che, per motivi geografici,
non ho potuto
vivere più intensamente come
avrei voluto.
Questo studio è il mio piccolo
dono a te
per il tuo onomastico, a te
che
ricordo con nostalgia
struggente
Massimo
Trasumanar
significar per verba
non
si porìa. (Dante)
«Fratelli carissimi, questo che noi vediamo dipinto dal nostro grande
concittadino, il devoto Tiziano, è uno dei grandi miracoli del Signore. Con
l’assunzione in cielo della sua santa madre noi miriamo qui gli Apostoli,
uomini grandi, semplici, potenti, scelti da Gesù fra i pescatori. Ed ecco, voi
li vedete appena si è mosso il turbine meraviglioso, che sono tutti in piedi,
con le braccia levate al cielo e par che gridino: “Oh, Maria, madre nostra,
perché ci lasci?” E mentre la Vergine sale in cielo a incontrare il figlio
martire, per la redenzione dei nostri peccati, gli Apostoli orfani piangono e
implorano…».
Con queste parole,
racconciate in un italiano più attuale, il 18 marzo 1518, Frate Germano da Casale, padre guardiano e committente dell’opera
per conto dell’ordine dei Francescani, presentava ai veneziani nella Basilica di Santa Maria Gloriosa
dei Frari la pala d’altare dell’Assunta, che Tiziano Vecellio, appena
ventiseienne, aveva dipinto in due anni.
Ed era la prima importante
opera pubblica di Tiziano che, come raccontano le cronache di allora, sconvolse
il pubblico veneziano, abituato ad una pittura più immobile ed imperturbabile.
Anche presso i frati l’opera
suscitò un'accoglienza alquanto imbarazzante. Secondo fonti attendibili, infatti,
alla scopertura della tela avrebbe assistito un emissario dell'imperatore Carlo
V il quale, con spagnolesco sussiego, propose ad un frate che l’avrebbe acquistata
lui, se essi non fossero stati soddisfatti dell'opera. Ma l'acclamazione
popolare, proprio il giorno dell’inaugurazione, costrinse anche i frati più
scettici nei confronti del talento di Tiziano, ad ammettere la sua bravura.
Una delle fondamentali caratteristiche
della pala è il movimento, nuovo per allora, che fece apparire l’Assunta,
illuminata dallo scintillio delle torce, in tutto il suo splendore, tanto che
vi furono esclamazioni del tipo “Magnifico!”, “Gran fatto!”, “Sembra proprio vero!”.
Tiziano aveva squarciato il
velo fra l’umano e il divino.
Di fronte a quest’opera, che
decretò il definitivo successo di Tiziano a Venezia e la sua consacrazione
nell’élite dell’arte, si prova un’impressione insieme di sbigottimento e di meraviglia,
vedendo dal fondo di quelle lunghe navate gotiche, svettare quel capolavoro così
dorato così rosso così ardito in una straordinaria unità fra l'estetica della
raffigurazione tutta rinascimentale dell'Assunta e la profondità teologica del
gotico.
Entrando nella basilica, l’apparizione
è sconvolgente come un’epifania, l’occhio scorre rapido dalle arcate gotiche
fino all’abside, tanto rapido da ignorare i molti altri grandiosi capolavori di cui è
ricca la chiesa.
Che cosa di quell’immensa
tavola di Tiziano, alta quasi sette metri, suscita ancora oggi tanta
impressione?
È difficile razionalizzare
le emozioni.
Il dipinto è un sole
abbagliante e non tanto per le belle vetrate che producono l'effetto luminoso,
quanto per gli effetti abbacinanti della pala, alta, colossale, che domina come
l’epifania di un altro mondo che si squarcia improvvisamente agli occhi
dell’osservatore. Un sole dorato che sfolgora al centro della pala, alle spalle
di Maria, che ricorda la donna vestita di sole del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse;
ma diversamente da lei, incinta ed urlante per le doglie del parto, Tiziano
raffigura Maria mentre, quasi con un delicato passo di danza sopra le nubi,
guarda il Padre che le viene incontro fra gli angeli, coprendola con la sua
ombra, come già aveva fatto nel giorno dell’Annunciazione. E Maria,
verginalmente sensuale, appare piuttosto come la sposa del Cantico dei Cantici che va incontro allo sposo.
Queste emozioni, forti, sono
le stesse che si provano quando, a Roma, nella Pinacoteca Vaticana, ci appare improvvisa ed inaspettata la Trasfigurazione di Cristo, canto del
cigno di Raffaello: in essa il maestro urbinate causa lo stesso stupore di un’epifania
del sacro, imprevista ed impensata, la stessa che il giovane maestro veneto sa
generare. Il rinvio alla straordinaria Trasfigurazione
che Raffaello stava eseguendo in quegli stessi anni, quasi come una sorta di
competizione inconsapevole fra i due, è evidente nella gestualità dei
personaggi come nel clima dell’estasi soprannaturale. Ma al cosmo azzurro e
candido di Raffaello, Tiziano preferisce un paradiso tutto oro e fiamma, una
voragine immensa di luce in cui Maria sta per essere assunta, figura con un
corpo, plastico sotto le vesti ampie mosse dal vento.
Tiziano cominciò a dipingere
la pala nel 1516, in un momento in cui aveva deciso di uscire dal grembo
magnifico e narcotico della venezianità e di provare a misurarsi con quella
dimensione di grandezza di cui Raffaello e Michelangelo avevano già fornito
prova qualche anno prima in Vaticano. Tiziano era un terrazzano, ossia uno di quei pittori provinciali che, come Giorgione da Castelfranco (1478 –
1510) e Cima da Conegliano
(1459/1460 – 1517/1518), erano venuti a Venezia allo scadere del
secolo precedente.
Tiziano veniva da Pieve di Cadore, dove era nato fra il 1488
e il 1490 da famiglia agiata di piccola nobiltà. La sua educazione pittorica
era iniziata a Venezia presso le botteghe prima di Gentile (1429 – 1507) poi di Giovanni Bellini (1433 – 1516),
da cui si era distaccato già intorno al 1506, quando aveva cominciato a
collaborare con Giorgione alla decorazione del Fondaco dei Tedeschi. Con la prematura morte del
giovane maestro nel 1510, Tiziano acquistò una propria autonomia e, nel 1511,
quando Sebastiano del Piombo,
suo compagno presso Giorgione, si trasferì a Roma, Tiziano per sfuggire la
peste andò a Padova, dove era stato chiamato a dipingere alcuni affreschi alla Scuola del Santo presso la francescana Basilica di Sant’Antonio.
Quando nel 1516, dopo la
morte di Giovanni Bellini, Tiziano ricevette la commissione dell’Assunta era appena ventiseienne e sapeva
di trovarsi di fronte all’occasione della sua carriera.
Gli veniva chiesto di lavorare
in un luogo di fondamentale importanza a Venezia, infatti, la Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari
significava il più straordinario complesso religioso della città di Venezia,
dopo la Basilica di San Marco, ed era
uno dei più rilevanti complessi francescani d'Italia: qui Tiziano doveva collaborare,
ma come vedette, a un progetto che, per la sola arditezza dimensionale,
rappresentava una sfida a tutte le precedenti tradizioni nel campo della
decorazione d’altare.
Tiziano aveva già accumulato
un bel po’ di esperienza, ma era ancora tanto giovane per un lavoro simile: la
scelta di un pittore così giovane potrebbe essere stata allora suggerita ai
frati di Venezia dai confratelli di Padova per essersi particolarmente distinto
in quegli anni lavorando alla Scuola
del Santo per la quale aveva realizzato una serie di affreschi. Frate Germano
sapeva che Tiziano tre anni prima, nel 1513, si era impegnato con la Repubblica Serenissima a dipingere un
grande telero, purtroppo perduto, per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo
Ducale e che anche in quel caso l'opera si trovava in una situazione
critica di illuminazione, ma Tiziano ne aveva garantito la perfetta visibilità.
I frati volevano celebrare,
con una maestosità mai tentata prima, il trionfo
di Maria, Regina in Coelum Assumpta. Per realizzare questo intento e per
dotare l’edificio di un nuovo centro visivo di massimo effetto, Frate Germano aveva
stravolto la struttura dell’abside con l’inserimento di una monumentale ancona
marmorea che alloggiasse la pala. Anche se con attenti correttivi, il nuovo linguaggio
cinquecentesco s’impose sulle esili e slanciate strutture gotiche: la cornice
della pala occupa, infatti, lo spazio delle due monofore centrali, chiuse per
tutta la loro altezza, per suggerire al visitatore e a chi partecipava all’Eucaristia
che la nuova fonte di luce sarebbe stata la figura di Maria assunta in cielo.
L’ambiente dell’abside,
traforato di luce e leggero come un merletto veneziano, costituiva una cornice
ideale per inscenare ed accogliere la rappresentazione dell’evento miracoloso dell’assunzione
al cielo di Maria ed era anche un luogo in cui si riflettevano profonde dispute
teologiche e dottrinali.
In quegli anni l'Ordine
francescano era dilaniato da profonde divergenze e da lacerazioni interne che avevano
portato alla costituzione dei due fazioni, quella dei Conventuali, che privilegiavano lo studio e la predicazione nelle
città, e quella degli Osservanti,
che predicavano ideali di povertà assoluta.
Questo travaglio interno dell’Ordine
ebbe il suo epilogo proprio negli anni della realizzazione dell'Assunta: il 29 maggio 1517, con la
promulgazione della bolla apostolica Ite
vos di papa Leone X de’ Medici, l'Ordine
fu, infatti, diviso.
Se da un lato ferveva la
polemica divisione all’interno dell'ordine francescano, da un altro infuriava un’altra
importante disputa, in quel momento particolarmente infiammata, tra Domenicani
e Francescani sul principio dell'Immacolata
Concezione di Maria, cioè della sua nascita senza peccato originale.
Di
fronte a questa vexata quaestio e a
favore dell'assunzione anima e corpo c'era stata la posizione di papa Alessandro III Bandinelli (1159-1181):
il pontefice aveva articolato una delle formulazioni più eleganti a riguardo,
affermando che Maria «concepit sine
pudore, peperit sine dolore et hinc migravit sine corruptione». Alessandro
III aveva spiegato la necessità dell'Assunzione e della successiva
Incoronazione con due argomenti straordinariamente sottili: in Maria la grazia
di Dio era plena, non semiplena e Cristo, origine di tutte le
leggi divine in quanto Verbo,
nell'attribuire tanto onore a Maria altro non aveva fatto altro che obbedire al
comandamento Onora il padre e la madre.
Nonostante il
pronunciamento di Alessandro III, questo tema aveva tuttavia opposto per secoli i Francescani, che la
sostenevano, e i Domenicani, che la mettevano in discussione. Per i Francescani
tale convinzione era intrinsecamente connessa alla sua assunzione in cielo ed
affermavano che Maria vi fosse ascesa con il suo corpo incorrotto, perché per loro
quel corpo non era stato macchiato dal peccato originale.
L’ambiente dell’abside nacque dunque in questo clima denso di dispute
teologiche e di queste risentì profondamente: intorno al 1516, Frate Germano si
rivolse a Lorenzo Bregno (1460 –
1523) affinché, con l’aiuto di suo fratello Giambattista,
edificasse un'ancona monumentale (di 7 metri e 25 centimetri x 12 metri e 50)
che avrebbe dovuto includere una grande pala che raffigurasse l’assunzione in
cielo di Maria.
I Bregno innalzarono due
colonne scanalate, unite da un’elegante trabeazione scolpita su un piedistallo
con fregi dorati. Sull'architrave collocarono tre statue, a grandezza naturale.
Al centro c’è un Cristo risorto, al
quale la madre era accomunata dalla sua ascesa al cielo e, per i francescani,
anche dalla sua nascita verginale. Ai lati della statua di Cristo furono volutamente
poste – era il momento in cui i frati conventuali, cui apparteneva la chiesa,
si stavano separando dagli Osservanti – le statue
di San Francesco e di Sant’Antonio.
I soggetti delle sculture sono
strettamente collegati tra di loro e con i temi della Concezione e
dell'Assunzione. Il Cristo risorto anticipa l'Assunzione di Maria, ma è anche là
in alto, ad attendere in cielo la madre che sarà coronata Regina coeli.
San
Francesco
rappresentava il proprio ordine in quanto fondatore e le piaghe che mostra, anche
se sono ottenute per la sua perfetta imitazione di Cristo, rappresentano anche
l'approvazione divina della sua Regola alla quale i frati minori conventuali
prestavano obbedienza.
Sant’Antonio rappresentava invece
l'esempio di predicatore e di maestro: quella vita pubblica al servizio dei fedeli
e dello studio che svolgevano i Conventuali. La presenza quindi della statua di
Sant’Antonio era un modo per ribadire l'identità conventuale della chiesa ed
era un riconoscimento del modello della virtù conventuale nel santo portoghese.
Sempre nell’ambiente
dell’abside, inoltre, sulle due tombe del presbiterio ci sono altre immagini di
Cristo: a sinistra sulla monumentale Tomba
del doge Niccolò Tron c'è un Cristo risorto,
e a destra sulla tomba del doge Francesco
Foscari, c’è un Cristo in Ascensione.
Queste immagini delle due tombe di un Cristo vittorioso sulla morte sono
evidentemente associabili con il Cristo dell'ancona e il tema dell'Ascensione
di Cristo è a sua volta associabile con il tema dell'Assunzione della Madonna. La
connotazione trionfale di tutto il complesso decorativo era probabilmente subordinato
non solo alla causa francescana di Maria sostenuta in opposizione ai Domenicani,
ma anche a quella dei Conventuali, sotto l'autorità di Sant'Antonio, nei
confronti degli Osservanti.
Entrando in chiesa, quindi l’ambiente
dell’abside con la sua imponente ancona presenta una visione molto scenografica
della pala e ne isola lo sguardo come in un cannocchiale prospettico: gli occhi
di chi entra dovevano essere direttamente condotti a fissarsi a una novantina
di metri dall’ingresso sul dipinto.
La realizzazione della pala
era dunque un incarico estremamente prestigioso, ma anche un’arma a doppio
taglio: Tiziano era consapevole degli svantaggi che poteva comportare
l’esecuzione. L’Assunta, infatti, non
era una pala facile da eseguire, sia per le dimensioni obbligate, 680
centimetri x 360, sia per l’illuminazione, perché questa pala di dimensioni
inusitate era destinata a stare al fondo di un’abside completamente finestrata,
che condizionava la vista per la sua posizione in controluce: la pala sarebbe
stata illuminata solo da dietro, dove ci sono le vetrate dell'abside, e solo
parzialmente dai lati con un'angolatura molto stretta e con una luce radente.
La grandezza della pala non
preoccupava Tiziano che piuttosto era affascinato dalla monumentalità che fu
sempre uno dei suoi principali obiettivi poetici; un supporto tanto grande
certamente non era una novità a Venezia, basti pensare ai teleri di Carpaccio o di Gentile Bellini. Ma questo dipinto inscenava una raffigurazione emozionalmente,
drammaticamente e figurativamente senza precedenti.
Oltre all'esempio di Perugino con la Pala dell’Assunta nel Duomo di
Napoli (inserire immagine) che ricalca schemi classici non del tutto originali
e fra l’altro già proposti dallo stesso Perugino nell’opera dello stesso tema realizzata
poco prima per la basilica della Santissima Annunziata di Firenze.
In laguna c’erano due
precedenti. La pur interessante Assunzione
della Vergine di Lorenzo Lotto del
1506 eseguita per il Duomo di
Asolo con una maestosa quanto ieratica Maria,
raffigurata in età anziana, che in una mandorla di luce è trasportata verso
l'alto da quattro angioletti, un’opera che presenta una sua originalità per
l’espressionismo tipico di Lotto, ma che rimane ancora legata al modello
peruginesco.
Ancora la grande pala con la
Vergine in gloria fra santi, eseguita
fra il 1510 e il 1515 da Giovanni Bellini
nella Chiesa di San Pietro martire a Murano,
ma in essa tutto è fermo, perfino il cavallo rampante sembra una statua. La tavola di Bellini, però, pur presentando alcune
caratteristiche dell'iconografia dell'Assunzione, con la statuaria Maria –
raffigurata in età giovane, che sembra ascendere sullo sfondo di un limpido
paesaggio veneto di colline e castelli – presenta al posto dei tradizionali
apostoli un gruppo di otto santi in estasi, che fanno pensare più a
un'apparizione in gloria di Maria tra qualche cherubino e serafino mimetizzato
tra le nubi, che a un’Assunzione vera e propria.
Questa era la situazione in
Italia e in laguna e questo probabilmente era quello che si sarebbero aspettati
i frati committenti dell'opera. Del resto l'altra commissione pubblica di
rilievo precedente dovuta a Tiziano, il San
Marco in trono del 1511 Basilica di
Santa Maria della Salute, era portatrice sì del nuovo linguaggio
giorgionesco, ma in ogni caso adeguata alla persistente ed autorevole lezione
belliniana e quindi non lasciava presagire bruschi cambiamenti.
Tiziano però era un artista
giovane, vigoroso, ambizioso e soprattutto consapevole delle profonde novità
che giungevano da Roma: se a Venezia non era possibile trovare nulla di
paragonabile. A Roma, Raffaello e Michelangelo sconvolgevano tutta la
tradizione figurativa in nome della pittura monumentale, come già Giorgione
aveva sfaldato quella a lui precedente, sebbene solo su una scala privata. Per
questo, invece di cercare di salvaguardarsi, o rifiutando la commissione o
attenendosi alla tradizione senza brusche infrazioni, Tiziano, accettò
spavaldamente la sfida, e, rispondendo abilmente al teatrale allestimento
dell’abside, riuscì a far imporre la sua pala anche in controluce e a grande
distanza, grazie all’ampio respiro e alla semplicità del disegno, alla vastità
delle forme e all’audacia di colori vivaci e brillanti.
Lo svantaggio della
collocazione in controluce, fu inoltre superata escludendo accortamente il
bianco dalla tavolozza cromatica, accendendola invece di un giallo intenso come
un sole alle spalle della figura della Vergine e insistendo infine, per tutta
l’altezza della tavola, su quel tono squillante di rosso che diventò la sua
prerogativa.
Il dipinto evoca in termini
drammatici e corali l'Assunzione di Maria al cielo, un evento celebrato dalla
chiesa d'Oriente già dal IV secolo.
Nell'Occidente latino però le
prime rappresentazioni dell'Assunzione di
Maria apparvero fra l'VIII e il IX secolo e il loro schema compositivo era
pensato in analogia a quello dell'Ascensione
di Cristo: Maria, a figura intera, appare, infatti, in un tondo o in una mandorla,
mentre gli angeli la conducono in cielo. In Oriente, invece, s’impose la
tipologia della Dormitio Virginis
o Koimesis, in cui Maria è rappresentata sul letto di morte, circondata
dagli Apostoli, mentre Cristo, al centro della scena, stringe tra le braccia
l'anima di sua madre, rappresentata come una bambina in fasce, creando così una
sorta di Madonna col bambino alla rovescia, dove il Figlio grande
stringe a sé la mamma piccola, non viceversa.
Quest’immagine non subì nel
tempo particolari cambiamenti e dall'XI secolo cominciò a diffondersi anche in
Occidente, ma allontanandosi dalla cristallizzazione iconografica tipica della
tradizione bizantina. Essa fu proposta con infinite varianti e con numerosi
nuovi elementi, desunti dai racconti apocrifi e soprattutto dalla Legenda Aurea di Iacopo da Varagine
e dallo Speculum istoriale di Vincenzo di Beauvais. In pratica si assiste
da un lato a una sorta di contaminatio
fra le due tipologie, per cui alla scena della Dormitio, di provenienza bizantina, si sovrappone quella della Assumptio o Ascensio Virginis, di
provenienza latina. Dall’altro lato però le due tradizioni iconografiche si
confrontarono, si fusero e crearono numerosissime rappresentazioni, ciascuna
con i suoi tratti innovativi e con le proprie caratteristiche, sia
iconografiche sia stilistiche.
Nelle opere d'arte, non solo
nell’iconografia dell’Assunta, attraverso la creatività degli artisti e le
indicazioni dei committenti, si attua una straordinaria sintesi dei testi
liturgici e di quelli apocrifi, dei testi patristici e delle riflessioni dei
teologi medievali, senza dimenticare l'agiografia, la narrativa e la
spiritualità popolare che alimentavano nuove forme devozionali e sempre inusitate
espressioni artistiche.
Ora, la fine della vita di
Maria, come l'inizio, non appartiene al Vangelo quindi alle Sacre scritture, ma
alla tradizione ecclesiale, ossia a tutto ciò che la Chiesa custodisce e che
non è stato stabilito dai Concili, ma che sempre è stato osservato. Nella
fattispecie, testi apocrifi d'origine giudaico-cristiana, risalenti al II
secolo e diffusi nella Chiesa entro il V-VI secolo, descrivono l’addormentarsi
definitivo di Maria, la Dormitio
Virginis, introducendo l'evento con
visioni e visite premonitrici da parte di angeli e di Cristo stesso; alcune di
queste scene sono anche rappresentate dagli artisti, sebbene raramente. Al
momento supremo, poi, gli Apostoli tornano dalle terre lontane in cui erano
impegnati nella predicazione e Maria è di nuovo circondata dai seguaci di suo
Figlio.
L'evento fondamentale è
l'assunzione corporea della Vergine, sentimento comune dei cristiani fin dai
primi secoli; un racconto apocrifo, conservato in più versioni medievali, ma di
origine molto antica, descrive come «gli
Apostoli deposero il corpo (di Maria) nella tomba, piangendo e cantando pieni
di amore e di dolcezza. Poi un'improvvisa luce celeste li circondò e caddero a
terra, mentre il corpo santo fu assunto in cielo dagli angeli».
Del resto lo speciale
privilegio concesso alla Vergine di essere assunta in cielo anima e corpo,
avvenne in un trionfo di luce e in un sommo splendore come narrava la Legenda aurea di Jacopo da Varagine e come
San Bonaventura da Bagnoregio, il
mistico francescano del XII secolo, profetizzava che l’assunzione delle anime
sarebbe avvenuta per merito del sole eterno, squisita allegoria di Dio.
Tiziano sfrontatamente
interpreta il tema dell’Assunta in maniera assolutamente nuova. Nell'iconografia
medievale, l'evento visionario era suggerito dal clipeus, il cerchio che simboleggia il cielo; più tardi il cerchio
diventò una raggiera o un fulgore sfavillante che associa Maria con il regno di
luce in cui abita Dio. Fino a quel momento nessun pittore o scultore o
miniaturista o cesellatore si era allontanato dal simbolo della mandorla, allusivo
del seme e quindi chiara metafora di Vita e naturale attributo per Colui che è
Via Verità e Vita, o all’allusione dell’intersezione di due cerchi che
rappresenta la comunicazione fra due mondi, due dimensioni diverse, ovvero il
materiale e lo spirituale, l'umano e il divino. Inserire immagine
Nel dipinto di Tiziano Maria
non è in mandorla ed inoltre è l’epicentro di una composizione drammatica, una
composizione potentemente dinamica in cui tutti i personaggi sembrano accesi da
un impeto che li attira verso quell’epicentro. Tutti, compreso l’Eterno Padre.
Tiziano rese ancora più
verosimile quest’effetto con l’ombra che la nuvola che innalza Maria proietta
sul popolo degli Apostoli, i quali da sotto, in un tumulto di emozioni,
protendono braccia e sguardi verso di lei.
La pala sembrerebbe divisa
in due zone, ma Tiziano la strutturò, utilizzando gli spazi sottoponendo un
quadrato ad un cerchio il cui centro coincide con il volto della Madonna: in questo
modo il rapporto spaziale che si instaura fra queste due zone è assolutamente
nuovo. Inserire immagine.
Soprattutto nuove sono però la
composizione e la gamma cromatica e luminosa. Se lo sfondo dorato con le teste
di cherubini evanescenti rimanda a Raffaello nella Madonna Sistina ora nella Gemäldegalerie
di Dresda e nella Pala di Foligno ora
alla Pinacoteca Vaticana, le tonalità
calde, avvolgenti, che precedono Correggio sono senza precedenti: Tiziano le
calibra in modo magistrale, rendendole atte a conferire una serie di rimandi
che avrebbero travolto e al tempo stesso coinvolto lo spettatore.
Gli occhi dell'osservatore
sono immediatamente attratti da quattro masse di varie gradazioni di rosso che,
dal piano degli Apostoli risale fino a Maria e termina nel mantello dell’Eterno
Padre: le vesti dei due Apostoli in basso e la veste di Maria formano, infatti,
un triangolo con il vertice acuto che punta verso la quarta area rossa, quella
dell’Eterno Padre, verso la quale lo sguardo di Maria e quello dell’osservatore
sono attratti. Quest’espediente eccezionale avrebbe permesso una risonanza
visiva, capace di colpire chiunque fosse presente nell'edificio, dal sacerdote
che officia all'ultimo dei fedeli appoggiato al portale.
L'apparizione dell'Eterno
sostituisce inoltre quella di Cristo, tipica dell'iconografia tradizionale.
Egli appare in scorcio, avvolto in un mantello rosso e affiancato da due angeli
che reggono le corone per Maria. Assecondando l’illuminazione naturale della pala,
la figura dell’Eterno appare in controluce e questo per due motivi:
innanzitutto, Tiziano vuole garantire una fonte di luce autonoma al dipinto e,
in secondo luogo, ciò dona a Dio l'aspetto di una visione soprannaturale dai
contorni vaghi e indistinti.
Al di sotto, una nuvola
popolata da una moltitudine d'angeli, di diversa età e con diverse occupazioni,
fa da appoggio alla figura di Maria, che sale lentamente al cielo con lo
sguardo rivolto verso l'alto, mentre si staglia immensa su un fondo
immenso, tutto oro e luce, la luce di Dio che disse «Sia la luce!», la luce
della creazione.
La Vergine dischiude le
braccia per protendersi verso la figura dell’Eterno Padre che scende sopra di
lei e la preserva da ogni possibilità di posa statica; nell’estasi della gioia,
il volto di Maria, perso nell’atmosfera luminosa, vive di un’estasi d’amore fra
le più belle e le più spirituali della Storia dell’arte.
Tutta la tavola si gioca sul
rapporto Maria-Padre e sulla poetica dei loro sguardi perché, nello spazio
dilatato da scintillii abbaglianti, essi si guardano, si aspettano, si amano,
l’una con lo sguardo nell’altro.
La corona di angeli che li
circonda, incorniciandoli, è un tripudio dinamico di gloria mosso dal vento impetuoso,
ma leggero dello Spirito Santo, quello stesso che aleggiava «sulla terra
informe e deserta» prima che creasse la Luce.
Tiziano
elimina ogni elemento architettonico della scena, costruendo l'immagine solo
con le figure e i passaggi di luci e ombre che creano contrasti che amplificano
il risalto di alcuni personaggi su altri e suggeriscono la profondità spaziale.
Gli apostoli si interrogano, si slanciano e pregano, compiono tutti azioni
diverse così come fanno gli angeli.
In quest’opera l’unità fra
estetica e profondità teologica è straordinaria: Maria appare come figlia, sposa e madre di Dio e, come la
definì Dante, termine fisso d’Eterno
consiglio. Ma assolutamente nuovo è lo spirito di sensualità morbida e
insieme maestosa che lo allontana dalla ieraticità medievale; sembra infatti
che Tiziano attinga al più profano e sensuale dei libri sacri, il Cantico dei cantici quando nell’esordio
la sposa dice: «Mi baci con i baci della
sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. Per la fragranza sono
inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette
ti amano. Attirami dietro a te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A
ragione ti amano!». E che Lui le dica: «Veni,
coronaberis», come è scritto nella cattedrale della mia città.
Maria veste i colori
dell'iconografia classica. Il rosso della veste indica la sua completa umanità
ed è il simbolo dell’amore. Il manto azzurro, classico nelle raffigurazioni
mariane è il colore dell'infinito, della spiritualità, di ciò che va oltre
l'umano, indica la divinità. Un velo trasparente sul petto, è infine un altro
simbolo della sua immacolata concezione.
Ancora una volta il rosso
della veste di Maria fa squillare il colore che attrae l'occhio dello
spettatore, soprattutto nel punto centrale, tra la testa di Maria e l’Eterno Padre,
dove s’incentra quell'abbagliante sfera di luce che circonda l'andamento
curvilineo della centina superiore e dove si raccorda con gli angeli che fanno
da cuscino a Maria. Questi anticipano lo spirito della Sala dei Baccanali nei Camerini
d'alabastro di Alfonso I d'Este a Ferrara, e sono una delle note
più autenticamente classiche di tutto il Rinascimento.
Tutta la cornice di angeli è
un'efficace rappresentazione dei cerchi del Paradiso, immaginati come delle
ruote di serafini via via sempre più luminose, fino a dissolversi nel chiarissimo
spazio centrale.
Per dare il massimo risalto
ai personaggi, Tiziano evidenzia il contrasto chiaroscurale tra primo piano e
sfondo, scurendo i toni della Vergine e dell’Eterno Padre. La Vergine, con un’audace
torsione, atta a conferire un moto vorticoso che si riflette nei panneggi mossi
dal vento e dalla disposizione degli angeli, non ha ancora completato la sua
ascesa all'Empireo e per questo il suo volto non è ancora completamente
illuminato dalla luce divina: l'ombra, infatti, richiama il mondo terreno, cui
la Vergine rimane ancora legata finché non completerà del tutto l’ascesa.
L'alternarsi di luci e di
ombre sulle figure, come la zona d'ombra creata dall'apparizione divina sul
gruppo di angeli a destra, crea una diversificazione spaziale e atmosferica tra
i soggetti, all'insegna di una rappresentazione più sciolta e naturale, tipica
della maniera moderna. Inserire immagine
Al trionfo celeste, corrisponde
in basso il dinamismo accentuato nella folla gesticolante degli Apostoli che
osservano la scena caratterizzata da un naturalismo risoluto. La scena, assai dinamica, è realizzata con la tecnica dello scorcio dal
basso verso l'alto. La narrazione si sviluppa su tre piani sovrapposti; in
basso vengono rappresentati gli apostoli, al centro la Vergine che ascende al
cielo su una coltre di nuvole e racchiusa in semicerchio dagli angeli, in alto
nel cielo d'orato plana l'immagine di Dio.
Tiziano ha genialmente distinto
la luce soprannaturale dalla luce mondana: ma il distacco fra le due parti
della pala è solo apparente ed è risolto ed espresso nell'accordo dei tre rossi
delle vesti, quello della veste di Maria e quello dei due discepoli in primo
piano, Giovanni e Giacomo, che creano una sorta di triangolo cromatico.
Sullo sfondo crepuscolare di
un cielo azzurro ceruleo, tutto terreno, c’è il gruppo degli Apostoli che
assistono meravigliati all'evento miracoloso, tutti protesi verso l'alto in
vari atteggiamenti. Seduto in ombra al centro c’è Pietro che, colto dall’evento
miracoloso, s’inginocchia, ma resta con le mani e la testa rivolta verso
l’alto; alla sua destra c’è Giovanni, che solleva il gomito, per mettersi
teatralmente la mano sinistra al petto in segno di sorpresa, fermo in
contemplazione. Vicino a Giovanni si trova un apostolo vestito di bianco e
verde, probabilmente Andrea, piegato e con lo sguardo attento verso
l'apparizione celeste; spicca di spalle l'apostolo vestito di rosso,
forse Giacomo maggiore, proteso verso il cielo, mentre, alle spalle di Pietro,
Paolo rassicura il sempre diffidente Tommaso e gli indica Maria.
In tutto ci sono undici
personaggi, tutti in una contemplazione di meraviglia e di stupore, ma ciascuno
colto in una posizione diversa: chi indica il cielo, chi tace e osserva, chi
prega e crede, chi esulta, chi grida, in una confusione di gesti di agitazione
e di turbamento.
Nella rappresentazione degli
Apostoli sembra che Tiziano riprenda i diversi atteggiamenti dell’uomo, le sue
differenti prese di posizione di fronte al mistero e all’inconcepibile, e che l’artista
racconti come l’uomo si ponga variamente di fronte alla fede. Senza questi gesti
di stupore degli Apostoli che indicano Maria che sale al cielo, non si
avvertirebbe tutta l'immediatezza dell'evento, rappresentato come se si stesse
svolgendo hic et nunc. Ma non è questa
l’unica manifestazione di realismo della pala: Tiziano, rifacendosi alla
tradizione evangelica che parla di pescatori di umile origine, per ritrarre gli
Apostoli si ispirò ai battellieri della Laguna. Nacquero così figure imponenti
e vigorose, ma anche naturali, costruite a grandi campiture di colore violento,
aggressivo, per accentuare la drammatica forza della visione.
L'uso dell'illuminazione,
ora diretta, ora soffusa e in ombra, realizza contrasti che amplificano il rilievo
di alcuni personaggi su altri e suggeriscono la profondità spaziale. In questo
modo la zona d'ombra al centro fa pensare a una posizione più arretrata degli Apostoli,
disposti non in perfetta verticale con la Vergine in ascensione, ma con la fila
leggermente avanzata così che la seconda recepisca l'ombra sotto la nuvola. Si
instaura così un rapporto fisico, tanto che l'apostolo di spalle sembra quasi
toccare la nube.
Tiziano, con le sue
pennellate calde e larghe, rende vitali le vibrazioni della luce facendole riverberare
sui corpi, sui volti, passando come in una sinfonia di toni da quelli più
accesi a quelli più tenui: quelle stesse infinite variazioni dell’oro intorno
all’Eterno sono da sole un capolavoro di finezza pittorica e di raffinatezza
spirituale. Come in un’icona bizantina, Tiziano fa sentire all’osservatore
l’infinità senza limiti del paradiso, dove la luce intona un Gloria, grazie al
colore così intenso steso dalla mano felice del pittore.
Nell'opera di Tiziano quindi
il complesso progetto iconografico ideato da Frate Germano si manifesta in una
dirompente emozionalità: sicuramente guidato dai dotti teologi francescani del
convento dei Frari, Tiziano è riuscito ad esprimere una tale profondità di
contenuto, in cui la dimensione fisica e quella mistica appaiono inscindibilmente
legate e allo stesso tempo così distinte attraverso la luce, ma altrettanto
sicuramente essa lasciava ben poco spazio alla dimensione spirituale per
stravolgere e anzi per meglio avvolgere i sensi dello spettatore perché è propria
di Tiziano e del Rinascimento maturo, la capacità di dar forma e colore al
mistero dell’amore fra Dio e l’umanità e fra l’umanità e Dio: per questo la
tavola diventa un inno glorioso, un trionfo dell’amore come luce ed energia.
Ma questo era troppo per i
committenti dell'epoca che si convinsero della validità dell'opera solo dopo
l'offerta di acquisto, previa cifra astronomica dell'ambasciatore austriaco.
L'opera segna la definitiva
consacrazione di Tiziano e s’impone per l'originale interpretazione di questo
tema che il giovane maestro cadorino svolse, ponendo l'accento soprattutto
sulla concitazione emotiva che attraversa le figure della scena sacra. Prima
l'Assunta era rappresentata come la ritrae Perugino nella pala di Napoli: una
rappresentazione astratta e priva di drammaticità, Tiziano fu il primo a
immaginare la scena come un'esplosione di colore, sentimento e dinamismo, dove
figure titaniche si muovono energicamente lungo diagonali insolite,
catalizzando l'attenzione dello spettatore inesorabilmente verso la testa di
Maria e la sfolgorante luce che le sta dietro, non una semplice nube, ma una
materializzazione di cherubini.
Tutto è stupore e movimento,
macchie di rosso intenso accendono la pala come nessuno aveva mai fatto. Il
gesto di sollevare le braccia appare come naturale, ma anche titanico, alla
Michelangelo, con il vento che gonfia la veste di Maria e pare sospingerla
verso l'alto, insomma è una vera e propria epopea religiosa, che non mancò di meravigliare,
ma anche di sconcertare i contemporanei, tanto che all'inizio fu criticata come
troppo espressiva e ci volle qualche anno per digerire un tale balzo in avanti.
Questa tavola ebbe un
effetto travolgente e stravolgente su tutta la pittura veneziana: per
rendersene conto basta guardare, in una cappella sulla destra della stessa
chiesa, il meraviglioso trittico di Giovanni Bellini del 1488 così commosso, ma nello stesso tempo così
controllato.
La calotta d’oro che nel
Trittico di Bellini si alza dietro il trono della Vergine, è come se fosse esplosa
nel cielo di Tiziano. Quell’oro di ascendenza bizantina resta, ma con un
diverso e incredibile esito: la pala di Tiziano è l’esperienza di una nuova
dimensione di libertà, è un balzo in avanti, non un atto di rivolta.
Anche a Venezia la sintesi
rinascimentale è avvenuta del tutto.
Da quel momento l'arte non
fu più la stessa: con questo capolavoro Tiziano aveva insegnato a tutti ad
osare, senza che questo comportasse la delegittimazione del passato, tant’è
vero che il cielo d’oro alle spalle dell’Assunta è una rivisitazione dell’oro
dei mosaici nelle absidi di San Marco.
Massimo Capuozzo