domenica 19 novembre 2023

Il Manierismo 5: Michelangelo e la battaglia di Cascina

Michelangelo aveva appena completato il cartone della battaglia di Cascina a figure intere quando nel 1506 fu improvvisamente richiamato a Roma da Papa Giulio II della Rovere a causa della spiacevole e difficile situazione che si era creata per la realizzazione rinviata della tomba del Papa.
Michelangelo aveva studiato da vicino e con attenzione la statuaria antica e specialmente il “gruppo del Laocoonte”, rinvenuto qualche mese prima a Roma, proprio in sua presenza.
Quando il maestro era partito per Bologna per riconciliarsi con il Papa e poi insieme per Roma per iniziare i lavori della Sistina, il cartone si trovava nella Sala dell’Ospedale di Sant’Onofrio, dove Michelangelo lo aveva lasciato.
Alla visione panoramica di Leonardo, Michelangelo contrappose un momento preciso della Battaglia di Cascina del 1364, narrata da Filippo Villani, nipote del più noto Giovanni, di cui aveva continuato la “Cronica”.
Fino ad allora Leonardo e Michelangelo si erano guardati e odiati a distanza, ma fu nella Sala del Maggior Consiglio che avvenne il vero confronto tra i due grandi artisti toscani.
Diversamente dal cosmopolita Leonardo che rappresenta un momento, anche se topico della battaglia ma di una qualunque battaglia della sua epoca, il fiorentinissimo Michelangelo sceglie invece di rappresentare la scena specifica che immediatamente precedette lo scontro di Cascina, un episodio molto connotativo di quell’assolato luglio del 1364, che riporta la vicenda dei soldati fiorentini sorpresi dall’attacco dei pisani, mentre, per difendersi dalla calura, si stavano rinfrescando nelle acque dell’Arno.
Michelangelo quindi rappresenta il momento cruciale in cui i fiorentini escono dal fiume e si armano, e afferma anche in quest’opera l’assoluta centralità del nudo maschile che avrebbe accompagnato l’artista lungo l’intero percorso della sua carriera.
Il cartone preparatorio cui ora ci si riferisce, quello fedelmente copiato da Aristotele da Sangallo, racconta, infatti, la scena in cui i soldati dell’esercito fiorentino si erano fermati presso Cascina e, credendosi al sicuro, avevano deciso di rinfrescarsi facendo il bagno nell’Arno per la canicola di fine luglio. I pisani però, avendoli sorpresi impreparati, pensarono di averne facilmente ragione, ma non fu così.
Grazie alla prontezza di Manno Donati, uno dei capitani, al suo coraggio e alla sua capacità di comando, ma grazie anche alla disperazione, che diede ai soldati fiorentini la forza di rivestitisi in fretta e di battersi, essi sconfissero i nemici pisani, pur non essendo ancora adeguatamente equipaggiati.
L’episodio del bagno offrì a Michelangelo maggiore possibilità di dipingere il suo soggetto preferito, un’enorme composizione di nudi rappresentati nelle più diverse movenze, mostrando la sua eccezionale conoscenza dell'anatomia e la sua perfezione nell’uso del disegno.
Per Michelangelo, come per tutti gli artisti del Rinascimento, il corpo umano era il principale oggetto di studio, ma per lui la figura umana era qualcosa di più: era la celebrazione del corpo e in particolare del nudo, che l’artista portava al massimo grado della sua forza espressiva, perché il corpo doveva esprimere eroismo e mostrare, attraverso una potente struttura muscolare, una forza morale titanica. La nudità per Michelangelo è sempre dinamica, viva, colta nelle posture e nei movimenti più audaci e articolati, affinché si potesse mettere in evidenza la bellezza, l’armonia e la plasticità.
La sua arte è antinaturalistica e rifiuta pertanto l’illusione mimetica: se si osserva attentamente il cartone, ci si accorge infatti che il maestro non rispetta la composizione prospettica e rappresenta le figure di scorcio, presentando il punto più lontano come prossimo al più vicino e coprendo con il tratto più corto lo spazio più lungo.
E non solo. Già nel Tondo Doni, che realizza fra il 1505 e il 1506, quindi quasi contemporaneamente al Cartone della Battaglia di Cascina, Michelangelo si era rifatto a Luca Signorelli, autore anche lui di un tondo della cosiddetta Sacra Famiglia di Parte Guelfa della Galleria degli Uffizi. Ma, diversamente da Signorelli, Michelangelo nel Tondo Doni accosta colori opposti, complementari, di grande pulizia timbrica, colori che non si fondono insieme, ma anzi danno un’impressione di stridore e di contrasto.
È immaginabile la stessa cosa per il cartone, se fosse diventato affresco, e anche dei successivi colori che avrebbe utilizzato di lì a poco nella Sistina.
Quello stravolgimento della forma a spirale in favore della forma serpentinata già presente nel Tondo Doni e quei nudi sullo sfondo, irriverente citazione “umanistica” e pastorale ripresa da Signorelli, è forse già sintomo di un turbamento dell’arte che aveva raggiunto la perfezione dei temi e della forma nella corti dell’adulto Rinascimento.
Ebbene, anche nel Tondo Doni con la Sacra Famiglia in primo piano, si nota come Michelangelo continui ad essere uno scultore anche quando dipinge: San Giuseppe la Madonna e anche il Bambino sono caratterizzati da una grande fisicità, da muscoli ben definiti che risaltano dal fondo grazie ad una marcata linea di contorno. Proprio in quest’opera, nell’avvitamento verso l’alto comincia ad apparire completamente distinguibile la linea serpentinata, cioè quella torsione delle figure che segnò il tramonto dell’equilibrio classico.
Al primo sguardo, la Battaglia di Cascina colpisce per le posture dei personaggi, per quelle linee serpentinate che appaiono così lontane dall’equilibrio classico cui si è abituati dallo studio del Rinascimento e che ne sanciscono il tramonto.
Eppure, quel dispiegamento di addominali, di trapezi, di bicipiti e di glutei che suscitano oggi tanta ammirazione negli appassionati di fitness, provocarono il profondo disgusto in Leonardo, che paragonava quei corpi a grossi sacchi di noci, e suscitarono un moralistico orrore del Perugino, forse ancora traumatizzato dalle prediche di Savonarola, e ne rimase profondamente scandalizzato.
Michelangelo, piuttosto rissoso, ingiuriò il Perugino, finirono al tribunale, ma il corpo umano rimase il centro indiscusso di tutta la sua produzione, avendo condotto e continuando a condurre fondamentali ricerche di anatomia, per individuare l’esatta posizione della forma del corpo, e di fisiologia, per individuare il funzionamento dei fasci muscolari, dei tendini, delle cartilagini e delle ossa, per rappresentare con precisione le forme del corpo sia in stasi sia in movimento.
Analizzando poi più attentamente il Cartone, la varietà delle posizioni è impressionante. Ognuna ruota nel proprio spazio come una statua a tutto tondo, ciascuno in una cinetica diversa, in base al movimento che si prepara a compiere. Eppure, nonostante le torsioni anticlassiche a “serpentina” o forse grazie ad esse, i movimenti si presentano sempre naturali.
La scena dell’avviso dell’imminente pericolo del nemico aveva consentito a Michelangelo anche di cimentarsi nella raffigurazione del groviglio di corpi, a lui tanto cara, come aveva dimostrato, ancora giovinetto nella Battaglia fra centauri e Lapiti e come sarebbe stato di lì a poco nella Cappella Sistina. 
Si vede chi si affretta ad armarsi per aiutare ai compagni, chi si allaccia la corazza e molti che indossano le armi in strani atteggiamenti dettati dalla fretta. Chi eretto, chi in ginocchio, chi piegato e chi sorpreso a giacere.
A quelle anatomie possenti e massicce, a quei corpi che si torcono nei movimenti più disparati, a quei volti dei combattenti si aggiunge l’elemento dello stupore e si riesce quasi a percepire la loro paura per l’avvicinamento improvviso di un pericolo inaspettato e la loro angoscia per l’esito incerto.
Tra tutti, alcuni si evidenziano per una fisionomia particolare e per una maggiore definizione: l’uomo al centro, che si sta avvolgendo la testa con un panno forse è Galeotto Malatesta, capitano di ventura che si era unito ai fiorentini; accanto a lui c’è un uomo non più giovane con una lancia in mano che sembra correre verso lo spettatore. È Manno Donati riconoscibile dall’elmo indossato sul capo e perché impugna uno scudo.
E se è vero che la situazione stessa - l’uscita improvvisa dei soldati dall’acqua del fiume e la fretta di rivestirsi per affrontare il combattimento - imponeva a tutti questi slanci dinamici, è altrettanto vero che a monte del cartone c’era stato un lungo studio delle pose, ben documentato dalle fonti grafiche. E così il disegno prende un andamento circolare, che asseconda le rotondità del corpo, soprattutto in corrispondenza delle spalle e delle natiche, dove cioè la muscolatura si fa più evidente e, al tempo stesso, esalta l’energia e il dinamismo delle figure.
Michelangelo enfatizza la rappresentazione dei vigorosi corpi nudi, in torsioni impossibili, scorci mai visti, pose artificiose, in parte desunte dalla classicità e in parte ispirate al principio della “varietas”, preso a prestito dalla cultura letteraria, ma ormai entrato nel linguaggio figurativo più sperimentale. Su quest’opera così innovativa, ormai lontana dall’equilibrio e dalla compostezza del linguaggio rinascimentale, si sarebbe formata un’intera generazione di giovani artisti, tra i quali si deve ricordare lo stesso Raffaello, a Firenze dal 1504 al 1508.
La fama del cartone, e probabilmente anche di una o di più derivazioni, giunse fino a Venezia, dove Tiziano, all’inizio degli anni Venti, inserì una figura desunta dall’opera di Michelangelo in uno dei quattro dipinti per il Camerino di alabastro del duca Alfonso d’Este.
Anche Cellini nella sua autobiografia, ribadisce come, per la propria formazione, sia stata fondamentale la conoscenza delle opere fiorentine di Michelangelo, in particolare modo della Battaglia di Cascina che descrive così: “...quelle fanterie ignude che corrono a l’arme, e con tanti bei gesti, che mai né degli antichi, né d’altri moderni non si vide opera che arrivasse a così alto segno”.
Proprio a Benvenuto Cellini spetterà la definizione di “scuola del mondo” attribuita sia al cartone di Michelangelo sia a quello di Leonardo, per la loro esemplare funzione di modello innovativo per le nuove generazioni di artisti.
Un altro aspetto considerevole è che anche nella Battaglia di Cascina Michelangelo si ricolleghi a Luca Signorelli, nello specifico alla Resurrezione della carne, una delle scene del Ciclo del Giudizio Universale, nella stupefacente Cappella di San Brizio, del Duomo di Orvieto. Questo riferimento è per me estremamente importante, perché nella Storia dell’Arte gli affreschi orvietani di Signorelli sono sicuramente il più esplicito campanello d’allarme dell’incombente crisi religiosa, che la sensibilità di Michelangelo coglie al volo. Michelangelo era cresciuto nel giardino di San Marco, il convento di patronato mediceo di cui era priore il frate predicatore Girolamo Savonarola e ne aveva ascoltato le brucianti prediche.
Nell'immaginario dell'adolescente Michelangelo l'atmosfera intorno al priore e quella intorno al Magnifico si incrociarono dando vita alla dialettica propria del pensiero michelangiolesco, un orizzonte culturale che teneva insieme aspirazioni riformatrici e passione per l’antichità pagana, la logica del concreto e il misticismo spirituale. Spinte e controspinte dunque che sostennero e che affascinarono sempre Michelangelo e che si equilibrarono, costituendo il sostrato di tutti i suoi capolavori, dagli esordi fino alle sue ultime opere.
Anche in questo caso la raffigurazione michelangiolesca ha una duplice valenza. Da un lato il giovane maestro celebra un episodio eroico della storia fiorentina e per Michelangelo, come per Savonarola, la libertà politica era la condicio sine qua non della vita morale e religiosa, e allude pertanto al momento eroico della spiritualità cristiana. Dall’altro lato, per ogni cristiano, come per il soldato, l’ora della prova estrema giunge sempre inaspettata, ma è proprio quella paura che diventa angoscia può diventare forza di riscatto.
Si delinea così, l’ideale eroico di Michelangelo ancora più di quanto non fosse nel solitario eroe romantico David. Nella Battaglia di Cascina l’eroe è colui che, vincendo l’inerzia e il sonno della carne, afferma la propria spiritualità combattendo il male e si salva.
La figura dell’eroe è massiccia e muscolosa affinché il peso della materia sia evidente; ma anche nella massa si suscita un moto che la scuote, che la strappa all’inerzia, che le imprime una spinta che la riscatta.
Le opere di Leonardo e di Michelangelo erano diventate famose ancora prima della loro esecuzione in affresco per la straordinaria idea che i due artisti ne diedero già nei cartoni preparatori.
Come La battaglia di Anghiari di Leonardo, anche “La Battaglia di Cascina” ci è pervenuta purtroppo solo attraverso qualche bozzetto preparatorio di Michelangelo e attraverso numerose copie, tratte dal cartone ed eseguite da allievi e da artisti di ogni dove, fatte al tempo e in seguito, anche se non tutte fedeli.
Tra queste la più conosciuta e interessante è quella che si avvicina maggiormente all’originale attribuita al suo allievo Aristotele da Sangallo (1481-1551), realizzata con la tecnica della grisaille e oggi conservata alla Holkham Hall di Norfolk. Sangallo ne aveva fatto una prima copia su cartone dalla quale, nel 1542, su suggerimento di Vasari, deriva “un quadro ad olio di chiaro scuro” (quindi non a colori, riproducendo l’effetto del cartone originario), da identificare con la tavola oggi nella collezione Leicester.
Pur essendo andato perduto l’originale, secondo lo studio delle fonti è stato possibile formulare ricostruzione anche se ovviamente abbastanza sommaria: al centro si sarebbe dovuto trovare un soldato indossante le braghe, mentre a sinistra di quest’ultimo sarebbe dovuto esserci un gruppo di cavalieri, mentre ai lati dovrebbero esserci stati altri soldati in corsa, rappresentati nell’atto di salire a cavallo. Nulla osta tuttavia ipotizzare che Michelangelo abbia voluto dipingere solo quella scena a grandezza umana per evidenziare il gigantismo degli eroi.
La datazione della copia più fedele cioè quella del Sangallo dovrebbe risalire a un periodo anteriore al 1519, perché in seguito il cartone fu smembrato in molti pezzi, servendo, infatti, come studio per altri artisti, rimasti affascinati dal capolavoro michelangiolesco.
L‘opera del Sangallo può dare solo l’idea della composizione e della scena centrale, non avendo la certezza se essa raffiguri tutta la composizione di Michelangelo del cartone originale o forse solo una parte dello stesso, ma non meraviglierebbe nemmeno che Michelangelo abbia deciso di raffigurare solamente quella parte della battaglia.

1 commento:

  1. Immensità artistica, unica forma di immortalità
    Grazie prof per questa bella narrazione, è un vero piacere leggerLa

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