domenica 13 novembre 2022

Il Rinascimento nordico: lungo la Valle del Reno

Fresca è l'aria e l'ombra cala,
scorre il Reno quetamente;
sopra il monte raggia il sole
declinando all'occidente.

È Heinrich Heine tradotto da Diego Fabri che risuonava dolcemente nella memoria scolastica di me bambino mentre ricostruivo questa pagina di Arte fiorita alla fine del Medioevo sulle rive del grande fiume.
La Valle del Reno è anche sfondo di numerose leggende, come la “roccia di Loreley” e gli epici canti dei “Nibelunghi”, di antichi castelli e di fortezze arroccate che, nel Medievo, erano spesso in conflitto tra di loro per il controllo del fiume e fra il suono di corni di guerra sembra distinguere i canti sublimi della grande Ildegarde e delle sue consorelle. Vigneti scoscesi che ricoprono le alture circostanti dove il terrazzamento dei ripidi pendii ha modellato il paesaggio in molti modi per oltre due millenni definendo i tratti più pittoreschi della Valle del Reno.
Questo è il luogo dell’anima della lettura odierna.
Dal precedente racconto della Boemia si è visto che dal 1390 al 1420 circa, vi fu una notevole corrispondenza, anche particolarmente stretta, tra opere prodotte in regioni fra loro distanti dell'Europa occidentale, centrale e settentrionale, il che permette di stabilire un rapporto tra artisti come il “Maestro Francke” ad Amburgo, il “Maestro di Boucicaut” a Parigi poi a Milano, il renano “Maestro del Jardin de Paradis”, “Stefano da Verona”, che italiano non era ma che lo fu di formazione, gli italiani, “Gentile da Fabriano” e “Pisanello” e i franco-fiamminghi “fratelli di Limburgo”, al servizio, tra gli altri, del duca di Berry. Insomma quel tanto che basta per definire internazionale questa fase del Gotico.
Li osservo singolarmente, tenuto che il baricentro dell’area qui considerata è la Valle del grande fiume Reno che un tempo costituiva il “limes” occidentale dell’Impero romano e da sempre, come ogni frontiera, è stata luogo di scontro, ma anche e soprattutto di incontro di culture diverse. E così è avvenuto anche nella cultura del “Gotico internazionale”.
La zona renana, dalla Foresta Nera, dove il grande fiume nasce, fino al Mare del Nord dove sfocia, conobbe alla fine del Medioevo una fase di grande dinamismo economico e culturale.
Il Reno era una vera e propria autostrada per la sua navigabilità e con i suoi numerosi affluenti quasi tutti navigabili era una fitta rete viaria. Come nell’antichità il grande fiume riprese la sua importante funzione commerciale e insieme al Rodano i due fiumi erano stati per secoli nel mondo antico le vie del commercio fra mondo baltico e modo mediterraneo.
Ancora una volta il Reno assolse a questa funzione diventando una via di collegamento con la “Lega anseatica” e il cuore dell’Europa.
La Germania non era uno stato unitario, ma era segmentata, come l’Italia, in principati che dipendevano solo nominalmente dal potere centrale dell’Impero. Tra questi territori emergevano le città "libere", una sorta di “città-stato”, dotate di particolari concessioni che garantivano loro privilegi commerciali e un'ampia autonomia amministrativa.
Nel Trecento, ma di fatto anche prima, fra queste città era nata la “Lega anseatica”, un’associazione di città e di comunità mercantili, articolata in forma di federazione commerciale e difensiva, creata a metà del Trecento con sede a Lubecca e comprendeva città della Germania, oltre a insediamenti commerciali nel Mar Baltico, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Polonia, in Russia e in altri territori baltici.
Ben presto nelle città partecipanti si manifestò una cultura artistica e architettonica comune. Il cuore di questi centri era la “Piazza del mercato”, luogo simbolo delle attività cittadine, dove si affacciava il “Municipio”, edificio anch’esso simbolo del prestigio e della ricchezza locale. Nelle vicinanze si trovava poi spesso la cattedrale ovviamente gotica.
La loro architettura era caratterizzata da un esterno con mattoni a vista, anche negli edifici privati, mentre l'interno presentava di solito un'intonacatura a calce.
Per quanto riguarda la scultura, fu notevole la creazione di altari a scomparti, anche se purtroppo quello che ci è pervenuto è solo una parte minima della produzione originaria che fu invece vastissima.
Tornando sulle rive del Reno, in questa zona si sviluppò uno stile magico ed affascinante detto "stile cortese", “morbido”, “tenero”, l’aggettivo tedesco si può tradurre in vari modi, ma in ogni caso diverso dal drammatico ed espressivo Gotico che caratterizza generalmente l'arte tedesca.
Lungo questa valle lambita dal Reno c’erano importanti centri come Costanza, Basilea, ma il più attivo fu senz’altro Colonia dove esisteva, oltre a un florido commercio, una forte e dinamica committenza artistica sia laica sia religiosa. Fiorirono la scultura, la pittura, l'oreficeria, la miniatura. Le rappresentazioni erano spesso incentrate su immagini femminili sinuose ed eleganti, calate in atmosfere fiabesche.
Un dipinto emblematico dello sviluppo dello “stile cortese” in Germania è la “Madonna e santi nel giardino del Paradiso” [[1]], dipinto da un maestro anonimo che opera nella valle del Reno, il cosiddetto “Maestro dell'Alto Reno”, o “Maestro del Giardino del Paradiso di Francoforte”, un pittore, attivo nella regione nel primo quarto del Quattrocento, che deve il suo nome convenzionale, e si spera provvisorio, alla sua opera più famosa, il “Giardino del Paradiso”, conservata allo “Städel Art Institute” di Francoforte.


Questo maestro è particolarmente rappresentativo perché tutta la sua attenzione è concentrata sui minuziosi dettagli delle specie botaniche, degli strumenti musicali, degli uccelli variopinti.
È una graziosa tavoletta di non grandi dimensioni, misura infatti 26,3 x 33,4 cm databile intorno al 1410.
La collocazione di questo Maestro nella zona dell'Alto Reno, e più in particolare a Strasburgo in Alsazia, oggi gode di un ampio consenso tra gli storici dell'Arte in particolare per la presenza autenticata di altre due tavole, “La Natività della Vergine” e “Il dubbio di Giuseppe”, provenienti probabilmente da una grande pala, non più esistente, dedicata alla Vergine e dipinta per l'ex convento di Saint-Marc a Strasburgo, con il quale “Le Jardin de Paradis” mantiene somiglianze notevoli da poterne servire come prova.
Lo stile del “Maestro dell'Alto Reno” e le sue maniere lo rendono uno dei più alti rappresentanti del “Gotico internazionale”. Le forme sono chiare e raffinate e il gusto per i colori puri si riflette nella predilezione per il verde, il rosso, il blu e il bianco, eredi dell'eleganza e della grazia cortese. Ma a catturare l'attenzione è soprattutto la delicatezza con cui i personaggi sono rappresentati: visi da bambino con guance piene, bocche e menti piccoli, begli occhi finemente disegnati, teste piegate con grazia, mani dalle dita sottili, ecc. Contenuto e forma si uniscono per creare un'atmosfera morbida di contemplazione pacifica e meditazione serena.
Sebbene nessun documento consenta di definire con precisione i rapporti con gli altri pittori, lo stile del “Giardino del Paradiso” è segnato da un'evidente influenza della miniatura francese e la composizione della “Natività della Vergine” si dice direttamente ispirata da un affresco senese di Ambrogio Lorenzetti prodotto nel 1335 e oggi scomparso, ma probabilmente pervenuto a questo sconosciuto maestro tramite di una raccolta di disegni, o per opera di un seguace di Lorenzetti, come “Andrea di Bartolo”.
Inoltre, la cura dei dettagli, che dona a ogni personaggio una vera interiorità, anche se qualsiasi nozione di individualità sarebbe comunque assente, e la raffigurazione meticolosa della natura – piante e animali sono chiaramente identificabili nelle scene all'aperto – riflette la diffusione delle nuove idee dell'Umanesimo e del Rinascimento nella Renania all'inizio del Quattrocento.
I tentativi di identificare il pittore sono stati vani e la costituzione del corpus difficile. Sono ritenuti di mano del Maestro, oltre allo stesso “Giardino del Paradiso”, i due pannelli di Strasburgo, la “Natività della Vergine” e il “Dubbio di Giuseppe”, per i quali si è largamente acquisito un consenso. A questo gruppo di opere si aggiungono, meno certamente e i quattro pannelli della “Vita di Giuseppe”.
Al di là dei problemi filologici osserviamo la tavoletta del “Giardino del Paradiso” In un giardino fiorito e cinto da alte mura merlate, regna la Madonna, regina di questa corte, seduta presso un tavolo esagonale con cibi e bevande, mentre sfoglia un “Libro d'ore”. Sulla sinistra, una delle “Pie Donne” coglie frutti da un albero, in primo piano un'altra attinge dell’acqua con un mestolo d'oro alla “fontana della vita”, simbolo iconografico associato al battesimo, e la terza, forse “Santa Caterina d'Alessandria”, regge uno strumento musicale davanti a un Gesù Bambino, che lo sta suonando.
In primo piano sulla destra tre cavalieri, tengono una sorta di “sacra conversazione” e sorvegliano la piacevole scena: sono “San Giorgio”, identificabile dal drago morto riverso sotto di lui, “San Michele arcangelo”, con accanto una scimmia incatenata, simbolo del demonio domato, e “San Sebastiano”, addossato a un albero.
Questo dipinto è tra le realizzazioni più significative della pittura del “Gotico internazionale”, perché mostra l'attenzione degli artisti dell'epoca per i dettagli più minuti, sacrificando probabilmente la coerenza spaziale e la corretta disposizione compositiva delle figure: i personaggi sono infatti disposti in uno spazio non ancora dominato da un'impostazione logico-geometrica e tutta l'attenzione del pittore è dedicata ai minuziosi dettagli delle specie botaniche, degli strumenti musicali, degli uccelli colorati.
La scena sacra è solo un pretesto per mostrare un gruppo di giovani intenti alle più varie occupazioni di una corte: la lettura, la musica, la raccolta di frutti, la conversazione, l'abbeverarsi a una fresca fonte.
Il giardino murato, memoria dell’”hortus conclusus”, è pieno di fiori e di uccelli, rappresentati con notevole realismo ed è ricco di dettagli piacevoli ispirati al mondo cortese, come la scimmietta, la tavola imbandita, il giardino recintato con gli  iris e con altre piante da fiore.
Ma ora osserviamo in ordine, per quanto possibile cronologico, questi maestri, spesso anonimi, come l’autore di questa tavola, noto col nome convenzionale di “Maestro dell'alto Reno” forse tedesco, attivo intorno al 1410. Ma prima due parole ancora su questo ignoto artista, probabilmente dell'alto Reno e formatosi in Alsazia: a lui o alla sua cerchia si deve ancora attribuire una “Madonna delle fragole” [[2]] databile al 1425 circa e ora al “Museum der Stadt” di Soletta in Svizzera: la tavola prende nome dalla presenza delle fragole disseminate sul prato il cui rosso è un presagio della morte di Gesù.


Cronologicamente precedente e di rilievo si incontra “Bertram von Minden” noto come “Mastro Bertram” (1340 circa – 1414\15), uno dei più importanti pittori del “Gotico internazionale”.
Della sua formazione non si sa nulla di preciso: si ritiene che abbia imparato dagli artisti di corte dell'imperatore Carlo IV a Praga e alcuni storici dell'Arte attribuiscono la sua evoluzione stilistica a un presunto pellegrinaggio a Roma, ma è tutto troppo vago per essere attendibile. Esiste una sola certezza: questi “maestri” si muovevano molto e sono paragonabili in questo ai “mastri comacini” che prima e dopo il mille diffusero il verbo della costruzione in tutta l’Europa che risorgeva dopo secoli innegabilmente bui.
Sulla formazione di “Mastro Bertram” si possono dunque fare solo ipotesi: un possibile apprendistato a Minden in Renania, perché la cattedrale fu completata nel Trecento e doveva essere arredata. Poi Bertram, essendo un artigiano itinerante, può aver visitato grandi centri d'arte come Praga, sede dell'imperatore del “Sacro Romano Impero” Carlo IV, e, viaggiando lungo il Reno, visitò centri come Strasburgo in Alsazia e la città anseatica di Colonia. Nel 1367 fu menzionato per la prima volta come pittore ad Amburgo, la città porto sull’Elba, anch’essa parte dell’Hansa, ma doveva essere già noto anche come intagliatore di legno e come miniatore.
Mastro Bertram gestiva un grande laboratorio in cui pittori e intagliatori lavoravano per eseguire un'ampia varietà di ordini ed era assistito da due garzoni e due apprendisti. Per Amburgo e per gli amburghesi, lui e la sua bottega si sono occupati di incastonare, dipingere e di restaurare sculture, di miniare documenti e anche bisacce, nonché di un albero portacandele e di ciondoli e da Amburgo Bertram ricevette le più importanti commissioni artistiche dell'epoca, tra cui l'altare maggiore della “Chiesa di San Pietro”, la prima chiesa parrocchiale della città anseatica.
Quest’ancona d’altare è considerata la sua opera più importante e oggi è noto come “Grabower Altar” [[3]] che la tradizione vuole completato nel 1383.
Con le portelle aperte Bertram pose, su due registri di dodici dipinti ciascuno, diciotto scene tratte dalla “Genesi”, dalla “Creazione” fino alla “Storia di Isacco” e sei scene dell'”Infanzia di Cristo”, dall'”Annunciazione” alla “Fuga in Egitto”, al centro, sopra la predella, c’è la parte scolpita, collocata su due registri: in mezzo al cassone, la “Crocifissione”, tra due ordini sovrapposti di Profeti, Apostoli e Santi, posti in nicchie. Nei giorni non festivi, quando le ante erano chiuse, l'altare presentava una serie di scene dipinte ora perdute. Il complesso programma iconografico è stato attribuito a un teologo e giurista amburghese tale “Wilhelm Hoborch”.


In queste scene dalla tenue coloritura, le figure sono rese con una corporeità plastica, ma dalle proporzioni ancora piuttosto tozze.
Le opere di Bertram appartengono al “Gotico internazionale”, particolarmente popolare a Praga e a Strasburgo e per la grande affinità stilistica con i dipinti di “Mastro Theodorik” nel Castello di Karlstein, è possibile ipotizzare una linea di origine di mastro Bertram dalla pittura boema: per questo diversi storici dell'Arte considerano probabile che il più lungo soggiorno di Bertram sia avvenuto a Praga.
Non è trascurabile tuttavia un legame con l'arte della Vestfalia, che non può sorprendere dato il luogo di nascita di questo maestro: lo stile di Bertram è infatti attinente anche alla "Pala della Crocifissione" [[4]] di Osnabrück, realizzato da “Conrad von Soest” ed oggi custodito nel “Museo Wallraf-Richartz” di Colonia.


Le raffigurazioni di animali e di paesaggi nei dipinti di mastro Bertam mostrano anche una stretta vicinanza alla miniatura francese, che ha dato molto tono e molte dritte a tutto il “Gotico internazionale” tantoda poter immaginalre la miniatura l’arte guida. Dopo la morte di Bertram, un pittore di nome “Johannes” rilevò la sua casa e probabilmente fu anche il suo successore nella bottega amburghese.
“Conrad von Soest” originariamente “Conrad van Sost” (1370 circa – dopo 1422), era di Dortmund in Vestfalia cioè nella Renania settentrionale. Mastro Conrad fu principalmente un maestro di pittura su tavola e svolse un ruolo decisivo nell'introduzione del cosiddetto stile “cortese” del “Gotico internazionale” nella Germania settentrionale. La sua opera ebbe infatti effetti di vasta portata sulla pittura tedesca del Quattrocento.[[5]]


Le sue principali opere sopravvissute sono state influenzate dai manoscritti miniati francesi e da alcuni primi esempi a Parigi della prima pittura dei Paesi Bassi: la sua conoscenza dettagliata dei modelli e delle tecniche parigine lascia ipotizzare un soggiorno a Parigi negli anni Ottanta del Trecento.
L'“altare di Wildunger”, noto anche come “Pala della Crocifissione”, è una grande pala d'altare pieghevole, un tipo particolarmente diffuso nell'Europa centrale, in cui la teca fissa può essere chiusa da ante mobili. Quest’opera fu realizzata intorno al 1403 è l’elemento di maggior pregio nella “Chiesa evangelica” della città di Bad Wildungen ed è considerata un'opera fondamentale della pittura tedesca su tavola.
La pala è di grandi proporzione infatti aperta misura 189 × 611 cm. ed è costituita da tredici immagini dell'interno, mostra scene della “Vita della Vergine” e della “Passione di Cristo”, inclusa la più antica rappresentazione di vetri conosciuta a nord delle Alpi. Al centro della pala è raffigurata la “Crocifissione” sul cui retro è scritta una cronaca locale coeva piuttosto abrasa. Manca la predella su cui poggiava tutta la macchina.
Sul pannello laterale sinistro ci sono l'“Annunciazione” e la “Natività” in alto e a seguire l’ “Adorazione dei Magi” e l' “Offerta del bambino nel tempio”.
A sinistra della “Crocifissione” c'è l'“Ultima Cena”. A destra della grande immagine principale c'è la scena di “Gesù nell’orto degli ulivi”. Si prosegue sulla fascia destra con l' “Interrogatorio di Pilato” e accanto la “Flagellazione di Gesù”. 
In basso a sinistra accanto alla scena della Crocifissione c'è la “Resurrezione” e a destra l'“Ascensione”. Nell'ala destra ci sono le scene della “Pentecoste” e di “Cristo giudice del mondo”. Si dice che il consigliere teologico per il programma iconografico sia stato il cappellano “Conrad Stolle”, che lavorò a Wildungen intorno al 1400.
Lo stile e il tipo di altare di mastro Conrad sono propri della Vestfalia, ma basati sulla cultura figurativa francese mentre la scoperta dello spazio e della prospettiva sono dovute all'influsso della pittura borgognona.
Quest’opera ebbe una notevole influenza anche sulle regioni della Germania meridionale lungo il Reno.
Di “mastro Conrad” è anche Il “Marienaltar” [[6]], è un grande trittico con “Scene della vita della Vergine”, per la “Chiesa di Santa Maria” di Dortmund, datato intorno al 1420. Nel corso dei secoli la pala è stato più volte manipolata e oggi sopravvive solo come frammento. La lunetta e la predella della pala sono andate perdute.


Quest’opera è considerata un capolavoro del tardo gotico ed è uno splendido esempio dello “stile cortese”. La pala, concepita come un trittico, è l'ultima opera conosciuta del pittore e la completò poco prima della sua morte.
Originariamente era stata progettata come un’ancona d'altare con serratura, i pannelli all'esterno ora possono essere visti dal retro, ma in contrasto con l'interno, sono molto guasti.
Un grande protagonista, nel quale sono riconoscibili alcuni dei tratti più tipici del “Gotico internazionale”, fu “mastro Francke” (1380 circa – 1440 circa), noto anche come “frate Francke” perché apparteneva all’Ordine dei Frati Predicatori di Zutphen nei Paesi Bassi, quindi allo stesso ordine a cui apparteneva anche un altro frate pittore a lui contemporaneo, Beato Angelico.
A Parigi, mastro Francke studiò le “Arti liberali”, ma anche pittura nei laboratori dei miniatori: per ragioni stilistiche è infatti ipotizzabile la sua formazione in uno “scriptorium” parigino.
Il titolo di “maestro” ossia "Magister" attribuito a Francke suggerisce che abbia studiato teologia a Parigi e questo era perfettamente in linea con la tradizione dell'ordine domenicano di istruire i frati dotati, educandoli alla pittura e liberarli in cambio da altre mansioni. Secondo questa congettura, è anche possibile che frate Francke non abbia mai completato gli studi teologici e che il titolo di “maestro” non fosse dovuto un titolo universitario, ma fosse una specie di titolo onorifico.
Si stima che “mastro Francke” era giunto ad Amburgo intorno al 1420 al più tardi nel 1424 quando era entrato nel “Priorato di San Giovanni” ad Amburgo, che vi sia vissuto per circa una ventina d’anni, e che il suo sviluppo artistico sia stato un allontanamento dalla tendenza contemporanea: ad Amburgo, infatti l'arte di “mastro Francke” non aveva predecessori immediati, dal momento che “mastro Bertram”, precedente artista di spicco, era già morto intorno al 1415. “Maestro Francke” di lui non mostra quasi nessuna influenza, mentre potrebbe essere stato influenzato più dallo stile cortese di “Conrad von Soest”, di circa dieci anni più vecchio di “Maestro Francke”, che lavorò a Münster in Vestfalia. L'attività artistica di mastro Francke rimase inoltre anche senza un successore in città, sebbene il monastero domenicano fosse al centro di una fitta rete di relazioni delle varie forze socioeconomiche presenti in città. Ciò è evidente, tra l'altro, dal fatto che le “Confraternite dei Mercanti” in Inghilterra e nelle Fiandre possedevano cappelle nella Chiesa di San Giovanni, che oggi non esiste più come quasi tutto ad Amburgo: durante la notte fra il 27 e il 28 luglio 1943 ventuno chilometri quadrati della città furono infatti inceneriti dai bombardamenti inglesi. E questo succede in ogni guerra anche quando essa è “necessaria”.
“Maestro Francke” morì verosimilmente ad Amburgo, dove risiedeva alla fine della sua carriera.
“L'uomo dei dolori” [[7]] del 1435, appeso alla parete del coro nella chiesa principale di Amburgo, San Pietro e ora nella “Hamburger Kunsthalle”, è probabilmente l'ultimo dipinto creato dalla mano “mastro Francke”.



Di lui sopravvivono due polittici d'altare, dedicati uno a “San Tommaso di Canterbury” [[8]] molto frammentario e l’altro a “Santa Barbara” [[9]], questo fortunatamente conservato integro, caratterizzatati da uno stile intenso che mostra consapevolezza dell'arte della corte francese e della prima pittura dei Paesi Bassi.



Il Polittico di Santa Barbara del 1415, è una tempera su tavola di grandi dimensioni, oggi conservato al “Museo nazionale di Finlandia” di Helsinki e fu realizzato probabilmente per la Cattedrale del porto anseatico di “Turku” in Finlandia, con parti scolpite al centro, probabilmente opera della bottega del maestro scolpite su suo disegno, con il gruppo con la “Morte di Maria” e due rilievi in ciascuno dei lati interni degli sportelli con “Scene tratte dalla vita della Vergine”. Nelle doppie ante dipinte si trovano otto “Scene della vita di Santa Barbara”.

Le fonti si possono individuare sia nelle miniature francesi, sia nella pittura della Borgogna sia nell’ “Altare di Wildung” di “Conrad von Soest” per quanto attiene agli aspetti plastici.
Particolare importanza riveste la scena del “Tradimento e punizione dei pastori” [[10]] (91 x 54 cm.), considerata uno dei capolavori del “Gotico internazionale” europeo.
L'episodio narrato è quello di Dioscuro, padre di Barbara, e dei suoi aiutanti che stanno cercando con cattive intenzioni la fuggiasca Santa Barbara; fermatisi a chiedere informazioni a due pastori, essi vengono a sapere conoscenza della strada che essa ha preso. Per il tradimento della volontà divina dei pastori, le loro pecore furono trasformate in cavallette. Il pittore ha creato una scena surreale, dove ogni convenzione spaziale è abolita in favore di una nuova immediatezza narrativa. Dei due piani nei quali è composta la scena, il primo piano ha figure più piccole di quelle in secondo piano, oltre la cortina di alberi e rocce, che giganteggiano con la loro mole innaturale. La santa si trova in posizione defilata, ma è ben riconoscibile dall'aureola, sul lato destro, indicata sia dai pastori sia dal padre. Nel registro inferiore si vedono i due piccoli pastori, rappresentati con minuzia di particolari, che tradiscono la santa. La prodigiosa punizione del gregge trasformato in cavallette è rappresentata come in divenire, con la metà destra già trasformata in insetti; anche le cavallette, per convenzione espressiva, sono raffigurate grandi quasi quanto le pecore.
Altre scene sono dedicate alla fuga prodigiosa della santa, come quella del “Miracolo del muro” [[11]], che sorse improvvisamente per bloccare la strada al padre: anche in questo caso la santa è rappresentata mentre fugge serena in un'estremità del pannello, mentre in primo piano si vede il padre furioso che brandisce la spada e stringe il pugno.
Nel “Martirio di Santa Barbara” si vede la santa, col petto nudo, mentre è legata e torturata dai suoi aguzzini.

I mercanti amburghesi della Confraternita che operavano in Inghilterra commissionarono a “mastro Francke” la decorazione della loro cappella nella “Chiesa di San Giovanni” con la pala d'altare dedicata a “San Tommaso di Canterbury”, il santo che avevano eletto loro patrono in Inghilterra.
L'altare di Tommaso fu probabilmente eretto nel 1436, perché solo in quell’anno la cappella era diventata proprietà dei mercanti amburghesi in Inghilterra: prima infatti apparteneva alla Confraternita dei mercanti fiamminghi.
Sempre nel 1436, la confraternita mercantile tedesca fece erigere un “Altare della Trinità” nella chiesa domenicana di “Santa Caterina” a Tallinn in Estonia.
Il pannello di legno era stato portato ad Amburgo nel 1429 per essere dipinto lì da un "monaco nero", espressione presumibilmente riferita al mantello dell'abito domenicano. Il “monaco nero” molto probabilmente era il maestro Francke, ma appena 100 anni dopo, il 14 settembre 1524, la pala d'altare della Trinità fu distrutta nel corso dell'iconoclastia seguita alla Riforma protestante. I tre conventi domenicani di Tallinn, di Amburgo e Zutphen appartenevano tutti alla provincia domenicana della Sassonia.
Della “Pala d'altare di San Tommaso di Canterbury”, completata nel 1436, sopravvivono nella “Kunsthalle” di Amburgo solo nove pannelli che includono scene della “Passione”, della “Vita di Maria” e del “Martirio di San Tommaso Becket”, Arcivescovo di Canterbury. Questo santo era il patrono dei mercanti di Amburgo a Londra. Fu eretto probabilmente nella cappella di loro patronato della chiesa domenicana di San Giovanni ad Amburgo. La ricostruzione dei pannelli suggerisce che la pala d'altare fosse originariamente doppiamente visibile, con i pannelli più esterni tuttavia perduti. Alla prima apertura si potevano vedere le scene mariane e quelle di San Tommaso, che hanno lo stesso fondo rosso con stelle dorate. La seconda apertura dava una visione delle raffigurazioni della Passione su fondo oro. Le donne piangenti ai piedi della croce sono un frammento del pannello centrale, che un tempo mostrava una Crocifissione al centro.
“Mastro Francke” era un rappresentante del cosiddetto "stile cortese", in cui gli artisti si battevano per forme espressive più graziose e affascinanti in contrasto con le prime forme piuttosto rigide del gotico. “Mastro Francke” usava spesso questa dolcezza in uno stimolante contrasto con la rappresentazione cruda della violenza. La mimica facciale e i gesti dei suoi personaggi sono caratterizzanti. L’opera di “Mastro Francke” mostra approcci alla rappresentazione della profondità spaziale ed è caratterizzato dall'uso di colori forti e splendenti. Alcuni studiosi hanno tracciato controversi, come si è detto possibili parallelismi stilistici con la miniatura parigina del Quattrocento.
Dipinse figure molto originali, con le proporzioni rovesciate tra figure in primo e in secondo piano: si pensi alle famose Storie di santa Barbara dove in una scena dei cavalieri appaiono come giganti oltre la boscaglia mentre i contadini in primo piano sono molto più piccoli.
Nella sua arte si trova anche un forte risalto agli elementi più drammatici e truculenti, come nelle figure del Cristo dopo la passione, smagrito, deformato dal dolore e con il realistico sangue che cola ancora dalle ferite, oppure nelle scene di martirio, come quella di Tommaso Becket, dove non sono risparmiati i particolari più macabri, come la ricca veste vescovile macchiata dai fiotti di sangue delle ferite.
Probabilmente in area renana, o nell'estremo nord della Francia, si trovava la bottega del cosiddetto “maestro di Rimini”, specializzato nella produzione di sculture in alabastro durante l’ultimo quarto del Trecento e il primo del Quattrocento, poi esportate in tutta Europa.
Il “Maestro di Rimini”, detto anche “Maestro dell'Altare di Rimini” è uno scultore francese o fiammingo probabilmente di Tournai o di Lille, il cui floruit fu tra il Trecento e il Quattrocento. Questo artista fu titolare di una grande bottega di scultori attivi nella produzione di sculture in alabastro per commissioni diffuse in tutta Europa. Le sue opere oggi sono frammentarie e spesso decontestualizzate, al punto di rendere difficile la ricostruzione della sua attività, ma restano nel complesso di un livello qualitativo abbastanza elevato, quasi sempre i soggetti rappresentati sono caratterizzati da un'espressione colta e raffinata.
La sua origine e la sua attività si collocano al confine tra Francia e Belgio, non a caso nella regione di Arras, dove all'epoca fioriva l'arte della lavorazione dell'alabastro. Alcune considerazioni stilistiche suggeriscono che il laboratorio avesse sede a Tournai o Lille o nei dintorni. Altri studi, invece, hanno variamente legato la bottega alla Renania e ai Paesi Bassi, forse sintomo della concentrazione sotto un unico nome di figure di culture artistiche diverse. Il dettaglio più noto e più insolito della produzione di questo maestro è la presenza delle sue opere nei principali centri del nord Italia, per ragioni ancora incerte.
La ricostruzione della vasta e complessa produzione scultorea di questa bottega ruota attorno alla sua opera con la quale è identificato, l’“Altare della Crocifissione” [[12]] una volta a “Santa Maria delle Grazie” a Rimini e oggi alla “Liebieghaus” a Francoforte sul Meno, oltre ad altre opere italiane.

L'Altare della Crocifissione di Rimini è un gruppo scultoreo in alabastro, proveniente dal santuario francescano di Santa Maria delle Grazie a Rimini e oggi solo parzialmente conservato a Francoforte.
È considerata la più grande opera di questo misterioso maestro.
L'altare fu costruito intorno al 1430 per il santuario francescano di Rimini e rimase di proprietà del convento fino al 1910, quando i frati, per finanziare il rifacimento del tetto, dovettero venderla a un antiquario romano che a sua volta la vendette al museo tedesco, dove è ancora oggi conservata.
Il gruppo è costituito da un Crocifisso sul Calvario circondato dai dodici apostoli. L'attuale assetto museale, che colloca gli Apostoli divisi in due gruppi di sei, disposti in fila accanto alla Crocifissione, è puramente ipotetico e rappresenta solo un tentativo di ricostruzione.
Al centro è la Crocifissione, con il braccio verticale della croce particolarmente allungato, con alla base Maria Maddalena inginocchiata che abbraccia il “patibulum” della croce. Ai lati ci sono le croci dei due ladroni, molto più piccole. La croce di sinistra comprende alla base il gruppo di tre Marie con Longino, il soldato che trafisse il fianco di Gesù con una lancia, e un suo servo; la croce di destra comprende “Stefaton” che, secondo la tradizione medievale, offrì a Gesù la spugna imbevuta di aceto, un centurione e un giovane scalzo. Tra il gruppo di destra e la croce, isolato, c’è San Giovanni Evangelista.
Gli Apostoli, invece, sono tutti isolati gli uni dagli altri e caratterizzati ciascuno dai propri attributi iconografici.
Lo stato di conservazione delle parti superstiti è sostanzialmente buono, ma non c'è traccia della struttura che avrebbe dovuto contenerle. Un solo apostolo è senza testa.
La realizzazione delle sculture, nonostante l'affinità stilistica, suggerisce diverse concezioni stilistiche, perché gli Apostoli seguono un approccio consolidato e tradizionale, mentre il gruppo del Calvario appare molto più moderno. Si potrebbe immaginare che la parte centrale sia opera del maestro mentre le statue “a latere” siano opere degli allievi.
Gli apostoli hanno vesti quasi indistinguibili, costituite da una serie di tessuti piuttosto che da lunghi cappe, con grandi quantità di tessuti similmente drappeggiati. I volti sono abbastanza differenziati, ma le espressioni sono prive di individualità. In generale, gli Apostoli sono trattati in modo da apparire figure astratte e senza tempo, puramente simboliche nell'ambito della scena centrale.
Al Calvario, ogni figura è invece caratterizzata da una propria fisionomia che le conferisce il suo carattere peculiare. L'artista si serve della bruttezza per accentuare la cecità di Longino e la debolezza mentale del suo servo. Anche gli abiti degli spettatori della Crocifissione sono contemporanei all’epoca della realizzazione, dettagli che conferiscono alla scena centrale un'impronta incisiva di attualità e di realismo.
Non si sa se la bottega si sia trasferita in Italia cosa possibile ma è probabile che la bottega non si sia mai trasferita e che la sua produzione si sia specializzata in piccoli lavori, facili da trasportare, smontare e rimontare, e quindi destinati all'esportazione. Questo spiegherebbe perché tutte le opere ad essa relative sono piccole e perché sono disperse praticamente in tutta Europa, a prescindere dagli spostamenti che hanno subito nel corso dei secoli. Inoltre, l’iconoclastia operata nel Cinquecento, dopo la Riforma protestante nei paesi del Nord Europa, mai avvenuta nell'Italia della Controriforma, potrebbe essere all'origine di un pregiudizio e far credere che la bottega abbia lasciato più opere in Italia che altrove.

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