Niccolò
Machiavelli – Acuto testimone della storia del suo tempo e uno dei maggiori
prosatori italiani, è il teorico di una politica rigorosamente razionale, come
unica risposta possibile all'egoismo degli uomini.
Machiavelli
nacque a Firenze nel 1469 quando la città di
Lorenzo de' Medici era all'apice della potenza e del prestigio culturale, da una famiglia di
nobili origini – i Machiavelli erano stati signori di Montespertoli
trasferitisi a Firenze, sottomettendosi alla sua legge e dividendone le glorie
– famiglia guelfa che diede alla città di Firenze ben tredici Gonfalonieri di
giustizia e una cinquantina di Priori; la stirpe della madre originaria di
Fucecchio era altresì di antica nobiltà e la famiglia diede a Firenze un
Gonfaloniere e cinque priori.
La
madre rimasta vedova con Niccolò in giovane età, si risposò con Francesco di
Nello che era giureconsulto e tesoriere della Marca. Machiavelli ricevette
un'educazione di tipo umanistico, inizialmente dalla madre che era anche
poetessa.
La formazione di
Machiavelli, come quella di tutti i giovani di buona famiglia del suo tempo, fu
di tipo umanistico: studiò il latino e lesse i classici. Fin da allora, però,
il suo interesse non era di natura estetico-letteraria, ma contenutistico; i
classici lo interessavano non per il loro pregio artistico, ma nella misura in
cui trovava riflessi nelle loro opere i propri sentimenti e le proprie
emozioni, e gli offrivano esperienze utili per la vita pratica. Questo spiega
la sua predilezione per gli storici.
Nel
1494 fu allievo di Marcello Virgilio Adriani; la sua educazione fu
caratterizzata dalla presenza del latino, ma non del greco antico. Va poi
considerato che lesse opere come il De
rerum natura di Lucrezio, allora quasi clandestine.
Interessato
alla politica già nella giovinezza, approfittò della costituzione della
Repubblica di Firenze per cercare di partecipare alla vita politica della sua
città.
Nel
1498, dopo la cacciata dei Medici da Firenze e dopo il rogo di Savonarola, Niccolò Machiavelli fu eletto
segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina, assumendo
importanti funzioni, tra cui quella di viaggiare all'estero per informare la città
sui principali provvedimenti presi dai più importanti governi europei.
L'entrare direttamente a contatto con le varie forme di governo, assieme alla
sua passione per i classici, contribuirono alla formazione del suo pensiero.
Nel
1499 Machiavelli scrisse il Discorso
fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa.
Dal 1500 al 1511 fu
incaricato di svolgere diverse missioni diplomatiche per conto della Repubblica
e del Papato. Negli anni
passati al servizio della Repubblica partecipò a parecchie ambascerie: fra
queste se ne ricordano due presso Cesare Borgia, due alla Corte papale, quattro
presso Luigi XII re di Francia, una presso l’imperatore Massimiliano. Erano
contatti che gli davano modo di osservare il comportamento, le astuzie, le
abilità di molti uomini politici e di acquisire quell’esperienza diretta della
politica che gli sarebbe stata preziosa poi nella composizione delle sue opere
di teoria politica.
Nel
1503, Machiavelli scrisse la Descrizione
del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli,
Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, una breve opera storica in
cui sono ripercorse le vicende di Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Paolo e Francesco
Orsini, quarto duca
di Gravina, che avevano partecipato ad una congiura
contro Cesare Borgia, la cosiddetta congiura della Magione, nell’ottobre del 1502, e credendo di rappacificarsi con lui furono da questi
catturati e uccisi mentre si trovavano a Senigallia e ne stavano assediando la cittadella difesa da Andrea Doria. In quest’opera è già visibile il suo interesse per Cesare Borgia
che nel Principe sarà poi proposto come modello ai politici
italiani.
Nel
1510, Machiavelli scrisse il Ritratto
delle cose di Francia in cui rileva che la corona di Francia è molto potente. Il
primo luogo per l’ereditarietà della corona, le migliori terre di Francia sono
in mano alla corona, in secondo luogo perché c'è un potere monarchico
personalizzato: le terre appartengono alla corona ed essendo un’istituzione
passano ai singoli re, che le trasmettono ai successori. In terzo luogo perché la
corona francese mise fine alle autonomie e alle guerre feudali (accadevano
quando il barone pensava di essere un piccolo monarca). Adesso c'è solo un re e
i baroni ubbidiscono e lo difendono. In quarto luogo per il principio del
maggiorascato: solo il figlio maschio maggiore eredità le proprietà di
famiglia.
Nel 1512, con
la caduta della Repubblica fiorentina e con il ritorno dei Medici a Firenze, le cariche tenute da Machiavelli nell’amministrazione
repubblicana gli suscitarono contro i sospetti del nuovo governo e fu
allontanato dal suo ufficio; in questo stesso anno scrisse il Ritratto
delle cose della Magna in cui rileva il particolarismo e l'inesistenza di un
potere centrale. C'erano conflitti tra Imperatore contro principi e città, fra Principi
contro città. Questi conflitti, più il desiderio di indipendenza e lo spirito
anti nobiliare portò la Germania a una situazione esattamente contraria da
quella francese. Lo stato tedesco infatti non riesce ad emergere dalla
frammentazione feudale.
Nel 1513, con il ritorno dei Medici a Firenze in seguito ad
accordi presi con il re di Spagna, Machiavelli fu
sospettato di aver partecipato ad una congiura antimedicea, incarcerato e sottoposto a tortura e nuovamente condannato al
confino. Fu amnistiato poco dopo con l'elezione di papa Leone X dei Medici.
Nello stesso anno si ritirò in completo isolamento nelle sue proprietà a San Casciano in Val di Pesa e qui, nell’ozio forzato, facendo tesoro delle esperienze acquisite e degli ammaestramenti
che gli venivano dalle amate letture degli storici latini,
i compose le sue maggiori opere di riflessione
politica, il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio.
Nel
1513, Machiavelli
scrisse Il Principe, scritto di
getto nel 1513, interrompendo la stesura dei Discorsi, in cui
si propone di mettere al servizio di un principe che abbia la capacità di
creare a un vasto e forte stato in Italia, la propria esperienza politica e di
illustrargli le leggi che devono guidare la sua azione. L'opera nasce come
approfondimento delle riflessioni su quell’esperienza e sul suo fallimento,
riflessioni che andavano trovando, nei diciotto capitoli già stesi dei Discorsi, il filo di una problematica incentrata sui
principi che reggono le repubbliche e le cause per cui esse cedono e volgono a
un ordinamento monarchico. L'interruzione di questo lavoro, ancora improntato
dall'apparato della tradizionale etica politica, è segnato dalla necessità che
spinge Machiavelli a volgersi verso le immediate esigenze della politica
attuale, a sollecitarne le forze in gestazione affrontando direttamente il
grande problema del suo tempo: quello del principato. Il 10 dicembre del 1513
Machiavelli dà all'amico Vettori notizia
del compimento dell'opera, iniziata probabilmente nel luglio dello stesso anno.
Machiavelli sembra muovere, infatti, da una classificazione puramente scientifica,
distinguendo le monarchie in tre specie: quelle ereditarie, quelle nuove e
quelle miste. Ma subito la trattazione si focalizza sul nucleo di problemi che
si va ponendo; cioè come si formano, al di fuori di ogni tradizione di
prestigio e dignità, i principati nuovi; come si conquistano, o con armi
proprie o con truppe mercenarie, con la fortuna o con la virtù; come, comunque
conquistati, possano essere conservati. Più che i modelli canonici degli
antichi fondatori di Stati, da Mosè a Romolo, a Machiavelli interessa però
chiamare in causa quei particolari protagonisti di capitali vicende
politico-militari che erano stati i capitani di ventura, dal vittorioso Francesco Sforza fino al più recente Cesare Borgia, quel
Valentino che gli appare meglio incarnare l'ideale figura del principe:
«...
io non saprei quali precetti mi dare migliori a uno principe nuovo, che lo
esemplo delle azioni sua; e se li ordini suoi non profittorno, non fu sua
colpa, perché nacque da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna».
Il
limite permanente dell'azione individuale è, infatti, la necessità dell'ordine
delle cose, ordine naturale e non più trascendente e provvidenziale: la “virtù”
del principe non riveste quindi caratteri etici, ma piuttosto psicologici, e si
sostanzia di abilità, potenza individuale, fiuto delle situazioni e misura
delle proprie possibilità. Al principe si richiede la virtù congiunta della
volpe e del leone, intelligenza delle situazioni e istintività di intuito
ferino che solo può indicargli le vie della “fortuna”; la sua natura deve
quindi essere duplice come quella del centauro, metà uomo e metà bestia.
Esistono però alcuni principi generali nell'organizzazione degli Stati, e a
questi fondamenti, “le buone leggi e le buone armi”, il principe deve anzitutto
attenersi. È per averli trascurati, quindi per la loro “ignavia”, che i principi
italiani, privi di eserciti cittadini fidati da contrapporre ai nemici, hanno
dovuto pensare “a fuggirsi, e non a difendersi”: poiché “non può essere buone
leggi dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene che sieno buone
leggi”. Due anni più tardi Machiavelli indirizzò l'operetta a Lorenzo de' Medici, duca
di Urbino, aggiungendo un XXVI capitolo di esortazione al Medici a farsi
“principe nuovo”, a intraprendere l'opera di unificazione delle province
italiane e “liberarle dai barbari”. Si sarebbe così realizzato quel disegno
monarchico-unitario che Machiavelli aveva ben individuato come moderno
orientamento della politica europea. Al carattere politico-militare di questo
scritto corrisponde la precisa invenzione di uno stile enunciativo, sciolto
dalle forme scolastiche del sillogismo, ma che procede invece per interne
concatenazioni con andamento analogo a quello che sarà proprio di tutta la
prosa scientifica moderna.
Negli anni di
isolamento si dedica anche alla stesura di opere letterarie e filosofiche.
Il successo ottenuto
in una rappresentazione della sua commedia La
Mandragola, scritta nel 1518, gli consentì di smussare il clima di sospetto
nei suoi confronti. La visione pessimistica del comportamento
umano, che si acuì nel periodo in cui non partecipò alla vita politica e si
manifestò nella Mandragola, tagliente
e amara satira della corruzione dei costumi contemporanei, dove l'essere umano è
rappresentato come incapace di andare oltre il meschino interesse personale. Racconta la beffa, di
sapore boccaccesco, giocata dal giovane Callimaco e dal suo servo Ligurio al
vecchio e balordo messer Nicia, sposo della bella Lucrezia e desideroso di
avere a ogni costo da lei un figlio. Fingendosi esperto di medicina, Callimaco
gli fa credere che, per vincere la sterilità della moglie, è necessaria una
pozione di mandragola, i cui effetti però sono letali per chi, per
primo, si congiunge con colei che l'ha bevuta: occorre pertanto trovare una
persona che per una notte sostituisca il marito. L'inganno sarà effettuato
grazie alla complicità di Sostrata, madre della giovane, e dell'avido e cinico
fra' Timoteo, suo confessore, che mettono a tacere gli scrupoli dell'onesta
Lucrezia, la quale, arrendendosi all'immoralità altrui, finirà con il diventare
l'amante di Callimaco. Capolavoro del teatro italiano del Rinascimento, La Mandragola rispecchia un'umanità negata a ogni
trascendenza ed esclusivamente volta a soddisfare i propri istinti, contemplata
con spietata e impassibile ironia da Machiavelli, che in quell'inganno amoroso,
comico risvolto degli inganni politici de Il Principe, trova
la conferma della sua pessimistica massima secondo cui “nel mondo non è se non
vulgo”.La
protagonista femminile della commedia, Lucrezia, è ingannata al fine di essere
conquistata, è vittima di intrighi, ma poi riesce a cogliere un'occasione
fortunata ed a diventare artefice del proprio destino.
Fra
il 1513 e il 1519, Machiavelli scrisse i Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, in cui, commentando i primi dieci libri delle Storie di
Livio, trae da esse riflessioni che reputa ancora attuali e valide per i suoi
tempi. L'opera, concepita come una serie di considerazioni in margine al testo liviano (la prima decade dei libri Ab urbe condita,
dall'origine di Roma all'anno 293 a. C.), è ordinata senza sistematico rigore
in tre libri: il primo tratta dell'origine e della costituzione interna dello
Stato, il secondo della sua struttura militare e delle conquiste per
l'espansione del dominio, il terzo delle cause che ne determinano la stabilità
o la decadenza.
Nel
1516, Machiavelli iniziò a frequentare
le riunioni nei giardini del Palazzo Rucellai – gli Orti Oricellari – dove
discuteva di argomenti letterari, filosofici e politici.
Fra
il 1516 e il 1520, Machiavelli scrisse Dell'arte
della guerra, dove sono
trattati problemi di tecnica militare, ed è ribadita la superiorità delle
milizie cittadine su quelle mercenarie.
Nel 1520, Machiavelli
scrisse la Vita di Castruccio Castracani da Lucca è un'operetta letteraria ispirata alla
vita dell'uomo d'arme lucchese Castruccio Antelminelli, condottiero ghibellino del Trecento.
Machiavelli. Riprende il modello delle biografie di stampo classico e
umanistico dei cosiddetti uomini Illustri, descrizione dell'aspetto
fisico e del carattere, discorsi e aneddoti. Il Personaggio in sé assume rilievo
di tono narrativo e drammatico ma comunque di forte stampo politico, L'autore
riflette nel condottiero del '300 l'ideale del Principe virtuoso. Riacquistata la fiducia dei Medici, ebbe
da loro qualche piccolo incarico pubblico.
Fra
il 1520 e il 1525 scrisse su
commissione del cardinale Giulio dei Medici le Istorie fiorentine che espongono la storia di Firenze fino
alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492.
Nel
1521 a Carpi conosce personalmente Francesco Guicciardini con cui stringe
un'amicizia testimoniata da molte lettere.
Nel 1525,
Machiavelli portò in scena a Firenze la commedia grottesca Clizia. Nello stesso anno ottenne la revoca dall'interdizione agli
incarichi pubblici e tornò a svolgere un'attività politico-diplomatica al
servizio dei Medici nella lega anti imperiale, formata da Firenze, il Papato e
la Francia.
Nel 1527, la discesa
in Italia dell'esercito imperiale di Carlo V travolse la lega e la stessa città
di Firenze, dove fu restaurata la repubblica democratica in seguito alla
gravissima crisi sorta nei rapporti tra Papa Clemente VII de' Medici) e Carlo V,
conclusasi con il Sacco di
Roma. Il popolo fiorentino credette che fosse venuto
il momento opportuno per cacciare i Medici e restaurare la Repubblica da esponenti savonaroliani e la famiglia dei
Medici fu costretta alla fuga: la presenza di Machiavelli fu sgradita al nuovo
governo repubblicano che guardava con sospetto al suo passato svolto dapprima
al servizio della Repubblica fiorentina e successivamente della famiglia dei
Medici e per tali motivi fu allontanato nuovamente da ogni incarico pubblico.
Tra
il 1518 e il 1527 Machiavelli scrisse la novella Belfagor arcidiavolo
Fra il 1497 – 1527 scrisse un Epistolario.
Nel 1527, Niccolò Machiavelli morì improvvisamente a Firenze a cinquantotto anni in condizioni
di povertà.