mercoledì 4 ottobre 2023

I fiamminghi 3: prima di tutto il Rinascimento

Prima di delineare le varie voci del dibattito sulla pittura fiamminga, la cosiddetta questione fiamminga ritengo necessario chiarire il concetto di Rinascimento.
Che cosa è stato?
E poi.
È possibile adattare questo concetto all’Arte fiamminga?
Nel suo articolo del 1944, pubblicato nel volume Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale del 1960, lo storico tedesco americano Erwin Panofsky (1892-1968) definì il Rinascimento come "una rinascita dell'antichità classica, dopo un periodo di completa perdita delle tradizioni classiche".
Secondo una definizione più ampia, il Rinascimento fu “una fioritura universale di Arte, Letteratura, Filosofia, Scienze e delle conquiste sociali dopo un periodo di declino e stagnazione”. Anche questa definizione implicitamente presenta in modo negativo il Medioevo.
Secondo una terza definizione, apparentemente abbastanza facile da applicare e comunemente molto usata, “il Rinascimento è l’identificazione con un periodo di tempo”, vale a dire il Quattrocento e il Cinquecento.
Questa definizione, così semplicisticamente chiara, è però anche la più deviante delle precedenti, prima di tutto perché anche in Italia – dove nacque il fenomeno Rinascimento – questi due secoli subirono grandi trasformazioni tanto che cronologicamente se ne possono distinguerne due fasi, più analiticamente tre, forse anche quattro; a maggior ragione poi, se ci riferiamo al contesto europeo, i limiti cronologici del fenomeno conoscono ampie differenze sia tra le varie discipline sia tra le varie aree geografiche.
Il Rinascimento quindi non fu affatto un fenomeno unitario. E non poteva esserlo. Ciò di cui siamo certi è che il suo sviluppo coincise con l'inizio dell'Età Moderna.
E da qui sorge un’altra vexata quaestio.
Che cosa si intende per Età Moderna?
Difficile stabilire quando essa inizi, peggio ancora che cosa essa significhi tenuto conto che il termine deriva dal tardo latino modernus che deriva dall’avverbio modo che significa ora. Banalizzando al massimo la questione, possiamo dire che moderno è tutto ciò che non è né antico né medievale. Ma questo non soddisfa nessuno.
Il passaggio dal Medioevo alla Modernità fu un fenomeno “in divenire”, ma tutta la Storia è in continuo divenire: è solo una questione di ritmo più o meno veloce, perché essa si muove sempre anche quando sembra immobile. Questo passaggio fu segnato da fenomeni mai di breve, ma sempre di media e di lunga durata.
Ricordiamoli. Il consolidamento degli Stati europei non avvenne in un sol giorno e in certi casi, in Europa non sembra ancora del tutto compiuto: si ricordi la guerra nei Balcani e la guerra in atto dell’Ucraina. I viaggi transoceanici portarono l’Europa in contatto, e non solo pacifico anzi non lo fu quasi mai, con gli altri mondi fin allora sconosciuti come l’America e successivamente l’Oceania, dando origine al fenomeno della europeizzazione del mondo. Il disfacimento del feudalesimo avvenne in un processo secolare e non dovunque nello stesso tempo e neppure nello stesso modo, si pensi che la fine della servitù della gleba in Russia avvenne solo nel 1917. La crisi degli universalismi medievali – Impero e Papato –, comportò la nascita dei particolarismi gli Stati cittadini, regionali e nazionali. La fine dell’unità religiosa dell’Europa occidentale (la chiesa orientale già si era distaccata mezzo millennio prima) ebbe tempi di assestamento lunghi che si possono considerare conclusi forse solo con la fine della Guerra dei trent’anni nel 1648. La borghesia, una classe sociale prima esigua ed ininfluente, man mano diventò sempre più potente e determinante tanto da portare all’affermazione del capitalismo.
Come si può facilmente osservare, molti di questi fenomeni per la loro maggiore estensione nel tempo superarono di gran lunga la portata dei due secoli che oggi noi definiamo i secoli del Rinascimento.
Di solito gli storici occidentali nelle loro sintesi – sempre molto brutali ma sempre necessarie –, concordano sul fatto che la Modernità inizi dappertutto nell’Europa occidentale fra la metà del Quattrocento e quella del Cinquecento in base ad alcuni eventi particolarmente simbolici e precisamente collocabili nel tempo.
Ricordiamoli. La fine della Guerra dei Cent’anni nel 1453; l’invenzione della stampa a caratteri mobili in metallo nel 1455; la Caduta dell’Impero d’Oriente nel 1454; l’unificazione completa della Spagna con la caduta dell’ultimo emirato arabo e la scoperta dell’America, entrambe nel 1492; la Riforma protestante che incominciò nel 1517; la Controriforma cattolica che incominciò nel 1545.
Se dunque si fa una media di queste date si arriva al 1492, alla data cioè che più comunemente è indicata nei manuali di Storia come fine del Medioevo e inizio dell’Età Moderna.
Detto questo, ora passiamo al termine Rinascimento come tutti lo conosciamo. Si badi però che non è il termine rinascita che ha un’origine ben più antica.
Jules Michelet intitolò Rinascimento il settimo volume della sua Histoire de France, pubblicato nel 1855, e fu il primo a rappresentare il Rinascimento come un'epoca separata e come la nascita del pensiero moderno, per definire il vasto movimento culturale che ebbe luogo nell'Europa occidentale durante il Quattrocento e il Cinquecento e che era stato un periodo di transizione tra il Medioevo e gli inizi dell'Età Moderna.
Il concetto di transizione della fase rinascimentale, presente in tutte le più importanti scuole storiografiche europee è pienamente condivisibile, poco condivisibili sono invece i due concetti che serpeggiano nel suo pensiero: il primo è che il movimento abbia avuto come epicentro la Francia e il secondo è che il Rinascimento abbia avuto un rilievo maggiore in campo politico piuttosto che in campo artistico e culturale.
Contro il suo pensiero già Lucien Febvre aveva levato dettagliatamene le sue critiche. Certamente in politica il Rinascimento contribuì molto allo sviluppo dei costumi e delle convenzioni della diplomazia, e nel campo scientifico a una maggiore dipendenza dall'osservazione e dal ragionamento induttivo. Ma in ogni caso, sebbene il Rinascimento abbia visto rivoluzioni intellettuali importanti, come l'introduzione dei due moderni sistemi bancario e di contabilità, è sicuramente meglio conosciuto per i suoi sviluppi artistici e per i contributi di personalità poliedriche come Leonardo da Vinci e Michelangelo, che hanno ispirato il termine-mito di uomo del Rinascimento inteso nel senso di homo universalis.
È inoltre opportuno precisare qualcosa sull’origine del termine Rinascimento che Michelet usa in forma anglo francesizzata Renaissance, ma che semanticamente non è tuttavia nuovo.
Il concetto di rinascita era infatti già apparso per la prima volta nelle Vite degli artisti di Giorgio Vasari all’incirca nel 1550 quando l’artista e storico usò questo termine, per descrivere la frattura con la tradizione artistica medievale. Vasari a sua volta si basò anche sulla concezione che gli umanisti del Quattrocento avevano già accennato: Leon Battista Alberti in campo architettonico, e Lorenzo Valla in campo paleografico e filologico avevano infatti usato l’aggettivo gotico per indicare uno stile di barbari in cui essi non si riconoscevano.
Questo termine in seguito avrebbe perduto quest’accezione negativa e identificato lo stile di un’epoca, peraltro molto lunga nel tempo, estesa nello spazio europeo oltre che a suo modo molto modernizzatrice: il Gotico.
La teoria di Vasari, privata di certi eccessi ideologici, è ancora percorribile e ha un suo senso: per lui le arti erano decadute con il crollo dell'Impero Romano ed egli sosteneva inoltre, non senza campanilismo, che esse erano state salvate dagli artisti toscani a partire dal Duecento.
Sarebbe poi opportuno precisare per ragioni storiche, che il fenomeno umanistico ebbe un’origine prettamente italiana ed avvenne senza alcuna autoproclamazione di superiorità, ma solo come presa d'atto da parte di alcuni intellettuali che si stavano creando una nuova visione del mondo e che quest’ultima prese il via proprio nella penisola delle repubbliche e delle signorie.
Innegabilmente questo cambiamento fu un fenomeno solo elitario e, al di fuori di questa élite, la gente comune continuò a vivere come era sempre vissuta: nel Medioevo.
Dopo Michelet, con la sua attenzione prestata al periodo, l'altro storico che ha avuto grande influenza nel plasmare il concetto di Rinascimento è stato lo svizzero Jacob Burckhardt (1818 – 1897), che lo definì cronologicamente come il periodo intercorrente tra Giotto e Michelangelo, cioè dal Trecento alla metà del Cinquecento.
Nel suo concetto di Rinascimento Burckhardt evidenziò l'emersione del moderno spirito individualista che il Medioevo fino a quel momento aveva inibito.
È difficile non concordare con lui.
La sua opera più importante è La cultura del Rinascimento in Italia del 1860 e tradotta che, insieme al Die Geschichte der Renaissance in Italien del 1867, ha costituito il principale punto di partenza della storiografia sul Rinascimento.
Il libro, nonostante un'interpretazione solo politica e culturale del fenomeno e nonostante le attuali controversie sugli argomenti forniti, rimane tutt’ora una pietra miliare per lo studio del Rinascimento.
Con quest’opera, Burckhardt non diede solo inizio a una nuova visione del Rinascimento, ma anche a una nuova forma di storiografia, attenta a rilevare l’elemento tipico di un’epoca, il principio fondamentale che caratterizza, unifica e informa di sé tutte le sue manifestazioni. In pratica ripropose il principio della reductio ad unum caro ad Aristotele.
Sulla base di questa metodologia si deve a lui la prima interpretazione del Rinascimento come un’età in cui furono riscoperti e rivalorizzati valori come l’immanenza e l’individualismo e come una civiltà totale in cui l’uomo potesse sviluppare pienamente le sue capacità morali, intellettuali e artistiche.
Nella sua ricerca di modelli culturali specifici, Burckhardt riteneva che il passaggio dal collettivismo sociale e culturale medievale alla più individualistica età moderna potesse essere fatto risalire all'Italia del Trecento e del Quattrocento. Per lui la secolare lotta tra Impero e Papato aveva creato un vuoto politico e morale che aveva consentito la nascita di una concezione di Stato, moderno autocosciente, nonché all'emancipazione dell'individuo creativo dalla collettività.
Burckhardt vedeva la fase umanistica del Rinascimento, ossia quella del Quattrocento, come la rinascita dell'antichità classica e per l'uomo la riscoperta di se stesso e del mondo che lo circondava.
Nella sua indagine esaminava le cronache rinascimentali scritte da questi stessi umanisti, trascurate dagli storici che fin allora si basavano solo sulle fonti primarie, per esaminare il clima politico e culturale del periodo. E questo è stato un suo grande pregio, ma forse anche il suo limite perché il clima politico e culturale riguardava solo un’esigua minoranza: siamo però a metà Ottocento e i più scaltriti studi di Sociologia della Cultura erano ancora lontani da venire.
Il valore dell’opera di Burckhardt risiede proprio nell’aver considerato come artisti e studiosi rinascimentali valutavano se stessi e il loro tempo e per questo adottò l’idea del Rinascimento come rinascita dell’antichità classica, aggiungendo a questo le sue personali nozioni di nascita dell’individualismo e della modernità, allo stereotipo diventato ormai d’uso comune del recupero delle arti e delle scienze antiche.
Burckhardt ha sottolineato soprattutto i contrasti tra Medioevo e Rinascimento e ha considerato quest’ultimo la guida di un’alba nuova sorta per l'uomo: la modernità. Per questo descrive il Rinascimento italiano come il punto di frattura fra Medioevo e inizio della Modernità.
Gli storici oggi non accettano più questa versione così netta di una frattura col Medioevo e le loro argomentazioni si possono raggruppare in due categorie, valide tutte, ma tutte nate ex post. In primo luogo gli uomini del Rinascimento erano molto più tradizionalisti nei loro comportamenti, ideali e congetture, ed erano incardinati in comportamenti ancora medievali, anche se non sempre ne condividevano riti e miti. Gli studiosi francesi dell’Ecole des Annales obiettavano a Burckhardt che il Rinascimento fu un cambiamento elitario e che quindi non ebbe quell'impatto sulla società che lo storico gli attribuiva. In secondo luogo sostengono che il Rinascimento in Italia non fu un evento così straordinario: i medievalisti infatti sottolineano che un simile rinascimento aveva già avuto luogo nel IX secolo al tempo di Carlo Magno, che anche la Rinascita carolingia aveva visto una ripresa dell'interesse per i testi classici e che anche in quel caso c’era stata una notevole attività letteraria e artistica. Lo stesso valeva anche per la Rinascita ottoniana e per quella del XII secolo. Insieme a queste rinascite ricordo anche la rinascita teodoriciana nell’ultimo quarto del V secolo che non è sottovalutabile.
Tuttavia di fronte al continuo declino della cultura nel Medioevo nei suoi mille anni e più di durata, di rinascite ce ne furono, ma furono fenomeni circoscritti e di breve durata, mentre la rinascita che si attivò dalla seconda metà del Trecento non ha avuto più soluzione di continuità fino ad oggi.
È vero che Burckhardt ha creato un’immagine del Rinascimento come il brillante inizio dei tempi moderni e la fine dell'oscuro e incivile Medioevo che lo aveva preceduto. È anche certo che lo ha collocato solo nell’Italia del Quattrocento. E non c’è dubbio infine che il suo pensiero risenta di umori romantici, ma non per questo si può abolire il concetto stesso di Rinascimento da lui formalizzato.
Peter Burke, storico britannico della cultura e autore di numerose opere sul Rinascimento, pur contestando alcune posizioni di Burckhardt nel suo volume “Il Rinascimento” del 1987 tradotto, ritiene che, se noi oggi continuassimo a pensare il Rinascimento, come ha fatto Burckhardt e come è tutt’ora vivo nell’immaginario collettivo, cioè come una meraviglia culturale a sé stante o un'improvvisa comparsa dell'età moderna, avremmo sicuramente un’idea appiattita della Storia; se invece noi usiamo il termine e il concetto di ‘Rinascimento’ – che Burke ritiene tuttora valido –, per indicare un gruppo particolare di cambiamenti nella cultura occidentale, esso può essere visto come una classificazione ancora bene utilizzabile.
L’opera di Burckhardt rimane ancor oggi un punto di riferimento, soprattutto quando lo storico vede nel Rinascimento il ritorno della civiltà occidentale alle sue radici classiche, antropocentriche e non più teocentriche. Per lui infatti i due aspetti salienti del Rinascimento erano la visione secolare del mondo e l'autocoscienza dell'individuo.
In linea con lo scetticismo generale per le periodizzazioni stabilite dagli storici, il Rinascimento ha avuto una storiografia lunga, complessa e tormentata: nell’ampio e talvolta aspro dibattito tra gli storici che hanno reagito all’esaltazione ottocentesca del Rinascimento e dei singoli eroi della cultura e della politica, etichettati ironicamente eroi del Rinascimento, si è giunti perfino a discutere l’utilizzabilià del termine stesso e del suo uso come categoria storica.
Per queste forme di revisionismo, il termine Rinascimento ha rischiato di cadere in disuso tra gli storici tanto che alcuni ne hanno addirittura auspicato la fine, perché fuorviante e soprattutto perché vi hanno visto l'uso anacronistico della Storia come glorificazione degli ideali della modernità. Altri studiosi hanno anche dubitato che il Rinascimento sia stato un avanzamento culturale rispetto al Medioevo, altri infine lo hanno visto invece come un periodo di pessimismo e di nostalgia per l'antichità classica, mentre gli storici sociali ed economici dell’École des Annales, grandi sostenitori della teoria della lunga durata dei fenomeni sociali, ipotizzano invece un’assoluta continuità tra Medioevo e Modernità e sostengono che l'idea di una rivoluzione intellettuale o scientifica successiva al Rinascimento sia stata soltanto un mito. Nonostante i numerosi punti, anche interessanti dei sostenitori della tesi della continuità, la maggior parte degli studiosi sostiene ancora oggi la visione tradizionale di una rivoluzione scientifica iniziata nel Rinascimento riferendola al metodo induttivo di Leonardo, pur sostenendo che Medioevo e Rinascimento siano legati, come scriveva Panofsky, «da mille legami».
Perché niente nasce dal niente.
Il britannico Kenneth Clark come il tedesco americano Panofsky – e come loro anche tanta parte della scuola francese – hanno definito il Rinascimento un movimento della Storia europea, quindi non solo limitato all’Italia, e lo hanno associato al recupero della dignità della letteratura, della filosofia e delle arti dell'antichità greco-romana.
Il Rinascimento fu il risultato della diffusione delle idee dell'Umanesimo che, tutte insieme, determinarono una nuova concezione dell'uomo e del mondo con nuovi approcci nei diversi campi delle arti, della politica, della filosofia e della scienza, e che sostituirono l’interpretazione teocentrica medievale con quella antropocentrica moderna.
Sempre Peter Burke ha visto nel Rinascimento e nella sua nuova esaltazione della cultura antica – in Filosofia come in Arte e in Letteratura –, uno slancio in avanti che, con il suo nuovo e superiore mezzo di diffusione della stampa, con le grandi scoperte geografiche, con le sue riforme religiose e con il suo dinamismo economico inusitato fino allora e favorito da numerose innovazioni, ha soppiantato tutta la cultura dell'Europa tardo medievale, caratterizzata dall'Arte gotica, dall'ideale della cavalleria e dalla filosofia scolastica.
Questo slancio accompagnò anche un cambiamento nella rappresentazione e nella visione del mondo: in una prospettiva artistica europea, il Rinascimento significò infatti anche una rottura con l'unità stilistica e culturale dell’Occidente europeo che, fino a quel momento aveva avuto una visione sovranazionale, in politica come in arte. Quest’impulso al rinnovamento intellettuale si verificò dopo la cosiddetta crisi del tardo Medioevo, che incominciò con la Grande carestia del 1315-17 e giunse fino alla Peste nera che infuriò in Europa dal 1347-50, che spaccò a metà il Trecento e che infine diede luogo a un enorme cambiamento in tutti i settori della società in seguito al grave collasso demografico, alla forte instabilità politica e ai grandi sconvolgimenti religiosi.
Nel suo lavoro sul Rinascimento, lo studioso tedesco americano Panofsky condivise molto di Burckhardt e nella Storia dell'Arte occidentale fu un vivace sostenitore della periodizzazione sostenuta da Burckhardt difendendone la visione di Rinascimento come rottura con il Medioevo precedente.
Personaggi medievali come Dante, Petrarca e Boccaccio, Giotto e la scuola fiorentina, Duccio da Buoninsegna e la scuola senese, Nicola e la scuola pisana avrebbero per Panofsky guidato l'emergere di un clima spirituale nuovo, preparandone così il cammino, pur rimanendo essi stessi uomini del Medioevo.
Risalendo al problema delle origini, è opinione comune e inattaccabile che il Rinascimento, inteso come visione umanistica, sia incominciato a Firenze, uno dei tanti Stati dell’Italia di allora. Varie teorie sono state proposte per spiegarne le sue ragioni e le sue caratteristiche, che si sono concentrate su una varietà di fattori tra cui: le peculiarità sociali e civiche della Firenze dell'epoca, la sua struttura politica, il mecenatismo della famiglia dominante, i Medici che diedero vita a una cripto signoria, e non ultima la migrazione di studiosi greci e la diffusione dei loro testi in Italia dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi ottomani.
Accettata la nascita del Rinascimento in Italia, osserviamo anche quanto si dice a proposito della sua fuoriuscita oltre le Alpi, considerando un elemento fondamentale: la Geografia importa quanto la Storia in tutte le manifestazioni della Cultura. In base a questo si consideri ancora che neppure in Italia ci fu un solo Rinascimento, ma ce ne furono tanti quante furono le corti più importanti: Milano, Venezia, Genova, Ferrara, Mantova, Firenze, Urbino, Napoli, fervidi centri culturali e artistici nel Quattrocento a cui si aggiunse dall’inizio del Cinquecento svettando su tutti la Roma papale.
Come in Italia, anche il Rinascimento nordico – così impropriamente definito perché avvenuto a nord del Rinascimento italiano cioè a nord delle Alpi –, fu vario ed assunse caratteristiche diverse da regione a regione dell’Europa. Per questo è più proprio parlare di scuole con caratteristiche stilistiche proprie, dettate dalla peculiarità delle loro varie culture su cui il fenomeno rinascimentale si innestava. Dagli ultimi anni del Quattrocento, il Rinascimento italiano incominciò a diffondersi in tutta Europa e influenzò l’Arte e la cultura delle varie regioni: da quel momento diventò il Rinascimento – espressione però da usare cum grano salis – francese, spagnolo, tedesco, inglese, fiammingo, polacco e questi fenomeni, a loro volta, si svilupparono in altri movimenti più o meno nazionali e più o meno locali, ciascuno con attributi diversi, dovuti ai sostrati diversi che l’idea estetica rinascimentale italiana incontrava durante il suo percorso nelle diverse aree in cui si propagava.
Se invece ci si riferisce a quella parte di Rinascimento che chiamiamo Manierismo, allora sì che questa moda italiana ebbe un carattere internazionale come era già accaduto per il Gotico internazionale che era dilagato in Europa dal primo Trecento fino al Quattrocento e talvolta anche oltre.
In base ai tempi, la scuola toscana e quella fiamminga, che all’epoca corrispondevano alle aree commerciali e artistiche più avanzate furono le prime a contaminarsi con le loro rispettive differenze.
In Francia il Rinascimento apparve alla fine del Quattrocento con gli stessi i tratti caratteristici dell’Italia: sete di vita, spirito di libera ricerca e fiducia nell'Uomo. Anche il Rinascimento francese discusse molto la mentalità del Medioevo e cercò nuove forme di vita e di civiltà. Fu il periodo dei pittori e degli scultori utilizzati dai re, fra cui i mecenati più significativi furono Francesco I ed Enrico II. Questo è infatti il periodo francese di Leonardo da Vinci che concluse la sua vita in Francia nel castello di Cloux, ma è anche il periodo della creazione della Scuola di Fontainebleau e dell'arrivo a Parigi di Caterina de’ Medici nel Cinquecento e poi di sua nipote Maria, entrambe influenti regine di Francia. La prima fase del Rinascimento francese fu lo stile Luigi XII che in architettura definì il passaggio dallo stile gotico a quello primo rinascimentale, incidentalmente conseguente alle Guerre d’Italia di Carlo VIII e di Luigi XII che misero la Francia in stretto contatto con il Rinascimento italiano. Questo primo stile, tuttavia, declinò dal 1515, soprattutto nella Valle della Loira, dove la piena accettazione del Rinascimento italiano si fece sentire più rapidamente con Francesco I che importò il modello dell'Arte italiana, commissionando opere ad artisti italiani, tra cui lo stesso Leonardo, costruendo grandiosi palazzi con grandi spese e dando così inizio al vero e proprio Rinascimento francese, che si concluse come in Italia e altrove con la stagione del Manierismo.
Anche in Polonia, estrema propaggine cattolica nelle terre slave ortodosse, il Rinascimento fu importato direttamente dall'Italia da intellettuali e artisti fiorentini e talvolta anche dei Paesi Bassi, che diedero inizio al Rinascimento polacco. A Cracovia giunsero artisti di spicco dall'Europa occidentale e vi furono educate le menti più eccezionali: lì si formò il centro principale di sviluppo della cultura rinascimentale polacca per iniziativa del re Sigismondo il Vecchio che diede origine all'Arte rinascimentale polacca.
Nell’Arte inglese, il Rinascimento si sviluppò rachiticamente e faticosamente tra l’inizio del Cinquecento e del Seicento: si diffuse molto lentamente e il suo culmine avvenne durante l'età elisabettiana, (1558 - 1603). Il Rinascimento in Inghilterra fu molto diverso da quello italiano perché la letteratura e la musica furono le forme d'arte dominanti, mentre le arti figurative furono molto meno importanti.
Nei Paesi Bassi invece gli scambi commerciali con l'Italia di città, come Gand e Bruges nel Quattrocento e Anversa nel Cinquecento, aumentarono senza interruzioni e con essi aumentò anche lo scambio culturale, ma nell'Arte, e soprattutto nell'architettura, le influenze tardo gotiche rimasero fino all'arrivo del Barocco, anche se i pittori si ispiravano sempre più a modelli italiani, pur continuando a mantenere le loro forti peculiarità per tutto il Quattrocento mentre nel Cinquecento si diffusero sempre più i cosiddetti romanisti.
Come molti umanisti in Italia, anche molti umanisti tedeschi furono interessati alla rinascita delle arti figurative: gli impulsi umanistici plasmarono anche la nuova pittura di paesaggio di Albrecht Altdorfer e quella di più ampio respiro di Albrecht Dürer. Anche il grande laboratorio di pittura di Lucas Cranach era strettamente legato a intellettuali umanisti. Occorre ricordare però che il Rinascimento nordico fu anche strettamente legato alla Riforma protestante e ai conseguenti conflitti interni ed esterni, quelli tra i variegati gruppi del Protestantesimo, e quelli con la Chiesa cattolica romana, conflitti che si protrassero fino al 1648 quando il Rinascimento era ormai superato. Le guerre di religione che incendiarono l’Europa ebbero effetti duraturi nel tempo anche in campo artistico per la riluttanza nei confronti dello splendore e del fasto del Rinascimento italiano.
Anche il Rinascimento spagnolo presenta una graduale influenza del movimento artistico e culturale ispirato all'antichità classica. Il nuovo orientamento umanistico nel 1470 ricevette un pieno impulso per diversi eventi storici che si succedettero nel giro di pochi anni. La nuova estetica, apprezzata subito dal potente duca di Mendoza, fu introdotta nella corte e nel clero, mescolandosi con gli stili puramente iberici, come l'arte nazarí del morente regno di Granada, il gotico esaltato e personale della regina Isabella e lo stile fiammingo che si diffuse nella penisola iberica grazie ai matrimoni dei rampolli dei duchi di Borgogna con infanti e infante dei regni di Portogallo e di Spagna: questi legami dinastici, nel corso del Cinquecento si sarebbero ulteriormente intensificati e uniti con la casa d’Asburgo. Inizialmente l’influsso dell'Italia nei regni iberici avvenne più sommessamente ma poi andò sempre aumentando: gradualmente artisti meno famosi cominciarono a essere chiamati dall'Italia, contemporaneamente apprendisti spagnoli furono inviati in botteghe italiane e sempre maggiormente furono importati disegni, progetti, libri, incisioni, dipinti e quant’altro.
Il pensiero rinascimentale è stato caratterizzato da tre aspetti principali: la rivalutazione della natura, la riscoperta dei classici; la centralità dell'essere umano.
In campo artistico le prime manifestazioni relative al rinnovamento furono la ricerca della prospettiva, la formulazione delle regole della prospettiva lineare centrica, che organizzava lo spazio unitariamente intorno a un centro, il ritorno alla bellezza classica e lo studio della figura umana.
La caratteristica principale della pittura rinascimentale è la naturalezza delle raffigurazioni: la realtà doveva essere rappresentata infatti senza le deformazioni e le simbologie che avevano caratterizzato il Romanico e il Gotico e, sotto il profilo espressivo, l'immagine doveva essere sempre l’interpretazione della realtà.
La rappresentazione prospettica si doveva applicare anche nelle opere scultoree, attraverso la ricerca della profondità.
L’attenzione all'uomo come individuo, nella fisionomia, nell'anatomia e nella rappresentazione delle emozioni.
La diffusione della pittura a olio e l’uso della tela furono due importantissime innovazioni entrambe importate dalle Fiandre.
La rinnovata ricerca sulla scultura in bronzo e sul calcestruzzo nell’architettura.
Il rifiuto degli elementi decorativi e ritorno all'essenzialità.
Massimo Capuozzo

1 commento:

  1. Che bella pagina di storia, di cultura, di osservazioni preziose sul Rinascimento!

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