venerdì 25 marzo 2016

I papi del primo Cinquecento di Ciro Cuomo

Questo lavoro consiste nel prendere in esame attraverso i loro ritratti, i papi del primo quarto del Cinquecento, da Alessandro VI Borgia a Clemente VII De Medici.
Attraverso l'iconografia di questi papi si tenta di aprire uno spaccato della loro vita e degli autori che li hanno raffigurati, in un determinato periodo storico caratterizzato da guerre incessanti per la conquista degli Stati italiani, da parte di grande potenze come Francia e Spagna. Durante i loro pontificati ci furono infatti cinque guerre che gli storici  identificano come le guerre d’Italia; la prima guerra fu con Carlo VIII, la seconda avvenne con la discesa di Luigi XII, la terza guerra con  Francesco I di FranciaGiulio II che si concluse con la pace di Noyon: le guerre successive furono tra Francia e Spagna che si contendevano l’Italia nel 1521 al 1526 , l’ultima guerra si ebbe nel 1526 al 1530 detta lega di Cognac.
I Papi di questo periodo sono identificabili con dei veri e propri principi rinascimentali con i vizi e i pregi dei signori laici. Una delle conseguenze fu che durante il XVI secolo la chiesa, fu drammaticamente percorsa dalla riforma protestante di Martin Lutero, figura centrale alla quale si attribuisce la nascita del movimento protestante e la definitiva frattura dell’unità della Chiesa medievale.
Il primo papa del '500 è Alessandro VI Borgia, papa dal 1492 al 1503. Egli nacque nel 1431 da Isabella Borgia e da Callisto III Borgia.
Alessandro VI amava fare le cose in grande e strabiliare i suoi sudditi; amava il lusso e l'esteriorità che tradiva la sua origine spagnola, sebbene venisse da una famiglia di piccola nobiltà e di pochi mezzi.
Alessandro VI amava cifra, emblema e  simboli; lo affascinavano le genealogie degli dei e le credenze misteriche.
Prima di essere incoronato papa si chiamava Rodrigo e il suo successo fu dovuto alle sue qualità intellettuali molto vaste. Fu prete solo a trentasette anni, ma cardinale già a venticinque. Quando venne a Roma aveva già un paio di figli di cui non si conoscono le madri; qui ebbe come amante Vannozza Cattanei dalla quale ebbe quattro figli: Giovanni, Cesare, Lucrezia e Goffredo.
Come papa fu una delle più discusse personalità della sua epoca: poco aperto, da un lato alla cultura rinascimentale, sistemò tuttavia l'università di Roma e finanziò gli scavi archeologici che portarono alla scoperta di Nettuno e dell'Apollo del Belvedere.
Durante il suo pontificato ci fu la discesa di Carlo VIII di Francia nel 1494, sconfitto poi  nella battaglia di Fornovo del 1495. In un primo momento il re non fu contrastato poi Papa Alessandro VI organizzò una lega contro di lui che lo costrinse ad abbandonare Napoli e l'Italia nel 1495.
Una figura che osteggiò il suo pontificato fu Girolamo Savonarola che accusò Alessandro VI di simonia,  ovvero la compravendita di cariche ecclesiastiche e ne criticò aspramente la vita privata, cosa che gli costò la scomunica nel 1497 e il rogo.
La figura di Papa Alessandro VI non fu mai coerente  al periodo storico in cui viveva ma soprattutto al ruolo che svolgeva. Fu accusato anche di satanismo poiché si diceva che partecipasse addirittura a riti satanici, spesso in compagnia di altri membri della sua discutibile e singolare famiglia.
Si racconta che nella serata del 31 Ottobre 1501,  Alessandro VI e la figlia Lucrezia Borgia,  abbiano preso parte ad un sabba satanico conosciuto con il nome di ballo delle castagne, ideato da Cesare Borgia, per ore giovani prostitute nude danzarono davanti agli ospiti alla luce soffusa delle candele, poi, strisciando per terra, raccolsero con la bocca le castagne che erano state sparpagliate sul pavimento. Testimoni riferirono di aver visto scimmie nere a guardia della porta d’accesso alla stanza papale, nello stesso momento in cui il successore di Pietro firmava un insano patto con il diavolo. Non a caso, all’inizio del XVI secolo,  il diavolo era spesso raffigurato con le sembianze di un toro,  simbolo dei Borgia. È difficile stabilire quanto possa esserci di vero e quanto di leggendario in questo aneddoto,  ma esso è tuttavia significativo per comprendere appieno quale fosse all’epoca la considerazione popolare sulla famiglia più potente (e crudele) di Roma.
 Nel 1503 papa Alessandro VI morì: le cause della sua morte non risultano del tutto chiare. Alcune fonti ufficiali affermano che il papa morì per un attacco improvviso di malaria che nel periodo estivo colpiva solitamente Roma; altre fonti certificano la sua morte per avvelenamento.

L’immagine di Papa Alessandro VI fu rappresentata nella Resurrezione di Cristo che appartiene ad una delle stanze dell'appartamento Borgia in Vaticano.
L'appartamento Borgia è costituito da una serie di sei ambienti monumentali nel Palazzo Apostolico del Vaticano; oggi è parte dei Musei Vaticani in cui è in parte ospitata, dal 1973, la Collezione di Arte Moderna Religiosa. Le sale dell'appartamento Borgia furono create come residenza privata di Alessandro VI e della sua famiglia; furono decorate da uno straordinario ciclo di affreschi di Bernardino di Betto Betti detto il Pinturicchio(piccolo "pintor", cioè pittore) il soprannome deriva dalla sua corporatura minuta: egli stesso fece proprio quel soprannome, usandolo per firmare alcune opere. Pinturicchio possedeva una bottega  dove lavorarono molti artisti e pittori umbri come Piermatteo d'Amelia e Perugino; insieme realizzarono alcuni ambienti di Castel Sant'Angelo, dipinsero il coro del Duomo di Orvieto e affrescarono la Cappella del vescovo Eroli nel Duomo di Spoleto. Il ciclo di affreschi dell'appartamento Borgia è databile al 1492-1494.

Pinturicchio un artista completo, capace di padroneggiare sia l'arte della pittura su tavola, sia l'affresco e la miniatura, lavorando per alcune delle più importanti personalità del suo tempo. Fu uno dei grandi maestri della scuola umbra del secondo Quattrocento, con Pietro Perugino e il giovane Raffaello.
Dopo la morte del pontefice, le sale dell’appartamento Borgia furono abbandonate e riaperte al pubblico solo alla fine del XIX secolo. Le sei sale dell'appartamento Borgia presentano decorazioni che interessano soprattutto le volte e le lunette, con soluzioni diverse da sala a sala, ma legate a uno stile e a un filo conduttore comune. La prima sala è detta delle Sibille, la successiva è la sala del Credo, terza: la sala delle Arti Liberali poi la sala dei Santi ed infine la sala dei Misteri.
L'opera la Resurrezione di Cristo fu iniziata nell'autunno del 1492 e terminata forse nel 1494; si trattò di un progetto artistico molto ampio ed impegnativo della carriera del pittore.
La figura centrale dell'opera è la resurrezione di Cristo che in mano regge la bandiera con la croce rossa in mezzo, simbolo di vittoria. Intorno a lui,  si può notare la rappresentazione di Cristo in mandorla, simbolo di eternità. Per molti secoli all'interno dell'opera non era mai stato notato la rappresentazione della raffigurazione dei nativi americani; infatti l'opera fu terminata due anni dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo. Questa scoperta è stata identificata da Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, storico e critico d’arte. All'interno dell'opera troviamo un soldato con il capo alzato, segno di speranza, ma nello stesso tempo un volto stupito da ciò che stava accadendo;le altre tre figure non sono state identificate con certezza, ma molti ipotizzano che siano i tre figli di Alessandro VI.
Infine troviamo a sinistra Alessandro VI che in ginocchio guarda intensamente la Resurrezione di Cristo, ai suoi piedi è deposta la tiara ed indossa un vestito color avorio che spicca subito agli occhi.
Tutti questi elementi ci fanno capire che Alessandro VI era un uomo nel quale convivevano una fede sincera, una ferma consapevolezza del suo ruolo e del suo destino, aveva un eccessivo desiderio nei confronti della vita, del potere, dell'arte, della cultura,  queste ultime amate sotto il segno dello stupore, dell'eccesso e della dismisura.
Dopo la morte di papa Alessandro VI nel 1503, salì al soglio papale papa Pio III Piccolomini che rimase in carica solo dieci giorni per una morte improvvisa.
Nello stesso mese fu incoronato successore di papa Pio III , Giuliano Della Rovere ovvero Giulio II che possiamo identificare come il secondo papa del '500,( papa dal 1503 al 1513).
Egli nacque il 5 dicembre nel 1443 a Albissola presso Savona ,da una povera famiglia da Teodora e suo padre  Raffaello della Rovere.
Entrò nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali e nel 1471 fu eletto vescovo di Carpentras, in Francia, poco dopo l’elezione dello zio a pontefice col nome di Sisto IV.
Nello stesso anno fu fatto cardinale; con lo zio ottenne grande influenza e in aggiunta all'arcivescovato di Avignone, resse non meno di altri otto vescovati, tra cui quello di Catania tra il 1473 e il 1474 nella qualità di amministratore apostolico. In qualità di legato pontificio fuinviato nel 1480 in Francia, dove rimase per quattro anni, acquistando presto una grande influenza nel Collegio dei Cardinali, influenza che aumentò durante il pontificato di Innocenzo VIII Cybo.
Giulio II uomo energico, deciso e fiero, non cedette alle tentazioni di arricchire la propria famiglia ma lottò. Spesso egli stesso si trovava al comando delle truppe armate per creare e difendere un papato  forte e indipendente contro le dominazioni straniere.
Il piu grande merito di Giulio II fu quello di aver protetto e di aver incoraggiato grandi artisti, in particolare Michelangelo e Raffaello che affrescò le stanze vaticane.
La sua epoca segnò evidentemente il culmine dell'arte rinascimentale.
Durante il suo pontificato, Giulio II organizzò un piano per estromettere i Veneziani da Faenza, Rimini e da altre città e fortezze d'Italia che avevano occupato nel 1503 con la morte di Alessandro VI. Trovando impossibile spuntarla sul Doge con la sua autorità spirituale, nel 1504 favorì un'unione degli interessi contrastanti di Francia e Impero allo scopo di far concludere tra loro un'alleanza offensiva e difensiva contro la Repubblica di Venezia. Inizialmente il patto fu poco più che nominale, e non fu immediatamente efficace, spingendo i veneziani a cedere solo pochi e non molto importanti castelli della Romagna.
Ma gli eventi successivi giocarono a suo favore, tanto che nel 1508 Giulio II fu in grado di costituire con Luigi XII di Francia, l'Imperatore Massimiliano I e Ferdinando II d'Aragona, la famosa Lega di Cambrai contro la Repubblica veneziana.
Giulio II non vide realizzato il suo progetto ovvero l'unificazione dell'Italia a causa della sua morte improvvisa nel febbraio del 1513 a causa della febbre.
Non fu mai sepolto nella tomba di Michelangelo all'interno della chiesa di San Pietro in Vincoli, ma nella Basilica di San Pietro senza alcun monumento funebre.
Uno degli artisti del periodo rinascimentale che ebbe buoni rapporti con Giulio II fu Raffaello.
In una delle opere di questo grandissimo artista si può ammirare la rappresentazione appunto di Giulio II. 

Raffaello Sanzio autore del ritratto di Giulio II ,è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano. Raffaello nacque a Urbino nel 1483 e morì a Roma nel 1520. Nella formazione di Raffaello fu determinante il fatto di essere nato e di aver trascorso la giovinezza ad Urbino, che in quel periodo era un centro artistico di primaria importanza che irradiava in Italia e in Europa gli ideali del Rinascimento. Qui Raffaello, avendo accesso con il padre alle sale del Palazzo Ducale, ebbe modo di studiare le opere di Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì e altri. L'artista raggiunse rapidamente una maturazione artistica che non può prescindere da un avviamento molto precoce all'attività artistica. Nel frattempo la fama di Raffaello iniziava ad allargarsi a tutta l'Umbria, facendone uno dei più richiesti pittori attivi in regione.  Verso il 1503 l'artista dovette intraprendere una serie di brevi viaggi che lo portarono ai primi contatti con importanti realtà artistiche. Oltre alle città umbre e alla nativa Urbino, visitò quasi sicuramente Firenze, Roma (dove assistette alla consacrazione di Giulio II) e Siena. Si trattò di brevi viaggi, magari di qualche settimana, che non possono essere definiti veri e propri soggiorni.
A Firenze vide  le prime opere di Leonardo da Vinci e di Michelangelo, a Roma entrò in contatto con la cultura figurativa classica (leggibile nel dittico delle Tre Grazie e il Sogno del cavaliere), a Siena aiutò l'amico Pinturicchio, ben più anziano e in pieno declino, a preparare i cartoni per gli affreschi della Libreria Piccolomini, di cui restano due splendidi esemplari agli Uffizi, di incomparabile grazia ed eleganza rispetto al risultato finale. A Siena fu invitato da Pinturicchio, con il quale intesseva una stretta amicizia. Il pittore più anziano invitò Raffaello a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini, fornendo dei cartoni che svecchiassero il suo stile ormai in una fase di declino, come si vede nei precedenti affreschi della Cappella Baglioni a Spello. Verso la fine del 1508 per Raffaello arrivò la chiamata a Roma che cambiò la sua vita. In quel periodo infatti papa Giulio II aveva messo in atto una straordinaria opera di rinnovo urbanistico e artistico della città in generale e del Vaticano in particolare, chiamando a sé i migliori artisti sulla piazza, tra cui Michelangelo e Donato Bramante. Fu proprio Bramante, secondo la testimonianza di Vasari, a suggerire al papa il nome del conterraneo Raffaello, ma non è escluso che nella sua chiamata ebbero un ruolo decisivo anche i Della Rovere, parenti del papa, in particolare Francesco Maria, figlio di quella Giovanna Feltria che già aveva raccomandato l'artista a Firenze.   Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Egli morì per una grave malattia che durò molti giorni. Nella camera ove egli morì era stata appesa, alcuni giorni prima della morte, la Trasfigurazione e la visione di quel capolavoro generò ancora più sconforto per la sua perdita.  La sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dell'intera corte pontificia. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto.

Il Ritratto di Giulio II è un dipinto a olio su tavola (108,7x80 cm) di Raffaello, un’opera copiata molte volte, databile al 1511 e conservato nella National Gallery di Londra.
Destinata in origine alla Chiesa di Santa Maria del Popolo, dove era esposta in occasioni solenni, la tavola è ricordata da Vasari. che scrisse che il papa era «tanto vivo e verace che faceva temere il ritratto a vederlo come se proprio egli fosse vivo». 
Giulio II, il papa guerriero tanto spesso criticato per le sue strenue campagne militari, è raffigurato ormai anziano, pensieroso, seduto su una poltrona adornata da ghiande dorate, simbolo della sua casata, e regge un fazzoletto nella mano destra.
Raffaello non lo riprende frontalmente, ma di tre quarti, con un taglio compositivo meno ieratico e più intimo,un taglio che ebbe grande influenza sulla ritrattistica successiva.
Raffinato è l’accordo dei colori, che rimanda alla pittura veneta, e straordinaria l’abilità con la quale l'artista ha reso la lucentezza della seta dell'abito, la morbidezza del velluto rosso e la varietà dei bianchi dell'abito, della barba e delle bordure di pelliccia.
Il papa è raffigurato seduto sulla sedia camerale con braccioli e pigne sui pomoli dello schienale, un richiamo allo stemma Della Rovere.
La sua figura, un po' curva, è girata di tre quarti verso destra.
La barba è lunga, come dal voto fatto nel 1511, e indossa il camauro di velluto rosso, la mantella rossa bordata d'ermellino (la mozzetta) e la tunica bianca.
Lo sfondo del parato verde, con decorazioni che mostrano le chiavi di san Pietro, esalta i colori della veste e la volumetria del soggetto.
Le mani espressive, con gli anelli cerimoniali, reggono un fazzoletto o l'estremità del bracciolo.
I pontefici erano di solito ritratti di profilo, magari in ginocchio, o rigidamente frontali, quasi ieratici, con un'impostazione impersonale ("araldica") o comunque encomiastica. Raffaello rinnovò questa tradizione ritraendo il papa a mezza figura, con un punto di vista diagonale e leggermente dall'alto, come se lo spettatore fosse in piedi accanto al pontefice seduto, rimuovendo qualsiasi distacco fisico e psicologico verso il reverendo ruolo del protagonista. Tale soluzione divenne un modello frequentissimo per i ritratti ufficiali di pontefici. Lo stesso Raffaello lo sviluppò nel Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, e vi si attennero Ritratto di Sebastiano del Piombo (Clemente VII)Diego Velázquez (Ritratto di Innocenzo X).
Eccezionale per l'epoca fu anche la rappresentazione intima dello stato d'animo di un soggetto di tale importanza, così evidentemente introspettivo, perso nei propri pensieri.
Il 1511 era infatti un anno particolarmente duro per il pontefice, che aveva subito pesanti sconfitte da parte dei Francesi, vedendosi riprendere Bologna e subendo continuamente la minaccia degli eserciti stranieri, che di lì a pochi anni sarebbe infatti esplosa nel drammatico Sacco di Roma del 1527.
Leone X de Medici un papa-principe rinascimentale, si trovò a operare in una particolare situazione storica, nei primi decenni del 16° secolo, con la Santa Sede schiacciata tra gli interessi di Spagna e Francia, che si combattevano per affermare il proprio controllo sull’Italia.  Fu un papa energico e guerriero, ma anche nepotista e incapace di frenare la corruzione della Chiesa, una corruzione che favorì l’affermarsi della Riforma luterana.  Il giovane cardinale Giovanni de’ Medici nacque a Firenze l’11 dicembre 1475 da Lorenzo il Magnifico. A sette  anni era già avviato alla carriera ecclesiastica, a undici era abate di Montecassino e a tredici fu nominato cardinale da papa Innocenzo VIII Cybo, il quale però gli impose di non rivelare la nomina prima di tre anni. Trascorso tale periodo, si trasferì a Roma, dove accumulò altre rendite e incarichi di primo piano. La morte del padre, nel 1492, parve frenare lo slancio di Giovanni. 
Da papa Borgia si tenne però distante, né migliori furono i suoi rapporti col fratello maggiore Piero che controllava allora Firenze, dove il cardinale era intanto tornato. Alla caduta del regime mediceo, nel 1494, Giovanni dovette lasciare la città e passò un lungo periodo viaggiando col cugino Giulio (il futuro papa Clemente VII) tra Germania, Paesi Bassi e Francia.  Nel 1500 si trasferì a Roma, in quel Palazzo Madama che è oggi sede del Senato. Nel 1511 papa Giulio II gli affidò il governo della Romagna, dove l’anno successivo fu preso prigioniero dai Francesi.  Riuscì poi a fuggire ed ebbe un ruolo nelle trattative che in quello stesso 1512 assicurarono il ritorno di Firenze alla sua famiglia: partecipò alle operazioni militari che permisero di abbattere il regime antimediceo e assunse a pieno titolo il governo della città. Alla morte di Giulio II, nel 1513, Giovanni fu eletto pontefice dopo un conclave rapidissimo. Ordinato sacerdote (non lo era ancora!) e poi vescovo, Leone X  fu incoronato con una stupefacente e costosissima cerimonia.
L’Italia era in quel tempo la scena di un duro scontro tra Francia e Spagna e il papa cercò di impedire il predominio definitivo di una delle due potenze. Fu però anche sempre attento agli interessi del suo casato. 
Amava partecipare a spettacoli teatrali, cacce e feste profane, dissipò somme ingenti col gioco d’azzardo e nulla fece per frenare corruzione e abusi. Ebbe un ruolo nello scandalo delle indulgenze, la scintilla che favorì in Germania lo scoppio della protesta di Lutero, e fu timido nello stroncare le iniziative del frate ribelle. Protettore delle arti, molti importanti umanisti furono suoi collaboratori.  Tra i tanti, Bernardo Dovizi (detto il Bibbiena), Pietro Bembo, Francesco Guicciardini e Paolo Giovio, che paragonò il tempo di Leone X all’età dell’oro. Protesse anche molti personaggi minori, che furono favoriti di generosi emolumenti. Leone X aiutò Niccolò Machiavelli, che si trovava in difficoltà economiche, e nella sua corte ebbe ampio spazio Raffaello. Il pittore curò la collezione papale di sculture antiche e portò a termine gli affreschi nelle Stanze Vaticane (che da lui avrebbero preso nome e nelle quali risiedettero Giulio II e poi Leone X) e nelle Logge. Leone X morì nel 1521 a 46 anni.
Il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi è un dipinto a olio su tavola (155,2x118,9 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1518 e conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
Il grande ritratto del papa fu inviato a Firenze nel 1518 per rappresentare il pontefice, impossibilitato a spostarsi, alle nozze del nipote Lorenzo duca di Urbino con la nobildonna francese Madeleine de La Tour d'Auvergn(parente del re di Francia Francesco I), dalla cui unione nacque Caterina de' Medici.  Il ritratto fu sistemato in Palazzo Medici e le fonti lo ricordano "sopra alla tavola dove mangiava la Duchessa e gli altri signori, in mezzo, che veramente rallegrava ogni cosa"
Con questo quadro il papa intendeva confermare agli occhi dei Francesi la tradizionale politica medicea di alleanza con loro. Ma prima che ai Francesi si rivolgeva ai Fiorentini, per sottolineare che i Medici tenevano saldamente in mano le chiavi di S. Pietro e si avvalevano anche della parentela e del sostegno politico del re di Francia, allo scopo di estendere e rafforzare il loro dominio sulla città.  Vasari ne fece una descrizione di stupefatta ammirazione, che ben rievoca l'impressione che l'opera fece presso i contemporanei: incantava l'acuta descrizione degli oggetti, la resa minuziosa dei dettagli preziosi e soprattutto "i lumi delle finestre, le spalle del papa e il rigirare delle stanze" riflessi nel pomello della poltrona.  Il ritratto di Raffaello, a Leone X e ai due suoi cugini cardinali, Giulio de’ Medici e Luigi de Rossi, è studiato come un documento storico che trasmette un preciso messaggio politico. Ne furono fatte varie copie, tra cui una del Vasari stesso nel 1536; lo storico aretino riporta anche una storia secondo cui una copia di Andrea del Sarto (oggi a Napoli) fu spedita al posto dell'originale a Federico II Gonzaga, che l'aveva ammirato in casa di Ottaviano de' Medici e tanto aveva insistito per avere l'opera con Clemente VII; in realtà si pensa si tratti di un falso racconto, poiché dal carteggio si evince che il marchese non ricevette il dipinto prima del 1525. Nel 1589 è inventariato agli Uffizi e dal 1799 al 1816 finì in Francia tra le prede napoleoniche.
L'ultimo restauro risale al 1995.

Con questo ritratto ufficiale, Raffaello proseguì nell'opera di rinnovo della tradizione già avviata con il Ritratto di Giulio II.
Il papa, vestito col camauro, la mozzetta e una veste di velluto bordata di pelliccia e riccamente decorata, è infatti seduto a un tavolo coperto da un drappo rosso sulla sedia camerale sul cui pomello si vede un riflesso della finestra e della stanza. La composizione si svolge in diagonale, anziché di profilo o frontalmente come di solito, e il papa non è ritratto in maniera impostata, ma intento alla lettura, appena sospesa, di un prezioso manoscritto miniato (un libro d'ore), lente d'ingrandimento alla mano, vicino a una campanella riccamente ornata a casello, usata per chiamare i servitori e i cortigiani. Gli oggetti sul tavolo alludono senza dubbio ai gusti raffinati del Papa mecenate. Pochi accenni spaziali mostrano un pilastro della stanza, con cornici spezzate. Dietro di lui stanno due cardinali cugini, Giulio de' Medici (futuro Clemente VII, a sinistra) e Luigi de' Rossi (a destra) ;queste due figure, aggiunte in un secondo momento (come testimonia l'assenza di disegno sottostante).
Essi dimostrano una notevole familiarità, col gesto del cardinal de' Rossi che poggia le mani sullo schienale della sedia e guarda direttamente lo spettatore, come se ne percepisse la presenza; gli altri sguardi invece aiutano ad amplificare lo spazio su molteplici direttrici. Il ritratto del papa è molto caratterizzato nella fisionomia, come il volto tondo e dal mento gonfio, il naso grande e arcuato, lo sguardo intenso, rivolto a un punto indefinito nella stanza, i solchi ai lati della bocca, sulla fronte le leggere occhiaie, oltre alla leggera ricrescita della barba.
Il punto di vista è leggermente rialzato e il taglio del tavolo dai bordi del dipinto creano un effetto particolarmente innovativo, che evidenzia le direttrici diagonali: l'effetto è quello di uno spazio aperto che prosegue in tutte le direzioni, coinvolgendo al massimo lo spettatore che si trova vivamente partecipe alla scena.
I colori si basano su una stupenda "sinfonia dei rossi", dal purpureo del copricapo di velluto, alle sete cardinalizie dai toni accesi, fino allo scarlatto del drappo lanoso sul tavolo e alla tinta sanguigna delle frange e della stoffa sulla sedia.
L'atmosfera pacata, ma allusiva del potere papale e dello splendore della sua corte, e l'armonia dell'intera composizione fanno di questo dipinto una delle opere più significative e ammirate degli ultimi anni dell'artista.
Il successore di papa Leone X fu Adriano VI Florenszoon  di Utrecht, nacque il 2 marzo 1459 e morì a  Roma il  14 settembre 1523, fu papa  dal 1522 alla morte, il suo pontificato durò appen un anno.
Figlio di Florens, un ebanista, e Gertrude, studiò presso i Fratelli della vita comune, a Zwolle o a Deventer. A Lovanio studiò filosofia, teologia e diritto canonico, diventando dottore in teologia nel 1491, diacono di San Pietro e vice-cancelliere dell'università. Nel 1507 fu nominato tutore del futuro imperatore Carlo V, che all'epoca aveva solo sette anni. Fu inviato in Spagna nel 1515 in missione diplomatica; Carlo gli assicurò la successione alla sede di Tortosa; e il 14 novembre 1516 lo nominò inquisitore generale d'Aragona.
Mentre Carlo era minorenne, Adriano fu associato con il cardinale Jimenes nel governare la Spagna. Dopo la morte di quest'ultimo, Adriano fu nominato, il 14 marzo 1518, Generale delle inquisizioni riunite di Castiglia e Aragona, ruolo nel quale agì fino alla partenza  alla volta di Roma, il 4 agosto 1522: egli fu, comunque, troppo debole e confidente per gestire gli abusi che Jimenes era invece stato in grado di controllare.
Quando Carlo partì per i Paesi Bassi, nel 1520, rese Adriano reggente di Spagna: e come tale dovette affrontare una grave rivolta. Nel 1517 papa Leone X lo aveva nominato cardinale presbitero del titolo di Santi Giovanni e Paolo. Il 9 gennaio 1522 fu eletto papa praticamente all'unanimità. Incoronato a San Pietro il 31 agosto, all'età di sessantatré anni, si avviò sul cammino solitario del riformatore. Il suo programma era quello di attaccare uno alla volta tutti i più noti abusi; ma nel suo tentativo di migliorare il sistema di concessione delle indulgenze, fu ostacolato dai suoi cardinale. Ridurre poi il numero delle dispense matrimoniali era impossibile, perché le entrate erano state incamerate con anni di anticipo da Leone X.
Gli italiani videro in lui un pedante professore straniero, cieco di fronte alla bellezza dell'antichità classica. Adriano VI ridusse di molto gli stipendi dei grandi artisti. Musicisti come Carpentras, il compositore e cantore d'Avignone che era maestro di cappella sotto Leone X, lasciarono Roma in quel periodo, a causa dell'indifferenza di Adriano, se non all'aperta ostilità, nei confronti dell'arte. Gli standard musicali al Vaticano declinarono significativamente durante il suo pontificato. Perfino la volta della Cappella Sistina dipinta da Michelangelo Buonarroti rischiò di andare distrutta per la sua ostilità nei confronti dell'arte. Anche come uomo di pace tra i principi cristiani, che sperava di unire in una guerra protettiva contro l'Impero Ottomano, fu un fallimento: nell'agosto 1523 fu apertamente costretto ad allearsi con Sacro Romano Impero, Inghilterra, Repubblica di Venezia, ecc., contro la Francia; nel frattempo, nel dicembre del 1522, il sultano Solimano il Magnifico aveva conquistato Rodi.
Nella gestione delle prime fasi della rivolta protestante in Germania, Adriano non riconobbe completamente la gravità della situazione. Durante una dieta che si tenne nel dicembre 1522 a Norimberga, fu rappresentato dal Chieregati, le cui istruzioni contenevano la franca ammissione che il disordine della Chiesa scaturiva dalla Curia stessa, e che proprio da lì la riforma doveva iniziare. Comunque, l'ex professore ed inquisitore generale, era fermamente opposto a cambiamenti nella dottrina, e richiese che Martin Lutero venisse punito per eresia.
Adriano morì il 14 settembre 1523, alla fine di un pontificato troppo breve per essere efficace. Fu l'ultimo papa non italiano fino all'elezione di papa Giovanni Paolo II nel 1978 e fu l'ultimo papa proveniente dal Sacro Romano Impero, nonché unico papa di origine olandese.
Gran parte dei documenti ufficiali di Adriano VI scomparvero poco dopo la sua morte.
Adriano pubblicò Quaestiones in quartum sententiarum praesertim e Quaestiones quodlibeticae.
In un'opera non dottrinale, Adriano VI dichiarò la fattibilità del Papa, anche in materia di fede; opera che fu ristampata, con la sua autorizzazione, dopo la sua elezione al soglio pontificio. Contiene anche l'affermazione che diversi papi abbracciarono e insegnarono dottrine eretiche. Quest'opera ha attratto delle attenzioni: i cattolici sostengono che si tratta solo di un'opinione personale, non di un'affermazione ex cathedra, e quindi non è in conflitto con il dogma dell'infallibilità papale; altri sostengono che il concetto di "ex cathedra" fu affermato solo nel XIX secolo.
Durante il suo pontificato entrò in contatto con Jan Van Scorel. Un pittore olandese molto influente per quanto riguardò l'introduzione dell'arte rinascimentale italiana in Olanda., a lui fu riconosciuto il merito di aver istituito la consuetudine del tradizionale viaggio di formazione in Italia.

Van Scorel iniziò probabilmente i suoi studi con Jan Gossaert a Utrecht o Jacob Cornelisz ad Amsterdam e viaggiò molto, in gioventù, soprattutto tra Norimberga e l'Austria meridionale. Proprio in Austria nel 1520 completò la sua prima opera significativa, Sippenaltar. Durante la sua permanenza a Venezia, Van Scorel fu profondamente influenzato da Giorgione ed importanti nella sua formazione furono inoltre i pellegrinaggi a Roma e in Terra Santa.
Nel 1522, van Scorel venne in Italia, sbarcò a Venezia e di lì visitò diverse città fino ad arrivare a Roma, dove fu ricevuto da papa Adriano VI che lo nominò suo pittore ufficiale e gli commissionò numerose opere tra cui un famoso ritratto: van Scorel ebbe così l'occasione di conoscere l'opera di Michelangelo e Raffaello, cui succedette ai lavori per il Belvedere.
Dopo il suo ritorno in Olanda nel 1524, intraprese con successo la carriera di insegnante, affiancata a quella di pittore, e si cimentò come ingegnere ed architetto. Morì a Utrecht nel 1562 lasciando dietro di sé un gran numero di opere (molte delle quali sarebbero poi state distrutte dall'iconoclastia nel 1566.
Egli fu  il più grande pittore di questo secolo, autore di numerosissimi monumenti artistici, lasciò, con la sua morte in età venerabile un vuoto incolmabile dietro di sé. Visse sessantasette anni, quattro mesi e sei giorni. Morì il 6 dicembre nel 1562.

La raffigurazione di Adriano VI da parte di Scorel durante il soggiorno a Roma, si svolge in diagonale, anziché di profilo o frontalmente come di solito, Il punto di vista è leggermente rialzato, i colori che spiccano all'occhio è il rosso e il bianco.
Con il colore rosso è raffigurato il copricapo papale e la veste , nel fondo di colore rosso si intravede i pomoli della sedia di colore avorio.
Clemente VII de' Medici era nato a Firenze il 26 maggio 1478 e morì a Roma il 25 settembre 1534, era il rampollo della famiglia dei Medici, fu papa 1523 alla morte; dopo il breve pontificato di Adriano VI. Giulio era figlio naturale, poi legittimato di Giuliano De Medici , ucciso nella Congiura dei Pazzi un mese prima della sua nascita, e di una certa Fioretta, forse figlia di Antonio Gorini. In età giovanile fu affidato dallo zio Lorenzo il Magnifico, alle cure di Antonio da Sangallo. Dopo poco tempo, però, lo zio lo prese direttamente sotto la sua protezione.  Nel 1495, a causa delle sollevazioni popolari contro il cugino Piero, Giulio de' Medici scappò da Firenze per rifugiarsi prima a Bologna, poi a Pitigliano, Città di Castello e Roma, dove visse per molto tempo ospite del cugino cardinale Giovanni, il futuro papa Leone X. Il 9 maggio 1513 fu nominato arcivescovo di Firenze dal cugino papa Leone X, che aveva ripreso la città sconfiggendo le truppe francesi alleate dei repubblicani fiorentini. Il 14 agosto dello stesso anno Giulio fece il suo ingresso a Firenze. Alla morte del cugino Lorenzo de' Medici duca di urbino divenne anche signore della città. Sia come arcivescovo sia come governatore si dimostrò un abile uomo di governo.  Pur ricevendo spesso incarichi e missioni diplomatiche per conto del Papa non trascurò mai la sua arcidiocesi e con la collaborazione del suo vicario generale Pietro Andrea Gammaro volle conoscere, attraverso i singoli inventari, la situazione di tutte le chiese sotto la sua giurisdizione. Nel 1522 sventò una congiura tramata contro di lui e fu inflessibile contro i suoi nemici . Tra le sue azioni si deve ricordare il tentativo di costituire un'alleanza con l'Inghilterra per aiutare Leone X a contrastare le mire egemoniche di Francia e Spagna; per questo motivo fu nominato cardinale protettore d'Inghilterra. La caratteristica principale della politica di questo periodo fu la ricerca di un equilibrio tra i principi cristiani e l'indizione del Concilio Lateranense V (1512-1517), durante il quale Giulio si interessò di lotta contro le eresie. Da cardinale diacono nel frattempo fu dichiarato cardinale prete con il titolo di San Clemente (26 giugno 1517) e poi di San Lorenzo in Damaso. Il 9 marzo 1517 fu nominato Vice-cancelliere di Santa Romana Chiesa, incarico che gli diede modo di mettere alla prova le sue qualità diplomatiche.  Mentre cercava di organizzare una crociata contro i turchi, che Leone X reputava assolutamente necessaria, dovette risolvere due problemi: la protesta luterana, e la successione dell'Impero che, dopo Massimiliano I, toccò al nipote Carlo, già re di Napoli.
Nel corso del 1521 la situazione di Firenze (di cui era Governatore cittadino) lo tenne lontano per lungo tempo da Roma, ma l'improvvisa morte del papa, avvenuta nello stesso anno, lo costrinse a tornare a Roma per partecipare al conclave. Fu eletto Adriano VI, di cui aveva sostenuto la candidatura per ottenere l'appoggio di Carlo V. Il 3 agosto 1523 l'opera diplomatica di Giulio giunse alla conclusione: fu ratificata l'alleanza tra il papato e Carlo V. Poco dopo, nel settembre 1523 morì Adriano VI e Giulio, con l'appoggio dell'imperatore, dopo un difficile conclave che si protrasse per 50 giorni, fu eletto al soglio di Pietro, assumendo il nome di Clemente VII.
Era stato un pontificato intensissimo e controverso, segnato dall'onta del Sacco di Roma, durato undici mesi. Clemente VII venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva. Il suo mausoleo si trova di fronte a quello del cugino Leone X e fu disegnato da Antonio da Sangallo il Giovane. Papa Clemente VII fu raffigurato attraverso il dipinto si Sebastiano Del Piombo, realizzato prima del 1527, data del terribile “sacco di Roma” (saccheggio).  Sebastiano Del Piombo realizzò quest' opera per evidenziare il grande sacrificio che papa Clemente VII dovette affrontare contro le truppe imperiali e i Lanzichenecchi che travolsero il sacro suolo pontificio accompagnati da Carlo V.
Il Papa stesso, si trovò a temere tanto per la sua vita da compiere il voto di non tagliarsi più la barba in cambio della salvezza.  Questo voto è testimoniato dai due ritratti che Sebastiano del Piombo gli realizza, uno datato prima del 1527 ed uno dopo.  Il secondo evidenzia l’invecchiamento dell’uomo dovuto non solo al tempo, ma alle avversità subite. Per salvarsi infatti Clemente VII non ha dovuto solo farsi crescere la barba, ma piegarsi a Carlo V, pagare un riscatto e incoronarlo imperatore.

Sebastiano così ci presenta lo stesso soggetto differenziato dalla crescita psicologica del personaggio nonostante restino invariati gli stilemi della sua composizione, le forme massicce, i colori cupi, la luce di un ambiente chiuso. Lo sguardo pensoso lontano dallo spettatore. Questo Papa è stato protagonista di uno dei momenti più drammatici della storia del pontificato, ha superato, con qualche lesione, un momento difficilissimo solo dal punto di vista politico, ma anche umano, ha temuto realmente per la sua vita, lui che doveva essere un essere intoccabile e superiore agli altri. 
Di ritorno dal matrimonio della nipote (1533), Clemente VII si riammalò della malattia che lo aveva colpito nel 1529 e che spesso tornava a visitarlo. Il papa morì a Roma il 25 settembre 1534, a soli 56 anni, dopo aver mangiato l'amanita phalloides (un fungo mortale).
 Secondo un'altra teoria, suggerita dal divulgatore scientifico canadese Joe Schwarcz, Clemente VII potrebbe essere stato assassinato mettendo dell'arsenico in una candela che il papa avrebbe portato in una processione, inalandone i fumi altamente tossici.
Alla sua morte sotto la statua di Pasquino, venne posto un ritratto dell'Archiatra Pontificio Matteo Curti, con l'ironica scritta: «Ecce aqnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi», segno che fu un Papa poco amato dal popolo romano.
Sebastiano, giunto a Roma già da qualche tempo, dimostrò quanto fu importante l’influenza di Michelangelo, ravvisabile nella maestosa plasticità della figura, unita all’equilibrato uso del colore retaggio della sua formazione veneta. Sebastiano Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo nacque a Venezia nel 1485 morì a Roma nel 21 giugno 1547. Nacque da Luciano Luciani a Venezia verso il 1485, secondo la testimonianza di Vasari, che lo dice morto a sessantadue anni nel 1547. Verso la metà del secondo decennio il suo stile divenne la più valida alternativa a quello di Raffaello e la competizione fra i due diventò chiaro si fece esplicita: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de' Medici commissionò due pale d'altare per la sua sede vescovile di Narbonne, una a Raffaello, che eseguirà la Trasfigurazione e l'altra a Sebastiano, che concluse nel 1519 la Resurrezione di Lazzaro, ora alla National Gallery di Londra.