Tra gli elementi fondamentali dell'arte del
Seicento c'è il Naturalismo, una corrente nata dall'osservazione della natura
di Caravaggio e maturata nell’enorme arcidiocesi di Milano, (che comprendeva
le diocesi suffraganee di Bergamo, Brescia, Como, Crema, Cremona, Lodi, Mantova,
Pavia e Vigevano) con la catechesi di San Carlo Borromeo che nel 1577 delibera
in materia d’arte, promulgando le “Instructiones
fabricae et suppellectilis ecclesiasticae”.
Nella seconda metà del Cinquecento e nella
prima metà del Seicento, la pittura lombarda visse una stagione di grande sviluppo,
durante la quale essa elaborò un linguaggio pittorico nuovo e del tutto
originale, che fece di Milano uno dei centri più importanti della pittura
italiana del tempo.
La presenza a Milano di San Carlo Borromeo,
arcivescovo dal 1564 al 1584, fu di fondamentale importanza.
San Carlo chiedeva al suo popolo di seguirlo
sulla strada di una fede vera, profondamente sentita, senza compromessi. Le sue
parole trasformavano gli animi, il suo esempio accendeva i cuori e una delle
questioni centrali, essenziale per questa riforma engagé, fu proprio l’uso
delle immagini, concepite come strumento di comunicazione con i fedeli. La
venerazione delle immagini era favorita, perché esse erano strumenti di
continua rievocazione dei brani della fede cattolica: niente doveva distrarre,
niente doveva essere concesso al puro intellettualismo di matrice manierista,
ma si richiedeva agli artisti semplicità di composizione, onestà di sentimenti
ed efficace realismo.
Questa pittura si serviva di un linguaggio
severo e drammatico in scene molto narrative, in dipinti che sono sempre un
miscuglio fra realtà concreta e quotidiana e una visione ascetica e
soprannaturale dell'umanità e della fede.
Tele, affreschi e pale d’altare divennero il
principale mezzo di diffusione tra il popolo della fede da poco riformata,
espressione di una religiosità intima e drammatica, in ossequio alle
prescrizioni del Concilio di Trento, secondo le quali la pittura doveva “movère”, cioè commuovere.
In altri termini si richiedeva al pittore la
capacità di raggiungere in modo chiaro e diretto il cuore degli uomini, anche
dei meno colti. È interessante infatti osservare come gli artisti, che fino allora
erano dediti allo stile profano e intellettualistico del Manierismo, comincino a
sviluppare un linguaggio devozionale fatto di sentimenti, di familiarità e di fede.
Più che una “conversione” degli artisti alla causa cattolica ebbe luogo una conciliazione,
una sorta di acclimatamento tra l’esigenza dell’estro artistico e quella del
potere; quest’evoluzione, che conosce diversi risultati a seconda della
località specifica e che, in effetti, nel nascente “naturalismo lombardo” o nel fenomeno dei “pittori della realtà” ha un esito notevole, si contestualizza nella
posizione della Pianura Padana, crocevia tra il Nord Europa, si pensi alla verità
ottica del particolare propria delle Fiandre, e alle corti dell’Italia centrale,
e ancora ai precedenti illustri di Lorenzo Lotto a Bergamo o di Gerolamo
Savoldo, per non risalire addirittura alla lunga presenza di Leonardo a Milano.
Le nuove istanze religiose si innestano su un’area
culturale già storicamente atta a ricevere temi come l’intimismo psicologico e
l’aderenza al vero. Del resto la nozione manierista di “artificio” non scomparirà del tutto, né in questi pittori né in
quelli del Barocco, ma sarà spesso soltanto inclinata verso l’espressione di un
messaggio diverso rispetto a quello autoreferenziale della pittura manierista: il
Barocco stesso farà della teatralità e del dramma una delle sue più importanti
chiavi di lettura, per lo più in contrasto alla vocazione naturalistica.
I cosiddetti “pittori della peste” diventarono, infatti, i maestri di questo rinnovato
linguaggio. Nati e cresciuti nel clima morale ispirato da San Carlo e in
seguito stimolati dalla guida del cardinal Federico Borromeo, arcivescovo dal
1595 al 1631 e fine conoscitore e collezionista d’arte, riuscirono ad elaborare
una pittura “d’urto”, gloriosa e fantasiosa
nel contatto, diretta a mostrare le più squallide bassezze in contrapposizione
ai più nobili valori umani, introducendo lo spettatore negli orrori delle
miserie per poi innalzarlo tra i miracoli e le estasi dei santi.
Nel 1584, pochi mesi prima della morte di san
Carlo, il piccolo Michelangelo Merisi, un giorno il grande Caravaggio, fu
mandato appena tredicenne a lavorare a bottega a Milano presso il laboratorio
di Simone Peterzano(Venezia, 1535 – Milano, 1599), pittore
veneziano che aveva bottega a Milano e che si proclamava orgogliosamente allievo
di Tiziano.
A Milano vide ovviamente Simone Peterzano, ma
anche Giulio Campi, Antonio Campi, Giovan Paolo
Lomazzo, i pittori che operavano a Milano durante
l’arcivescovato di San Carlo; nell’ambiente milanese, culturalmente dominato da
San Carlo, Simone Peterzano riusciva ancora a coniugare la formazione
coloristica acquisita in Veneto con Tiziano, con l’austera monumentalità
richiesta nella Pianura Padana: massimo esempio di questo equilibrio sono gli
affreschi della Certosa di Garegnano.
Peterzano era il collegamento importante tra
l’uso sfarzoso del colore del Rinascimento veneziano e la declinazione
drammatica ed espressiva che il suo allievo Michelangelo Merisi avrebbe saputo conferire
ai propri colori, ormai pienamente in linea con il Barocco che stava per
nascere. Peterzano fu anche un altro nesso importante: era allievo di Tiziano e
maestro di Caravaggio.
A Milano il giovane Michelangelo trovò i “pestanti”, quella pattuglia di giovani
pittori quasi suoi coetanei, cresciuti all’ombra della catechesi artistica di
San Carlo e che sbocceranno contemporaneamente a lui.
L’apprendistato milanese dell’adolescente
Merisi è ancora tutto da chiarire. Sappiamo infatti che nella primavera del
1584 il tredicenne Michelangelo fu affidato a Simone Peterzano che si firmava «allievo di Tiziano», presso il quale rimase per quattro
anni.
Che cosa però il giovane allievo abbia visto, studiato e, soprattutto, realizzato in quei mesi è pressoché impossibile dirlo, allo stato attuale dei documenti e delle ricerche. A Milano apprese gli stili di due tradizioni diverse, da un lato il realismo lombardo, dall'altro il Rinascimento veneto, con il quale viene in contatto diretto, quando Peterzano lo portò con sé in alcuni viaggi a Venezia dove vide l'arte del Tintoretto.
Che cosa però il giovane allievo abbia visto, studiato e, soprattutto, realizzato in quei mesi è pressoché impossibile dirlo, allo stato attuale dei documenti e delle ricerche. A Milano apprese gli stili di due tradizioni diverse, da un lato il realismo lombardo, dall'altro il Rinascimento veneto, con il quale viene in contatto diretto, quando Peterzano lo portò con sé in alcuni viaggi a Venezia dove vide l'arte del Tintoretto.
È fondamentale seguire le parole di Roberto
Longhi: “… non si pretende di segnare
itinerari precisi ai suoi viaggi (o siano pure vagabondaggi) di apprendista; ma
non si potrebbe porli mai in altra zona da quella che da Caravaggio porta a
Bergamo, vicinissima; a Brescia e a Cremona, non distanti; e di lì, a Lodi e a
Milano. Era questa la plaga dove un gruppo di pittori lombardi, o
naturalizzati, tenevano aperto da gran tempo il santuario dell’arte semplice”.
Fin dal saggio del 1917, Cose bresciane del 500, e poi in Quesiti caravaggeschi, del 1929, Longhi affermava che per gli anni
giovanili è bene rintracciare le sue “strade
di predestinazione fra il 1584 e il 1589 circa” nelle “strade di Lombardia”: ma è proprio il mondo artistico tra Veneto e
Lombardia che può aver ispirato e formato Caravaggio e la sua risonanza si percepisce
continuamente nelle sue opere.
I “vagabondaggi”
di cui parla Longhi lo portano al Moretto (Brescia, 1498 circa – 1554) da Brescia, Giovan Battista Moroni (Albino,
1522 – 1578/1579), Gerolamo Savoldo (Brescia 1480 ca. - dopo il 1548), Giovan Paolo Lomazzo, Vincenzo Campi (Cremona ca. 1535- ivi 1591) e Antonio Campi (Cremona ca. 1525 - ivi 1591), Giovanni Ambrogio Figino[8] (Milano 1553 – Milano 1608) e Simone Peterzano documenta il delinearsi di un nuovo gusto e di una nuova concezione della figura, nel suo rapporto con lo spazio e con la luce, che è fondamentale per la crescita del giovane Caravaggio.
La formazione di Caravaggio parte
dalla Lombardia, dove approfondisce il tema del colore dal suo maestro da cui
eredita una predilezione per i colori caldi, i bruni ed i rossi scuri.
Giovan Gerolamo Savoldo Adorazione dei pastori |
Giovan
Gerolamo Savoldo – pittore italiano (Brescia ca. 1480-Venezia? dopo il 1548).
Formatosi a Brescia, in un ambiente culturale dominato dalla tradizione foppesca
e leonardesca, Savoldo soggiornò per alcuni anni, dopo il 1508, a Firenze, ma
la sua attività in questo periodo è ancora controversa. È comunque certo che dal 1521 operò a Venezia, dove elaborò uno stile originale che, contrapponendosi al tonalismo di Tiziano, riprendeva spunti da Giorgione (soprattutto per il paesaggio), da Lorenzo Lotto e persino dai fiamminghi. Infatti, alla rigorosa, talvolta monumentale, costruzione spaziale, e al vigoroso realismo, di diretta derivazione lombarda, unì un uso luministico della luce che accentuava le forme e le espressioni (Cristo morto con Giuseppe d'Arimatea, Cleveland, Museum of Art; Adorazione dei pastori, Torino, Galleria Sabauda; Madonna e Santi, Milano, Pinacoteca di Brera).
Fra il 1520 e il 1530 si collocano, oltre ai dipinti sacri, i più bei ritratti e le figure di genere che si basano sul contrasto fra la realistica vitalità del personaggio e le suggestive fantasie del paesaggio (Ritratto d'uomo con armatura, cosiddetto Gastone di Foix, Parigi, Louvre; Maddalena, Londra, National Gallery; Pastore con flauto, Malibu, The Paul Getty Museum).
Dopo il 1530, nella produzione di Savoldo, che lavorò anche per il duca di Milano Francesco II Sforza, si accentua la predilezione per un linguaggio più interiorizzato giocato sulla contrapposizione di luci e ombre, particolarmente evidente nei quadri “notturni”, fecondi di influssi, tra l'altro, per la formazione di Caravaggio. Fra le opere di questi ultimi anni si ricordano la Natività (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo); San Matteo e l'angelo (New York, Metropolitan Museum of Art) e il San Gerolamo penitente (Londra, National Gallery).
E proprio gli studi di luce caratterizzano sempre piú l’attività del bresciano: l’Adorazione dei pastori (1527-1530) e il San Matteo e l’angelo (1530 ca.) sottoscrivono appieno la teoria del Longhi che vede in Savoldo il maggior esempio di pre-caravaggismo dell’intero Cinquecento. La luce è ora il prioritario strumento di individuazione plastica e tridimensionale della figura, e porta ad una meno marcata individuazione calligrafica ed a inedite approssimazioni visive che testimoniano una nuova ricezione della tradizione tizianesca.
Caravaggio - Bacchino malato - Roma Galleria Borghese |
Caravaggio La decapitazione di San Giovanni Battista - Malta - Oratorio di san Giovanni della Valletta |
Caravaggio - Madonna dei Palafrenieri - Roma |
Giovanni Ambrogio Figino - Vassoio di pesche |
Caravaggio - Canestra di frutta - Milano - Pinacoteca Ambrosiana |
Caravaggio La conversione di Saul Roma 1600 |
Quello che Caravaggio portò con sé a Roma è
l’incubazione della grande rivoluzione in pittura il cui manifesto fu la Conversione di Saul, concepita tra il 1601
e il 1602 per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo.
Fino alla sua comparsa sulla scena pittorica,
lo stile che caratterizzava la maggior parte degli artisti era molto legato a
un tipo di cultura accademica che si basava prevalentemente sullo studio
dell'arte classica, con forti influssi derivati dai grandi protagonisti del
periodo d'oro del Rinascimento italiano. Su tutti le figure di Michelangelo e
di Raffaello nell’Italia centrale, mentre per quanto riguarda il settentrione,
la pittura si rifaceva soprattutto a Tiziano, al Correggio e a Leonardo.
La rivoluzione di Caravaggio consiste
nel suo accentuato naturalismo di matrice lombarda, ma spinto al realismo
più duro autentico e incontaminato da qualsiasi forma di idealizzazione,
espresso nei soggetti dei suoi dipinti e nelle atmosfere in cui la plasticità
delle figure è evidenziata dalla particolare illuminazione che
teatralmente pone l’accento sui volumi dei corpi che escono improvvisamente dal
buio della scena come accade nella cappella Contarelli, nella
chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Sono pochi i quadri in cui il pittore
lombardo dipinge lo sfondo, che passa nettamente in secondo piano rispetto ai
soggetti, i veri e soli protagonisti della sua opera. Partendo dalla natura
morta, arriverà alla pittura di genere con scene di vita quotidiana come nei Bari
e nella Buona Ventura), per poi affrontare nell'età matura la pittura religiosa
in chiave drammatica.
La sua carriera vera propria inizia però a
Roma, quando riceve le prime commesse importanti da alti prelati e da Ordini
Religiosi.
Una folla di pittori francesi, tedeschi e
spagnoli fu soggiogata da Caravaggio come Saul fu folgorato dalla luce di
Cristo.
Nasceva così la corrente del “Caravaggismo”
che si diffuse trasversalmente attraverso i seguaci di Caravaggio, attecchendo
soprattutto nei paesi di dominazione spagnola: dalla Lombardia al Regno di
Napoli, dalle Fiandre spagnole con i cosiddetti caravaggisti di Utrecht, alla
penisola iberica.