domenica 26 novembre 2023

Il Realismo. Champfleury e Courbet: l’Impressionismo - quinto racconto

Prima di procedere con il racconto su Gustave Courbet è opportuno spendere qualche riga su Jules Champfleury (1821 – 1889) un poliedrico personaggio che ebbe un ruolo molto importante nella vicenda artistica del Realismo in Francia, anticamera necessaria ma scomoda dell’Impressionismo, e nello specifico di Courbet.
Jules Champfleury, classe 1821, era un personaggio superimpegnato sulla scena culturale di Parigi dagli anni Quaranta agli anni Sessanta dell’Ottocento: drammaturgo, scrittore di racconti e di romanzi, ma anche prolifico giornalista e critico d'arte, cosa che in questa sede maggiormente ci interessa. Grande amico di Victor Hugo (1802 – 1885), di Gustave Flaubert (1821 - 1880), di George Sand (1804 – 1876), di Charles Baudelaire (1821 – 1867), che era suo coetaneo, Champfleury fu un grande ammiratore di Balzac e un gran nemico dei fratelli Jules ed Edmond De Goncourt con i quali scambiò velenosissimi strali.
Anche Champfleury era un ragazzo di provincia. Era di Laon e aveva idee molto chiare: studente poco brillante non perché poco dotato, ma perché riteneva le materie scolastiche inefficaci, motivo per cui formò la sua cultura quasi da autodidatta, cosa che da professore mi sento paradossalmente di condividere pienamente. Sono di gran lunga più copiose le cose che ho cercato e imparato da solo che quelle apprese fra i banchi sebbene fra i banchi ho ricevuto un metodo di studio e di ricerca.
Pubblicò dapprima racconti satirici, in seguito apprezzati ed elogiati da Hugo che lo proclamò un autentico realista.
Come molti giovani ambiziosi, anche l’intraprendente Jules, appena diciassettenne, se ne andò via dalla sonnolenta provincia e trovò lavoro a Parigi come commesso in una libreria. Da subito incominciò a cercare e a frequentare circoli intellettuali e artistici. Purtroppo per lui questo primo soggiorno fu piuttosto breve, perché fu richiamato dal padre a Laon per motivi di lavoro.
Nel 1843, ventiduenne se ne tornò a Parigi dove si stabilì definitivamente. Lavorava sodo per occupare un proprio spazio nel campo letterario.
Da solo e con la sua inossidabile intraprendenza si costruì una rete di amicizie che gli permettessero di ottenere proficue collaborazioni editoriali in una sfida che per lui era economica e culturale: i suoi articoli gli procurano un certo reddito e suscitarono in lui la speranza anche di un riconoscimento letterario.
Nel 1846 nell’ambito della polemica sul Salon nacque la sua amicizia con Gustave Courbet (1819 – 1877) in parte indotta dal suo interesse per le immagini e in parte dal suo rapporto con la cultura popolare, perché aveva intuito, sia pur confusamente, che la vena migliore dell’amico pittore era la realtà.
Dal 1848 al 1865, questa amicizia guidò in modo significativo l'evoluzione estetica di Champfleury e dello stesso Courbet e lo condusse alla formulazione delle sue ‘teorie sul realismo’.
Per lui l'opera di Courbet presentava i tratti propri dell'Arte popolare: un metodo basato sull'osservazione della realtà nei suoi più modesti dettagli, sulla scelta di soggetti umili e ordinari, sulla semplicità e sulla sincerità di uno stile che non pretendeva di nascondere la realtà sotto le mentite spoglie della forma o dell'idea.
Il frutto di queste riflessioni è contenuto in una gran bella testimonianza che colloco in nota e che considero il primo nucleo della sua teoria del realismo: è una pagina che ci fa respirare l’atmosfera della Parigi artistica intorno alla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, gli stessi anni in cui videro la luce Madame Bovary del 1856 e Les Fleurs du Mal del 1857, due pietre miliari della cultura europea.
Si tratta di una lettera che Champfleury inviò alla sua amica George Sand a settembre del 1855, di cui consiglio vivamente la lettura [1].
Champfleury iniziò la sua ascesa letteraria sviluppando il suo interesse per la letteratura, per le canzoni e per le immagini popolari: nel 1851 intraprese una serie di recensioni in cui riuscì a sviluppare le sue riflessioni nella Revue de Paris e nell'Athenaeum, collaborò in modo sostanziale con la rivista mensile Le Réalisme, pubblicata a Parigi dal luglio 1856 al maggio 1857, dedicata alla critica letteraria e artistica e sulle cui pagine pubblicò un manifesto a favore della vera arte in campo letterario e artistico. Quando nel 1857 pubblicò la raccolta di articoli dal titolo Le Réalisme, la sua teoria era ormai già nota sebbene intendesse svilupparla ulteriormente.
Anche Champfleury, uno degli amici più fedeli di Courbet, parlò del gruppo di Rue Hautefeuille e definì la birreria Andler Brewery come il tempio del Realismo.
Un altro testimone, amico e difensore di Courbet fu Jules-Antoine Castagnary (1830 – 1888), di cui avrò modo di parlare in seguito proprio a proposito dell’Impressionismo. Castagnary negli anni Sessanta dell'Ottocento riferì che, fuori dal suo studio bottega, fu in quella birreria che Courbet “prese contatto con il mondo esterno".
Torniamo ora al tempio del realismo.
Con la rivoluzione che rimbombava, Courbet era al centro dell'effervescenza artistica e politica. Alla birreria Andler Brewery suonava il violino, si legò ad artisti che volevano proporre una terza via da percorrere in alternativa e in opposizione a quella del Romanticismo e a quella dell’Accademismo: si trattava delle menti più brillanti di questo cambiamento in campo artistico.
Sotto l'impulso di Champfleury, Courbet pose le basi del proprio stile, che egli stesso definì realismo, utilizzando un termine che aveva coniato il suo gruppo, constatando di fatto che questa pittura era già sotto i loro occhi non bisognava fare altro che trascriverla.
La grande rivoluzione del 1848 scoppiò alla metà di marzo, poco prima dell'apertura del Salon. Luigi Filippo abdicò al trono, fu proclamata la Seconda Repubblica e questo comportò anche l’abolizione della tremenda giuria di ammissione al Salon: tutti gli artisti furono autorizzati a esporre nel Palazzo Reale del Louvre ribattezzato in quella circostanza Museo Nazionale.
L’abolizione della giuria ebbe però un effetto devastante perché il Salon fu letteralmente invaso da opere di qualità molto variabile con reazioni molto polemiche da parte del pubblico.
La recensione del Salon che Théophile Gautier pubblicò su La Presse ignorò per lo più la pittura di paesaggio, forse a causa dei numeri esorbitanti.
Il critico iniziò con la scultura dell'eroina francese del Quattrocento Jeanne Hachette che brandisce l'ascia, subito seguita dal nudo femminile in marmo di James Pradier Nyssia (1790–1852), tratto da Re Candaule, un racconto dello stesso Gautier.
Fig. 1
Poi Gautier si lanciò nella pittura con un lungo elogio delle opere di Delacroix, di cui la Deposizione di Cristo era la più importante.
Fig. 2
L’opera del romantico Théodore Chassériau (1819 – 1856) ricevette molta attenzione da parte di molti critici. Gautier trovò interessanti anche i dipinti di Hesse e Schnetz che erano stati commissionati da Luigi Filippo per il Museo di Storia francese di Versailles, in particolare per la Sala delle Crociate.
Gautier ammirò molto la luce e il colore del Setacciatore del grano di Millet, ma fu meno entusiasta dell'altro dipinto dell'artista in mostra, un'ambiziosa opera storica in seguito ridipinta, che rappresenta la Prigionia degli ebrei a Babilonia: da quel momento Millet abbandonò il genere storico.
Fig. 3
Fig. 4
Gautier citò ancora il dipinto di Rosa BonheurIl bestiame di cui quello che oggi conosciamo potrebbe essere una versione successiva o una copia della stessa pittrice.
Fig. 5
La mostra tuttavia risultò logisticamente disastrosa con troppe opere stipate in spazi inadeguati e il grande numero di opere mediocri peggiorò le cose.
Nel mese di giugno del Quarantotto però non era più il caso di continuare a pensare al Salon: le vicende politiche a Parigi stavano degenerando. Courbet partecipò agli eventi relativamente da lontano: aveva infatti dovuto raggiungere Ornans da Parigi come meglio aveva potuto, per partecipare al funerale del suo amatissimo nonno materno, morto il 13 agosto.
A Ornans preparò con vigore le sue prime tele nello spirito di fervore del suo nuovo modo di concepire l’Arte.
Le elezioni di dicembre del 1848 portarono alla presidenza Luigi Napoleone Bonaparte (1808 – 1873).
Nel marzo 1849 Champfleury, diventato ormai il mentore di Courbet, redasse per il pittore l'elenco delle undici opere proposte per il Salon di quell’anno e Baudelaire ne compilò le lettere che accompagnavano la spedizione.
Sei dipinti e un disegno furono selezionati da una giuria, ora eletta dagli stessi artisti. Di queste opere Un dopo cena a Ornans gli valse una medaglia d'oro e il suo primo acquisto da parte dello Stato.
Fig. 6
Questa grande tela gli assicurò la fama, e fu un formato di grandi dimensioni che Courbet avrebbe adottato anche in futuro.
Tra i nuovi arrivati ​​nell'entourage di Courbet, nel 1849 si aggiunse anche Pierre-Joseph Proudhon (1809 – 1865) in un'amicizia tutta in divenire, nata probabilmente dalla visita che a ogni costo il pittore aveva voluto fare al carcere di Sainte-Pélagie dove il filosofo era recluso per aver offeso il Presidente della Repubblica e dove Courbet in seguito si sarebbe autoritratto.
Il 17 giugno 1849 si svolsero violente manifestazioni nella capitale e, Courbet, che aveva appena compiuto 30 anni, decise di tornare a Ornans, dopo la mostra, finalmente autorizzata, ma il cui andamento annunciava solo la rabbia e il furore della critica reazionaria e mentre più di 30.000 soldati si stabilivano in città e mantenevano il coprifuoco.
Il 31 agosto Courbet partì  e quando arrivò a Ornans, in paese fu celebrato come un eroe. Suo padre lo trasferì in un nuovo studio. Il 26 settembre iniziò Gli spaccapietre poi a dicembre cominciò il dipinto Un funerale a Ornans.
Fig. 7
Fig. 8
Come sarebbe stato bello vivere a Parigi in quegli anni! Era come vivere al centro del mondo in formazione.
                                                Massimo Capuozzo
____________________________________________
[1] Giulio Champfleury – Lettera a Madame Sand
In questo momento, signora, vediamo a due passi dalla Mostra di Pittura, in Avenue Montaigne, un cartello con scritto a caratteri cubitali: REALISMO. G. Courbet. Mostra di quaranta dipinti del suo lavoro. È una mostra alla maniera inglese. Un pittore, il cui nome è esploso dalla Rivoluzione di febbraio, ha scelto le tele più significative del suo lavoro e si è fatto costruire uno studio.
È un'audacia incredibile, è il rovesciamento di tutte le istituzioni attraverso la giuria, è l'appello diretto al pubblico, è libertà, dicono alcuni.
È scandalo, è anarchia, è arte trascinata nel fango, sono i cavalletti della fiera, dicono gli altri.
Confesso, signora, che la penso come i primi, come tutti coloro che rivendicano la più completa libertà in tutte le sue manifestazioni.
Giurie, accademie, concorsi di ogni genere, hanno più volte dimostrato la loro impotenza a creare uomini e opere. Se esistesse la libertà del teatro, non vedremmo un Rouvière obbligato a recitare Amleto davanti ai contadini, in una stalla, facendo sorridere l'ombra del vecchio Shakespeare, che si crederebbe, nell'Ottocento, a Londra, a rappresentare le sue commedie in un covo della Città.
Non sappiamo cosa muoia di geni sconosciuti che non sanno piegarsi alle esigenze della società, che non sanno domare la loro ferocia e che si suicidano nelle segrete della convenzione. Il signor Courbet non c'è ancora: dal 1848 espone, ininterrottamente, ai vari Salon, tele importanti che hanno sempre avuto il privilegio di riaccendere discussioni. Il governo repubblicano gli acquistò addirittura una tela importante, ‘Dopo cena a Ornans’, che ho rivisto al Museo di Lille, accanto agli antichi maestri, e che occupa un posto d'onore tra le opere consacrate.
Quest'anno, la giuria è stata avara di spazio all'Esposizione Universale dei giovani pittori: l'ospitalità è stata così grande nei confronti degli uomini accettati dalla Francia e dalle nazioni straniere, che la gioventù ne ha sofferto poco. Non ho molto tempo per andare ai laboratori, ma mi sono imbattuto in tele scartate che, in altri tempi, avrebbero sicuramente avuto un legittimo successo. Il signor Courbet, forte nell'opinione pubblica, che da cinque o sei anni gioca intorno al suo nome, sarà stato offeso dai rifiuti della giuria, caduti sulle sue opere più importanti, e si è appellato direttamente al pubblico.
Il seguente ragionamento è stato riassunto nel suo cervello: sono chiamato realista, voglio dimostrare, con una serie di dipinti noti.
Non contento di costruire uno studio, di appendervi le tele, il pittore lanciò un manifesto, e sulla sua porta scrisse: realismo.
Se le rivolgo questa lettera, signora, è per la curiosità viva e piena di buona fede che lei ha dimostrato per una dottrina che prende forma giorno per giorno e che ha i suoi rappresentanti in tutte le arti. Un musicista tedesco, il signor Wagner, le cui opere non sono note a Parigi, fu duramente maltrattato nelle gazzette musicali dal signor Fétis, che accusò il nuovo compositore di essere viziato dal realismo. Si dice che tutti coloro che portano nuove aspirazioni siano realistici. Vedremo certamente medici realistici, chimici realistici, produttori realistici, storici realistici. Il signor Courbet è un realista, io sono un realista: siccome lo dicono i critici, lo lascio dire. Ma, con mia grande vergogna, confesso di non aver mai studiato il codice che contiene le leggi con l'aiuto delle quali il primo arrivato è autorizzato a produrre opere realistiche.
Il nome mi fa orrore con il suo finale pedante; temo le scuole come il colera e la mia più grande gioia è incontrare individui ben definiti. Ecco perché il signor Courbet è, ai miei occhi, un uomo nuovo.
Lo stesso pittore, nel suo manifesto, disse poche ottime parole: "Il titolo di realista mi fu imposto come il titolo di romantico fu imposto agli uomini del 1830. I titoli, in nessun momento, davano un'idea corretta di cose: se così fosse, le opere sarebbero superflue."
Ma lei sa meglio di chiunque altro, signora, che città singolare sia Parigi in termini di opinioni e discussioni. Il paese più intelligente d'Europa contiene necessariamente il maggior numero di incapacità, metà, terzo e quarto dell'intelligenza; dovremmo anche profanare questo bel nome per vestire questi poveri chiacchieroni, questi stupidi ragionatori, questi disgraziati che vivono di giornali, questi curiosi che scivolano in fila che si sono buttati nelle lettere per miseria o per pigrizia, infine, questa folla di inutili che giudicano, ragionano, applaudono, contraddire, lodare, adulare, criticare senza convinzione, che non sono la folla e che si definiscono la folla.
Con dieci persone intelligenti, si potrebbe risolvere completamente la questione del realismo; con questa plebe di critici ignoranti, gelosi, impotenti, escono solo parole. Non definirò, signora, realismo, non so da dove venga, dove vada, cosa sia. Omero sarebbe un realista, poiché osservava e descriveva accuratamente i costumi del suo tempo.
Omero, non ne sappiamo abbastanza, fu violentemente insultato come un pericoloso realista. "In verità", dice Cicerone parlando di Omero, "tutte queste cose sono pure invenzioni di questo poeta, il quale si compiaceva di abbassare gli dei alla condizione degli uomini; sarebbe stato meglio elevare gli uomini a quella degli dei.
"Cosa diciamo ogni giorno sui giornali?
Se avessi bisogno di altri esempi illustri, non avrei che da aprire il primo volume di critica, perché oggi va di moda ristampare in volume l'inutilità settimanale che si pubblica sui giornali. Vedremmo lì, tra le altre cose, che il povero Gérard de Nerval è stato portato a una tragica morte dal realismo. È un gentiluomo dilettante che scrive tali miserie; i tuoi drammi elettorali sono contaminati dal realismo.
Contengono contadini. Qui sta il delitto. In tempi recenti, Béranger è stato accusato di realismo.
Come le parole possono guidare gli uomini!
Il signor Courbet è un fazioso per aver rappresentato in buona fede borghesi, contadini, donne di paese a grandezza naturale. Questo era il primo punto. Non vogliamo ammettere che uno spaccapietre valga un principe: la nobiltà è presidiata dal fatto che tanti metri di tela sono concessi alla gente comune; solo i sovrani hanno il diritto di essere dipinti a figura intera, con le loro decorazioni, i loro ricami e i loro volti ufficiali. Come? Un uomo di Ornans, un contadino chiuso nella sua bara, si permette di radunare al suo funerale una folla considerevole: contadini, gente di basso ceto, e questa rappresentazione ha lo sviluppo che lo stesso Largillière aveva il diritto di dare ai magistrati che andavano a la Messa dello Spirito Santo *. Se Velasquez ha fatto grandi cose, sono stati i grandi signori di Spagna, infanti, infante; c'è almeno la seta lì, l'oro sui vestiti, le decorazioni e le piume. Van der Helst ha dipinto i borgomastri a tutta altezza, ma questi grossi fiamminghi si salvano con il costume.
Sembra che il nostro costume non sia un costume: mi vergogno davvero, signora, a soffermarmi su tali ragioni. Il costume di ogni epoca è regolato da leggi sconosciute, igieniche, che scivolano nella moda, senza che quest'ultima se ne accorga. Ogni cinquant'anni, i costumi vengono sconvolti in Francia; come volti, diventano storici e curiosi da studiare, singolari da guardare, come gli abiti di una tribù di selvaggi. I ritratti di Gérard, del 1800, che potevano sembrare volgari in linea di principio, assumono in seguito una svolta e una fisionomia singolari. Quello che gli artisti chiamano costume, vale a dire, mille sciocchezze (piume, mosche, aigrette, ecc.), possono divertire per un momento le menti frivole; ma molto più interessante è la rappresentazione seria della personalità attuale, i cappelli tondi, gli abiti neri, le scarpe verniciate o gli zoccoli dei contadini.
Possono concedermelo, ma diranno: Il tuo pittore manca di ideali. Risponderò a questo fra poco, con l'aiuto di un uomo che ha saputo trarre dall'opera del signor Courbet conclusioni piene di grande buon senso.
I quaranta dipinti di Avenue Montaigne contengono paesaggi, ritratti, animali, grandi scene domestiche e un'opera che l'artista intitola: ‘Real Allegory’. A colpo d'occhio, è possibile seguire i progressi compiuti nella mente e nel pennello del signor Courbet. Soprattutto è nato pittore, vale a dire, nessuno può contestare il suo robusto e potente talento di lavoratore: attacca una grande macchina con impavidità, può non sedurre tutti gli sguardi, alcune parti possono essere sciatte o goffe, ma ognuno dei suoi quadri è dipinto. Invoco soprattutto i pittori fiamminghi e spagnoli. Veronese, Rubens, saranno sempre grandi pittori, a qualunque opinione si appartenga, a qualunque punto di vista si adotti. Quindi non conosco nessuno che pensi di negare le qualità del signor Courbet come pittore.
Il signor Courbet non abusa della sonorità dei toni, poiché il linguaggio musicale è stato trasportato nel dominio della pittura. L'impressione dei suoi dipinti sarà tanto più duratura. È dominio di ogni opera seria non attirare l'attenzione con inutili echi: vivrà ancora una dolce sinfonia di Haydn, intima e domestica, di cui parleremo con scherno delle numerose trombe di M. Berlioz. I lampi di ottoni nella musica non significano altro che i toni rumorosi nella pittura. I maestri la cui tavolozza è infuriata e contiene lampi, toni rumorosi sono goffamente chiamati coloristi. La gamma [cromatica] del signor Courbet è tranquilla, imponente e calma; anche io non sono stato sorpreso di trovare, consacrato ora per sempre nella mia mente, il famoso ‘Seppellimento di Ornans’, che fu il primo colpo di cannone sparato dal pittore, considerato un rivoltoso nell'arte. Quasi otto anni fa stampai sul signor Courbet, un uomo sconosciuto, frasi che annunciavano il suo destino: non le citerò, non mi interessa essere il primo ad avere ragione più che indossare le mode di giorno di Longchamps. Indovinare gli uomini e le opere dieci anni prima della maggioranza, pura faccenda del dandismo letterario che fa perdere molto tempo. Nelle sue molte critiche, Stendhal stampava, nel 1825, verità audaci, che lo facevano soffrire troppo. Ancora oggi, è ancora in anticipo sui tempi. "Scommetterei, scrisse a un amico nel 1822, che tra vent'anni suoneremo, in Francia, Shakespeare in prosa". Trentatré anni fa, e, molto certamente, signora, non avremo questo godimento durante la nostra vita. Il signor Courbet è lungi dall'essere accettato oggi, lo sarà certamente prima di qualche anno.
Non sarebbe recitare la parte del ficcanaso scrivere, tra vent'anni, che avevo indovinato M. Courbet?
Il pubblico non si preoccupa molto degli asini che ragliano quando la musica di Rossini è eseguita in Francia; lo spirituale, l'amoroso Rossini fu trattato ai suoi inizi con la stessa scarsa considerazione del signor Courbet. Molti insulti sono stati stampati sulle sue opere come sulla sepoltura.
Che senso ha avere ragione? Non abbiamo mai ragione.
Due badili di villaggio dalla faccia rossa, due sacchi di vino, serviranno da tema per quelle riviste letterarie di cui vi parlavo prima; metterli in contrasto, nello stesso quadro, con i graziosi bambini, il gruppo di donne, le dolenti, belle nel loro dolore come tutte le Antigoni dell'antichità, è impossibile avere ragione.
Il sole splende a mezzogiorno sulle rocce, l'erba è allegra e sorride ai raggi, l'aria è fresca, lo spazio è grande, si riscopre la natura delle montagne, se ne respirano i profumi; arriva un burlone che, per aver tratto la sua educazione e la sua arguzia dal ‘Journal pour rire’, metterà in ridicolo le ‘Demoiselles de village’.
La critica è un brutto mestiere che paralizza le facoltà più nobili dell'uomo, le spegne e le annienta: perciò la critica ha reale importanza solo nelle mani di illustri creatori: Diderot, Goethe, voi, Madame, Balzac, e altri, che preferiscono bagnarsi fibre entusiaste ogni mattina piuttosto che annaffiare i cardi che ogni critico tiene chiusi alla finestra in un brutto vaso.
Ho trovato, in avenue Montaigne, queste famose bagnanti, più piene di scandali che di carne. Sono passati due anni da quando questo famoso clamore si è spento, e tutto quello che vedo oggi è una creatura solidamente dipinta che ha commesso il grave errore, per gli amici del convenzionale, di non ricordare le Veneri Anadiomene dell'antichità.
Il signor Proudhon, nella ‘Filosofia del progresso’ (1853), giudicava seriamente le Bagnanti: "L'immagine del vizio come della virtù è tanto nel dominio della pittura quanto della poesia: a seconda della lezione che l'artista vuole dare, ogni figura, bella o brutta, può adempiere allo scopo dell'arte."
Qualsiasi figura, bella o brutta, può soddisfare lo scopo dell'arte!
E il filosofo continua: «Il popolo, riconoscendosi nella sua miseria, impari ad arrossire per la sua viltà e a detestare i suoi tiranni; l'aristocrazia, esposta nella sua grassa e oscena nudità, riceva, su ogni suo muscolo, la flagellazione del suo parassitismo, della sua insolenza e della sua corruzione». Passo poche righe e arrivo alla conclusione: "E che ogni generazione, depositando così sulla tela e sul marmo il segreto del suo genio, giunge ai posteri senza altra colpa o apologia che le opere dei suoi artisti". Queste poche parole non ci fanno forse dimenticare le stupidaggini che non dovremmo né ascoltare né udire, ma che infastidiscono come una mosca insistente nel suo ronzio?
‘L'atelier del pittore’, di cui si parlerà intensamente, non è l'ultima parola del signor Courbet. Sedotto dai grandi maestri fiamminghi e spagnoli che, in ogni tempo, hanno raggruppato intorno a sé la loro famiglia, i loro amici, i loro mecenati, il signor Courbet ha voluto provare a lasciare questa volta il dominio della pura realtà: vera allegoria, dice nel suo Catalogo. Sono due parole che giurano insieme, e che mi turbano un po'. Bisogna fare attenzione a non piegare il linguaggio a idee simboliche che il pennello può tentare di tradurre, ma che la grammatica non adotta. Un'allegoria non può essere reale, non più di quanto una realtà possa diventare allegorica: la confusione è già abbastanza grande su questa famosa parola ‘realismo’, senza che sia necessario confonderla ancora di più.
Il pittore è al centro del suo studio, vicino al cavalletto, intento a dipingere un paesaggio, allontanandosi dalla tela in posa vittoriosa e trionfante. Una donna nuda è in piedi vicino al cavalletto. Poserà in questo paesaggio? Questo è ciò che sembra strano. A due passi dal pittore c'è un piccolo contadino che dà le spalle al pubblico, di cui non si vede il volto e la cui pantomima è così espressiva che si intravedono gli occhi, la bocca. Questo piccolo contadino è la figura migliore del dipinto. È piuttosto sconcertato nel vedere su una tela questi alberi dopo i quali si arrampica, questa vegetazione su cui si rotola, queste rocce su cui passa il suo tempo al sole, inseguendo i nidi.
A destra, una donna di società a braccetto con il marito viene a visitare il laboratorio, il suo bambino gioca con le stampe. (È proprio sicuro il signor Courbet che un bambino piccolo di un ricco borghese entrerebbe in uno studio con i suoi genitori quando c'è una donna nuda lì?) Poeti, musicisti, filosofi, amanti, occupano ciascuno a modo suo durante il lavoro del artista. Tanto per la realtà.
A sinistra, mendicanti, ebrei, donne che allattano, becchini, pagliericci, un bracconiere che guarda con disprezzo un cappello piumato, un pugnale, ecc. (defunti del romanticismo senza dubbio), rappresentano l'allegoria, vale a dire che tutti questi personaggi delle classi inferiori sono quelli che l'artista ama dipingere, traendo ispirazione dalla miseria dei miserabili. Tale è, grosso modo, la sostanza di questo quadro, al quale preferisco, da parte mia, il ‘Seppellimento di Ornans’.
Molti saranno, secondo me, i primi negazionisti di M. Courbet; ma non ho paura di schierarmi momentaneamente con loro, mentre spiego i miei pensieri. Nel campo delle arti è consuetudine mettere fuori combattimento i vivi con i morti, le nuove opere di un maestro con le sue vecchie. Coloro che, all'inizio, avranno più gridato contro la ‘Sepoltura’, saranno necessariamente quelli che oggi la loderanno di più. Non volendo confondermi con i nichilisti, devo dire che colpisce il pensiero del Sepolcro, chiaro a tutti, che è la rappresentazione di una sepoltura in un piccolo paese, e che tuttavia riproduce le sepolture di tutte le piccole città.
Il trionfo dell'artista che dipinge le individualità risponde alle intime osservazioni di ciascuno, sceglie, in tal modo, un tipo che ognuno creda di averlo conosciuto e possa esclamare: "Quello è vero, io ho visto!" Il ‘Seppellimento’ possiede queste facoltà al massimo grado: commuove, addolcisce, fa sorridere, dà da pensare e lascia nella mente, nonostante la tomba semiaperta, questa suprema tranquillità condivisa dal becchino, tipo grandioso e filosofico che il pittore seppe riprodurre in tutta la sua bellezza di uomo del popolo.
Dal 1848 il signor Courbet ha il privilegio di stupire la folla: ogni anno ci si aspettano sorprese, e finora il pittore ha risposto agli amici come ai nemici.
Nel 1848 il ‘Dopo cena a Ornans’, grande dipinto d'interni di famiglia, ottiene un vero successo senza troppe polemiche. È sempre così agli inizi di un artista. Poi vennero gli scandali successivi:
1° scandalo . — La sepoltura a Ornans (1850).
2° scandalo . - Le fanciulle del villaggio (1851).
3 ° scandalo. — Le bagnanti (1852).
4° scandalo . - Realismo. — Mostra privata. - Manifesto. — Quaranta dipinti esposti. — Combinazione di vari scandali, ecc. (1855).
Ora, di tutti questi scandali, preferisco il ‘Seppellimento’ a tutte le altre tele, per il pensiero che vi è racchiuso, per il dramma completo e umano dove il grottesco, le lacrime, l'egoismo, l'indifferenza, sono trattati come un gran maestro. ‘La sepoltura di Ornans’ è un capolavoro: dopo l'assassinato Marat di David, nulla, in quest'ordine di idee, è stato dipinto in modo più sorprendente in Francia.
Les Baigneuses, les Lutteurs, les Casseurs de pierre, non contengono le idee che siamo stati bravi a metterci a posteriori. Lo ritroverò di più in Les Demoiselles de village e nei tanti paesaggi che dimostrano quanto M. Courbet sia legato alla sua terra natale, alla sua profonda nazionalità locale e al vantaggio che ne può trarre.
Ripetiamo ancora una volta questa vecchia barzelletta: viva il brutto! è amabile solo il brutto, che si mette in bocca al pittore; è sorprendente che si osi raccogliere una tale assurdità, che è stata lanciata, già trent'anni fa, alla testa del signor Victor Hugo e della sua scuola. Sempre il sistema della vecchia tragedia rinascerà dalle sue ceneri. I progressi sono molto lenti e abbiamo fatto pochi progressi per trent'anni.
Quindi è dovere di tutti coloro che lottano aiutarsi a vicenda, attirare se necessario l'ira dei mediocri, essere saldi nelle loro opinioni, seri nei loro giudizi, e non imitare la prudenza del vecchio.
La mia mano è piena di verità, mi affretto ad aprirla.
Questa lettera, signora, è solo l'annuncio di alcune altre lettere che trattano più direttamente delle nuove idee che si respirano e che cercherò di fissare, applicandomi soprattutto a quelle relative alla letteratura.
Ho criticato un po' ‘L'Atelier du painter’, anche se c'è un vero progresso nello stile del signor Courbet: senza dubbio trarrà beneficio dall'essere visto più tranquillamente in altri momenti. La mia prima impressione è stata tale, e generalmente credo alla mia prima impressione. Pettegolezzi, commenti, recensioni di giornali, amici e nemici, poi turbano il cervello a tal punto che è difficile trovare il pensiero nella sua prima purezza: ma sopra l'impressione, metto le opere misteriose del tempo, che demolisce un'opera o lo ripristina. Ogni opera piena di convinzione è trattata con amore dal tempo, che passa la sua spugna solo sull'inutilità della moda, delle graziose imitazioni del passato e delle opere di convenzione.
Se c'è una qualità che il signor Courbet possiede al massimo grado, è la convinzione. Non puoi negarlo più del calore al sole. Cammina con passo sicuro nell'arte, mostra con orgoglio da dove è partito, dove è arrivato, somigliando in questo al ricco fabbricante che aveva appeso al suo soffitto gli zoccoli che lo avevano portato a Parigi.
Il Ritratto dell'Autore (studio dei Veneziani), come egli stesso dice nel suo catalogo, Testa di fanciulla (pastiche fiorentino), il Paesaggio Immaginario (pastiche fiammingo), infine l'Affût, che l'autore si intitola piacevolmente Studio landscape, sono gli zoccoli con cui arrivò da Ornans e che gli servirono per rincorrere la natura.
Queste poche tavole appartengono al dominio della convenzione; che passi da gigante ha fatto il pittore da allora per lasciare questo paese amato dai pittori del quartiere di Bréda! Sicuramente avrebbe ottenuto successo in questo paese, se avesse avuto la pigrizia di rimanervi, e avrebbe ingrossato la popolazione di un centinaio di artisti di talento, il cui successo è così grande alle vetrine dei mercanti di quadri di Rue Notre-Dame Dama di Lorette.
Che mestiere facile fare cose belle, tenere, graziose, preziose, falsi ideali, cose adatte all'uso delle ragazze e dei banchieri! Il signor Courbet non ha seguito questa strada, guidato peraltro dal suo temperamento. Così il signor Proudhon gli annunciò il suo destino nel 1853.
Il pubblico, ha detto, vuole che lo facciamo bello e crede che sia così.
"Un artista che, nell'esercizio del suo studio, seguisse i principi dell'estetica qui formulati (ricordo l'assioma precedente: ogni figura bella o brutta può adempiere allo scopo dell'arte), sarebbe trattato come sedizioso, espulso dalla competizione, privato degli ordini statali e condannato a morire di fame".
Questa questione della bruttezza in relazione a Les Baigneuses, il filosofo l'ha trattata da un luogo elevato. Sa quanto peso ha il morale sul fisico. Il caricaturista Daumier ha visto il fatto dal lato grottesco. Gli eterni borghesi che ha immortalato con la sua matita e che vivranno i secoli in tutta la loro bruttezza moderna, esclamano guardando un quadro del signor Courbet: "È possibile dipingere persone così orribili?" Ma soprattutto i borghesi, che abbiamo troppo denigrato è necessario collocare una classe più intelligente, che abbia tutti i vizi della vecchia aristocrazia senza averne le qualità. Intendo i figli dei borghesi, una razza che ha approfittato delle fortune di medici, avvocati, mercanti, che non ha fatto nulla, non ha imparato nulla, che si è buttato nei circoli di gioco, che ha la mania dei cavalli, dell'eleganza, che tocca tutto, anche la scrittura scrivania, che compra anche un'amante e un quarto di giornale, che vuole comandare donne e scrittori, è in vista di questa nuova razza che il filosofo Proudhon concludeva le sue valutazioni sul signor Courbet: "Il magistrato, il soldato, il commerciante, il contadino, tutte le condizioni della società, vedendosi alternativamente nell'idealismo della loro dignità e della loro bassezza, imparino, per gloria e per vergogna, a rettificare le loro idee, a correggere i loro costumi e perfezionare le loro istituzioni».

Nessun commento:

Posta un commento