È giunto il momento di conoscere il mio Anfitrione, in questo viaggio ideale nello “Stato” della Borgogna e nel Gotico internazionale di quella regione.
Ma prima voglio fare delle considerazioni sulla sua preveggenza. Non che fosse un indovino, ma certamente era un uomo lungimirante come i suoi tre discendenti ed Henry Pirenne oggi me ne darebbe atto.
Mi è spesso capitato che, studiando approfonditamente qualche personaggio storico, mi sia affezionato a lui sentendolo come un amico. Mi è capitato tante volte e mi è successo anche con Filippo, principe di Francia che come me amava l’Arte e soprattutto perché la sua lungimiranza e la sua modernità sono straordinarie.
Amo oggi partire dal dove e da un mio ricordo.
Quando si studiava la Geografia europea in Seconda Media, dopo i Paesi confinanti con l’Italia, si studiava la penisola Iberica con i suoi due, anzi tre Stati, e poi si studiava una regione d’Europa che aveva allora per me uno stranissimo nome: il “Benelux”. Allora quasi tutti quelli che andavano a scuola studiavano le pagine che ci assegnavano da imparare perché di rado i Prof. spiegavano la Geografia, troppo presi com’erano dal Latino dall’Analisi logica da quella del periodo e dall’Odissea quella tradotta da Ippolito Pindemonte con costruzione diretta e parafrasi riempiendo pagine e pagine di quaderno.
Noi undicenni, abituati come eravamo al concetto apparentemente semplice di “Stato”, che fra l’altro spesso confondevamo con quello di “nazione” senza troppe complicazioni, ci trovavamo di fronte a un consesso di Stati più o meno piccoli che avevano qualcosa di vagamente unitario e di economicamente comune, e non era una Confederazione come la Svizzera, ma ciascuno Stato conservava una propria dignità nazionale che per me si traduceva con le tre bandiere diverse che lo rappresentavano.
Difficile capire a quell’età una cosa così complicata nella quale entrava l’Economia che ancora non era diventata la teologia dei giorni nostri.
Ora che sto studiando l’Arte fiamminga e olandese – e preferisco distinguerle, nonostante la matrice comune -, mi sono imbattuto in un personaggio di tutto rilievo che ha avuto a che fare con quell’area e mi è tornata immediatamente alla mente la parola “Benelux”, oggi per me meno misteriosa.
E ho approfondito a dovere quel concetto, come sa fare solo uno che non ha l’obbligo di studiare, ma che può percorrere liberamente i sentieri della conoscenza spinto dalle proprie curiosità.
Il personaggio è un Duca, quello di Borgogna per la precisione, il cui pronipote mancò di un soffio la creazione di un altro stato in Europa, proprio una sorta di Benelux del Quattrocento.
Com’è strana la Storia!
A volte con pause di secoli si riannodano fili che potevamo credere spezzati per sempre come questa vicenda del Duca di Borgogna e della sua dinastia mezzo millennio fa e dell’odierno Benelux. Vicende che si presentano con aspetti solo apparentemente diversi.
Ma partiamo dall’inizio di questa storia.
Non dalla notte dei tempi né dal Big Bang, ma da poco successivamente – poco si fa per dire perché si tratta di miliardi di anni – quindi da quando il nostro pianeta ha assunto la sua attuale configurazione.
Di istinto ho sempre avvertito un fascino per i Paesi Bassi come per il Portogallo e per l’antico Ducato di Amalfi i cui popoli, stretti e costretti dal mare, hanno saputo trarre un vantaggio proprio da ciò che maggiormente li limitava. Oggi si usa un termine orribile per l’uomo: la resilienza che, estesa alle necessità economiche, ha assunto il valore di una schiavitù senza molti diritti in nome della resilienza. Un traslato proveniente dalla fisica, che sta bene là e che invece oggi è ideologicamente utilizzato in tutta la sfera sociologica.
Il Regno di Portogallo stretto dal potente vicino iberico, il Ducato di Amalfi e i Paesi Bassi stretti da un territorio ostile, il primo per la presenza di montagne a volte impervie e spesso a picco sul mare, i secondi con un mare che tenta sempre di avanzare e potrebbe inondarli per 2\5, e che a volte ci è tragicamente riuscito: entrambi territori esigui, buona parte dei quali strappati dall’operosità dell’uomo ai monti nel Ducato di Amalfi grazie ai suoi acrobatici terrazzamenti e al mare nei Paesi Bassi grazie alle sue spericolate dighe.
Il nome stesso di Paesi Bassi – che sarebbe meglio tradotto Nederlandia, in assonanza con Groenlandia, o Neerlanda, in assonanza con Irlanda e Islanda, o Nederterra, in assonanza con Inghilterra piuttosto che con Olanda, una sineddoche che individua solamente una delle sette regioni, anche se la più importante, di quelle che costituiscono lo Stato – fornisce la prima indicazione, proprio fisica, della loro peculiarità: i Paesi Bassi, insieme con la Depressione Caspica, sono le terre più al di sotto del livello del mare di tutto il macrocontinente eurasiatico e nelle prime sfociano grandi fiumi dell'Europa centrale e in particolare il Reno con il suo enorme bacino idrografico.
L'attrazione esercitata dal tratto terminale del grande fiume, maggiore arteria navigabile d'Europa, ha reso questo lembo di terra, sebbene perennemente minacciato dal mare, il terzo paese più densamente popolato d'Europa e due motivi hanno fatto di queste terre una Nazione: il primo è di natura antropologica e consiste in quella sfida inesausta tra uomo e natura, nella quale i Neerlandesi hanno trovato la loro più profonda matrice nazionale, il secondo è di natura storica, avendo essi maturato un forte desiderio di indipendenza dalle potenze straniere come attesta la più eclatante manifestazione legata a quegli ottant’anni di guerra sostenuta da questo popolo contro la Spagna, allora prima potenza mondiale, per difendere la loro autonomia.
Uno scontro a dir poco asimmetrico, eppure…
La formazione geologica di queste “terre basse” e pianeggianti è la conseguenza dell'azione dei fiumi, grandi “lavoratori”, soprattutto di quella del Reno. Sfociando in mare essi hanno depositato nei millenni successivi alla fine dell’ultima glaciazione grandi masse alluvionali, creando un territorio che appare una grande pianura che raramente supera i cento metri ed è protetto da dune e da dighe. Batavi e Frisoni in età antica avevano già eretto sbarramenti a difesa dal mare, ma i primi organici sistemi di dighe risalgono all’alto Medioevo.
Con la fine della pirateria dei Vichinghi, dei Normanni e dei Danesi dal X all’XI secolo – attività che tuttavia ben presto appresero anche gli abitanti delle “terre basse” –, le città ripresero a prosperare e ne sorsero di nuove che, unitesi in leghe (le famose “Hansen”), ebbero periodi di grande floridezza economica acquistando privilegi commerciali per sé o impedendo ad altre leghe simili di ottenerne o, in ogni caso, limitandoli.
Come dovunque in Occidente, anche le “terre basse” furono soggette al Feudalesimo con una nobiltà laica ed ecclesiastica i cui membri costituivano l'élite sociale. Questa nobiltà si era sviluppata in territori di pertinenze diverse, taluni appartenenti al Regno di Francia altri all'Impero germanico, e proveniente in ogni caso da famiglie di origini sociali diverse, “ministeriales” o “cavalieri”. Questa nobiltà però era sottoposta a norme legali peculiari da zona a zona, a usi locali ed era insediata in ambienti economicamente molto diversi: per esempio mentre l'Hainaut e il Lussemburgo erano prevalentemente territori rurali, le Fiandre invece erano più urbanizzate.
La maggior parte degli attuali Paesi Bassi e del Belgio, furono riuniti nel ducato di Borgogna, ma prima di questa unificazione da parte del Ducato di Borgogna, i neerlandesi si identificavano più nella città in cui vivevano che nel ducato o nella contea a cui esse appartenevano, e si consideravano, ancora di meno, sudditi del Sacro Romano Impero.
Per questa ragione la feudalità nelle “terre basse” era meno arcigna che altrove forse ancora una volta per motivi territoriali: foci di fiumi più o meno grandi, canali di riflusso delle acque interne e altro ancora avevano contribuito all’insediamento delle diverse etnie che comprendevano francesi lussemburghesi, tedeschi, frisoni, fiamminghi.
I Neerlandesi però non si liberarono mai completamente dai vincoli feudali cosicché le varie aree delle “terre basse”, a partire dal 1381, attraverso una serie di successioni e di crediti acquisiti, incominciarono a unirsi sotto il governo di pochissime famiglie fino a ridursi a una sola, quella dei Borgogna, che, pur lasciando ai comuni gli antichi privilegi di cui godevano, furono signori di tutta la regione.
E a questo punto era entrato in gioco il Duca.
Filippo II di Valois, nipote, figlio, fratello e zio di Re, incominciò a creare uno stato che si incuneava fra regno di Francia e Impero di Germania che, grosso modo, sembra ricalcare ciò che prima del Mille era stato il Ducato di Lotaringia.
Quell’antico ducato ricopriva quasi precisamente gli attuali confini di Belgio, Olanda e Lussemburgo i cui governi in esilio a Londra durante l’occupazione nazista diedero origine al “Benelux”.
L'età borgognona fu anche l'epoca in cui incominciò a formarsi una coscienza nazionale dei neerlandesi.
Nel 1433 Filippo il Buono, terzo duca di Borgogna, conquistò anche la Contea d'Olanda. Il commercio olandese incominciò a svilupparsi rapidamente nel Quattrocento anche grazie ai nuovi sovrani borgognoni che difesero strenuamente gli interessi commerciali dei loro territori. Le navi olandesi sconfissero diverse volte le navi della Lega anseatica. Bruges poi Anversa poi Amsterdam diventarono i principali porti europei dove si distribuiva il grano della regione baltica e questo commercio fu vitale per gli interessi mercantili dei neerlandesi, perché l'Olanda non era in grado di produrre il grano per le proprie esigenze.
Durante la sovranità della casata di Borgogna le “terre basse” raggiunsero un grado di civiltà e di cultura elevatissimo, anche se la politica di espansione in Europa, seguita dai duchi Filippo il Buono (1419-67) e da Carlo il Temerario (1467-77) fu pagata con l'oro anche dei neerlandesi che, dopo la morte di quest'ultimo duca, o si ribellarono, come avvenne nel caso della Gheldria che riacquistò la propria indipendenza, oppure impedirono ai suoi eredi di usare le loro ricchezze per scopi estranei agli interessi del Paese, che con l’imperatore Carlo V erano divenuti mondiali.
Dopo questa fuga in avanti con il Benelux ritorno ora al mio anfitrione alla fine del Medioevo.
Quando Filippo nacque il 17 gennaio del 1342 nel castello reale di Pontoise, era il quartogenito del futuro re di Francia Giovanni II il Buono e di Bona di Lussemburgo. Nessuno sapeva che questo neonato, subito soprannominato “Filippo senza terra”, sarebbe diventato un giorno una delle figure più potenti del regno di Francia e fra i protagonisti della Storia d’Europa.
Filippo visse durante l’interminabile “Guerra dei Cent'anni” in cui il Regno di Francia, quello che sarebbe stato un giorno di suo padre, e il Regno di Inghilterra, si fronteggiavano senza esclusione di colpi per remote cause dinastiche.
All'inizio del conflitto nel 1337, con le prime battaglie che si svolgevano nel nord della Francia, Pontoise era un posto sicuro, ancora relativamente risparmiato dalla guerra: con le sue possenti mura fortificate e i suoi robusti bastioni che circondavano la ben munita città, il castello di Pontoise era un luogo sicuro per la famiglia reale.
Tuttavia, la famiglia reale non rimase a lungo a Pontoise perché la guerra avanzava rapidamente sul suolo francese e la minaccia inglese si avvicinava sempre di più. Nel 1346, Edoardo III di Inghilterra e il suo esercito giunsero nella contea del Vexin e saccheggiarono tutti i raccolti e i villaggi che lui e le sue armate attraversavano e se Pontoise resisteva dietro i suoi bastioni, la regione era devastata.
Filippo quindi visse la sua infanzia in guerra e la sua giovinezza fu segnata non solo dal conflitto, ma anche dalla “Grande Morte Nera”, la pandemia di peste che da levante attraverso i porti italiani afflisse l'Europa dal 1347 al 1351. Nessuno fu risparmiato, un francese su otto morì e nel 1349 in rapida successione Filippo ad appena sette anni perse la madre e la nonna.
Nel 1350, alla morte del cinquantasettenne re Filippo VI, fu incoronato re suo padre, il trentunenne Giovanni II il Buono mentre la guerra con gli Inglesi era ancora in corso e nel 1356 si stava preparando a Poitiers una delle più sanguinose battaglie di quella guerra.
Il re si era preoccupato di mettere in salvo i suoi figli maggiori il principe ereditario Carlo, il duchino d’Angiò Luigi e il duchino di Berry Giovanni, ma portò con sé il più giovane, l’appena quattordicenne Filippo, il “senza terra”.
La battaglia fu furiosa e i Francesi dovettero cercare la fuga per evitare un probabile accerchiamento. Re Giovanni rimase quasi solo in mezzo agli Inglesi e il giovanissimo principe mostrò un coraggio ineguagliabile, combattendo coraggiosamente a fianco del suo papà sia spada in pugno aiutandolo in uno scontro ravvicinato, sia facendogli da scudiero quando si avvicinava un nemico. Filippo, pur ferito, continuò a guardare le spalle del padre, difendendolo valorosamente.
Giovanni II fu catturato e furono entrambi imprigionati insieme ai più stretti collaboratori del Re e successivamente tradotti in Inghilterra.
Il risultato della battaglia di Poitiers fu un disastro per i Francesi, e non solo in termini militari, ma anche economici: la Francia, per riavere il proprio sovrano, fu costretta a pagare un riscatto per il Re equivalente al doppio delle entrate annue del paese.
Per quattro anni ostaggio degli Inglesi, Filippo mostrò, anche durante la prigionia ardimento e orgoglio unici: una volta schiaffeggiò un coppiere che serviva il Re d'Inghilterra prima del Re di Francia, per punirlo dell’affronto di aver preferito il vassallo al sovrano. Perché giuridicamente il Re di Inghilterra era vassallo del Re di Francia. Un’altra volta rimproverò duramente un cavaliere inglese che secondo lui non era stato adeguatamente rispettoso nei confronti di suo padre, ponendo istintivamente mano alla spada.
Questo coraggio mostrato al suo fianco e il sostegno morale che Filippo diede al padre durante gli anni di prigionia e che mostrava in ogni circostanza gli valse il soprannome di “Ardito” fecero dell’impavido Filippo, il figlio prediletto del Re che, una volta rilasciato, lo dichiarò “primo pari di Francia” che equivaleva all’essere il primo fra i grandi feudatari, cioè dei vassalli diretti della corona di Francia e gli offrì dapprima la Turenna nel 1360, poi, in cambio di questa, il Ducato di Borgogna nel 1363 come ricompensa della sua fierezza.
Da quel momento per la Storia smise di essere il principe “senza terra” e diventò Filippo II di Borgogna che, all’insegna della sua arditezza, inaugurò il carattere eroico della sua stirpe futura.
A quel tempo il titolo di Duca di Borgogna era quasi solo una formalità onorifica, perché quel ducato, posto fin dall'XI secolo nell’ambito della corona reale francese, era solo un frammento dell'antica “Borgogna”. In quel momento il ducato era solo una modesta zona di confine col Sacro Romano Impero di Germania il cui confine passava proprio attraverso la Borgogna lungo la valle del Rodano.
Dall'altra parte di questo confine si trovava la "contea palatina di Borgogna" nota come la Franca contea, che però non era pertinenza del Re di Francia ma degli Imperatori del Sacro Romano Impero.
A quei tempi però c’era il Feudalesimo e i feudatari, a seconda del loro valore individuale, potevano essere, e spesso accadeva, più potenti del Re o dello stesso Imperatore. Nei suoi feudi Filippo infatti si assicurò di regnare da sovrano.
Più a nord sempre nelle pertinenze dell'Impero c’era la potente Contea delle Fiandre, dove i loro conti avevano una ricchezza ineguagliabile, grazie alle loro città mercantili di Bruges, di Gand e di altre ancora.
Ventisettenne Filippo riuscì a realizzare un grande colpo, auspice suo fratello Carlo V che era salito al trono nel 1364: conseguì il migliore matrimonio d'Europa impalmando nel 1369 l’unica figlia di Luigi II de Male, conte di Fiandra. La diciannovenne contessa Margherita III di Fiandra (1350-1405) era già vedova del primo Filippo di Borgogna, l’aveva sposata quando lei aveva appena undici anni e che se l’era portato via la peste nel 1361 estinguendosi così il primo ramo capetingio dei duchi di Borgogna.
Il suo matrimonio con Margherita di Fiandra lo avrebbe reso padrone delle contee di Fiandra e di Borgogna (la Franca contea), Artois e Nevers e ne avrebbe fatto uno dei signori più potenti d'Europa.
Le fonti dell’epoca e i ritratti descrivono Filippo alto, possente, con un mento forte e un naso importante, scuro di carnagione e non bello, ma i suoi contemporanei lo consideravano di grande sapere, instancabile e soprattutto un tenace lavoratore. Ma oltre al suo coraggio, in politica era dotato di un forte senso della misura e di un istinto naturale per il possibile. Lo storico Jean Froissart nelle sue Chroniques dice di lui che Filippo aveva visto lontano, io direi lontanissimo, vista l’attualità.
Con il suo talento politico, molto preso dai suoi doveri, aveva l'ambizione di svolgere un ruolo feudale di primo piano nel regno di Francia, ma lo fece con generosità e munificenza, da illuminato mecenate di tutte le arti, appassionato soprattutto di architettura, ma come tutti i generosi, sempre a corto di denaro.
Dal suo matrimonio iniziò la vorticosa ascesa di Filippo.
Nel 1372, il duca di Borgogna riuscì a mettere mano su varie signorie, che erano state sottratte precedentemente al ducato, ma rimase sempre fedele a suo fratello re Carlo V il Saggio non dimenticando mai di essere soprattutto un principe francese: prestò servizio in guerra, prese parte a numerosi assedi e operazioni militari contro gli inglesi, a fianco del conestabile di Francia, Bertrand Du Guesclin l’alto dignitario militare, al quale era generalmente affidato il comando in capo dell'intero esercito reale quale luogotenente del sovrano, cui spettava però il comando supremo.
Fino alla morte di suo fratello Carlo, Filippo combatté gli Inglesi, e quando Carlo morì nel 1380, Filippo diventò con i suoi fratelli Luigi d’Angiò, Giovanni di Berry, uno dei membri del consiglio di reggenza di suo nipote Carlo VI, allora dodicenne. Da quella posizione il Duca colse l'occasione di rafforzare ulteriormente l’autorità del suocero nelle Fiandre con la sottomissione delle città ribelli nel 1382.
Nel 1381 il Duca aveva acquistato il “castello di Germolles” in Borgogna – l'unico castello dei duchi ancora esistente in Francia –, lo donò alla moglie, che ne fece un buon luogo in cui vivere e una residenza di piacere dei duchi.
Alla morte del suocero nel 1384, Filippo incassò l’eredità di sua moglie: la contea delle Fiandre, che con le città di Gand, Bruges e Lille, era allora una delle province più ricche d'Europa, la contea di Rethel con due feudi attigui al Ducato di Borgogna cioè la Contea di Nevers nella Francia centrale e la contea di Borgogna cioè la Franca Contea che era nelle pertinenze dell'Impero, priva solo di Besançon che era una delle città libere imperiali, e infine la contea di Artois, confinante con le Fiandre.
Quando entrò solennemente con la moglie Margherita a Bruges, Ypres, Messines, Diksmuide, Damme, Mechelen e Anversa, il piccolo quartogenito ''senza terra'' di re Giovanni, era diventato a quarantadue anni l’uomo più potente del regno di Francia, il più influente proprietario terriero del regno e con le roccaforti che controllava dal 1384, partecipò con una posizione ragguardevole ai conflitti che turbavano il regno di Francia alla fine del secolo: la “Guerra dei Cent'anni” e, opponendosi fermamente a Enrico V d'Inghilterra poi allo stesso nipote re Carlo VI e infine agli stessi principi francesi in lotta per la reggenza del regno di Francia perché Carlo VI era considerato pazzo.
Diventato ufficialmente conte di Fiandra prese rapidamente misure militari necessarie e decise di imporre una tassa per finanziare la difesa delle regione. Nominò Guy de Pontailler, prima carica militare della Borgogna, e Jean de Ghistelle, rappresentante di un’antica stirpe fiamminga e stretto consigliere di Luigi II de Male, "governatori del paese delle Fiandre", equilibrando il potere militare borgognone con la continuità politica fiamminga.
Il Duca decise anche un programma di rinnovamento e di consolidamento delle roccaforti, in particolare la costruzione di un castello a Écluse proprio sul Canale della Manica.
Prendendo possesso della contea delle Fiandre, trovò solo la resistenza di Gand subdolamente sostenuta dagli Inglesi. Il Duca non marciò sulla città per evitare un inutile spargimento di sangue, ma isolò la città, bloccò le vie di rifornimento e la sua popolazione fu minacciata dalla scarsità di cibo, tutte condizioni che spinsero gli insorti cittadini di Gand a negoziare, soprattutto perché l’insurrezione durava già da più di sei anni. Filippo sapeva che il suo interesse convergeva con quello dell’intraprendente borghesia fiamminga. Ricevette quindi gli inviati fiamminghi con i quali concluse il trattato di Tournai il 18 dicembre 1385, atto che riportava la pace in tutta la contea delle Fiandre.
Con questo trattato il duca di Borgogna concesse la grazia al popolo di Gand, ne confermò tutti i privilegi in cambio della loro sottomissione e del loro impegno ad essere "sudditi buoni, leali e veri". Seppe essere conciliante, lasciando che ognuno scegliesse la sua obbedienza, o facendo scrivere in fiammingo le lettere della cancelleria. Tutte le Fiandre gli giurarono fedeltà, il che risolse il conflitto.
Durante lo Scisma d'Occidente, Filippo fu molto attento tanto nella sua attività di reggente del povero Carlo VI, quanto nel governo dei suoi possedimenti e degli interessi economici delle città manifatturiere dei suoi stati avvalendosi della consulenza di validi uomini d'affari e di imprenditori tra cui soprattutto Jacopo Rapondi (1350 circa – 1432), suo amico personale.
Filippo, prendendo possesso della contea delle Fiandre nel gennaio 1384 sapeva che per essere accettato dai fiamminghi doveva ripristinare la loro prosperità economica, tanto più che la guerra con suo suocero era durata diversi anni (1379-1385) e aveva devastato il paese.
Il duca decise per una rapida ricostruzione, favorì il ripopolamento dei centri devastati concedendo agevolazioni fiscali. Gli effetti di una tale politica si fecero sentire solo a lungo termine, e alcune città si ripresero solo a fatica, anche se il Duca fu sostenuto nella sua azione dai “Quattro Membri delle Fiandre”, un collegio che rappresentava i sudditi fiamminghi.
La prosperità delle Fiandre dipendeva principalmente dal commercio con l'Inghilterra, che all'epoca era il principale fornitore di lana per l'industria tessile nel nord dei territori che governava, e questo richiedeva il pagamento in monete d'oro. Filippo fece un’audace mossa finanziaria coniando monete fiamminghe contenenti pochissimo oro rispetto alla monetazione inglese. L'effetto fu rapido: l'economia si rianimò e il duca ne trasse cospicui profitti.
L'effetto di questa politica associata al ritorno della pace fu molto favorevole: l'economia si riprese e l’armonia tornò fra i sudditi, che accettarono la tassa, e il sovrano che portava la pace e la prosperità economica.
Seguendo la tradizione feudale, Filippo si occupò di arrotondare i suoi possedimenti e, da principe prettamente francese, diede vita una fase di espansione “francese” a scapito dell'Impero, lanciando sulla scena politica ed economica l'ascesa del suo ducato, che era quindi diventato ricchissimo e potentissimo.
Nelle Fiandre, Filippo mantenne le principali istituzioni amministrative fiamminghe, come l'organizzatissima e antica istituzione del “baliato”, e in particolare quella del “supremo balivo delle Fiandre”, un ufficio che era stato creato da Luigi II de Male: i “balivi” erano gli ufficiali giudiziari del conte incaricati di difendere i suoi diritti e le sue prerogative.
Il Duca, però, avviò un ampio programma di riforme che riguardò soprattutto la cancelleria: dal 1385 il Duca decise riunì le cariche di Cancelliere di Borgogna e Fiandre, il cui titolare diventò “Custode dei Sigilli” e questo fu il primo provvedimento di accentramento che adottò. Il provvedimento riguardò l'organizzazione giudiziaria e finanziaria, che entrò in vigore solo dopo il ripristino della pace nelle Fiandre: dal febbraio 1386 Filippo II istituì a Lille una “Camera del Consiglio” e una “Camera dei Conti” e scelse questa città per motivi linguistici, politici e geografici: situata nelle Fiandre francesi, Lille non aveva partecipato alla rivolta di Gand e la sua posizione, non lontana da Parigi e militarmente poco vulnerabile, ne facevano un luogo ideale.
Istituì due corpi di funzionari: quelli incaricati della giustizia e quelli incaricati dei conti, anche se i due organi talvolta si riunivano congiuntamente. Questa amministrazione si impose rapidamente su tutte le Fiandre e persino sulle signorie senza sbocco sul mare di Anversa e Mechelen e infine vi si sottomise anche la contea di Artois.
Nel suo sistema fiscale si distingue una doppia modalità di incassi e anche in questo Filippo seppe mostrarsi un amministratore di talento dando vita a un sistema fiscale moderno tanto che il suo principato aprì la strada alla moderna tassazione statale.
Filippo gestì il suo principato assistito da un cancelliere al quale delegò in gran parte i suoi poteri. Il Duca era inoltre circondato da un Consiglio Grande e Piccolo che lo seguiva nei suoi viaggi.
Questo consiglio non aveva una composizione fissa durante le sue assenze, Philippe delegò la gestione del suo principato ai suoi governatori e capitani generali.
Un’occasione per lui dolorosa, ma comunque favorevole era la malferma salute psichica del giovane re di Francia e Filippo, in seguito alle prime escandescenze del nipote alla fine degli anni Ottanta, di concerto con il duca di Berry, con un colpo di mano assunse da solo il governo dello Stato, licenziando tutti i consiglieri di Carlo VI destituendo Luigi d'Orléans, fratello del re che trescava palesemente con la regina sua cognata e alle cui spese folli, dettate dalla sua smisurata ambizione, il duca di Borgogna si contrappose rigorosamente.
Da qui nacque quell’insanabile rivalità tra Filippo l’Ardito e Luigi d'Orléans. In questo modo anche nella famiglia reale francese, per non venir meno al detto “parenti serpenti”, ebbe origine di un’enorme ostilità che avrebbe diviso i re di Francia dai duchi di Borgogna per i successivi ottantacinque anni con lo scontro delle due fazioni, quella dei duchi d'Orléans, detta degli Armagnacchi, e quella dei duchi di Borgogna, detta dei Borgognoni.
Nell'aprile del 1402, in assenza di Filippo di Borgogna da Parigi, il duca d'Orleans, fattosi nominare sovrintendente fiscale, impose un tributo estremamente oneroso e, quando Filippo rientrò a Parigi protestò immediatamente e dichiarò di avere rifiutato 100.000 corone come prezzo del suo consenso a tale tassazione: con tale mossa, Filippo l'Ardito acquisì ampia popolarità a Parigi, mostrandosi, rispetto al duca d'Orléans, un principe saggio e riformatore.
Filippo era diventato ormai padrone di una “grande Borgogna”, a cavallo del dominio francese e di quello germanico e alla sua morte nel 1404 lasciò al figlio un vasto dominio che comprendeva la storica Borgogna a sud e le Fiandre a nord: l'unione di questi due ricchi territori diede vita al sogno di un nuovo stato borgognone che tuttavia sarebbe rimasto irrealizzato.
Filippo l’Ardito dominò non solo la Borgogna, ma anche la vita politica francese dell’ultimo ventennio del Trecento e oltre.
I suoi territori erano ricchi, ma eterogenei e per governarli era indispensabile Parigi, snodo delle comunicazioni fra Fiandre e Borgogna.
Per più della metà dell'anno il Duca e la sua corte risiedevano all'”Hotel d'Artois” sull'Ile de la Cité, residenza dei duchi di Borgogna a Parigi fino alla fine del Quattrocento e, in questa funzione, durante i contrasti tra gli Armagnacchi e i Borgognoni rappresentò temporaneamente il centro del potere in Francia.
Dall'”Hôtel d'Artois” molti cavalieri trasmettevano i suoi ordini e quelli del suo Cancelliere, Jean Canard, e in ciascun feudo c’era un'amministrazione, specifica per ogni regione, cosicché il Ducato e la contea di Borgogna, la contea di Nevers e la baronia di Donzy possedessero ciascuno una propria burocrazia, e soprattutto per le regioni fiamminghe, dove bisognava fare i conti con le difficoltà linguistiche, di cui Filippo non parlava la lingua, e con i privilegi delle città.
Intorno al 1385-1387 il Duca centralizzò le istituzioni. A Digione, eletta da lui capitale del Ducato e dalla quale dipendeva un gran numero di ufficiali furono create una “Camera di udienza” e una “Camera di consiglio”.
Sebbene dotato di un acuto senso politico, era poco accorto al denaro e alla sua morte lasciò al figlio Giovanni Senza Paura le casse dello Stato vuote e l'obbligo dell'uso della demagogia, se voleva conservare un partito, quello dei Borgognoni in Francia.
Il Duca non fu più solo un grande feudatario, ma fu il capo di uno stato eterogeneo la cui amministrazione fu modellata su quella del regno di Francia e agì sempre come un principe territoriale preoccupato degli interessi dei suoi sudditi: dal 1376, non smise di promuovere tregue con l'Inghilterra, per difendere l'industria fiamminga, messa in crisi dalla guerra. E se dal 1398 durante il “Grande scisma d'Occidente” si attivò per la neutralità nella lotta fra papi romani e antipapi avignonesi, fu per non dividere i suoi sudditi: i fiamminghi, come gli inglesi, erano sostenitori del Papa di Roma, i borgognoni come i francesi, indulgevano per il Papa di Avignone.
Ma la cornice ristretta di un piccolo stato non bastava alla sua ambizione. Per obbligo, per temperamento e per necessità, Filippo trovò nella direzione del regno di Francia il vero campo della sua politica: alla morte di Carlo V nel 1380, aveva assunto la reggenza di Carlo VI allora appena dodicenne, insieme con i due fratelli, il duca di Angiò e il duca di Berry, che però erano spesso assenti, il primo per rivendicare l’eredità di re di Napoli, il secondo per l’attenzione che nutriva nel suo ducato, e per questo ebbe mano libera. Il governo degli “Anziani del Regno” dal 1388 al 1392, fu l'unica eclissi alla sua influenza. La manifesta follia del nipote Enrico VI nel 1392 e le crisi che seguirono assicurarono il suo definitivo ritorno al potere. Questo dominio sulla Francia coincise perfettamente con la sua ambizione. La stessa cura con cui si vestiva con i velluti più fini e le pellicce più ricche dimostrava chiaramente il suo gusto per la regalità per feste e sfilate.
Bella narrazione, Prof, di una vita complessa e fortunata in un contesto particolarmente complicato: le radici dell' Europa cominciano a diventare evidenti... grazie
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