giovedì 25 maggio 2023

Pagine stravaganti: Edward Hopper

Non ho mai capito il motivo per cui io senta un’attrazione, direi fatale, per un pittore americano che si chiama Edward Hopper, lontano come sono da quella cultura. Forse perché quando ero piccolo accompagnavo mio padre dal suo barbiere dall’irripetibile soprannome paesano, che a Natale regalava i celebri calendarietti profumati – un odore insopportabile e quanto mai resistente – che raffigurava immagini di pin up americane, che mi colpivano particolarmente per il modo con cui erano raffigurate.
Sembravano provenire da un altro mondo, da un mondo di donne vestite – poco in verità – diversamente da come vestivano mia madre e le mie zie e le signorine dell’asilo che malvolentieri frequentavo.
Fatto sta che quelle immagini dovettero esercitare un grande fascino su di me e probabilmente quelle atmosfere, quasi proustianamente, segnarono il mio successivo gusto per Hopper.
E proprio a proposito di barbiere mi piace ricordare un dipinto, ambientato in un negozio di barbiere un luogo nel quale era sorto il mio gusto per le atmosfere create da Hopper.
Oggi so di più su quest’artista, so che è notoriamente associato al movimento del realismo che si son presi anche la briga di definirlo sociale e che fu uno dei pittori più influenti della sua generazione.
Hopper è stato in grado di cogliere quelle che apparentemente sembravano semplici immagini e di dare loro uno scopo e un significato. L’artista ha catturato la vita della città e dei suoi abitanti, aprendo una finestra sull’esistenza delle classi sociali più basse. Il suo immaginario artistico è sorprendentemente semplice, ma non è mai semplicistico o squallido, ed espone la vita americana di tutti i giorni e ci permette di vedere paesaggi non solo di città e di campagna, ma anche interessanti paesaggi umani anticipando e anche in contemporanea con le opere di Kerouac.

Il negozio del barbiere del 1931, come gran parte delle opere di Hopper, ha un aspetto modernista: la rimozione del personaggio centrale e la totale assenza di sguardi incrociati fra i tre personaggi che figurano nella scena riflettono l'isolamento dell'uomo del Novecento, un isolamento che si aggrava nel nostro secolo, che non so dove ci porterà.
Il barbiere è decentrato sulla destra e in parte chiaroscurato dall'ombra di fondo, che sembra rendere protagonista la donna intenta alla lettura di una rivista, una manicure al suo tavolino con attrezzi di lavoro.
Come in una foto scattata all’improvviso, la neppure lei rivolge lo sguardo allo spettatore, ma è in preoccupata solo dei propri pensieri. E questo serve ad aumentare il senso di distacco dalla donna e ad accrescere il suo mistero per chi osserva.
C'è in qualche modo una contraddizione creata all'interno di questo dipinto, come nella maggior gran parte di quelli di Hopper.
Da un lato si vede un isolamento impersonale creato dai personaggi: non li comprendo fino in fondo per carpire il loro stato d’animo. Eppure dall’altro lato è proprio questo distacco che mi spinge a guardare più a fondo, e capire ciò che Hopper non lascia vedere.
Si deve guardare più volte e abbandonarsi alle sensazioni per scoprire il vero significato e trovare una storia in ciò che può sembrare piccolo e banale.
In questo realismo così apparentemente castrante si dà la stura all’immaginazione perché il realismo di Hopper trova il suo ubi consistam proprio nello spazio liminale fra reale e immaginario, fra rappresentazione e astrazione, fra fisico e metafisico. 
Prima mattina di domenica del 1930, l’opera che diede il via alla carriera di Hopper quando nel 1931 fu venduto al Whitney Museum of American Art, racchiude lo spazio liminale abitato dalle migliori opere di Hopper.
Hopper descrisse Prima mattina di domenica quasi una traduzione letterale in immagine della Settima strada riducendo però la strada di New York all'essenziale. Le scritte nelle insegne delle vetrine sono illeggibili, l'arredo urbano è genericamente abbozzato e la presenza umana è semplicemente suggerita dalle varie tende che differenziano gli appartamenti. Le lunghe ombre del primo mattino del dipinto nella realtà non sarebbero mai apparse su una strada come quella per come è ubicata.
Eppure proprio questi contrasti di luci e ombre e la successione di linee verticali e orizzontali, creano l'atmosfera carica, quasi teatrale, degli edifici vuoti in una strada disabitata di prima mattina.
I contrasti tonali e la costante ripetizione delle masse orizzontali e verticali, insieme all'offuscamento della segnaletica e dell'arredo urbano, creano le fondamenta di un'opera forte e astratta, anche se chi guarda è riportato a una realtà che è in qualche modo familiare nella rappresentazione degli edifici e dei negozi ma non può essere chiaramente individuata e compresa.
Anche l'affermazione di Hopper secondo cui il dipinto è una traduzione letterale della Settima strada è disorientante poiché l'illuminazione e l'architettura della strada non sono in linea con ciò che egli ha rappresentato in Prima mattina di domenica.
Può ricordare il metafisico De Chirico?
Forse sì.

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