Nell’area franco fiamminga, fra il 1309 e il
primo decennio del Quattrocento, si creò un melting pot artistico nelle corti di
Avignone Parigi e Bourges, ma soprattutto in quelle di Digione e
successivamente di Bruges che videro la nascita della pittura fiamminga.
Come sempre è stato fondamentale procedere
cronologicamente, ma anche tenere conto della Geografia dell’Arte e dei cammini
che essa percorse (colgo l’occasione in questa sede di sottolineare una
mancanza piuttosto grave nella storiografia dell’Arte cioè quella della
Comparatistica).
Nel Trecento, diversamente dall’Italia dove
la pittura su tavola e a fresco godeva di una lunga tradizione già ben
consolidata e già con nomi eccellenti, nell’area nordica franco fiamminga difficilmente
si trova tal genere di opere.
A giudicare dal numero di dipinti su tavola
che precedono l'emergere dei “Primitivi Fiamminghi” (un termine questo coniato
nella seconda metà dell’Ottocento e usato non solo per loro, ma anche per i
pittori italiani) potrebbe quasi sembrare che questo movimento artistico sia
nato dal nulla, poiché del periodo precedente si sa molto poco.
Le ragioni di questa assenza sono
sostanzialmente due.
Da un lato il cambiamento della moda ha fatto
sì che tutto ciò che era avvenuto prima dei “Primitivi” era considerato ineluttabilmente
superato, pertanto, non essendo stato più curato, è andato perduto per incuria
dell’uomo. A questo va aggiunta quella sciagurata iconoclastia, nota in
olandese come “Beeldenstorm”, che portò alla deliberata distruzione di un
numero molto importante di opere.
Quest’ondata iconoclasta travolse i Paesi
Bassi tra agosto e ottobre del 1566: furono tre mesi di inaudite violenze
contro il clero e la chiesa cattolica durante i quali i calvinisti
distrussero centinaia di statue di chiese e di monasteri. In tre mesi fu
distrutto su larga scala gran parte del patrimonio artistico di immagini sacre
e di siti religiosi cattolici che, oltre alla distruzione di un ingente
patrimonio artistico, cancellò quasi del tutto le radici dell’Arte di quelle
regioni.
Non so come alcuni oggi pensino che questo
sia stato un vantaggio per l’Arte dei Paesi Bassi.
Mah, questione di punti di vista.
La conseguenza di questi due motivi è che,
oggi sono state conservate solo una trentina di opere catalogate come arte
pre-eyckiana, dieci delle quali si trovano nelle collezioni belghe.
Ecco perché per molto tempo è sembrato che le
innovazioni tecniche dei “Primitivi Fiamminghi” fossero nate dal nulla, ma
intanto, grazie allo studio delle poche opere conservate e alle corrispondenze
con l'Arte della miniatura, settore in cui si sono conservate molte più opere,
è possibile la conoscenza dell’Arte che si diffuse notevolmente prima dei
Primitivi.
La situazione era che in Francia e a Parigi,
centro d'arte per eccellenza nel Nord Europa, in quel periodo la pittura su
tavola era praticamente inesistente.
Le pareti delle cattedrali gotiche erano
dipinte, ma a parte l’uso di colori e di pennelli, che io sappia, non esisteva
nulla di minimamente paragonabile con l'Arte della pittura su tavola e quella
dell'affresco dell'Italia. C’erano sì bellissime vetrate policrome,
affascinanti decorazioni in pietra, eccelse modanature, ma nulla dell’“horror
vacui” delle cattedrali e dei santuari italiani.
Le ragioni della mancanza di tavole e di
affreschi in quell’area geografica non le conosco e mi trincero dietro il
pensiero in base al quale è possibile stabilire perché una cosa nasca, e non
perché non nasca.
L'arte della miniatura invece regnava sovrana
da quando dagli “scriptoria” monastici essa si era spostata ai laboratori
cittadini in cui i miniaturisti erano passati dalle rappresentazioni sublimate
della spiritualità romanica alla più ammiccante secolarità
dell'Arte gotica, ma sempre con grande misura.
Si osservi ora come un episodio della “grande”
politica internazionale ha condizionato la vicenda dell’Arte.
Nel 1309 il re di Francia Filippo IV il Bello
aveva fatto pressioni per trasferire la sede papale da Roma ad Avignone in
Provenza, facendo quindi del Papa un suo cappellano personale.
La presenza della corte papale
ad Avignone diede origine alla cosiddetta “Cattività avignonese” che
durò quasi un settantennio dal 1309 al 1376 e che tanta sofferenza produsse alla
anoressica visionaria Santa Caterina da Siena, ma che in quel momento portò più
vantaggi che svantaggi: i Papi infatti già da tempo evitavano di soggiornare a
Roma, perché la città non era sicura ed essi erano sempre sotto la pressione
delle famiglie romane sempre più rivali, se possibile, e sempre più prepotenti.
Ad Avignone i papi vivevano invece in condizioni più agiate e relativamente
tranquille e inoltre godevano di una cospicua rendita. Dove c’è denaro, si sa,
aumenta anche il bisogno di lusso e questo creò un clima estremamente
favorevole allo scambio culturale tra intellettuali e artisti di tutta Europa.
Francesco Petrarca per esempio risulterebbe incomprensibile se non si
considerasse la sua formazione e la sua permanenza presso la corte avignonese.
Nel 1335 incominciò poi la
costruzione di una nuova residenza ad Avignone. Il “Palazzo dei Papi”, la
cui costruzione impiegò più di mille persone e quasi vent’anni di lavoro. Era grandioso
e, di fronte ad esso, il “Palazzo in Laterano” quando i papi lasciarono Roma
era miserrimo e fatiscente, almeno così apparve a papa Martino V Colonna con
cui si concluse definitivamente lo “Scisma d’Occidente” e la sede papale tornò
a Roma con buona pace di Santa Caterina che aveva tempestato di lettere papa Gregorio
XI de Beaufort.
Non oso pensare cosa pensasse papa Gregorio
quando gli dicevano che era arrivata un’altra lettera di Caterina perché la
mistica gli scriveva delle lettere tremende, dicendogli cosa doveva fare,
sgridandolo quando non faceva la cosa giusta, minacciandolo di lamentarsi in Alto.
E il Papa doveva ascoltarla perché la Chiesa aveva accertato la veridicità di
questi colloqui mistici. Ma fu una pace che durò poco per lei perché un’altra
bufera si scatenava sulla Chiesa: il Grande Scisma d’Occidente.
Ad Avignone correva moneta e vi affluirono artisti italiani che diffusero la loro arte nel resto d'Europa, un’arte che prese il nome di “Gotico internazionale” perché internazionale era la corte in cui si era formata.
Dicono che di questa corrente sia stato “padre” Simone Martini (1284 – 1344).
Non so se questo è del tutto vero, ma è certo che Simone, erede del magistero di Duccio di Buoninsegna, incarnava con la cultura dell’aristocratica Siena, un’aristocraticità che ben si attagliava alle corti di allora e che si sviluppò attraverso tutto il “Gotico internazionale”.
Quando giunse ad Avignone nel 1340, Simone aveva cinquantasei anni e una grande carriera alle spalle. Conosceva bene anche le novità di Giotto e alla corte papale venne in contatto con l'arte dei miniaturisti francesi che lavoravano anch’essi per il Papa e per i dignitari della sua corte. Elaborò così uno stile caratterizzato dall'uso di forme morbide, stilizzate e fluide, proprie dell'eleganza cortese, elementi che probabilmente adottò dagli esempi della miniatura francese.
Proprio grazie a questa mescolanza di elementi stilistici italiani e francesi è possibile considerare Simone come “uno” dei fondatori del “Gotico internazionale”, uno stile che, come quello di Simone, è incline alle linee morbide e ritmiche, alle proporzioni slanciate delle figure e alla raffinata rappresentazione delle pieghe nei tessuti e negli abiti.
Ma quali sono le caratteristiche principali di questo stile?
La più importante era la sua “sovranazionalità”.
Fu come se tutte le tradizioni locali o nazionali che qua e là erano sorte in Occidente e tutti i linguaggi individuabili in una regione specifica fossero stati non azzerati, perché questo sarebbe impossibile, ma interrotti e piegati da un unico segno: un fenomeno che talvolta ricorre nella Storia dell’Arte, e penso ai vari “manierismi” che si sono verificati imponendo una koinè figurativa.
Fu un’Arte di corte e come tale raffinata, lussuosa, preziosa. Di qui è anche definita “Gotico cortese” che poi è la seconda importante caratteristica di questo stile.
Essa si distingue per il suo modo idilliaco e squisito di rappresentare il mondo cavalleresco con immagini di tono nostalgico, come sempre succede a una società che quasi avverte la propria fine, il suo autunno.
Le caratteristiche tecniche del Gotico internazionale sono la linea ininterrotta, flessuosa e morbida soprattutto nei ricchi panneggi che nascondono il corpo ignorandone la struttura, la tendenza al racconto all’atmosfera fiabesca, alla descrizione preziosa, alla rievocazione di gioie “cortesi”.
È lo stile dei miniatori dei romanzi di cavalleria tardo medievali che nella leggerezza dei colori delicatamente ombreggiati, trovano tanti riscontri nei frescanti delle corti lombarde dell’inizio del Quattrocento.
Questo stile era nuovo anche per il suo approccio con la natura, più realistico e dettagliato, e per lo sviluppo nell'uso della prospettiva.
Si osservino in tal senso i pannelli del Polittico Orsini di Simone, smembrato e diviso in varie collezioni museali che tanta scuola fece per i pittori operanti presso la corte avignonese.
Simone morì sessantenne nel 1344, ma in quei
quattro anni lasciò una fortissima impronta nell'Arte gotica francese. Lui e il
suo allievo Matteo Giovannetti realizzarono dipinti su tavola
e affreschi commissionati dalla corte pontificia per la decorazione
del “Palazzo dei Papi” a cui contribuirono artisti provenienti da tutta Europa
e fu una grande scuola per tutta l’Occidente.
Nel 1343 e forse anche prima, Matteo era
giunto anche lui ad Avignone, su richiesta di papa “Clemente
VI Roger” affinché collaborasse con Simone alla decorazione
del Palazzo e, dopo la morte di Simone, fu lui a dirigere
un'équipe internazionale di pittori.
Matteo fu il tramite tra il giottismo
d'impronta senese e la miniatura gotica francese, che aveva sviluppato modelli
propri in cui si dipingevano figure lisce ed eleganti con abiti disegnati con
linee fluide, che davano volume ai corpi delle figure rappresentate in
un'atmosfera fiabesca: questi modelli furono accolti e assimilati inseriti dai
due pittori italiani, che contribuirono a sviluppare un nuovo esempio di stile
legato sia a Giotto sia ai grandi scultori che avevano decorato i
portali delle grandi chiese gotiche d'oltralpe.
Giovannetti e Martini, e con l'apporto di un
altro italiano noto col nome convenzionale di “Maestro del Codice di San
Giorgio” e attivo ad Avignone e a Firenze, aprirono la stagione del Gotico
internazionale che esercitò molta influenza sui pittori dell'epoca
successiva in Boemia in Germania e anche in Italia.
Fra quelli italiani voglio ricordare “Gentile
da Fabriano” e “Lorenzo Monaco”, che ripresero quei temi aprendo la
stagione della pittura cortigiana che fu la più diffusa alla fine
del Trecento fino ai primi anni del secolo successivo finché non si
affermò il Rinascimento a Firenze.
Giovannetti ebbe anche il merito d'inserire, nel corpo dei suoi affreschi, uno dei primi esempi di pittura "profana" con le scene di caccia e di pesca della cosiddetta “Camera del cervo”. Questo cambio di registro fu applicato anche nei suoi cicli d'affreschi con le “Scene della Vita di San Marziale” nella cappella omonima del Palazzo dei Papi, dove, accanto alle scene di carattere sacro, inserì degli elementi naturalistici come i tralci di vite per suggerire un pergolato che sostituiva i fondi dorati o i cieli stellati della tradizione giottesca e con essi la riappropriazione dei modelli tardo antichi scomparsi dopo l'arrivo dello stile bizantino.
Massimo Capuozzo
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