Je
dédie ce travail à mes chers collègues
Mme Agnese Cosenza et Mme Diana
Iervolino.
Dignes
successeur de Mme Anna Paolillo,
elles sont de merveilleux interlocuteurs
de
mon amour pour la culture française.
Merci
Alla
vigilia della Rivoluzione, Marie-Guilelmine Delaville Leroux (1768-1826) faceva
parte di un piccolo manipolo di giovani artiste che, pur non appartenendo a nessuna
famiglia di artisti, riuscirono a seguire l'insegnamento di maestri. Marie-Guilelmine
era, infatti, figlia di un funzionario statale e dal 1781 si formò nella
pittura dapprima con Elisabeth Vigée-Le Brun poi nel 1786 frequentò l’atelier
di Jacques Louis David al Louvre. La giovane artista però potette trascorrere solo
un anno in quell’atelier, ma rimase in contatto con lui durante la Rivoluzione
e per tutta la sua carriera, e, nonostante le profonde differenze ideologiche, sottopose
sempre i suoi quadri al suo parere.
Sotto
la guida di David, nel 1791 espose i primi dipinti di stile neoclassico che Marie
Guillemine recuperava dalla mitologia e dall’antichità, con un approccio
pittorico molto influenzato dai suoi due maestri. Marie espose per la prima
volta nel Salon del 1791 una tela di soggetto mitologico, “Psyche dà l’addio alla sua famiglia”.
Il
dipinto “L’Innocenza tra la Virtù e
il Vizio”, realizzato nello stesso periodo, sotto l’apparenza del tema
mitologico, riflette le convinzioni “femministe”
della pittrice: l’artista rappresenta infatti il Vizio in sembianze maschili,
quando veniva tradizionalmente rappresentato in aspetto femminile.
Nel
1793 Marie-Guilelmine sposò il conte Pierre Vincent Benoist.
Fu
un incontro importantissimo e carico di conseguenze per lei: Pier Benoist era un
realista convinto sospettato di cospirazione, per cui durate il periodo del Terrore
(1793-94) fu soggetta a frequenti perquisizioni a domicilio, mentre il marito
si nascondeva per evitare il carcere e la ghigliottina. Marie-Guilelmine riuscì
a sopravvivere con il suo primo figlio, vendendo piccoli ritratti a pastello e
scene moraleggianti di genere, abbandonando completamente i soggetti classici e
mitologici per dedicarsi ad altri generi, ottenendo sempre molto successo.
Nel 1797
e nel 1798 Anne Louis Girodet aveva presentato
il Ritratto del deputato Belley, un’opera
che aveva affascinato il pubblico. Jean-Baptiste Belley, primo deputato nero e rappresentante
della colonia francese di Santo Domingo alla Convenzione, mostrava il senso più
profondo della Rivoluzione: la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino aveva creato una frattura nella storia
dell’umanità, scrivendo che tutti gli uomini
nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti.
Con
l’arrivo a Parigi del deputato Belley, quelle parole trovavano finalmente una prova
concreta: un volto nero, per la prima volta considerato uguale ai volti dei
bianchi. Il 3 febbraio del 1794 tutta l’assemblea della Convenzione si era alzata
in piedi all’ingresso di Belley con una standing ovation. Tutti i deputati, uno
per uno, abbracciarono il primo deputato nero della storia congratulandosi con
lui. Pochi minuti dopo, l’assemblea votava l’abolizione della schiavitù: non
c’erano più re ed ora non c’erano nemmeno più schiavi. Danton affermò: «Fino ad ora non abbiamo che dichiarato la
nostra stessa libertà, una libertà egoista. Oggi proclamiamo a tutto
l’universo, e per tutte le generazioni future, la Libertà universale».
L’evento
fu immortalato da Girodet con questo ritratto di Belley in piedi in una posa
disinvolta ed elegante. Con il volto serio e pensoso, lo sguardo di Belley è
rivolto verso il nuvoloso cielo blu di fronte al paesaggio della sua circoscrizione
di Santo Domingo. Forse sta considerando un nuovo futuro per i suoi compatrioti?
L’abbigliamento di Belley evoca la raffinatezza della cultura occidentale,
mentre l'orecchino ricorda le sue radici domenicane. La superba pelle nera
lucida contrasta con il busto marmoreo dell'abate Guillaume Rana, il filosofo favorevole all'emancipazione dei neri, scolpito
dal marsigliese Jean-Joseph Espercieux.
In questo modo Girodet fa di Belley il simbolo vivente dell'emancipazione dei
neri annunciato dal filosofo.
Girodet
ritrae di tre quarti il volto di Belley, oggetto della curiosità generale, in un
momento in cui era frequente il confronto delle caratteristiche morfologiche
dei bianchi, dei neri e delle scimmie. I capelli crespi già ingrigiti tirati indietro,
il volto ossuto e il naso schiacciato sono illuminati da occhi molto acuti e
vivi; la mascella è possente, ma non presenta alcun prognatismo.
Il
contrasto tra il costume di deputato alla Convenzione così straordinariamente
raffinato, che da solo evoca la cultura europea, e la facies scura del soggetto
fa emergere la particolarità di quest’uomo.
I
tre colori repubblicani che circondano la vita e il cappello si fondono in
tonalità pastello e lasciano tutto il contrasto cromatico al rapporto tra
bianco e nero.
Il
dipinto di Belley di Girodet è un'immagine magistrale e simbolica, in un'epoca
in cui l'uomo di colore affascina per la sua diversità e solleva preoccupazioni
politiche ed economiche per il futuro.
Ma
se si prova ad osservare il capolavoro di Marie-Guilelmine Benoist “Ritratto di una negra”, ci si accorge
del salto in avanti che compie la pittrice, abbandonando, in termini di
realismo, la retorica ideologica della quale è intriso il dipinto di Girodet.
Con
l’istituzione del Consolato, Marie Guillemine aveva ritrovato finalmente una
vita meno difficile e pericolosa e cercò di far conoscere meglio il suo vero
talento così, tre anni dopo il dipinto di Girodet, la pittrice realizzò il Ritratto
di una negra, oggi al Louvre, ritraendo di nuovo una persona di colore.
Sullo
scorcio del Settecento i negri esercitavano un certo fascino sulla popolazione bianca. In genere erano visti
come selvaggi inferiori,
piuttosto che uomini diversi ma uguali. Marie Guillemine, tuttavia, cancella
ogni riferimento alla schiavitù e sceglie di dipingere una donna nera nello
stesso formato, nella stessa posa e nella stessa consuetudine di come avrebbe ritratto
una donna bianca: solo la pelle nera, gli elementi del costume e soprattutto il
fazzoletto tipico delle cameriere delle Indie Occidentali richiamano le origini
della giovane donna.
È
questa la prima la grande infrazione al genere operata dalla pittrice: questa
donna è nera e si presenta in una situazione non conforme alla sua condizione
di serva, che probabilmente era stata anche quella di una schiava prima del
1794.
Questo
bellissimo ritratto è ovviamente eseguito dal vero, non giocato
sull’immaginazione, sebbene non sappiamo nulla di certo sulla modella –
probabilmente una donna di servizio in casa di suo cognato – e l’autrice non ne
volutamente reso noto il nome nel titolo del ritratto. È il titolo stesso
sottolinea inequivocabilmente che non si tratta di una figura di fantasia, né
uno studio, né un modello di laboratorio, ma di un vero e proprio ritratto.
Marie-Guilelmine conferisce
alla sua modella la stessa postura delle donne borghesi che si fanno ritrarre. La
donna è ritratta di tre quarti, nella sua intimità privata, seduta in una bella
poltrona a medaglione ed occupa il posto tradizionalmente occupato da una donna
bianca nella stessa posizione riservata ai ritratti di donne dell'alta società:
sembrebbe perfettamente a suo agio e rilassata, come si osserva dalla disposizione
delle mani, adagiate con delicatezza e tranquillità sul grembo.
Il
corpo della donna è semicoperto da una stoffa bianca e il capo è coperto da una
sciarpa, ripiegata su se stessa a guisa di turbante che custodisce e raccoglie
i suoi capelli. La stoffa è contrassegnata da morbide e leggere pieghe
che ne evidenziano anche la trasparenza. Il candore del tessuto leggero e la
calda luce che irrompe da sinistra mettono in risalto i lineamenti decisi
della giovane donna. Il suo seno, nudo e fiero che spunta dal suo vestito
rinvia alla figura di Marianne.
Con la
sua consueta abilità, la pittrice è riuscita a rendere la morbidezza e la dolcezza
del volto della persona raffigurata, delineando con delicatezza la forma dolce
degli occhi e delle sopracciglia, il naso dritto, solo lievemente schiacciato
in punta, e le labbra carnose ben marcate e definite.
Se i
principi accademici dell'epoca affermavano che "Il soggetto nero e il colore nero erano un’operazione ribelle nella
pittura", il dipinto della Benoist prova esattamente il contrario: sotto
il suo pennello, sono bellissime le gradazioni della pigmentazione della pelle
nera, impreziosita dalla luce che si riflette sul volto dall’abito bianco
immacolato e dalla sciarpa avvolta a turbante che conferisce altra luminosità. Le
gradazioni del colore ebano della pelle è sottolineato anche dal sottile
contrasto cromatico con lo sfondo ocra chiaro degradante dolcemente nell’avorio simile allo sfondo del famoso Ritratto di Madame Recamier che David
aveva realizzato nello stesso 1800.
L'opera
non solo riproduce esattamente la pigmentazione della pelle nera, ma mostra anche
molto realisticamente le peculiarità razziali, come la struttura ulotrica dei
capelli che dà ad essi una consistenza speciale, e ancora la particolare forma
degli occhi, il naso largo e le labbra sporgenti.
Lo sguardo
sereno della modella è rivolto direttamente verso lo spettatore. È uno sguardo che
affascina, è penetrante. Osserva con sguardo diretto e sicuro lo spettatore, ma
senza nulla di sfrontato, come se volesse ricambiare il nostro sguardo di
osservatori.
È questa
donna che guida lo spettatore in questo confronto o è l'artista che l'ha
dipinta? La risposta è negli occhi di chi guarda.
La
grazia, l'armonia dei colori di Elisabeth Vigée-Lebrun – per esempio l’uso del blu
ceruleo, uno dei simboli dell'eleganza femminile e colore di forte personalità
e carattere – e l'empatia che suggerisce la mutua comprensione dell'artista e
della sua modella permeano anche questo ritratto della Benoist.
Lo
stile di David si riflette nello sfondo spoglio e nell'uso minimale degli
accessori – la sedia e l’abbigliamento – come nel modellato plastico delle
forme, nella luce diretta e nelle tranche di colori. Dietro di lei, Marie
Guillemine preferisce un fondo neutro, di una tonalità tanto chiara dell’ocra
da sfociare nell’avorio, e completamente privo di decorazioni, per mettere in
risalto la bella pelle color ebano.
Tutta
l’opera è caratterizzata da una stesura pulita e ordinata del colore, che
modella il volume del corpo e le pieghe della stoffa. Ma quello che rese la
pittrice indipendente da lui fu la scelta dei temi dei suoi quadri.
Ciò che
più conta in questo ritratto è che l'artista è riuscita a considerare e a far
considerare esteticamente bello un soggetto fino allora ritenuto sgradevole, sgraziato,
antiestetico.
L’anonimato
del soggetto ritratto ha permesso inoltre alla pittrice di mostrarla come un
vero e proprio simbolo iconico, in cui l'artista ha reso evidente la situazione
psicologica di vulnerabilità e di rassegnazione, ma nello stesso tempo di
grande dignità di questa donna – ma di tutte le donne come lei – catapultata in
un universo che le è estraneo.
L'opera
potrebbe quindi avere due obiettivi apparentemente contraddittori: da un lato
potrebbe presentare questa donna nera come oggetto di possesso, come un bene
acquisito tra i molti oggetti di lusso, ma dall’altro lato, al di là delle
differenze razziali, potrebbe e vorrebbe farla riconoscere come un essere
dotato di sensibilità, comune a tutti gli esseri umani.
Quando
nel 1800 questo dipinto apparve, sembrò troppo audace per le idee del tempo,
sia per la rappresentazione di un soggetto di colore sia per il ruolo che Marie- Guilelmine attribuiva alle donne nell'arte: lo status della donna-artista era
ancora piuttosto dubbio e mal accettato al momento, si negava ancore loro l'accesso
ai laboratori in cui lavoravano gli uomini ed erano limitate a generi minori.
Una
pittrice avrebbe dovuto limitarsi a scene di genere, dipinti di fiori o
ritratti, ma in nessun modo affrontare questioni storiche o politiche come la
condizione dei neri. Solo che Marie Guillemine è uno spirito libero e, come
tale, firma un dipinto engagé e questa è la seconda infrazione. Questa volta
non al genere, ma a tutto il sistema delle arti.
Con il
passare del tempo, quest'opera di eccezionale bellezza ha rivelato soprattutto come
Marie-Guillemine, un'artista che aveva attraversato la Rivoluzione come una
salamandra tra il fuoco, percepisse l'importanza del sesso, della razza e della
classe sociale al tempo dell'ingresso della Francia nella modernità.
Gli
ideali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza, che in nome della morale respingevano
il criterio della razza, del sesso e delle classi sociali, anche se furono proclamati
a gran voce durante la Rivoluzione, furono assimilati solo molto, ma molto gradualmente
e con grandi sofferenze: il cammino per la libertà sarebbe stato
ancora molto lungo. Eppure questo “Ritratto
di donna nera” di Marie-Guilelmine Benoist era il segno che
qualcosa stava davvero cambiando.
A
quel tempo, sebbene le distinzioni razziali fossero accuratamente descritte e
razionalizzate, contemporaneamente fu anche sviluppata una gerarchia di razze,
basata su una classificazione delle caratteristiche biologiche, ma soprattutto
condizionata dagli interessi coloniali e dalla diffusione della schiavitù nel Settecento.
Così nel 1800, se la legge moralmente rifiutava il concetto di razza, prevaleva
in pratica il concetto di differenziazione.
All'inizio
dell’Ottocento, la situazione dei neri rappresentava un considerevole interesse
politico ed economico. L'abolizione della schiavitù, decretata il 4 febbraio 1794
dalla Convenzione, non ebbe mai una piena applicazione a causa delle guerre contro
la Francia o semplicemente a causa dell'opposizione dei coloni. Durante la
tregua tra la Francia e i paesi dell'Europa coalizzati, la tratta dei Neri
riprese furiosamente nell'Atlantico e coloro che avevano interessi coloniali,
si sforzarono di portare Bonaparte al potere, per ristabilire la schiavitù,
atta ad assicurare il ritorno della prosperità nelle isole e per arginare le
tendenze separatiste. Appena due anni dopo, nel 1802, Bonaparte Primo console,
abrogando la deliberazione della Convenzione del 1794, ripristinò la schiavitù.
Il Ritratto
di una donna nera destò scalpore: era un’opera palesemente rivoluzionaria.
Essa nasceva solo dalla precisa volontà di Marie-Guilelminedi rappresentare un
nero: è improbabile, infatti, che il soggetto rappresentato fosse la
committente dell’opera.
Nel
presentare al Salon del 1800 questo
ritratto, Marie-Guilelmine riuscì a far rivivere tout court lo stile
neoclassico, dimostrando le sue grandi capacità e facendo trionfare nello
stesso tempo il ruolo delle donne artiste. Forzò le regole del genere e
dell’estetica tradizionale – una persona di colore non era considerata allora
un soggetto degno di essere rappresentato e tantomeno semplice da realizzare a
causa della pigmentazione scura – sembrava inoltre ancora più incongruo da
parte di una donna da cui ci si sarebbero aspettati piuttosto soggetti
affascinanti, familiari o intimi, dipingere un simile ritratto.
Questo
dipinto invece garantì alla pittrice grande notorietà perché era un’opera che
rappresentava una presa di posizione ideologica realizzata a soli sei anni
dall’abolizione della schiavitù in Francia e nelle sue colonie, nel pieno
dell’acceso e talvolta violento dibattito fra abolizionisti e schiavisti, fu
considerato un vero e proprio manifesto di emancipazione insieme della donna e
della gente di colore.
Nel
1804 al Salon le assegnarono una medaglia d’oro e, nello stesso
periodo, Marie-Guilelmineaprì uno studio riservato solo alle donne.
Con la
Restaurazione il marito, conte di Benoist, fu nominato dapprima membro del
Consiglio di Stato, poi Ministro infine membro del Consiglio Privato del re. L’attività
di pittrice di Marie-Guilelmine era ritenuta incompatibile con la straordinaria
carriera del marito e con il suo ruolo politico e così, all’apice della
carriera smise di dipingere, ma questo fu davvero un peccato, perché dimostrò quanto
i pregiudizi verso le donne con un pizzico di creatività e di indipendenza
erano ancora molto radicati con qualunque ideologia di potere.
Massimo
Capuozzo