domenica 7 gennaio 2018

Marie-Guilelmine Benoist e il Ritratto di una donna nera di Massimo Capuozzo

Je dédie ce travail à mes chers collègues 
Mme Agnese Cosenza et Mme Diana Iervolino.
Dignes successeur de Mme Anna Paolillo, 
elles sont de merveilleux interlocuteurs 
de mon amour pour la culture française.
Merci

Alla vigilia della Rivoluzione, Marie-Guilelmine Delaville Leroux (1768-1826) faceva parte di un piccolo manipolo di giovani artiste che, pur non appartenendo a nessuna famiglia di artisti, riuscirono a seguire l'insegnamento di maestri. Marie-Guilelmine era, infatti, figlia di un funzionario statale e dal 1781 si formò nella pittura dapprima con Elisabeth Vigée-Le Brun poi nel 1786 frequentò l’atelier di Jacques Louis David al Louvre. La giovane artista però potette trascorrere solo un anno in quell’atelier, ma rimase in contatto con lui durante la Rivoluzione e per tutta la sua carriera, e, nonostante le profonde differenze ideologiche, sottopose sempre i suoi quadri al suo parere.
Sotto la guida di David, nel 1791 espose i primi dipinti di stile neoclassico che Marie Guillemine recuperava dalla mitologia e dall’antichità, con un approccio pittorico molto influenzato dai suoi due maestri. Marie espose per la prima volta nel Salon del 1791 una tela di soggetto mitologico, “Psyche dà l’addio alla sua famiglia”.
Il dipinto “L’Innocenza tra la Virtù e il Vizio”, realizzato nello stesso periodo, sotto l’apparenza del tema mitologico, riflette le convinzioni “femministe” della pittrice: l’artista rappresenta infatti il Vizio in sembianze maschili, quando veniva tradizionalmente rappresentato in aspetto femminile.
Nel 1793 Marie-Guilelmine sposò il conte Pierre Vincent Benoist.
Fu un incontro importantissimo e carico di conseguenze per lei: Pier Benoist era un realista convinto sospettato di cospirazione, per cui durate il periodo del Terrore (1793-94) fu soggetta a frequenti perquisizioni a domicilio, mentre il marito si nascondeva per evitare il carcere e la ghigliottina. Marie-Guilelmine riuscì a sopravvivere con il suo primo figlio, vendendo piccoli ritratti a pastello e scene moraleggianti di genere, abbandonando completamente i soggetti classici e mitologici per dedicarsi ad altri generi, ottenendo sempre molto successo.
Nel 1797 e nel 1798 Anne Louis Girodet aveva presentato il Ritratto del deputato Belley, un’opera che aveva affascinato il pubblico. Jean-Baptiste Belley, primo deputato nero e rappresentante della colonia francese di Santo Domingo alla Convenzione, mostrava il senso più profondo della Rivoluzione: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino aveva creato una frattura nella storia dell’umanità, scrivendo che tutti gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti.
Con l’arrivo a Parigi del deputato Belley, quelle parole trovavano finalmente una prova concreta: un volto nero, per la prima volta considerato uguale ai volti dei bianchi. Il 3 febbraio del 1794 tutta l’assemblea della Convenzione si era alzata in piedi all’ingresso di Belley con una standing ovation. Tutti i deputati, uno per uno, abbracciarono il primo deputato nero della storia congratulandosi con lui. Pochi minuti dopo, l’assemblea votava l’abolizione della schiavitù: non c’erano più re ed ora non c’erano nemmeno più schiavi. Danton affermò: «Fino ad ora non abbiamo che dichiarato la nostra stessa libertà, una libertà egoista. Oggi proclamiamo a tutto l’universo, e per tutte le generazioni future, la Libertà universale».

L’evento fu immortalato da Girodet con questo ritratto di Belley in piedi in una posa disinvolta ed elegante. Con il volto serio e pensoso, lo sguardo di Belley è rivolto verso il nuvoloso cielo blu di fronte al paesaggio della sua circoscrizione di Santo Domingo. Forse sta considerando un nuovo futuro per i suoi compatrioti? L’abbigliamento di Belley evoca la raffinatezza della cultura occidentale, mentre l'orecchino ricorda le sue radici domenicane. La superba pelle nera lucida contrasta con il busto marmoreo dell'abate Guillaume Rana, il filosofo favorevole all'emancipazione dei neri, scolpito dal marsigliese Jean-Joseph Espercieux. In questo modo Girodet fa di Belley il simbolo vivente dell'emancipazione dei neri annunciato dal filosofo.
Girodet ritrae di tre quarti il volto di Belley, oggetto della curiosità generale, in un momento in cui era frequente il confronto delle caratteristiche morfologiche dei bianchi, dei neri e delle scimmie. I capelli crespi già ingrigiti tirati indietro, il volto ossuto e il naso schiacciato sono illuminati da occhi molto acuti e vivi; la mascella è possente, ma non presenta alcun prognatismo.
Il contrasto tra il costume di deputato alla Convenzione così straordinariamente raffinato, che da solo evoca la cultura europea, e la facies scura del soggetto fa emergere la particolarità di quest’uomo.
I tre colori repubblicani che circondano la vita e il cappello si fondono in tonalità pastello e lasciano tutto il contrasto cromatico al rapporto tra bianco e nero.
Il dipinto di Belley di Girodet è un'immagine magistrale e simbolica, in un'epoca in cui l'uomo di colore affascina per la sua diversità e solleva preoccupazioni politiche ed economiche per il futuro.
Ma se si prova ad osservare il capolavoro di Marie-Guilelmine Benoist “Ritratto di una negra”, ci si accorge del salto in avanti che compie la pittrice, abbandonando, in termini di realismo, la retorica ideologica della quale è intriso il dipinto di Girodet.
Con l’istituzione del Consolato, Marie Guillemine aveva ritrovato finalmente una vita meno difficile e pericolosa e cercò di far conoscere meglio il suo vero talento così, tre anni dopo il dipinto di Girodet, la pittrice realizzò il Ritratto di una negra, oggi al Louvre, ritraendo di nuovo una persona di colore.
Sullo scorcio del Settecento i negri esercitavano un certo fascino sulla popolazione bianca. In genere erano visti come selvaggi inferiori, piuttosto che uomini diversi ma uguali. Marie Guillemine, tuttavia, cancella ogni riferimento alla schiavitù e sceglie di dipingere una donna nera nello stesso formato, nella stessa posa e nella stessa consuetudine di come avrebbe ritratto una donna bianca: solo la pelle nera, gli elementi del costume e soprattutto il fazzoletto tipico delle cameriere delle Indie Occidentali richiamano le origini della giovane donna.
È questa la prima la grande infrazione al genere operata dalla pittrice: questa donna è nera e si presenta in una situazione non conforme alla sua condizione di serva, che probabilmente era stata anche quella di una schiava prima del 1794.
Questo bellissimo ritratto è ovviamente eseguito dal vero, non giocato sull’immaginazione, sebbene non sappiamo nulla di certo sulla modella – probabilmente una donna di servizio in casa di suo cognato – e l’autrice non ne volutamente reso noto il nome nel titolo del ritratto. È il titolo stesso sottolinea inequivocabilmente che non si tratta di una figura di fantasia, né uno studio, né un modello di laboratorio, ma di un vero e proprio ritratto.
Marie-Guilelmine conferisce alla sua modella la stessa postura delle donne borghesi che si fanno ritrarre. La donna è ritratta di tre quarti, nella sua intimità privata, seduta in una bella poltrona a medaglione ed occupa il posto tradizionalmente occupato da una donna bianca nella stessa posizione riservata ai ritratti di donne dell'alta società: sembrebbe perfettamente a suo agio e rilassata, come si osserva dalla disposizione delle mani, adagiate con delicatezza e tranquillità sul grembo.
Il corpo della donna è semicoperto da una stoffa bianca e il capo è coperto da una sciarpa, ripiegata su se stessa a guisa di turbante che custodisce e raccoglie i suoi capelli. La stoffa è contrassegnata da morbide e leggere pieghe che ne evidenziano anche la trasparenza. Il candore del tessuto leggero e la calda luce che irrompe da sinistra mettono in risalto i lineamenti decisi della giovane donna. Il suo seno, nudo e fiero che spunta dal suo vestito rinvia alla figura di Marianne.
Con la sua consueta abilità, la pittrice è riuscita a rendere la morbidezza e la dolcezza del volto della persona raffigurata, delineando con delicatezza la forma dolce degli occhi e delle sopracciglia, il naso dritto, solo lievemente schiacciato in punta, e le labbra carnose ben marcate e definite.
Se i principi accademici dell'epoca affermavano che "Il soggetto nero e il colore nero erano un’operazione ribelle nella pittura", il dipinto della Benoist prova esattamente il contrario: sotto il suo pennello, sono bellissime le gradazioni della pigmentazione della pelle nera, impreziosita dalla luce che si riflette sul volto dall’abito bianco immacolato e dalla sciarpa avvolta a turbante che conferisce altra luminosità. Le gradazioni del colore ebano della pelle è sottolineato anche dal sottile contrasto cromatico con lo sfondo ocra chiaro degradante dolcemente  nell’avorio simile allo sfondo del famoso Ritratto di Madame Recamier che David aveva realizzato nello stesso 1800.
L'opera non solo riproduce esattamente la pigmentazione della pelle nera, ma mostra anche molto realisticamente le peculiarità razziali, come la struttura ulotrica dei capelli che dà ad essi una consistenza speciale, e ancora la particolare forma degli occhi, il naso largo e le labbra sporgenti.
Lo sguardo sereno della modella è rivolto direttamente verso lo spettatore. È uno sguardo che affascina, è penetrante. Osserva con sguardo diretto e sicuro lo spettatore, ma senza nulla di sfrontato, come se volesse ricambiare il nostro sguardo di osservatori.
È questa donna che guida lo spettatore in questo confronto o è l'artista che l'ha dipinta? La risposta è negli occhi di chi guarda.
La grazia, l'armonia dei colori di Elisabeth Vigée-Lebrun – per esempio l’uso del blu ceruleo, uno dei simboli dell'eleganza femminile e colore di forte personalità e carattere – e l'empatia che suggerisce la mutua comprensione dell'artista e della sua modella permeano anche questo ritratto della Benoist.
Lo stile di David si riflette nello sfondo spoglio e nell'uso minimale degli accessori – la sedia e l’abbigliamento – come nel modellato plastico delle forme, nella luce diretta e nelle tranche di colori. Dietro di lei, Marie Guillemine preferisce un fondo neutro, di una tonalità tanto chiara dell’ocra da sfociare nell’avorio, e completamente privo di decorazioni, per mettere in risalto la bella pelle color ebano.
Tutta l’opera è caratterizzata da una stesura pulita e ordinata del colore, che modella il volume del corpo e le pieghe della stoffa. Ma quello che rese la pittrice indipendente da lui fu la scelta dei temi dei suoi quadri.
Ciò che più conta in questo ritratto è che l'artista è riuscita a considerare e a far considerare esteticamente bello un soggetto fino allora ritenuto sgradevole, sgraziato, antiestetico.
L’anonimato del soggetto ritratto ha permesso inoltre alla pittrice di mostrarla come un vero e proprio simbolo iconico, in cui l'artista ha reso evidente la situazione psicologica di vulnerabilità e di rassegnazione, ma nello stesso tempo di grande dignità di questa donna – ma di tutte le donne come lei – catapultata in un universo che le è estraneo.
L'opera potrebbe quindi avere due obiettivi apparentemente contraddittori: da un lato potrebbe presentare questa donna nera come oggetto di possesso, come un bene acquisito tra i molti oggetti di lusso, ma dall’altro lato, al di là delle differenze razziali, potrebbe e vorrebbe farla riconoscere come un essere dotato di sensibilità, comune a tutti gli esseri umani.
Quando nel 1800 questo dipinto apparve, sembrò troppo audace per le idee del tempo, sia per la rappresentazione di un soggetto di colore sia per il ruolo che Marie- Guilelmine attribuiva alle donne nell'arte: lo status della donna-artista era ancora piuttosto dubbio e mal accettato al momento, si negava ancore loro l'accesso ai laboratori in cui lavoravano gli uomini ed erano limitate a generi minori.
Una pittrice avrebbe dovuto limitarsi a scene di genere, dipinti di fiori o ritratti, ma in nessun modo affrontare questioni storiche o politiche come la condizione dei neri. Solo che Marie Guillemine è uno spirito libero e, come tale, firma un dipinto engagé e questa è la seconda infrazione. Questa volta non al genere, ma a tutto il sistema delle arti.
Con il passare del tempo, quest'opera di eccezionale bellezza ha rivelato soprattutto come Marie-Guillemine, un'artista che aveva attraversato la Rivoluzione come una salamandra tra il fuoco, percepisse l'importanza del sesso, della razza e della classe sociale al tempo dell'ingresso della Francia nella modernità.
Gli ideali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza, che in nome della morale respingevano il criterio della razza, del sesso e delle classi sociali, anche se furono proclamati a gran voce durante la Rivoluzione, furono assimilati solo molto, ma molto gradualmente e con grandi sofferenze: il cammino per la libertà sarebbe stato ancora molto lungo. Eppure questo “Ritratto di donna nera” di Marie-Guilelmine Benoist era il segno che qualcosa stava davvero cambiando.
A quel tempo, sebbene le distinzioni razziali fossero accuratamente descritte e razionalizzate, contemporaneamente fu anche sviluppata una gerarchia di razze, basata su una classificazione delle caratteristiche biologiche, ma soprattutto condizionata dagli interessi coloniali e dalla diffusione della schiavitù nel Settecento. Così nel 1800, se la legge moralmente rifiutava il concetto di razza, prevaleva in pratica il concetto di differenziazione.
All'inizio dell’Ottocento, la situazione dei neri rappresentava un considerevole interesse politico ed economico. L'abolizione della schiavitù, decretata il 4 febbraio 1794 dalla Convenzione, non ebbe mai una piena applicazione a causa delle guerre contro la Francia o semplicemente a causa dell'opposizione dei coloni. Durante la tregua tra la Francia e i paesi dell'Europa coalizzati, la tratta dei Neri riprese furiosamente nell'Atlantico e coloro che avevano interessi coloniali, si sforzarono di portare Bonaparte al potere, per ristabilire la schiavitù, atta ad assicurare il ritorno della prosperità nelle isole e per arginare le tendenze separatiste. Appena due anni dopo, nel 1802, Bonaparte Primo console, abrogando la deliberazione della Convenzione del 1794, ripristinò la schiavitù.
Il Ritratto di una donna nera destò scalpore: era un’opera palesemente rivoluzionaria. Essa nasceva solo dalla precisa volontà di Marie-Guilelminedi rappresentare un nero: è improbabile, infatti, che il soggetto rappresentato fosse la committente dell’opera.
Nel presentare al Salon del 1800 questo ritratto, Marie-Guilelmine riuscì a far rivivere tout court lo stile neoclassico, dimostrando le sue grandi capacità e facendo trionfare nello stesso tempo il ruolo delle donne artiste. Forzò le regole del genere e dell’estetica tradizionale – una persona di colore non era considerata allora un soggetto degno di essere rappresentato e tantomeno semplice da realizzare a causa della pigmentazione scura – sembrava inoltre ancora più incongruo da parte di una donna da cui ci si sarebbero aspettati piuttosto soggetti affascinanti, familiari o intimi, dipingere un simile ritratto.
Questo dipinto invece garantì alla pittrice grande notorietà perché era un’opera che rappresentava una presa di posizione ideologica realizzata a soli sei anni dall’abolizione della schiavitù in Francia e nelle sue colonie, nel pieno dell’acceso e talvolta violento dibattito fra abolizionisti e schiavisti, fu considerato un vero e proprio manifesto di emancipazione insieme della donna e della gente di colore.
Nel 1804 al Salon le assegnarono una medaglia d’oro e, nello stesso periodo, Marie-Guilelmineaprì uno studio riservato solo alle donne.
Con la Restaurazione il marito, conte di Benoist, fu nominato dapprima membro del Consiglio di Stato, poi Ministro infine membro del Consiglio Privato del re. L’attività di pittrice di Marie-Guilelmine era ritenuta incompatibile con la straordinaria carriera del marito e con il suo ruolo politico e così, all’apice della carriera smise di dipingere, ma questo fu davvero un peccato, perché dimostrò quanto i pregiudizi verso le donne con un pizzico di creatività e di indipendenza erano ancora molto radicati con qualunque ideologia di potere.

Massimo Capuozzo