Dammartin aveva quindi un curriculum di tutto riguardo quando il 10 febbraio 1383 Filippo l'Ardito lo nominò maestro generale delle opere murarie di Borgogna: produsse quindi per lui i lavori di costruzione della Certosa di Champmol nel frattempo diresse la costruzione della potente fortezza della Ècluse nelle Fiandre, di cui non rimane che la memoria storica, poi nel 1387 lavorò con il suo collaboratore Jacques de Neuilly al Portale della Sainte-Chapelle di Digione che durante la Rivoluzione fu saccheggiata e distrutta con il chiostro annesso per costruirvi un teatro.
3. Il Portale della Certosa.
Sulla
facciata principale della chiesa Claus
Sluter scolpì, sulle tracce di Jean de Marville, un grande portale con
statue raffiguranti Filippo l’Ardito e sua moglie Margherita di Fiandre
inginocchiati ai piedi della Vergine e entrambi presentati da due santi
intercessori, San Giovanni Battista e Santa Caterina d’Alessandria. (fig. 1)
Questo
magnifico insieme, la cui inventiva rompe con l'impianto più tradizionale del portale trecentesco
francese si conserva ancora oggi.
Come Jean de Marville, Claus Sluter e suo
nipote Claus de Werve che si erano susseguiti nella direzione dell’officina di
scultura di Champmol, molti altri scultori del nord erano giunti ad esercitare
il loro talento a Digione, a volte dopo un soggiorno a Parigi. Le loro
eccezionali opere non mancarono di ispirare committenti e scultori locali –
alcuni di questi ultimi formati a Champmol – creando intorno alla Certosa una
vera e propria dinamica nel campo della scultura.
Questo superbo
portale è legato a tre artisti: “Drouet de Dammartin” e “Jean de Marville”, che
avevano ideato, come ho già detto, un portale che si ispirava a quello parigino
dei Celestini, e ultimo “Claus Sluter” che in parte modificò il progetto
iniziale.
Gli storici
attribuiscono il progetto originario del portale all'architetto Drouet de Dammartin e allo scultore Jean de Marville che disegnarono insieme
il portale nel 1388.
Jean de
Marville vi incominciò a lavorare nel 1388, ma della sua opera
rimangono soltanto le due consolle interne poste nelle pareti laterali che richiamano
lo stile che gli artisti di Carlo V avevano creato a Parigi.
Claus Sluter non
arbitrariamente, ma solo per esplicito desiderio del Duca, ampliò il progetto originario
del portale e la sua realizzazione: secondo alcuni avrebbe realizzato lui tutte
e cinque le statue entro il 1393. Non tutti gli studiosi sono tuttavia d’accordo
con questa ipotesi infatti alcuni storici dell'Arte sono fermamente convinti
che la “Vergine col Bambino” sia
opera di Jean de Marville, che lavorò al portale fino alla sua morte nel 1389.
Di certo si sa
solo che il portale sia stato ampliato rispetto al progetto iniziale su
richiesta del Duca, forse quando Sluter successe a de Merville alla guida della
bottega che aggiunse le figure dei duchi e dei santi intercessori che sono
certamente di sua mano.
Il portale della
cappella sviluppa un'iconografia frequente nei portali parigini durante il
regno di Carlo V: i donatori inginocchiati sono presentati alla Vergine da un
santo intercessore, a sinistra il duca Filippo in ginocchio ha alle sue spalle
San Giovanni Battista, a destra, la duchessa Margherita anche lei in ginocchio
ha alle sue spalle Santa Caterina d’Alessandria, al centro c’è la Vergine che
sorregge il Bambino Gesù, rappresentata sul trumeau che occupa lo spazio tra
due aperture. (fig 2 e 3)
Le cinque statue sono a tutto tondo e la “Vergine col Bambino” attira l'attenzione dell’osservatore soprattutto per la sua torsione dinamica e per le complesse pieghe del panneggio della sua veste. (fig.4)
Il modo con cui i loro
volumi si stagliano dalla facciata, la convergenza degli sguardi verso Gesù Bambino
tra le braccia della madre, il movimento delle mani e le pieghe dei drappeggi
creano una tensione e un'unità che conferiscono al portale uno spiccato senso
drammatico.
Su ogni lato la Sacra conversazione della Madonna col
Bambino è affiancata dai donatori, Filippo l’Ardito e sua moglie Margherita
delle Fiandre in preghiera e con i loro santi patroni.
L'insieme crea una
prospettiva pulita, finalmente liberata dal verticalismo ancora gotico della
porta.
Le mensole
aggettanti su cui si appoggiano le figure laterali sono decorate con figure di
dottori della Chiesa.
Le statue dei
committenti a grandezza naturale sono molto probabilmente autentici ritratti, poiché
mostrano realisticamente i difetti fisici del Duca e della Duchessa come il
famoso doppio mento di Margherita di Fiandre e il naso molto pronunciato di
Filippo.
Il capolavoro di Claus Sluter è sicuramente il Pozzo di Mosè del 1395 collocato al centro del chiostro grande della Certosa e caratterizzato da un design nuovo e del tutto audace: le possenti figure, i sei profeti e i sei angeli, sono caratterizzate da un nuovo grandioso realismo e da una notevole caratterizzazione psicologica.
Il pozzo originariamente era la base di un “Calvario” [3] cioè di un monumento che comprendeva una croce e altri due o più gementi ai piedi della croce.
Per questa enorme opera d’arte Filippo l’Ardito incaricò Claus Sluter e successivamente il nipote di Sluter, Claus de Werve per la scultura, e Jean Malouel per la decorazione policroma.
Quest’opera grandiosa aveva un’altezza complessiva di tredici metri, ma alla fine del Settecento andò parzialmente distrutta in seguito al crollo dell’edicola che aveva la funzione di proteggere l’opera dalle intemperie. Per questo motivo di quest’opera oggi rimane oggi solo la parte inferiore, il cosiddetto Pozzo di Mosè, costituito da una vasca esagonale sormontata da sei bellissime statue di profeti dell'Antico Testamento cariche di realismo e di espressività. Solo pochi frammenti del sovrastante Calvario furono invece ritrovati nel 1842, durante la pulitura del pozzo e oggi sono conservati nel “Museo Archeologico” di Digione. Si tratta di un “busto di Cristo”, la cui attribuzione a Sluter è stata però messa in discussione da qualche storica, le “gambe di Cristo”, mozzate alle ginocchia, nonché delle “braccia incrociate” di Maria Maddalena o della Vergine. Cristo, rappresentato con gli occhi chiusi, la bocca semiaperta e le guance infossate è molto realistico.
Attualmente il Pozzo di Mosè si trova nel parco dell’Ospedale di salute mentale di Digione protetto da una struttura architettonica.
I lavori di costruzione di questo capolavoro incominciarono nel 1383, si intensificarono tra il 1396 il 1405 e terminarono ad opera di Claus de Werve nel 1410, dopo la morte del Duca e dello stesso Sluter. Quest’opera, anche così com’è, non ha mai smesso di stupire i suoi visitatori, con il suo realismo e la bellezza delle sue decorazioni al punto che gli studiosi lo considerano non tanto un capolavoro della scultura gotica internazionale, quanto piuttosto un felice precedente dell'Arte rinascimentale in area nordica nonché una grande fonte di ispirazione per molti artisti della sua epoca o perfino di artisti contemporanei. Alla fine del Settecento, già prima del 1789 l’edicola che proteggeva l’opera crollò e trascinò con sé la croce e le sue statue, che poi scomparvero quando, durante la Rivoluzione, la Certosa fu venduta come proprietà nazionale.
La Borgogna francese patì con la Rivoluzione francese quello che le sue province fiamminghe patirono con il Beeldenstorm del 1566.
Precedentemente quest’opera era conosciuta semplicemente come il Grande calvario, dopo la scomparsa della parte superiore fu chiamato il Pozzo dei Profeti, infine il Pozzo di Mosè. Anche questo Calvario, segnato da numerosi simboli certosini, mostra il legame tipologico cioè le connessioni strette tra Antico e Nuovo Testamento [4] e inoltre, una serie di indizi ne fanno un'opera di propaganda a favore del duca di Borgogna.
Il Pozzo di Mosè era in effetti il piedistallo del “Calvario”, che era collocato su una struttura esagonale che eleva l'attuale monumento ad un'altezza di circa sette metri dal suolo. Il palo della croce era conficcato nella vasca d'acqua, profonda quattro metri, che era alimentata direttamente dalla falda freatica. Ciascuna delle facce di questa vasca presentava lo stemma di Filippo II di Borgogna, dipinto al centro di un sole radioso, ma di essi solo due sono oggi ancora visibili.
La parte superiore del piedistallo su cui poggiano i profeti, è separata da un gocciolatoio e sormontata da un cornicione ricoperto di roccia piena rappresentante il Golgota. Questa parte è costituita da diciassette blocchi di pietra, che formano otto strati orizzontali incastrati l'uno nell'altro ed è decorata con le sei statue di profeti dell'Antico Testamento.
Ogni statua è collocata in una nicchia poco profonda decorata con archi trilobati.
Le statue sono separate l'una dall'altra da una colonnina con capitello decorato a fogliame e su ciascuna delle quali poggia un angelo. I sei angeli hanno il compito di collegare i profeti e il Calvario e di aiutare lo spettatore, al quale essi si rivolgono, a comprendere il momento supremo della Passione di Cristo. (fig. 4)
Le statue dei profeti sono a tutto tondo, alte circa due metri ciascuna,
poste su una mensola anch’essa decorata con foglie diverse. Un'iscrizione sotto
ogni mensola designa il nome del profeta. Tutti i profeti recano un filatterio
contenente un estratto dei loro scritti in lettere gotiche latine, ma non
ebraiche come di solito sono scritti i filatteri, che annunciano la passione di
Cristo.
Mosé è raffigurato con due corna sulla fronte e una lunga barba
che arriva fino al petto. Nella destra tiene le tavole della Legge e nella
sinistra il testo: "Immolabit agnum multitudo filiorum Israhel ad
vesperam". Indossa una tunica rossa tenuta da una cintura con fibbia e
un mantello d'oro foderato di azzurro.
Il Re David, che indossa una corona di gigli, tiene un'arpa nella mano
destra, in parte coperta dal suo mantello. Sul rotolo nella sua sinistra è
scritto il salmo: “Foderunt manus meas et pedes meos, numerarunt ossa”.
La statua è decorata con un mantello di panno dorato foderato di ermellino e
una tunica blu tagliata a lunghe strisce. L'azzurro del mantello è tempestato
di soli radiosi: simbolo del re Carlo VI e di Filippo l'Ardito e questo ricorda
la vicinanza tra il Duca e i Re di Francia, di cui il Duca era figlio, fratello
e zio, nonché reggente.
Geremia ha un libro dal quale scende cade un filatterio con queste parole: "O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus" tratto dalle “Lamentazioni”. La statua una volta indossava occhiali e un mantello d'oro foderato di verde e una tunica viola. È l'unico profeta ad indossare questi colori e non il blu come gli altri. Il viola è il colore della carità e della penitenza ed è anche un colore molto vicino ai velluti cremisi spesso indossati dal Duca sui suoi abiti. Probabilmente Sluter attribuì a Geremia proprio le sembianze di Filippo di Borgogna: si nota infatti una somiglianza tra il volto di Geremia e quello della statua del duca nel portale della chiesa della Certosa scolpita sempre da Sluter, ma anche con altri noti ritratti di Filippo. Come il Duca, la statua di Geremia è raffigurata priva di barba, insolito nelle raffigurazioni medievali di un profeta dell'Antico Testamento e anche il Duca portava gli occhiali, proprio come la statua in origine. Inoltre, questa rappresentazione potrebbe essere spiegata dal fatto che Geremia era considerato il profeta più importante per i certosini, con i quali essi si identificavano frequentemente.[3]
“Zaccaria” apre le braccia con in mano una penna e nell'altra un calamaio e sul suo filatterio sembra aver scritto: “Appenderunt mercedem meam triginta argenteos”. Indossa un berretto che scende fino agli occhi, una tunica rossa e un mantello azzurro, ricamato con grandi foglie dorate.
Il profeta Daniele è rivolto verso Isaia al quale sembra stia parlando.
Indossa un cappuccio blu, una cappa d'oro ricamata e foderata di azzurro. Le
sue calze sono marroni ricoperte da un sandalo con cinturini e suole dorate. Il
suo filatterio recita: “Post hebdomadas sexaginta duas occidetur Christus”.
“Isaia” è leggermente proteso
verso Daniele, a capo scoperto, un libro sotto il braccio: la sua sopravveste
di stoffa d'oro era intessuta di rosso e di blu. Sotto il libro porta alla
cintura una borsa decorata con sei nappe, da cui fuoriesce un pezzo di
pergamena: “Sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram
tondente se obmutescet et non aperiet os suum”.
La forma complessiva del Calvario rimane ancora oggi controversa: le
ipotesi avanzate inizialmente consideravano tre statue ai piedi della croce
cioè quelle della Vergine, di San Giovanni e di Santa Maria Maddalena. Secondo
la professoressa Nash invece vi era collocata solo la statua di Maria
Maddalena, inginocchiata e di fronte a Cristo, le cui braccia incrociate sono i
resti sull’attico del pozzo poco spazioso per potervi inserire diverse statue.
La disposizione di una semplice statua ai piedi della croce è frequente nei
Calvari di questo periodo: un'identica scena della crocifissione si trova in
una tavola del citatissimo Polittico Orsini di Simone Martini,
che si trovava in Borgogna dalla fine del Trecento.
Inoltre, sono avanzate anche nuove ipotesi sulla disposizione complessiva della croce. Tale croce avrebbe potuto raggiungere l'altezza complessiva di sei metri, quindi l'altezza complessiva del monumento doveva essere di circa tredici metri. Nel disegno del Calvario, la policromia è importante quasi quanto la scultura stessa. Jan Malouel, originario come Sluter dei Paesi Bassi del Nord dovette lavorare in stretta collaborazione con lo scultore.
Tra i pigmenti usati da Malouel vi sono il carbonato di piombo, il tetrossido di piombo, il solfuro di mercurio, l’ossido di piombo, il carbonato di rame, l’ossido di ferro che essi ovviamente chiamavano in modo diverso e inoltre foglie d'oro e di stagno. I pigmenti azzurri, sebbene la maggioranza nelle vesti dei profeti particolarmente costosi rilevano la presenza di azzurrite o blu oltremare, è a base di lapislazzuli. I colori delle vesti dei profeti sono scanditi secondo la scultura dei drappi: i drappi più panneggiati, ricchi e dinamici hanno una colorazione più sobria (Mosè, Geremia e Daniele), mentre i drappi più semplici e statici hanno una policromia più ricca (David, Zaccaria, Isaia).
[3] NOTA ICONOGRAFICA – Un “Calvario” è un monumento pubblico che raffigura un Crocifisso, talvolta racchiuso in un’edicola all'aperto. I calvari sono molto diffusi principalmente nelle regioni nord-occidentali della Francia, in Bretagna e in Belgio, ma sono abbastanza comuni anche in Italia e in Spagna, le cui strade presentano ai loro lati questo tipo di monumenti, solitamente protetti da una tettoia. I “calvaire” bretoni sono tra i più noti per la loro complessità e per la presenza di altre sculture che circondano la “Crocifissione” stessa, che in genere rappresentano la Vergine Maria e gli apostoli, ma a volte anche santi e altre figure dell'iconografia cristiana si distinguono da quelli più semplici, composti dal solo crocifisso. Nel nord della Francia e in Belgio, i calvari erano eretti negli incroci delle strade e dei sentieri. Oltre a essere oggetti di culto, servivano anche come punti di riferimento dei viaggi. Fin dal Medioevo essi erano serviti per marcare il paesaggio, in altri termini rappresentavano l'acquisizione simbolica di quel territorio da parte della comunità cristiana, come, nelle epoche precedenti, i monumenti megalitici contrassegnavano i paesaggi della preistoria, secondo i dettami religiosi e ideologici delle comunità del tempo. I calvari erano generalmente collocati nei giardini vicino ad una chiesa o un monastero e solitamente tendono a imitare la topografia del Golgota, quindi erano posti su una rilievo proprio a simboleggiare la collina del Monte Calvario.
[4] NOTA LESSICALE – Il termine “tipologia” nella cultura cristiana indica l'interpretazione di racconti e di leggi cerimoniali dell'Antico Testamento della come “prototipi” o anche come “allegorie” di eventi futuri che sarebbero avvenuti e raccontati nel Nuovo Testamento.