Tempo
fa, mentre leggevo una rivista d’Arte, mi imbattei nell’espressione l’importanza
dei tronies....
Non
andando subito oltre nella lettura - come sempre mi accade di fronte a un
temine nuovo –, pensai immediatamente per consonanza ed assonanza a quegli
strani figuri che stazionano a lungo in un programma di Mediaset che talvolta incontro
nei miei nevrotici zapping. I tronisti. Variopinti personaggi, tronfi e
maleducati, non solo dannosi e diseducativi, ma anche lesivi del buon
gusto civile.
Un’immagine
che immediatamente scacciai dalla mia mente infastidita e andai avanti nella
lettura, scoprendo che i tronie, al plurale tronies, sono un sottogenere del
ritratto.
La
mia curiosità, come sempre mi spinse a cercare di capire che cosa avessero i tronie
di diverso dal ritratto. Quale fosse lo scarto.
Voi
lo sapete?
Ebbene
scoprii che nei Paesi Bassi soprattutto del Nord in ogni pub del quartiere, ogni
gestore aveva nel Seicento un ritratto di bevitore felice o uno di Malle Babbe, semileggendaria
figura entrata nell’immaginario collettivo di Haarlem e fonte ispiratrice di un
capolavoro di Hals. Mi resi conto che dipinti di questo tipo, cioè di tipi
riconoscibili nel vissuto quotidiano, che da persone diventavano personaggi, che erano
molto popolari e che i volti di questi personaggi, appunto i tronie erano tra le opere più espressive nientemeno che di Hals, di Rembrandt e di Vermeer.
E
così il tronie era diventato ben presto anche un simbolo dell’ascensore sociale.
Nel
Quattrocento, infatti, i ritratti erano riservati a re e a governanti, ma nella
cosiddetta età dell'oro, anche i cittadini più o meno benestanti incominciarono
a commissionare ritratti. Artisti come Frans Hals, Rembrandt van Rijn e
Michiel van Mierevelt si specializzarono nella ritrattistica, ma oltre ai
ritratti realistici, alcuni di loro realizzarono anche ritratti di tipi comuni.
In
realtà non si trattava della reale rappresentazione di una persona, ma della tipizzazione
di un personaggio. Erano immagini molto caricate al pari dei tipi fissi delle commedie plautine,
talvolta maschere della Commedia dell’Arte.
Queste
teste erano appunto i tronie.
Tutti
i grandi artisti olandesi ne dipinsero.
Adriaen
Brouwer ad esempio, fu noto per rappresentare soldati e contadini e disegnarli
in taverne e in pub.
Ai
tronie appartiene anche uno dei capolavori di Johannes Vermeer che dipinse il
volto di una ragazza orientale diventata poi la sua opera più famosa: la Ragazza
con l'orecchino di perla.
Uno può dire: “Va be’ a che cosa serve saperlo?”
Certo il dipinto è bello pur ignorando questa nozione.
È vero. ma saperlo sicuramente aiuta a interpretarlo meglio e dopo dirò perché.
Anche l’egocentrico Rembrandt dipinse volti di uomini orientali con un esotismo che nasceva dal fatto che per Amsterdam passava il mondo intero grazie alla Compagnia delle Indie.
Spesso usava se stesso come modello e si vestiva con abiti insoliti, abiti di scena, per ritrarre personaggi esotici.
Ma i tronie più famosi nei Paesi Bassi provengono dal pennello di Frans Hals.
I suoi dipinti di una zingara che arrossisce e di un suonatore di liuto che ride simpaticamente fanno bella mostra di sé al Louvre, un elefantiaco museo in cui è preferibile andare mirati e dire ho visto qualcosa di limitatamente costruttivo anziché girare spasmodicamente fino a incontrare monna Lisa.
In Francia consiglio di vedere i francesi, previa cognizione di fatto.
Frans Hals era un grande frequentatore e un gradito ospite dei pub di Haarlem. E spesso i suoi allievi dovevano andare a recuperarlo al pub quando aveva bevuto troppo. Era lui stesso un bevitore felice, come il suo dipinto nel Rijksmuseum che brinda a una piacevole serata infondendo buonumore a chi lo guarda.
Molti artisti aspiravano a diventare pittori di storia, la crème de la crème della pittura, l’aspirazione massima di ogni pittore per quel genere che farà cadere l’Arte nell’accademismo, una cattiva abitudine che comincerà ad essere scardinata con il Romanticismo.
La mancanza di mecenatismo e di committenza per questi soggetti spesso costringeva gli artisti ad imboccare come ripiego la strada della ritrattistica che per il suo bisogno di adesione al vero imbrigliava la creatività dei pittori.
E poi c'era una clientela fissa, desiderosa di possedere tele che registrassero occasioni importanti, che celebrassero lo status personale, e personaggi pubblici che anelavano essere glorificati.
Gli artisti più dotati usarono i loro talenti per dare sostanziali contributi creativi e tecnici al genere del ritratto.
E Frans Hals, uno dei principali del periodo, raffigurò una sposa diciannovenne, Aletta Hanemans, nel 1625 per commemorare il suo matrimonio l'anno precedente con il ventinovenne birraio e borgomastro Jacob Olycan.
Ma questo non è un tronie, ma un ritratto in piena regola e mi serve per evidenziare la netta differenza, il famoso scarto del tronie rispetto al ritratto.
La ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer, che è scambiato per un ritratto, invece è un tronie, e ci sono cascato anch’io con tutte le scarpe.
I tronie rappresentavano personaggi standard e raffiguravano volti idealizzati o espressioni esagerate, con soggetti che spesso sfoggiavano costumi esotici.
A differenza dei ritratti su commissione, i tronie erano venduti sul libero mercato equivale a dire per strada. Sebbene i lineamenti della ragazza possano essere stati ispirati da una modella dal vivo, non abbiamo idea di chi fosse, e Vermeer non avrebbe ritenuto la sua identità assolutamente rilevante ai fini del nostro piacere dell’opera.
Il romanzo della fervida Tracy Chevalier e l’omonimo film da cui è tratto diretto da Peter Webber sono molto fuorvianti. Dei veri e propri consiglieri fraudolenti tanto bene son fatti.
I panni blu e gialli, legati per formare un copricapo simile a un turbante, e perfino la vistosa e scintillante perla suggeriscono che la modella è un prodotto dell'immaginazione dell'artista. Molto probabilmente questi erano oggetti di scena e avevano lo scopo di trasmettere un'aria esotica.
Chi sia il modello, a chi si rivolga, come è arrivata a possedere la perla squisita, incuriosisce per il mistero che sembra nascondere questa Gioconda del nord.
Ma a Vermeer non interessa. In quest’opera a lui interessa solo riassumere tutte le ricercatezze della sua poetica o stile che dir si voglia.
La dolce immobilità propria di quest’opera è un tour de force nell’infinità di modi in cui la luce gioca sulle varie stoffe e su tutte le superfici rappresentate. Ci attira verso gli occhi della ragazza, la sua pelle perfettamente liscia e le labbra umide, le pieghe della stoffa che le nascondono i capelli, il tessuto ruvido dei suoi vestiti e la perla luccicante e pesante che pende provocatoriamente sopra il suo rigido colletto bianco.