Indoeuropei sovvertì l’organizzazione sociale precedente, imponendo un nuovo modello. Sorsero arroccamenti, incastellamenti, città-stato; si impose il rito della cremazione; le strutture urbane e gli oggetti d’uso comune, si ispirano a forme rigidamente geometriche e strutturate.
L’improvvisa comparsa dei nuovi signori crea società patriarcali, guerriere e gerarchiche.
Attraverso più ondate, l’Europa fu completamente indoeuropeizzata:
·         i Celti occupano la maggior parte dell’area occidentale,
·         le migrazioni illiriche, venete e latine penetrano verso sud in Italia e nei Balcani,
·         i Germani occupano una vasta e fluida area verso il nord;
Gradualmente le lingue si differenziano.
La struttura sociale e culturale era complessa: la società doveva essere di tipo pastorale, ma al suo interno erano presenti un gruppo sacerdotale e uno cavalleresco-guerriero. I contadini che dovevano costituire un gruppo numeroso della popolazione, erano probabilmente le popolazioni locali con le quali gli indoeuropei si fusero durante le loro migrazioni.

Gli Ittiti – Popolo di origine indeuropea, gli Ittiti comparvero in Anatolia agli inizi del II millennio a.C. e si scontrarono con gli Hatti, una popolazione autoctona insediata da più secoli, e con le colonie commerciali assire stabilite dalla metà del III millennio a.C. nella regione, fondando in Asia Minore uno Stato con capitale Attusas.
L’invasione di popolazioni indeuropee comprese, oltre agli Ittiti, i Luviti o (Luvii) insediatisi a Sud, e i Palaiti, stanziatisi a Nord-Ovest. Gli Ittiti si stabilirono nella zona centrale.
Nella storia ittita si distinguono in genere due fasi:
·         un Regno Antico (1650-1430 a.C.) durante il quale verso il 1530 a.C. conquistarono la Mesopotamia, dopo cinque secoli di regno babilonese. Con la Mesopotamia e parte della Siria, il loro impero arrivò dall’altopiano anatolico fino all’Eufrate. Queste conquiste furono facilitate da un’arma nuova da loro costruita, il carro da guerra veloce.
·         un Periodo Imperiale (1430-1200 a.C.) terminato con la sparizione dello stato.
L’Impero ittita non ebbe una lunga durata: verso il 1200 a.C. esso non esisteva più, per cause non ancora ben note. L’ipotesi più accreditata è l’invasione dei Popoli del mare, che si abbatterono su tutto il territorio siro-palestinese e sull’Anatolia il cui altopiano fu occupato dai Frigi, venuti forse dalla Tracia.
Dell’impero ittita rimarranno solo staterelli sparsi qua e là che, nei secc. IX e VIII a.C., furono i centri di sopravvivenza della civiltà ittita, finché non diventarono province assire.
Questi stati, detti neo-ittiti, situati nella Siria settentrionale, ci hanno lasciato i documenti. In questi stati la popolazione ittita si fonderà con quella semitica, che si affermerà nella regione alla fine del II millennio.
Gli ittiti impararono la scrittura dai babilonesi, come risulta dalle migliaia di tavolette d’argilla scritte a caratteri cuneiformi. Esse sono state decifrate e ci hanno fatto conoscere diversi aspetti originali della vita di quel popolo. Il re, presso gli ittiti, non era considerato un dio, né un vicario delle divinità, ma solo un uomo particolarmente valoroso che esercitava il potere non in forma dispotica ma con la collaborazione dell’assemblea dei nobili, dai quali egli derivava la sua autorità. Un altro aspetto originale della civiltà degli ittiti è lo spirito di pace e di tolleranza che essi mostrarono sia con i popoli assoggettati, sia con i regni confinanti.

La civiltà elladica (2800 – 1100) – Il nome Elleni è sinonimo di Greci, sebbene alcuni studiosi tendano a considerare greci le popolazioni preelleniche o pelasgiche, ed elleni le genti che a diverse ondate invasero la Grecia nel II millennio a.C.: gli Ioni la prima e gli Eoli la seconda, che furono entrambi assimilati dai greci, gli Achei furono la terza ondata, che invece riuscì ad imporre la propria egemonia culturale.
Con il termine civiltà elladica si indica la civiltà sviluppatasi nella Grecia continentale nell’età del Bronzo e divisa convenzionalmente in tre periodi:
·         Antico Elladico (2800 – 2000),
·         Medio Elladico (2000-1580),
·         Tardo Elladico (1580-1100).
All’inizio dell’Antico Elladico agli originari abitanti, i Pelasgi, popolazioni greche autoctone che abitavano la penisola greca, mar Egeo e coste anatoliche, si sarebbero aggiunti popoli provenienti dall’Asia Minore; poi, tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C., si verificò l’invasione dei popoli indoeuropei fra cui gli achei che si stabilirono nel Peloponneso.
Questi popoli, la cui civiltà si fuse con quella degli antichi abitanti e caratterizzò tutto il Medio Elladico, erano portatori di una cultura diversa: conoscevano l’uso della ruota da vasaio, si servivano dei cavalli, fino ad allora sconosciuti, ed usavano sepolture individuali.
Alla fine del Medio Elladico era praticato anche il commercio marittimo, soprattutto con i cretesi che esercitarono un forte influsso culturale ed economico sui più importanti insediamenti achei nel Peloponneso (Micene, Tirinto, Argo, Pilo, Sparta, Corinto).

La civiltà micenea (1580-1100) - Dall’incontro fra la cultura medio-elladica e quella minoica si sviluppò la civiltà micenea, così chiamata da Micene la città più potente e importante.
Della civiltà micenea si conosceva, fino alla fine del XIX secolo, solo quanto si poteva desumere dai poemi di Omero, l’Iliade e l’Odissea. Importanti perciò furono i risultati degli scavi compiuti, a partire dal 1878, da Heinrich Schliemann che riportò alla luce i resti dell’antica città di Micene, basandosi sul racconto di Omero; inoltre, la decifrazione nel 1952 da parte degli inglesi Michael Ventris e John Chadwick della scrittura micenea, detta lineare B, contribuì a fornire un quadro più preciso della civiltà e dell’organizzazione sociale dei micenei.
Anche nel mondo miceneo, il palazzo, difeso però da solide mura e caratterizzato da un vasto mégaron (eredità delle popolazioni preindoeuropee), era il centro della vita amministrativa, politica e religiosa.
Il potere supremo era esercitato da un sovrano, chiamato wánax, che svolgeva anche mansioni religiose, mentre l’esercito era comandato dal lawagétas.
L’economia era basata sull’agricoltura, sull’allevamento e sull’artigianato, i cui prodotti erano esportati nel bacino del Mediterraneo grazie alla florida attività commerciale. I micenei, infatti, dapprima si affiancarono, poi scalzarono gli stessi cretesi nel dominio sul Mediterraneo: a partire dal XVI secolo a.C. cominciarono a conquistare le Cicladi e nel XV secolo a.C. stabilirono basi commerciali a Rodi e sulle coste dell’Asia Minore (Mileto, Rodi, Cnido, Alicarnasso) e occuparono Creta e Cipro; parteciparono anche all’attacco mosso dai Popoli del mare[18] contro l’Egitto nel XIII secolo a.C.
Nel periodo della massima espansione (Miceneo III) si sviluppò il commercio con l’Italia, soprattutto verso la Toscana, la Sardegna e le isole Eolie, ma la politica di espansione dei micenei continuava a rivolgersi anche all’Oriente: una coalizione di città achee, verso il 1200 a.C., mosse infatti una guerra (raccontata poi da Omero nell’Iliade) contro la città di Troia che controllava, grazie alla sua posizione strategica sullo stretto dei Dardanelli, il commercio nel bacino che collega l’Egeo al Mar Nero.

La penisola italica – Le prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si cominciò a lavorare il rame.
Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi e, verso la metà del II millennio, si diffuse la civiltà detta delle terramare, dai depositi di terre grasse rinvenuti archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
La civiltà più progredita, la villanoviana[19], comparve alla fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al Piceno, costruendo villaggi di capanne.
Dal XIV secolo si era diffusa una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà appenninica.

III MODULO
La grande migrazione del tredicesimo secolo: l’età del ferro - Il ferro fu il grande protagonista di questi anni. Esso fornì alle popolazioni del nord, la seconda ondata di genti indoeuropee, l’incontenibile strumento che sbaragliò le difese della più progredita civiltà mediterranea, che tuttavia già da alcuni decenni attraversava, in zone come la Grecia, una fase di declino.
Così, se l’epoca precedente, coincidente cronologicamente con la civiltà micenea e con quella ittita, è definita Età del Bronzo, il successivo periodo è denominato invece Età del Ferro, ed inizia con le invasioni e le devastazioni indoeuropee del XIII secolo, cioè con il generale declino della precedente civiltà.
Alla base di tutto vi fu forse il movimento degli Illiri, popolazioni situate a nord della Grecia le quali, partendo dalle loro sedi originarie e mettendo in moto altre popolazioni, determinarono una sorta di effetto domino. Gli effetti di tali spostamenti si avvertirono così un po’ in tutta l’area egea e in quella vicino orientale, dalla Grecia all’Anatolia alla Mesopotamia.
In Grecia tali popoli coinvolsero nella propria discesa anche le popolazioni doriche e quelle nord occidentali, con fortissime ripercussioni sugli equilibri delle zone più interne e storicamente più interessanti, quella cioè che dall’Etolia giungono fino al Peloponneso.
In Anatolia, si pensa che furono soprattutto i Traci, spinti in avanti dall’invasione illirica, a invaderla.
In Oriente invece furono gli Assiri (un’etnia estremamente aggressiva situata nelle regioni a nord della Mesopotamia, e le cui innovative tecniche belliche colsero di sorpresa i popoli asiatici) ad approfittare della situazione di destabilizzazione politica dovuta alle invasioni per sottomettere le zone circostanti: dalla Babilonia, nel X secolo, fino all’Egitto nel VII.
Ma furono soprattutto i Popoli del mare, probabilmente un miscuglio di varie popolazioni originarie di diverse aree rivierasche del Mediterraneo alla ricerca di terre su cui insediarsi e la cui corsa fu infine fermata dall’esercito egiziano a guidare le scorribande migratorie nell’area asiatica.
I Popoli del mare attaccarono e distrussero il regno ittita all’inizio del XII secolo. Dopo avere razziato i principali centri delle coste orientali, si diressero contro l’Egitto, dove furono respinti dal faraone Ramses III, che celebrò la sua vittoria in un famoso rilievo del tempio di Medinet Habu. Secondo alcuni studiosi, il movimento dei Popoli del mare fu originato da movimenti più ampi di popolazioni partite dal continente europeo.
Le conseguenze principali che tali eventi ebbero sulla precedente compagine degli stati furono:
·         la scomparsa o profonda trasformazione dei regni Micenei, assieme a quella quasi totale dell’Impero ittita;
·         l’instaurarsi di un dominio assiro sulla più antica civiltà babilonese, nonché successivamente sulle zone limitrofe e su quelle a sud;
·         la chiusura politica dell’Egitto (un paese da sempre caratterizzato da marcate tendenze isolazioniste, dalle quali però nei secoli precedenti, costretto anche dalla generale apertura tra gli stati asiatici, si era fortemente emancipato).
Complessivamente si può parlare di un forte ridimensionamento delle comunicazioni e dei traffici, quindi anche delle contaminazioni culturali, tra le regioni che avevano composto la precedente unità mediterranea, un’interruzione che in tutto il mondo mediterraneo, durò per alcuni secoli.
È molto probabile che gli Etruschi fossero in origine delle popolazioni anatoliche che, in fuga dalle proprie sedi verso le regioni occidentali, raggiunsero le regioni italiche.
Le conseguenze di tali invasioni su società ancora primitive, le cui basi non erano certamente solide, poiché fondate su tecniche produttive e su strutture politiche ancora estremamente fragili, furono devastanti. Da una parte vi furono le molteplici e inevitabili devastazioni legate alle guerre, dall’altra vi fu la sostituzione delle vecchie classi dirigenti con le nuove, più barbare e più primitive.
A ciò si aggiunga il forte arretramento nelle tecniche produttive, il collasso dello stato e della quantità dei traffici, ed infine il calo demografico.
Si interruppe insomma quel clima di serena comunione tra popoli legati al Mediterraneo orientale, che aveva caratterizzato l’epoca precedente, sia nell’area egea sia in quella medio orientale. E un tale cambiamento di rotta determinò un impoverimento materiale e culturale delle zone in questione.
Soltanto i Fenici costituirono un’eccezione a questo clima di chiusura. Essi infatti continuarono a portare avanti gli scambi commerciali: un’attività nella quale per un lungo periodo detennero un primato pressoché assoluto.
Non fu un caso poi se essi tesero a sviluppare i loro traffici prevalentemente verso l’occidente, cioè verso l’Africa e la Spagna, in quanto zone ricche di metalli e non toccate da tali eventi traumatici.

I Fenici e la potenza di Tiro – La potenza di Tiro ebbe inizio con la fine della potenza di Sidone e copre il periodo che va dal 1100 all’800.
Per evitare parzialmente la rivalità dei Popoli del mare nel Mediterraneo Orientale, Tiro fondò molte colonie nel Mediterraneo Occidentale a Malta, nelle Baleari, in Sicilia (Panormo, Drepano, Lilibeo), nella Sardegna (Caralis), in Corsica, in Africa settentrionale (Cartagine, Utica) e nella Penisola Iberica (Malaga, Cartega, Cades ecc.). Varcato lo stretto di Gibilterra raggiunsero le coste dell’Inghilterra, da cui traevano lo stagno necessario per la fabbricazione del bronzo, fino al Mare del Nord e del Mar Baltico da cui traevano l’ambra. I marinai di Tiro costeggiarono l’Africa fino al Capo Verde. La potenza di Tiro fu abbattuta dagli Assiri, dai Babilonesi e infine di Persiani, ma occorre notare che anche sotto il dominio persiano i Fenici dominavano i commerci nel Mediterraneo orientale, mentre il mediterraneo occidentale era dominato da Cartagine.
Il predominio commerciale fenicio nel Mediterraneo Orientale fu definitivamente abbattuto solo in seguito alla fondazione di Alessandria sulla costa egiziana.

Gli Ebrei nell’età dei Giudici e dei Re (1230-922) – Verso il 1200 a.C. la Palestina fu occupata lungo il litorale dai Filistei, uno dei Popoli del mare, esperti navigatori e guerrieri, che precedentemente avevano servito come mercenari i faraoni egiziani e i re ittiti. Dai Filistei deriva alla terra di Canaan il nome Palestina.
Dovendo lottare duramente contro i popoli confinanti, gli Ebrei avevano bisogno di una maggiore unità: quindi nei momenti di maggiore pericolo sceglievano dei capi militari e politici detti Giudici, i quali riportarono diverse vittorie contro i nemici, senza mai riuscire a batterli definitivamente.
La minaccia dei popoli confinanti si faceva sempre più pericolosa e pressante: fu quindi necessario costituirsi in monarchia.
La monarchia acquistò fin dall’inizio carattere sacro perché Samuele, ultimo dei giudici e sommo sacerdote, consacrò Saul (1020-1000), secondo la tradizione su indicazione divina.
Saul sconfisse i Filistei e altri popoli nemici in diverse battaglie, ma, sconfitto dai Filistei presso il monte Gelboè, si uccise sul campo di battaglia.
Successore di Saul fu suo genero Davide. Davide fu il più grande tra i re d’Israele. Si fece notare per il suo valore quando, semplice pastorello, sconfisse ed uccise il gigante Golia, campione dei Filistei, armato solo di una fionda. Davide sconfisse definitivamente i Filistei e gli altri nemici d’Israele ed estendendo i confini del regno fino alla Siria a nord, l’Eufrate a est e il mar Rosso a sud. Conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale del regno, nonché centro politico e religioso del suo popolo. Approfittando del suo immenso prestigio, limitò molto l’autonomia delle tribù, accentrando i poteri nelle mani del re. Davide fu grande poeta e musicista; di lui rimangono nella Bibbia molti inni religiosi, i Salmi, cantati dai sacerdoti e dai popoli in onore di Dio.
Grande e famoso fu anche Salomone (961 – 922), figlio di Davide, il quale diede al suo popolo prosperità e splendide opere edilizie. Salomone protesse gli artisti, si fece costruire una magnifica reggia nella quale furono impiegati anche artigiani fenici, strinse relazioni politiche e commerciali con gli Egiziani e con la favolosa regina di Saba che si mosse dal suo regno lontano per conoscere Salomone e la sua sapienza. Salomone, divenuto leggendario per la sua sapienza, scrisse anche tre libri sacri: I Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici. I forti tributi imposti per la costruzione di edifici pubblici e per il lusso della corte provocarono un gran malcontento tra la gente.
Roboamo, figlio di Salomone fece le spese di questi malcontenti: in seguito a una grande insurrezione ben dieci tribù si staccarono dal regno, scegliendo come capo Geroboamo, un uomo forte e valoroso al servizio del re Salomone, contro cui si ribellò e si rifugiò in Egitto.
Alla morte di Salomone, Geroboamo tornò in Israele, e, siccome Roboamo non alleggerì il peso del popolo, dieci tribù si separarono e fecero Geroboamo re (930-909 a.C.). Si verificò dunque una secessione da cui si formarono due regni:
·         a Nord il regno d’Israele (922-586), formato dalle dieci tribù secessioniste, con capitale Samaria;
·         a sud il regno di Giuda (922 al 586), formato dalle tribù di Giuda e di Beniamino, rimaste fedeli alla stirpe di Davide, con capitale Gerusalemme.

L’invasione dorica della Grecia - La distruzione di Troia, avvenuta secondo la tradizione nel 1184 a.C., segnò il culmine della potenza micenea; subito dopo, infatti, Micene, Tirinto e Pilo furono espugnate e devastate probabilmente dai Dori che, muovendosi dall’Epiro e dalle regioni balcaniche del Nord, si spinsero verso il Peloponneso e, vinti gli Achei grazie ad un più efficace armamento in ferro, si insediarono nella parte sudorientale della penisola e diedero inizio all’età del Ferro.
I Dori occuparono tutto il Peloponneso, eccetto l’Arcadia, rimasta immune dall’invasione, come del resto anche l’Attica, e successivamente le Cicladi, Creta, Rodi e la costa sudoccidentale dell’Asia Minore.
I rapporti fra i nuovi invasori e le popolazioni indoeuropee già stanziatesi in Grecia (ioni, eoli e achei) non furono sempre facili: molti achei trovarono rifugio nel Peloponneso settentrionale, nella regione chiamata da allora in poi Acaia; altri (soprattutto gli abitanti della Laconia e della Tessaglia) tentarono di opporre resistenza e, dopo essere stati soggiogati, furono fatti schiavi. Tra le popolazioni che dal Peloponneso si trasferirono in Attica e nell’isola di Eubea, alcune migrarono insieme agli eoli verso le coste dell’Asia Minore, che fu colonizzata nei secoli successivi al 1200 a.C. però soprattutto verso Oriente che si diresse l’espansione micenea. Sulle coste dell’Asia Minore, furono stabiliti insediamenti di una certa rilevanza, che con il tempo si svilupparono: fu questa la cosiddetta prima colonizzazione.

Il medioevo ellenico - L’invasione dorica segnò comunque l’inizio di una nuova fase, non molto conosciuta, chiamata tradizionalmente Medioevo Ellenico (XII-VIII secolo a.C.), in cui la Grecia non subì ulteriori invasioni esterne.
Questo fu un periodo di crisi economica, caratterizzato da un certo regresso culturale e materiale: scomparvero infatti la scrittura e l’architettura monumentale che avevano caratterizzato la civiltà micenea e l’economia si ridusse esclusivamente alla pastorizia e all’agricoltura. Si determinarono inoltre cambiamenti politico-istituzionali: al wánax miceneo si sostituì il basiléus che non era propriamente un re, ma un capo militare, di origine nobile, cui erano attribuiti anche compiti religiosi e civili. Nell’esercizio del potere, che tese a divenire ereditario, questi era affiancato da un consiglio di anziani, capi dei gruppi gentilizi, i ghéne, che costituiranno l’aristocrazia nella futura società greca e che erano i proprietari delle terre lavorate dai ceti più bassi della popolazione.
Il Medioevo Ellenico non fu però solo un periodo di crisi, poiché furono introdotte dai Dori alcune significative novità che caratterizzeranno lo sviluppo delle età successive. Comparvero infatti i primi edifici religiosi, i templi, dedicati esclusivamente al culto, nella ceramica si affermò lo stile geometrico, si sviluppò la lavorazione del ferro e, soprattutto, si andò embrionalmente, costituendo una nuova struttura politico-sociale, la polis (stato–città)[20].

IV MODULO
L’età arcaica (VIII-VI secolo a.C.)
La Mesopotamia – Il grande impero assiro costruito da Tiglat-Pileser I iniziò a sgretolarsi a causa di:
·         sovrani deboli ed incapaci,
·         logoranti guerre con la vicina Armenia
·         continue invasioni da parte dei nomadi aramaici.
Gli Assiri affrontarono un periodo di declino, che durò quasi due secoli fino al periodo neoassiro:  dal IX secolo a.C., con Assurnasirpal II (883-859 a.C.), ci fu una decisa affermazione politica e militare sui popoli vicini e con Assurbanipal (668-629 a.C.) l’impero assiro conobbe il suo culmine, annettendo il regno di Babilonia, Israele, la Fenicia la Siria e l’Egitto.
Alla morte di Assurbanipal, l’impero fu preda della potenza meda che, coalizzata con i Babilonesi, pochi anni dopo, conquistò Assur nel 614 e Ninive nel 612.
Alla caduta di Ninive nel 612, il generale caldeo Nabopolassar creò l’impero neobabilonese, Babilonia si liberò dal giogo assiro e divenne la capitale del nascente Impero neobabilonese (612-539).
Il re più importante di questo periodo fu Nabucodonosor II (604-562) che giunse fino al Mediterraneo, portando l’Impero babilonese al più alto grado di potenza e di grandezza. Nabucodonosor distrusse il regno ebraico di Giuda, deportando gli Ebrei a Babilonia. Volle anche la ricostruzione e l’abbellimento di Babilonia che divenne la città più splendida d’oriente.
Dopo Nabucodonosor incomincia la decadenza dell’Impero babilonese a causa di lotte dinastiche e della minacciosa vicinanza dei Persiani. Nel 539 Ciro, re dei Persiani, dopo aver sottomesso la Media e la Lidia, espugnò Babilonia e depose l’ultimo re Nabonide, abbattendo per sempre l’Impero babilonese.

I Medi I Medi furono tributari degli Assiri dal IX al VII secolo. Ogni anno dovevano consegnare loro i migliori cavalli che possedevano. In seguito fondarono un Impero con capitale Ecbatana. Solo nel 612 a.C. riuscirono ad avere ragione dei loro oppressori. Il re Ciassare (633-584 a.C.), con l'aiuto dei Babilonesi, dopo un lungo assedio durato 3 anni, riuscì a conquistare Ninive. L'Impero dei Medi raggiunse la sua massima espansione comprendendo Assiria, Mesopotamia settentrionale e Cappadocia. Ciassare stipulò anche un trattato di amicizia con la Lidia e assoggettò i Persiani.
Il figlio Astiage (585-550 a.C.) non riuscì a conservare ciò che il padre aveva costruito. Il disaccordo con i suoi stessi sudditi portò a una crisi interna di cui seppe approfittare il persiano Ciro che con l'aiuto di alcuni ufficiali sconfisse Astiage in battaglia e si proclamò re dei Medi e dei Persiani.

I Persiani – La Persia, regione storica del Medio Oriente, corrisponde all'odierna repubblica dell'Iran.
L'ascesa del popolo persiano fu guidata da Ciro il Grande (590-529), della dinastia degli Achemenidi. Succeduto al padre Cambise, sconfisse i Medi (553-550), conquistò quindi la Lidia (546 a.C.) facendone prigioniero il re Creso, le città greche dell'Asia Minore e Babilonia nel 539. Tra il 546 e il 540 sottomise le province a oriente della Persia sino al fiume Iassarte. Morì nel 529 a.C. combattendo contro gli Sciti Massàgeti. Nella Bibbia è ricordato per aver liberato gli Ebrei prigionieri a Babilonia e aver consentito loro di tornare in patria. Fu famoso per la sua tolleranza religiosa, la clemenza verso i vinti, la sollecitudine per i sudditi. La sua figura di sovrano ideale fu tratteggiata da Senofonte nella Ciropedia.
Il figlio Cambise assoggettò l'Egitto nel 525 riducendolo a provincia dell'Impero. Il successore Dario I si scontrò con gli Sciti e i Greci; occupò la Tracia e la Macedonia. Fu duramente sconfitto dai Greci nella battaglia di Maratona nel 490.
Nei secoli V e IV la Persia si inserì stabilmente nelle dinamiche politiche e diplomatiche degli Stati greci, tentando di instaurare invano una egemonia sul mondo ellenico.
Sull'Impero persiano governava il Re dei re. Egli aveva un potere assoluto di istituzione divina. Ogni suddito, compresi i più alti funzionari, gli doveva obbedienza assoluta.
L'Impero era diviso in satrapie, distretti territoriali retti da governatori di nomina regia, i satrapi. L'esercito era molto potente ed efficiente: alle truppe di guarnigione di ogni città si affiancavano i diecimila immortali, così chiamati perché appena uno di essi veniva a mancare era prontamente sostituito così che il loro numero restava invariato.
La religione persiana fu istituita dal profeta Zarathustra nel VI secolo tuttora praticata da circa 100.000 fedeli, la maggior parte dei quali in Indio (Parsi). Responsabile del culto è la casta sacerdotale dei magi. Dio, Ahura Mazda, è considerato nel suo aspetto personale come Dio della luce, in continua lotta con Arimane il dio delle tenebre e del male. L'uomo è considerato libero di scegliere fra il bene o il male. Gli imperatori persiani erano vicari in terra di Ahura Mazda, incaricati della missione di far trionfare il bene mediante un Impero universale.

La decadenza dell’Egitto - Dopo il regno di Ramses III era cominciato un lungo periodo di decadenza, durante il quale l’Egitto si divise più volte in diversi regni.
Seguirono secoli di vera e propria decadenza:
·         nel 670 il re assiro Assaraddon invase il paese e conquistò Menfi.
·         nel 666 il re assiro Assurbanipal, dopo che gli Egiziani avevano riconquistato Menfi, riprese la guerra, si spinse fino a Tebe e la saccheggiò.
Ma anche questa conquista assira durò poco: Psammetico, aveva ereditato dal padre Neco il principato di Sais sul delta del Nilo, ma ottenne dal Re d’Assiria il comando su tutto l’Egitto dopo che gli Assiri avevano fiaccato la potenza egiziana e nel 667 avevano occupato la capitale Tebe.
Psammetico, pur continuando ad essere alleato fedele dell’Assiria, verso il 650 prese il titolo di Faraone e si considerò vero sovrano. Psammetico I continuò a tenere la sua reggia a Sais, sicché inizia il periodo di storia dell’Egitto detto appunto saitico dal nome della capitale Sais.
Il periodo saitico fu caratterizzato da un’intensa attività economica: i commerci furono sorretti con la costruzione di una buona flotta ed il paese, sempre chiuso all’influenza straniera, si aprì ai forestieri, che largamente vi affluirono come soldati mercenari e funzionari. Il Faraone condusse anche guerre contro gli Etiopi che tentavano di spingere i loro confini verso settentrione, ma poco sappiamo di queste imprese.
Questa floridezza ebbe però una durata relativamente breve (663-525): Cambise infatti minacciava ai confini lo stesso Faraone Psammetico III fu catturato e tenuto prigioniero per qualche mese a Menfi, quindi fu costretto ad avvelenarsi. L’Egitto assoggettato fu ridotto a provincia dell’impero persiano[21].

I due regni di Israele - Il regno d’Israele, maledetto dai profeti, ebbe una storia caratterizzata da molte discordie interne: non ci fu mai una dinastia che riuscisse ad affermarsi a lungo, ma solo per poche generazioni, poi con un colpo di stato o per altre vicende il potere passava ad una casa diversa. Il regno di Israele terminò sotto il re Sargon II nel 722 che conquistò la Samaria contro il re Osea e deportò gran parte del popolo in Assiria.
Dopo la fine del regno d’Israele gli unici Ebrei superstiti furono quelli del regno di Giuda.
Il Regno di Giuda durò un secolo in più (586), cadde sotto la conquista babilonese del re Nabucodonosor e gran parte della popolazione fu deportata in Babilonia (cattività Babilonese). Durante i combattimenti tra Babilonesi ed Ebrei, Gerusalemme fu distrutta. La cattività babilonese durò cinquanta anni, fino a quando Ciro, re di Persia, conquistò la Babilonia e permise agli Ebrei con un editto di ritornare in Palestina.
Gli Ebrei ricostruirono Gerusalemme e il tempio, ma passarono prima sotto il dominio della Macedonia, dell’Egitto, della Siria e infine dell’impero romano.

La Grecia arcaica - Quando finirono i movimenti migratori nella regione dell’Egeo, la Grecia continentale, le isole e le coste dell’Asia Minore erano occupate da popolazioni che, sebbene divise in unità territoriali politicamente indipendenti, riconoscevano di avere una comune identità culturale, basata sulla lingua, sulla religione e sulle comuni tradizioni; esse adottarono anche la denominazione di Elleni.
L’età arcaica, sebbene caratterizzata dall’assenza di invasioni dall’esterno e di conflitti con i popoli confinanti, fu tuttavia un periodo travagliato da forti tensioni sociali: i fenomeni più importanti furono
·         la nascita delle póleis (stato - città),
·         il passaggio dalla monarchia ai regimi aristocratici,
·         l’insorgere di tirannidi[22] o di regimi democratici
·         la colonizzazione.

La nascita della pólis greca – Le poleis si formarono nel corso dell’VIII secolo, come effetto del progressivo allentarsi dei legami aristocratici che nell’epoca precedente avevano avuto il sopravvento su quelli politici. Alcune poleis si svilupparono da antiche città micenee, altre invece furono fondate ex novo o in zone fertili o vicine al mare, che avessero però anche facilità di comunicazione con l’interno; tuttavia, indipendentemente dalla loro origine, gli stati-città caratterizzarono la storia greca per quattro secoli e furono al tempo stesso centro politico, economico e militare.
Ogni polis era organizzata autonomamente, secondo le proprie leggi e le proprie tradizioni.
Le poleis erano piccole comunità autarchiche[23], rette da governi autonomi; una sorta di piccoli staterelli indipendenti l'uno dall'altro. Il carattere autonomo della città greca deriverebbe dalla conformazione geografica del territorio greco, che impediva facili scambi tra le varie realtà urbane poiché prevalentemente montuoso. Spesso, le varie poleis erano in lotta tra loro per l'egemonia del territorio greco.
Ciascuna pólis era costituita:
·         dal centro urbano, cinto da mura, e dall'acropoli, cioè la città alta, la parte più fortificata dell’abitato, dove i cittadini potevano rifugiarsi in caso di pericolo e dove vi era il tempio della divinità protettrice della città centro della vita politica e culturale della città stato;
·         dall'agorá dove si tenevano il mercato e le assemblee del popolo e dove ci si dedicava di solito ad attività commerciali, dalle abitazioni e dalle botteghe degli artigiani;
·         dal territorio circostante, la cosiddetta chora (χώρα) la parte fuori delle mura, era il luogo dove i contadini coltivavano i campi e si dedicavano all'agricoltura o al pascolo.
Le strade principali, che univano l'agorà, i santuari, le porte della città, avevano un aspetto monumentale ed erano lastricate con grande cura. Per il resto, la rete stradale era fatta di stradine piccole, che consentivano a stento il transito dei pedoni e degli animali da soma. Questo perché le attività economiche e quelle residenziali erano concentrate in aree specifiche. Questo assetto urbanistico riduceva il traffico dei quartieri residenziali.
Oltre all'unità territoriale le poleis erano caratterizzate da un'unità sociale ed una strettamente politica: si trattava, infatti, di un gruppo di cittadini che si dotava di leggi che si impegnava a rispettare. I cittadini, dunque, non erano più sudditi come nelle società antecedenti, ma esercitavano il proprio potere eleggendo i rappresentanti (magistrature).
Le póleis avevano una dimensione limitata, ma erano politicamente indipendenti e autonome: ciascuna, infatti, aveva culti, leggi e feste sue. Proprio la limitata estensione del territorio che spesso non forniva sufficienti risorse agli abitanti spinse le città a cercare di espandersi a discapito dei centri vicini, che talora persero la loro autonomia a vantaggio della città più forte attraverso il meccanismo del sinecismo[24].
Frequenti erano però le anfizionìe o leghe sacre, alleanze di più póleis, solitamente limitrofe, che si riunivano intorno ad un santuario molto venerato: i membri di ciascuna Anfizionia erano tenuti a cooperare nell'amministrazione e nella difesa del santuario, e ad inviare periodicamente ciascuno due delegati in occasione del sinedrio anfizionico, l'organo collegiale preposto al controllo della confederazione. In un primo momento le anfizionìe si occupavano solo di finanziare il santuario e di organizzare le feste religiose, in seguito cominciarono a risolvere le questioni sorte fra le póleis e, trasformandosi in federazioni di contenuto sempre più politico, potevano decidere anche una guerra sacra contro qualche città della lega che non rispettava i patti. Leghe Anfizioniche erano quelle che sorgevano intorno ai santuari di Zeus a Dodona e Olimpia, o al santuario di Poseidone a capo Micale, in Ionia. L'Anfizionia più importante fu, però indubbiamente quella Delfico-Pilaica, che associava i culti di Apollo, a Delfi, e di Demetra, alle Termopili. L’anfizionìa più importante fu quella che aveva sede a Delfi.
Sebbene le poleis greche avessero ciascuna una propria autonomia ed una vasta gamma di forme politiche (oligarchia[25], timocrazia[26], democrazia[27], tirannide), esse furono comunque caratterizzate da un comune sviluppo politico e solo Sparta costituì un’anomalia rispetto alla situazione generale, bisogna anche ricordare che essa non ebbe mai eguali né nel mondo antico né in quello moderno. Alle originarie monarchie che dominavano le poleis nella fase del loro consolidamento, tra l’800 e il 650, si sostituirono governi aristocratici formati da oligarchie, che detenevano, oltre al controllo delle terre, anche quello politico.
La maggior parte della popolazione, composta da piccoli proprietari terrieri, artigiani, contadini, mercanti, aveva scarso peso politico; importanti erano invece le aggregazioni tribali che talora prendevano forma più ampia, assumendo così il nome di fratrie[28].

La colonizzazione greca - Un altro fenomeno di importanza rilevante fu la seconda colonizzazione, che interessò vaste zone del Mediterraneo dall’VIII al VI secolo a.C. e alla cui origine vi furono fattori determinanti:
·         la caduta dell'Impero assiro, nel VII secolo, e la rinascita dell'antica Babilonia facilitarono gli scambi commerciali e quelli culturali, favorendo una ripresa generale dell'area medio-orientale.
·         il bisogno di terre coltivabili (scaturito dall’incremento demografico),
·         la connaturata povertà del suolo greco e l’affermarsi del latifondo a discapito della piccola proprietà,
·         il desiderio di esportare le merci in sovrabbondanza e la ricerca di materie prime.
Ma anche le lotte all’interno delle città tra le opposte fazioni per la conquista del potere facevano sì che gli esponenti delle fazioni sconfitte o scegliessero o fossero costretti ad andare in esilio.
Questa seconda espansione coloniale si diresse sia verso Occidente (Magna Grecia, Sicilia, Francia) sia verso Oriente (penisola calcidica e costa della Tracia). I coloni greci non incontrarono resistenza nelle zone in cui si insediarono e la convivenza con gli indigeni fu solitamente pacifica.
La città fondata, pur mantenendo un legame particolare con la metropolis (madrepatria, città colonizzatrice) conservandone il dialetto, i costumi e le tradizioni, era politicamente indipendente.
La colonizzazione fu importante sia perché diffuse la cultura greca nel Mediterraneo sia perché accelerò lo sviluppo economico e politico della Grecia.
L’espansione del mondo greco provocò l’afflusso di molte ricchezze che contribuirono alla nascita di una classe media economicamente indipendente, ben presto in lotta con gli aristocratici. L’economia greca divenne mercantile e manifatturiera, grazie anche alla diffusione della moneta, introdotta per la prima volta dagli Ioni dell’Asia Minore nel VII secolo. I Greci investivano il denaro per creare nuova ricchezza. I centri più produttivi erano situati nelle colonie dell’Asia Minore, le città si ampliarono e si sviluppò l’arte nautica.
Le classi sociali emergenti tolsero ben presto però il monopolio della difesa militare della polis agli aristocratici, introducendo l’arruolamento dei cittadini: il nuovo esercito, la falange, poggiava sulla fanteria e sulla sua forza d’urto, anziché sul vecchio duello cavalleresco. Era ormai inevitabile che il ceto emerso da questi cambiamenti ambisse a ricoprire ruoli più importanti nella gestione della polis.
L’esistenza di una borghesia ricca accanto all’aristocrazia non aveva eliminato il problema di una classe di poveri sfruttati, ma anzi, sfruttando proprio questo malcontento, la borghesia si alleò con il popolo per insidiare i privilegi della nobiltà. Il valore su cui si basava il nuovo ceto sociale era il denaro (censo) e proprio su questo esso voleva fondare un’organizzazione comunitaria (timocrazia).
Il primo passo in questa direzione fu costituito da un’intensa attività legislativa, che non riuscì però ad eliminare le profonde disuguaglianze sociali. Ben presto la crisi fra latifondisti e piccoli proprietari da una parte e borghesia e popolo dall’altra riesplose, rendendo necessario l’intervento di principi assoluti (tiranni).
Certo è che questa fase storica contribuì a rafforzare le istituzioni statali, tanto che rappresentò il ponte verso la successiva fase democratica di molte poleis.

Il passaggio dalla monarchia ai regimi aristocraticiDall'VIII secolo la crisi della monarchia condusse alla formazione della polis aristocratica, dominata da proprietari terrieri, in costante competizione per la supremazia.
In età arcaica le esigenze delle poleis aumentarono considerevolmente. L’economia aveva sperimentato una crescita grazie alla colonizzazione ed all’apertura della Grecia verso il Mediterraneo da cui le condizioni di vita avevano ricevuto un netto miglioramento. L’agricoltura è sempre più spesso affiancata da fiorenti attività commerciali ed artigianali, che permettevano di arricchirsi e guadagnare.
Questo ampliamento di interessi e di orizzonti definisce l’aumentare dei bisogni e delle necessità amministrative di uno stato, cui il re non può più far fronte: avviene una progressiva presa di potere del consiglio degli anziani rispetto all’autorità del re. Se precedentemente il re aveva avuto in mano il consiglio e l’assemblea popolare ed aveva esercitato il proprio potere su entrambi, adesso la sua figura è talmente sminuita da essere condannata all’estinzione.
Ciò avvenne perché il re non possedeva molti più beni degli aristocratici e ciò contribuiva ad aumentare l’importanza del consiglio rispetto all’autorità del monarca, contro la quale egli non poteva far pesare neppure il suo predomino economico. Inoltre, mancarono quelle situazioni da cui un re poteva ricavare un potere fuori del comune, come le guerre ed i pericoli esterni.
L’età arcaica fu un periodo relativamente pacifico, in cui nelle singole comunità si sviluppò un grande senso della libertà, soprattutto nelle coscienze dei grandi proprietari terrieri. Giocarono molto anche le migliorate condizioni economiche generali: adesso molti più cittadini erano in condizione di collaborare alla vita della comunità. I membri del consiglio, i magistrati, affiancarono in misura sempre maggiore, fino a sostituire, il re.
In questo periodo si verifica una rivoluzione del vecchio modo di combattere affidandosi principalmente alla cavalleria ed ai carri da guerra. Queste erano attrezzature che solo i nobili potevano permettersi, ed era quindi inevitabile che il loro ruolo di primo piano fra le fila dell’esercito si riflettesse anche all’interno della vita politica degli stati. Il più diffuso benessere dell’età arcaica, permise a molta più gente di procurarsi l’equipaggiamento da fante. Da qui nasce la classica figura dell’oplita ellenico, inquadrato nella formazione a falange[29].
Queste nuove situazioni convergevano tutte a vantaggio delle masse popolari che continuavano a crescere per importanza e per condizioni economiche. Si inaugurò un periodo di vaste riforme, nel tentativo di adattare la politica degli Stati alla nuova situazione sociale.
Nacquero nuovi modelli organizzativi, in cui la figura del re era definitivamente sostituita da alcuni uomini aristocratici che ricoprivano delle cariche annuali e che erano eletti dal popolo. Questo evento risultò di capitale importanza nel percorso che portò alla democrazia, non solo perché la figura del monarca ereditario era stata portata all’estinzione, ma anche perché la creazione della magistratura annuale comportò un notevole allargamento della classe dirigente: nelle comunità che si sono appena liberate dal regime monarchico, ci si vuole premunire affinché non si verifichino più le condizioni per un eventuale ritorno delle precedenti condizioni. Così si decide di evitare le rielezioni dei vari arconti per più anni consecutivi, così come che i membri di una sola famiglia si guadagnino tutte le posizioni di potere.

L’insorgere di tirannidi o di regimi democratici - Tra il VII e il VI secolo si verificò una fase di forti tensioni sociali che opposero l’aristocrazia fondiaria al popolo, il démos, che, grazie allo sviluppo delle attività artigianali e commerciali, si arricchiva sempre di più e aspirava ad un maggiore peso politico.
L’aristocrazia fondiaria si era indebolita:
·         per il carattere competitivo dell'etica aristocratica,
·         per lo sviluppo dei commerci e della colonizzazione,
·         perché alla cavalleria subentrò, come nerbo dell'esercito, la fanteria oplitica.
Le conseguenze socio-economiche della colonizzazione greca furono notevoli: l'espansione e l'incremento degli scambi commerciali e delle attività artigianali ed industriali e l'introduzione della moneta favorirono la formazione di una nuova classe di commercianti ed industriali, che progressivamente mise in crisi il predominio dell'aristocrazia.
Il mutato assetto sociale ebbe delle ripercussioni politiche, poiché il ceto medio, presa coscienza della propria forza e della propria importanza, cominciò ad avanzare richieste per una parificazione giuridica con l’antica aristocrazia.
Tra il VII e il VI secolo, Questi continui contrasti sociali, aumentati dal malcontento delle classi meno abbienti, portarono all’avvento di due nuove e diverse figure politiche: da un lato i legislatori, con la codificazione scritta delle leggi, e dall'altro al sorgere della tirannide.
A figure di legislatori dapprima nelle colonie poi nella metropolis (Licurgo a Sparta, Zaleuco a Locri, Dracone ad Atene), si affiancarono uomini ambiziosi, (Gelone a Siracusa, Policrate a Samo), che, facendo leva sul malcontento popolare con colpi di stato si impadronirono del potere degli aristocratici, in moltissime città greche.
Alcune città, come Corinto, Tebe, Sparta ed Atene, salirono alla ribalta della scena politica greca, espandendo la propria influenza sulle città vicine. Ad eccezione di Sparta, una polis estremamente conservatrice che rimase per lungo tempo legata alla costituzione di Licurgo e non conobbe rivolgimenti sociali e fenomeni di emigrazione, le altre poleis greche sperimentarono il governo dei tiranni.
A Corinto la famiglia dei Bacchiadi, che governava la città, fu rovesciata da Cipselo nel 657 circa, il quale assunse il titolo di tiranno trasmettendolo al figlio Periandro.
Ad Atene Pisistrato stabilì un governo tirannico che resse la città con fasi alterne per circa trent'anni (561-528 circa), trasmettendo il potere al figlio Ippia.
L'elemento che accomuna tutti i tiranni di prima generazione consiste nella loro appartenenza all'esercito e mostra l'importanza dell'apparato militare nella crisi dell'aristocrazia e nell'ascesa dei tiranni.
Alla fine del VI secolo, dopo il rovesciamento della tirannide di Ippia nel 510, Clistene realizzò una profonda riforma della costituzione ateniese che segnò la nascita della democrazia ad Atene e nel mondo nel 507.
L’età dei tiranni fu un momento di grande sviluppo culturale: anche se il potere fu conquistato illegalmente, i tiranni Periandro di Corinto, Gelone di Siracusa o Policrate di Samo furono buoni governanti, che garantirono il rispetto di certe regole e in cui molti poveri poterono migliorare la loro situazione economica: i tiranni, infatti, erano nemici dell’aristocrazia e, in molti casi, alleati del popolo, pur perseguendo un interesse privato.

La fioritura della cultura greca – Dagli inizi dell'VIII secolo, la ripresa economica e la reintroduzione della scrittura mediante l'alfabeto fenicio favorirono l'inizio della grande stagione culturale greca.
Al rafforzamento economico e politico si affiancò una notevole fioritura della cultura greca, anche grazie alla reintroduzione della scrittura agli inizi dell’VIII secolo: si fissarono per iscritto i poemi di Omero; nella Ionia[30] nacque il pensiero filosofico[31].
Nel contesto della cultura greca il significato del termine filosofia oscilla tra due poli estremi:
·         da un lato esso indica la cultura in generale e l’educazione;
·         dall’altro indica una determinata disciplina scientifica che ha per oggetto i princìpi primi, le strutture generali dell’essere e dio.
I fattori che hanno stimolato la nascita della filosofia in una serie di elementi tipici della società greca di quell’epoca sono:
·         la posizione geografica di ponte fra Europa e Asia;
·         lo spirito amante del bello e del sapere;
·         una religione che non pone ostacoli allo sviluppo della riflessione, ma anzi la favorisce;
·         una struttura politica che garantisce un certo margine di libertà ai cittadini;
·         un commercio in costante sviluppo e che richiedeva lo sviluppo di una riflessione che potesse essergli utile;
·         un primo tentativo di spiegare i fenomeni secondo una visione naturalistica presente nei miti di Omero e di Esiodo.
Nel VI secolo la contrapposizione fra mito e logos, dove il primo è sostenuto dalla tradizione, mentre il secondo da operazioni logiche della mente, costrinse il primo ai soli ambiti della religione e della poesia.
La riflessione filosofica non coinvolse il pensiero di larghe masse di uomini, ma ebbe la sua base sociale in una minoranza progressista appartenente alla classe dominante. Questi intellettuali tolsero l’alone sacrale che ricopriva le cose per scoprire l’oggettività dei fenomeni.
La nuova cultura, che i primi filosofi creano, rispondeva ad una serie di problemi nuovi, nati nelle città ioniche del VI secolo, problemi che difficilmente sarebbero potuti sorgere in una società agricola, quale era quella greca precedente, dove la natura consisteva nell’insieme dei fenomeni che non dipendono dall’uomo, e tutto si risolveva nel culto della divinità e nel rituale.
È proprio la città che compie questa rottura che toglie l’uomo dal contatto con la natura e lo porta ad inventare nuovi mestieri e un modo diverso di vivere e di strutturarsi socialmente.
Il filosofo prese il posto che nell’antica società tribale era occupato dal sacerdote, e cioè quello di depositario del sapere.
Tra VII e VI secolo il panorama delle produzioni letterarie d’area greca era molto diversificato: anche politicamente siamo alla presenza di una civiltà policentrica, si accentuano le caratteristiche cittadine, rispetto alla fase esiodea e le letterature riflettono la maggiore complessità anche sociale.
Gli autori di cui conosciamo l’opera, sono spesso biografici, si indirizzano a un gruppo di amici oppure a un gruppo allargato fino a comprendere tutta la comunità dei cittadini liberi delle poleis. Si composero elegie gambi e monodie per piccole cerchie di persone, ma anche lirica corale per celebrazioni.
Questa poesia è molto vicino a noi, per ciò che essi esprimono e per il modo con cui lo fanno: la loro individualità e la loro capacità a esprimere qualcosa che noi definiamo come passione e vivacità d’umore. Ma anche quando essi parlano di sé stessi, enucleano sensi generali, che hanno valore per tutti e che riguardano il senso stesso della vita, dell’esistere tra gli altri.
La lirica poteva essere, monodica (a una sola voce) o corale. Tra questi poeti lirici si ricordano Archiloco, Mimnermo, Alcmane, Alceo, poeta spesso dell’amore, del vino, dell’esaltazione del piacere quali esclusivi rimedi dinanzi al carattere effimero e precario della vita umana e Saffo, considerata la più grande poetessa dell’antichità.

Unità culturale del mondo greco - Nel popolo greco non si era formata un’unità politica, ma solo la coscienza di appartenere ad un unico gruppo etnico e linguistico. A differenza degli orientali, i greci hanno un carattere particolarista che favorisce l’inventiva personale e non ama l’accentramento del potere nelle mani di pochi.
La Grecia tuttavia riconosceva la propria identità sul comune terreno della cultura, della lingua e della religione.
Il santuario di Delfi, con il suo oracolo, acquisì grande importanza in tutto il territorio greco; a costituire una coscienza religiosa comune contribuì la partecipazione ai quattro grandi giochi panellenici, tutti a carattere religioso: i Giochi olimpici, istmici, pitici e nemei; i primi (che si tenevano regolarmente ogni quattro anni) erano così importanti che invalse l’uso di calcolare il trascorrere degli anni a partire dalla prima Olimpiade, svoltasi nel 776.
Della religione, il mito costituisce il filo conduttore; bisogna inoltre notare che manca una casta sacerdotale che detiene il potere attraverso l’elaborazione di dogmi di fede, per questo l’autorità del mito è affidata ai poeti. Per i greci il mito era religione, poesia e filosofia, ovvero un modo di pensare i problemi dell’esistenza attraverso immagini simboliche.
Comuni sono anche i miti sorti in epoca micenea (Atridi, Perseo, Edipo, Sette contro Tebe, Elena, Menelao) precursori dei poemi omerici, comune è la scrittura ricevuta dai Fenici e l’alfabeto che i Greci ne hanno derivato (designazione delle vocali con segni consonantici fenici superflui: prima scrittura fonetica pura), comune è la religione con santuari di im­portanza nazionale (Delfi, Delo, Samo, Olim­pia).
Il tipo di religione diffuso fra gli aristocratici non soddisfaceva però le esigenze del popolo, per questo presto ci fu un’apertura agli influssi religiosi orientali: si diffusero così le pratiche misteriche che prospettavano la sopravvivenza dell’anima nell’aldilà e una sua redenzione. Molto successo ebbe allora il culto di Dioniso, al quale si opponeva la versione spirituale dell’orfismo.

Oligarchia e democrazia in Grecia: Sparta e Atene - Tra l’VIII e il VI secolo a.C. Sparta e Atene emersero come i centri più potenti della Grecia, dopo aver unito in una confederazione, sotto la loro guida, le città vicine.
Sparta, stato - città aristocratica a carattere militare, affermò la sua supremazia con la forza. L’unificazione dell’Attica fu invece raggiunta attraverso accordi pacifici da Atene, che riconobbe la cittadinanza ateniese agli abitanti delle città minori.
Sparta aveva un ordinamento costituzionale antichissimo fra l’VIII ed il VII secolo, la cui natura strettamente oligarchica si mantenne costante nel tempo; la tradizione fa addirittura risalire la costituzione spartana al mitico legislatore Licurgo. A capo dello stato vi erano due re, discendenti delle nobili famiglie degli Agiadi e degli Euripontidi, che governavano collegialmente. Accanto a loro fungeva da organo consultivo la gherusía, ristretto consiglio di ventotto anziani eletti dai cittadini liberi, gli spartiati,  riuniti nell’apélla (assemblea di uguali). Importante fu anche la presenza di cinque efori, originariamente ministri del culto che assunsero sempre più funzioni di natura politico-giudiziaria.
Ad Atene e nella sua area di influenza la monarchia fu abolita all’inizio del VII secolo dall’aristocrazia, i cui esponenti, gli eupatrìdi, esercitarono il potere attraverso la carica di arconte; nove arconti, eletti dall’ecclesia, si avvicendavano annualmente e governavano col concorso dell’areopago, consiglio di ex arconti che fu organo custode delle leggi e tribunale per i reati più gravi.
Nel 621 il legislatore Dracone pubblicò il primo codice scritto di leggi, limitando la discrezionalità del potere giudiziario dei nobili.
Successivamente l’arconte Solone nel 594 riformò il codice draconiano, dividendo il corpo civico timocraticamente, cioè in base al censo, in quattro classi, che furono, in ordine di ricchezza:
  • i pentacosiomedimni (gli unici che potessero aspirare all’arcontato);
  • i cavalieri;
  • gli zeugiti;
  • i teti.
All’areopago affiancò la bulè, consiglio di quattrocento nominati per sorteggio dalle prime tre classi, e il tribunale popolare dell’eliéa.
Durante il regno del tiranno Pisistrato (560-527 a.C.) che salì al potere facendo leva sul malcontento del ceto medio-basso, alcuni caratteri democratici delle istituzioni ateniesi furono ulteriormente accentuati in chiave demagogica.
Ippia e Ipparco, suoi figli ed eredi, si rivelarono molto più dispotici del padre e, dopo l’uccisione di Ipparco, Ippia fu cacciato da un’insurrezione scoppiata nel 510 a.C.: la memoria collettiva di Atene associò questa fase alla figura dei due tirannicidi, Armodio e Aristogitone, gli uccisori di Ipparco nel 514, salutati dalle generazioni successive come campioni della democrazia.
Ne seguì una lotta politica che vide vincitore, contro una fazione oligarchica, il partito democratico guidato da Clistene che promulgò ad Atene una nuova Costituzione basata su principi democratici e isonomici (cioè di uguaglianza politica), la cui entrata in vigore nel 502 segnò l’inizio del periodo di maggior splendore della storia ateniese.
Alla base della costituzione di Clistene c’era un complesso meccanismo di ripartizione territoriale dell’Attica, suddivisa in tre regioni: città, costa, entroterra. Ma la vera novità fu la mescolanza del popolo che si ottenne con l’istituzione di dieci tribù cui venivano iscritti cittadini di vari démi di ognuna delle tre grandi regioni che avrebbero dovuto fornire l’esercito di Atene, ciascuna sotto la guida di uno stratega. Gli arconti diventarono dieci e i loro poteri furono ridotti, come quelli dell’areopago, ora unicamente tribunale per i reati di sangue; la bulè (che si ampliò a cinquecento membri) e l’ecclesía accrebbero invece le loro funzioni, diventando il fulcro della vita politica di Atene: la bulè come sede di proposte di provvedimenti legislativi, l’ ecclesìa come luogo della loro discussione ed eventuale approvazione. A garanzia dell’istituzione democratica fu inoltre introdotto l’ostracismo un istituto politico ateniese con cui erano banditi per dieci anni i cittadini ritenuti pericolosi per il mantenimento dell’egualitarismo civico.
Attraverso il progressivo sviluppo dell’agricoltura e del commercio, Atene divenne il centro più importante di cultura artistica e del bacino del Mediterraneo.

La migrazione indoeuropea in Italia - Prima del 1200 gli abitanti dell’Italia centrale erano gli Umbri, uno dei popoli più antichi della penisola italiana, di stirpe indoeuropea.
Dopo il 1200 a.C. scesero, attraversando le Alpi, in Italia gruppi indoeuropei provenienti dall’Europa centro-orientale. Questi gruppi spinsero le tribù che li avevano preceduti sempre più a sud e assunsero una fisionomia ben definita solo dopo essersi stabiliti nelle loro sedi definitive. Tra queste popolazioni indoeuropee vi erano gli Italici, che occuparono la parte centro-meridionale della penisola.
Alla fine della migrazione, nell’VIII sec. a.C. gli stanziamenti sulla penisola erano definitivi, le principali popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a nord; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna; nell’Italia centrale vi erano:
·         gli Osco-Umbro-Sabelli: divisi nelle tribù dei Piceni, Sabini, Marsi, Peligni, Marrucini, Sanniti;
·         i Latini: stanziati tra la foce del Tevere e i Colli Albani, divisi nelle tribù dei Latini propriamente detti, dei Volsci, Equi e Ernici.
In questo periodo, mentre l’Italia meridionale era colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà etrusca.

Le colonie della Magna Grecia - I Greci frequentarono i porti italici già in età micenea (sec XVI - XI a.C.).
Alla prima metà del secolo VIII. risale l’insediamento calcidese sull’isola di Ischia che aprì la prima fase della colonizzazione greca d’Italia. I Calcidesi fondarono poi Cuma, Napoli, Reggio, Catania e Zancle; i Corinzi fondarono Selinunte e Siracusa, i Rodiesi Gela e Agrigento; gli Achei dell’Acaia Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata da immigrati spartani.
Dal VI secolo si scatenarono tra colonie greche feroci lotte per l’egemonia e successivamente furono oggetto delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle.
Le tre città achee distrussero verso l’inizio del secolo Siri, mentre fallì il tentativo di Crotone di sottometterne l’alleata Locri. Attorno al 510 a.C. ci fu uno scontro tra Sibari e Crotone; Sibari fu rasa al suolo.
In età arcaica la Magna Grecia costituì una delle aree culturalmente più vivaci del mondo greco: nel tardo VI secolo la conquista persiana dell’Asia Minore produsse un movimento migratorio verso Occidente che vi trapiantò un gran numero di filosofi, intellettuali e artisti (tra i quali Pitagora e Senofane di Colofone), il fenomeno contribuì al sorgere di scuole filosofiche (ad Elea, con Parmenide e Zenone) e mediche (a Crotone) di primissimo piano.
La Magna Grecia svolse così un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura greca a Roma.

Gli Etruschi – La civiltà etrusca fu il frutto dell'innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell'area compresa tra l'Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona, Perugia, Chiusi, Todi, Orvieto, Veio, Tarquinia ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero vita a una Lega formata da dodici città, la dodecapoli.
Ogni città era retta da re, detti lucumoni e magistrati eletti tra i membri della casta aristocratica. Una prima fase espansiva (VIII-VI secolo) portò gli Etruschi a contendere a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509.
L'autonomia di Roma e quindi la crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca, acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a opera dei Greci di Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei Sanniti e contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana. A partire dalla distruzione di Veio nel 395, entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta l'Etruria.
La scarsità di notizie precise attorno agli Etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, la loro lingua (che utilizza un alfabeto assimilabile a quello greco) è stata decifrata con l'aiuto di testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali.
A speciali sacerdoti (gli aruspici, la fama dei quali rimase viva anche in età romana) era affidato il compito di prevedere il futuro e capire la volontà degli dei scrutando le viscere degli animali sacrificati e analizzandone il fegato.
La centralità del culto dei morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose necropoli e tombe isolate disseminate in Toscana e nel Lazio: convinti che il defunto conservasse l'individualità congiunta alle proprie spoglie mortali, concepirono il sepolcro come un abitazione sotterranea, arredata con letti, tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
La società era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle popolazioni preesistenti all'occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti, potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.

Le origini di Roma: l’età dei re - Tra l'VIII e il VII secolo, per motivi di difesa dall'invasione etrusca, il villaggio del Palatino, ingranditosi e sviluppatosi in età precedente, si fuse con quelli vicini, Esquilino, Celio, Viminale, Quirinale, Capitolino. Da questo processo di fusione (di cui rimane il ricordo della festa religiosa del Septimontium, a sottolineare anche il carattere religioso dell'unione), unito all'arrivo di popolazioni sabine, si formò la città di Roma.
Secondo la tradizione, a Roma regnarono 7 re, fino al 509; probabilmente furono di più e quelli ricordati sono solo i più importanti.
I primi quattro avevano origine latino-sabina, gli ultimi tre etrusca.
Morto Romolo durante un temporale (i Romani credettero in una sua ascesa al cielo e lo adorarono col nome di Quirino), gli successe Numa Pompilio. A lui vengono attribuite l'introduzione delle prime istituzioni religiose, la riforma del calendario con l'anno di 12 mesi e 365 giorni e l'occupazione della fortezza etrusca del Gianicolo.
A Tullo Ostilio sono legate le prime azioni militari, la conquista di Albalonga, la vittoria dei tre fratelli romani, gli Orazi, contro i tre fratelli albani, i Curiazi e l'espansione a danno delle popolazioni confinanti. 
Anco Marzio conquistò Ostia e Roma ottenne l'accesso sul mare stabilendo contatti con Etruschi, Cartaginesi e Greci.
Tarquinio Prisco fu il primo re di origine etrusca. Fece costruire il Circo Massimo, il tempio di Giove Capitolino, la Cloaca Massima. In campo amministrativo aumentò il numero dei senatori (da 100 a 200) permettendo l'accesso alla carica anche per meriti personali e non più solo per nobiltà di nascita. 
Servio Tullio (secondo re etrusco) espanse ulteriormente il dominio verso sud; emanò una nuova costituzione basata sul censo (i comizi centuriati) e portò a 300 il numero dei senatori. 
Tarquinio il Superbo (terzo re etrusco e ultimo re di Roma) fu un re dispotico e crudele, sospese le costituzioni e governò arbitrariamente con ogni tipo di sopruso. Secondo una tradizione, Tarquinio fu cacciato dai Romani e chiese aiuto al lucumone di Chiusi, Porsenna, che fu però sconfitto dagli eroi Orazio Coclite e Muzio Scevola. Secondo il racconto di Tacito, invece, fu lo stesso Porsenna a cacciare l'ultimo re. Da allora cominciò a prendere corpo l'ordinamento repubblicano. Dei sette re di Roma, quelli su cui comunque ci sono notizie più attendibili sono gli ultimi tre, perché è certo che la potenza etrusca influenzò anche Roma; per gli altri, purtroppo, spesso la fantasia si sovrappone alla realtà.

L’ordinamento monarchico a Roma - Le principali istituzioni di governo nella Roma monarchica erano tre:

·         Il re la cui carica non era ereditaria: il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo sacerdote) militare (era comandante dell’esercito) e giudiziario (era giudice supremo del popolo). Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il cittadino poteva fare appello all’assemblea del popolo, la provocatio ad populum, e rimettersi al suo giudizio;

·         Le funzioni di governo, compresi i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l’assistenza di due assemblee: il senato e i comizi curiati;

·         Il senato era composto da membri dell’aristocrazia scelti dal re e consultati per decisioni sia di politica estera sia di politica interna; il senato doveva anche approvare o respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei comizi curiati. Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo proponevano ai comizi curiati;

·         Comizi curiati erano formati da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni della popolazione); ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva fornire all’esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un senatore per ogni gens. Le curie potevano riunirsi in assemblea, dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e ratificare le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.

Le classi sociali a Roma - Due erano le grandi classi sociali:
·         I patrizi, aristocratici proprietari terrieri;
·         I plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall’esercito.
I patrizi avevano l’accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi. Con il miglioramento delle condizioni economiche, anche alcuni plebei diventòrono benestanti e iniziarono una serie di lotte per ottenere la parità di diritti. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare, bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un aiuto nella vita pubblica.
Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni, che potevano decidere della loro vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi liberati erano detti liberti.

La religione romana - I culti delle diverse divinità erano affidati a dei collegi sacerdotali, il più importante dei quali era quello dei Pontefici, retto dal Pontefice massimo. Questi, che in età monarchica e imperiale coincideva con il re e con l’imperatore, presiedeva le cerimonie, stabiliva le feste e annotava i fatti storici gli Annales.
Vi erano poi il collegio dei Salii (che presiedeva il culto di Marte), quello delle Vestali (officiava il culto di Vesta, simbolo dell’eternità romana), quello degli Auguri (che dall’osservazione del volo e del canto degli uccelli e delle viscere degli animali sacri, i polli, traeva consigli sulle vie da seguire in caso di decisioni importanti) e quello dei Feziali (depositari del diritto riguardante guerre e alleanze).
Tra gli dei, i tre più importanti erano Iuppiter (Giove), Marte e Quirino. Rilevante era anche l’importanza attribuita alle divinità familiari i Lari, gli spiriti degli antenati, e i Penati, protettori della dispensa.

I Sanniti – I Sanniti erano un antico popolo italico, insediato sugli aridi altipiani dell'Appennino meridionale, parlante lingua del gruppo osco. Ramo del più ampio gruppo dei Sabini, i Sanniti erano a loro volta un popolo dalle molte ramificazioni: i più importanti erano gli Irpini, i Caraceni, i Pentri e i Caudini.
Nei secoli V e IV, alcune tribù si staccarono dal gruppo originario dirigendosi verso le zone costiere alla ricerca di nuove terre più fertili e ricche: un gruppo di Irpini si stabilì nella zona compresa tra il Sele e il Bradano dando origine al popolo dei Lucani; un ramo di questi, i Bruzi, invasero la Calabria sottomettendo parecchie città greche, tra cui Sibari; altri gruppi occuparono invece la Campania dove si amalgamarono velocemente con Etruschi e Greci dando origine a quella che è indicata come civiltà osca.
A differenza di questi gruppi di invasori che assimilarono facilmente la civiltà greco-etrusca, le tribù rimaste nel Sannio conservarono abitudini e forme di vita originarie: dedite alla pastorizia e distribuite in villaggi, (tra cui la capitale Bovianum Vetus, oggi Pietrabbondante), non riuscirono mai a costituire un'unità politica o amministrativa; i vari gruppi, a capo di ognuno dei quali era un meddix (giudice), erano però riuniti in una forte federazione. La figura arcaica del pastore-guerriero prende valenza rispetto alle tradizioni legate alle attività di allevamento, praticate nell’area appenninica centromeridionale fin dall’Età del Bronzo, ed il fondamento di una forte economia rurale sono i tratturi e la rete viaria della transumanza.
Con la nascita della Lega Sannitica come organismo di coordinamento militare già dal V secolo, altre tribù stanzianti nell’Italia centrale si unirono a loro. Il cuore del popolo sannita era la tribù dei Pentri: forti e temibili, essi erano la spina dorsale della nazione. Di stirpe sannita erano sicuramente anche i Campani.

Cartagine - Intorno all’800 alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Qart Hadasht, per i Greci Carcedonia, per i Romani e per noi Cartagine.
Da qui iniziò lo sviluppo della cultura cartaginese, simile per molti versi a quella di Tiro sebbene la storia della sua civiltà, in cui il fenicio si può difficilmente separare da ciò che è libico, presenti un’alternanza di influssi ellenici e di ritorni alla tradizione propriamente punica.
Fino nel 654 quando fu fondata una colonia ad Ibiza, mancano notizie precise sulle sue vicende.
La creazione dell’impero Cartaginese si basò innanzi tutto sul controllo dei territori africani: Cartagine ampliò le sue conquiste in Nord Africa, occupando e fondando città, soprattutto lungo le coste, per la natura desertica di molte aree interne del continente africano, ma anche per la sua spiccata vocazione commerciale.
Questo progetto espansionistico fu attuato con una manovra a ventaglio sia verso l’attuale Libia, sia verso le coste dell’Algeria e del Marocco. In questo modo Cartagine diventò presto il principale centro fenicio d’Occidente, riuscendo ad imporre la propria autorità e supremazia a tutte le altre colonie fenicie preesistenti.
Le ragioni cartaginesi della creazione di una propria zona d’influenza furono determinate:
·         dall’infiltrazione greca nell’area mediterranea, fonte di costante pericolo per le numerosissime colonie fenicie sulle coste del Mediterraneo,
·         dalla natura stessa delle colonie fenicie, che, diversamente dalle colonie greche, erano luoghi di sosta o di approdo, indispensabili per le navi di piccolo cabotaggio che si orientavano di giorno col sole e di notte con le stelle dell’Orsa Minore.
Il crescente sviluppo di Cartagine è riconducibile alla progressiva crisi di Tiro e dell’Oriente fenicio che, sotto i colpi di Assiri, Babilonesi e Persiani, aveva perduto la propria autonomia, giungendo alla condizione di sudditanza.
Nel 654, epoca della fondazione della colonia di Ibiza, i Cartaginesi avevano fissato basi anche in Sardegna ed in Sicilia e, già nel VII secolo, la espansione di Cartagine nel Mediterraneo era complessivamente un fatto reale e di grande rilievo.
Intorno al 600 i Cartaginesi subirono una pesante sconfitta navale da parte dei Focesi che erano riusciti ad insediarsi a Marsiglia, una colonia che permetteva loro di controllare la ricca zona della valle del Rodano.
In questa congiuntura, Cartagine strinse rapporti con gli Etruschi, nel tentativo comune di ostacolare l’espansione greca nel Mediterraneo.
L’alleanza etrusco-cartaginese permise una rivincita sui Focesi: nel 537, nella battaglia di Alalia i Greci furono sconfitti in una dura battaglia sul mare, la potenza Focese fu annientata: alcuni patti sancirono poi la zona d’influenza tra Etruschi e Cartaginesi e determinarono un periodo di forti scambi commerciali, ma anche culturali ed artistici tra le due civiltà.
La vittoria di Alalia segnò un punto di rottura nell’equilibrio commerciale che si era formato nei secoli precedenti tra Etruschi, Greci e Cartaginesi, il punto di discesa della breve parabola Etrusca, e l’apparizione della coalizione latino-cumana.
L’alleanza fra Cartaginesi ed Etruschi ha però un significato più vasto sul piano mediterraneo: essa, infatti, saldava in Occidente la politica anti-ellenica stabilita dalle nazioni orientali sotto la tutela dell’impero persiano.
Con il declino etrusco e  con la proclamazione dell’indipendenza di Roma sancita dalla cacciata dei Tarquini nel 510, la Repubblica Romana stipulò come primo atto di politica internazionale un patto d’amicizia con Cartagine: questo dimostra come nulla potesse accadere di politicamente rilevante in Occidente senza suscitare immediatamente l’intervento di Cartagine che, in quel periodo, era il vero fondamento della storia mediterranea. È sintomatico inoltre che, quando la Grecia bloccò l’avanzata persiana, anche Cartaginese subì una serie di rovesci in Sicilia, rinunciando alle sue pretese egemoniche sull’isola in cui la presenza greca era forte.
Prima di illustrare le fasi dello scontro con i Greci in Sicilia è opportuno comprendere l’eccezionale grado di potenza militare e commerciale raggiunta da Cartagine, citando le colonie più importanti sparse lungo le coste del Mediterraneo occidentale.
È difficile riconoscere gli insediamenti originalmente punici e quelli fenici passati sotto il diretto controllo di Cartagine. Generalmente dove già c’erano numerose colonie fenicie, Cartagine si sostituiva alla madrepatria nell’opera di colonizzazione in Occidente.

I Celti – La cultura dei Celti pare si sia formata già verso il III millennio a.C. Anche se i Celti rappresentano il più importante nucleo di popolazione dell’Europa dell’età del Ferro, le loro origini certe risalgono alla coltura dei campi di urne della tarda età del Bronzo, diffusa nell’Europa centrale e orientale tra il 1300 e l’800. Questa cultura comprendeva genti diverse unite da comuni usanze funerarie.
Verso il 1000 iniziò un vasto movimento migratorio cui parteciparono anche i Celti, i quali discesero verso le regioni occidentali del continente europeo, occupando vasti territori dell’attuale Francia, della penisola iberica e, muovendosi poi verso nord, della Britannia e dell’Irlanda. Continuando le loro migrazioni, oltrepassarono le Alpi e giunsero nella parte occidentale della pianura padana, allora abitata dai Liguri.
Quella avvenuta in Italia non fu un’invasione massiccia, ma continue infiltrazioni di tribù diverse. Nell’ampia area lungo il corso del Po fino alla costa adriatica, regione alla quale i Romani avrebbero in seguito dato il nome di Gallia cisalpina, si stabilirono gli Insubri, i Cenòmani e i Sénoni. Verso est penetrarono nel territorio occupato dai Veneti e verso sud raggiunsero invece alcune zone sotto l’influenza etrusca. Continuarono le loro incursioni in direzione sud.
Gli archeologi dividono la preistoria celtica in fasi che prendono il nome da località austriache e svizzere dove sono stati reperiti molti oggetti:
·         Periodo di Hallstatt (VIII-VI secolo a.C.)
·         Periodo di La Tène (VI-II secolo a.C.).

V MODULO
L’età classica (V-IV secolo a.C.)
Le guerre greco-persiane - Nel 499 la confederazione ionica, assistita da Atene ed Eretria, sotto la guida di Aristagora, tiranno di Mileto, si ribellò al dominio dell’impero persiano la cosiddetta rivolta ionica. Cinque anni dopo, il nuovo sovrano persiano Dario I marciò su Mileto e, dopo averla saccheggiata, ristabilì il controllo assoluto sulla Ionia.
Postosi quindi a capo di una grande flotta, nel 491 fece rotta verso Atene, per punirla dell’appoggio fornito ai ribelli, ma la maggior parte delle navi naufragò al largo del monte Athos. Dario mandò allora messaggeri in tutte le città greche pretendendone un atto di sottomissione. Se la maggior parte di queste cedette, Sparta e Atene respinsero però gli inviati persiani. Dario, a seguito di tale provocazione, preparò una seconda spedizione, che partì nel 490 (prima guerra persiana).
Distrutta Eretria, l’esercito persiano procedette verso la piana di Maratona vicino ad Atene. I capi della città inviarono una richiesta di aiuto a Sparta, ma il messaggio giunse durante una festa religiosa che impedì agli spartani di partire immediatamente. Le forze ateniesi, guidate da Milziade, conseguirono nella battaglia di Maratona un’importante vittoria sull’esercito persiano, molto più numeroso, che fu costretto a ritirarsi.
Dario intraprese allora una terza spedizione (seconda guerra persiana), ma morì prima di poterla portare a termine: lo sostituì il figlio Serse I, succeduto al padre nel 486, che si mise alla testa di un ingente esercito.
Nel 481 i persiani attraversarono lo stretto dell’Ellesponto e si diressero a sud.
I greci opposero il primo tentativo di resistenza nel 480 a.C. al passo delle Termopili, difeso dal re spartano Leonida. Dopo aver vinto l’eroica resistenza del piccolo contingente greco (trecento spartani e settecento tespiesi), i persiani raggiunsero Atene, ormai abbandonata, e la saccheggiarono. Gli ateniesi, nel frattempo, avevano allestito una flotta in grado di competere con quella persiana che seguiva l’esercito a terra.
Al largo dell’isola di Salamina, di fronte ad Atene, 400 navi greche, guidate dello stratega Temistocle, vinsero sulle oltre 1200 nemiche, costringendo Serse a un’affannosa ritirata verso i suoi possedimenti asiatici; nel 479, le residue forze persiane ancora presenti in Grecia furono definitivamente sconfitte nella battaglia di Platea e nella battaglia navale di capo Micale.
Nel 478 l’ultima guarnigione persiana che si trovava a Sesto sull’Ellesponto fu cacciata. La lunga contesa ebbe fine solo nel 449 con la pace di Callia, che allontanò definitivamente la minaccia persiana e diede ad Atene il pieno dominio dell’Egeo.

L’ascesa di Atene - In seguito alla vittoria conseguita sui persiani e quale maggiore potenza navale del suo tempo, Atene divenne la città-stato più influente della Grecia, mentre Sparta perse progressivamente prestigio e supremazia militare.
Nel 477 numerose città-stato si unirono, per iniziativa ateniese, nella lega delio-attica allo scopo di liberare dalla presenza persiana l’intero territorio greco (comprese le coste dell’Asia Minore).
Raggiunto l’obiettivo grazie all’abile guida politica di Aristide e poi di Cimone, Atene iniziò a esercitare un ruolo egemone all’interno della lega, trasformando il rapporto di alleanza con gli altri membri in una sudditanza di fatto, tanto da riscuotere regolari tributi e giungere a distruggere le fortificazioni dell’isola di Náxos, quando questa annunciò di voler abbandonare la lega.
Nel V secolo a.C. Atene segnò il culmine della sua supremazia politica e il punto di massima fioritura culturale, in particolare con Pericle, capo del partito popolare e leader della città dal 460.
Rivestendo per trent’anni consecutivi la carica di stratega, egli completò l’evoluzione democratica della Costituzione di Clistene, introducendo forme di retribuzione per i cittadini che assumessero pubbliche funzioni: permise così anche a membri di classi meno abbienti l’accesso alle magistrature e ai tribunali popolari. Fu inoltre il massimo fautore di quella politica imperialistica nei confronti degli alleati della lega delio-attica cui si è già accennato. Politicamente, infatti, auspicava il sorgere ovunque di regimi democratici, e debellò pertanto presso gli alleati ogni tentazione oligarchica. Dal punto di vista fiscale, invece, accentuò nei loro confronti la pressione tributaria, necessitato anche dalla politica di spesa per le opere pubbliche, ad Atene e nell’Attica, della quale si era fatto promotore.
Nel corso dell’età di Pericle, infatti, fu costruito il complesso monumentale più significativo dell’arte greca, l’Acropoli di Atene su cui si insedia il Partenone[32]. Dopo la costruzione del Partenone i cantieri attivi sull’Acropoli continuarono la loro attività e l’officina organizzata da Iktinos e Kallikrates continuò a dominare la creazione architettonica in Grecia fino alla fine del V secolo a.C. Sull’Acropoli il nuovo tempio esigeva un accesso monumentale. Il precedente ingresso costruito nel VI secolo a.C. non rispondeva più alle esigenze del grande tempio. I lavori cominciarono nel 437-436 a.C. ma non furono mai terminati per l’inizio nel 432-431 a.C. della guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta. A un nuovo architetto Mnesikles strettamente legato all’officina del Partenone per stile e modi costruttivi fu affidato l’incarico per la costruzione dei Propilei. A sud dei Propilei s’innalzava il Tempio di Athena Nike mentre lungo il lato sud delle mura fu costruito l’Eretteo.
Durante il V secolo, inoltre, la letteratura greca raggiunse le sue più alte espressioni con le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide e le commedie di Aristofane, con le opere storiche di Erodoto e Tucidide e il sapere filosofico di Socrate: molti di loro vissero negli anni del governo pericleo.

La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.)Il declino politico di Atene si manifestò tuttavia nell’ambito della politica estera.
Allo scontento degli alleati-sudditi della lega delio-attica si aggiunse una rinnovata capacità di competizione di Sparta. Una lega tra le città del Peloponneso che gravitavano attorno a Sparta esisteva dal 550; nel 431, il malessere a lungo rimasto sopito emerse quando gli abitanti dell’isola di Corcira (attuale Corfù) chiesero aiuto a Sparta per liberarsi del legame imposto loro da Corinto, alleata di Atene.
La lotta che seguì tra le due confederazioni sfociò nella cosiddetta guerra del Peloponneso, che colse Atene orfana di Pericle e in mano a politici o poco capaci come Cleone o troppo ambiziosi come Alcibiade.
La guerra fu distinta in tre fasi:
·         La prima, detta archidamica, durò dieci anni e si finì con la tregua stipulata nel 421 con la Pace di Nicia che stabilì la restituzione, non avvenuta, delle terre conquistate.
·         La seconda fase riguardò il periodo tra la pace di Nicia e la spedizione in Sicilia (421-413). Il nuovo capo della politica ateniese Alcibiade, alleatosi con una lega antispartana, condusse una spedizione in Sicilia che si rivelò rovinosa per i Greci.
·         La terza fase va dalla conquista spartana di Decelea alla caduta di Atene, detta anche guerra deceleica. Mentre Atene era gravemente colpita nel potenziale umano e finanziario ed era lacerata da conflitti interni, Sparta, alleatasi con la Persia, isolò Atene dalle comunicazioni con l’Eubea conquistando Decelea e le sollevò contro numerose città della lega delio-attica. Dopo alcune vittorie e grandi sconfitte, Atene fu costretta a trattare la pace nel 404, che previde la consegna delle navi, l’abbattimento delle lunghe mura che univano il Pireo alla città, il richiamo dei fuoriusciti e l’imposizione dell’alleanza con Sparta.
Il conflitto, protratto fino al 404, portò alla supremazia di Sparta sulla Grecia e all’imposizione del regime oligarchico dei trenta tiranni ad Atene; sistemi di governo simili furono istituiti anche in tutte le città greche dell’Asia Minore.
La dominazione spartana si dimostrò però assai più dura e oppressiva di quella di Atene. Nel 403 la fazione democratica degli ateniesi, guidata da Trasibùlo, si ribellò, scacciò le guarnigioni spartane di occupazione e abbatté il potere dei tiranni restaurando le istituzioni democratiche e la propria indipendenza.

Dall’egemonia spartana a quella tebana - Per liberarsi del giogo spartano, molte delle città greche non esitarono a rivolgersi al nemico di un tempo, la Persia, che dal 399 era tornata a premere sulle colonie dell’Asia Minore, obbligando Sparta ad effettuare ripetute missioni militari nella regione.
Nel 396 Argo, Corinto e Tebe si unirono ad Atene per abbattere definitivamente il potere di Sparta.
La cosiddetta guerra di Corinto, che ne seguì, si concluse nel 387 con la pace di Antalcida, dal nome del generale spartano che si accordò con la potenza persiana, cedendole l’intera costa occidentale dell’Asia Minore in cambio del riconoscimento dell’autonomia delle città greche e del proprio ruolo di gendarme contro il risorgere delle pretese egemoniche di Atene.
Nel 382 la rinnovata supremazia di Sparta impose a Tebe un governo oligarchico, contro cui tre anni dopo si ribellò, con l’aiuto di Atene, il generale Pelopida; nel 371 questi, affiancato da Epaminonda, inflisse nella battaglia di Leuttra una disfatta militare a Sparta, che si vide così sostituita da Tebe nel ruolo di potenza egemone in Grecia.
La nuova posizione raggiunta da Tebe si basava tuttavia in gran parte sull’abilità politica e sulle doti militari di Epaminonda e fu meno quando questi rimase ucciso nella battaglia di Mantinea del 362 contro le forze di una coalizione antitebana promossa da Atene e Sparta, alleatesi tra loro.

La supremazia macedone – Mentre la Grecia era divisa da continue lotte interne, delle quali la battaglia di Mantinea era stata un esempio chiaro, nel vicino regno di Macedonia salì al trono Filippo II nel 359, grande ammiratore della civiltà greca, Filippo era consapevole della profonda debolezza cui essa era condannata a causa della mancanza di unità politica.
Il nuovo sovrano procedette all’annessione delle colonie greche sulle coste meridionali della Macedonia e della Tracia, e nel giro di vent’anni, vinti i tentativi di resistenza sostenuti dall’oratore ateniese Demostene, stroncati con la vittoria nella battaglia di Cheronea del 338 pose fine all’indipendenza della Grecia, sottomettendone progressivamente tutte le città.
Nel 336 mentre si organizzava per muovere guerra alla Persia, Filippo fu assassinato.
Sul trono gli succedette il figlio ventenne Alessandro, che, nel corso di dieci anni, dal 334 al 323 estese l’influenza della civiltà greca in tutto il mondo antico conosciuto, dando vita a un impero che si estendeva dall’India all’Egitto: proprio per questo è conosciuto con l’appellativo di Alessandro Magno.
Dotato di una solida formazione militare e di una cultura letteraria e filosofica secondo il modello greco, essendo stato, tra l’altro, allievo di Aristotele, Alessandro si erse, nelle sue imprese di conquista in Oriente, a campione della grecità contro i barbari.
D’altro canto, però, assunse su di sé i poteri propri della dinastia achemenide, il cui sovrano era detto re dei re e cercò in ogni modo di elevare la propria figura regale al di sopra dell’umanità comune, giungendo a farsi proclamare, nel santuario di Ammone in Egitto, figlio del dio. Niente di simile si era visto prima nel mondo greco, che mai aveva accettato, per i propri governanti, alcuna forma di divinizzazione.
Conclusa la campagna di conquista cominciò per Alessandro un anno di grandi scelte: tra il 331-325 si erano accumulati molti problemi e pericoli per la solidità e l’unità del nuovo impero.
La monarchia di tipo orientale che Alessandro aveva adottato doveva fare i conti con popoli abituate a forme diverse di regalità:
·         gli Egizi, per i quali il Faraone era un dio
·         i Macedoni, per i quali il re era solo il primo fra i nobili
·         i Greci, contrari ad ogni tipo di monarchia per le loro tradizioni democratiche.
Alessandro dovette affrontare il problema dei rapporti fra le diverse nazionalità. La sua risposta fu una politica di fusione tra Greci e Persiani: a Susa diede un segno simbolico dell’integrazione tra le due razze con le nozze in massa tra Greci e Macedoni e donne persiane; egli stesso, già sposato alla battriana Ròxane, prese come mogli due donne della casa reale persiana.

Cartagine - Tra il V e il IV secolo, Cartagine raggiunse completamente la sua affermazione, rispetto alla madrepatria e rispetto al mondo greco: sulle coste africane aveva, infatti, realizzato uno stato potente ed autonomo, dotato d’una politica propria e specifica.
In tale politica, che per il suo intento commerciale richiama l’eredità fenicia, ma su nuove basi e da un nuovo centro di gravità, non ha alcuno spazio l’affermazione di un’idea imperiale: le colonie Cartaginesi restano colonie e non si legano con vincoli di sudditanza alla loro madrepatria. Proprio questa caratteristica politica determinò il crollo di Cartagine nello scontro con Roma.
Per la prima volta Cartagine è l’ispiratrice di una tenace resistenza al mondo greco: i Cartaginesi avevano come obiettivo la conquista dell’intera Sicilia, di cui controllavano inizialmente solo l’estremità occidentale, dove già i Fenici avevano stabilito dei centri commerciali.
L’offensiva punica era coordinata con i Persiani che stavano invadendo la Grecia: nel 480 si svolsero la battaglia di Salamina, terminata con la vittoria degli Ateniesi sulla flotta persiano-fenicia, e la battaglia di Imera, terminata con la vittoria di Gelone, tiranno di Gela e poi di Siracusa, contro i Cartaginesi che avevano assediato Terone, tiranno di Imera, e minacciavano di dilagare in tutta l’isola.
I danni per i Cartaginesi nella battaglia di Himera furono gravi: l’esercito fu in parte distrutto e in parte catturato, le navi furono quasi completamente perdute, pochi superstiti salparono e portarono in Africa la triste notizia che sconvolse i piani e gli animi dei Fenici e dei loro alleati Persiani.

La grecità italica - La vittoria nella battaglia di Himera diede a Siracusa gloria e ricchezza. Siracusa iniziò una politica espansionistica ai danni di Atene, che dovette cedere le armi.
Quando verso il 493-492 gli Etruschi giunsero allo stretto di Messina, attaccando le isole Lipari, e quando essi decisero di attaccare Cuma ed i Cumani chiamarono in aiuto i Siracusani, nel 474 Ierone di Siracusa sconfisse la flotta etrusca nella battaglia di Cuma.
La lotta di Siracusa continuò contro Cartagine con esiti oscillanti e devastanti fino all’avvento dei Romani che approfittarono della congiuntura a loro favorevole.
Negli anni centrali del V secolo, su iniziativa degli Ateniesi, fu fondata sul sito dell’antica Sibari la colonia di Turi, osteggiata dai Tarantini.
Più tardi, Dionigi I, tiranno di Siracusa, passò gran parte della sua vita a combattere i Cartaginesi.
Più volte questi furono sul punto di conquistare Siracusa, ma Dionigi seppe riunire Siculi e Greci, le cui forze congiunte riuscirono a respingere gli attacchi dei Cartaginesi che furono di nuovo confinati nella parte occidentale dell’isola.
Negli ultimi anni del V secolo Crotone, Turi, erede di Sibari, Caulonia e Metaponto si unirono nella Lega italiota per difendersi dagli attacchi dei Lucani e di Dionigi I tiranno di Siracusa; alla Lega aderì in seguito anche Reggio, mentre Locri e Taranto furono dalla parte del tiranno. Dionigi, nel 389 sconfisse l’esercito della Lega, espugnò e distrusse Reggio, ridusse la Lega sotto il controllo di Taranto che, col procedere del IV secolo, dovette spesso far ricorso a condottieri greci per difendersi dalle popolazioni sabelliche e iapigie.
Ancora Timoleonte, generale corinzio divenuto tiranno di Siracusa, nel 339 sconfisse i Cartaginesi nella battaglia del Crimiso e li costrinse a ritirarsi al di là dell’Alico.
Agatocle, tiranno di Siracusa, nel 310, per liberare la Sicilia, decise di portare la guerra in Africa, ma non ebbe fortuna e, nel 307, dovette restituire le città liberate.

I Celti - Fin dal V secolo. i Celti (chiamati Galati dai Greci e Galli dai Romani) avevano occupato la Pianura Padana ed erano scesi fino alle Marche e all’Umbria. Tra il IV e il III secolo il mondo celtico attraversò un periodo di instabilità, forse dovuto alla pressione dei popoli nordici, che provocarono una serie di migrazioni: i Celti penetrarono nel mondo greco-romano, invadendo l’Italia settentrionale, la Macedonia, la Tessaglia, e saccheggiando Roma (390) e Delfi (279), ma qui senza successo, pur rimanendo nei Balcani.
Nel 225 il loro potere cominciò a vacillare in seguito alla sconfitta inflitta dai Romani a Talamone, e la loro supremazia in Europa cominciò a declinare, anche se occorsero altri 200 anni prima che Cesare sottomettesse la Gallia nel 58 e un altro secolo ancora prima che la Britannia fosse annessa all’Impero Romano. Ma la loro storia non termina con la conquista romana. I Celti infatti continuarono ad esistere in tutta Europa e sono rimaste vive le loro idee, le loro superstizioni, le loro feste popolari, i nomi che hanno dato alle località. Inoltre, i Romani non riuscirono a conquistare l’Irlanda e la Scozia, e in queste regioni, come pure nel Galles e nell’isola di Man, la cultura celtica continuò a sussistere, e con essa l’arte, la religione e le lingue celtiche.

La crisi degli Etruschi – Alleati di Cartagine, gli Etruschi erano riusciti ad imporsi alle colonie greche del meridione d’Italia, contrastandone con efficacia l’espansione sia sulla terra che sul mare.
Nel frattempo nelle città etrusche si era consolidato il sistema istituzionale delle repubbliche oligarchiche, dominate da un’oligarchia gentilizia, con magistrati genericamente designati come principes. Anche in Etruria si avverte la tendenza a spezzettare il potere ed a porlo sotto un costante reciproco controllo, per evitare l’affermarsi del potere personale.
L’irrigidimento delle istituzioni oligarchiche è molto accentuato in Etruria: anche i movimenti di rivendicazione pubblica delle classi inferiori in Etruria non hanno generalmente la possibilità di inquadrarsi in uno sviluppo progressivo delle istituzioni verso l’avvento al potere della classe plebea, ma si risolvono talvolta in parentesi di anarchia popolare.
La loro politica espansionistica li portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Celti a nord. Verso il 493-492, gli Etruschi giunsero allo stretto di Messina, attaccando le isole Lipari, mentre gli Etruschi della Campania decisero di attaccare Cuma.
In seguito alla sconfitta subita nel 474 nella battaglia di Cuma, la decadenza etrusca si accelerò e con essa gli Etruschi persero il controllo del Mar Tirreno.
Dalla seconda metà del V secolo a.C. lo scenario mutò radicalmente: mentre le città etrusche avevano, infatti, raggiunto il massimo dello sviluppo economico, le colonie greche diedero vita ad una travolgente crescita culturale e politica. Nel 414-413, durante la guerra tra Atene e Siracusa, gli Etruschi fornirono aiuti navali ad Atene, che tuttavia fu sconfitta.
Roma fu la prima a liberarsi dalla supremazia etrusca con la cacciata dei Tarquini verso il 510, poi se ne liberarono i Latini, che, sostenuti da Aristodemo di Cuma, ad Ariccia, nel 506 li sconfissero in battaglia.
Gli avamposti degli Etruschi in Campania rimasero in tal modo isolati si indebolirono dopo la sconfitta navale a Cuma ed andarono del tutto perduti nel 423 con la conquista di Capua da parte dei Sanniti.
Al nord la discesa dei Celti travolse i centri etruschi della pianura Padana all’inizio del V secolo.
Anche ai confini tra Etruria e Lazio era sorto un nuovo consistente pericolo: Roma, un tempo dominata e governata da una dinastia etrusca si era resa indipendente quindi con la crescita della sua potenza, passò all’offensiva, scontrandosi con gli Etruschi.
Con la caduta della monarchia filoetrusca, la rivalità tra Roma e Veio si accese per il controllo del Tevere e delle saline alla sua foce. Nel 485 i Romani iniziarono la lunghissima guerra contro Veio che si concluse nel 394 con la conquista di Veio.

Dalla Monarchia alla repubblica romana - Cacciato l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, dalla rivolta del nobile Collatino, la cui moglie era stata oltraggiata da Sesto, figlio del re, la monarchia fu sostituita da un governo repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per alcuni anni, Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le popolazioni latine, preoccupate della sua ascesa.
In realtà le ragioni erano più profonde: Roma stava crescendo ed il re non riusciva più ad attendere a tutti gli impegni; il suo governo si era fatto dispotico e i patrizi avevano perso il loro potere politico. Tutto ciò fu motivo di ribellione. Il potere fu affidato a due consoli, Bruto e Collatino nel 509.
Delle teorie proposte per spiegare il passaggio dalla monarchia romana alle magistrature repubblicane due sono le più diffuse:
·         il concetto dell’evoluzione continua e necessaria,
·         l’idea di un’innovazione improvvisa ricollegabile all’imitazione di istituti stranieri (greci, latini o anche etruschi).
Agli inizi dello stato repubblicano, prima dell’affermazione delle magistrature collegiali, ci fu una fase di magistrature singole o preminenti, a carattere prevalentemente militare, quasi dittature stabili, sostituitesi alla regalità arcaica.

L’ordinamento repubblicano – Le maggiori cariche della Repubblica romana, delineatasi tra il V e il IV secolo erano di carattere elettivo, erano rinnovate periodicamente, erano un servizio prestato gratuitamente ed erano collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica.
·         I due consoli, che restavano in carica un anno, comandavano l’esercito, convocavano il senato e i comizi, e giudicavano i reati più gravi.
·         i questori che si occupavano originariamente della finanza ebbero in seguito parte dei compiti dei consoli.
·         un dittatore che poteva essere nominato nei momenti di grande pericolo per lo Stato, in carica per sei mesi, sostituiva i consoli.
·         i pretori, in origine comandanti delle truppe fornite dalle tre tribù dei Ramnii, Tizii e Luceri e poi amministratori di funzioni giudiziarie
·         i censori (dal 443) che rimanevano in carica diciotto mesi, ogni cinque anni, con l’incarico di compilare le liste del censo e dei senatori, in seguito, di vigilare sulla condotta morale dei cittadini.
·         il senato era composto da coloro che avevano già esercitato una delle magistrature superiori. Aveva un potere di tipo consultivo, ma, di fatto, diventò l’organo più importante in quanto doveva approvare le proposte di legge, controllare le finanze, deliberare sulla guerra e sulla pace, concedere la cittadinanza e l’autonomia a città e popolazioni e istituire le province.
·         i comizi curiati già esistenti in età regia, conservarono il solo compito di conferire la formale investitura sacrale ai magistrati
·         i comizi centuriati costituivano le assemblee popolari, eleggevano consoli e magistrati, approvavano le proposte del senato ed esercitavano funzioni giudiziarie. La popolazione fu divisa in 193 centurie, ognuna portatrice di un voto; le prime 98 erano costituite dai cittadini più ricchi (anche plebei) che così avevano la maggioranza.

Le prime guerre di Roma repubblicana – Le prime guerre condotte dalla Roma repubblicana mirarono a riaffermare la propria importanza in seno della Lega latina: le città latine, preoccupate del rafforzamento di Roma, la affrontarono federate nella Lega latina, un’alleanza di tipo difensivo, e, dopo un conflitto (496-493) da cui le città latine uscirono sconfitte, il console Spurio Cassio firmò con queste città il Foedus Cassianum, un patto favorevole a Roma.
Iniziò così la fase espansiva di Roma e fino al 430 Roma combatté altre guerre: con l’aiuto delle città-stato latine, di cui si era posta a capo in base al Foedus Cassianum, la città si annesse nuovi territori, sconfiggendo i Volsci e gli Equi, dando inizio alla pratica della deduzione delle colonie. Di queste due guerre rimasero leggendarie le gesta di Coriolano che passò dalla parte dei Volsci, ma poi si ritirò, andando incontro alla morte, e di Cincinnato che ritornò all’attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i Volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento.
Dopo la sconfitta dei Volsci, ragioni economiche spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di Veio che, dopo un lungo assedio, fu espugnata e distrutta da Furio Camillo nel 396. Roma, per la prima volta annesse i territori conquistati, che non diventarono colonie latine, ossia cioè di tutta la compagine, ma territori esclusivamente romani. Ciò perché Roma in questo caso agì da sola, non essendo la guerra contro Veio e contro le città confinanti d’interesse per le altre città che componevano la Lega.
La pratica dell’annessione d’ora in avanti si diffuse sempre più, trasformando progressivamente Roma nella massima potenza italica e permettendole di sciogliere la stessa Lega latina.
Successivi alla conquista dei territori etruschi furono l’invasione ed il saccheggio gallico di Roma del 390.
Da questo episodio Roma ebbe una nuova alleata, la vicina città etrusca di Caere, col cui aiuto essa riuscì a frenare l’avanzata gallica nel 383: Caere ottenne i legami più stretti con Roma, come ad esempio il diritto di ospitalità.
In questi anni Roma continuava a crescere (sia a nord sia a sud), tanto sul piano dei territori quanto su quello delle zone d’influenza.

Le tensioni interne a Roma tra patrizi e plebei - Fin dai primi anni della Repubblica si diffuse il malcontento tra i plebei, costretti al servizio militare senza ricevere il ricavato dei bottini ed esclusi dall’accesso alle magistrature e dal matrimonio con i patrizi.
La prima protesta fu attuata nel 494 a.C. quando i plebei, ritiratisi sul Monte Sacro o, secondo un’altra tradizione sull’Aventino, decisero di non lavorare e di non combattere. Il patrizio Menenio Agrippa riuscì a convincerli a tornare, promettendo delle riforme in loro favore.
I plebei ottennero così l’istituzione:
·         dei tribuni della plebe, che difendevano i loro interessi e avevano diritto di veto sulle decisioni dei magistrati,
·         dell’assemblea
·         dell’edilità, una magistratura in cui due rappresentanti plebei, gli edili, affiancando i tribuni, curavano gli interessi della plebe.
Nel 451-450, alcuni patrizi, riuniti nel collegio dei decemviri, redassero un corpo scritto di leggi penali e civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei ottenevano diritti pari ai patrizi.
La lotta continuò e, con le leggi Licinie Sestie del 367 i plebei ottennero:
·         l’abolizione del divieto dei matrimoni misti,
·         l’accesso alla questura, al consolato e ai collegi sacerdotali,
Con la legge Ortensia del 287 i plebei ottennero il riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, dette comizi tributi le cui deliberazioni, i plebisciti erano vincolanti per tutto il popolo.

I Sanniti conquistano la Campania - La costituzione di uno stato federale del Sannio, con la Lega sannitica, nacque dall’esigenza di tutelare interessi economici comuni alle genti appenniniche, ma anche delle attività economiche che si differenziavano dalle popolazioni di pianura. I Sanniti erano stanziati nelle terre e negli altipiani compresi nella catena montuosa degli Appennini, per un lungo tratto del centro e del meridione d’Italia, avevano un’economia prevalentemente basata sull’allevamento animale, rispetto alle popolazioni delle pianure che si estendevano dagli Appennini verso i mari e dove l’agricoltura era l’attività preponderante.
Durante il V secolo i Sanniti iniziarono a scendere dai monti del Matese lungo la Valle del Volturno, per espandersi nell’attuale Campania, ricca zona di confine tra le influenze etrusca e greca. Alla metà del secolo, approfittando della debolezza etrusca e delle discordie interne tra i Greci, i Sanniti si impadronirono di Capua e di Cuma. Queste lotte di espansione dei Sanniti nascevano dall’esigenza di reperire nuovi pascoli per il proprio bestiame a discapito delle terre coltivate dalle popolazioni di pianura e quindi, da una contesa tra allevatori ed agricoltori.
All’epoca, i mercati più ricchi erano gli insediamenti degli Etruschi dell’agro campano e, spostandosi verso la costa tirrenica lungo il corso del Volturno, giungevano fino alle colonie di Cuma e del suo golfo, da secoli dominio dei Greci.
Le direttrici d’espansione dei Sanniti furono essenzialmente due:
·         la prima fu la conquista ed il controllo di Capua, grande mercato nell’enclave etrusco delle merci e delle mercanzie da e per i territori del Lazio e dell’Etruria;
·         la seconda fu verso le colonie greche di Cuma e di Poseidonia, dove si puntava a raggiungere ed a mantenere una discreta presenza commerciale per usufruire della rete comunicativa esistente tra le colonie della Magna Graecia e dei traffici tra queste e gli stanziamenti dell’Etruria meridionale e dell’alto Lazio.
Il controllo di questi stanziamenti rappresentò il traguardo da raggiungere, per portare a maggior profitto le merci prodotte nel Sannio e per controllare che gli Etruschi non ostacolassero lo sviluppo dell’economia pastorale a favore degli appezzamenti di terreno coltivato, sottraendo così fertili aree alle grandi masse di mandrie di cui i Sanniti avevano bisogno per l’allevamento.
La loro espansione si scontrò quindi con gli insediamenti agricoli degli Etruschi, che dell’agro capuano avevano fatto il loro ricco granaio.
Quando la Lega Sannitica si spinse verso i territori che si aprivano verso le coste tirreniche, riuscirono a trasformare le sparse popolazioni indigene di quelle terre in un’unità tribale e la città etrusca di Capua diventò capitale dei Campani, estromettendo l’etnia etrusca a vantaggio delle popolazioni natie.
I rapporti commerciali e di amicizia tra i Touti stanziati e confinanti in quell’area si incrinarono, quando gli interventi romani per la salvaguardia dei propri interessi economico-espansionistici verso il sud dell’Italia diventarono pressanti.

La decadenza degli Etruschi - A metà del IV secolo gli Etruschi avevano ormai perso la Campania, passata ai Sanniti, la Corsica, passata ai Greci, ed ampie zone dell’Etruria meridionale, passate ai Romani.
Dalla metà del IV secolo la potenza commerciale e militare degli Etruschi si era ridotta a città-stato, arroccate nei loro territori di origine nell’Italia centrale. In Padania i Celti continuavano infatti ad avanzare: avevano oltrepassato il Po ed erano arrivati all’Adriatico. La Padania etrusca era scomparsa.
Alla distruzione romana di Veio nel 395 seguì la conquista di Sutri e Nepi, poi, avendo i Tarquinati cominciato a saccheggiare l’agro romano nelle zone di confine dell’Etruria, Roma scese in guerra contro Tarquinia.
Nel 312 gli Etruschi decisero di armarsi contro Roma, allora alle prese con i Sanniti. Una guerra su due fronti era pericolosissima per Roma. Era la prima guerra etrusca contro Roma. Nel 311 iniziarono le ostilità. Nel 302 scoppiò una guerra civile ad Arezzo: la plebe si sollevò per scacciare la potente famiglia etrusca dei Cilnii, di stirpe reale, e questi chiamarono in aiuto i Romani, con cui avevano stretto una pace trentennale: il dittatore Marco Valerio Massimo sconfisse le forze etrusche nei pressi di Roselle e fu concluso un armistizio biennale.

Dall’irruzione dei Galli all’espansione di Roma nella penisola – Verso il 400 i Celti superarono le Alpi, abbandonando il loro stanziamento nella Germania meridionale ed entrarono nella pianura padana e continuarono la loro calata verso sud. Quando i Celti valicarono l’Appennino, nessun esercito fu schierato a difesa dell’Etruria: nel 390 alcune migliaia di uomini, guidati da Brenno, devastarono Chiusi e calarono sul Lazio, saccheggiando e incendiando anche Roma. Lo scacco subito dalla città spinse i vecchi nemici, alleati o sottomessi, a ribellarsi, ma Roma, in una serie di guerre svoltesi in circa 40 anni, riuscì a ristabilire il suo potere.

Lo scontro romano-sannitaNel 343, in cambio della completa sottomissione, Roma intervenne in aiuto di Capua contro i Sanniti che, dopo il crollo etrusco, avevano occupato la Campania. Iniziò così un conflitto per il controllo dell'Italia centro-meridionale che durò oltre 50 anni.
Tra il 343 e il 341 a.C. i Romani ottennero le prime vittorie.
Un secondo conflitto, tra il 340 e il 338 a.C., oppose i Romani ai Sanniti affiancati dalla Lega latina. Al termine i Romani vittoriosi trasformarono le città laziali in municipi o città federate.
Tra il 326 e il 304, Roma, nonostante lo scacco delle Forche Caudine (i militari denudati dovettero passare sotto un giogo di lance davanti ai nemici) ottenne altre vittorie.
Con l'ultimo conflitto, tra il 298 e il 290, i Sanniti furono definitivamente sconfitti con i loro alleati Galli, Etruschi e Umbri. Roma, padrona dell'Italia centrale, mirò alla Magna Grecia.

VI MODULO
L’età ellenistica (323-146 a.C.) – L’età ellenistica è compresa tra la morte di Alessandro Magno e la trasformazione della Grecia in provincia romana nel 146. Essa segnò il trionfo della cultura e della civiltà greche, che si elevarono a modello universale in ogni regione del Mediterraneo antico.
La morte di Alessandro Magno, nel giugno del 323, pose fine al progetto di uno stato universale. Il suo impero era troppo vasto e vario per qualunque  sistema politico e sicuramente il sistema monarchico macedone non era all’altezza di questo compito.
Il potere macedone passò nelle mani dei suoi generali, che entrarono ben presto in conflitto tra loro per la suddivisione del vasto impero che Alessandro aveva creato, e la lunga serie di guerre, tra il 322 e il 281, ebbe come teatro la Grecia.
In mancanza di un erede diretto di Alessandro la reggenza era stata affidata a Cratero e l’esercito a Perdicca, ma ben presto prevalsero le forze disgregatrici, favorite:
·         dall’ambizione personale dei singoli generali,
·         dall’enorme estensione e dalla disomogeneità dell’impero.
·         Ad Antipatro fu affidato il governo della Macedonia e della Grecia, a Lisimaco la Tracia, ad Antigono l’Asia Minore, ad Eumene la Cappadocia, a Tolomeo l’Egitto e a Perdicca Babilonia e le province orientali.
Alla fine dell’età dei diadochi (dal greco diádochos, cioè successore), i generali di Alessandro si erano consolidati tre grandi regni ellenistici:
·         il regno di Macedonia, che comprendeva la Grecia, appartenente agli Antigonidi, discendenti del generale Antigono;
·         il regno d’Egitto appartenente ai Tolomei, discendenti del generale Tolomeo;
·         il regno di Siria, comprendente anche la Mesopotamia e la Persia, appartenente ai Seleucidi, discendenti del generale Seleuco;
A questi tre regni si aggiunse poi il regno di Pergamo, appartenente agli Attalidi, discendenti del generale Attalo.
I regni ellenistici, nati dalla frantumazione dell’impero di Alessandro, ebbero una storia durata quasi tre secoli. Tuttavia lo stato di guerra continuò anche dopo il 281 tra gli epigoni, successori dei diadochi.

La fine dell’esperienza della polis – L’esperienza della libertà civica delle singole póleis era ormai superata e, dopo la costituzione dell’impero di Alessandro e dei suoi successori, assolutamente irripetibile; non si era persa quella libertà intellettuale e quella creatività, che aveva contraddistinto il genio dell’uomo greco nei secoli precedenti.
La Grecia aveva perso la sua stabilità economica e subiva la concorrenza economica dei regni orientali, che l’impoverivano.
Nel 290 le poleis greche tentarono di riguadagnare l’indipendenza, unendosi in istituzioni di tipo federale come la Lega etolica e la Lega achea 280.
Entrambe le leghe cercarono di porre fine al dominio macedone, ma la crescente potenza acquisita dalla Lega achea, la spinse ad ottenere il controllo della Grecia: guidata da Arato di Sicione, entrò in conflitto con Sparta, in una guerra in cui si appellò alla potenza macedone per avere ragione della resistenza spartana, che infine fu piegata, ma a costo di consolidare definitivamente la dipendenza della Grecia dalla Macedonia.

La cultura ellenistica – I regni ellenistici portarono in Oriente ed in Egitto la cultura greca. Quest’espansione politica e culturale rappresentò per il mondo greco-macedone un momento di forte crescita economica, grazie alla circolazione di grandi quantità di metallo prezioso, bottino conquistato nelle guerre persiane.
Nuove città furono fondate, altre preesistenti furono rifondate o abbellite: le più importanti furono Pergamo in Asia Minore, Antiochia in Siria e, soprattutto, Alessandria (fondata dallo stesso Alessandro Magno nel 332) in Egitto.
L’Egitto ellenistico, sotto i Tolomei, conobbe una nuova fase di prosperità e di ricchezza. I Tolomei utilizzarono le loro ricchezze per richiamare a corte poeti, eruditi, artisti e scienziati, ed Alessandria diventò il massimo centro economico, culturale e religioso di tutto il Mediterraneo. Crocevia di razze, lingue, merci di ogni provenienza, i Tolomei fondarono ad Alessandria una grande biblioteca, presso la quale prosperarono parimenti le discipline scientifiche e quelle umanistiche, ed il Museo, un importante istituto di ricerca in cui letterati, astronomi, matematici, medici, dove potevano dedicarsi ai propri studi a spese dello Stato.
Centri culturali ragguardevoli furono anche:
·         Rodi, sede di un’importante scuola oratoria;
·         Antiochia, capitale del regno di Siria e sede di una grande biblioteca, in competizione con Alessandria
·         Pergamo, sede di un’importante scuola di scultura.
Questa nuova cultura greco-orientale è giunta a noi attraverso Roma, Bisanzio e l’Islam. Questa è la più importante eredità di Alessandro: a lui si deve, se la civiltà greca ha esercitato una così forte influenza su tutta la cultura occidentale, perché fu Alessandro che ne promosse la sua divulgazione attraverso l’ellenismo.
Le aristocrazie urbane di questi regni utilizzavano il greco come lingua comune dell’economia e della tecnica, perché il commercio era praticato soprattutto da mercanti greci che svilupparono anche il credito e il sistema bancario; l’oro e l’argento furono utilizzati per coniare nuove monete, le quali favorirono gli scambi commerciali praticati su larga scala dalla Scizia meridionale, attraverso il mar Nero e il Mediterraneo, fino alle coste celtiche e a Cartagine.
Ciò ebbe un’importanza enorme nella diffusione della cultura greca. Ogni popolo continuò a mantenere le proprie tradizioni e i propri valori, ma la cultura adottata dai gruppi sociali più ricchi fu quella greca.
Le città furono costruite secondo i modelli greci: con teatri, palestre, terme, ippodromi, biblioteche, templi e altari. In queste grandi città, da Alessandria a Tiro, da Antiochia ad Atene, poeti, storici, matematici, ingegneri, astronomi scrissero e pubblicarono le loro opere in greco.
L’arte e la letteratura si svilupparono attraverso la combinazione di elementi greci e di tradizioni locali. Sorsero anche nuovi generi letterari, grazie a poeti come Callimaco, Apollonio Rodio e Teocrito:
·         il mimo, breve composizione teatrale di argomento comico;
·         l’idillio, poema di argomento pastorale;
·         il romanzo d’avventura e d’amore;
·         la novella;
·         la favola, d’origine orientale, tradotta in greco da Esopo (VI secolo) .
Il settore scientifico ebbe un grande sviluppo, vi furono studiosi di grande rilievo nel campo della matematica, della geometria, dell’astronomia e della medicina, come Euclide, Archimede, Apollonio di Perge, Eratostene, Aristarco di Samo, Ipparco di Nicea, Erone di Alessandria
Molte conoscenze trasmesseci in lingua greca dagli studiosi dell’epoca erano tuttavia frutto di studi e ricerche precedenti.
Anche nella scultura e nella pittura si ebbero alcune novità. La scultura in particolare tentò di rappresentare i sentimenti e le emozioni dell’uomo, ma riuscì anche a cogliere momenti della vita quotidiana, raffigurati con grande realismo.
Infine, l’influenza greca e la diffusione in tutto il mondo orientale di una base culturale comune, modificarono anche la vita religiosa. Ebbero un’enorme diffusione i culti legati a divinità come Dioniso e Orfeo, i quali davano a tutti la speranza di una vita oltre la morte.
Molto viva fu anche la speculazione filosofica con pensatori come Epicuro e Zenone.
L’età ellenistica fu un periodo fiorente per le arti, le lettere e le scienze: Alessandro aveva fondato città greche in tutto il vicino Oriente, così la cultura greca non solo fu diffusa, ma profondamente assimilata nelle culture delle varie regioni. Questo creò spesso tensioni fra le popolazioni dell’ex impero alessandrino che spesso si dividevano tra filo-greci e tradizionalisti. Non tutti i popoli furono capaci di conservare le loro tradizioni di fronte all’influenza greca. Comunque l’influenza culturale tra Grecia ed oriente fu reciproca, per questo l’Oriente si impose nel campo religioso, gli Egiziani in campo filosofico e scientifico.
Ma il quadro politico rappresentato dai regni ellenistici era destinato a mutare sotto la spinta dell’emergente potenza di Roma.

La fine del mondo etrusco - Durante il III secolo le città stato etrusche furono coinvolte nella lotta contro la potenza romana. Prive di una forte identità nazionale le superbe città-stato, non riuscirono a coordinare una resistenza efficace, e furono così sconfitte una ad una.
Con la perdita dell’indipendenza politica si concludeva il ciclo di un antico popolo che per secoli aveva primeggiato, per cultura e per ricchezza, nel bacino del Mediterraneo occidentale.

La grecità italica – Logica conclusione delle guerre sannitiche fu per Roma lo scontro con le città magno-greche del sud d’Italia.
La richiesta d’aiuto di Turi contro i Lucani, la città magno-greca, governata da un’oligarchia in crisi, minata dalla presenza di movimenti democratici, fu la molla che portò alla guerra contro l’intera compagine greca.
Roma intervenne nelle questioni interne di Turi, incontrò l’opposizione di Taranto con cui aveva firmato un trattato di non interferenza nel 303.
Di lì a poco scoppiò la guerra tra le due città nel 282. Taranto chiese contro i Romani, a loro volta intervenuti in aiuto di Turi, l’intervento di Pirro, re dell’Epiro, una regione della Grecia nord-occidentale, che nel 280 sbarcò in Italia con 30 000 uomini e 20 elefanti.
I Romani furono inizialmente sconfitti.
Quando Pirro intervenne in Sicilia a favore delle città greche contro i Cartaginesi, la guerra riprese e terminò con la vittoria romana nel 275 nella battaglia di Maleventum, nome che fu allora trasformato dai Romani in Beneventum. Pirro (dopo un conflitto lungo e logorante) tornò nel 275.
Il risultato del conflitto (280-275) fu la sottomissione della Magna Graecia a Roma.
Per la prima volta, Roma si farà sentire anche oltre gli angusti confini del mare Adriatico e la sua fama giunge fin nei territori della compagine ellenistica, riconobbe in Roma una grande potenza internazionale.
In questi anni Roma inizia una propria attività di monetazione, smettendo di utilizzare per le proprie transazioni commerciali le monete di altri paesi: un altro segno della sua crescente importanza e della sua apertura ad un più ampio orizzonte economico e culturale.

L’espansione di Roma nella penisola - Dopo aver combattuto l’invasione dei Galli a nord ed aver conquistato l’Italia meridionale, sconfiggendo i Sanniti ed occupando Taranto e la Magna Grecia, Roma esercitava ormai il suo potere fino allo stretto di Messina, secondo ordinamenti diversi:
·         i municipi avevano autonomia amministrativa, ma dovevano fornire truppe e pagare un tributo, solo alcuni avevano i diritti politici;
·         le città federate, liberamente alleatesi con Roma, avevano autonomia amministrativa, non pagavano tributi, ma non avevano diritti politici e dovevano fornire le truppe;
·         le colonie, pratica consistente nel trasferire in veste di coloni alcuni dei propri abitanti sui territori sottratti ai vinti, se gli abitanti erano Romani avevano diritti civili e politici, mentre se gli abitanti erano Latini avevano gli stessi diritti delle città federate.

Lo scontro Roma-Cartagine – Giunta al culmine del suo apogeo economico e politico, Cartagine, che aveva acquisito il monopolio commerciale nel Mediterraneo imponendo che le navi commerciali potessero approdare solo a Cartagine e non nelle sue colonie, si vide sulla strada la potenza crescente dei Romani che miravano ad impadronirsi della Sicilia. Cartagine avvertì subito la pericolosità dell’avversario e l’urgenza di contrastarlo ad ogni costo.
Conquistata l’Italia meridionale, Roma si trovò a confronto con Cartagine, che dominava nel Mediterraneo occidentale, possedendo parte della Sicilia e colonie in Sardegna, Corsica, Spagna e Baleari. A causa degli intralci reciproci nei traffici commerciali, a lungo andare, la convivenza di queste due grandi potenze, che erano state alleate, subì una rottura.
Lunghi conflitti opposero allora Roma e Cartagine tra il III e il II secolo, al cui termine Roma cominciò l’ascesa a massima potenza del Mediterraneo. La terza guerra si concluse addirittura con la completa distruzione della città africana.
Lo scontro tra Roma e Cartagine durò più di cento anni e subito tutti si resero conto che il risultato avrebbe deciso le sorti di tutto il Mediterraneo occidentale. Per questo, le guerre romano-puniche assunsero dimensioni drammatiche, poiché c’era in gioco la sopravvivenza stessa delle due potenti città e civiltà da esse scaturite.
Dal 510 al 306 Cartagine aveva stretto con Roma tre patti di collaborazione, mantenendo intatti i traffici, dando aiuto ai romani nei porti, aiutandosi a vicenda in caso di aggressione da altri popoli, non costruendo città in Sardegna.
I primi rapporti tra le due città furono di tipo amichevole: nel 508 fu stipulato un trattato di navigazione e di commercio con cui entrambe le potenze si impegnavano a limitare le espansioni l’una a danno dell’altra. Questo trattato fu rinnovato nel 348 e nel 306, definendo ancora più precisamente le rispettive zone di influenza.
La rottura avvenne nel 264 quando i Mamertini di Messina chiesero l’intervento dei Romani per difendersi dai Cartaginesi. Roma inviò così un esercito, guidato dal console Appio Claudio, contro Cartagine e il suo alleato Gerone II di Siracusa, che però dal 263 passò dalla parte dei Romani.
La prima guerra sferrata da Roma contro Cartagine (265-241) mirava alla conquista della Sicilia, secondo un disegno strategico militare ed economico. Cartagine non seppe prevedere il pericolo romano, né contrastarlo con tutta l’energia necessaria, dovendo anche combattere contro le città della Magna Grecia, ed affrontare le sollevazioni indipendentiste in Africa che cominciavano a guardare con favore l’Impero romano nascente.
Decisiva per l’esito della guerra fu la capacità dei Romani di fronteggiare la tradizionale superiorità navale di Cartagine. Nel 260, grazie all’uso dei corvi (ponti mobili che permettevano di agganciare le navi nemiche), la flotta romana comandata da Caio Duilio sconfisse quella Cartaginese a Milazzo.
Dopo il fallimento della spedizione in Africa di Attilio Regolo nel 256, che fu fatto prigioniero ed ucciso, i Romani, al comando di Lutazio Catulo, colsero la vittoria decisiva alle Egadi nel 241, costringendo i Cartaginesi ad evacuare la Sicilia e a pagare una forte indennità di guerra.
La Sicilia, tranne il territorio di Siracusa, divenne la prima provincia romana; nelle province che dovevano pagare un tributo, ogni tipo di potere e amministrazione era nelle mani dei Romani che vi inviavano ex consoli (proconsoli) o ex pretori (propretori).
Da questo momento le costanti nella politica cartaginese furono due:
·         guardare al nuovo colonialismo con favore contro l’antico;
·         affrontarlo nella divisione e nel tradimento dei capi l’un l’altro, fomentato dai nuovi conquistatori.
Oltre alla Sicilia, Roma s’impossessò della Sardegna e cominciò la pirateria lungo le coste africane.
Nel frattempo, espulsi dalle isole, i Cartaginesi si erano volti verso la Spagna. Sotto la guida di Amilcare, Cartagine si riprese e costruì, assieme al successore, il genero Asdrubale, un considerevole stato in Spagna. Fu fondata Cartagena, che sembrava richiamare la leggenda della città punica. I Barca attuarono una politica più personale che filocartaginese tra gli iberici.
Nel 238, a pace conclusa, i Romani sottrassero ai Cartaginesi anche la Sardegna e la Corsica.
Prima di iniziare un secondo conflitto con Cartagine, Roma conquistò la regione adriatica dell’Illiria (230-228), riducendola a un piccolo principato e controllando così il canale d’Otranto.
Nel 226 i Cartaginesi firmarono un trattato con i Romani in cui ci si impegnava a non superare il fiume Ebro. Questo trattato costò l’indipendenza dei Celtiberi che furono combattuti da entrambi. Intanto, Cartagine si rafforzava ed aveva un’economia sempre più florida, mentre i Romani, in seguito ad un tentativo di incursione dei Galli, affrontandoli, giunsero ad occupare Mediolanum (Milano), affacciandosi sulla Pianura Padana nel 225.
La decisione di Annibale di attaccare Sagunto, alleata di Roma, provocò nuovamente la guerra.
Nel 219 scoppiò la seconda guerra punica: Roma riapriva le ostilità contro Cartagine per il possesso della Spagna dove i Barca avevano cominciato a ricostruire un nuovo potente Impero. In un primo momento, Roma subì soprattutto il genio di Annibale che inflisse pesanti perdite agli eserciti romani. Prima che i Romani furono riusciti a mandare un esercito in Spagna, Annibale invase l’Italia per via terra, con una traversata delle Alpi, cogliendo vittorie al Ticino (218), al Trasimeno (217) e soprattutto a Canne (216), ma senza riuscire a spaccare la confederazione romano-italica. Nel frattempo, un esercito romano, comandato da Publio e Gneo Scipione, impediva che dalla Spagna giungessero rinforzi ad Annibale, pressato dalla tattica di logoramento di Quinto Fabio Massimo, eletto dittatore, ma presto rimpiazzato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Terenzio Varrone, che nel 216 ripresero il combattimento in campo aperto.
Nello scontro di Canne, in Puglia, 30 000 dei 50 000 soldati romani rimasero uccisi; Annibale non poté terminare la sua opera, più per l’opposizione politica in patria che per la bravura dei Romani. Un esercito inviato in Sicilia espugnò Siracusa e la rese tributaria di Roma (211); un altro in Macedonia combatté contro Filippo V (prima Guerra macedonica) a scopo puramente difensivo (Pace di Fenice, 205 a.C.).
Quando Asdrubale, fratello di Annibale, riuscì a portare in Italia un esercito dalla Spagna, fu sconfitto e ucciso al Metauro (207).
Ma i Romani si assicurarono l’appoggio dei Numidi che fu decisivo nell’ultima battaglia svolta sul suolo africano. A contendersi il trono della Numidia, ci sono Siface contro Massinissa, tutti e due innamorati di Sofonisba, figlia di Asdrubale, figlio di Giscone e che finirà suicida.
Nel 206, Publio Cornelio Scipione, chiamato l’Africano dopo la vittoria, subentrato al comando dell’esercito romano in Spagna, colse una vittoria decisiva a Ilipa e invase l’Africa, costringendo Annibale ad abbandonare l’Italia. La vittoria di Scipione a Zama, nel 202 (determinante nella vittoria romana fu Massinissa, che salì al trono di Numidia, sotto protettorato romano), e costrinse Cartagine alla resa, all’abbandono di tutti i possedimenti europei e della Numidia e al pagamento di una forte indennità di guerra.
Annibale governò, portando Cartagine ad un certo benessere, ma Roma voleva Annibale e questi scappò prima in Siria, formando un esercito che fu sconfitto, e poi in Bitinia, dove fu tradito e preferì il suicidio nel 183.

Roma: dall’espansione in Oriente alla terza Guerra punica – Con l’espansione romana in Illiria del 229 e del 219 Roma passò ben oltre i propri stanziamenti e soppresse la pirateria illirica che aveva reso l’Adriatico un mare pericoloso.
Con l’alleanza stipulata tra il Regno di Macedonia e Cartagine, dopo la Battaglia di Canne, Filippo V di Macedonia era intenzionato a procurarsi uno sbocco sul mar Adriatico. Il patto stretto tra Filippo e Annibale si proponeva l’espulsione dei romani dal loro protettorato sulle coste orientali dell’Adriatico.
Nel 214 il console Marco Valerio Levino guidò un piccolo contingente militare romano sulla costa illirica e poi strinse un’alleanza con la lega etolica, ostile a Filippo, e con Attalo I re di Pergamo, che voleva espandere il proprio regno nell’Egeo a scapito della Macedonia. La coalizione riuscì così a contenere le mire espansionistiche del re macedone. La guerra si esaurì da sola e si giunse alla pace di Fenice del 205: Filippo ottenne uno sbocco sull’Adriatico.
Fra Roma e la Macedonia non correva tuttavia buon sangue e la pace di Fenice non era destinata a durare. Dopo la vittoria su Cartagine, Roma intervenne ancora in Macedonia, per richiesta di Atene che chiedeva aiuto contro Filippo V. I Romani dichiararono immediatamente guerra a Filippo, sebbene il Senato incontrasse delle difficoltà a far accettare al popolo questa iniziativa.
Nel 200 iniziò così la seconda Guerra macedonica. Tito Quinzio Flaminino sbarcò con un esercito, ma Filippo rifiutò di dare battaglia e tentò di negoziare. Flaminino richiese che il re macedone abbandonasse la Grecia: era una pretesa impossibile, e Flaminino lo sapeva, la dichiarazione di guerra fu la logica conseguenza. Nel 197 i Romani sconfissero Filippo nella battaglia di Cinocefale, costringendolo a consegnare la flotta, a pagare un’indennità di guerra ed a riconoscere la libertà alle città greche: al protettorato macedone si sostituì quindi quello romano. Il re però non fu deposto, infatti il regno di Macedonia era utile ai Romani per contenere le invasioni dei barbari verso la Grecia, che senza Filippo sarebbe stata vulnerabile.
Nel frattempo Roma strinse alleanza con Attalo II (197-159) reggente di Pergamo, combattendo insieme contro altri sovrani ellenistici, in particolare contro Antioco III il Grande, re di Siria, che premeva sui confini.
In seguito della sconfitta di Filippo V di Macedonia ad opera dei Romani, Antioco invase la Grecia per rivendicare la supremazia su tutti i domini di Alessandro Magno. Poiché Antioco III si rifiutò di ritirare le sue truppe dalla Grecia liberata dai Romani, nel 191 Roma lo attaccò, sconfiggendolo alle Termopili. Nel 190 Lucio Cornelio Scipione sbarcò in Asia e sconfisse le truppe siriache nella battaglia di Magnesia, ed Antioco III fu costretto a cedere i territori in Asia Minore, a mandare ostaggi a Roma ed a pagare un’esorbitante indennità di guerra.
Quando nel 171 salì al trono Perseo, figlio di Filippo V, profondamente ostile ai Romani, si delineò un nuovo conflitto con la Macedonia. Dopo tre anni Lucio Emilio Paolo sconfisse l’esercito macedone nella battaglia di Pidna, la Macedonia fu divisa in 4 repubbliche che diventarono alleate di Roma. Perseo sfilò prigioniero per Roma in un trionfo.
Nel frattempo, molti a Roma, tra cui il senatore Catone, sostenevano la necessità di abbattere definitivamente Cartagine.
Massinissa, re dei Numidi, provocava Cartagine con saccheggi, fino al punto che ci fu la risposta dei punici, contravvenendo agli accordi di pace con Roma: i Romani attendevano il momento propizio e nel scoppiò la terza guerra punica.
Nonostante Cartagine fosse ritornata sui suoi passi, avesse consegnato ostaggi e pagato altri debiti, quando i Cartaginesi seppero che tra le condizioni di pace c’era la distruzione della città, vi si asserragliarono e resistettero. La città fu difesa casa per casa e dopo sei giorni capitolò, nonostante il generale Asdrubale l’avesse difesa valorosamente. Rasa al suolo, Cartagine continuò a bruciare per 17 giorni consecutivi, infine, fu sparso del sale sul terreno per renderlo sterile. Scipione Emiliano trasformò il suo territorio nella provincia d’Africa.
Due rivolte seguirono alla vittoria romana in Grecia, quella di Andrisco in Macedonia nel 149 sedata solo nel 146 da Cecilio Metello, e quella della Lega achea, sedata anch’essa nel 146: il console Lucio Mummio espugnò e distrusse Corinto, radendola al suolo dalle fondamenta e proibendo alla popolazione di tornare ad abitarvi, dichiarando il luogo maledetto 146.
La ferocia romana si può interpretare in due modi:
·         la distruzione come un segnale di forza, un monito, una lezione che avrebbe dovuto far capire una volta per tutte che non era più conveniente ritentare nuove insurrezioni.
·         la distruzione come fatto politico e commerciale perché, distruggendo Corinto e Cartagine e ridimensionando Rodi, i tre più grandi centri commerciali del Mediterraneo, Roma diventava la potenza marittima dominante.
La seconda guerra punica era stata combattuta anche sul suolo iberico e parte di esso era stato conquistato dai romani: i territori erano stati divisi in due province, l’Hispania citerior e l’Hispania superior.
Le popolazioni iberiche al di fuori del dominio romano erano ostili agli occupanti, mantenendo un clima di continua guerriglia.
Fin dal 142 Cecilio Metello combatteva nel nord dell’Iberia e aveva conquistato gran parte dei territori, ad eccezione di alcune città: tra queste la più importante era Numanzia.
Nel 137 un esercito al comando del console Caio Ostilio Mancino fu circondato e costretto ad arrendersi, e per altri quattro anni la situazione non ebbe sviluppi.
Nel 133 Attalo III ultimo re di Pergamo morì lasciando il regno in eredità ai romani, e il suo territorio costituì la provincia romana d’Asia; nello stesso anno, dopo una lunga guerriglia, Roma decise di inviare Publio Cornelio Scipione Emiliano in Spagna per domare la resistenza di Numanzia: Scipione assediò Numanzia con una doppia linea di fortificazioni, la città, ridotta alla fame, fu vinta, i suoi abitanti furono fatti schiavi e la città fu distrutta. Iniziò la romanizzazione del territorio spagnolo.
Con la caduta di Numanzia i romani posero fine alle rivolte ed estesero il loro dominio in Spagna alle regioni del nord.
Fu il termine del primo periodo di espansione che vide i romani acquisire una netta supremazia nel Mediterraneo trasformando profondamente le attitudini di uno stato che fino a un secolo e mezzo prima estendeva i suoi domini alla sola Italia.


VII MODULO
L’età romana (146 – 31) – Il periodo dagli anni delle riforme dei Gracchi fino ai primi imperi personalistici di Mario e di Silla, arrivando a toccare l’inizio del consolato di Pompeo, ruota essenzialmente attorno agli eventi interni, poiché le guerre contro i nemici esterni hanno un’importanza marginale.
Roma fu impegnata in un gigantesco sforzo di riassestamento organizzativo, conseguenza dei profondi mutamenti sociali e strutturali introdotti dall’ampliamento territoriale dei decenni precedenti.
Nel II secolo Roma da semplice città-stato si trasforma in Impero a livello territoriale, economico, giuridico e politico. Furono anni segnati dalla lotta per il potere tra due opposte fazioni politiche: quella oligarchica senatoria e quella popolare.
In questo periodo, si assiste al declino dell’oligarchia senatoria e all’affermazione progressiva di poteri personalistici ad essa antagonistici.
Le trasformazioni interne e esterne hanno determinato esigenze profondamente nuove nella gestione dello Stato.
Il Senato tenta in qualche modo di ‘aggiornarsi’ rispetto alla nuova situazione, per arginare il dilagare delle forze antagonistiche e rimanere quindi l’istituzione centrale, ma appare evidente l’impossibilità di tale cambiamento. Esso, infatti, finirebbe per snaturare la sostanza stessa di un’istituzione che si basa sul principio di eguaglianza tra pari e sul dominio, esercitato da questi nei confronti della società.
Roma che per sei secoli era stata governata dal Senato, dal 110 a.C. passa nelle mani di uomini ambiziosi. Inizia Caio Mario che per quasi dieci anni esercita un potere assoluto.
Dopo di lui è la volta di Silla, che governa lo Stato fino al 78 a.C. Le sue riforme, miranti a rafforzare il potere del Senato contro il partito popolare, furono poi annullate nel 70 dai consoli Pompeo e Crasso. Entrambi avevano interesse a ottenere i voti dei plebei, perciò ripristinarono molte leggi in loro favore.
Approfittando delle guerre interne ed esterne di Roma, bande di pirati si erano stabilite sulle coste di Creta e dell’Asia Minore. Infestavano il Mediterraneo con vere e proprie flotte da guerra e procuravano danni gravissimi ai commerci di Roma. Nel 67 il Senato affida a Pompeo il compito di reprimere la pirateria. Dotato di mezzi enormi e di poteri straordinari, in soli tre mesi il generale romano spazza via i pirati e distrugge le loro basi. Diventa così l’uomo più potente di Roma.

La crisi della Repubblica - Dopo le guerre puniche e la conquista della Grecia e dell’Oriente, a Roma avvennero profondi cambiamenti.
La diffusione della cultura ellenistica (molti artisti greci si stabilirono a Roma, mentre i ricchi romani trascorrevano sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori dei princìpi romani.

Dalla crisi economica e sociale alla riforma dei Gracchi - L'incontro con la cultura ellenistica, determinato dall'estensione dei domini romani sulla Grecia, la Macedonia e parte dell'Asia Minore, fece sì che in Roma si formassero due correnti: quella conservatrice di Marco Porcio Catone, che predicava il ritorno agli antichi costumi e valori romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando la tradizione latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò di adattare il proprio patrimonio di conoscenze.
La classe dirigente dei senatori aveva consolidato il suo potere durante le guerre, mentre le classi medie si erano impoverite. Era poi emersa, in campo finanziario, la classe dei cavalieri (ordine equestre) che reclamava i propri diritti di fronte al senato. La grande ricchezza che affluiva dalle regioni conquistate permise ai ricchi di comprare territori dell'ager publicus cioè confiscati ai vinti e appartenenti allo Stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù (anch'essa conseguente alle guerre); molti piccoli proprietari, impoveriti, si trasferirono a Roma in cerca di miglior fortuna.
Un primo tentativo di riforma fu attuato da Tiberio Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133. La sua proposta di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125 ettari di terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu avversata dall'aristocrazia senatoria. Tiberio, ripropostosi alla carica di tribuno, fu ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte. Di ciò risentirono anche gli Italici, che si vedevano tolti i loro territori e che, non essendo cittadini romani, non avevano diritto alle nuove distribuzioni. Molti di loro si ribellarono ma furono puniti duramente.
Nel 123 fu eletto tribuno Caio Gracco, fratello minore di Tiberio, promotore di riforme ancor più radicali. Innanzitutto cercò l'appoggio della classe equestre, facendo in modo che i cavalieri fossero in numero maggiore dei senatori nei tribunali che giudicavano i reati di concussione. Per ottenere il favore della plebe, promosse la fondazione di nuove colonie e propose una Lex frumentaria che dava diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto. Eletto tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli Italici. I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
Druso propose riforme demagogiche (abolizione del canone d'affitto delle terre per i piccoli proprietari, fondazione di nuove colonie) che offuscarono la popolarità di Caio. In un clima di tensione e di conflitti interni, nel 121, il senato approvò il Senatus consultum ultimum, un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui Lucio Opimio avversario di Caio, i pieni poteri perché provvedessero alla salvezza dello Stato con qualsiasi mezzo. Caio, sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno schiavo, mentre i suoi seguaci (circa 3000) furono massacrati.

Dalla Guerra giugurtina all’ascesa di Mario - Sconfitti i Gracchi, l’oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo attraverso piccole concessioni, guadagnò prestigio.
Fra il 125 e il 118 Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto l'aiuto romano.
Nel 111 iniziò la guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato dal questore Cornelio Silla. Quest'ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console, mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato.
Il potere di Mario fu consolidato in seguito alla riforma dell'esercito in cui ammise anche volontari nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100, sconfisse i Cimbri e i Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali. Nell'anno 100 il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino, affiancato dal pretore Gaio Servilio Glaucia, fece approvare una legge che assegnava ai veterani dell'esercito di Mario alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò irritò il partito dei popolari.
Mario lasciò la vita politica e si recò in Asia.

La questione italica e le guerre sociali – Il partito degli ottimati governò da allora incontrastato per una decina d'anni.
Nel 91 ottenne il tribunato Livio Druso, figlio del precedente. Le sue proposte (promozione di alcuni cavalieri a senatori e concessione della cittadinanza agli Italici) provocarono l'ostilità del senato che lo fece uccidere.
Dopo questo fatto i soci (da cui il nome Guerra sociale) Italici si ribellarono per ottenere l'indipendenza da Roma. Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai Sanniti, crearono uno stato federale italico con capitale Corfinio che fu detta Italica. I Romani richiamarono Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni furono condotte da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console nell'88 a.C. Quando Roma decise di concedere la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati o avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l'esercito romano piegò definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell'80.
Nel frattempo, il re del Ponto Mitridate si preparava a guidare alla ribellione tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma. Il senato decise di inviare in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno Sulpicio Rufo, che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già esistenti e non di crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme a quella di mandare Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali, non gradendo Silla, le approvarono entrambe. Silla, contrariato, dopo aver sconfitto i seguaci di Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
Nell'87 ottenne di nuovo il comando delle truppe dirette in Oriente. In Grecia saccheggiò ed espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario, aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un esercito entrò in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo, nell'86 a.C. morì.
Silla, in Asia, vinse Mitridate e, nell'83, tornò in Italia. Con l'aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare dittatore e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari. Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello dei tribuni e dei cavalieri. Infine, nella sorpresa generale, abdicò alla dittatura e si ritirò a Pozzuoli dove morì nel 78.
Alla sua morte le forze più tradizionali ripresero il potere detennero il predominio politico in Roma, mantenendo intatti i cambiamenti portati da Silla all’assetto istituzionale e cercando di estirpare i germi rivoluzionari antioligarchici.
Questo Fino al 70, anno del consolato di Crasso e di Pompeo.

L’ascesa di Pompeo Il giovane Gneo Pompeo, già ufficiale di Silla, si mise in evidenza attraverso tre imprese. Nel 77 ebbe ragione di Marco Emilio Lepido che, nell'Etruria e nella Cisalpina, aveva tentato di abolire la costituzione sillana. In Spagna, nel 72, domò l'insurrezione dei Lusitani guidata da Quinto Sertorio. In Italia, pose fine a una rivolta di schiavi guidata dal trace Spartaco nel 73, e già affrontata dal generale Marco Licinio Crasso. Insieme a questo fu eletto console nel 70; allo scopo di diminuire l'attività del senato, i due restituirono l'autorità ai tribuni e il controllo dei processi ai cavalieri. Un altro uomo stava emergendo, Marco Tullio Cicerone, l'oratore che era riuscito a far condannare, per le molte ruberie, Verre, ex governatore della Sicilia. Nel 67 Pompeo, al comando di una potente flotta, vinse i pirati che spadroneggiavano nel Mediterraneo. Nel 66 Mitridate, il re del Ponto, tentò una nuova offensiva contro Roma. Pompeo fu mandato in Oriente e, dopo il suicidio del re, conquistò la regione, fece della Siria e della Giudea due provincie romane e sottomise l'Armenia e la Bitinia.


Il primo Triumvirato Nel frattempo a Roma il partito dei popolari appoggiava Gaio Giulio Cesare, un aristocratico simpatizzante di Mario.
Un altro personaggio raccoglieva seguaci, promettendo l'allargamento della cittadinanza, la cancellazione dei debiti e la distribuzione di nuove terre, il sillano Lucio Sergio Catilina. Sconfitto da Cicerone nell'ascesa al consolato nel 63 a.C., ordì una congiura. Cicerone lo smascherò in una seduta senatoria (le famose 4 orazioni Catilinarie), costringendolo a fuggire in Etruria dove poco dopo fu sconfitto e ucciso in battaglia. Rientrato dall'Oriente, Pompeo sciolse l'esercito e rinunciò a instaurare una dittatura; contestato dal senato per l'ordinamento dato all'Asia, si alleò con Cesare e Crasso formando il primo Triumvirato.

La conquista della Gallia - Il carattere di questo accordo fu soltanto privato, non istituzionale. Cesare ottenne il consolato nel 59 e fece approvare la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo.
Nel 58 Cesare ottenne il governo della Gallia Cisalpina e Narbonese. Arrivato in Gallia, costrinse gli Elvezi a rinunciare alla Gallia Narbonese e poi affrontò e ricacciò indietro il principe germanico Ariovisto al protettorato sugli Edui.
Da allora in poi Cesare non arresta più la sua marcia, dirigendosi dapprima verso il Nord della Gallia, poi verso la sua parte occidentale.
Nel 57, sconfitti anche Belgi e Aquitani, riorganizzò l’intera Gallia in una nuova provincia.
Nel giro di appena due anni riesce a occuparla completamente fino al Reno.
Nel frattempo a Roma la vita politica si faceva sempre più confusa e violenta: i capi delle fazioni dei popolari e degli aristocratici organizzano bande armate, e con esse si scontrano per le strade con gli avversari politici, provocando sanguinosi disordini.
Nel convegno di Lucca del 56, Cesare, Pompeo e Grasso si incontrarono una seconda volta, per rinnovare i loro accordi e dividersi le province: Cesare si assicurò il comando in Gallia per un altro quinquennio, Pompeo si riservò la Spagna e Crasso, anch’egli desideroso di procurarsi la gloria militare come i suoi colleghi, scelse la Siria, e diede inizio alla conquista del regno dei Parti, che sbaragliarono l’esercito romano a Cana, in Siria nel 53 e Crasso fu ucciso.
Rientrato in Gallia, Cesare ricacciò al di là del Reno alcune tribù germaniche che avevano tentato di valicarlo, e per due volte sbarcò in Britannia, senza però soffermarsi sull’isola, costretto a rientrare in Gallia per sedare la rivolta di Vercingetorige, re degli Arverni. Nel 52 Vercingetorige si era messo a capo di una grande rivolta contro Roma. In breve tempo molte tribù celtiche si unirono a lui. Cesare deve ricorrere a tutta la sua abilità per domare l’insurrezione. Vercingetorige fu infine sconfitto nel 51 ad Alesia, e Cesare riuscì a pacificare l’intera Gallia nel 50, trasformandola in provincia, che assorbì rapidamente la civiltà romana. Cesare potette così celebrare un grandioso trionfo.

La guerra civile e la morte di Cesare Cesare rimase in Gallia fino al 49, quando il senato inviò un ultimatum con l'imposizione di abbandonare la provincia. Varcato il Rubicone (il fiume che divideva la Cisalpina dall'Italia), Cesare marciò verso Roma.
Era l'inizio della guerra civile. Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando di organizzare l'esercito. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo, in Tessaglia nel 48. Cesare ebbe la meglio: Pompeo si rifugiò in Egitto presso Tolomeo XIV, il quale, per ottenere il favore di Cesare, lo fece uccidere a tradimento.
Giunto in Egitto, Cesare affidò il trono a Cleopatra, sorella di Tolomeo, della quale era divenuto l'amante. Nel 47 sconfisse Farnace, figlio di Mitridate; in Africa e in Spagna vinse definitivamente la resistenza dei pompeiani fra il 46 e il 45.
Tornato a Roma, ormai senza rivali, si dedicò a una serie di riforme economiche e sociali. Console dal 48 in poi, nel 46 fu nominato dittatore per dieci anni e, all'inizio del 44, dittatore a vita. Tale somma di poteri provocò il risentimento di uomini del suo partito.
Alle Idi di marzo del 44, durante una riunione del senato, fu ucciso in una congiura dai repubblicani Bruto e Cassio.

Esordio e ascesa di Ottaviano – La successione a Cesare fu contesa da Antonio, generale di Cesare, e Ottaviano, un giovane adottato da Cesare col nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Dapprima Ottaviano cercò di affrontare il rivale ma, accortosi dell’opposizione del senato, fattosi nominare console, si alleò con lui.
Per liberarsi del controllo del Senato, Marco Antonio, capo dei sostenitori di Cesare, propose un’alleanza a Lepido, comandante delle legioni della Gallia, e ad Ottaviano, pronipote di Cesare che, nel suo testamento, Cesare aveva nominato erede.
Nel 43 nacque così il secondo Triumvirato, composto da Ottaviano, Antonio e Lepido, che ebbe il compito di elaborare una nuova costituzione.
Tutti i rivali di Cesare entrarono nelle liste di proscrizione. Nel 42 le truppe dei tre sconfissero a Filippi, in Macedonia, l’esercito di Bruto e degli altri uccisori di Cesare.
I tre triumviri si spartirono l’Impero: Antonio ebbe la Gallia e l’Oriente, Lepido l’Africa Ottaviano, pur restando in Italia, la Spagna.
In seguito allo scontro tra Ottaviano e i seguaci di Antonio rimasti in Italia, fu stretto un nuovo accordo a Brindisi nel 40 a.C., secondo il quale Antonio rinunciava alla Gallia. Lepido, che aveva aiutato Ottaviano a togliere a Sesto Pompeo (figlio di Gneo) la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pretese per sé la Sicilia.
Ottaviano, contrariato, gli tolse l’Africa e lo espulse dal Triumvirato lasciandogli soltanto la carica di Pontefice Massimo.

Ottaviano e Antonio - Ottaviano diventò il padrone dell’Occidente ed Antonio dell’Oriente. Antonio, si stabilì nelle province orientali, dove si innamorò della regina Cleopatra, che gli mise a disposizione le immense ricchezze del suo regno, dividendo con lui il potere. Nel 37 Antonio la sposò, dimenticando il legame con Ottavia, sorella di Ottaviano, e cominciò a farsi adorare come un dio, secondo il modello orientale.
Ciò indignò Ottaviano, difensore degli austeri valori romani, e, rinfacciando al rivale gli insuccessi contro i Parti, indusse il senato a privare Antonio della sua carica e a dichiarare guerra all’Egitto.
Ottaviano approfittò astutamente dei sospetti che i Romani nutrivano contro Cleopatra, regina straniera, e riuscì a far credere che Antonio fosse diventato un nemico di Roma.
Si giunse così allo scontro decisivo avvenuto ad Azio, davanti alle coste dell’Epiro, nel 31: la flotta egiziana fu sconfitta dal generale Agrippa, al comando della flotta di Roma, e ciò costrinse Antonio e Cleopatra alla fuga ad Alessandria. I due, per non cadere nelle mani del nemico, preferirono uccidersi alcuni mesi dopo, quando seppero dell’arrivo delle truppe di Ottaviano.
Con il suicidio di Cleopatra, l’unica dei Tolomei che parlasse la lingua egiziana, si concluse la monarchia dei Tolomei e l’ultima fase storica di un Egitto indipendente. Le legioni di Ottaviano invasero l’Egitto così l’ultimo regno ellenistico rimasto indipendente divenne una provincia romana, posta direttamente sotto l’autorità dell’imperatore rappresentato da un prefetto.
Scomparsi gli ultimi avversari in grado di contrastarlo, Ottaviano rimase l’unico padrone di Roma, e si preparò a trasformare la repubblica in un suo dominio personale, in un impero.
Ottaviano, rientrato a Roma nel 29, fu accolto da trionfatore.
Con la vittoria di Ottaviano su Antonio ad Azio, si tirarono le fila della confusa storia tardorepubblicana. All’inevitabile sbocco autoritario sul piano del governo corrispose un tentativo di restaurazione morale e religiosa che mirava a presentare all’opinione pubblica più conservatrice il nuovo ordine in termini di continuità con il vecchio.

Tra Repubblica e Impero: il Principato di Augusto - L’ultimo secolo della Repubblica, percorso da conflitti civili e instabilità politica, aveva messo in evidenza l’inadeguatezza del sistema di governo romano.
Tutti sentivano il bisogno di una pacificazione. La classe dirigente non ammetteva la cancellazione delle istituzioni e considerava la monarchia assoluta come una negazione della libertà.
Ottaviano comprese questa situazione: la solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso di riconoscenza per l’instaurazione della pace.

Augusto princeps - Dopo la vittoria di Azio contro Antonio, Ottaviano cercò di consolidare il suo potere, evitando atti che potessero farlo sospettare di aspirare al dominio assoluto. Nel gennaio del 27 a.C. il senato gli confermò le funzioni precedenti e gli conferì un potere militare, l’imperium decennale e il governo di un certo numero di province; ricevette inoltre il titolo di Augusto, termine che indicava l’autorità quasi sacra, sottolineandone la dignità) e onorificenze simboliche.
Dal 31 al 23 a.C. fu ininterrottamente console, non potendo avere il consolato a vita, si fece assegnare, nel 23 a.C., un nuovo tipo di imperium, detto imperium proconsulare maius et infinitum. In particolare questo potere fu conferito dal Senato ad Augusto insieme alla tribunicia potestas a vita.
Si trattava di un imperium maius perché era superiore a quello di tutti gli altri proconsoli, e infinitum in senso spaziale e temporale, perché non limitato a una sola provincia e non predeterminato nel tempo e sull’esercito, superiore a quello dei proconsoli; la tribunicia potestas, cioè la totalità dei poteri dei tribuni, con diritto di veto e facoltà di proporre e far approvare le leggi che egli stesso, come princeps senatus, capo del senato, aveva il diritto di votare per primo.
Nel 23 a.C. erano dunque poste le basi costituzionali del Principato; altre connotazioni essenziali del nuovo regime prenderanno corpo in seguito, per esempio il pontificato massimo nel 12 a.C. alla morte di Lepido e il titolo di padre della patria, nel 2 a.C.
In campo militare Ottaviano ridusse il numero delle legioni a 28, dalle 60 delle guerre civili, e costituì una guardia personale del principe, la guardia pretoriana, comandata da due prefetti equestri. Il collocamento in congedo dei veterani richiese la fondazione di colonie e l’istituzione di una cassa apposita, l’erario militare (6 d.C.).
In politica estera il principato di Augusto fu il più travagliato da guerre di quanto non lo siano stati quelli della maggior parte dei suoi successori: furono, infatti, coinvolte quasi tutte le frontiere, dall’oceano settentrionale fino alle rive del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell’Etiopia, in un piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo l’intero bacino del Mediterraneo ed in Europa, con lo spostamento dei confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l’Elba. Le campagne di Augusto furono effettuate per consolidare le conquiste disorganiche dell’età repubblicana, che rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi territori. Mentre l’Oriente poteva restare più o meno come Antonio e Pompeo lo avevano lasciato, Augusto rafforzò i confini settentrionali dell’Impero con una serie di campagne militari e con l’istituzione di nuove province l’Europa fra il Reno ed il Mar Nero necessitava una nuova riorganizzazione territoriale in modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più difendibili: il Norico, parte dell’Austria, la Pannonia, attuale Ungheria, la Mesia, (tra il Mar Nero e i Balcani, e la Rezia, Trentino Alto Adige e parte della Svizzera.
Il tentativo di penetrazione della Germania, fino all’Elba, fu interrotto dall’insurrezione di tribù germaniche (9 d.C.) guidate da Arminio. Il confine fu così stabilito al fiume Reno.
In campo amministrativo Augusto riformò
·         il sistema dei servizi (corpi di polizia, riscossione delle imposte, censimenti periodici di tutta la popolazione),
·         l’amministrazione della città di Roma con a capo il prefetto urbano, dell’Italia (ripartita in undici regioni) e delle province (divise in imperiali, ovvero quelle non pacificate e direttamente dipendenti dal principe, e senatorie, sottoposte al governo del senato).
Il senato, pur avendo perso importanza dal punto di vista politico, fu coinvolto nell’amministrazione dell’Impero. Dal senato provenivano
·         i proconsoli, amministratori delle province pubbliche,
·         i comandanti degli eserciti,
·         i curatores addetti alle opere pubbliche
·         il praefectus urbi, il prefetto urbano, che esercitava poteri di polizia.
Solo i senatori più ricchi o i loro figli potevano percorrere la carriera politica, il cursus honorum fino alle cariche più alte, dalla questura al consolato.
Generalmente i consoli, dopo sei mesi o meno, abbandonavano la carica, cedendo il posto a sostituti, i suffecti, garantendo un ricambio che accontentava un gran numero di aspiranti.
Coloro che possedevano almeno 400.000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano aspirare alla carriera equestre. I cavalieri potevano diventare praefecti governatori e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano inoltre aspirare alla carica di prefetto del pretorio, capo della guardia personale del princeps, o alla prefettura in Egitto, provincia considerata dominio personale di Augusto.
I comizi persero tutto il loro potere, limitandosi ad acclamare i candidati scelti dal senato a sua volta influenzato dalle decisioni del princeps.
Augusto creò anche una fitta rete di funzionari con i quali controllava l’attività degli organi repubblicani e governava le province imperiali. Essi erano nominati e dipendevano direttamente da Augusto che dava loro anche una retribuzione, a differenza di quanto avveniva per i magistrati della Repubblica che svolgevano i loro compiti gratuitamente. La carriera dei funzionari prevedeva promozioni per i più meritevoli che potevano anche aspirare a diventare membri del senato.

L’organizzazione del consenso - Ottaviano riuscì a creare attorno a sé un clima di consenso e di riconoscenza per la pace che era finalmente tornata dopo anni di lotte intestine, di persecuzioni tra avversari politici e di instabilità amministrativa.
Tale consenso fu anche frutto di una incisiva attività propagandistica. Augusto si presentò come il restauratore del vecchio ordine, degli antichi valori morali e religiosi.
Tali messaggi furono ampiamente diffusi attraverso tutti i canali della comunicazione allora disponibili (epigrafi, monete, oggetti d’arte e monumenti), oltre che dall’attività del circolo di Mecenate.
Mecenate svolse un ruolo molto importante nell’organizzazione della propaganda politica di Augusto. Egli aveva compreso l’importanza dell’arte e della poesia presso l’opinione pubblica: intorno a lui si raccolsero i principali intellettuali del tempo come Livio, Virgilio, Properzio e Orazio. Mecenate li sosteneva con doni e aiuti finanziari tratti dal suo ingente patrimonio, affinché potessero dedicarsi unicamente alla loro arte. I poeti contraccambiavano celebrando nei loro versi lo stesso Mecenate, Augusto e il suo programma politico. Eppure, il tratto più notevole dei letterati riuniti attorno a Mecenate è che essi mantennero gran parte della loro indipendenza e che nessuno di loro mise direttamente in versi l’epopea di Augusto.
Grazie alla personalità di Mecenate, i suoi amici poeti subirono la sua influenza a loro insaputa: a Mecenate non interessava se essi si rifiutavano di cantare Augusto nei loro versi o se qualche altro grande poeta non faceva parte del suo circolo. L’importante era che in quei versi aleggiasse la restaurazione augustea nella serenità e nell’equilibrio delle passioni con cui i poeti cantavano l’amore, la vita semplice della campagna, l’odio per la guerra, le antiche favole del mito.
Inoltre, Augusto persegue un’azione religiosa che si ispirava agli imperativi nazionali. Ossessionato dall’angoscia della decadenza religiosa dei suoi concittadini e dall’urgenza di rimediarvi, egli dà vita ad una rigida restaurazione religiosa, recuperando le forme più tradizionali del passato, riproponendo il mos maiorum, cioè gli esempi tramandati dagli avi, le virtù di semplicità, di purezza familiare, di incrollabile fermezza, di coraggio, su cui era fondata la grandezza di Roma. Oltre  che dal ritorno ai culti arcaici, Augusto fece restaurare vecchi templi in rovina e riorganizzò i collegi sacerdotali di cui egli stesso fece parte, fu caratterizzata dalla nascita di forme di culto alla persona del principe che, spontanee in Oriente, furono associate in Occidente e in Italia alla dea Roma. Con questo proclamato nazionalismo, la restaurazione religiosa di Augusto combatteva i culti orientali e i loro misteri
Il nuovo equilibrio garantì una ripresa generale della vita civile e dell’economia; furono restaurati vecchi edifici e ne furono costruiti di nuovi per abbellire la città di Roma. Sorsero numerosi templi, basiliche, piazze e portici (il Pantheon, il teatro di Marcello, l’Ara pacis[33]).

La questione della successione - Augusto si preoccupò di assicurare una trasmissione pacifica del suo potere. Egli non avrebbe nemmeno diritto legalmente a designare un successore: sarebbe spettato al senato designare il successore, ma grande importanza avevano ormai acquisito anche i cavalieri e i funzionari imperiali.
A Roma, la soluzione imperiale era quella prevalente perciò non sarebbe dovuto essere difficile per l’Imperatore predisporre la propria successione. Il vero ostacolo a tale impresa fu costituito tuttavia dalle molte guerre, che causeranno la morte di tutti gli eredi putativi di Ottaviano, in particolare i nipoti Marcello, Gaio e Lucio. La loro morte e gli scandali che coinvolsero la figlia Giulia allontanarono e resero sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli aveva progettato.
Augusto pensò a una successione ereditaria e, non avendo figli maschi, individuò possibili successori che progressivamente adottò, ma ai quali egli sopravvisse. Fu pertanto indotto ad adottare, nel 5 d.C. Tiberio appartenente alla potente famiglia dei Claudi e figlio di primo letto della seconda moglie Livia e a conferirgli riconoscimenti istituzionali quali la potestà tribunizia e l’imperium proconsulare maius associandolo al governo imperiale e preparandolo ad accogliere la sua eredità.
L’instaurazione nel 14 di un nuovo sovrano, fu segnata subito dall’eliminazione dei molti rivali nella successione al trono. L’Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché vi si rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista delle cariche più prestigiose dell’Impero, lotta che è segno della nuova temperie assolutistica, che cova sotto l’immagine illusoria dell’antica Repubblica.



[1] Protostoria – La protostoria è il periodo in cui si passa dalle piccole comunità neolitiche allo Stato. Questo processo avvenne in tempi e luoghi diversi, dal quarto millennio avanti Cristo per il vicino oriente, alla conquista romana per l’Europa settentrionale.
[2] Scrittura - La scrittura è la rappresentazione grafica di oggetti e idee con l’uso di lettere o altri segni. I segni delle lettere sono annotazioni di suoni o gruppi di suoni e sono raggruppati in alfabeti.
Dopo la tradizione orale, con cui l'uomo cominciò a comunicare attraverso il linguaggio, l'oralità fu fonte di trasmissione del sapere, essendo il mezzo di comunicazione più diffuso e facile da usare, la scrittura è invece il primo modo di comunicazione tra i popoli ed il primo mezzo usato per la conservazione e la trasmissione di dati.
[3] Religione - Una religione è un insieme di credenze, riti, comportamenti, riconosciuto da un gruppo di persone.
Sulla definizione del termine vi sono notevoli diversità tra le proposte dagli studiosi di cui si possono delineate due definizioni generali:
·         in senso stretto, la religione si riferisce al rapporto tra l'uomo e una o più divinità.
·         in senso lato, la religione è intesa come via di salvezza naturale e/o soprannaturale
La religione comprende in ogni caso elementi che possono essere collocati su tre livelli:
·         soggettivo: basato su credenze di natura filosofica, etica o metafisica riguardanti il cosmo, l'uomo, la divinità;
·         oggettivo: basato su riti-culti privati o collettivi che devono essere seguiti per garantire un adeguato legame tra l'uomo e la divinità;
·         sociale: basato su obblighi e divieti codificati e tramandati nel contesto sociale che regolano i rapporti tra gli individui.
Alcune religioni (ad es. Ebraismo Cristianesimo ed Islamismo) sono dette rivelate perché si ritengono depositarie di una rivelazione e spesso adottano dei testi sacri nei quali sono comprese tutte o parte delle rivelazioni divine.
Un'altra importante distinzione è quella tra religioni nazionali o etniche, diffuse esclusivamente o prevalentemente all'interno di un determinato gruppo etnico-sociale, e religioni universali, caratterizzate da una spinta missionaria più o meno marcata.
[4] Arte - L'arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana che, poggiando su accorgimenti tecnici e norme derivanti dallo studio e dall'esperienza, porta a forme creative di espressione estetica.
L'arte può essere considerata anche sotto l'aspetto di una professione di antica tradizione svolta nell'osservanza di alcuni canoni codificati nel tempo.
Analizzando la storia del concetto di arte nel corso del tempo esso subisce una trasformazione graduale ma radicale.
Nel periodo ellenistico iniziarono le prime classificazioni e le arti furono divise in comuni e liberali, a seconda che richiedevano uno sforzo fisico o uno sforzo intellettuale.
[5] Filosofia - La definizione di filosofia è un problema filosofico di per sé, ma ancor più problematica è la questione dell’inizio filosofico. Se la filosofia indaga sé stessa, dove possiamo collocare la sua indagine? Si tratta dello studio del significato e della giustificazione della conoscenza del più generale aspetto delle cose.
La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti
·         attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori),
·         attraverso l'introspezione (a priori).
La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra loro, che singolarmente hanno valore e utilità inferiori.
L'aspetto sostanziale della conoscenza è che mentre l'informazione può esistere indipendentemente da chi la possa utilizzare, e quindi può in qualche modo essere preservata su un qualche tipo di supporto, la conoscenza esiste solo in quanto esiste una mente in grado di contenerla. In effetti, quando si afferma di aver esplicitato una conoscenza, si sta in realtà preservando le informazioni che la compongono e parte delle correlazioni fra loro, ma la conoscenza vera e propria torna a esser tale solo a fronte di un utilizzatore che riassoci tali informazioni alla propria esperienza personale. Fondamentalmente la conoscenza esiste solo in quanto esiste un'intelligenza che possa utilizzarla.
Tornando alla filosofia, essa è uno studio che è compiuto formulando linguisticamente i problemi, offrendone la soluzione e giustificandola, ed usando procedure rigorose per argomentarla. È inoltre lo studio dei principî primi e delle ragioni ultime. Non avendo la filosofia un campo materiale d'indagine specifico può essere considerata sia in chiave storica che sistematica, come madre delle scienze.
[6] Scienza - Per scienza si intende quel complesso organico di conoscenze, ottenuto con un processo sistematico di acquisizione delle stesse allo scopo di giungere ad una descrizione precisa della realtà fattuale delle cose e di una verità condivisa.
Le regole che governano tale processo di acquisizione di conoscenze sono generalmente conosciute come metodo scientifico. In ambito moderno, gli elementi chiave del metodo scientifico sono l'osservazione sperimentale di un evento (naturale o sociale), la formulazione di un'ipotesi generale sotto cui questo evento si verifica, e la possibilità di verifica dell'ipotesi mediante osservazioni successive.
Settori scientifici si articolano in:
·         scienze matematiche, fisiche e naturali
·         scienze sociali
·         tecnologia e scienze applicate
·         geografia
·         linguistica
·         filologia
[7] Paleontologia – La paleontologia è la scienza che studia gli esseri viventi, vissuti nel passato geologico e i loro ambienti di vita tramite il ritrovamento di resti fossili,  ossia di una qualsiasi testimonianza di vita geologicamente passata, come resti di organismi o tracce della loro esistenza.
[8] Senso estetico - è l’apprezzare qualcosa non perché serve, ma solo perché piace
[9] Lo sciamano – La figura dello sciamano nasce nelle società primitive per risolvere problematiche di base per la sopravvivenza di qualsiasi società, ovvero:
·         salute
·         riproduzione
·         sussistenza.
Secondo queste società primitive erano gli spiriti ultraterreni a decidere le sorti e quindi i problemi potevano essere risolti solo da un proprio simile che avesse la capacità ed i mezzi per entrare in contatto con questi spiriti, per affrontare quindi un viaggio ultraterreno nel mondo degli spiriti, che potesse quindi trovare lì la soluzione ai problemi. Lo sciamano è un ponte tra il mondo terreno e quello ultraterreno.
Lo sciamano, diversamente a quanto succede per il sacerdote o il re, non deriva da un'istituzione, ma ha base empirica, possiede facoltà innate o trasmesse ed ha un comportamento di carattere estatico, in trance è ponte fra le energie spirituali e quelle terrene, un canale della volontà divina e delle forze della natura che mette a disposizione dell'umanità attraverso l'amore e la comprensione. Durante l'estasi si impadronisce di lui una forza: con questo aiuto lo sciamano influisce sulla vita dei compagni.
Gli Sciamani sono protettori della mitologia dei raccoglitori–cacciatori con un ruolo fondamentale sull'evoluzione delle società di cui facevano parte. Le regole fondamentali della pratica sciamanica sono il rispetto dell'individualità e della libertà di ogni singolo individuo; divieto per lo sciamano di nuocere a sé e agli altri, di mancare di rispetto alla Madre Terra e a qualsiasi espressione di vita, nonché ricevere compensi in denaro.
[10] Anatolia - La penisola anatolica (nel mondo antico l’Asia Minore, oggi la penisola turca), manca di grandi fiumi. Nessun fiume è navigabile.
Alte catene montuose circondano l'altopiano, quindi il clima è asciutto e continentale con estati molto calde ed inverni freddi. Sulle coste la vegetazione è di tipo mediterraneo; i monti sono molto boscosi.
[11] Città - Le città sono insediamenti umani nei quali gli abitanti, oltre a coltivare le terre circostanti, cominciavano ad avere occupazioni specializzate, e nelle quali il commercio, l'immagazzinamento dei cibi ed il potere erano centralizzati.
Secondo questa definizione, le prime città di cui si ha notizia erano situate in Mesopotamia, come Uruk e Ur, o lungo il Nilo, la vallata dell'Indo e la Cina.
Prima di queste sono rari gli insediamenti che raggiungessero dimensioni significative, sebbene ci siano eccezioni come Gerico.
[12] Stato – Lo Stato è quel soggetto (ente sovrano, originario ed indipendente) che comanda anche mediante l'uso della forza armata, della quale detiene il monopolio.
Alla parola Stato si riferiscono due concetti distinti:
·         Stato comunità: popolo, stanziato su un territorio individuato, che è organizzato intorno ad un potere centrale.
·         Stato governo: quel potere centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme nell'ambito di un territorio ben definito.
Da quest'ultima definizione emerge che lo Stato è anche un ente territoriale, in quanto individuato da una porzione di territorio che è soggetta alla sua sovranità.
·         Stato sovrano: lo Stato è superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale, la sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti reciproci; per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano al suo interno, indipendente nei confronti degli altri Stati. Lo Stato è originario poiché i suoi poteri derivano solo da sé stesso e da nessun altro. Con ciò si sostiene che esso non è subordinato ad altri soggetti e quindi è indipendente e sovrano.
questi poteri sono sostanzialmente
·         la sovranità (esercitata attraverso i tre poteri pubblici Legislativo, Esecutivo e Giudiziario)
·         il monopolio della forza affinché vi sia un fondamento obbligatorio.
Lo Stato si pone perciò in una condizione di necessarietà, ovvero é necessario che esista un unico soggetto che imponga coercitivamente l'ordine e il quadro giuridico entro il quale si svolge la vita dei cittadini e protegga l'interesse di tutti, tanto quanto quest'organo sia controllato comunque sempre dallo stesso popolo, tale che operi nei suoi interessi.
Numerosi studiosi di politica hanno cercato di dare definizioni più precise del concetto di Stato, cercando di enunciare anche le condizioni necessarie affinché esso possa essere considerato tale.
Per Max Weber per Stato si deve intendere «un'impresa istituzionale di carattere politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti».
Un'altra definizione è tentata da Charles Tilly: «Un’organizzazione che controlla la popolazione occupante un determinato territorio costituisce uno Stato se e in quanto si differenzia rispetto ad altre organizzazioni che operino sul medesimo territorio; è autonoma; è centralizzata; le sue parti componenti sono formalmente coordinate le une con le altre».
[13] Impero - Un impero è un insieme di regioni amministrate localmente da governatori, nel nome di un imperatore. un impero è un grande stato multietnico governato da un singolo centro.
Il termine latino imperium indicava originariamente sia il potere sia il territorio su cui tale potere veniva esercitato.
Impero è però un concetto complesso che ha connessioni con la storia, la politica, l’economia, il diritto, la linguistica.
In realtà, più che un concetto, impero è un sistema di significati. A tale proposito conviene partire con una definizione di Johan Galtung: “Un impero è un insieme articolato di conquiste militari, dominio politico, sfruttamento economico e penetrazione culturale”.
[14] Semiti - L'idea di una stirpe semita deriva dal racconto biblico sulle origini della cultura conosciuta come ebraica. Secondo la Genesi Sem fu il padre degli Assiri, dei Caldei, degli Aramei, dei Sabei e degli Ebrei. Anche i Cananei e gli Amorriti parlavano una lingua appartenente a questo gruppo. Le lingue di questi popoli sono strettamente correlate tra loro e formano appunto il ceppo linguistico semitico.
[15] Il Codice di Hammurabi - Il codice di Hammurabi si può considerare, uno dei codici più estesi di tutto il vicino Oriente.
L’amministrazione della giustizia si basava su una serie di norme tramandate oralmente e consolidate dall’uso.
Dalle stele si ricava che la società babilonese era divisa in tre classi:
·         i nobili,
·         i dipendenti del palazzo e i subordinati in genere
·         gli schiavi.
Il sistema penale sumero prevedeva delle pene pecunarie o il risarcimento in natura, il Codice di Hammurabi comminava facilmente la morte (il colpevole poteva essere bruciato, impalato o annegato) e se si trattava di una vittima nobile, si applicava la legge del taglione.
[16] La piramide - La piramide fu un’evoluzione della mastaba, infatti, la più antica tra loro, la piramide a gradoni di Djoser è una serie di mastabe sovrapposte. A questa prima piramide ne seguirono altre, alcune abbandonate prima del termine della costruzione.
Le piramidi più famose sono le tre di cui non fu mai persa la memoria a causa delle loro dimensioni, queste sono i monumenti funebri di Kheope, Khefren, cui si deve anche la Sfinge, e Mykerinos. La piramide di Khufu, detta anche grande piramide era considerata dagli antichi una tra le sette meraviglie del mondo.
Tramontata la teoria dell'utilizzo di migliaia di schiavi catturati in battaglia, per la costruzione delle piramidi è accettato da tutti gli studiosi che queste costruzioni sono state erette da operai specializzati, che vivevano nei pressi, aiutati durante la stagione dell'inondazione da contadini che provenissero da tutto l'Egitto.
Complessivamente si contano più di cento piramidi, tra grandi e piccole, sebbene solo una piccola parte sia tuttora in discrete condizioni.
Nelle sepolture risalenti a questo periodo sono stati rinvenuti i primi esempi di tecnica di imbalsamazione.
[17] La nuova religione - Il culto di Aton, divinità solare forse di origine semita, fu introdotto a Karnak durante il regno di Tutmosi II.
Diversamente dalle altre divinità egizie Aton non è rappresentato in forma antropomorfa, ma come un sole i cui raggi sono braccia terminanti con mani, alcune delle quali reggono l'ankh, simbolo della vita.
Il culto di Aton racchiudeva in sé il complesso politeismo egizio, perciò molti studiosi preferiscono parlare di enoteismo nel senso che Aton non fu l'unico dio, ma il dio supremo la cui venerazione avrebbe potuto sostituire quella delle altre divinità.
Amenofi IV, che assunse il nome di Akhenaton, non rinnegò il titolo di Horus vivente e di Figlio di Ra e non fece alcun tentativo di cancellare l’infinità di culti locali e neppure le principali divinità. La sua intenzione era quella di porsi come principale intermediario tra l'umanità e la divinità (per questo si veda l'inno di Aton principale testo sulla natura della nuova religione).
Comunque si trattò di una rivoluzione che coinvolse solamente una ristretta élite. Il popolo, che possedeva una sua religiosità fatta di divinità locali, superstizioni e credenze ancestrali, non partecipava alle complesse cerimonie che avvenivano nei templi e quindi fu coinvolto solo marginalmente nel conflitto tra Amon e Aton, che si sviluppò tra clero tebano di Amon ed il sovrano e la sua corte.
[18] Popoli del mare – Con il termine Popoli del mare si identifica un insieme di popolazioni, chiamate in documenti dell'antico Egitto, Haunebu, cioè dietro le isole.
Il primo accenno a queste genti compare in un'iscrizione del faraone Merenptah, intorno al 1225, che ricorda la sua vittoria su una prima ondata di invasione, nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e fatto 9.000 prigionieri.
[19] La civiltà Villanoviana - La più importante popolazione nella penisola italiana della prima metà dell’Età del Ferro è convenzionalmente chiamata Villanoviana, da un insediamento scoperto a Villanova, vicino a Bologna. Tale civiltà raggiunse il suo culmine nella metà del VIII.
Dal XII secolo si verificò un processo graduale di unificazione culturale, la cui manifestazione principale rinvenuta è la diffusione di cimiteri di cremati, trovati praticamente su tutto il territorio della penisola italica. Altre caratteristiche comuni riguardarono il metodo di lavorazione della ceramica e in seguito quello della lavorazione dei metalli, in particolare per la produzione di lamine per secchie, elmi, gambali e l’uso di fibulae. Successivamente i Villanoviani fecero largo uso dei ricchi giacimenti di ferro della Toscana, per utensili di uso quotidiano.
La cultura villanoviana si diffuse dunque in tutta la costa orientale dell’Italia fino a Rimini e si spinse in Toscana e nel Lazio. Gli archeologici distinguono tra loro due gruppi principali:
·         i Villanoviani del nord, intorno a Bologna, la cui civiltà fiorì dal VII al V sec. a.C.,
·         i Villanoviani del sud, in Toscana e nel Lazio settentrionale, diffusi in un’epoca successiva, che subirono forti influssi orientali e in particolare greci
Gli stanziamenti degli antichi villaggi, a poco a poco cominciarono a unirsi in ricche e fortificate città, punti di accentramento di numerosissime famiglie, e si cominciò ad abbandonare la tradizione della cremazione dei morti a favore del nuovo metodo dell’inumazione, secondo il quale i morti erano deposti in tombe a fossa. Contemporaneamente, si comincia ad osservare un esteso diffondersi della lingua etrusca.
[20] La Polis - La polis fu un modello di struttura tipicamente greca che prevedeva l'attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo democratica o oligarchica, ma l'isonomia: il fatto che tutti i cittadini liberi soggiacessero alle stesse norme di diritto, secondo una concezione che identificava l'ordine naturale dell'universo con le leggi della città. Queste erano concepite come un riflesso della Legge universale preposta a governo del mondo.
[21] L’Egitto nei secoli – Da allora in poi l’Egitto non riconquistò più l’indipendenza: passò dalla dominazione Persiana a quella di Alessandro il Macedone e dei suoi successori, a quella dei Romani, a quella dei Bizantini, a quella degli Arabi, a quella dei Turchi e infine a quella degli Inglesi.
[22] Tirannide - Forma di governo nella quale il potere di una sola persona, che assomma in sé le funzioni sovrane, si esercita in modo arbitrario e incontrollato. Platone vide nella tirannide il vizio più grave cui era esposto lo Stato e Aristotele la definì come la degenerazione della monarchia. La tirannide si può verificare per difetto di titolo (usurpazione) e per esercizio (violazione della giustizia).
[23] Autarchia – Il termine autarchia definisce un concetto di autosufficienza economica, chiamato anche economia chiusa, in cui non sono presenti relazioni commerciali con l'estero e l'ecosistema economico nazionale non è influenzato dalle tendenze internazionali.
[24] Sinecismo - Processo in forza del quale nell’antica Grecia le genti di centri sparsi si riunivano a formare una polis. Il caso più famoso fu quello di Atene.
[25] Oligarchia – L'oligarchia è un termine di origine greca indicante il governo di un gruppo ristretto di persone.
Nell'antica Grecia il termine oligarchia indicava principalmente il governo di una classe scelta in base al censo, invece che in base alla nascita, requisito essenziale del governo aristocratico.
[26] Timocrazia - La timocrazia è una forma di governo nata nell'antica Grecia ed introdotta ad Atene da Solone fu una soluzione di compromesso tra la volontà dell'aristocrazia di essere ancora a capo della polis, e le istanze delle classi emergenti.
La costituzione di Solone inoltre introdusse forme di tutela dei ceti contadini più poveri, quali la cancellazione della schiavitù per debiti.
[27] Democrazia – Il termine democrazia deriva dal greco ed etimologicamente significa governo del popolo.
Una prima classificazione della democrazia può essere tra
·         democrazia diretta, in cui il potere è amministrato direttamente dal popolo, come avveniva nell'antica Grecia, dove i cittadini si riunivano nell'agorà (piazza).
·         democrazia indiretta in cui il potere è amministrato da rappresentanti del popolo (il parlamento).
La democrazia trova una sua espressione storica nella ricerca continua per dare al popolo la capacità di governare effettivamente. La democrazia si è diffusa nella storia moderna. Nella millenaria evoluzione del concetto di democrazia ci sono stati notevoli affinamenti dell'idea. Le prime definizioni di democrazia risalgono all'antica Grecia e sono alquanto diverse da quelle usuali oggi.
Un esempio è il principio aristotelico che distingue fra tre forme pure e tre forme corrotte di governo:
·         monarchia (governo del singolo),
·         aristocrazia (governo dei migliori)
·         politeía (governo di molti),
Esse secondo Aristotele rischiavano di degenerare rispettivamente in dispotismo, oligarchia (governo di un'élite), e democrazia (potere gestito dalla massa e succube della demagogia).
[28] Fratria - Raggruppamento di famiglie discendenti da un reale o presunto capostipite comune, attestate presso molte comunità greche, analoghe alle gentes latine. Verso il VI secolo a.C. persero parte del loro carattere gentilizio, fondendosi con le tribù di cui facevano parte. Avevano lo scopo di difendere la vita e i beni dei loro membri e di rendere culto comune agli antenati.
[29] La falange – Queste formazioni sono costituite da grandi masse di uomini perfettamente ordinati ed allineati e ciò fa sì che l’ideale dell’eroe che combatte da solo e che compie gesta fuori dal comune, non paragonabili a quelle dei semplici soldati, venga meno e che invece sia sostituito da quelli di spirito di collaborazione, dove l’azione collettiva risulta più importante di quella individuale.
[30] Ionia - Regione comprendente parte della costa dell’Asia minore (tra le città di Smirne a nord e di Alicarnasso a sud) e le isole antistanti. Qui gli Ioni, una delle più importanti stirpi dell’antica Grecia, provenienti verso l’XI secolo dall’Attica e dall’Eubea fondarono i loro centri e avviarono il grande processo della colonizzazione greca: tra i più importanti Mileto, Efeso, Colofone, Samo e Chio.
[31] Nascita greca del pensiero filosofico - Una tesi molto diffusa vuole che l'origine della filosofia in Grecia sia dovuta ad un preponderante influsso orientale. Contro questa spiegazione si schiera Zeller, il quale mostra l’insostenibilità di questa tesi. Troppe sono infatti le differenze fra il pensiero orientale e quello greco, per cui risulta abbastanza chiaro che la filosofia in Grecia è da considerarsi un fenomeno indigeno.
Presso gli orientali non troviamo per esempio nessuna spiegazione naturalistica delle cose, ma solo miti e cosmogonie; inoltre, mentre presso gli orientali il sapere era monopolio della casta sacerdotale, in Grecia esso è libero perchè, come abbiamo detto sopra, non esiste nulla di simile ad una gerarchia sacerdotale (i cristiani dovranno infatti prendere l'impero romano come modello della loro struttura gerarchica).
[32] Il Partenone - Il primo edificio innalzato sull’Acropoli fu il Partenone, tempio di Athena Parthenos, il monumento che Pericle volle fosse omaggio alla dea Athena protettrice della città nel difficile momento dello scontro con i persiani, anche un simbolo della potenza ateniese che dal periodo della guerra era uscita vincitrice stabilendo la propria egemonia sulla Grecia.
Dai resoconti finanziari desumiamo che la costruzione del Partenone fu iniziata nel 447 a.C. quando fu inaugurata la grande statua crisoelefantina, cioè in oro e in avorio, la Athena Parthenos di Fidia, ma rimasero all’opera squadre di scultori fino al 432 per completare la decorazione dei frontoni. Le fonti antiche ci hanno tramandato i nomi di alcuni architetti: Iktinos, Kallikrates, Karpion.
Fidia fu nominato da Pericle episkopos, cioè sovrintendente dei lavori del Partenone, comunque il tempio fu opera di una equipe affiatata. 
Lunga e minuziosa fu la progettazione, durata almeno due anni (449 e 448 a.C.). Fu usata, ristrutturandola e ampliandola la piattaforma del precedente tempio che presentava già la disposizione prostila della cella, cioè con opistodomo anteriore con quattro colonne distaccate tra le ante e la profondità del pronao ridotta. Iktinos mantenne inoltre la divisione della cella in due settori, il vano principale a ovest a tre navate con doppia fila di dieci colonne, il secondo a est, a pianta quadrata, con quattro colonne che sostenevano il soffitto. Iktinos, pur conservando questa pianta, dovette tener conto delle proporzioni monumentali che Fidia prevedeva per la statua.
La decorazione scultorea e pittorica ravvivava ed esaltava il tempio. Sobria quella relativa alle modanature in marmo dotate di piccoli fregi con perle. In quella del tetto predominava il motivo della palmetta. Contenuta anche la cromia: poco azzurro, rosso, oro su alcune modanature e sui cassettoni marmorei, con motivi geometrici o floreali stilizzati. Sfortunatamente ci sono giunte in cattivissime condizioni le sculture del tempio, distribuite su novantadue metope, su un fregio di centosessanta metri che girava intorno alla cella e sui due frontoni. Le sculture, in marmo a grana fina erano dipinte e arricchite da dettagli in bronzo probabilmente dorato. 
Le metope sul lato occidentale rappresentata un’amazzonomachia, simboleggiante con ogni probabilità la guerra contro i persiani. Del lato nord quasi nulla possiamo dire, perché l’unica metopa leggibile è la trentaduesima: il tema era comunque la guerra di Troia, con gli dei che assistevano alla lotta. La stessa indecifrabilità presenta il lato orientale, rappresentante una gigantomachia. Le metope del lato occidentale, meglio conservate, svolgono il tema della Lotta fra Centauri e Lapiti, chiara metafora della lotta tra la bestialità e razionalità.
Il lunghissimo fregio della cella, ideato da Fidia, rappresenta in chiave realistica la processione delle Panatenee, la maggiore festa civile e religiosa di Atene, che si svolgeva in estate in onore della dea protettrice della città.
Anche i frontoni sono in cattivo stato di conservazione.
Quello orientale recava ai lati il Sole sul carro che sorgeva dal mare e Selene, personificazione della luna, che con la sua quadriga vi sprofondava, al centro la nascita di Athena; poco rimane anche di altre figure di divinità che assistevano al prodigio.
Quello occidentale raffigura la lotta fra Athena e Poseidone per il possesso dell’Attica, con la partecipazione di divinità e i eroi.
Tutte queste sculture convergevano a esaltare il capolavoro di Fidia, l’Athena Parthenos, il simulacro d’oro e avorio, posto all’interno della cella, della dea simbolo del genio e della libertà ateniesi. La statua era alta circa dodici metri ed erano stati impiegati per la costruzione circa mille chili d’oro, le parti nude erano di avorio, gli occhi di pietre preziose. La dea indossava una lunga veste, recava sul petto una testa di gorgone d’avorio, aveva il capo coperto da un elmo adorno al centro di una sfinge e ai lati di grifi. Nella mano destra reggeva una Nike coronata d’oro, con la sinistra lo scudo rotondo decorato all’esterno da una testa di gorgone e da un’amazzonomachia. Sulla spalla sinistra poggiava la lancia. Una centauromachia ornava le suole dei sandali.
[33] L'Ara Pacis – È una delle più alte espressioni dell'arte augustea e un'opera di profondo simbolismo, che acquista significato nel quadro del passaggio storico dalla Repubblica all’Impero.
La sua costruzione fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. per celebrare il vittorioso ritorno di Augusto dalle province occidentali. Poiché la dedicatio del monumento fu celebrata il 30 gennaio del 9 a.C., il completamento dell'opera richiese tre anni e mezzo, per realizzare la ricca e complessa decorazione, affidata a scultori attici attivi a Roma nel I sec. a.C.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto con due fronti e due lati. Al centro dei lati più corti due aperture danno accesso all'altare, sul quale venivano compiuti i sacrifici.
La decorazione scultorea corre sui lati esterni e su quelli interni del recinto.
Quella esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato, l'inferiore una decorazione vegetale a girali d'acanto. I girali si sviluppano con simmetria rigorosa intorno all'asse disegnato dallo stelo verticale dell'acanto e celano nel fogliame piccoli animali o si intrecciano con rami di altre piante. L'intera composizione è sormontata dalla presenza di cigni ad ali spiegate. La valenza simbolica dell'intero disegno e dei singoli elementi allude allo stato aureo di natura e al ritorno di un'età di rinascita e prosperità sotto la guida del princeps.
La fascia superiore esterna del recinto rappresenta, sui lati nord e sud, una processione. Sul fronte meridionale, compare Augusto a capo velato e coronato di alloro, preceduto e seguito dai membri delle principali cariche sacerdotali dello Stato: lo precedono i Pontifices e lo circondano gli Augures mentre al suo seguito si riconoscono i tre Flamines maiores.
Il significato della processione è oggetto di diverse interpretazioni: è possibile che sia rappresentato il reditus di Augusto, il suo ritorno a Roma dalle vittoriose campagne in Gallia e Spagna ed i consoli e i massimi sacerdoti romani sarebbero rappresentati nell'atto di accogliere il principe vittorioso, portatore di pace, prosperità e abbondanza.
Sullo stesso fronte meridionale è ritratto Agrippa, amico, principale collaboratore e genero di Augusto, morto durante la realizzazione dell’Ara Pacis. Agrippa apre la sequenza dei familiari, concepita come un vero e proprio programma dinastico. La successione dei congiunti è così sapientemente calcolata che tutti gli imperatori romani, fino a Nerone, discendono dai membri della famiglia Giulia qui raffigurati.
Altri membri della famiglia imperiale, di minore spicco, compaiono sul lato settentrionale del recinto. Qui la processione ritrae gli ordines sacerdotali dei Septemviri epulones, addetti ai sacrifici cruenti, degli Augures e dei Quindecemviri sacris faciundis, custodi dei libri sibillini, esaurendo in questo modo la rappresentazione delle cariche religiose più importanti dell’ordinamento romano.
Le due fronti dall'edificio, ai lati delle porte, sono decorate nella fascia superiore da quattro pannelli, due per ciascun lato.
Sui pannelli del fronte occidentale sono rappresentati Enea che sacrifica una scrofa ai penati, e Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il primo motivo celebra la discendenza della gens Julia, da Enea e da suo figlio Julo, da cui prende il nome la famiglia di Augusto.
Il pannello di sinistra è molto frammentario. In esso era rappresentata la lupa che allatta Romolo e Remo alla presenza del dio Marte, padre dei gemelli, e del pastore Faustolo. In questo modo l’Ara Pacis significava la doppia origine divina dei romani e del principe: dal dio guerriero i primi, tramite i gemelli, da Venere il secondo, tramite il pius Enea.
Sul fronte orientale il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Tellus, secondo il motivo ellenistico della terra fertile e dei suoi frutti, rappresentati dai due putti che le siedono in grembo. La Tellus è interpretabile come divinità polisemica, dalle molte valenze simboliche, riassuntiva dei significati di pace e prosperità e assimilabile alle figure di Gea, Venere e Rea Silvia. Ai lati due ninfe, una su un cigno, la seconda su un drago marino. Del pannello di destra resta solo il frammento di una figura femminile seduta sopra un trofeo d’armi: la dea Roma vincitrice, forse affiancata dalle figurazioni di Honos e Virtus.
l’Ara Pacis accoglieva chi entrasse dalla via Flaminia con la rappresentazione della pax romana stabilita tramite l’imperio terra marique.
Anche lungo le pareti interne del recinto si svolgono due fregi sovrapposti, rappresentanti l'inferiore una palizzata in legno e il superiore una serie di ghirlande di frutta e foglie.
L'altare interno è la parte meno conservata dell'Ara. ll'altezza della mensa rimane invece una figurazione di dimensioni ridotte, dove si distinguono le vestali.

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