mercoledì 12 aprile 2023

Viaggio nel ducato di Borgogna: Filippo l'Ardito e il Benelux

È giunto il momento di conoscere il mio Anfitrione, in questo viaggio ideale nello “Stato” della Borgogna e nel Gotico internazionale di quella regione.
Ma prima voglio fare delle considerazioni sulla sua preveggenza. Non che fosse un indovino, ma certamente era un uomo lungimirante come i suoi tre discendenti ed Henry Pirenne oggi me ne darebbe atto.
Mi è spesso capitato che, studiando approfonditamente qualche personaggio storico, mi sia affezionato a lui sentendolo come un amico. Mi è capitato tante volte e mi è successo anche con Filippo, principe di Francia che come me amava l’Arte e soprattutto perché la sua lungimiranza e la sua modernità sono straordinarie.
Amo oggi partire dal dove e da un mio ricordo.
Quando si studiava la Geografia europea in Seconda Media, dopo i Paesi confinanti con l’Italia, si studiava la penisola Iberica con i suoi due, anzi tre Stati, e poi si studiava una regione d’Europa che aveva allora per me uno stranissimo nome: il “Benelux”. Allora quasi tutti quelli che andavano a scuola studiavano le pagine che ci assegnavano da imparare perché di rado i Prof. spiegavano la Geografia, troppo presi com’erano dal Latino dall’Analisi logica da quella del periodo e dall’Odissea quella tradotta da Ippolito Pindemonte con costruzione diretta e parafrasi riempiendo pagine e pagine di quaderno.
Noi undicenni, abituati come eravamo al concetto apparentemente semplice di “Stato”, che fra l’altro spesso confondevamo con quello di “nazione” senza troppe complicazioni, ci trovavamo di fronte a un consesso di Stati più o meno piccoli che avevano qualcosa di vagamente unitario e di economicamente comune, e non era una Confederazione come la Svizzera, ma ciascuno Stato conservava una propria dignità nazionale che per me si traduceva con le tre bandiere diverse che lo rappresentavano.
Difficile capire a quell’età una cosa così complicata nella quale entrava l’Economia che ancora non era diventata la teologia dei giorni nostri.
Ora che sto studiando l’Arte fiamminga e olandese – e preferisco distinguerle, nonostante la matrice comune -, mi sono imbattuto in un personaggio di tutto rilievo che ha avuto a che fare con quell’area e mi è tornata immediatamente alla mente la parola “Benelux”, oggi per me meno misteriosa.
E ho approfondito a dovere quel concetto, come sa fare solo uno che non ha l’obbligo di studiare, ma che può percorrere liberamente i sentieri della conoscenza spinto dalle proprie curiosità.
Il personaggio è un Duca, quello di Borgogna per la precisione, il cui pronipote mancò di un soffio la creazione di un altro stato in Europa, proprio una sorta di Benelux del Quattrocento.
Com’è strana la Storia!
A volte con pause di secoli si riannodano fili che potevamo credere spezzati per sempre come questa vicenda del Duca di Borgogna e della sua dinastia mezzo millennio fa e dell’odierno Benelux. Vicende che si presentano con aspetti solo apparentemente diversi.
Ma partiamo dall’inizio di questa storia.
Non dalla notte dei tempi né dal Big Bang, ma da poco successivamente – poco si fa per dire perché si tratta di miliardi di anni – quindi da quando il nostro pianeta ha assunto la sua attuale configurazione.
Di istinto ho sempre avvertito un fascino per i Paesi Bassi come per il Portogallo e per l’antico Ducato di Amalfi i cui popoli, stretti e costretti dal mare, hanno saputo trarre un vantaggio proprio da ciò che maggiormente li limitava. Oggi si usa un termine orribile per l’uomo: la resilienza che, estesa alle necessità economiche, ha assunto il valore di una schiavitù senza molti diritti in nome della resilienza. Un traslato proveniente dalla fisica, che sta bene là e che invece oggi è ideologicamente utilizzato in tutta la sfera sociologica.
Il Regno di Portogallo stretto dal potente vicino iberico, il Ducato di Amalfi e i Paesi Bassi stretti da un territorio ostile, il primo per la presenza di montagne a volte impervie e spesso a picco sul mare, i secondi con un mare che tenta sempre di avanzare e potrebbe inondarli per 2\5, e che a volte ci è tragicamente riuscito: entrambi territori esigui, buona parte dei quali strappati dall’operosità dell’uomo ai monti nel Ducato di Amalfi grazie ai suoi acrobatici terrazzamenti e al mare nei Paesi Bassi grazie alle sue spericolate dighe.
Il nome stesso di Paesi Bassi – che sarebbe meglio tradotto Nederlandia, in assonanza con Groenlandia, o Neerlanda, in assonanza con Irlanda e Islanda, o Nederterra, in assonanza con Inghilterra piuttosto che con Olanda, una sineddoche che individua solamente una delle sette regioni, anche se la più importante, di quelle che costituiscono lo Stato – fornisce la prima indicazione, proprio fisica, della loro peculiarità: i Paesi Bassi, insieme con la Depressione Caspica, sono le terre più al di sotto del livello del mare di tutto il macrocontinente eurasiatico e nelle prime sfociano grandi fiumi dell'Europa centrale e in particolare il Reno con il suo enorme bacino idrografico.
L'attrazione esercitata dal tratto terminale del grande fiume, maggiore arteria navigabile d'Europa, ha reso questo lembo di terra, sebbene perennemente minacciato dal mare, il terzo paese più densamente popolato d'Europa e due motivi hanno fatto di queste terre una Nazione: il primo è di natura antropologica e consiste in quella sfida inesausta tra uomo e natura, nella quale i Neerlandesi hanno trovato la loro più profonda matrice nazionale, il secondo è di natura storica, avendo essi maturato un forte desiderio di indipendenza dalle potenze straniere come attesta la più eclatante manifestazione legata a quegli ottant’anni di guerra sostenuta da questo popolo contro la Spagna, allora prima potenza mondiale, per difendere la loro autonomia.
Uno scontro a dir poco asimmetrico, eppure…
La formazione geologica di queste “terre basse” e pianeggianti è la conseguenza dell'azione dei fiumi, grandi “lavoratori”, soprattutto di quella del Reno. Sfociando in mare essi hanno depositato nei millenni successivi alla fine dell’ultima glaciazione grandi masse alluvionali, creando un territorio che appare una grande pianura che raramente supera i cento metri ed è protetto da dune e da dighe. Batavi e Frisoni in età antica avevano già eretto sbarramenti a difesa dal mare, ma i primi organici sistemi di dighe risalgono all’alto Medioevo.
Con la fine della pirateria dei Vichinghi, dei Normanni e dei Danesi dal X all’XI secolo – attività che tuttavia ben presto appresero anche gli abitanti delle “terre basse” –, le città ripresero a prosperare e ne sorsero di nuove che, unitesi in leghe (le famose “Hansen”), ebbero periodi di grande floridezza economica acquistando privilegi commerciali per sé o impedendo ad altre leghe simili di ottenerne o, in ogni caso, limitandoli.
Come dovunque in Occidente, anche le “terre basse” furono soggette al Feudalesimo con una nobiltà laica ed ecclesiastica i cui membri costituivano l'élite sociale. Questa nobiltà si era sviluppata in territori di pertinenze diverse, taluni appartenenti al Regno di Francia altri all'Impero germanico, e proveniente in ogni caso da famiglie di origini sociali diverse, “ministeriales” o “cavalieri”. Questa nobiltà però era sottoposta a norme legali peculiari da zona a zona, a usi locali ed era insediata in ambienti economicamente molto diversi: per esempio mentre l'Hainaut e il Lussemburgo erano prevalentemente territori rurali, le Fiandre invece erano più urbanizzate.
La maggior parte degli attuali Paesi Bassi e del Belgio, furono riuniti nel ducato di Borgogna, ma prima di questa unificazione da parte del Ducato di Borgogna, i neerlandesi si identificavano più nella città in cui vivevano che nel ducato o nella contea a cui esse appartenevano, e si consideravano, ancora di meno, sudditi del Sacro Romano Impero.
Per questa ragione la feudalità nelle “terre basse” era meno arcigna che altrove forse ancora una volta per motivi territoriali: foci di fiumi più o meno grandi, canali di riflusso delle acque interne e altro ancora avevano contribuito all’insediamento delle diverse etnie che comprendevano francesi lussemburghesi, tedeschi, frisoni, fiamminghi.
I Neerlandesi però non si liberarono mai completamente dai vincoli feudali cosicché le varie aree delle “terre basse”, a partire dal 1381, attraverso una serie di successioni e di crediti acquisiti, incominciarono a unirsi sotto il governo di pochissime famiglie fino a ridursi a una sola, quella dei Borgogna, che, pur lasciando ai comuni gli antichi privilegi di cui godevano, furono signori di tutta la regione.
E a questo punto era entrato in gioco il Duca.
Filippo II di Valois, nipote, figlio, fratello e zio di Re, incominciò a creare uno stato che si incuneava fra regno di Francia e Impero di Germania che, grosso modo, sembra ricalcare ciò che prima del Mille era stato il Ducato di Lotaringia.
Quell’antico ducato ricopriva quasi precisamente gli attuali confini di Belgio, Olanda e Lussemburgo i cui governi in esilio a Londra durante l’occupazione nazista diedero origine al “Benelux”.
L'età borgognona fu anche l'epoca in cui incominciò a formarsi una coscienza nazionale dei neerlandesi.
Nel 1433 Filippo il Buono, terzo duca di Borgogna, conquistò anche la Contea d'Olanda. Il commercio olandese incominciò a svilupparsi rapidamente nel Quattrocento anche grazie ai nuovi sovrani borgognoni che difesero strenuamente gli interessi commerciali dei loro territori. Le navi olandesi sconfissero diverse volte le navi della Lega anseatica. Bruges poi Anversa poi Amsterdam diventarono i principali porti europei dove si distribuiva il grano della regione baltica e questo commercio fu vitale per gli interessi mercantili dei neerlandesi, perché l'Olanda non era in grado di produrre il grano per le proprie esigenze.
Durante la sovranità della casata di Borgogna le “terre basse” raggiunsero un grado di civiltà e di cultura elevatissimo, anche se la politica di espansione in Europa, seguita dai duchi Filippo il Buono (1419-67) e da Carlo il Temerario (1467-77) fu pagata con l'oro anche dei neerlandesi che, dopo la morte di quest'ultimo duca, o si ribellarono, come avvenne nel caso della Gheldria che riacquistò la propria indipendenza, oppure impedirono ai suoi eredi di usare le loro ricchezze per scopi estranei agli interessi del Paese, che con l’imperatore Carlo V erano divenuti mondiali.
Dopo questa fuga in avanti con il Benelux ritorno ora al mio anfitrione alla fine del Medioevo.
Quando Filippo nacque il 17 gennaio del 1342 nel castello reale di Pontoise, era il quartogenito del futuro re di Francia Giovanni II il Buono e di Bona di Lussemburgo. Nessuno sapeva che questo neonato, subito soprannominato “Filippo senza terra”, sarebbe diventato un giorno una delle figure più potenti del regno di Francia e fra i protagonisti della Storia d’Europa.
Filippo visse durante l’interminabile “Guerra dei Cent'anni” in cui il Regno di Francia, quello che sarebbe stato un giorno di suo padre, e il Regno di Inghilterra, si fronteggiavano senza esclusione di colpi per remote cause dinastiche.
All'inizio del conflitto nel 1337, con le prime battaglie che si svolgevano nel nord della Francia, Pontoise era un posto sicuro, ancora relativamente risparmiato dalla guerra: con le sue possenti mura fortificate e i suoi robusti bastioni che circondavano la ben munita città, il castello di Pontoise era un luogo sicuro per la famiglia reale.
Tuttavia, la famiglia reale non rimase a lungo a Pontoise perché la guerra avanzava rapidamente sul suolo francese e la minaccia inglese si avvicinava sempre di più. Nel 1346, Edoardo III di Inghilterra e il suo esercito giunsero nella contea del Vexin e saccheggiarono tutti i raccolti e i villaggi che lui e le sue armate attraversavano e se Pontoise resisteva dietro i suoi bastioni, la regione era devastata.
Filippo quindi visse la sua infanzia in guerra e la sua giovinezza fu segnata non solo dal conflitto, ma anche dalla “Grande Morte Nera”, la pandemia di peste che da levante attraverso i porti italiani afflisse l'Europa dal 1347 al 1351. Nessuno fu risparmiato, un francese su otto morì e nel 1349 in rapida successione Filippo ad appena sette anni perse la madre e la nonna.
Nel 1350, alla morte del cinquantasettenne re Filippo VI, fu incoronato re suo padre, il trentunenne Giovanni II il Buono mentre la guerra con gli Inglesi era ancora in corso e nel 1356 si stava preparando a Poitiers una delle più sanguinose battaglie di quella guerra.
Il re si era preoccupato di mettere in salvo i suoi figli maggiori il principe ereditario Carlo, il duchino d’Angiò Luigi e il duchino di Berry Giovanni, ma portò con sé il più giovane, l’appena quattordicenne Filippo, il “senza terra”.
La battaglia fu furiosa e i Francesi dovettero cercare la fuga per evitare un probabile accerchiamento. Re Giovanni rimase quasi solo in mezzo agli Inglesi e il giovanissimo principe mostrò un coraggio ineguagliabile, combattendo coraggiosamente a fianco del suo papà sia spada in pugno aiutandolo in uno scontro ravvicinato, sia facendogli da scudiero quando si avvicinava un nemico. Filippo, pur ferito, continuò a guardare le spalle del padre, difendendolo valorosamente.
Giovanni II fu catturato e furono entrambi imprigionati insieme ai più stretti collaboratori del Re e successivamente tradotti in Inghilterra.
Il risultato della battaglia di Poitiers fu un disastro per i Francesi, e non solo in termini militari, ma anche economici: la Francia, per riavere il proprio sovrano, fu costretta a pagare un riscatto per il Re equivalente al doppio delle entrate annue del paese.
Per quattro anni ostaggio degli Inglesi, Filippo mostrò, anche durante la prigionia ardimento e orgoglio unici: una volta schiaffeggiò un coppiere che serviva il Re d'Inghilterra prima del Re di Francia, per punirlo dell’affronto di aver preferito il vassallo al sovrano. Perché giuridicamente il Re di Inghilterra era vassallo del Re di Francia. Un’altra volta rimproverò duramente un cavaliere inglese che secondo lui non era stato adeguatamente rispettoso nei confronti di suo padre, ponendo istintivamente mano alla spada.
Questo coraggio mostrato al suo fianco e il sostegno morale che Filippo diede al padre durante gli anni di prigionia e che mostrava in ogni circostanza gli valse il soprannome di “Ardito” fecero dell’impavido Filippo, il figlio prediletto del Re che, una volta rilasciato, lo dichiarò “primo pari di Francia” che equivaleva all’essere il primo fra i grandi feudatari, cioè dei vassalli diretti della corona di Francia e gli offrì dapprima la Turenna nel 1360, poi, in cambio di questa, il Ducato di Borgogna nel 1363 come ricompensa della sua fierezza.
Da quel momento per la Storia smise di essere il principe “senza terra” e diventò Filippo II di Borgogna che, all’insegna della sua arditezza, inaugurò il carattere eroico della sua stirpe futura.
A quel tempo il titolo di Duca di Borgogna era quasi solo una formalità onorifica, perché quel ducato, posto fin dall'XI secolo nell’ambito della corona reale francese, era solo un frammento dell'antica “Borgogna”. In quel momento il ducato era solo una modesta zona di confine col Sacro Romano Impero di Germania il cui confine passava proprio attraverso la Borgogna lungo la valle del Rodano.
Dall'altra parte di questo confine si trovava la "contea palatina di Borgogna" nota come la Franca contea, che però non era pertinenza del Re di Francia ma degli Imperatori del Sacro Romano Impero.
A quei tempi però c’era il Feudalesimo e i feudatari, a seconda del loro valore individuale, potevano essere, e spesso accadeva, più potenti del Re o dello stesso Imperatore. Nei suoi feudi Filippo infatti si assicurò di regnare da sovrano.
Più a nord sempre nelle pertinenze dell'Impero c’era la potente Contea delle Fiandre, dove i loro conti avevano una ricchezza ineguagliabile, grazie alle loro città mercantili di Bruges, di Gand e di altre ancora.
Ventisettenne Filippo riuscì a realizzare un grande colpo, auspice suo fratello Carlo V che era salito al trono nel 1364: conseguì il migliore matrimonio d'Europa impalmando nel 1369 l’unica figlia di Luigi II de Male, conte di Fiandra. La diciannovenne contessa Margherita III di Fiandra (1350-1405) era già vedova del primo Filippo di Borgogna, l’aveva sposata quando lei aveva appena undici anni e che se l’era portato via la peste nel 1361 estinguendosi così il primo ramo capetingio dei duchi di Borgogna.
Il suo matrimonio con Margherita di Fiandra lo avrebbe reso padrone delle contee di Fiandra e di Borgogna (la Franca contea), Artois e Nevers e ne avrebbe fatto uno dei signori più potenti d'Europa.
Le fonti dell’epoca e i ritratti descrivono Filippo alto, possente, con un mento forte e un naso importante, scuro di carnagione e non bello, ma i suoi contemporanei lo consideravano di grande sapere, instancabile e soprattutto un tenace lavoratore. Ma oltre al suo coraggio, in politica era dotato di un forte senso della misura e di un istinto naturale per il possibile. Lo storico Jean Froissart nelle sue Chroniques dice di lui che Filippo aveva visto lontano, io direi lontanissimo, vista l’attualità.
Con il suo talento politico, molto preso dai suoi doveri, aveva l'ambizione di svolgere un ruolo feudale di primo piano nel regno di Francia, ma lo fece con generosità e munificenza, da illuminato mecenate di tutte le arti, appassionato soprattutto di architettura, ma come tutti i generosi, sempre a corto di denaro.
Dal suo matrimonio iniziò la vorticosa ascesa di Filippo.
Nel 1372, il duca di Borgogna riuscì a mettere mano su varie signorie, che erano state sottratte precedentemente al ducato, ma rimase sempre fedele a suo fratello re Carlo V il Saggio non dimenticando mai di essere soprattutto un principe francese: prestò servizio in guerra, prese parte a numerosi assedi e operazioni militari contro gli inglesi, a fianco del conestabile di Francia, Bertrand Du Guesclin l’alto dignitario militare, al quale era generalmente affidato il comando in capo dell'intero esercito reale quale luogotenente del sovrano, cui spettava però il comando supremo.
Fino alla morte di suo fratello Carlo, Filippo combatté gli Inglesi, e quando Carlo morì nel 1380, Filippo diventò con i suoi fratelli Luigi d’Angiò, Giovanni di Berry, uno dei membri del consiglio di reggenza di suo nipote Carlo VI, allora dodicenne. Da quella posizione il Duca colse l'occasione di rafforzare ulteriormente l’autorità del suocero nelle Fiandre con la sottomissione delle città ribelli nel 1382.
Nel 1381 il Duca aveva acquistato il “castello di Germolles” in Borgogna – l'unico castello dei duchi ancora esistente in Francia –, lo donò alla moglie, che ne fece un buon luogo in cui vivere e una residenza di piacere dei duchi.
Alla morte del suocero nel 1384, Filippo incassò l’eredità di sua moglie: la contea delle Fiandre, che con le città di Gand, Bruges e Lille, era allora una delle province più ricche d'Europa, la contea di Rethel con due feudi attigui al Ducato di Borgogna cioè la Contea di Nevers nella Francia centrale e la contea di Borgogna cioè la Franca Contea che era nelle pertinenze dell'Impero, priva solo di Besançon che era una delle città libere imperiali, e infine la contea di Artois, confinante con le Fiandre.
Quando entrò solennemente con la moglie Margherita a Bruges, Ypres, Messines, Diksmuide, Damme, Mechelen e Anversa, il piccolo quartogenito ''senza terra'' di re Giovanni, era diventato a quarantadue anni l’uomo più potente del regno di Francia, il più influente proprietario terriero del regno e con le roccaforti che controllava dal 1384, partecipò con una posizione ragguardevole ai conflitti che turbavano il regno di Francia alla fine del secolo: la “Guerra dei Cent'anni” e, opponendosi fermamente a Enrico V d'Inghilterra poi allo stesso nipote re Carlo VI e infine agli stessi principi francesi in lotta per la reggenza del regno di Francia perché Carlo VI era considerato pazzo.
Diventato ufficialmente conte di Fiandra prese rapidamente misure militari necessarie e decise di imporre una tassa per finanziare la difesa delle regione. Nominò Guy de Pontailler, prima carica militare della Borgogna, e Jean de Ghistelle, rappresentante di un’antica stirpe fiamminga e stretto consigliere di Luigi II de Male, "governatori del paese delle Fiandre", equilibrando il potere militare borgognone con la continuità politica fiamminga.
Il Duca decise anche un programma di rinnovamento e di consolidamento delle roccaforti, in particolare la costruzione di un castello a Écluse proprio sul Canale della Manica.
Prendendo possesso della contea delle Fiandre, trovò solo la resistenza di Gand subdolamente sostenuta dagli Inglesi. Il Duca non marciò sulla città per evitare un inutile spargimento di sangue, ma isolò la città, bloccò le vie di rifornimento e la sua popolazione fu minacciata dalla scarsità di cibo, tutte condizioni che spinsero gli insorti cittadini di Gand a negoziare, soprattutto perché l’insurrezione durava già da più di sei anni. Filippo sapeva che il suo interesse convergeva con quello dell’intraprendente borghesia fiamminga. Ricevette quindi gli inviati fiamminghi con i quali concluse il trattato di Tournai il 18 dicembre 1385, atto che riportava la pace in tutta la contea delle Fiandre.
Con questo trattato il duca di Borgogna concesse la grazia al popolo di Gand, ne confermò tutti i privilegi in cambio della loro sottomissione e del loro impegno ad essere "sudditi buoni, leali e veri". Seppe essere conciliante, lasciando che ognuno scegliesse la sua obbedienza, o facendo scrivere in fiammingo le lettere della cancelleria. Tutte le Fiandre gli giurarono fedeltà, il che risolse il conflitto.
Durante lo Scisma d'Occidente, Filippo fu molto attento tanto nella sua attività di reggente del povero Carlo VI, quanto nel governo dei suoi possedimenti e degli interessi economici delle città manifatturiere dei suoi stati avvalendosi della consulenza di validi uomini d'affari e di imprenditori tra cui soprattutto Jacopo Rapondi (1350 circa – 1432), suo amico personale.
Filippo, prendendo possesso della contea delle Fiandre nel gennaio 1384 sapeva che per essere accettato dai fiamminghi doveva ripristinare la loro prosperità economica, tanto più che la guerra con suo suocero era durata diversi anni (1379-1385) e aveva devastato il paese.
Il duca decise per una rapida ricostruzione, favorì il ripopolamento dei centri devastati concedendo agevolazioni fiscali. Gli effetti di una tale politica si fecero sentire solo a lungo termine, e alcune città si ripresero solo a fatica, anche se il Duca fu sostenuto nella sua azione dai “Quattro Membri delle Fiandre”, un collegio che rappresentava i sudditi fiamminghi.
La prosperità delle Fiandre dipendeva principalmente dal commercio con l'Inghilterra, che all'epoca era il principale fornitore di lana per l'industria tessile nel nord dei territori che governava, e questo richiedeva il pagamento in monete d'oro. Filippo fece un’audace mossa finanziaria coniando monete fiamminghe contenenti pochissimo oro rispetto alla monetazione inglese. L'effetto fu rapido: l'economia si rianimò e il duca ne trasse cospicui profitti.
L'effetto di questa politica associata al ritorno della pace fu molto favorevole: l'economia si riprese e l’armonia tornò fra i sudditi, che accettarono la tassa, e il sovrano che portava la pace e la prosperità economica.
Seguendo la tradizione feudale, Filippo si occupò di arrotondare i suoi possedimenti e, da principe prettamente francese, diede vita una fase di espansione “francese” a scapito dell'Impero, lanciando sulla scena politica ed economica l'ascesa del suo ducato, che era quindi diventato ricchissimo e potentissimo.
Nelle Fiandre, Filippo mantenne le principali istituzioni amministrative fiamminghe, come l'organizzatissima e antica istituzione del “baliato”, e in particolare quella del “supremo balivo delle Fiandre”, un ufficio che era stato creato da Luigi II de Male: i “balivi” erano gli ufficiali giudiziari del conte incaricati di difendere i suoi diritti e le sue prerogative.
Il Duca, però, avviò un ampio programma di riforme che riguardò soprattutto la cancelleria: dal 1385 il Duca decise riunì le cariche di Cancelliere di Borgogna e Fiandre, il cui titolare diventò “Custode dei Sigilli” e questo fu il primo provvedimento di accentramento che adottò. Il provvedimento riguardò l'organizzazione giudiziaria e finanziaria, che entrò in vigore solo dopo il ripristino della pace nelle Fiandre: dal febbraio 1386 Filippo II istituì a Lille una “Camera del Consiglio” e una “Camera dei Conti” e scelse questa città per motivi linguistici, politici e geografici: situata nelle Fiandre francesi, Lille non aveva partecipato alla rivolta di Gand e la sua posizione, non lontana da Parigi e militarmente poco vulnerabile, ne facevano un luogo ideale.
Istituì due corpi di funzionari: quelli incaricati della giustizia e quelli incaricati dei conti, anche se i due organi talvolta si riunivano congiuntamente. Questa amministrazione si impose rapidamente su tutte le Fiandre e persino sulle signorie senza sbocco sul mare di Anversa e Mechelen e infine vi si sottomise anche la contea di Artois.
Nel suo sistema fiscale si distingue una doppia modalità di incassi e anche in questo Filippo seppe mostrarsi un amministratore di talento dando vita a un sistema fiscale moderno tanto che il suo principato aprì la strada alla moderna tassazione statale.
Filippo gestì il suo principato assistito da un cancelliere al quale delegò in gran parte i suoi poteri. Il Duca era inoltre circondato da un Consiglio Grande e Piccolo che lo seguiva nei suoi viaggi.
Questo consiglio non aveva una composizione fissa durante le sue assenze, Philippe delegò la gestione del suo principato ai suoi governatori e capitani generali.
Un’occasione per lui dolorosa, ma comunque favorevole era la malferma salute psichica del giovane re di Francia e Filippo, in seguito alle prime escandescenze del nipote alla fine degli anni Ottanta, di concerto con il duca di Berry, con un colpo di mano assunse da solo il governo dello Stato, licenziando tutti i consiglieri di Carlo VI destituendo Luigi d'Orléans, fratello del re che trescava palesemente con la regina sua cognata e alle cui spese folli, dettate dalla sua smisurata ambizione, il duca di Borgogna si contrappose rigorosamente.
Da qui nacque quell’insanabile rivalità tra Filippo l’Ardito e Luigi d'Orléans. In questo modo anche nella famiglia reale francese, per non venir meno al detto “parenti serpenti”, ebbe origine di un’enorme ostilità che avrebbe diviso i re di Francia dai duchi di Borgogna per i successivi ottantacinque anni con lo scontro delle due fazioni, quella dei duchi d'Orléans, detta degli Armagnacchi, e quella dei duchi di Borgogna, detta dei Borgognoni.
Nell'aprile del 1402, in assenza di Filippo di Borgogna da Parigi, il duca d'Orleans, fattosi nominare sovrintendente fiscale, impose un tributo estremamente oneroso e, quando Filippo rientrò a Parigi protestò immediatamente e dichiarò di avere rifiutato 100.000 corone come prezzo del suo consenso a tale tassazione: con tale mossa, Filippo l'Ardito acquisì ampia popolarità a Parigi, mostrandosi, rispetto al duca d'Orléans, un principe saggio e riformatore.
Filippo era diventato ormai padrone di una “grande Borgogna”, a cavallo del dominio francese e di quello germanico e alla sua morte nel 1404 lasciò al figlio un vasto dominio che comprendeva la storica Borgogna a sud e le Fiandre a nord: l'unione di questi due ricchi territori diede vita al sogno di un nuovo stato borgognone che tuttavia sarebbe rimasto irrealizzato.
Filippo l’Ardito dominò non solo la Borgogna, ma anche la vita politica francese dell’ultimo ventennio del Trecento e oltre.
I suoi territori erano ricchi, ma eterogenei e per governarli era indispensabile Parigi, snodo delle comunicazioni fra Fiandre e Borgogna.
Per più della metà dell'anno il Duca e la sua corte risiedevano all'”Hotel d'Artois” sull'Ile de la Cité, residenza dei duchi di Borgogna a Parigi fino alla fine del Quattrocento e, in questa funzione, durante i contrasti tra gli Armagnacchi e i Borgognoni rappresentò temporaneamente il centro del potere in Francia.
Dall'”Hôtel d'Artois” molti cavalieri trasmettevano i suoi ordini e quelli del suo Cancelliere, Jean Canard, e in ciascun feudo c’era un'amministrazione, specifica per ogni regione, cosicché il Ducato e la contea di Borgogna, la contea di Nevers e la baronia di Donzy possedessero ciascuno una propria burocrazia, e soprattutto per le regioni fiamminghe, dove bisognava fare i conti con le difficoltà linguistiche, di cui Filippo non parlava la lingua, e con i privilegi delle città.
Intorno al 1385-1387 il Duca centralizzò le istituzioni. A Digione, eletta da lui capitale del Ducato e dalla quale dipendeva un gran numero di ufficiali furono create una “Camera di udienza” e una “Camera di consiglio”.
Sebbene dotato di un acuto senso politico, era poco accorto al denaro e alla sua morte lasciò al figlio Giovanni Senza Paura le casse dello Stato vuote e l'obbligo dell'uso della demagogia, se voleva conservare un partito, quello dei Borgognoni in Francia.
Il Duca non fu più solo un grande feudatario, ma fu il capo di uno stato eterogeneo la cui amministrazione fu modellata su quella del regno di Francia e agì sempre come un principe territoriale preoccupato degli interessi dei suoi sudditi: dal 1376, non smise di promuovere tregue con l'Inghilterra, per difendere l'industria fiamminga, messa in crisi dalla guerra. E se dal 1398 durante il “Grande scisma d'Occidente” si attivò per la neutralità nella lotta fra papi romani e antipapi avignonesi, fu per non dividere i suoi sudditi: i fiamminghi, come gli inglesi, erano sostenitori del Papa di Roma, i borgognoni come i francesi, indulgevano per il Papa di Avignone.
Ma la cornice ristretta di un piccolo stato non bastava alla sua ambizione. Per obbligo, per temperamento e per necessità, Filippo trovò nella direzione del regno di Francia il vero campo della sua politica: alla morte di Carlo V nel 1380, aveva assunto la reggenza di Carlo VI allora appena dodicenne, insieme con i due fratelli, il duca di Angiò e il duca di Berry, che però erano spesso assenti, il primo per rivendicare l’eredità di re di Napoli, il secondo per l’attenzione che nutriva nel suo ducato, e per questo ebbe mano libera. Il governo degli “Anziani del Regno” dal 1388 al 1392, fu l'unica eclissi alla sua influenza. La manifesta follia del nipote Enrico VI nel 1392 e le crisi che seguirono assicurarono il suo definitivo ritorno al potere. Questo dominio sulla Francia coincise perfettamente con la sua ambizione. La stessa cura con cui si vestiva con i velluti più fini e le pellicce più ricche dimostrava chiaramente il suo gusto per la regalità per feste e sfilate.

lunedì 27 marzo 2023

Willelm Kalf: la pittura della luce

Di Willem Kalf (1619 – 1693) parla per la prima volta Arnold Houbraken, il biografo degli artisti che, nel suo Groote Schouburgh der Nederlantsche Konstschilders en Schilderessen, pubblicato nel 1719, ne ha tessuto le lodi umane e professionali e ci dice che Kalf fu un artista stimatissimo e celebratissimo già durante la sua vita per le sua vasta conoscenza in campo artistico, per la sua affabilità e per la sua cortesia.Oggi la sua fama poggia sostanzialmente sulle sue pronkstilleven, le nature morte sontuose della sua maturità ad Amsterdam, che presentano gli oggetti più esotici e lussuosi, come si può riscontrare, a titolo di esempio, in Natura morta con coppa nautilus e ciotola con coperchio in porcellana del 1662, oggi nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Quest’opera è diventata un'icona dell'arte occidentale.
La luce misteriosa che sembra brillare dal guscio quasi trasparente del Nautilus è una meraviglia pittorica insuperabile, ineguagliata perfino da Johannes Vermeer (1632 — 1675), l'unico altro grande artista olandese che poteva dipingere la luce in maniera altrettanto incantevole.
Come si può vedere in questo splendido dipinto, Kalf era particolarmente interessato agli effetti della luce sulle varie superfici dei vari oggetti e ai sottili riflessi che essa produceva su vetro ed argento.
All'inizio degli anni Sessanta del Seicento, quando aveva poco più di 40 anni Kalf era un vero e proprio illusionista, un mago del pennello giunto all'apice delle sue capacità.
Della sua vita però si sa davvero molto poco: la documentazione su di lui è infatti minima.
Si sa che nacque in una ricca famiglia di mercanti a Rotterdam nel 1619, secondo degli otto figli di Jan Jansz e di Machtelt Gerrits e che fu battezzato con rito protestante. Suo padre, Jan era un ricco mercante di stoffe e membro del consiglio comunale di Rotterdam e, poco prima di morire nel 1625, fu coinvolto in uno scandalo, forse un fallimento e quando morì, Willem aveva appena sei anni: rimase a Rotterdam con sua madre e, quasi diciottenne, incominciò a mostrare grande interesse per la pittura.
Nella sua biografia, Houbraken ne attribuì il magistero al pittore di Haarlem Hendrick Gerritsz Pot (1580 – 1657 circa).
Anche se ben poco dei primi lavori di Kalf è riconducibile a un tale rapporto di discepolato, pertanto la notizia del magistero di Pot, pur sembrando piuttosto bizzarra, non è tanto peregrina come sembrerebbe a prima vista, perchè Kalf aveva legami familiari ad Haarlem e quindi potrebbe non essere stata una scelta così impossibile.
Le prime opere di Kalf hanno invece parecchio in comune con gli interni dei contadini e le nature morte di oggetti in metallo tipici di François Ryckhals, pittore documentato fra il 1600 e il 1647 che dipinse interni rurali secondo la tradizione di Rotterdam e che raffigurò nature morte con oggetti di metallo. Questa probabile influenza è riscontrabile nelle opere francesi di Kalf per le somiglianze di colore e di stile.
Si suppone inoltre che anche Cornelis Saftleven (1607 circa – 1681) abbia avvicinato Kalf alla scuola fiamminga e che abbia influenzato i suoi dipinti d'interni, poiché i due potrebbero essersi conosciuti a Rotterdam.
Alla morte di sua madre nel 1638, poco più che ventenne, Willelm lasciò la sua città natale per trasferirsi a L'Aia, poi appena ventiduenne, Kalf si trasferì a Parigi nel gennaio 1642, dove probabilmente aveva già risieduto precedentemente, forse intorno al 1639.
A Parigi Kalf si stabilì a Saint Germain-des-Près, quartiere parigino degli artisti e centro del commercio d'arte, frequentato anche da olandesi e fiamminghi nella cui cerchia si inserì bene e dove probabilmente rimase fino all'autunno del 1646.
A Saint Germain-des-Près viveva probabilmente con vari pittori in una casa chiamata La Chasse, una sorta di rifugio per pittori del suo paese. La maggior parte di loro erano pittori già esperti: c'erano Nicasius Bernaerts noto semplicemente come Nicasius (1620 – 1678), Pieter van Boucle (1600\10 – 1673), Jacques Fouquières o Jacob Focquier (c. 1590/91 – 1655) ed altri.
A Parigi iniziò il primo periodo di Kalf, solitamente definito periodo francese o parigino di Kalf, durante il quale dipinse principalmente interni francesi, piccole cucine e fienili.
Fra i dipinti parigini è interessante Interno di cucina un piccolo dipinto su rame, del 1644, molto caratteristico del genere. Sebbene di piccole dimensioni, la sua tecnica è già molto solida.
Molto simile a uno schizzo, con il colore applicato sottilmente, con aggiunte di luci, con un pennello sottile e con un impasto spesso. La tonalità prevalentemente marrone dei suoi interni si tinge delle sfumature ramate del fuoco acceso, con un colore più forte, riservato agli elementi della natura morta.
Sebbene il tema di questi primi interni di una fattoria sia abbastanza diverso dalle successive raffigurazioni degli oggetti di lusso, è già molto evidente l’interesse di Kalf per la semplice disposizione degli oggetti in ambienti poco illuminati.
Kalf ripeteva abbastanza spesso oggetti e motivi nelle sue scene di interni.
La donna con un bollitore per il latte in testa, che si staglia nel vano di una porta con la sommità ad arco è uno dei suoi motivi preferiti che ricorre in molti altri dipinti, ad esempio un dipinto dell'interno di una fattoria nel Museo Suermondt-Ludwig, ad Aquisgrana, e un altro nella Staatliche Kunsthalle a Karlsruhe.
In un umile interno contadino, una donna dai lineamenti rozzi è seduta accanto al fuoco e con un coltello taglia un grosso cavolo cappuccio. Un calderone è sospeso su una fiamma viva nel focolare e un filo stendibiancheria è sospeso sopra una rudimentale mensola: un mazzo di candele è appeso a un chiodo nel muro.
Sul pavimento accanto alla donna, giacciono una ciotola di terracotta invetriata e un grande cesto riempito con una zucca e qualche altra verdura. Un'altra zucca, un melone, un fascio di bietole legato con lo spago, una scarola, alcune cipolle sono sparse per il pavimento di terra battuta.
Sul fondo della casetta, si vede entrare da una porta aperta un’altra donna con un bollitore di rame in testa: la porta stessa pende obliquamente sui cardini. Una cassa di legno, con una trave appoggiata ad essa, completa l'arredamento di questa sgangherata dimora. A prima vista, questo interno non richiamerebbe mai alla mente un’opera per la quale Willem Kalf è celebrato: la sua grande fama, in fondo, oggi si basa sulle sue nature morte di oggetti costosi e finemente lavorati – i pronkstilleven – dipinti durante gli anni della sua permanenza ad Amsterdam.
Eppure, mentre viveva a Parigi all'inizio della sua carriera, Kalf aveva per lo più dipinto interni di questo tipo, che derivavano dalle tradizioni artistiche della sua nativa Rotterdam.
Erano interni rustici su piccola scala anche se sempre con importanti brani di nature morte. Ma Kalf dipingeva anche grandi nature morte di oggetti di metallo prezioso che preannunciano le nature morte della sua maturità.
I suoi interni di fattorie erano molto apprezzati dai suoi colleghi e quindi furono spesso copiati e rielaborati non solo nel Seicento, ma furono molto ricercati e in Francia fino al Settecento e venduti a caro prezzo.
Esemplare è il suo Interno di una cucina rustica (1642\43), ora conservato al Louvre.
Del 1638 è la sua prima opera datata: un interno contadino che mostra l'influenza dei predecessori di Rotterdam come “Pieter de Bloot” (1601 –1658) ed “Hendrick Maertensz Rokes” detto “Sorgh” (1610\11 – 1670).


Questo stile, pittoresco, oscuro e cupo, ma sempre con una natura morta di pentole, padelle e verdure in primo piano, rese Willem Kalf un artista di grande successo, anche se non nei Paesi Bassi, ma a Parigi.
A Saint Germain-des-Prés, continuò a dipingere interni. Ne dipinse molti su pannelli di quercia di Melchior de Bout, il pannellista più chiaro e più richiesto di Anversa, il cui marchio si trova anche su quelli di altri pittori parigini come i francesi Jacques Linard (1597 – 1645) e Lubin Baugin (1612 ca – 1663), l’olandese Willem van Aelst (1627 – 1683) e il tedesco Sebastian Stosskopf (1597 – 1657).
Gli interni contadini di Kalf erano molto apprezzati dai suoi colleghi ed erano quindi spesso copiati. E non solo nel Seicento. È noto che pittori come i pittori francesi del Settecento Nicolas Lancret (1690 – 1743), Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699 – 1779) e François Boucher (1703 – 1770) possedessero i suoi dipinti e ne rielaborassero alcuni.
Il grande Interno contadino del Louvre, ad esempio, faceva parte della famosa collezione di dipinti di Boucher.
Che Kalf abbia acquisito grande fama a Parigi non fu solo dovuto all'enorme quantità degli interni contadini che produsse. Anzi. A Parigi, sviluppò un nuovo tipo di pittura che sarebbe presto diventato ancor più popolare delle stesse scene di genere e questa volta anche fuori dalla Francia: si trattava della pronkstilleven cioè la natura morta sontuosa che presto avrebbe guadagnato popolarità non solo in Francia.
Kalf non ne fu l’inventore, ma sicuramente portò questo tipo di natura morta al suo massimo livello.
La natura morta di tipo pronk, un termine olandese che indica la sontuosità, è uno stile particolarmente ornato che nacque e si sviluppò ad Anversa da dove si diffuse rapidamente nella Repubblica olandese.
Artisti fiamminghi come i due pittori di Anversa, Frans Snyders (1579 – 1657) e Adriaen van Utrecht (1599 – 1653), incominciarono a dipingere nature morte che enfatizzavano l'abbondanza, raffigurando una varietà di oggetti, frutti, fiori e selvaggina morta, spesso insieme a persone e animali vivi.
Lo stile fu presto adottato dagli artisti della Repubblica olandese soprattutto attraverso un importante rappresentante olandese, Jan Davidsz. de Heem (1606 –1683\84), che trascorse un lungo periodo della sua carriera ad Anversa e fu uno dei fondatori dello stile pronk in Olanda. Altri rappresentanti di spicco nelle Fiandre e nella Repubblica olandese furono: Jasper Geeraards (c. 1620 – 1649-54) di Anversa, Peter Willebeeck (fl. 1632–1648) attivo ad Anversa, Carstian Luyckx (1623 – c. 1675) di Anversa Alexander Coosemans (1627 – 1689) di Anversa, Abraham van Beyeren (1620 –1690) di L’Aia e soprattutto Willem Kalf.







Cornelis Norbertus Gijsbrechts (1630 circa – dopo il 1675) di Anversa sviluppò ulteriormente lo stile incorporando i trompe-l'œil per i quali era noto nelle composizioni pronk”. Un esempio è il suo Argenteria in un armadio aperto al Museum of Fine Arts di Gand.
Anche le nature morte di tipo pronk sono interpretate come una vanitas che trasmette una lezione morale. I vari oggetti nelle composizioni fungono da simboli che si possono leggere come un ammonimento o come una lezione di vita. Gli oggetti, infatti, si riferiscono alla caducità e alla vacuità della ricchezza e dei possessi materiale e alla definitiva estinzione e vacuità della vita terrena: le rose sono spesso utilizzate come motivo di vanitas, perché ricordano che tutta la vita e la bellezza terrena sono fugaci, le clessidre avvertono che la vita è fugace e che finirà, i bicchieri o i vasi indicano il vuoto della ricchezza e delle aspirazioni terrene. I dipinti pronk ricordano allo spettatore la necessità di praticare la moderazione e la temperanza.
In questo tipo di dipinti Willelm Kalf raggiunse il suo apice con una natura morta più che spettacolare con parti di armature, armi e pezzi da esposizione di 200 x 170 cm., di gran lunga il dipinto più grande che abbia mai realizzato, probabilmente nel biennio 1644\45.
Questa natura morta dovette aver fatto una grande impressione, perché se ne conosce una seconda versione, leggermente più piccola, dal 2022 nel mercato d'arte.
Lo stesso vale per un'altra natura morta, piuttosto ridotta nelle dimensioni, al Musée des Beaux-Arts di Rouen, che risale probabilmente anch’essa al biennio 1644\45.
Di questa composizione si conoscono ben quattro versioni, di cui probabilmente solo una, ora in collezione privata, fu realizzata nello studio di Kalf. Le altre due sono state senza dubbio create da altri artisti parigini che cercavano di sfruttare l'enorme popolarità di Kalf nella capitale francese.
Una di queste copie è datata 1643 e fu molto lodata da Wolfgang Goethe che la vide nella collezione di Johann Friedrich Städel a Francoforte nel 1797: «La maestria di quest'uomo in questo settore dell'arte si mostra in tutta la sua gloria. Bisogna vedere questo dipinto per capire come l'arte sia al di sopra della natura e cosa la mente umana può impartire agli oggetti guardandoli con occhi creativi. In ogni caso, non ne dubito, se dovessi fare la scelta tra i calici d'oro e il quadro, sceglierei il quadro».
Fu dunque tanto più straordinario che lo storico dell’Arte olandese Sam Segal ha dimostrato che questa versione di cui parla Goethe, ora al Wallraf-Richartz-Museum di Colonia, è in realtà solo una copia e questo lascia comprendere anche a che punto di bravura giungano i copisti d’arte quando non diventano falsificatori di professione.
La sua prima natura morta di interni contadini tipo risale a prima del suo viaggio in Francia, probabilmente nel biennio 1639\40: l’opera mostra tutti gli elementi di base delle sue successive nature morte illusionistiche e includono oggetti in argento, porcellana, vetro e un limone.
È facile capire quale influenza abbia giocato un ruolo per Kalf: sicuramente dovette aver conosciuto le nature morte di Jan Davidsz de Heem (1606 – 1683 o 1684), realizzate all'inizio degli anni Trenta del Seicento ad Amsterdam. Sebbene le sue opere siano state dipinte a Parigi, esse appartengono a una tradizione pittorica praticata principalmente nelle Fiandre all'inizio del Seicento, da artisti come David Teniers il Giovane (1610 – 1690).
Gli interni delle dimore contadine dipinti da Kalf durante il suo soggiorno parigino ricordano molto da vicino gli interni delle stalle e dei fienili realizzati negli anni Trenta del Seicento da artisti di Rotterdam come François Ryckhals (1600 ca – 1647), Pieter de Bloot (1601 – 1658), Cornelis Saftleven (1607 – 1681), Herman Saftleven (1609-1685), Hendrick Sorgh (1609/11-1670), e altri.




In questi dipinti Kalf raffigura interni rustici generalmente dominati da grandi esposizioni di frutta e verdura, cesti, vasi di ottone, secchi, pentole e padelle, e altri utensili da cucina ammucchiati disordinatamente in primo piano come ad esempio la Kitchen Still life della Gemäldegal Alte Meister di Dresda.
Spesso sono incluse anche una o due figure, ma generalmente hanno un ruolo secondario e per lo più sono in ombra sullo sfondo.
In tutto si conosce una sessantina di opere di questo genere, ma solo poche sono firmate e ancor meno recano una data, di cui l'esempio presente è una di esse. Gli interni rustici del periodo francese di Kalf hanno avuto una grande influenza anche sull'arte francese nella cerchia degli enigmatici fratelli Le Nain.
Questi dipinti furono probabilmente acquistati da una clientela locale in Francia e, per questo motivo, rimasero a lungo poco conosciuti in Olanda. Scrivendo nel Settecento, Houbraken lodò il talento di Kalf come pittore di nature morte, ma non fece mai menzione dei suoi interni contadini che forse non conosceva.
Durante gli anni Quaranta, Kalf sviluppò ulteriormente il banketje nel nuovo stile pronk, raffigurante ricchi raggruppamenti di vasi d'oro e d'argento.
Tornato a Rotterdam non oltre il 26 ottobre 1646 Kalf non vi rimase a lungo. Il 22 ottobre 1651 a Hoorn, sposò la giovane Cornelia Pluvier, figlia di un pastore, nota per le sue poesie, per l’incisione su vetro, nonché per la composizione musicale e per suonare bene il virginale. Cornelia diventò una famosa calligrafa e, con l'aiuto della cugina Adriana le Thor, riuscì persino a lavorare per lo scrittore e compositore olandese Constantijn Huygens.
La fortuna di Amsterdam era figlia della guerra e si era avverata anche a scapito di Anversa, che fino a quel momento poteva vantare di essere stata il più rilevante centro economico non solo delle Fiandre, ma di tutta l'Europa, immenso punto di approdo e di partenza dei commerci mondiali.
Decine di migliaia di abili artigiani calvinisti trovarono una nuova possibilità di lavoro ad Amsterdam: il suo porto, più lontano dalla guerra, si rivelò più sicuro, i suoi abitanti dimostrarono massima frugalità, totale disprezzo per l'ozio e certamente anche buon intuito, dal momento che già nel 1602, ancora in piena guerra, firmata la tregua sette anni, fondarono la Compagnia delle Indie Orientali, finalizzata allo sfruttamento delle colonie ex portoghesi che i loro corsari avevano conquistato.
Dopo il matrimonio, avvenuto sicuramente entro il 1654, da Hoorn gli sposi si trasferirono ad Amsterdam, dove Willem Kalf, diventato membro della locale Gilda di San Luca, fu attivo fino alla sua morte nel 1693. La coppia si convertì al Cattolicesimo e ebbe quattro figli: Sophia (n. 1657), Johannes (n. 1660), Cornelia (n. 1662) e Samuel (n. 1664).
















Ad Amsterdam, Kalf rivolse la sua attenzione interamente alla produzione delle nature morte pronk.
Era il momento del grande splendore di Amsterdam da dove le navi olandesi salpavano per ogni angolo del mondo: per il nord America, per l'Indonesia, per il Brasile e per l'Africa, creando uno straordinario impero coloniale. La città si espanse intorno ai suoi canali e diventò il porto più importante del mondo e un centro, forse il più importante, delle finanza internazionale. Ad Amsterdam, come del resto in tutti i Paesi Bassi, gli Olandesi compravano per vendere, prendevano e acquisivano merci per mandarle in altri paesi e la maggior parte dei loro vasti commerci consisteva proprio nel fornire merci provenienti da tutte le parti del mondo al mondo stesso. Sull’onda di questa grande prosperità economica ci fu un enorme sviluppo artistico e culturale e non a caso questa è l’epoca di Rembrandt (1606 – 1669).
Fiorente economicamente e brulicante non solo di merci e di commercianti, ma anche di pittori, di mercanti d'arte e di acquirenti, molti pittori di nature morte lavoravano ad Amsterdam – come Jan Jansz. den Uyl (1595/6 – 1639), Jan Jansz. Treck (1606 – 1652), Jan Jansz. van de Velde III (1620 – 1662), Pieter van den Bosch (1612 – c.1673) e soprattutto Simon Luttichuy” (1610 – 1661) – e molti di loro impressionarono Willem Kalf con i loro dipinti.
Tra questi pittori specialmente, Luttichuy e Van den Bosch sperimentarono sfondi scuri e un'illuminazione sofisticata già nel 1640 e Kalf presto adottò e perfezionò questa tecnica a un livello così alto da superare gli sforzi di tutti gli altri pittori di nature morte.
È piuttosto strano che non si sappia nulla delle attività che svolse Kalf di ritorno da Parigi. Si è a lungo discusso su questo lungo intervallo nella produttività di Kalf. Forse Kalf potrebbe aver dipinto alcune nature morte di conchiglie durante questo periodo. Due di queste sono a Heino e a Zurigo.
In questo tipo di “Nature morte con conchiglie”, Kalf fu probabilmente influenzato dal francese Jacques Linard (1597 – 1645) campione delle arti e grande influencer del gusto dell’epoca, che dipinse molte di queste opere intorno al 1640.
A confronto si osservi l’opera di Linard Natura morta con conchiglie e corallo del 1640, conservato al Museo delle Belle Arti di Montreal.
Qui riuniti, dipinti nella stessa composizione gli oggetti si presentano nella loro forma naturale, rivelando le loro elaborate spire e la madreperla del loro interno.
La presenza del corallo richiama più simbolicamente la natura del sangue di Cristo Redentore per il suo colore rosso vivo. Secondo il gusto del Seicento, in questo dipinto sono presenti molti elementi di una vanitas secondo la morale cattolica: la preziosità della madreperla degli interni delle conchiglie e le loro volute elaborate, per evocare lusso e sensualità, la scatola del sarcofago per evocare la Morte, il rosso sangue del corallo per evocare la Redenzione.
La composizione di questa natura morta mostra un gran numero di conchiglie molto particolari che circondano una scatola, essa stessa ricoperta di conchiglie più piccole che circondano un ramo eretto di corallo rosso.
Quando Kalf giunse ad Amsterdam la città era culturalmente fiorente, piena di pittori, mercanti d'arte e acquirenti e non è strano che, dopo il suo arrivo, Kalf sia entrato in contatto con vari mercanti d'arte. Probabilmente ne aveva già conosciuto alcuni ai tempi di Saint Germain-des-Prés, dove aveva interagito con commercianti d'arte come il fiammingo Jean-Michel Picart (1600 ca – 1682): fu proprio lui, infatti, presentò Vleugel a Picart.
Le fonti, come Houbraken, indicano che il contatto di Kalf con questi mercanti d'arte non riguardava solo la vendita dei suoi dipinti, ma molti documenti attestano il suo coinvolgimento nel mercato d’arte, anche se non è del tutto chiaro fino a che punto: è quindi solo ipotizzabile che sia stato uno dei numerosi mercanti d'arte che si erano stabiliti ad Amsterdam durante il Seicento.
Ad Amsterdam Kalf iniziò il suo periodo maturo, con i suoi celebri pronkstilleven: si pensa che attraverso un suo mercante d'arte abbia acquistato un'ampia collezione di oggetti costosi ed esotici che poi utilizzò nella realizzazione delle sue nature morte.
Il primo nuovo dipinto datato è del 1653, ora a Monaco, e costituisce un importante punto di rottura con le sue grandi nature morte del periodo parigino. Le dimensioni modeste e la composizione atmosferica, quasi onirica, anticipano tuttavia il suo illusionismo mozzafiato dei primi anni Sessanta del Seicento.
Come si può vedere dalla sua prima opera ad Amsterdam Kalf non solo padroneggiava l'uso della luce e dell'ombra, ma era anche la brillantezza dei colori. Una delle sue nature morte più colorate è la monumentale Natura morta con corno boccale della Gilda di San Sebastiano di Amsterdam, ora alla National Gallery di Londra, dipinta probabilmente intorno al 1655. La composizione è insolita in quanto presenta un formato orizzontale, cosa molto rara per Kalf che di solito prediligeva le composizioni verticali. Kalf aveva prima dipinto un'altra versione di questa composizione, in formato verticale. Tuttavia, è il formato orizzontale che dà forza a questa composizione con l'aragosta dominante. Il potente rosso dell'enorme aragosta è in un fantastico contrasto con il giallo ocra del corno – boccale. Questi due oggetti dominanti sono poi squisitamente bilanciati dal bellissimo tappeto persiano e l'oscurità scintillante con il rummer splendidamente dipinto, dove Kalf è riuscito a catturare la luce in maniera meravigliosa.
Con questo dipinto Kalf dimostra di essere un maestro dei complessi giochi di luce. Dettagli come il riflesso della lastra d'argento sul tavolo di marmo, le macchie di luce meravigliosamente dipinte sui vari tessuti e i diversi modi in cui le superfici di questi oggetti ricevono e cambiano la luce sono la prova della brillantezza artistica dell'artista.
Alla fine degli anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta, Kalf diventò sempre più interessato agli effetti della luce scintillante nell'oscurità.
A poco a poco le sue composizioni, avvicinando gli oggetti sul piano d’appoggio e consentendo solo una minima quantità di luce, diventarono sempre più intime e preziose.
Sembra che lo spettatore apra con cura un sipario e si trovi di fronte a un tesoro che solo lentamente si rivela. In nessun’opera questo può essere stabilito più sottilmente che in due dettagli, uno dalla Natura morta con brocca d'argento, coclea e ciotola di porcellana con frutta dal Rijksmuseum e uno da Natura morta con vaso di porcellana cinese, bicchieri e frutta di Indianapolis.
Tutte e due le composizioni si concentrano su pochi oggetti che emergono dallo sfondo scuro di una nicchia.
Nel dipinto di Amsterdam la brocca, che ricorda da vicino una brocca dell'orafo di Utrecht Christiaen van Vianen del 1632, che oggi si trova al Victoria and Albert Museum di Londra, animata solo dal raggio di luce con cui il virtuosismo di Kalf modella la forma rotonda dell'argento. I riflessi bianco argentati sul lato sinistro della brocca contrastano con il riflesso del limone lucido. Questa è la vera magia di Kalf, quando fa a gara con la natura e trasforma così in realtà le parole di Goethe.
Come il dipinto di Amsterdam, la natura morta leggermente più piccola di quella di Indianapolis, è eccezionalmente ben conservata. Qualsiasi amante dei dettagli e della finezza concorderà sul fatto che il vetro che Willem Kalf ha dipinto qui su uno sfondo scuro è forse la più alta vetta illusionistica mai dipinta. Oltre alla parte inferiore del bicchiere impregnata di vino bianco frizzante, la parte superiore, salvo un solo riflesso e un piccolo orlo di luce, non è affatto dipinta. Tuttavia, qualsiasi spettatore potrà studire da vicino l’opera crederà di vedere un bicchiere completo.
I suoi ultimi dipinti datati risalgono al 1679 e al 1680.
Kalf è citato insieme a Rembrandt, a Flinck, a Bol, a Koninck, a van der Helst e ad alcuni altri fra i propagatori della fama di Amsterdam.
In tre occasioni, tra il 1661 e il 1686, Kalf fu chiamato dai notai di Amsterdam per un’expertise sull'autenticità di alcuni dipinti.
Houbraken descrisse Kalf come un uomo colto, molto equilibrato, amichevole e divertente e il pittore Philip Vleugels ne commentò la generosità e la cordialità.
Sebbene il periodo di Amsterdam sia stato il punto culminante della sua carriera pittorica, Kalf non dipinse molto e si suppone che avesse smesso completamente di dipingere dopo il 1680, data della sua ultima opera, Natura morta con ciotola Holbein e brocca d'argento che ora si trova al Museo di Schloss a Weimar.
Questo dipinto non è certamente un vertice della sua carriera, sebbene sia estremamente interessante. Il pittore vi raffigura una famosa opera d'arte, la cosiddetta scala Holbein. Questo squisito oggetto veneziano, realizzato in cristallo di rocca nel Trecento e incastonato su una base d'argento, risale al 1540 e fu dipinto da “Hans Holbein il Giovane”. Faceva parte della collezione del re Enrico VIII Tudor, ma scomparve dall'Inghilterra dopo la caduta del re Carlo I Stuart nel 1649, per poi riapparire a Düsseldorf nel 1711 nella collezione del principe Johann Wilhelm. L’opera di Holbein dovette essere ad Amsterdam tra il 1678 e il 1680, perché Kalf dipinse l'oggetto due anni prima, in una natura morta che ora si trova a Copenaghen.
Sappiamo certamente che fu molto interessato al commercio d'arte fino alla fine della sua vita e molti documenti descrivono il suo coinvolgimento in questa attività.
Kalf aveva conosciuto probabilmente il commercio d'arte ai tempi di “Saint Germain-des-Prés” dove ebbe contatti con mercanti come Picart e Peter Goetkindt. Già nel 1653 partecipò alla valutazione di un dipinto di Paul Bril messo in vendita dal mercante di Delft Abraham van de Cooge. Come di consueto, furono coinvolti più esperti d'arte, tutti mercanti e pittori. Tra loro in questo caso c'era Hendrick van Uylenburgh, il famoso mercante d'arte, così come i due famosi pittori Bartholomeus van der Helst e Bartholomeus Breenbergh.
Come quasi tutti i pittori di Amsterdam, Kalf prese parte all’expertise del famigerato caso dei tredici dipinti che Gerrit Van Uylenburgh aveva tentato di vendere al Grande Elettore di Brandeburgo Federico Guglielmo di Hoenzollern. A questa vendita si era opposto il pittore olandese Hendrick Fromentiou, che qualche tempo prima era stato nominato conservatore della collezione reale di Potsdam, e consigliò con successo all'Elettore di rispedire dodici quadri come falsi dichiarandoli stracci e affermò che i dipinti erano copie di quelli italiani i cui originali era in grado di indicare dove si trovassero in Olanda.
Tra le cinquantuno persone che avevano preso parte alla perizia oltre a Kalf c'era anche Johannes Vermeer.
Alla fine della vicenda, van Uylenburgh perse l'affare e quasi fallì. Accadeva e accade nel delicato settore del mercato d’arte.
Nelle sue opere iconiche dipinte ad Amsterdam, Kalf si concentrò su una serie di nature morte di oggetti scelti e spesso ripetuti, accuratamente posizionati su uno sfondo scuro.
Di solito, un panno o un arazzo damascato, drappeggiato su un tavolo su cui sono presenti stoviglie, con vasi d'oro e d'argento, molti dei quali sono stati identificati come opera di specifici orafi, come il noto argentiere all’epoca “Johannes Lutma” (1584 circa –1669), amico anche di Rembrandt.
Ci sono quasi sempre calici veneziani e una ciotola di porcellana cinese del periodo “Wan li” della dinastia Ming, spesso inclinata in modo che gli agrumi semisbucciati cadano al di fuori da essa.
Invece di concentrarsi sui formaggi e sui prodotti da forno olandesi, Kalf utilizzò oggetti importati da varie parti del mondo. Questo per richiamare l’attenzione del pubblico d'élite borghese che aveva accumulato ricchezza grazie alla prosperità mercantile della Repubblica olandese.
Nell’opera Natura morta con una ciotola cinese, una coppa e un frutto di Nautilus del 1662 Kalf raggiunse straordinari effetti di luce e colore. Oggetti specifici e culturalmente diversi risultano improvvisamente collegati dalle ambizioni globalizzanti dei Paesi Bassi. La ciotola da zucchero Ming, ad esempio, allude contemporaneamente a fattori diversi. Da una parte, lo zucchero fa riferimento a uno degli elementi più barbari dell’impero olandese: lo sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni sudamericane. Dall’altro, il tipico motivo blu e bianco sulla ciotola, testimonianza delle origini cinesi del famoso Delft Blue.
Come molte altre nature morte di questo periodo, gli oggetti fragili e lussuosi dei dipinti di Kalf potrebbero essere interpretati come vanitas. Tuttavia l'intento principale di Kalf sembra piuttosto quello di creare una disposizione esteticamente gradevole di oggetti di lusso piuttosto che instillare messaggi moralizzanti o significati specifici. Pertanto, l’inclusione delle opere di Kalf nella categoria delle vanitas potrebbe essere semplicemente un aspetto secondario della sua opera piuttosto che il tema trainante nascosto dietro di esso.
Willelm Kalf morì improvvisamente, a settantaquattro anni, per le ferite riportate in seguito a una brutta caduta e fu sepolto a Zuiderkerk quattro giorni dopo.
Houbraken raccontò la morte del pittore. Scrisse che quel giorno Kalf era andato a una vendita d'arte nell'Heerenlogement, un circolo di gentiluomini oggi demolito, e in seguito aveva fatto visita al suo amico “Jan Pietersz Zomer, anche lui mercante d'arte. Alle otto e mezza di sera, mentre tornava a casa, inciampò sul Ponte Bantemer” e cadde rovinosamente. Nonostante soffrisse molto, riuscì a tornare a casa, si mise a letto, ma quando l'orologio batté le dieci morì. Era il 31 luglio 1693.
Nei suoi ultimi anni ad Amsterdam, Willem Kalf era stato molto ammirato: i suoi dipinti furono venduti a prezzi piuttosto alti (circa 40 fiorini in media), e vari scrittori dell'epoca lo elogiarono immensamente. Il pittore e biografo Gerard de Lairesse (1641 – 1711) scrisse di lui che superava qualsiasi altro pittore di nature morte. Houbraken lo definì un gentiluomo dotto e generoso. Sebbene non fosse certo povero, non rincorse mai lo stile di vita dei ricchi e famosi.
Doveva essere un lavoratore piuttosto lento con una piccola casa e studio e probabilmente lavorava da solo, senza l'aiuto di molti assistenti. Poco o niente si conosce delle sue pratiche di bottega e degli allievi riconosciuti, anche se le piuttosto numerose repliche suggeriscono che ad Amsterdam abbia lavorato con vari assistenti durante i suoi ultimi anni.
Il modo di dipingere è stato spesso paragonato a quello di Johannes Vermeer (1632-1675), tanto che alcuni studiosi fantasiosamente suggeriscono che Vermeer possa essere stato influenzato da Kalf.
Tra gli allievi ipotizzati come seguaci di Kalf, il maggior successo fu ottenuto da Juriaen van Streeck (1632 – 1687).
Oggi numerose gallerie e musei espongono le opere di Kalf in mostre o esposte stabilmente nel museo. Le sue opere sono state battute più volte alle aste, con prezzi giunti fino a 2.775.000 dollari corrispondenti a circa 2.490.000 euro. Questo importo è stato raggiunto da un dipinto di natura morta stimato tra i 2.000.000 e i 4.000.000 di dollari, venduto da Christie's a New York nel 2019. Il dipinto di natura morta si intitola “Uno scaldavivande, due mense per pellegrini, una brocca d'argento dorato, un piatto e altre stoviglie su un tavolo parzialmente drappeggiato” ed è uno dei tredici dipinti di nature morte conosciuti del periodo francese di Kalf.
Massimo Capuozzo

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