Questo lavoro consiste nel
prendere in esame attraverso i loro ritratti, i papi del primo quarto del
Cinquecento, da Alessandro VI Borgia a Clemente VII De Medici.
Attraverso l'iconografia di
questi papi si tenta di aprire uno spaccato della loro vita e degli autori che
li hanno raffigurati, in un determinato periodo storico caratterizzato da
guerre incessanti per la conquista degli Stati italiani, da parte di grande
potenze come Francia e Spagna. Durante i loro pontificati ci furono infatti
cinque guerre che gli storici identificano come le guerre d’Italia;
la prima guerra fu con Carlo VIII, la seconda avvenne con la discesa di Luigi
XII, la terza guerra con Francesco I di Francia e Giulio II che
si concluse con la pace di Noyon: le guerre successive furono tra Francia e
Spagna che si contendevano l’Italia nel 1521 al 1526 , l’ultima guerra si ebbe
nel 1526 al 1530 detta lega di Cognac.
I Papi di questo periodo
sono identificabili con dei veri e propri principi rinascimentali con i vizi e
i pregi dei signori laici. Una delle conseguenze fu che durante il XVI secolo
la chiesa, fu drammaticamente percorsa dalla riforma protestante di Martin
Lutero, figura centrale alla quale si attribuisce la nascita del movimento
protestante e la definitiva frattura dell’unità della Chiesa medievale.
Il primo papa del '500 è
Alessandro VI Borgia, papa dal 1492 al 1503. Egli nacque nel 1431 da Isabella
Borgia e da Callisto III Borgia.
Alessandro VI amava fare le
cose in grande e strabiliare i suoi sudditi; amava il lusso e l'esteriorità che
tradiva la sua origine spagnola, sebbene venisse da una famiglia di piccola
nobiltà e di pochi mezzi.
Alessandro VI amava cifra,
emblema e simboli; lo affascinavano le genealogie degli dei e le credenze
misteriche.
Prima di essere incoronato
papa si chiamava Rodrigo e il suo successo fu dovuto alle sue qualità
intellettuali molto vaste. Fu prete solo a trentasette anni, ma cardinale già a
venticinque. Quando venne a Roma aveva già un paio di figli di cui non si
conoscono le madri; qui ebbe come amante Vannozza Cattanei dalla
quale ebbe quattro figli: Giovanni, Cesare, Lucrezia e Goffredo.
Come papa fu una delle più
discusse personalità della sua epoca: poco aperto, da un lato alla cultura
rinascimentale, sistemò tuttavia l'università di Roma e finanziò gli scavi
archeologici che portarono alla scoperta di Nettuno e dell'Apollo
del Belvedere.
Durante il suo pontificato
ci fu la discesa di Carlo VIII di Francia nel 1494, sconfitto poi nella battaglia
di Fornovo del 1495. In un primo momento il re non fu contrastato poi Papa
Alessandro VI organizzò una lega contro di lui che lo costrinse ad abbandonare
Napoli e l'Italia nel 1495.
Una figura che osteggiò il
suo pontificato fu Girolamo Savonarola che accusò Alessandro VI di
simonia, ovvero la compravendita di cariche ecclesiastiche e ne criticò
aspramente la vita privata, cosa che gli costò la scomunica nel 1497 e il rogo.
La figura di Papa Alessandro VI non fu
mai coerente al periodo storico in cui viveva ma soprattutto al
ruolo che svolgeva. Fu accusato anche di satanismo poiché si diceva che
partecipasse addirittura a riti satanici, spesso in compagnia di altri
membri della sua discutibile e singolare famiglia.
Si racconta che nella serata
del 31 Ottobre 1501, Alessandro VI e la figlia Lucrezia
Borgia, abbiano preso parte ad un sabba satanico conosciuto con
il nome di ballo delle castagne, ideato da Cesare
Borgia, per ore giovani prostitute nude danzarono davanti agli ospiti alla
luce soffusa delle candele, poi, strisciando per terra, raccolsero con la bocca
le castagne che erano state sparpagliate sul pavimento. Testimoni riferirono di
aver visto scimmie nere a guardia della porta d’accesso alla stanza papale,
nello stesso momento in cui il successore di Pietro firmava un insano patto con
il diavolo. Non a caso, all’inizio del XVI secolo, il diavolo era
spesso raffigurato con le sembianze di un toro, simbolo dei Borgia.
È difficile stabilire quanto possa esserci di vero e quanto di leggendario in
questo aneddoto, ma esso è tuttavia significativo per comprendere
appieno quale fosse all’epoca la considerazione popolare sulla famiglia più
potente (e crudele) di Roma.
Nel 1503 papa
Alessandro VI morì: le cause della sua morte non risultano del tutto chiare.
Alcune fonti ufficiali affermano che il papa morì per un attacco improvviso di
malaria che nel periodo estivo colpiva solitamente Roma; altre fonti
certificano la sua morte per avvelenamento.
L’immagine di Papa
Alessandro VI fu rappresentata nella Resurrezione di Cristo che
appartiene ad una delle stanze dell'appartamento Borgia in Vaticano.
L'appartamento Borgia è
costituito da una serie di sei ambienti monumentali nel Palazzo Apostolico del
Vaticano; oggi è parte dei Musei Vaticani in cui è in parte ospitata, dal 1973, la
Collezione di Arte Moderna Religiosa. Le sale dell'appartamento Borgia
furono create come residenza privata di Alessandro VI e della sua
famiglia; furono decorate da uno straordinario ciclo di affreschi di Bernardino
di Betto Betti detto il Pinturicchio(piccolo "pintor", cioè
pittore) il soprannome deriva dalla sua corporatura minuta: egli stesso fece
proprio quel soprannome, usandolo per firmare alcune opere. Pinturicchio
possedeva una bottega dove lavorarono molti artisti e pittori umbri come
Piermatteo d'Amelia e Perugino; insieme realizzarono alcuni ambienti di Castel
Sant'Angelo, dipinsero il coro del Duomo di Orvieto e affrescarono la
Cappella del vescovo Eroli nel Duomo di Spoleto. Il ciclo di affreschi
dell'appartamento Borgia è databile al 1492-1494.
Pinturicchio un artista
completo, capace di padroneggiare sia l'arte della pittura su tavola, sia
l'affresco e la miniatura, lavorando per alcune delle più importanti
personalità del suo tempo. Fu uno dei grandi maestri della scuola umbra del
secondo Quattrocento, con Pietro Perugino e il giovane Raffaello.
Dopo la morte del pontefice,
le sale dell’appartamento Borgia furono abbandonate e riaperte al pubblico solo
alla fine del XIX secolo. Le sei sale dell'appartamento Borgia presentano
decorazioni che interessano soprattutto le volte e le lunette, con soluzioni
diverse da sala a sala, ma legate a uno stile e a un filo conduttore comune. La
prima sala è detta delle Sibille, la successiva è la sala del Credo,
terza: la sala delle Arti Liberali poi la sala dei Santi ed
infine la sala dei Misteri.
L'opera la Resurrezione
di Cristo fu iniziata nell'autunno del 1492 e terminata forse nel 1494; si
trattò di un progetto artistico molto ampio ed impegnativo della carriera del
pittore.
La figura centrale
dell'opera è la resurrezione di Cristo che in mano regge la bandiera con la
croce rossa in mezzo, simbolo di vittoria. Intorno a lui, si può notare
la rappresentazione di Cristo in mandorla, simbolo di eternità. Per molti
secoli all'interno dell'opera non era mai stato notato la rappresentazione
della raffigurazione dei nativi americani; infatti l'opera fu terminata due
anni dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo.
Questa scoperta è stata identificata da Antonio Paolucci, direttore dei Musei
Vaticani, storico e critico d’arte. All'interno dell'opera troviamo un soldato
con il capo alzato, segno di speranza, ma nello stesso tempo un volto stupito
da ciò che stava accadendo;le altre tre figure non sono state identificate con
certezza, ma molti ipotizzano che siano i tre figli di Alessandro VI.
Infine troviamo a sinistra
Alessandro VI che in ginocchio guarda intensamente la Resurrezione di Cristo,
ai suoi piedi è deposta la tiara ed indossa un vestito color avorio che spicca
subito agli occhi.
Tutti questi elementi ci
fanno capire che Alessandro VI era un uomo nel quale convivevano una fede
sincera, una ferma consapevolezza del suo ruolo e del suo destino, aveva un
eccessivo desiderio nei confronti della vita, del potere, dell'arte, della cultura,
queste ultime amate sotto il segno dello stupore, dell'eccesso e della
dismisura.
Dopo la morte di papa
Alessandro VI nel 1503, salì al soglio papale papa Pio III Piccolomini che
rimase in carica solo dieci giorni per una morte improvvisa.
Nello stesso mese fu
incoronato successore di papa Pio III , Giuliano Della Rovere ovvero Giulio II
che possiamo identificare come il secondo papa del '500,( papa dal 1503 al
1513).
Egli nacque il 5 dicembre
nel 1443 a Albissola presso Savona ,da una povera famiglia da Teodora e suo
padre Raffaello della Rovere.
Entrò nell'Ordine dei Frati
Minori Conventuali e nel 1471 fu eletto vescovo di Carpentras, in Francia, poco
dopo l’elezione dello zio a pontefice col nome di Sisto IV.
Nello stesso anno fu fatto
cardinale; con lo zio ottenne grande influenza e in aggiunta all'arcivescovato
di Avignone, resse non meno di altri otto vescovati, tra cui quello di Catania
tra il 1473 e il 1474 nella qualità di amministratore apostolico. In qualità di
legato pontificio fuinviato nel 1480 in Francia, dove rimase per quattro anni,
acquistando presto una grande influenza nel Collegio dei Cardinali, influenza
che aumentò durante il pontificato di Innocenzo VIII Cybo.
Giulio II uomo energico,
deciso e fiero, non cedette alle tentazioni di arricchire la propria famiglia
ma lottò. Spesso egli stesso si trovava al comando delle truppe armate per
creare e difendere un papato forte e indipendente contro le dominazioni
straniere.
Il piu grande merito di
Giulio II fu quello di aver protetto e di aver incoraggiato grandi artisti, in
particolare Michelangelo e Raffaello che affrescò le stanze vaticane.
La sua epoca segnò
evidentemente il culmine dell'arte rinascimentale.
Durante il suo pontificato,
Giulio II organizzò un piano per estromettere i Veneziani da Faenza, Rimini e
da altre città e fortezze d'Italia che avevano occupato nel 1503 con la morte
di Alessandro VI. Trovando impossibile spuntarla sul Doge con la sua autorità
spirituale, nel 1504 favorì un'unione degli interessi contrastanti di Francia e
Impero allo scopo di far concludere tra loro un'alleanza offensiva e difensiva
contro la Repubblica di Venezia. Inizialmente il patto fu poco più che
nominale, e non fu immediatamente efficace, spingendo i veneziani a cedere solo
pochi e non molto importanti castelli della Romagna.
Ma gli eventi successivi
giocarono a suo favore, tanto che nel 1508 Giulio II fu in grado di costituire
con Luigi XII di Francia, l'Imperatore Massimiliano I e Ferdinando II
d'Aragona, la famosa Lega di Cambrai contro la Repubblica veneziana.
Giulio II non vide
realizzato il suo progetto ovvero l'unificazione dell'Italia a causa della sua
morte improvvisa nel febbraio del 1513 a causa della febbre.
Non fu mai sepolto nella
tomba di Michelangelo all'interno della chiesa di San Pietro in Vincoli, ma
nella Basilica di San Pietro senza alcun monumento funebre.
Uno degli artisti del
periodo rinascimentale che ebbe buoni rapporti con Giulio II fu Raffaello.
In una delle opere di questo
grandissimo artista si può ammirare la rappresentazione appunto di Giulio
II.
Raffaello Sanzio autore del
ritratto di Giulio II ,è stato un pittore e architetto italiano, tra i più
celebri del Rinascimento italiano. Raffaello nacque a Urbino nel 1483
e morì a Roma nel 1520. Nella formazione di Raffaello fu determinante il fatto
di essere nato e di aver trascorso la giovinezza ad Urbino, che in quel periodo
era un centro artistico di primaria importanza che irradiava in Italia e in
Europa gli ideali del Rinascimento. Qui Raffaello, avendo accesso con il
padre alle sale del Palazzo Ducale, ebbe modo di studiare le opere di Piero
della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Pedro
Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da
Forlì e altri. L'artista raggiunse rapidamente una maturazione artistica
che non può prescindere da un avviamento molto precoce all'attività artistica.
Nel frattempo la fama di Raffaello iniziava ad allargarsi a tutta l'Umbria,
facendone uno dei più richiesti pittori attivi in regione. Verso il 1503
l'artista dovette intraprendere una serie di brevi viaggi che lo portarono ai
primi contatti con importanti realtà artistiche. Oltre alle città umbre e alla
nativa Urbino, visitò quasi sicuramente Firenze, Roma (dove
assistette alla consacrazione di Giulio II) e Siena. Si trattò di
brevi viaggi, magari di qualche settimana, che non possono essere definiti veri
e propri soggiorni.
A Firenze vide le
prime opere di Leonardo da Vinci e di Michelangelo, a Roma entrò in
contatto con la cultura figurativa classica (leggibile nel dittico delle Tre
Grazie e il Sogno del cavaliere), a Siena aiutò l'amico Pinturicchio,
ben più anziano e in pieno declino, a preparare i cartoni per gli affreschi
della Libreria Piccolomini, di cui restano due splendidi esemplari agli
Uffizi, di incomparabile grazia ed eleganza rispetto al risultato finale. A
Siena fu invitato da Pinturicchio, con il quale intesseva una stretta
amicizia. Il pittore più anziano invitò Raffaello a collaborare agli affreschi
della Libreria Piccolomini, fornendo dei cartoni che svecchiassero il suo
stile ormai in una fase di declino, come si vede nei precedenti affreschi della Cappella
Baglioni a Spello. Verso la fine del 1508 per Raffaello arrivò
la chiamata a Roma che cambiò la sua vita. In quel periodo infatti papa Giulio
II aveva messo in atto una straordinaria opera di rinnovo urbanistico e
artistico della città in generale e del Vaticano in particolare, chiamando a sé
i migliori artisti sulla piazza, tra cui Michelangelo e Donato Bramante. Fu
proprio Bramante, secondo la testimonianza di Vasari, a suggerire al papa il
nome del conterraneo Raffaello, ma non è escluso che nella sua chiamata ebbero
un ruolo decisivo anche i Della Rovere, parenti del papa, in particolare
Francesco Maria, figlio di quella Giovanna Feltria che già aveva raccomandato
l'artista a Firenze. Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli
37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Egli morì per una grave malattia che
durò molti giorni. Nella camera ove egli morì era stata appesa, alcuni giorni
prima della morte, la Trasfigurazione e la visione di quel capolavoro
generò ancora più sconforto per la sua perdita. La sua scomparsa fu
salutata dal commosso cordoglio dell'intera corte pontificia. Il suo corpo fu
sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto.
Il Ritratto di Giulio II è
un dipinto a olio su tavola (108,7x80 cm) di Raffaello, un’opera copiata molte
volte, databile al 1511 e conservato nella National Gallery di Londra.
Destinata in origine alla
Chiesa di Santa Maria del Popolo, dove era esposta in occasioni solenni, la
tavola è ricordata da Vasari. che scrisse che il papa era «tanto vivo e verace
che faceva temere il ritratto a vederlo come se proprio egli fosse vivo».
Giulio II, il papa guerriero
tanto spesso criticato per le sue strenue campagne militari, è raffigurato
ormai anziano, pensieroso, seduto su una poltrona adornata da ghiande dorate,
simbolo della sua casata, e regge un fazzoletto nella mano destra.
Raffaello non lo riprende
frontalmente, ma di tre quarti, con un taglio compositivo meno ieratico e più
intimo,un taglio che ebbe grande influenza sulla ritrattistica successiva.
Raffinato è l’accordo dei
colori, che rimanda alla pittura veneta, e straordinaria l’abilità con la quale
l'artista ha reso la lucentezza della seta dell'abito, la morbidezza del
velluto rosso e la varietà dei bianchi dell'abito, della barba e delle bordure
di pelliccia.
Il papa è raffigurato seduto
sulla sedia camerale con braccioli e pigne sui pomoli dello schienale, un
richiamo allo stemma Della Rovere.
La sua figura, un po' curva,
è girata di tre quarti verso destra.
La barba è lunga, come dal
voto fatto nel 1511, e indossa il camauro di velluto rosso, la mantella rossa
bordata d'ermellino (la mozzetta) e la tunica bianca.
Lo sfondo del parato verde,
con decorazioni che mostrano le chiavi di san Pietro, esalta i colori della
veste e la volumetria del soggetto.
Le mani espressive, con gli
anelli cerimoniali, reggono un fazzoletto o l'estremità del bracciolo.
I pontefici erano di solito
ritratti di profilo, magari in ginocchio, o rigidamente frontali, quasi
ieratici, con un'impostazione impersonale ("araldica") o comunque
encomiastica. Raffaello rinnovò questa tradizione ritraendo il papa a mezza
figura, con un punto di vista diagonale e leggermente dall'alto, come se lo
spettatore fosse in piedi accanto al pontefice seduto, rimuovendo qualsiasi
distacco fisico e psicologico verso il reverendo ruolo del protagonista. Tale
soluzione divenne un modello frequentissimo per i ritratti ufficiali di
pontefici. Lo stesso Raffaello lo sviluppò nel Ritratto di Leone X con i
cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, e vi si attennero Ritratto di Sebastiano del Piombo (Clemente VII) e Diego Velázquez (Ritratto di
Innocenzo X).
Eccezionale per l'epoca fu
anche la rappresentazione intima dello stato d'animo di un soggetto di tale
importanza, così evidentemente introspettivo, perso nei propri pensieri.
Il 1511 era infatti un anno
particolarmente duro per il pontefice, che aveva subito pesanti sconfitte da
parte dei Francesi, vedendosi riprendere Bologna e subendo
continuamente la minaccia degli eserciti stranieri, che di lì a pochi anni
sarebbe infatti esplosa nel drammatico Sacco di Roma del 1527.
Leone X de Medici un
papa-principe rinascimentale, si trovò a operare in una particolare situazione
storica, nei primi decenni del 16° secolo, con la Santa Sede schiacciata tra
gli interessi di Spagna e Francia, che si combattevano per affermare il proprio
controllo sull’Italia. Fu un papa energico e guerriero, ma anche
nepotista e incapace di frenare la corruzione della Chiesa, una corruzione che
favorì l’affermarsi della Riforma luterana. Il giovane cardinale
Giovanni de’ Medici nacque a Firenze l’11 dicembre 1475 da Lorenzo il
Magnifico. A sette anni era già avviato alla carriera ecclesiastica,
a undici era abate di Montecassino e a tredici fu nominato cardinale da papa
Innocenzo VIII Cybo, il quale però gli impose di non rivelare la nomina prima
di tre anni. Trascorso tale periodo, si trasferì a Roma, dove accumulò altre
rendite e incarichi di primo piano. La morte del padre, nel 1492, parve frenare
lo slancio di Giovanni.
Da papa Borgia si tenne però
distante, né migliori furono i suoi rapporti col fratello maggiore Piero che
controllava allora Firenze, dove il cardinale era intanto tornato. Alla caduta
del regime mediceo, nel 1494, Giovanni dovette lasciare la città e passò un lungo
periodo viaggiando col cugino Giulio (il futuro papa Clemente VII) tra
Germania, Paesi Bassi e Francia. Nel 1500 si trasferì a Roma, in quel
Palazzo Madama che è oggi sede del Senato. Nel 1511 papa Giulio II gli affidò
il governo della Romagna, dove l’anno successivo fu preso prigioniero dai
Francesi. Riuscì poi a fuggire ed ebbe un ruolo nelle trattative che in
quello stesso 1512 assicurarono il ritorno di Firenze alla sua famiglia:
partecipò alle operazioni militari che permisero di abbattere il regime
antimediceo e assunse a pieno titolo il governo della città. Alla morte di
Giulio II, nel 1513, Giovanni fu eletto pontefice dopo un conclave rapidissimo.
Ordinato sacerdote (non lo era ancora!) e poi vescovo, Leone X fu
incoronato con una stupefacente e costosissima cerimonia.
L’Italia era in quel tempo
la scena di un duro scontro tra Francia e Spagna e il papa cercò di impedire il
predominio definitivo di una delle due potenze. Fu però anche sempre attento
agli interessi del suo casato.
Amava partecipare a
spettacoli teatrali, cacce e feste profane, dissipò somme ingenti col gioco
d’azzardo e nulla fece per frenare corruzione e abusi. Ebbe un ruolo nello
scandalo delle indulgenze, la scintilla che favorì in Germania lo scoppio della
protesta di Lutero, e fu timido nello stroncare le iniziative del frate
ribelle. Protettore delle arti, molti importanti umanisti furono suoi
collaboratori. Tra i tanti, Bernardo Dovizi (detto il Bibbiena), Pietro
Bembo, Francesco Guicciardini e Paolo Giovio, che paragonò il tempo di Leone X
all’età dell’oro. Protesse anche molti personaggi minori, che furono favoriti
di generosi emolumenti. Leone X aiutò Niccolò Machiavelli, che si trovava in
difficoltà economiche, e nella sua corte ebbe ampio spazio Raffaello. Il pittore
curò la collezione papale di sculture antiche e portò a termine gli affreschi
nelle Stanze Vaticane (che da lui avrebbero preso nome e nelle quali
risiedettero Giulio II e poi Leone X) e nelle Logge. Leone X morì nel 1521 a 46
anni.
Il Ritratto di Leone X
con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi è un dipinto
a olio su tavola (155,2x118,9 cm) di Raffaello Sanzio, databile
al 1518 e conservato nella Galleria degli
Uffizi di Firenze.
Il grande ritratto del papa
fu inviato a Firenze nel 1518 per rappresentare il pontefice,
impossibilitato a spostarsi, alle nozze del nipote Lorenzo duca di
Urbino con la nobildonna francese Madeleine de La Tour
d'Auvergne (parente del re di Francia Francesco I), dalla cui unione
nacque Caterina de' Medici. Il ritratto fu sistemato in Palazzo
Medici e le fonti lo ricordano "sopra alla tavola dove mangiava la
Duchessa e gli altri signori, in mezzo, che veramente rallegrava ogni
cosa"
Con questo quadro il papa
intendeva confermare agli occhi dei Francesi la tradizionale politica medicea
di alleanza con loro. Ma prima che ai Francesi si rivolgeva ai Fiorentini, per
sottolineare che i Medici tenevano saldamente in mano le chiavi di S. Pietro e
si avvalevano anche della parentela e del sostegno politico del re di Francia,
allo scopo di estendere e rafforzare il loro dominio sulla città. Vasari ne
fece una descrizione di stupefatta ammirazione, che ben rievoca l'impressione
che l'opera fece presso i contemporanei: incantava l'acuta descrizione degli
oggetti, la resa minuziosa dei dettagli preziosi e soprattutto "i lumi
delle finestre, le spalle del papa e il rigirare delle stanze" riflessi
nel pomello della poltrona. Il ritratto di Raffaello, a Leone X e ai due
suoi cugini cardinali, Giulio de’ Medici e Luigi de Rossi, è studiato come un
documento storico che trasmette un preciso messaggio politico. Ne furono
fatte varie copie, tra cui una del Vasari stesso nel 1536; lo storico
aretino riporta anche una storia secondo cui una copia di Andrea del
Sarto (oggi a Napoli) fu spedita al posto dell'originale
a Federico II Gonzaga, che l'aveva ammirato in casa di Ottaviano de'
Medici e tanto aveva insistito per avere l'opera con Clemente VII; in
realtà si pensa si tratti di un falso racconto, poiché dal carteggio si evince
che il marchese non ricevette il dipinto prima del 1525. Nel 1589 è
inventariato agli Uffizi e dal 1799 al 1816 finì
in Francia tra le prede napoleoniche.
Con questo ritratto
ufficiale, Raffaello proseguì nell'opera di rinnovo della tradizione già
avviata con il Ritratto di Giulio II.
Il papa, vestito
col camauro, la mozzetta e una veste di velluto bordata di
pelliccia e riccamente decorata, è infatti seduto a un tavolo coperto da un
drappo rosso sulla sedia camerale sul cui pomello si vede un riflesso
della finestra e della stanza. La composizione si svolge in diagonale, anziché
di profilo o frontalmente come di solito, e il papa non è ritratto in maniera
impostata, ma intento alla lettura, appena sospesa, di un prezioso manoscritto
miniato (un libro d'ore), lente d'ingrandimento alla mano, vicino a una
campanella riccamente ornata a casello, usata per chiamare i servitori e i
cortigiani. Gli oggetti sul tavolo alludono senza dubbio ai gusti raffinati del
Papa mecenate. Pochi accenni spaziali mostrano un pilastro della stanza, con
cornici spezzate. Dietro di lui stanno due cardinali cugini, Giulio de' Medici
(futuro Clemente VII, a sinistra) e Luigi de' Rossi (a destra)
;queste due figure, aggiunte in un secondo momento (come testimonia l'assenza
di disegno sottostante).
Essi dimostrano una notevole
familiarità, col gesto del cardinal de' Rossi che poggia le mani sullo
schienale della sedia e guarda direttamente lo spettatore, come se ne
percepisse la presenza; gli altri sguardi invece aiutano ad amplificare lo
spazio su molteplici direttrici. Il ritratto del papa è molto caratterizzato
nella fisionomia, come il volto tondo e dal mento gonfio, il naso grande e
arcuato, lo sguardo intenso, rivolto a un punto indefinito nella stanza, i
solchi ai lati della bocca, sulla fronte le leggere occhiaie, oltre alla
leggera ricrescita della barba.
Il punto di vista è
leggermente rialzato e il taglio del tavolo dai bordi del dipinto creano un
effetto particolarmente innovativo, che evidenzia le direttrici diagonali:
l'effetto è quello di uno spazio aperto che prosegue in tutte le direzioni,
coinvolgendo al massimo lo spettatore che si trova vivamente partecipe alla
scena.
I colori si basano su una
stupenda "sinfonia dei rossi", dal purpureo del copricapo di velluto,
alle sete cardinalizie dai toni accesi, fino allo scarlatto del drappo lanoso
sul tavolo e alla tinta sanguigna delle frange e della stoffa sulla sedia.
L'atmosfera pacata, ma
allusiva del potere papale e dello splendore della sua corte, e l'armonia
dell'intera composizione fanno di questo dipinto una delle opere più
significative e ammirate degli ultimi anni dell'artista.
Il successore di papa Leone
X fu Adriano VI Florenszoon di Utrecht, nacque
il 2 marzo 1459 e morì a Roma il 14
settembre 1523, fu papa dal 1522 alla morte, il
suo pontificato durò appen un anno.
Figlio di Florens, un ebanista,
e Gertrude, studiò presso i Fratelli della vita comune,
a Zwolle o a Deventer. A Lovanio studiò filosofia, teologia e diritto
canonico, diventando dottore in
teologia nel 1491, diacono di San Pietro e vice-cancelliere
dell'università. Nel 1507 fu nominato tutore del futuro
imperatore Carlo V, che all'epoca aveva solo sette anni. Fu inviato
in Spagna nel 1515 in missione diplomatica; Carlo gli
assicurò la successione alla sede di Tortosa; e il 14 novembre 1516 lo
nominò inquisitore generale d'Aragona.
Mentre Carlo era minorenne,
Adriano fu associato con il cardinale Jimenes nel governare la Spagna. Dopo la
morte di quest'ultimo, Adriano fu nominato, il 14 marzo 1518, Generale
delle inquisizioni riunite di Castiglia e Aragona, ruolo nel
quale agì fino alla partenza alla volta di Roma, il 4
agosto 1522: egli fu, comunque, troppo debole e confidente per gestire gli
abusi che Jimenes era invece stato in grado di controllare.
Quando Carlo partì per
i Paesi Bassi, nel 1520, rese Adriano reggente di Spagna: e come tale
dovette affrontare una grave rivolta. Nel 1517 papa Leone X lo
aveva nominato cardinale presbitero del titolo di Santi Giovanni e Paolo. Il
9 gennaio 1522 fu eletto papa praticamente all'unanimità.
Incoronato a San Pietro il 31 agosto, all'età di sessantatré anni, si avviò sul
cammino solitario del riformatore. Il suo programma era quello di attaccare uno
alla volta tutti i più noti abusi; ma nel suo tentativo di migliorare il
sistema di concessione delle indulgenze, fu ostacolato dai suoi cardinale.
Ridurre poi il numero delle dispense matrimoniali era impossibile, perché le
entrate erano state incamerate con anni di anticipo da Leone X.
Gli italiani videro in lui
un pedante professore straniero, cieco di fronte alla bellezza dell'antichità
classica. Adriano VI ridusse di molto gli stipendi dei grandi artisti.
Musicisti come Carpentras, il compositore e cantore d'Avignone che
era maestro di cappella sotto Leone X, lasciarono Roma in quel periodo, a causa
dell'indifferenza di Adriano, se non all'aperta ostilità, nei confronti
dell'arte. Gli standard musicali al Vaticano declinarono significativamente
durante il suo pontificato. Perfino la volta della Cappella
Sistina dipinta da Michelangelo Buonarroti rischiò di andare
distrutta per la sua ostilità nei confronti dell'arte. Anche come uomo di pace
tra i principi cristiani, che sperava di unire in una guerra protettiva contro
l'Impero Ottomano, fu un fallimento: nell'agosto 1523 fu
apertamente costretto ad allearsi con Sacro Romano
Impero, Inghilterra, Repubblica di Venezia, ecc., contro
la Francia; nel frattempo, nel dicembre del 1522, il sultano Solimano
il Magnifico aveva conquistato Rodi.
Nella gestione delle prime
fasi della rivolta protestante in Germania, Adriano non
riconobbe completamente la gravità della situazione. Durante una dieta che si
tenne nel dicembre 1522 a Norimberga, fu rappresentato dal
Chieregati, le cui istruzioni contenevano la franca ammissione che il disordine della
Chiesa scaturiva dalla Curia stessa, e che proprio da lì la
riforma doveva iniziare. Comunque, l'ex professore ed inquisitore generale, era
fermamente opposto a cambiamenti nella dottrina, e richiese che Martin
Lutero venisse punito per eresia.
Adriano morì il 14
settembre 1523, alla fine di un pontificato troppo breve per essere
efficace. Fu l'ultimo papa non italiano fino all'elezione di papa Giovanni
Paolo II nel 1978 e fu l'ultimo papa proveniente dal Sacro
Romano Impero, nonché unico papa di origine olandese.
Gran parte dei documenti
ufficiali di Adriano VI scomparvero poco dopo la sua morte.
Adriano pubblicò Quaestiones
in quartum sententiarum praesertim e Quaestiones quodlibeticae.
In un'opera non dottrinale,
Adriano VI dichiarò la fattibilità del Papa, anche in materia di fede; opera
che fu ristampata, con la sua autorizzazione, dopo la sua elezione al soglio
pontificio. Contiene anche l'affermazione che diversi papi abbracciarono e
insegnarono dottrine eretiche. Quest'opera ha attratto delle attenzioni: i
cattolici sostengono che si tratta solo di un'opinione personale, non di
un'affermazione ex cathedra, e quindi non è in conflitto con
il dogma dell'infallibilità papale; altri sostengono che il concetto
di "ex cathedra" fu affermato solo nel XIX secolo.
Durante il suo pontificato
entrò in contatto con Jan Van Scorel.
Un pittore olandese molto influente per quanto riguardò
l'introduzione dell'arte rinascimentale italiana in Olanda., a lui fu
riconosciuto il merito di aver istituito la consuetudine del tradizionale
viaggio di formazione in Italia.
Van Scorel iniziò
probabilmente i suoi studi con Jan Gossaert a Utrecht o Jacob
Cornelisz ad Amsterdam e viaggiò molto, in gioventù, soprattutto
tra Norimberga e l'Austria meridionale. Proprio
in Austria nel 1520 completò la sua prima opera
significativa, Sippenaltar. Durante la sua permanenza a Venezia, Van
Scorel fu profondamente influenzato da Giorgione ed importanti
nella sua formazione furono inoltre i pellegrinaggi a Roma e
in Terra Santa.
Nel 1522, van Scorel
venne in Italia, sbarcò a Venezia e di lì visitò diverse città fino ad arrivare
a Roma, dove fu ricevuto da papa Adriano VI che lo nominò suo pittore
ufficiale e gli commissionò numerose opere tra cui un famoso ritratto: van
Scorel ebbe così l'occasione di conoscere l'opera
di Michelangelo e Raffaello, cui succedette ai lavori per
il Belvedere.
Dopo il suo ritorno
in Olanda nel 1524, intraprese con successo la carriera di
insegnante, affiancata a quella di pittore, e si cimentò come ingegnere ed
architetto. Morì a Utrecht nel 1562 lasciando dietro di sé
un gran numero di opere (molte delle quali sarebbero poi state distrutte
dall'iconoclastia nel 1566.
Egli fu il più grande
pittore di questo secolo, autore di numerosissimi monumenti artistici, lasciò,
con la sua morte in età venerabile un vuoto incolmabile dietro di sé. Visse
sessantasette anni, quattro mesi e sei giorni. Morì il 6 dicembre nel 1562.
La raffigurazione di Adriano
VI da parte di Scorel durante il soggiorno a Roma, si svolge in diagonale,
anziché di profilo o frontalmente come di solito, Il punto di vista è
leggermente rialzato, i colori che spiccano all'occhio è il rosso e il bianco.
Con il colore rosso è
raffigurato il copricapo papale e la veste , nel fondo di colore rosso si
intravede i pomoli della sedia di colore avorio.
Clemente VII de' Medici
era nato a Firenze il 26 maggio 1478 e morì a Roma il 25
settembre 1534, era il rampollo della famiglia dei Medici, fu papa 1523
alla morte; dopo il breve pontificato di Adriano VI. Giulio era figlio
naturale, poi legittimato di Giuliano De Medici , ucciso nella Congiura dei
Pazzi un mese prima della sua nascita, e di una certa Fioretta, forse figlia di
Antonio Gorini. In età giovanile fu affidato dallo zio Lorenzo il Magnifico,
alle cure di Antonio da Sangallo. Dopo poco tempo, però, lo zio lo prese
direttamente sotto la sua protezione. Nel 1495, a causa delle
sollevazioni popolari contro il cugino Piero, Giulio de' Medici scappò da Firenze per
rifugiarsi prima a Bologna, poi a Pitigliano, Città di Castello e Roma,
dove visse per molto tempo ospite del cugino cardinale Giovanni, il futuro papa
Leone X. Il 9 maggio 1513 fu nominato arcivescovo di Firenze dal cugino papa
Leone X, che aveva ripreso la città sconfiggendo le truppe francesi alleate dei
repubblicani fiorentini. Il 14 agosto dello stesso anno Giulio fece il suo
ingresso a Firenze. Alla morte del cugino Lorenzo de' Medici duca di urbino
divenne anche signore della città. Sia come arcivescovo sia come governatore si
dimostrò un abile uomo di governo. Pur ricevendo spesso incarichi e
missioni diplomatiche per conto del Papa non trascurò mai la sua arcidiocesi e
con la collaborazione del suo vicario generale Pietro Andrea Gammaro volle
conoscere, attraverso i singoli inventari, la situazione di tutte le chiese
sotto la sua giurisdizione. Nel 1522 sventò una congiura tramata contro di lui
e fu inflessibile contro i suoi nemici . Tra le sue azioni si deve ricordare il
tentativo di costituire un'alleanza con l'Inghilterra per aiutare Leone X
a contrastare le mire egemoniche di Francia e Spagna; per questo motivo fu
nominato cardinale protettore d'Inghilterra. La caratteristica principale della
politica di questo periodo fu la ricerca di un equilibrio tra i principi
cristiani e l'indizione del Concilio Lateranense V (1512-1517),
durante il quale Giulio si interessò di lotta contro le eresie. Da cardinale
diacono nel frattempo fu dichiarato cardinale prete con il
titolo di San Clemente (26 giugno 1517) e poi di San
Lorenzo in Damaso. Il 9 marzo 1517 fu nominato Vice-cancelliere di
Santa Romana Chiesa, incarico che gli diede modo di mettere alla prova le sue
qualità diplomatiche. Mentre cercava di organizzare una crociata contro
i turchi, che Leone X reputava assolutamente necessaria, dovette risolvere
due problemi: la protesta luterana, e la successione dell'Impero che, dopo Massimiliano
I, toccò al nipote Carlo, già re di Napoli.
Nel corso del 1521 la
situazione di Firenze (di cui era Governatore cittadino) lo tenne lontano per
lungo tempo da Roma, ma l'improvvisa morte del papa, avvenuta nello stesso
anno, lo costrinse a tornare a Roma per partecipare al conclave. Fu eletto
Adriano VI, di cui aveva sostenuto la candidatura per ottenere l'appoggio di
Carlo V. Il 3 agosto 1523 l'opera diplomatica di Giulio giunse alla
conclusione: fu ratificata l'alleanza tra il papato e Carlo V. Poco dopo,
nel settembre 1523 morì Adriano VI e Giulio, con l'appoggio dell'imperatore,
dopo un difficile conclave che si protrasse per 50 giorni, fu eletto al soglio
di Pietro, assumendo il nome di Clemente VII.
Era stato un pontificato
intensissimo e controverso, segnato dall'onta del Sacco di Roma, durato undici
mesi. Clemente VII venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva. Il suo mausoleo
si trova di fronte a quello del cugino Leone X e fu disegnato da Antonio da
Sangallo il Giovane. Papa Clemente VII fu raffigurato attraverso il dipinto si
Sebastiano Del Piombo, realizzato prima del 1527, data del terribile “sacco di
Roma” (saccheggio). Sebastiano Del Piombo realizzò quest' opera per
evidenziare il grande sacrificio che papa Clemente VII dovette affrontare
contro le truppe imperiali e i Lanzichenecchi che travolsero il sacro suolo
pontificio accompagnati da Carlo V.
Il Papa stesso, si trovò a
temere tanto per la sua vita da compiere il voto di non tagliarsi più la barba
in cambio della salvezza. Questo voto è testimoniato dai due ritratti che
Sebastiano del Piombo gli realizza, uno datato prima del 1527 ed uno
dopo. Il secondo evidenzia l’invecchiamento dell’uomo dovuto non solo al
tempo, ma alle avversità subite. Per salvarsi infatti Clemente VII non ha
dovuto solo farsi crescere la barba, ma piegarsi a Carlo V, pagare un riscatto
e incoronarlo imperatore.
Sebastiano così ci presenta
lo stesso soggetto differenziato dalla crescita psicologica del personaggio
nonostante restino invariati gli stilemi della sua composizione, le forme
massicce, i colori cupi, la luce di un ambiente chiuso. Lo sguardo pensoso
lontano dallo spettatore. Questo Papa è stato protagonista di uno dei momenti
più drammatici della storia del pontificato, ha superato, con qualche lesione,
un momento difficilissimo solo dal punto di vista politico, ma anche umano, ha
temuto realmente per la sua vita, lui che doveva essere un essere intoccabile e
superiore agli altri.
Di ritorno dal matrimonio
della nipote (1533), Clemente VII si riammalò della malattia che lo aveva
colpito nel 1529 e che spesso tornava a visitarlo. Il papa morì a Roma il 25
settembre 1534, a soli 56 anni, dopo aver mangiato l'amanita phalloides (un
fungo mortale).
Secondo un'altra
teoria, suggerita dal divulgatore scientifico canadese Joe Schwarcz, Clemente
VII potrebbe essere stato assassinato mettendo dell'arsenico in una candela che
il papa avrebbe portato in una processione, inalandone i fumi altamente
tossici.
Alla sua morte sotto la
statua di Pasquino, venne posto un ritratto dell'Archiatra Pontificio Matteo
Curti, con l'ironica scritta: «Ecce aqnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi»,
segno che fu un Papa poco amato dal popolo romano.
Sebastiano, giunto a Roma
già da qualche tempo, dimostrò quanto fu importante l’influenza di
Michelangelo, ravvisabile nella maestosa plasticità della figura, unita
all’equilibrato uso del colore retaggio della sua formazione veneta. Sebastiano
Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo nacque a Venezia nel
1485 morì a Roma nel 21 giugno 1547. Nacque da Luciano Luciani a Venezia verso
il 1485, secondo la testimonianza di Vasari, che lo dice morto a sessantadue
anni nel 1547. Verso la metà del secondo decennio il suo stile divenne la più
valida alternativa a quello di Raffaello e la competizione fra i due diventò
chiaro si fece esplicita: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de' Medici
commissionò due pale d'altare per la sua sede vescovile di Narbonne, una a
Raffaello, che eseguirà la Trasfigurazione e l'altra a Sebastiano,
che concluse nel 1519 la Resurrezione di Lazzaro, ora alla National
Gallery di Londra.