In questo lavoro si cercano di individuare i più celebri protagonisti della matematica e della fisica negli anni del Fascismo e di scoprire se questi erano completamente estranei alle vicende politiche, grigi e fedeli sostenitori dell'establishment o intellettuali impegnati a difendere il valore universalistico della scienza.
Il filo conduttore di questo lavoro è la contestualizzazione del rapporto che, in generale, ebbero tutti gli intellettuali con il Fascismo, dapprima come fenomeno politico incipiente, successivamente nel suo consolidamento come regime, infine nel suo momento declinante, affinché si possa abbracciare, attraverso una campionatura mirata, il rapporto che nei vari campi della cultura gli intellettuali si relazionarono con un potere forte e totalitario.
Dalla pubblicazione della vasta opera di recupero affrontata da Renzo De Felice nella monumentale Mussolini e il Fascismo, preceduta dalla più agile Interpretazioni del Fascismo, sembra che, decantati i furori postresistenziali, si sia verificato un pullulare di studi nei vari settori della cultura, che, in parte, stanno cercando di recuperare aspetti non trascurabili della civiltà italiana negli anni del ventennio, sottraendola alla damnatio memoriae, che di solito segue ogni scontro ideologico in cui la violenza della battaglia, il più delle volte condotta senza esclusione di colpi, porta inevitabilmente il vincitore a scrivere la Storia. Da questo concetto è nata l’esigenza di un’interpretazione revisionistica del Fascismo, un'interpretazione che, pur senza adesione, intende però recuperarlo alla storia e ripensare l'intera vicenda, allontanandosi da quella versione di guerra che lo riduceva a semplice barbarie e pensava di poter chiudere il discorso con la frase dove c'è cultura non c'è fascismo, dove c'è fascismo non c'è cultura.
In tal senso Costanzo Casucci, direttore tra il '50 e il '70 della sezione del Ministero dell'Interno e dell'Archivio Centrale dello Stato in un suo articolo, apparso sul’Mulino’ del 1960 scrive: «In effetti, la storiografia sul fascismo patisce un difetto di fondo: un atteggiamento di invincibile, pregiudiziale opposizione che la porta ad una negazione tanto più assoluta quanto più frettolosa. Quasi una fuga da se stessi, una evasione angosciosa dal proprio vergognoso passato. Ciò impedisce il realizzarsi della condizione prima per fare storia, identificarsi con l'oggetto della propria indagine, riceverne dall'interno l'intero processo di sviluppo; nella fattispecie farsi fascisti con i fascisti. Questo limite inficia ogni opera storica che sia stata fin qui scritta, ogni critica che sia stata fin qui fatta, per cui in realtà si è impoverito il giudizio e spuntata la condanna che giustamente del fascismo si voleva promuovere».
Da quest’articolo che è diventato un manifesto del revisionismo sono iniziati studi approfonditi sul periodo soprattutto nel campo della storia dell’architettura e delle arti figurative parzialmente nella storia della letteratura ed in quella del pensiero filosofico soprattutto con gli studi che si stanno effettuando su Giovanni Gentile, anche se due personaggi di spicco del pensiero filosofico fascista come Ugo Spirito e Julius Evola rimangono ancora in ombra, pur meritando una certa attenzione.
Decisamente in ritardo risultano invece gli studi sulla matematica, sulla fisica e sulla chimica, che furono portati avanti negli anni del regime. Questa è stata l’idea guida di questo lavoro: una ricerca, anche se solo compilativa, degli studi di queste discipline, prendendo spunto del libro Matematica in camicia nera. Il regime e gli scienziati scritto a quattro mani da Angelo Guerreggio e da Pietro Nastasi, edito nel 2005 da Mondadori.
Da una prima indagine apparirebbe che il grado di compromissione degli scienziati italiani con il Fascismo sia stato, anche se per ragioni diverse, senz'altro elevato e che, se gli economisti in modo più eclatante presero molto sul serio il corporativismo e l'’autarchia, un contributo alla preparazione della seconda guerra mondiale giunse anche da chimici e da ingegneri.
In ogni caso anche il rapporto fra scienziati e Fascismo è un aspetto più specifico del rapporto complesso che è esistito fra intellettuali e potere in uno ‘Stato totalitario’.
Il taglio dell’indagine seguente sarà fondamentalmente socioculturale: il fil rouge ha il fine di osservare il rapporto fra regime fascista e scienza e di osservare, attraverso esemplificazioni solo apparentemente casuali, come tutti i settori della cultura scientifica si relazionarono con il Fascismo.
Nonostante i risultati nell'analisi, nella geometria differenziale, nella probabilità e nella biomatematica, la storia della matematica italiana fra le due guerre è interessante soprattutto dal punto di vista sociologico e istituzionale.
Le vicende della matematica nel ventennio fascista si intrecciarono essenzialmente con quelle della cultura e più in generale della società.
In effetti, al di là delle attività di ricerca e di insegnamento comuni a tutti i periodi, le iniziative del regime sia relative alle Università sia a quelle più generalmente rivolte all'intera società italiana, divisero profondamente la comunità scientifica e determinarono forti tensioni interne.
Dal punto di vista istituzionale, il ventennio fu caratterizzato da un'attenzione marcata verso le istituzioni di ricerca, per lo più organismi per la promozione della ricerca scientifica indipendenti dalle Università e non collegati con l'insegnamento.
Per quanto riguarda la matematica, nel giro di venti anni furono creati alcuni istituti nazionali, che da allora hanno esercitato ed esercitano tuttora un ruolo importante nella ricerca matematica avanzata.
Il Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr) costituito il 18 novembre del 1923 e trasformato nel 1945 in organo dello Stato ha svolto prevalentemente attività di formazione, di promozione e di coordinamento della ricerca in tutti i settori scientifici e tecnologici.
Subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale in molti paesi europei gli scienziati cercarono di dar vita ad organismi in grado di aggregare tutte le attività relative alle invenzioni e alla ricerca. Nel 1916 fu costituito il Comitato nazionale scientifico tecnico per lo sviluppo e l'incremento dell'industria italiana (CNST) con il compito di «stringere maggiormente i legami fra la Scienza e le sue applicazioni»; mentre nel 1917 fu autorizzata, con decreto del 25 novembre, una spesa straordinaria di 3 milioni di lire per «gli impianti e gli arredamenti degli Istituti Superiori di fisica, chimica e le loro applicazioni tecniche»; sempre nel 1917 fu costituito l'’Ufficio Invenzioni e Ricerche.
Attraverso queste iniziative, cominciava a farsi avanti una maggiore sensibilità verso il tema della scienza, confermata dalla costituzione nel novembre del 1918 di un Consiglio Internazionale delle Ricerche (CIR), al quale l'Italia prese parte con Vito Volterra con rappresentanti di Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Belgio. Ma soprattutto da un decreto presidenziale del 17 febbraio 1919, che istituiva una commissione «con l'incarico di preparare un progetto di costituzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche», il quale in un articolo precisava che «il Consiglio Nazionale delle Ricerche deve avere per fine di organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale». Con questo atto era sancito il punto d'inizio ufficiale del processo di costituzione del CNR, che si sarebbe concluso con l'emanazione del decreto del 18 novembre 1923.
l'Unione matematica italiana (Umi), l'Istituto nazionale di statistica (Istat), l'Istituto per le applicazioni del calcolo (Inac), che ancora oggi rappresentano quanto di più avanzato la ricerca italiana in campo matematico possa produrre.
Salvatore Pincherle (Trieste, 11 febbraio 1853 – Bologna, 19 luglio 1936) è stato il padre, con Vito Volterra, dell'analisi funzionale, una delle più importanti branche della matematica moderna. Tuttavia egli restò troppo ancorato allo schema impostato da Weierstrass e non approfondì quelli che sono ora considerati i più interessanti aspetti del nuovo ramo di analisi, limitandosi a considerarne degli aspetti meno fecondi; fu però tra i primi a studiare in dettaglio la trasformata di Laplace.
Grazie alla sua prolifica attività scientifica e didattica, Pincherle contribuì a portare l'Italia all'avanguardia nel campo delle scienze matematiche. Nonostante non amasse incarichi, che lo avrebbero potuto distogliere dalle sue occupazioni, fondò l'’Unione Matematica Italiana’ nel 1922, della quale fu il primo presidente, e fu socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Pincherle, firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile, si adoperò con successo al riavvicinamento fra matematici francesi e tedeschi e alla riammissione di questi ultimi al consesso internazionale della ricerca matematica, dal quale erano stati allontanati dopo la Prima guerra mondiale, quando l'Italia era considerata un paese leader nella ricerca matematica a livello mondiale, specialmente in tre filoni di ricerca che si delineano a fine Ottocento:
la geometria algebrica
la fisica matematica
l'analisi.
I personaggi che, direttamente o tramite i loro allievi, contribuirono all'affermazione italiana in questi tre campi furono:
Corrado Segre e i suoi allievi Federico Enriques, Francesco Severi e Guido Castelnuovo per quanto riguarda la geometria algebrica,
Tullio Levi-Civita e Vito Volterra nel campo della fisica matematica.
Giuseppe Peano, ma anche Volterra per quanto attiene all'analisi.
Molti di costoro furono anche personalità di rilievo in campo politico-istituzionale, ricoprendo ruoli di primo piano anche a livello parlamentare. Con l'avvento del Fascismo, tuttavia, per la matematica italiana niente fu più come prima: pur continuando, infatti, ad essere ai vertici della ricerca scientifica internazionale quanto a pubblicazioni ed a lavori prodotti, con la I guerra mondiale iniziò un lento declino della scienza matematica italiana che raggiunse il culmine con le leggi razziali del 1938.
Per ricostruire i tratti principali dei rapporti fra i chimici ed il regime fascista è opportuno seguire le tracce lasciate da tre capi-scuola dell'epoca ed ancora prima è opportuno osservare i prodromi della situazione dall'inizio del XX secolo fino alla prima guerra mondiale.
Giuseppe Bruni (1873-1946), allievo di Ciamician e cultore di molti temi avanzati di chimica fisica, parlò ad una settimana dalle elezioni vinte da Mussolini (65% dei voti) con la violenza delle camicie nere e dell'apparato dello Stato, già piegato ad esigenze di regime. L'argomento scelto da Bruni fu La chimica nella preparazione e nella difesa nazionale; il discorso inizia con l'affermazione che la guerra si è rivelata inutile per l’inettitudine del liberalismo e passa attraverso un'esaltazione del pensiero incomparabilmente chiaro e profondo del Capo del Governo, e si conclude con una dedica alla difesa della patria delle menti dei chimici, ferme e unite come le verghe del fascio per operare e per servire.
La precoce adesione di Bruni, come quella di altri importanti scienziati e imprenditori italiani, al regime da parte fu presto ricompensata con la concessione di un ruolo diretto negli organismi rappresentativi dello Stato fascista.
Mussolini mantenne la numerazione delle legislature dello Statuto Albertino, ma le elezioni nel 1929 non si svolsero secondo le regole dello Stato liberale: gli elettori furono chiamati ad esprimersi su una lista bloccata di 400 candidati, nominati dal Gran Consiglio del Fascismo (tra i quali lo stesso Bruni).
Nicola Parravano, chimico metallurgico ed allievo prediletto di Paternò, si fece portatore di una decisa concezione della scienza come “forza sociale” e dello “scienziato fascista” come “uomo di cultura, tecnico applicatore ed individuo etico e politico”.
Nel 1938, Parravano, divenuto Presidente dell’Associazione Italiana di Chimica, organizzò a Roma il X Congresso Internazionale di Chimica, che si rivelò un vero trionfo per la comunità scientifica italiana e per il regime che lo aveva finanziato.
Nell’imponente scenario dato dalla nuova sede dell’Università intervennero 2500 scienziati, di cui 1600 stranieri, per affrontare il tema generale: “La chimica al servizio dell’uomo”, articolato in 11 sezioni, che toccavano temi della vita scientifica, produttiva e civile.
Un altro scienziato da prendere in considerazione indubbiamente è Livio Cambi, allievo di Ciamician e di Angeli. Coetaneo di Parravano, Cambi ebbe un ruolo politico di grande rilievo nel 1939, quando fu nominato Rappresentante del Partito Nazionale Fascista nella Corporazione della siderurgia e metallurgia. Cambi sentiva l’“Era nuova” in stretto collegamento con “l’impulso di rinnovamento della borghesia lombarda” (1927). Il suo stile di pensiero è più sobrio di quello di Parravano, ma altrettanto ostile al ‘grigiore del regime liberale’ in cui ‘naufragava ogni iniziativa per il disinteresse, l'assenteismo delle classi dirigenti e dei governi’ (1936). Cambi sentiva l'’Era nuova’ in stretto collegamento con l'impulso di rinnovamento [della] borghesia lombarda (1927), non c'è quindi da stupirsi che la maggiore differenza di accenti e di contenuti rispetto a Parravano si ritrovi nella sua attenzione continua ai rapporti di produzione, dalle condizioni delle classi lavoratrici alla necessità della concentrazione monopolistica per un più avanzato sviluppo tecnologico.
Tra le responsabilità maggiori dei chimici durante il ventennio fascista vi è certo quella di aver alimentato e giustificato la politica autarchica, che sembrava concepita dai sogni più improbabili della grande industria chimica. Certamente i chimici non furono i soli scienziati a corteggiare il regime, né le motivazioni di chi fra loro lo fece furono sempre le stesse.
L'adesione al Fascismo fu sentita spesso come una costrizione e molti mantennero un atteggiamento riservato, ma solo uno fra tutti i chimici accademici ebbe il coraggio di rifiutare il giuramento di fedeltà all'inizio dell'anno accademico 1931-32: Michele Giua (1889-1966), che dovette abbandonare il posto di assistente presso l'Istituto di chimica industriale del Politecnico di Torino, quando gli fu richiesta formalmente l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista. Due righe negative, come risposta alla sollecitazione del direttore della Scuola di Ingegneria, fecero sì che Giua fosse privato dagli incarichi di insegnamento, trovando come unico rifugio la libera professione. Ma ormai Giua era impegnato nella lotta antifascista con il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, mettendo al servizio del movimento le sue capacità tecniche e politiche. Ma per la delazione di un infiltrato il 15 maggio 1935 l'attività clandestina del nucleo torinese fu stroncata con l'arresto dei suoi principali esponenti, fra cui Giua. Quanto il regime lo riteneva pericoloso è testimoniato in una nota dello Schedario degli affiliati ai partiti sovversivi redatta subito dopo l'arresto; con una certa sopravvalutazione si affermava che: "Nel movimento antifascista di Torino, Giustizia e Libertà, Giua continuava ad essere la mente direttiva". Portato innanzi al Tribunale Speciale con questo profilo politico Giua fu condannato a 15 anni di reclusione ed il suo pellegrinaggio nelle carceri durò fino all'agosto del 1943.
Non ci fu bisogno dell'intervento di nessun oracolo per convincere gli altri storici del carattere opportunistico dell'adesione di massa dei chimici al regime. Da questo generale opportunismo si differenziarono con diversi destini solo figure come Giua e Cambi, e l'attenzione degli storici dovrà rivolgersi in futuro proprio a costruttori come Cambi, per cogliere fino in fondo le contraddizioni fra le aspirazioni di ammodernamento sociale ed economico di una parte degli intellettuali fascisti, che pure qualcosa ottennero, e la realtà complessiva che risultava dalla struttura illiberale dell'Italia di Mussolini.
Dal 5 settembre 1938, preceduto da un Manifesto degli scienziati razzisti, in cui si proclamava l'appartenenza del popolo italiano alla razza ariana e l'estraneità degli ebrei alla comunità nazionale, furono promulgati i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, che decretavano l'espulsione di tutti i cittadini ebrei dalle scuole italiane di ogni ordine e grado, sia come insegnanti sia come studenti. Sulla base di questa legge, tutti i matematici di origini ebraiche furono dichiarati decaduti e persero la cattedra.
La comunità scientifica italiana contribuì attivamente alla variante fascista del razzismo. Il decreto del governo, che privava d'un colpo la scienza italiana di alcuni tra i suoi massimi esponenti, non incontrò praticamente opposizione nella comunità matematica, che si mobilitò solo per evitare che le cattedre che si liberavano andassero perdute e le vittime nella matematica annoverarono alcuni dei suoi più prestigiosi esponenti: Volterra, Castelnuovo, Enriques e Levi-Civita.
Un’altra figura importante di questo periodo è Enrico Fermi, che non aveva nessuna particolare propensione per l’ambiente politico: Fermi non fu costretto a partire per l'America, ma fu una sua scelta. Il rettore Pegram della Columbia University, conoscendo la sua fama, gli offrì una posizione stimabile. La scienza americana è quella che è grazie alle dittature che hanno costretto alla fuga verso gli Stati Uniti i migliori scienziati europei: questo esodo massiccio ha fatto grande la fisica e, più in generale, la scienza americana.
Fermi era seriamente preoccupato che i nazisti avessero per primi un ordigno nucleare e dell’uso che se ne poteva fare. Quando gli proposero di continuare l'attività di ricerca nel campo degli ordigni nucleari, realizzando la bomba all'idrogeno, molto più devastante di quella atomica, Fermi si rifiutò perché consapevole dei danni provocati da un tale ordigno. Egli partecipò solo alla parte finale del progetto, ovvero due anni più tardi quando seppe che l’Unione Sovietica ne era in possesso; allora, in nome della teoria chiamata L'equilibrio del terrore, secondo cui se più Paesi hanno una bomba, non si colpiranno mai, Fermi collaborò al programma.
Il nome di Enrico Fermi viene quasi sempre collegato alla bomba atomica, ma ci sono sue ricerche che hanno prodotto vantaggi concreti. La radiomedicina, ad esempio, ottenuta dalla produzione di varianti radioattive di tutti gli atomi conosciuti. Parliamo di studi sul metabolismo, che hanno contribuito alla scoperta di numerose malattie dell’organismo umano. Poi la Pila di Chicago, che era il primo reattore funzionante, in grado di produrre energia nucleare controllata. Senza la Statistica di Fermi, poi, nessuno avrebbe capito come funziona un semiconduttore, anche se lui non ha scoperto proprio il semiconduttore, bensì la teoria interpretativa del comportamento di un semiconduttore.
Un altro scienziato di grande rilievo è il marchese Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 – Roma, 20 luglio 1937) conosciuto per aver sviluppato un sistema di telegrafia senza fili via onde radio che ottenne una notevole diffusione: evoluzioni di tale sistema portarono allo sviluppo dei moderni metodi di telecomunicazione come la televisione, la radio, il telefono cellulare, i telecomandi, e in generale tutti i sistemi che utilizzano le comunicazioni senza fili.
Egli effettuò la prima trasmissione senza fili sul mare da Ballycastle (Irlanda del nord) all'isola di Rathlin nel 1898. Stabilì un ponte radio tra la residenza estiva della regina Vittoria e lo yacht reale sul quale c'era il principe di Galles, il futuro Edoardo VII convalescente per una brutta ferita al ginocchio. Nel dicembre dello stesso anno, da un battello attrezzato con radio parte una richiesta di soccorso: è il primo caso di richiesta di salvataggio. Il 29 maggio i segnali attraversano il canale della Manica superando la distanza di 51 chilometri.
Marconi installò un analogo trasmettitore a scintilla nel Centro Radio di Coltano, presso Pisa, nel 1903, che fu utilizzato fino alla seconda guerra mondiale prima per comunicare con le colonie d'Africa, quindi con le navi in navigazione, ed in seguito ampliata e potenziata tanto diventare una delle più potenti stazioni radio d'Europa.
Marconi non ottenne comunicazioni transoceaniche completamente attendibili fino al 1907.
Nel 1909 Guglielmo Marconi condivise con il fisico tedesco Karl Ferdinand Braun il premio Nobel per la fisica.
Nell'autunno 1911 Marconi visitò le colonie italiane in Africa per sperimentare i collegamenti a lunga distanza con la stazione di Coltano; in particolare fu a Tripoli da poco occupata dalle truppe italiane dove effettuò in collaborazione con Luigi Sacco, comandante della locale stazione radio, alcuni esperimenti di collegamento radio con Coltano, che diedero impulso all'allestimento da parte dell'arma del Genio del primo servizio di radiotelegrafia militare su larga scala.
Il 30 dicembre 1914 fu nominato senatore a vita del Regno d'Italia, mentre nel giugno 1915 si arruolò volontario nell'Esercito italiano col grado di tenente di complemento del Genio dirigibilisti, per poi diventare ufficiale di vascello di complemento nel 1916, benché prestasse servizio nell'Istituto Radiotelegrafico della Marina.
Nel 1920 lo stabilimento di Marconi di Chelmsford fu sede della prima trasmissione audio annunciata pubblicamente del Regno Unito; una delle annunciatrici fu Nellie Melba. Nel 1922 il primo servizio regolare di trasmissioni di intrattenimento cominciò dal Marconi Research Centre a Writtle, vicino Chelmsford.
Fu nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1927 e della Regia Accademia d'Italia (l'attuale Accademia Nazionale dei Lincei) il 19 settembre 1930, diventando automaticamente membro del Gran Consiglio Fascista, pur partecipando ad una sola seduta.
La figura di Marconi fu utilizzata dalla propaganda del regime fascista come esempio di patriottismo e genialità italica. Benito Mussolini, in discorso al Senato del 9 dicembre 1937, affermò: "Nessuna meraviglia che Marconi abbracciasse, sin dalla vigilia, la dottrina delle Camicie Nere, orgogliose di averlo nei loro ranghi". Lo stesso Marconi non nascose le sue simpatie per il regime, affermando: "Rivendico l'onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l'utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d'Italia".
Dal 1933 alla morte fu presidente dell'Istituto Treccani. Nel 1934 fu nominato primo presidente del CIRM che era nato su iniziativa sua e del suo medico, il dottor Guido Guida.
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In tal senso Costanzo Casucci, direttore tra il '50 e il '70 della sezione del Ministero dell'Interno e dell'Archivio Centrale dello Stato in un suo articolo, apparso sul’Mulino’ del 1960 scrive: «In effetti, la storiografia sul fascismo patisce un difetto di fondo: un atteggiamento di invincibile, pregiudiziale opposizione che la porta ad una negazione tanto più assoluta quanto più frettolosa. Quasi una fuga da se stessi, una evasione angosciosa dal proprio vergognoso passato. Ciò impedisce il realizzarsi della condizione prima per fare storia, identificarsi con l'oggetto della propria indagine, riceverne dall'interno l'intero processo di sviluppo; nella fattispecie farsi fascisti con i fascisti. Questo limite inficia ogni opera storica che sia stata fin qui scritta, ogni critica che sia stata fin qui fatta, per cui in realtà si è impoverito il giudizio e spuntata la condanna che giustamente del fascismo si voleva promuovere».
Da quest’articolo che è diventato un manifesto del revisionismo sono iniziati studi approfonditi sul periodo soprattutto nel campo della storia dell’architettura e delle arti figurative parzialmente nella storia della letteratura ed in quella del pensiero filosofico soprattutto con gli studi che si stanno effettuando su Giovanni Gentile, anche se due personaggi di spicco del pensiero filosofico fascista come Ugo Spirito e Julius Evola rimangono ancora in ombra, pur meritando una certa attenzione.
Decisamente in ritardo risultano invece gli studi sulla matematica, sulla fisica e sulla chimica, che furono portati avanti negli anni del regime. Questa è stata l’idea guida di questo lavoro: una ricerca, anche se solo compilativa, degli studi di queste discipline, prendendo spunto del libro Matematica in camicia nera. Il regime e gli scienziati scritto a quattro mani da Angelo Guerreggio e da Pietro Nastasi, edito nel 2005 da Mondadori.
Da una prima indagine apparirebbe che il grado di compromissione degli scienziati italiani con il Fascismo sia stato, anche se per ragioni diverse, senz'altro elevato e che, se gli economisti in modo più eclatante presero molto sul serio il corporativismo e l'’autarchia, un contributo alla preparazione della seconda guerra mondiale giunse anche da chimici e da ingegneri.
In ogni caso anche il rapporto fra scienziati e Fascismo è un aspetto più specifico del rapporto complesso che è esistito fra intellettuali e potere in uno ‘Stato totalitario’.
Il taglio dell’indagine seguente sarà fondamentalmente socioculturale: il fil rouge ha il fine di osservare il rapporto fra regime fascista e scienza e di osservare, attraverso esemplificazioni solo apparentemente casuali, come tutti i settori della cultura scientifica si relazionarono con il Fascismo.
Nonostante i risultati nell'analisi, nella geometria differenziale, nella probabilità e nella biomatematica, la storia della matematica italiana fra le due guerre è interessante soprattutto dal punto di vista sociologico e istituzionale.
Le vicende della matematica nel ventennio fascista si intrecciarono essenzialmente con quelle della cultura e più in generale della società.
In effetti, al di là delle attività di ricerca e di insegnamento comuni a tutti i periodi, le iniziative del regime sia relative alle Università sia a quelle più generalmente rivolte all'intera società italiana, divisero profondamente la comunità scientifica e determinarono forti tensioni interne.
Dal punto di vista istituzionale, il ventennio fu caratterizzato da un'attenzione marcata verso le istituzioni di ricerca, per lo più organismi per la promozione della ricerca scientifica indipendenti dalle Università e non collegati con l'insegnamento.
Per quanto riguarda la matematica, nel giro di venti anni furono creati alcuni istituti nazionali, che da allora hanno esercitato ed esercitano tuttora un ruolo importante nella ricerca matematica avanzata.
Il Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr) costituito il 18 novembre del 1923 e trasformato nel 1945 in organo dello Stato ha svolto prevalentemente attività di formazione, di promozione e di coordinamento della ricerca in tutti i settori scientifici e tecnologici.
Subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale in molti paesi europei gli scienziati cercarono di dar vita ad organismi in grado di aggregare tutte le attività relative alle invenzioni e alla ricerca. Nel 1916 fu costituito il Comitato nazionale scientifico tecnico per lo sviluppo e l'incremento dell'industria italiana (CNST) con il compito di «stringere maggiormente i legami fra la Scienza e le sue applicazioni»; mentre nel 1917 fu autorizzata, con decreto del 25 novembre, una spesa straordinaria di 3 milioni di lire per «gli impianti e gli arredamenti degli Istituti Superiori di fisica, chimica e le loro applicazioni tecniche»; sempre nel 1917 fu costituito l'’Ufficio Invenzioni e Ricerche.
Attraverso queste iniziative, cominciava a farsi avanti una maggiore sensibilità verso il tema della scienza, confermata dalla costituzione nel novembre del 1918 di un Consiglio Internazionale delle Ricerche (CIR), al quale l'Italia prese parte con Vito Volterra con rappresentanti di Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Belgio. Ma soprattutto da un decreto presidenziale del 17 febbraio 1919, che istituiva una commissione «con l'incarico di preparare un progetto di costituzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche», il quale in un articolo precisava che «il Consiglio Nazionale delle Ricerche deve avere per fine di organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale». Con questo atto era sancito il punto d'inizio ufficiale del processo di costituzione del CNR, che si sarebbe concluso con l'emanazione del decreto del 18 novembre 1923.
l'Unione matematica italiana (Umi), l'Istituto nazionale di statistica (Istat), l'Istituto per le applicazioni del calcolo (Inac), che ancora oggi rappresentano quanto di più avanzato la ricerca italiana in campo matematico possa produrre.
Salvatore Pincherle (Trieste, 11 febbraio 1853 – Bologna, 19 luglio 1936) è stato il padre, con Vito Volterra, dell'analisi funzionale, una delle più importanti branche della matematica moderna. Tuttavia egli restò troppo ancorato allo schema impostato da Weierstrass e non approfondì quelli che sono ora considerati i più interessanti aspetti del nuovo ramo di analisi, limitandosi a considerarne degli aspetti meno fecondi; fu però tra i primi a studiare in dettaglio la trasformata di Laplace.
Grazie alla sua prolifica attività scientifica e didattica, Pincherle contribuì a portare l'Italia all'avanguardia nel campo delle scienze matematiche. Nonostante non amasse incarichi, che lo avrebbero potuto distogliere dalle sue occupazioni, fondò l'’Unione Matematica Italiana’ nel 1922, della quale fu il primo presidente, e fu socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Pincherle, firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile, si adoperò con successo al riavvicinamento fra matematici francesi e tedeschi e alla riammissione di questi ultimi al consesso internazionale della ricerca matematica, dal quale erano stati allontanati dopo la Prima guerra mondiale, quando l'Italia era considerata un paese leader nella ricerca matematica a livello mondiale, specialmente in tre filoni di ricerca che si delineano a fine Ottocento:
la geometria algebrica
la fisica matematica
l'analisi.
I personaggi che, direttamente o tramite i loro allievi, contribuirono all'affermazione italiana in questi tre campi furono:
Corrado Segre e i suoi allievi Federico Enriques, Francesco Severi e Guido Castelnuovo per quanto riguarda la geometria algebrica,
Tullio Levi-Civita e Vito Volterra nel campo della fisica matematica.
Giuseppe Peano, ma anche Volterra per quanto attiene all'analisi.
Molti di costoro furono anche personalità di rilievo in campo politico-istituzionale, ricoprendo ruoli di primo piano anche a livello parlamentare. Con l'avvento del Fascismo, tuttavia, per la matematica italiana niente fu più come prima: pur continuando, infatti, ad essere ai vertici della ricerca scientifica internazionale quanto a pubblicazioni ed a lavori prodotti, con la I guerra mondiale iniziò un lento declino della scienza matematica italiana che raggiunse il culmine con le leggi razziali del 1938.
Per ricostruire i tratti principali dei rapporti fra i chimici ed il regime fascista è opportuno seguire le tracce lasciate da tre capi-scuola dell'epoca ed ancora prima è opportuno osservare i prodromi della situazione dall'inizio del XX secolo fino alla prima guerra mondiale.
Giuseppe Bruni (1873-1946), allievo di Ciamician e cultore di molti temi avanzati di chimica fisica, parlò ad una settimana dalle elezioni vinte da Mussolini (65% dei voti) con la violenza delle camicie nere e dell'apparato dello Stato, già piegato ad esigenze di regime. L'argomento scelto da Bruni fu La chimica nella preparazione e nella difesa nazionale; il discorso inizia con l'affermazione che la guerra si è rivelata inutile per l’inettitudine del liberalismo e passa attraverso un'esaltazione del pensiero incomparabilmente chiaro e profondo del Capo del Governo, e si conclude con una dedica alla difesa della patria delle menti dei chimici, ferme e unite come le verghe del fascio per operare e per servire.
La precoce adesione di Bruni, come quella di altri importanti scienziati e imprenditori italiani, al regime da parte fu presto ricompensata con la concessione di un ruolo diretto negli organismi rappresentativi dello Stato fascista.
Mussolini mantenne la numerazione delle legislature dello Statuto Albertino, ma le elezioni nel 1929 non si svolsero secondo le regole dello Stato liberale: gli elettori furono chiamati ad esprimersi su una lista bloccata di 400 candidati, nominati dal Gran Consiglio del Fascismo (tra i quali lo stesso Bruni).
Nicola Parravano, chimico metallurgico ed allievo prediletto di Paternò, si fece portatore di una decisa concezione della scienza come “forza sociale” e dello “scienziato fascista” come “uomo di cultura, tecnico applicatore ed individuo etico e politico”.
Nel 1938, Parravano, divenuto Presidente dell’Associazione Italiana di Chimica, organizzò a Roma il X Congresso Internazionale di Chimica, che si rivelò un vero trionfo per la comunità scientifica italiana e per il regime che lo aveva finanziato.
Nell’imponente scenario dato dalla nuova sede dell’Università intervennero 2500 scienziati, di cui 1600 stranieri, per affrontare il tema generale: “La chimica al servizio dell’uomo”, articolato in 11 sezioni, che toccavano temi della vita scientifica, produttiva e civile.
Un altro scienziato da prendere in considerazione indubbiamente è Livio Cambi, allievo di Ciamician e di Angeli. Coetaneo di Parravano, Cambi ebbe un ruolo politico di grande rilievo nel 1939, quando fu nominato Rappresentante del Partito Nazionale Fascista nella Corporazione della siderurgia e metallurgia. Cambi sentiva l’“Era nuova” in stretto collegamento con “l’impulso di rinnovamento della borghesia lombarda” (1927). Il suo stile di pensiero è più sobrio di quello di Parravano, ma altrettanto ostile al ‘grigiore del regime liberale’ in cui ‘naufragava ogni iniziativa per il disinteresse, l'assenteismo delle classi dirigenti e dei governi’ (1936). Cambi sentiva l'’Era nuova’ in stretto collegamento con l'impulso di rinnovamento [della] borghesia lombarda (1927), non c'è quindi da stupirsi che la maggiore differenza di accenti e di contenuti rispetto a Parravano si ritrovi nella sua attenzione continua ai rapporti di produzione, dalle condizioni delle classi lavoratrici alla necessità della concentrazione monopolistica per un più avanzato sviluppo tecnologico.
Tra le responsabilità maggiori dei chimici durante il ventennio fascista vi è certo quella di aver alimentato e giustificato la politica autarchica, che sembrava concepita dai sogni più improbabili della grande industria chimica. Certamente i chimici non furono i soli scienziati a corteggiare il regime, né le motivazioni di chi fra loro lo fece furono sempre le stesse.
L'adesione al Fascismo fu sentita spesso come una costrizione e molti mantennero un atteggiamento riservato, ma solo uno fra tutti i chimici accademici ebbe il coraggio di rifiutare il giuramento di fedeltà all'inizio dell'anno accademico 1931-32: Michele Giua (1889-1966), che dovette abbandonare il posto di assistente presso l'Istituto di chimica industriale del Politecnico di Torino, quando gli fu richiesta formalmente l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista. Due righe negative, come risposta alla sollecitazione del direttore della Scuola di Ingegneria, fecero sì che Giua fosse privato dagli incarichi di insegnamento, trovando come unico rifugio la libera professione. Ma ormai Giua era impegnato nella lotta antifascista con il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, mettendo al servizio del movimento le sue capacità tecniche e politiche. Ma per la delazione di un infiltrato il 15 maggio 1935 l'attività clandestina del nucleo torinese fu stroncata con l'arresto dei suoi principali esponenti, fra cui Giua. Quanto il regime lo riteneva pericoloso è testimoniato in una nota dello Schedario degli affiliati ai partiti sovversivi redatta subito dopo l'arresto; con una certa sopravvalutazione si affermava che: "Nel movimento antifascista di Torino, Giustizia e Libertà, Giua continuava ad essere la mente direttiva". Portato innanzi al Tribunale Speciale con questo profilo politico Giua fu condannato a 15 anni di reclusione ed il suo pellegrinaggio nelle carceri durò fino all'agosto del 1943.
Non ci fu bisogno dell'intervento di nessun oracolo per convincere gli altri storici del carattere opportunistico dell'adesione di massa dei chimici al regime. Da questo generale opportunismo si differenziarono con diversi destini solo figure come Giua e Cambi, e l'attenzione degli storici dovrà rivolgersi in futuro proprio a costruttori come Cambi, per cogliere fino in fondo le contraddizioni fra le aspirazioni di ammodernamento sociale ed economico di una parte degli intellettuali fascisti, che pure qualcosa ottennero, e la realtà complessiva che risultava dalla struttura illiberale dell'Italia di Mussolini.
Dal 5 settembre 1938, preceduto da un Manifesto degli scienziati razzisti, in cui si proclamava l'appartenenza del popolo italiano alla razza ariana e l'estraneità degli ebrei alla comunità nazionale, furono promulgati i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, che decretavano l'espulsione di tutti i cittadini ebrei dalle scuole italiane di ogni ordine e grado, sia come insegnanti sia come studenti. Sulla base di questa legge, tutti i matematici di origini ebraiche furono dichiarati decaduti e persero la cattedra.
La comunità scientifica italiana contribuì attivamente alla variante fascista del razzismo. Il decreto del governo, che privava d'un colpo la scienza italiana di alcuni tra i suoi massimi esponenti, non incontrò praticamente opposizione nella comunità matematica, che si mobilitò solo per evitare che le cattedre che si liberavano andassero perdute e le vittime nella matematica annoverarono alcuni dei suoi più prestigiosi esponenti: Volterra, Castelnuovo, Enriques e Levi-Civita.
Un’altra figura importante di questo periodo è Enrico Fermi, che non aveva nessuna particolare propensione per l’ambiente politico: Fermi non fu costretto a partire per l'America, ma fu una sua scelta. Il rettore Pegram della Columbia University, conoscendo la sua fama, gli offrì una posizione stimabile. La scienza americana è quella che è grazie alle dittature che hanno costretto alla fuga verso gli Stati Uniti i migliori scienziati europei: questo esodo massiccio ha fatto grande la fisica e, più in generale, la scienza americana.
Fermi era seriamente preoccupato che i nazisti avessero per primi un ordigno nucleare e dell’uso che se ne poteva fare. Quando gli proposero di continuare l'attività di ricerca nel campo degli ordigni nucleari, realizzando la bomba all'idrogeno, molto più devastante di quella atomica, Fermi si rifiutò perché consapevole dei danni provocati da un tale ordigno. Egli partecipò solo alla parte finale del progetto, ovvero due anni più tardi quando seppe che l’Unione Sovietica ne era in possesso; allora, in nome della teoria chiamata L'equilibrio del terrore, secondo cui se più Paesi hanno una bomba, non si colpiranno mai, Fermi collaborò al programma.
Il nome di Enrico Fermi viene quasi sempre collegato alla bomba atomica, ma ci sono sue ricerche che hanno prodotto vantaggi concreti. La radiomedicina, ad esempio, ottenuta dalla produzione di varianti radioattive di tutti gli atomi conosciuti. Parliamo di studi sul metabolismo, che hanno contribuito alla scoperta di numerose malattie dell’organismo umano. Poi la Pila di Chicago, che era il primo reattore funzionante, in grado di produrre energia nucleare controllata. Senza la Statistica di Fermi, poi, nessuno avrebbe capito come funziona un semiconduttore, anche se lui non ha scoperto proprio il semiconduttore, bensì la teoria interpretativa del comportamento di un semiconduttore.
Un altro scienziato di grande rilievo è il marchese Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 – Roma, 20 luglio 1937) conosciuto per aver sviluppato un sistema di telegrafia senza fili via onde radio che ottenne una notevole diffusione: evoluzioni di tale sistema portarono allo sviluppo dei moderni metodi di telecomunicazione come la televisione, la radio, il telefono cellulare, i telecomandi, e in generale tutti i sistemi che utilizzano le comunicazioni senza fili.
Egli effettuò la prima trasmissione senza fili sul mare da Ballycastle (Irlanda del nord) all'isola di Rathlin nel 1898. Stabilì un ponte radio tra la residenza estiva della regina Vittoria e lo yacht reale sul quale c'era il principe di Galles, il futuro Edoardo VII convalescente per una brutta ferita al ginocchio. Nel dicembre dello stesso anno, da un battello attrezzato con radio parte una richiesta di soccorso: è il primo caso di richiesta di salvataggio. Il 29 maggio i segnali attraversano il canale della Manica superando la distanza di 51 chilometri.
Marconi installò un analogo trasmettitore a scintilla nel Centro Radio di Coltano, presso Pisa, nel 1903, che fu utilizzato fino alla seconda guerra mondiale prima per comunicare con le colonie d'Africa, quindi con le navi in navigazione, ed in seguito ampliata e potenziata tanto diventare una delle più potenti stazioni radio d'Europa.
Marconi non ottenne comunicazioni transoceaniche completamente attendibili fino al 1907.
Nel 1909 Guglielmo Marconi condivise con il fisico tedesco Karl Ferdinand Braun il premio Nobel per la fisica.
Nell'autunno 1911 Marconi visitò le colonie italiane in Africa per sperimentare i collegamenti a lunga distanza con la stazione di Coltano; in particolare fu a Tripoli da poco occupata dalle truppe italiane dove effettuò in collaborazione con Luigi Sacco, comandante della locale stazione radio, alcuni esperimenti di collegamento radio con Coltano, che diedero impulso all'allestimento da parte dell'arma del Genio del primo servizio di radiotelegrafia militare su larga scala.
Il 30 dicembre 1914 fu nominato senatore a vita del Regno d'Italia, mentre nel giugno 1915 si arruolò volontario nell'Esercito italiano col grado di tenente di complemento del Genio dirigibilisti, per poi diventare ufficiale di vascello di complemento nel 1916, benché prestasse servizio nell'Istituto Radiotelegrafico della Marina.
Nel 1920 lo stabilimento di Marconi di Chelmsford fu sede della prima trasmissione audio annunciata pubblicamente del Regno Unito; una delle annunciatrici fu Nellie Melba. Nel 1922 il primo servizio regolare di trasmissioni di intrattenimento cominciò dal Marconi Research Centre a Writtle, vicino Chelmsford.
Fu nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1927 e della Regia Accademia d'Italia (l'attuale Accademia Nazionale dei Lincei) il 19 settembre 1930, diventando automaticamente membro del Gran Consiglio Fascista, pur partecipando ad una sola seduta.
La figura di Marconi fu utilizzata dalla propaganda del regime fascista come esempio di patriottismo e genialità italica. Benito Mussolini, in discorso al Senato del 9 dicembre 1937, affermò: "Nessuna meraviglia che Marconi abbracciasse, sin dalla vigilia, la dottrina delle Camicie Nere, orgogliose di averlo nei loro ranghi". Lo stesso Marconi non nascose le sue simpatie per il regime, affermando: "Rivendico l'onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l'utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d'Italia".
Dal 1933 alla morte fu presidente dell'Istituto Treccani. Nel 1934 fu nominato primo presidente del CIRM che era nato su iniziativa sua e del suo medico, il dottor Guido Guida.
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