Il Rinascimento del nord Europa
o Rinascimento nordico indica un periodo storico artistico solitamente non
chiaramente delineato nei Paesi Bassi e in altri paesi del Nord Europa.
Il termine è in realtà una
traduzione di Rinascimento del Nord usato nella letteratura
storica dell'Arte anglosassone e può ricoprire significati abbastanza diversi: o
inteso come un movimento storico-artistico nel nord Europa che si sviluppò fra
Quattrocento e Cinquecento sotto l'influenza dell'arte alto rinascimentale italiana
che si batteva per una rinascita dell'arte dell'antichità classica, o inteso
come movimento storico-artistico del Quattrocento e inizio Cinquecento in cui
la pittura, e in particolare quella dei Primitivi fiamminghi, occupa un posto
centrale.
In entrambi i casi questo
movimento è caratterizzato dal fatto che avviene una separazione dalla pittura,
dall'arte e più in generale dalla cultura tardomedievale in un certo numero di
aree geografiche e che si attua con un grande naturalismo e con una
raffinatezza tecnica molto pronunciata.
Nella visione tradizionale,
questo movimento fu il polo nordico che si opponeva al polo meridionale del
primo Rinascimento italiano in pratica all’arte del Quattrocento e soprattutto
quella fiorentina.
Questa visione è molto
semplicistica e sono stati ripetuti appelli da parte della storiografia
artistica dell’area nord europea affinché il termine Rinascimento sia definitivamente
sostituito con quello più omnicomprensivo di “Ars nova” per analogia con il
corrispondente periodo della Storia della Musica.
Il principale ostacolo per
definire l'arte del Quattrocento nord-europeo come Rinascimento del
Nord è la mancanza di un chiaro e generale interesse per l'arte e la
cultura dell'antichità classica anche se, l'Arte di questo periodo contiene
molti elementi innovativi in comune con il Rinascimento italiano che
rappresentano una netta frattura con il Medioevo. Si potrebbe quindi parlare
qui di un altro Rinascimento, piuttosto che riferirsi ad un semplice e
generalizzato concetto di Rinascimento.
Da che cosa nasce questa
differenza?
Il termine Rinascimento o rinascita, come è noto, fu usato per la prima volta dallo storico
dell'arte italiano Giorgio Vasari nelle sue Vite pubblicate nel 1550 per
descrivere il lavoro di numerosi artisti. La sua idea base era una rinascita
nell'Arte dopo un lungo periodo di declino a seguito della caduta dell'Impero
Romano che condensava nel termine gotico.
Nella penisola italiana,
questa riscoperta dell'antico patrimonio iniziò a prendere forma nella scienza
e nella letteratura già dal Trecento, si pensi soprattutto a Francesco
Petrarca, ma un orientamento consapevole verso l’arte dell'antichità si ebbe
solo nel corso del Quattrocento, inizialmente soprattutto a Firenze, e
successivamente anche a Roma e nel nord Italia.
Intorno al 1500 iniziò il
periodo che è stato considerato nella letteratura storico-artistica Alto
Rinascimento. In quel periodo l'arte fu dominata da Leonardo da Vinci,
Michelangelo e Raffaello. Ebbene solo da quel momento l'arte del Rinascimento italiano
acquistò rilievo europeo, mentre nel periodo precedente l'arte di quasi tutta l’Europa
era dominata da quella dei Paesi Bassi borgognoni e in particolare da quella del Gotico Internazionale e dei cosiddetti Primitivi fiamminghi.
L’espressione Gotico
internazionale si riferisce a uno stile gotico universale, che concluse la
pittura del Medioevo, e sottolinea che lo stile era presente in tutta l’Europa,
ma sottolinea anche che nacque dallo scambio di idee e tecnologie in tutta l’Europa.
Questo stile ebbe origine nel
periodo in cui le grandi istituzioni e strutture del Medioevo erano in declino,
basti pensare allo scisma d'Occidente, alla nascita degli Stati nazionali al
declino del Feudalesimo e degli eserciti cavallereschi come si vede nella
Battaglia degli Speroni d'Oro del 1302 e nelle prime battaglie della Guerra
dei Cent'anni.
Ma il lusso nelle grandi corti
di Digione, Praga, Milano e Parigi aumentava ancora e il Gotico internazionale era una forma d'arte di e per la corte.
Il cerimoniale e la vita di corte si
riflettono in quello stile aristocratico elegante, superficiale e colorato ma tanto
irreale da non riflettere minimamente la realtà quotidiana.
La borghesia urbana, nuova
potenza economica, competeva con le corti e con l'aristocrazia
nell'acquisizione di opere d'arte che in questo periodo sono spesso
letteralmente dei gioielli: dittici, pale d'altare portatili, arazzi,
manoscritti e miniature, piccoli oggetti che potevano essere facilmente
trasportati e fatti circolare in tutta Europa, creando e diffondendo lo stile
comune.
Nel campo dell'architettura,
della scultura e delle arti decorative, la maggior parte dei luoghi fuori
dall'Italia, ma ancora la stessa Italia del Quattrocento, aderiva ancora al
linguaggio del Gotico internazionale, e in Europa questo avvenne fino a buona
parte del Cinquecento.
Lo sviluppo della stampa
permise, inoltre, di diffondere ulteriormente l'Umanesimo, che aveva costituito
anche la base del Rinascimento in Italia. Di conseguenza, l'interesse per il
patrimonio dell'antichità classica aumentò in tutta Europa.
Fu solo intorno al 1500 dunque che
artisti in Germania, Francia, Paesi Bassi e altrove nel Nord Europa subirono
chiaramente l'influenza degli esempi del Rinascimento italiano ed è da quel
momento che si può più giustamente parlare di un Rinascimento del Nord.
***
Il “Gotico internazionale”, è un preambolo
ineludibile per comprendere l’arte non solo dei Paesi Bassi e delle Fiandre, ma
anche in queste regioni ebbe una particolare importanza per la nascita dei “Primitivi fiamminghi”.
L’espressione “Gotico
internazionale” si riferisce a una fase tarda del Gotico che concluse
magnificamente la pittura del Medioevo e sottolinea non solo la presenza di
questo stile in tutta l’Europa, ma anche la creazione stessa di questo stile attraverso
uno scambio d'idee e di tecnologie attraverso tutta l’Europa.
Questo stile si sviluppò contemporaneamente nelle
terre “franco-fiamminghe”, in “Borgogna”, in “Boemia” e nell'”Italia settentrionale” tra la fine del Trecento
e l'inizio del Quattrocento prima di diffondersi ampiamente
in tutta l'Europa occidentale e centrale. Questo stile "gentile" e dallo “spirito cortese” – come testimonia la stessa letteratura contemporanea – è
caratterizzato da tre elementi: una nuova ricerca dell'eleganza preziosa che si
traduce nell'uso di toni più accesi, giocando spesso sugli accostamenti di
colori primari; una raffinatezza delle rappresentazioni umane, correggendo le
forme più statiche e ieratiche del gotico; infine da una maggiore attenzione ai
dettagli – ad esempio tessuti e drappeggi – e all'osservazione della natura –
comprese piante e animali.
Il "Gotico internazionale" – come tutta l’antropologia
dell’epoca – faceva eco alle preoccupazioni che ne caratterizzarono il periodo e
sperimentò pure un'ispirazione più oscura, concentrandosi su raffigurazioni
della morte più goffe e bizzarre. In questa fase l'Arte intraprese un processo
di relativa secolarizzazione delle sue funzioni, producendo per un'élite di
corte e preannunciando la committenza borghese che si sarebbe ulteriormente sviluppata
nel Quattrocento. Storicamente, questo stile può essere considerato come
l'ultima manifestazione di un'Arte cosmopolita del Medioevo, in
contrapposizione agli sviluppi successivi che, dal Quattrocento in poi,
distingueranno da un lato la “scuola italiana”
che, proseguendo un movimento avviato da Giotto e da alcuni suoi seguaci, diede
origine al Primo Rinascimento, dall'altro la “scuola fiamminga”, caratterizzata in modo decisivo e definitivo
dalle innovazioni pittoriche di “Hubert e Jan van Eyck” la
cui "Adorazione dell'agnello mistico"
è l'opera più significativa. Tutti i risultati spettacolari della rivoluzione
ottica dei fratelli Van Eyck si sintetizzano in questo primo
capolavoro, la cui rivoluzione ottica ebbe un impatto formidabile sulla pittura
occidentale.
Nel Nord Europa gli epigoni del "tardo gotico", in particolare gli
elementi decorativi, si trascinarono fino al Cinquecento, perché niente di
alternativo riuscì a imporsi per sostituirlo prima che il Rinascimento italiano
si affermasse completamente in Europa.
Il “Gotico
internazionale” ebbe origine nel periodo in cui le grandi istituzioni e
strutture del Medioevo stavano tramontando, basti pensare allo “scisma d'Occidente”, alla nascita degli
“Stati nazionali” al declino del “Feudalesimo” a vantaggio della “borghesia” e alla crisi degli eserciti
cavallereschi a vantaggio della fanteria armata alla leggera, come si vede in
modo esemplare nella “Battaglia degli
Speroni d'Oro” e nelle prime battaglie dell’estenuante “Guerra dei Cent'anni”.
La diffusione di uno stile "internazionale" alla fine
del Trecento ha parecchie concause. In primo luogo, si disgrega
progressivamente il mecenatismo religioso del Medioevo che, tendendo a
mantenere le scuole locali, aveva favorito una certa omogeneizzazione delle
pratiche in tutta Europa, prima che si affermassero, all'inizio del
Quattrocento, i rigidi sistemi corporativi che ebbero come conseguenza la
riaffermazione delle specificità nazionali. In secondo luogo, la mobilità di
opere e di artisti rinomati, il cui prestigio travalicava i confini degli
Stati, contraddistinse anche un'epoca in cui le più potenti corti europee
collezionavano capolavori con l'obiettivo di affermare ed esaltare il loro
potere, rendendo in tal modo possibile la diffusione in cambio delle
innovazioni artistiche del tempo. In terzo luogo la proliferazione di opere
trasportabili, come manoscritti miniati, pale d'altare portatili, pezzi di
oreficeria, tendaggi e quant’altro che, viaggiando secondo gli orientamenti
delle diverse corti, mantenevano scambi tra le corti di Parigi, Milano, Siena,
Avignone, Praga, Digione, o anche Londra, Colonia e Valenza, nella stessa
misura in cui matrimoni reali potettero diffondere simili gusti aristocratici e
promuovere così lo spirito di emulazione.
Molti tratti caratteristici del “Gotico internazionale” comparvero in Italia e si espansero a nord
delle Alpi influenzando la Francia, attraverso la folta pattuglia di artisti
italiani legati alla corte papale ad Avignone, primo fra tutti il senese "Simone
Martini", che vi risiedette tra il 1330 e il 1340, e che può
essere considerato per molti versi un precursore di questo stile.
L'influenza dell’aristocratica Repubblica di Siena,
tuttavia, non impedì al gotico italiano di mantenere le proprie caratteristiche
durante e dopo questo periodo, mentre la vistosa corte dei Visconti a Milano,
fu per un certo periodo la più importante sede di questo "stile cortese" in Italia.
Si trattava però di una compenetrazione reciproca perché gli sviluppi dello stile
nel Nord Europa influenzarono a loro volta gli artisti italiani.
***
Dopo aver affrontato le cause
sociopolitiche e socioculturali alla base del “Gotico internazionale”, oggi
incomincerò a trattare della sua fenomenologia artistica.
Per l’ampiezza
dell’argomento riguardante suddividerò la “lectio” in parti riferite ad alcune aree dell'Europa di particolare rilievo.
Parte I In Boemia
Nella misura in cui le commissioni
diventavano anche opera di monarchi o di potenti aristocratici, e non più solo
della Chiesa, i donatori chiedevano di essere rappresentati, il più delle volte
inginocchiati, in atteggiamento di preghiera, in ritratti votivi volti ad
assicurarne la salvezza.
Se la loro dimensione è inizialmente
minuscola, come nella Madonna di Glatz (1343-1344 circa) realizzata da un maestro boemo, (fig. 0) tende ad aumentare per
eguagliare gradualmente quella dei personaggi sacri che li accompagnano, e
stabilire un dialogo diretto con quelli qui presenti, come si vedrà con il re d'Inghilterra
Riccardo II nel “Dittico di Wilton” (1395-1399 circa).
“La Beata Vergine di Glatz” è un dipinto
donato dal primo arcivescovo di Praga, “Ernesto di Pardubice” intorno al 1350
all'”Abbazia dei Canonici Regolari Agostiniani” di Glatz, da lui appena
fondata. Fino alla distruzione dell'abbazia nel 1622, questo dipinto ornava
l'altare maggiore della cappella dedicata all'”Annunciazione di Maria”.
Il dipinto su tavola di legno di pioppo
rappresenta una Vergine in maestà. Si tratta di un'opera della Scuola di Boemia
attribuita al “Maestro di Hohenfurth” e realizzata su richiesta del primo
arcivescovo di Praga, Ernst von Pardubitz, che si vede rappresentato anche
inginocchiato in basso a sinistra. La Vergine è seduta su un trono in stile
gotico, su uno sfondo teso da un baldacchino dorato. Con la mano destra tiene il
Bambino seduto sulle sue ginocchia e tiene il globo con la mano sinistra.
Dal punto di vista iconografico, Maria siede
sul "trono della Sapienza" come “Sedes sapientiae”, secondo le “Litanie
di Loreto”.
Secondo la “Vita Venerabilis Arnesti” del
gesuita “Bohuslav Balbín”, questo dipinto doveva originariamente formare la
parte centrale di un polittico a cinque pannelli.
Ernst von Pardubitz, che poco prima di morire
scrisse la storia di un'apparizione mariana vissuta da bambino nella chiesa
parrocchiale di Glatz, venerava la Vergine Maria. Fu senza dubbio a causa di
questa esperienza mistica che prima del 1350 aveva fondato un monastero
agostiniano a Glatz e lo aveva finanziato con l'aiuto dei suoi due fratelli “Smil”
e “Wilhelm von Pardubitz”.
Il “Museo Kaiser-Friedrich” di Berlino, oggi “Pinacoteca
di Berlino” lo acquistò nel 1902 per un importo di 8.500 marchi.
Il punto di
partenza è l'importante versione boema dello “stile cortese” nel quadro del “Gotico internazionale” che ebbe origine
alla corte praghese di “Carlo IV”, (fig. 1) imperatore del Sacro Romano Impero,
che per un breve periodo diventò fulcro dell'Arte europea.
Il cosiddetto “stile gentile” è una designazione
di uno specifico stile del “Gotico internazionale” in Boemia corrisponde al
periodo di regno di Carlo IV e di suo figlio Venceslao IV, noto come "l'età d'oro" di Praga che diventò
la più grande città europea dopo Costantinopoli, Parigi e Granada. In un senso
più ampio, si può anche considerare lo “stile
gentile” una variante centroeuropea dello stile gotico, il cui più emblematico
rappresentante in Boemia fu “Mastro
Theodorik”.
Carlo,
appartenente alla dinastia di Lussemburgo e discendente di quell’Arrigo VII su
cui Dante aveva riposto tante speranze, era stato educato dal monaco
benedettino “Pierre Roger”, futuro
papa “Clemente VI”, quando la sede
papale era Avignone.
Il giovane
principe parlava cinque lingue e in gioventù aveva trascorso sette anni alla
corte di Francia oltre ad aver soggiornato per due volte in Italia. Questa sua
cultura cosmopolita, unita ai suoi rapporti familiari – in prime nozze aveva
sposato la principessa francese Bianca di Valois – spiega gli intimi legami che
intrattenne con le varie corti di Francia, tra cui quella del Papa ad Avignone,
e, dal 1363, quella del ramo Valois del "Ducato di Borgogna", che era passato da
Giovanni II il Buono a suo figlio Filippo l’Ardito.
Dopo la sua ascesa
al trono come re di Boemia nel 1347, Carlo IV stabilì la sua capitale a Praga che
all'epoca era costituita da due città medievali autonome su ciascun lato del
fiume Moldava: a destra la “Città Vecchia” e a sinistra la “Città Piccola” con il “Castello
di Praga”. Nel 1348 Carlo ordinò la costruzione della “Città Nuova”, adiacente all'esistente Città Vecchia, fondò l'”Università Carlo”, iniziò la
ricostruzione del Castello e riprese i lavori per la “Cattedrale”. Per realizzare
questo ambizioso programma di costruzione reclutò i migliori architetti che
poteva trovare e lo “stile gentile”
influenzò tutta l’Arte dell’epoca dall’architettura fino alla miniatura.
In architettura il
primo fu “Mathieu d'Arras” (1290? - 1352), già capomastro
della “Cattedrale di Narbonne”, chiamato per la costruzione della “Cattedrale di San Vito”,
(figg. 2 e 3) fu principale progettista della “Città Nuova” di Praga.
Quando fu eletto
imperatore del Sacro Romano Impero nel 1355, Carlo decise di fare di Praga la
capitale dell'Europa centrale e chiamò al suo servizio il tedesco “Peter Parler” (1332\33 - 1399) per realizzare questa grandiosa visione.
Parler che qui
vediamo autoritratto, (fig. 4) fu architetto, costruttore, scalpellino,
scultore e intagliatore, il più importante rappresentante della sua grande famiglia,
uno degli artisti più importanti del “Gotico
internazionale”, che lavorò principalmente in Boemia.
Parler, il cui
stile si caratterizza per la raffinatezza formale degli elementi costruttivi e
nelle costruzioni talvolta insolite per la Boemia, fu uno degli artefici più
importanti e influenti di quella stagione del Medioevo: aveva già lavorato con
suo padre Heinrich in diversi importanti cantieri del tardo Medioevo a
Strasburgo, a Colonia e a Norimberga finché dal 1356 si trasferì a Praga, dove
realizzò le sue opere più famose: la Cattedrale
di San Vito e il Ponte Carlo (fig 5).
Quando Peter
giunse a Praga nel 1356 Parler aveva appena ventitré anni, ma già tanta esperienza
alle spalle. Come incarico immediato rilevò il cantiere della cattedrale di San
Vito, che languiva dalla morte di “Mathieu
d'Arras” nel 1352.
Peter era così
noto per il suo talento che è significativo che la Cattedrale, l’edificio più
importante dell'Impero che si definiva Sacro, fosse affidato a un così giovane
architetto. Peter continuò i lavori al cantiere di San Vito dal deambulatorio e
dalle cappelle, che erano state già in parte completate e modificò gradualmente
la pianta di Mathieu mantenendo però continui
riferimenti alla visione originaria.
Nel 1342 il “Ponte di Giuditta”, primo struttura di
collegamento in pietra fra le due sponde del fiume Moldava, era stato
gravemente danneggiato da un'alluvione e nel 1357, Carlo incaricò ancora Peter
di costruire una nuova struttura per ricollegare la città in rapida crescita. Peter
costruì il “Ponte Carlo” e la torre a est del
ponte. Il suo arco contiene una volta a rete che fu la prima del suo genere in
Boemia. Costruì poi la Cappella di Tutti
i Santi all'interno del Palazzo Reale
del Castello di Praga. Tra il 1360 e
il 1378 Parler costruì il presbiterio della “Chiesa di San Bartolomeo” nella città di Kolín e fu anche
autore di varie tombe, santuari e sculture in vari siti a Praga e dintorni,
inclusa “Kutná Hora”.
Se Carlo con i suoi
architetti modificò il volto della città, in scultura e in pittura le
innovazioni non furono da meno.
Si dice spesso che
il cosiddetto “stile cortese” in
Boemia nell’ambito del “Gotico
internazionale” sia collocabile tra gli anni 1380 e 1420. È innegabile però
che esso sia nato prima e che sia continuato anche dopo le "guerre ussite".
La sua antecedenza
è testimoniata dalla presenza in Boemia di “Mastro
Theodorik”.
Personaggio
storico sicuramente identificato dalle sue opere, della sua vicenda biografica non
si sa quasi nulla: prima del 1328 era nel nord Italia per un viaggio di studio,
forse giunse a Praga dalla Renania negli anni Cinquanta del Quattrocento, è incerta
la data della sua iscrizione alla confraternita dei pittori praghesi, dove è
indicato come “primus magister” morì
a Praga prima del 1381, fu autore di tavole e pitture murali e fu uno dei più
importanti pittori di corte dell'imperatore Carlo IV.
Lavorò Praga e al vicino “Castello di Karlstein”
e l’Imperatore lo chiamò “suo pittore e
cortigiano”. Gli fu concesso di decorare la “Cappella reale di Karlstein”, denominata “Cappella della Santa Croce”. Qui mastro Theodorik continuò l'opera
del suo predecessore, il cosiddetto “Maestro
dell’albero genealogico lussemburghese”, anche
lui pittore di corte di Carlo IV, autore della decorazione della residenza imperiale
di Karlstein e delle cosiddette scene di reliquia nella “Cappella della Vergine Maria” nel 1356-1357.
Questo anonimo maestro,
originario dell’area fiamminga della Francia, prende
il nome dalla sua opera più importante: i dipinti murali con figure di monarchi
nel palazzo imperiale del “Castello
di Karlstein”. Quest’opera,
nota a noi solo attraverso copie, fu distrutta nel corso della ristrutturazione
alla fine del Cinquecento, ma aveva una notevole valenza politica.
Realizzata
negli anni dal 1355 al 1357 dopo il ritorno di Carlo IV a Praga dall'incoronazione
a Roma nel 1355, doveva servire a provare la legittimità e la continuità della
sua incoronazione imperiale, e per questo fece decorare la “Sala grande” del “Castello di
Karlstein” con una galleria di dipinti su tavola con le figure dei sovrani
delle quattro famose monarchie medievali, degli imperatori romani e di
Costantinopoli, mostrando in questo modo la centralità della Boemia nella
storia mondiale. In totale, potrebbero esserci stati fino a 120 dipinti. Ma, al di là degli
intenti politici, questo Maestro apportò innovazioni significative alla pittura
murale a Praga e dintorni. Alcuni dipinti su tavola, attribuiti poi alla
bottega di Mastro Theodorik, ripetono i volti e gli schemi di movimento tipici
delle figure del “Maestro dell'Albero
genealogico” e questo suggerisce che Mastro Teodorico sia stato un suo
continuatore.
La bottega di Mastro
Theodorik realizzò la decorazione complessiva della “Cappella di Santa Croce” (fig.
6) al “Castello di Karlstein”, negli
anni 1360-1365. Il complesso si compone di 129, originariamente 130, immagini
su tavola di mezze figure di santi, santi e profeti, che rappresentavano
l'"Esercito celeste" a
guardia delle sacre reliquie conservate nella cappella.
Alcune delle cornici presentano piccoli fori usati per inserire le reliquie.
Con la stilizzazione delle figure, con l'abbandono del linearismo gotico e con la
modellazione di volti e di panneggi con luci e ombre, i dipinti di Teodorico
superano lo stile artistico precedente: è chiaro che conosceva la pittura
italiana e quella francese. (fig 7)
Non si hanno
notizie dei pittori che lavoravano nella sua bottega, ma, data l'entità
dell'ordine e il breve lasso di tempo in cui furono realizzati, dovettero
essere stati parecchi. Alcuni storici dell'arte ipotizzano addirittura la
partecipazione di diversi maestri e dei loro collaboratori di bottega: proprio
nella “Cappella di Santa Croce” si
confrontano di stili pittorici differenti. Si tratta, da un lato, di disegni
preparatori delle figure sulla parete dell'altare perfettamente eseguiti, che sono
poi ripetuti in forma più semplice o speculare nei disegni di base dei dipinti.
L'autore dei dipinti
sulla parete della “Cappella di Santa Croce”
era probabilmente il predecessore di Teodorico, il “Maestro dell'albero genealogico dei Lussemburgo”. Innovazioni
sotto forma di nature morte compaiono sui dipinti su tavola dei Padri della
Chiesa della bottega di Teodorico (Sant'Agostino, S. Ambrogio, S. Gregorio) (fig 8). Questi dipinti, il cui autore è probabilmente un altro pittore di
talento, si distinguono in misura insolita di realismo, la soluzione spaziale
di nature morte e colori raffinati, anticipando così lo sviluppo della pittura
su tavola verso l'inizio del Quattrocento e il Rinascimento nordico.
Anche il “Maestro Bertram”, poi attivo ad Amburgo,
lavorò probabilmente nella bottega di Teodorico, e da essa probabilmente
provenivano anche il “Maestro della pala
d'altare di Trebon” e l'autore della “Targa
votiva di Jan Oček” cardinale e arcivescovo di Praga.
Anche i miniatori
delle “Bibbie Capitolari A 2 e A 3” erano
vicini a Teodorico, o provenivano direttamente dalla sua bottega. Sebbene il
cosiddetto "stile cortese"
non abbia avuto successori diretti, l'ambiente stesso della bottega influenzò
la successiva generazione della pittura boema.
La preparazione
delle tavole è identica alla pratica in Francia e Germania e altri artisti
specializzati dovettero collaborare alla forma finale dei dipinti, creando un
complesso sistema di decorazioni come rilievi dello sfondo e della cornice dei
quadri, decorazioni a rilievo incollati, piccole applicazioni di oreficeria
fuse da stagno e piombo in stampi, dorature di fondo e prodotti orafi, ad
esempio sotto forma di croci, attaccate alla tavola con chiodi d’argento.
Grande appassionato
d’arte e profondamente devoto, certamente Carlo IV possedeva già almeno una “pala d'altare” italiana nella sua collezione, quella probabilmente realizzata in
Italia da “Tommaso da Modena” e
inviata in Boemia per il “Castello di
Karlstein”, dove si conserva ancora oggi.
In pittura, lo “stile cortese” boemo era caratterizzatoa una modellazione morbida e da colori luminosi dell'immagine. Il suo forse
più importante rappresentante era il tuttora sconosciuto “Maestro dell'altare di Trebon”
(1330\40 - dopo il 1390) la cui formazione derivava forse dalla tradizione della
bottega del “Maestro Theodorik”.
Il “Maestro
dell'Altare di Trebon” o “Maestro di
Trebon” fu attivo in Boemia tra il 1370 e il 1390, lavorò alla corte imperiale
di Carlo IV e di suo figlio Venceslao IV e fu uno dei pittori più importanti
dell'Arte europea dell'ultimo quarto del Trecento e artista basilare per lasione Boema dello “Gotico
internazionale”.
La sua data di nascita è sconosciuta e il luogo è forse
collocabile nella regione franco-fiamminga, anche se gli studiosi cechi tendono
invece nazionalisticamente a considerarlo boemo anche di origine.
Il “Maestro
di Trebon” giunse al suo apice tra gli anni 1375 e 1385, quando insieme
alla sua bottega dipinse una pala d'altare per la “Chiesa di San Jiljí” del “Monastero
dei canonici di Sant’Agostino” di Trebon, una cittadina della Boemia
meridionale.
Le tre tavole sopravvissute, possono quasi
certamente essere collegate al monastero di Trebon: le facce esterne raffigurano
“Scene della Passione” quelle interne
le “Gerarchie di santi e sante”.
Le tavole, oggi esposte alla “Galleria Nazionale” di Praga, raffigurano “Cristo sul monte degli Ulivi” (fig. 9-10 - 11) sul verso S. Caterina, S. Maria Maddalena e S. Margherita, la “Resurrezione di Cristo” sul verso S. Giacomo il Minore, S. Bartolomeo e S. Filippo e la “Deposizione di Cristo nel sepolcro”, sul verso S. Egidio, S. Agostino e S. Girolamo.
Lo smantellamento di questo polittico si verificò con
lo scioglimento del monastero nel 1785, con il suo abbandono da parte degli
Agostiniani e al conseguente trasferimento delle singole tavole in edifici
ecclesiastici della zona di Trebon. Pertanto, la ricostruzione della forma
originaria della pala d'altare è ancora considerata improbabile.
Nell’impaginazione, il maestro di Trebon ha
utilizzato una disposizione diagonale, tipica di tutte e tre le scene della
passione. Una distinta diagonale si trova sulla tavola del “Cristo sul Monte degli Ulivi”, dove una
roccia separa da un lato il “Cristo
orante dagli apostoli dormienti” e dall'altro “Giuda che si avvicina con i soldati”.
Nei pannelli della “Resurrezione” e della “Deposizione
di Cristo nel sepolcro”, la diagonale forma un
sepolcro sopra il quale si libra il Cristo risorto, nel secondo caso vi fu
sepolto. Oltre alla diagonale, nelle scene della Passione compare anche
un'ellisse, ben visibile nella scena della “Deposizione
di Cristo nel sepolcro”. La diagonale e l'ellisse hanno permesso al pittore
di organizzare lo spazio in modo nuovo e originale.
Al “Maestro
di Trebon” appartiene anche la bellissima “Madonna di Roudnická” (fig.
12), del 1385/90 proveniente dalla “Chiesa
di San Venceslao” di Roudnice sull’Elba e oggi alla “Galleria Nazionale” di Praga.
Anche su questa tavola, è visibile una diagonale
formata dalla figura di Gesù bambino nudo, che è tenuto in braccio dalla
Vergine Maria incoronata rappresentata nella tipologia della “Regina Coeli”.
L'analisi dell'iconografia e dell'espressione
cromatica della “Madonna Roudnicka” è
molto vicina al successivo periodo delle cosiddette “Madonne cortesi”, caratterizzato dalla bellezza espressiva del
volto e dal rapporto affettivo di una giovane madre con un simpatico e tenero bambino.
Il dipinto era quindi orientato verso l'ideale della bellezza che, tra il
Trecento e il Quattrocento boemo, ricevette ladefinizione di “bellissimo stile”.
L'anonimo “Maestro
di Trebon” arricchì il suo stile con elementi pittorici provenienti dalla
Francia e dall'Italia e con lui si affermò un culto della bellezza che
trascendeva l'ambiente culturale dell'Europa centrale. Con la sua opera, creò una
fase di sviluppo non solo per la pittura boema, ma anche per quella europea
fino al Quattrocento. Per questa ragione può essere considerato il maggiore
pittore del “Gotico internazionale” in
Boemia.
Nella scultura la
corrente boema dello “stile cortese” l’aspetto
sensuale della scena si accorda con quello spirituale, principalmente nella
creazione di “Madonne” e di “Pietà”, un archetipo questo che si
diffuse in tutta l’area continentale europea fino alle Alpi e ai Pirenei per
poi diffondersi anche nell’area mediterranea.
Queste opere scultoree
sono caratterizzate da lineamenti idealizzati e colti, da figure snelle e
spesso in asse con abiti che scendono in ricche pieghe. Oltre agli artisti
nazionali, lo straordinario sviluppo dell'arte boema di quel periodo fu
influenzato anche in scultura da artisti provenienti da Francia, da Italia e
Germania: lo stile boemo infatti inizialmente non aveva quei profili ondulati e
slanciati tipici di altri centri artistici, ma le sue figure femminili, in
particolare quelle delle “Madonne Belle”,
trasmettono una ricchezza e una morbidezza che ebbero influenza sulle rappresentazioni
successive.
L’espressione “Madonne
Belle” fu introdotta negli anni Venti del Novecento per indicare le opere
scultoree realizzate in marna o in pietra arenaria a grana sottile della fine
del Trecento e della prima metà del Quattrocento.
Il centro di
produzione di queste opere era Praga, da dove erano esportate anche in
Slesia, Germania e Austria ed l’espressione scultorea dello “stile cortese” del periodo di Carlo IV e
di Venceslao IV.
Le "Madonne Belle" raffiguravano una
figura in piedi della Vergine Maria che tiene in braccio Gesù Bambino. Si
tratta di sculture in pietra policroma, la cui creazione è collegata alle opere
sculture in pietra realizzate nella cattedrasle di San Vito a Praga ad opera di
“Peter Parler” e dei suoi figli, “Václav” e “Jan”. I più importanti
creatori anonimi furono il “Maestro
della Madonna” di Krumlov e il Maestro della Madonna di Toruń (fig 13- 14 e 15).
Questo tipo di
creazione si diffuse in seguito anche nell'area delle Alpi Orientali, dalla
Germania meridionale, passando per l'Austria fino all'Italia settentrionale.
Esempi famosi di
Madonne sono la “Madonna di Krumlov”,
conservata al “Kunsthistorisches
Museum” di Vienna, e la “Madonna
di Torun”, che fu distrutta o trafugata alla fine della seconda guerra
mondiale.
Notevole anche la miniatura
boema, come dimostrano soprattutto i manoscritti miniati realizzati
per il re Venceslao IV (1361 – 1419 ).
La “Bibbia di
Venceslao IV” è un lussuoso manoscritto (fig 18, 19 e 20) dell'”Antico Testamento”, creato a Praga alla fine del Trecento per il re
Venceslao IV. I più ritengono che sia stato creato tra il 1390 e il 1400, ma ci
sono anche altre opinioni che indicano la possibilità di una creazione
precedente dell'opera. Almeno nove laboratori di pittura, lavorarono alla
decorazione dell'opera.