Benito Mussolini nacque a Dovia di Predappio in provincia di Forlì il 29 luglio del 1883. La Romagna è terra di sanguigne passioni, dove l’amore per la politica, la polemica e lo scontro verbale è forte.
Figlio di Alessandro, fabbro ferraio, e di Rosa Maltoni, maestra del villaggio, suo padre gli impose tre nomi di famosi rivoluzionari o uomini d’azione: Benito Jaurez, rivoluzionario presidente del Messico, Andrea Costa, uno dei padri e fondatori del socialismo italiano, Amilcare Cipriani, intrepido eroe garibaldino.
Alessandro Mussolini era uno dei primi socialisti in Italia, consigliere comunale a Predappio, era l’anarchico del paese, una testa calda che faceva comizi nelle osterie e scriveva polemici articoli sul Pensiero Romagnolo di Forlì, un giornaletto repubblicano senza troppe pretese, più volte arrestato per i suoi atteggiamenti irriguardosi verso le autorità, trasmise al giovane Benito il suo temperamento ribelle e la sua divorante passione per la politica, per il socialismo e per la rivoluzione. Il figlio lo seguiva ovunque nelle discussioni politiche in piazza, negli scantinati, nelle riunioni di partito, ove il piccolo Benito vedeva suo padre, col suo potentissimo timbro della voce e la sua forte personalità, dominare letteralmente i compagni.
Il padre, non fu proprio esemplare: donnaiolo, gran bevitore, impartì al figlio un’educazione molto severa.
Spesso lo puniva a cinghiate e gli instillò, fin da piccolo, un senso di orgogliosa fierezza ripetendogli spesso che “non si devono tollerare prepotenze da nessuno, chi le subisce è un vigliacco”, oppure “meglio un ceffone da tuo padre oggi che due da un estraneo domani”.
Nonostante una così rigida educazione, Mussolini disse successivamente del padre: “Di beni materiali non ci ha lasciato nulla; di beni morali un tesoro: l'idea” oppure “Con un altro padre io non sarei mai diventato quello che sono”.
La madre Rosa Maltoni era invece la classica donna all'antica, cattolica, maestra del villaggio, donna pia e industriosa. Mussolini visse un’infanzia modesta trascorsa lungo i campi e le strade. Fu un bambino come gli altri in niente diverso dal tipico ragazzo attaccabrighe, sempre smanioso di fare a pugni, di gareggiare nella corsa e nell’arrampicarsi agli alberi, ribelle, battagliero, volitivo.
Questa inclinazione del bambino alla ribellione preoccupava i genitori e perciò suo padre lo obbligava a frequentare l’officina per tirare il mantice, mentre il maestro Silvio Marani gli insegnava l’alfabeto.
L’ambiente semiselvaggio e l’isolamento inasprirono la sua propensione a diventare sempre più indocile ai freni dei primi doveri. Era necessario quindi prendere i provvedimenti ed i genitori si trovarono d’accordo nell'idea di chiudere il ragazzo in un collegio.
Nel settembre del 1892, i genitori lo iscrissero all’Istituto Salesiano di Faenza, dove fu assegnato alla terza elementare.
In collegio la disciplina era ferrea, subiva molti torti ed umiliazioni a causa della sua condizione sociale e ciò esasperava ulteriormente il suo spirito ribelle.
Anche qui si fece subito notare per la violenza dei suoi atteggiamenti tanto che cominciarono a susseguirsi i rimproveri fino alla prima espulsione, dovuta ad una coltellata inferta ad un suo compaesano.
Dopo ripetute preghiere da parte dei genitori, Benito Mussolini rientrò nell’istituto fino alla fine dell’anno scolastico quando il direttore, annunziò con rammarico ad Alessandro Mussolini che non avrebbe potuto più ammettere suo figlio tra gli allievi, poiché il suo temperamento non si era adattato alla disciplina salesiana.
Per un periodo fu costretto a studiare a casa, sotto la guida premurosa della madre, quindi fu inviato all’Istituto Giosuè Carducci di Forlimpopoli.
Aggressivo, litigioso, collerico, aveva due occhi penetranti e inquisitori, ma ispirava simpatia e, anche se appariva sempre ingrugnito e raramente sorrideva, sapeva tenere allegri i compagni, con le sue battute vivaci e i suoi racconti paradossali inventati sul momento. Lo chiamavano el matt, da quando, incaricato dal direttore della scuola, Vilfredo Carducci, fratello del poeta, di commemorare davanti agli alunni la morte di Giuseppe Verdi, invece di parlare di musica si scagliò con violenza contro gli agrari e gli sfruttatori che opprimevano le classi dei lavoratori.
Nonostante le intemperanze, a scuola il suo profitto era ottimo: serio, studioso, s’impegnava a fondo.Iscritto al Partito Socialista Italiano fin dal 1900, mostrò subito un acceso interesse per la politica attiva, stimolato tra l’altro dall’esempio del padre, esponente di un certo rilievo del socialismo anarcoide e anticlericale della Romagna.
Ben presto l’ambiente di provincia gli va stretto e, non appena conseguito nel 1901, con ottimi voti, il diploma di maestro elementare decise di andare a fare l’insegnante a Gualtieri in provincia di Reggio Emilia, con la disapprovazione del padre che vedeva così sfumare i sogni rivoluzionari che aveva riposto nel figlio. Ma il giovane non si fece condizionare: era un ragazzo intelligente, sveglio, aveva bisogno di vedere il mondo, di fare esperienze, di togliersi dall'ambiente famigliare troppo sicuro, troppo tranquillo per il suo temperamento già assai irrequieto.
Ben presto anche Gualtieri diventò un posto troppo angusto per le sue ambizioni. Socialisti da tagliatelle è l'accusa che scagliava contro i socialisti del paese, colpevoli d’esser troppo molli, troppo mansueti, rivoluzionari che non rivoluzionano nulla. Un giorno, ad una riunione di maestri, parlò con tanta violenza delle leggi scolastiche di allora, contro l’incapacità dei responsabili, contro l'ignavia dei reggitori della cosa pubblica che, uno ad uno, tutti i presenti abbandonano la seduta. Mussolini si fece notare anche per le sue tempestose relazioni sentimentali. Quel giovane che avanzava sempre a passo di carica, col petto infuori e il mento proteso in avanti riscuoteva un certo successo. Diventò l'amante di una donna sposata, che aveva il marito militare: il loro amore fu burrascoso, punteggiato da rabbiosi litigi e da pugni e schiaffi reciproci. Una volta la colpì, per gelosia, con una coltellata ad una natica.
La violenza gli piaceva, era un cultore della violenza. Gli era innata, alla scuola anarchico-rivoluzionaria del padre, gli si era accresciuta perchè questa era la sua natura, questa era l’intima essenza della sua mentalità.
Nel 1902, Mussolini, antimilitarista fino al midollo, per sottrarsi al servizio militare partì per la Svizzera, patria della libertà e di tutti gli spiriti rivoluzionari, di tutti gli ambiziosi alla ricerca di uno sfogo, dove trascorse i due anni più desolati della sua vita
Vi giunse senza conoscere nessuno, con pochi soldi in tasca. Tentò di mettersi in contatto coi socialisti italiani là residenti, ma senza esito.
Trovò lavoro come manovale in un cantiere, undici ore al giorno di lavoro spingendo una carriola carica di pietre. Una fatica da schiavi che poco s'attagliava ad un rivoluzionario dai nobili ideali. Dopo una settimana fu cacciato in malo modo.
Dovette adattarsi ai più umili mestieri per sopravvivere, e sbarcare, male, il lunario: manovale, sterratore, garzone di un vinaio, d’un macellaio, l'operaio in una fabbrica di cioccolato. Patì spesso la fame, tanto che una volta, a Losanna, fu arrestato perchè sorpreso a mendicare e a Ginevra assalì due anziane turiste inglesi che ai giardini mangiavano pane, formaggio e uova.
Finalmente riuscì ad entrare in contatto con i socialisti italiani: quasi tutti operai, semianalfabeti, e una persona istruita suscitava in loro rispetto e ammirazione.
Mussolini fu accolto fraternamente: il settimanale dei socialisti italiani a Losanna Avvenire del lavoratore gli pubblicò un articolo.
Si mette subito in evidenza per il suo attivismo, partecipando a riunioni, incontri, comizi, scrivendo articoli di fuoco sui fogli dei lavoratori.
Aveva solo vent’anni, ma il suo carisma sugli emigranti cresceva rapidamente. Questo giovanotto che parlava con periodare pungente, che guarda fisso con gli occhi pieni di vita, che punteggiava i suoi discorsi con ampi gesti delle mani, conquistò consensi e simpatie. Imparò bene il francese, discretamente il tedesco. A mano a mano che la popolarità di Mussolini cresceva, aumentavano i problemi con le autorità svizzere, che non vedevano troppo di buon occhio quel giovane e turbolento.
Ormai il giovane maestro era entrato nel giornalismo rivoluzionario dei fogli degli emigranti, la cerchia delle sue collaborazioni si allargava.
Entrò in contatto con i più noti esponenti del socialismo italiano emigrato come Lucio e Giacinto Menotti Serrati, con Angelica Balabanoff e con altri rivoluzionari, ponendo contemporaneamente le basi della propria cultura politica, in cui si mescolavano gli influssi di Marx, Proudhon e Blanqui con quelli di Nietzsche, di Pareto e di Gustave Le Bon.
Mussolini lesse avidamente di tutto specialmente George Sorel, il teorico della violenza e il più acceso sostenitore del sindacalismo rivoluzionario, che lo influenzò più di tutti. Il suo pensiero si sposava alla perfezione con un uomo d'azione quale si sentiva Mussolini, che amava andare per le spicce e senza troppi riguardi per nessuno.
Un altro ispiratore fu Nietzsche: la sua idea di superuomo con la sua volontà di potenza creatrice sembrava fatta apposta per Mussolini.
Espulso da un cantone all’altro per il suo attivismo anticlericale e antimilitarista, Mussolini si sentiva bloccato.
Nel 1904, Mussolini rientrò in Italia, approfittando di un’amnistia che gli permise di sottrarsi alla pena, prevista per la renitenza alla leva.
Nel 1904, Mussolini rientrò in Italia, approfittando di un’amnistia che gli permise di sottrarsi alla pena, prevista per la renitenza alla leva.
Compì il servizio militare nel reggimento bersaglieri di Verona durante il quale non accade nulla di particolare: faceva, come tutti, le marce, le manovre, la corvèe, il servizio di guardia.
Nel 1905 sua madre morì a quarantasei anni, e suo padre s’era tenuta accanto la vedova d’un bracciante, Anna Guidi, che aveva cinque figlie, la minore delle quali era Rachele. Dopo il congedo Mussolini visse uno strano periodo di apatia. Dopo le dure esperienze passate non aveva nessuna voglia di ritornare in Svizzera. Tentò inutilmente di trovare impiego come giornalista, trovando sbarrate tutte le porte.
Attraversava un periodo di depressione in cui si sentiva svuotato di ogni energia, finito.
Ottenuta una supplenza a Caneva di Tolmezzo, in Carnia. Fu un pò la riedizione dell’esperienza di Gualtieri, con la differenza che ora non è più un ragazzo ai primi passi, era uno scontento, uno sbandato, un ribelle frustrato che non riusciva a trovare la sua strada.
Non poteva durare a lungo in quella situazione, infatti, il 17 febbraio del 1907, Mussolini fu collocato in congedo dai suoi superiori, dopo un’anticlericale e rivoluzionaria commemorazione di Giordano Bruno: la Polizia lo schedò come sovversivo e pericoloso anarchico.
Scelse nuovamente la strada dell’emigrazione, ma stavolta a Marsiglia dove tentò di ripetere le esperienze svizzere gettandosi nell’organizzazione sindacale degli emigranti, ma gli operai italiani in Francia non lo apprezzano come quelli in Svizzera, non ne approvano i metodi troppo bruschi e quando cominciarono ad apprezzarlo fu ancora una volta espulso.
Mussolini tornò a Forlì, dove avrebbe voluto fare il giornalista, ma il giornalino illustrato L'idea Socialista non navigava in buone acque.
Nel 1908, Mussolini fu di nuovo costretto a ripartire, stavolta per Oneglia, in Liguria, dove Lucio Serrati, fratello minore di Giacinto Menotti Serrati, mandava avanti faticosamente La Lima, settimanale dei socialisti liguri. Per averlo come collaboratore fisso, Serrati gli procurò un posto di insegnante di francese in una scuola privata.
Ad Oneglia, Mussolini si mise in luce coi suoi caustici articoli che firma con lo pseudonimo di Vero Eretico, e tornò ad essere il grintoso di prima, polemico, pungente. La Lima lo rimise in sella, e gli diede finalmente l'occasione per coltivare le sue ardenti passioni: il giornalismo e la politica.
Stanco presto anche della provinciale Oneglia, Mussolini tornò a Predappio giusto in tempo per mettersi a capo dello sciopero dei braccianti agricoli. Il 18 luglio fu arrestato per aver minacciato un dirigente delle organizzazioni padronali: processato per direttissima, fu condannato a tre mesi di carcere, ma, dopo 15 giorni, fu messo in libertà provvisoria dietro cauzione. A settembre fu arrestato per dieci giorni, per aver tenuto a Meldola un comizio non autorizzato.
Nel 1909, Mussolini divenne segretario della Camera del Lavoro di Trento e diresse il quotidiano L’avventura del lavoratore e quindi Il Popolo, quotidiano socialista di proprietà dell’irredentista Cesare Battisti.
Mussolini subito innescò polemiche dapprima con i clericali, che là possedevano molti giornali, quindi con le autorità asburgiche, che mal sopportano i continui attacchi del combattivo giornalista.
La querela di un prete ritenutosi diffamato, avviò una lunga serie di arresti. Le autorità che governavano sul territorio dell’Impero asburgico mal sopportavano le intemperanze di Mussolini e, su forti pressioni del clero locale, ne decretarono la sua espulsione. Dopo sei mesi di convulsa attività propagandistica, fu espulso tra le proteste dei socialisti trentini, suscitando un’ampia approvazione in tutta la sinistra italiana.
L’emigrazione, i numerosi arresti, le espulsioni, gli crearono intorno ormai un’aura di martire del socialismo. La sua ambizione, già smisurata, trova nuova linfa nel sentirsi un perseguitato, un ribelle che si batte per una giusta e nobile causa. E finalmente era un rivoluzionario che cominciava a far sentire la propria voce, a dar fastidio, a esser preso sul serio, e a incontrare consensi e popolarità sempre crescenti.
Tornato a Forlì, Mussolini si unì, senza vincoli matrimoniali, con Rachele Guidi, una graziosa biondina di carattere dolce e insieme risoluto da cui ebbe, nel settembre 1910, la prima figlia Edda. Nel frattempo, la federazione socialista di Forlì gli offrì la direzione del settimanale Lotta di classe e lo nominò segretario.
Nei tre anni in cui conservò tali incarichi, Mussolini diede al socialismo romagnolo una sua impronta precisa, fondata su proposte rivoluzionarie e volontaristiche, ben lontane dalla tradizione razionale e positivista del marxismo, come era interpretato dagli uomini più rappresentativi del Partito socialista.
Dopo il Congresso socialista di Milano dell’ottobre 1910, ancora dominato dai riformisti, Mussolini pensò di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l’uscita dal Partito socialista della federazione socialista forlivese, ma nessun altro lo seguì nell’iniziativa.
Quando la guerra di Libia modificò i rapporti di forza tra le correnti del socialismo italiano, Mussolini, condannato a cinque mesi e mezzo di reclusione per le manifestazioni organizzate nel settembre del 1911 contro la guerra in Africa, apparve come l’uomo più adatto a rappresentare il rinnovamento ideale e politico del partito. Nel luglio del 1911, fu uno dei protagonisti del congresso di Reggio Emilia: si pose alla testa degli intransigenti, deplorando i deputati che si erano congratulati con il Re per lo scampato pericolo e riuscendo ad ottenere l’espulsione dei traditori.
Ma il 1912 fu l’anno fatale. Il 1° dicembre, Mussolini assunse infatti la direzione dell'Avanti!, prima importante tappa della sua ascesa, e si trasferì a Milano. Attraverso le colonne del giornale del Partito socialista rinnovò i suoi attacchi contro tutto e tutti, e, con i suoi violenti articoli cominciò a dare energiche spallate all'impalcatura del socialismo riformista, arrivando persino a mettersi contro i suoi stessi compagni e spostando un'ala del partito verso l'interventismo con una mossa determinante per le vicende del paese. Margherita Sarfatti, turatiana e quindi avversa alla vincente corrente rivoluzionaria di Mussolini si presentò al direttore per dare le dimissioni da collaboratrice del giornale, ma fra i due nacque subito una simpatia reciproca tanto che mussolini ne cominciò a frequentare il vivace salotto.
Un giorno, Rachele piombò a Milano, e si presentò alla redazione dell’Avanti!, imponendo al riluttante compagno i suoi doveri.
Allo scoppio della guerra mondiale, Mussolini era allineato sulle posizioni di radicale neutralismo del partito, ma, nel giro di qualche mese, in lui si sviluppò la convinzione, comune ad altri settori dell’estremismo di sinistra, che l’opposizione alla guerra avrebbe finito per trascinare il Partito socialista in un ruolo sterile e marginale, mentre sarebbe stato opportuno sfruttare l’occasione offerta da questo sconvolgimento internazionale per far percorrere alle masse la via verso il rinnovamento rivoluzionario, in altro modo impossibile.
Dimessosi perciò dalla direzione dell’Avanti! il 20 ottobre, dopo la pubblicazione di un articolo dal titolo rivelatore della sua cambiata teoria, Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, Mussolini pensò di realizzare un proprio quotidiano. Il giorno dopo, l’assemblea straordinaria del Partito socialista milanese approvò la linea sostenuta da Mussolini, ma la direzione nazionale la pensava diversamente.
L’editoriale di Mussolini in favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatenò la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico. Fu costretto alle dimissioni dal giornale.
Il 15 novembre, Mussolini, accettando l’aiuto di un gruppo di finanziatori facenti capo a Filippo Naldi, pubblicò Il popolo d’Italia, un giornale ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell’Intesa e in grado di raggiungere rapidamente un mirabile successo di vendite.
Espulso dal Partito socialista, un affronto sanguinoso per Mussolini, un'onta intollerabile che segnò una svolta nella sua storia personale dal quale nacque l'odio per i socialisti e l'inizio del movimento fascista, con la creazione dei primi Fasci d'Azione Interventista
Nell’aprile del 1915, Mussolini fu arrestato a Roma, mentre si accingeva a presiedere un comizio interventista. Un mese dopo, quando il 24 maggio l’Italia entrò in guerra, Mussolini definì questa giornata la più radiosa della nostra storia.
Il 17 dicembre del 1915, Mussolini sposò Rachele con il rito civile (dieci anni dopo fu celebrato anche il rito religioso).
Richiamato alle armi nei bersaglieri, dopo essere stato ferito nel corso di un’esercitazione, il duce ritornò alla direzione del suo giornale, dalle cui colonne, tra Caporetto e i primi mesi del 1918, ruppe gli ultimi legami ideologici con la sua origine socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe, prospettando l’attuazione di una società produttivistico-capitalistica, capace di soddisfare le aspirazioni economiche di tutti i ceti.
Con la fine della guerra, Mussolini fondò i fasci di combattimento, in Piazza San Sepolcro a Milano, il 23 marzo 1919, primo embrione organizzativo del Fascismo, sebbene facesse appello sulle simpatie di elementi eterogenei e si basasse su un ambiguo programma che mescolava senza scrupoli proposte radicali di sinistra e fermenti nazionalisti, non ebbe inizialmente successo.
Il nuovo movimento si definisce anzitutto come antileninista, cosa che in Italia significava antisocialista.
L’operazione dei Fasci caratterizzava la nuova destra rispetto a quella tradizionale, sostenendo che la vera rivoluzione deve essere salvata da quella bolscevica, la rivoluzione distruttiva della Vandea.
La relazione di Mussolini con la Sarfatti in termini sentimentali si sviluppò dopo la guerra ed andò avanti per vent’anni fra alti e bassi. Non fu un rapporto sereno: scoppiavano anche furiose liti di gelosia perché Mussolini, ultramaschilista dichiarato, non intendeva interrompere le altre sue relazioni amorose. I rapporti tra i due rimasero così su un piano di libertà socialista.
Tuttavia, man mano che la situazione italiana si deteriorava ed il Fascismo si contraddistingueva come forza organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, Mussolini otteneva crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e quindi dai ceti medi.
Il 7 settembre del 1921, a Roma, si aprì il congresso di fondazione del Partito nazionale fascista, basato su un’alleanza organica con i nazionalisti italiani. La città non piaceva molto ai fascisti, ma per impostare una politica di respiro nazionalistico, Mussolini doveva mettere invece l’accento sull’unità d’Italia. Il programma che uscì dal congresso rassicura la borghesia produttiva. Il Partito nazionale fascista propugna un regime che: “spronando le iniziative e le energie individuali favorisce la ricchezza nazionale con rinuncia assoluta all'antieconomico macchinario delle statalizzazioni, socializzazioni...”
Pochi giorni dopo la chiusura del congresso, prendendo a pretesto uno sciopero effettuato a Roma contro i fascisti, Mussolini dichiara non più valido il patto di pacificazione.
Nel maggio del 1921 si presenta alle elezioni conseguendo una discreta affermazione elettorale: alla Camera furono eletti 36 deputati fascisti e essendo eletto deputato lui stesso, mentre le squadre fasciste sferravano attacchi sempre più violenti, contro le organizzazioni di sinistra.
Dopo un biennio di sviluppo tumultuoso del movimento fascista, nell’ottobre 1922, Benito Mussolini, alla ricerca di una prova di forza col governo, costituì un comitato rivoluzionario (quadrunvirato), composto da Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi e indisse una grande adunata di squadristi a Napoli.
Il 24 ottobre del 1922, in una riunione all’Hotel Vesuvio di Napoli, Mussolini e i suoi collaboratori decisero di marciare su Roma.
Di fronte a tale minaccia eversiva, il governo non reagì, ma anzi intavolò trattative e Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio sottopostogli tardivamente dal presidente del consiglio Facta, che si dimise, e giunse ad offrire ai fascisti quattro dicasteri in un nuovo governo Salandra. Mussolini non rispose a tale offerta, ma, fatto insediare il quadrunvirato a Perugia (28.10), ordinò agli squadristi di occupare le grandi città del nord e di convergere sulla capitale.
Malgrado la generale connivenza delle autorità, le colonie fasciste furono fermate fuori Roma dalla semplice presenza dell'esercito che non aveva dovuto ricorrere alla forza. Il 28 ottobre, i fascisti entrarono a Roma.
Salandra, il 29 ottobre, rinunciò al mandato ed il re affidò l’incarico a Mussolini, che aspettava l’evolversi della situazione a Milano. Giunto a Roma la mattina del 30 ottobre, in treno, fu ricevuto dal re con il quale accoglie l'omaggio delle squadre fasciste che a quel punto poterono entrare in Roma mentre il Re diede a Mussolini l’incarico di costituire il governo.
Il 28 ottobre del 1922 fu celebrato come data di inizio dell'era fascista. Appena giunto al potere, consapevole d’averlo preso grazie ad una mossa azzardata, Mussolini si preoccupò innanzi tutto di consolidare la sua posizione: tranquillizzò chi vedeva in lui un avventuriero, dando di sé un'immagine moderata e ragionevole, affermando di volere nel suo ministero le intelligenze e le competenze migliori che vanti l'Italia e i rappresentanti dell'intero centro-destra; rassicurò soprattutto la borghesia, di cui precedentemente aveva invocato lo sterminio fisico e, per conciliarsi e garantirsi l'appoggio delle forze conservatrici, decise l'ingresso dei nazionalisti nel partito fascista, con l'elezione di personaggi seri e capaci, che mancavano nel suo partito; con alcune decisioni, s’ingraziò clero cattolico e Vaticano.
Quasi tutti i giornali gli erano favorevoli. I maggiori esponenti liberali giudicavano il suo governo il minore dei mali e anche chi gli era contrario riteneva che occorreva in ogni caso lasciarlo governare, nella presunzione che ciò possa favorire il ritorno alla legalità.
Il nuovo Presidente del Consiglio piaceva, o almeno non dispiace a molti: nell'opposizione c'era anche una sorta di riconoscimento che il nuovo governo, oltre e poter svolgere un’utile funzione antisocialista, esprimeva una maggioranza che esiste non solo al Parlamento, ma anche nel paese.
Mussolini inserì nel governo solo tre ministri fascisti su tredici (ma sette sottosegretari su quattordici: comprende che il sottogoverno può essere altrettanto importante del governo).
L'attività del governo di Mussolini ebbe inizio il 10 novembre.
Nel 1923 Mussolini offrì di sè una duplice immagine: di presidente del Consiglio e di Duce dei fascisti. Si trattava di una necessità, perchè doveva rassicurare i fiancheggiatori liberali e popolari e, nello stesso tempo, presentarsi ai suoi seguaci con l'aspetto del capo pronto a riprendere la lotta.
Il mito di Mussolini influì sulla gente, propensa ad avere fiducia nel governo e nel potere.
Nel marzo del 1923 si realizza la fusione tra il Partito nazionale fascista e il Partito nazionalista. Mussolini costituì un gabinetto di larga coalizione al quale inizialmente parteciparono anche i popolari che però ne uscirono nell’aprile del 1923. Durante questo governo di coalizione, Mussolini si stava preparando ad instaurare la dittatura.
Riformando la legge elettorale con la Legge Acerbo, Mussolini introdusse il sistema del premio di maggioranza che gli consentì in seguito la dittatura. La legge prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale e chi prendeva più voti prendeva i due terzi dei seggi (356), mentre i restanti (179) su base proporzionale andavano alle liste rimaste in minoranza. La legge fu approvata alla Camera il 21 luglio con 223 si, 123 no e al Senato il 14 novembre con 165 si, 41 no.
In tal modo, Mussolini blindò ulteriormente il suo potere, costituendo i presupposti per la dittatura. Il 17 novembre, la Camera approvò il governo con 306 voti favorevoli e 116 contrari.
Nel novembre del 1923, Mussolini esaltò questa forma di governo con una quarantina di giornalisti stranieri: “Una dittatura intelligente può durare a lungo”. Dopo le elezioni del 6 aprile 1924, Mussolini consolidò ulteriormente il potere.
Il listone fascista ottenne 4.300.000 voti, con 356 seggi i popolari conquistarono 40 seggi, i socialisti 47, i comunisti 18, gli altri partiti 45. Ormai la maggioranza gli consentiva di governare l’Italia senza incontrare nessun ostacolo.
Nella politica interna, ottenne buoni risultati nel risanamento del debito statale, ma si trattò di un punto d'arrivo di un processo che è stato già avviato dai governi liberali.
Nella politica estera ottenne, con la definitiva soluzione della questione di Fiume, che il 27 gennaio 1924 è riconosciuta italiana anche dalla Jugoslavia, con la quale fu stipulato un trattato di amicizia. In questa occasione Mussolini fu insignito da Vittorio Emanuele III del collare dell'Ordine dell'Annunziata. È un nuovo segno dell'appoggio che gli dava la monarchia.
Ma ancora con la limitazione data dall'esistenza del Parlamento.
Affermando che il Parlamento sia diventato inutile, che aveva fatto molto bene per il passato, ma ora non rispondeva più al bisogno dei tempi, Mussolini commise però il suo primo e serio passo falso.
Il deputato Giacomo Matteotti, segretario del P.S.U, il 30 maggio chiese l'invalidazione delle elezioni, che denunciò apertamente il clima di intimidazione in cui si era svolta la consultazione elettorale. Questo aumentò il disprezzo di Mussolini verso il Parlamento.
Matteotti fu rapito il 10 giugno 1924 da una squadra guidata da Dumini e composta da altri quattro fascisti. Trascinato su un'auto, fu ucciso e seppellito la sera stessa nei pressi della via Flaminia (il cadavere fu trovato solo il 16 agosto).
Con l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti l'opposizione ebbe una reazione abbastanza decisa, la secessione parlamentare di Aventino. Anche la gente, che aveva sopportato per due anni un clima di crescente intimidazione, di violenza e di illegalità, con le progressive limitazioni di tutte le libertà, ebbe un moto di rivolta e indignazione.
In quel frangente, Mussolini vide vacillare il suo potere, ma, anche in questa circostanza, vennero
alla luce due caratteristiche del suo temperamento: la tendenza a perdersi d'animo di fronte a grosse difficoltà e la grande capacità di recupero infatti in pochi mesi riuscì a capovolgere gli effetti negativi del delitto, anche perchè molti lo appoggiarono, o almeno, non lo vollero combattere.
Il delitto Matteotti va distinto dall'affare Matteotti, cioè da quel complesso di azioni politiche, che si conclusero il 3 gennaio del 1925 con la trasformazione del Fascismo in dittatura.
L'affare Matteotti si conclude così con la sconfitta del Parlamento e l'annuncio della sua fine.
Mussolini reagì alla crisi con un atto di forza: nel famoso discorso del 3 gennaio 1925 rivendicò la piena e totale responsabilità politica e morale dell’accaduto e annunciò le misure restrittive che sarebbero state chiamate leggi fascistissime.
Questo discorso segnò la sua controffensiva la liquidazione del vecchio Stato liberale e l’instaurazione della dittatura.
Il 12 febbraio Mussolini nominò Roberto Farinacci segretario del partito: è un segno che vuole adottare verso le opposizioni una politica ancora più dura. Per contrastare le tendenze centrifughe del Fascismo, Mussolini rafforzò i poteri dei prefetti: essi devono agire se necessario anche contro i fascisti.
L'occupazione dello Stato non era ancora avvenuta, ma Mussolini si poneva questo obiettivo. Volendo creare ad una dittatura personale:
· In primo luogo, non aveva nessuna intenzione di concedere al PNF quell’autonomia che avrebbe potuto renderlo effettivamente forte e in grado di governare ogni settore dello Stato;
· In secondo luogo, esistevano in Italia forze, dalla Chiesa alla monarchia, dall'esercito alla Confindustria, con cui poteva stringere alleanze, ma non poteva distruggere. Esse, inoltre, non avrebbero accettato l'egemonia del partito, mentre erano disposte ad accettare quella di Mussolini.
Tra gli strumenti di cui Mussolini si servì per esercitare la dittatura, ebbe grande rilievo la presenza dei tecnici: tutta la politica si accentrò nelle sue mani, a lui toccavano le più importanti decisioni politiche, ma perchè esse potessero essere attuate era necessaria una folta schiera di uomini preparati ed efficienti.
Dal dicembre 1925, la figura di capo del governo aveva assunto una nuova fisionomia ed il 24 dicembre una legge ne fissava le prerogative:
· Non era responsabile di fronte alla Camera, ma soltanto di fronte al Re;
· Poteva emanare norme giuridiche;
· Poteva nominare o revocare ministri senza l'autorizzazione del Parlamento.
Mussolini in questo modo aveva uno strumento di potere, il governo, ancora più efficace del partito. Per questa ragione sostenne la supremazia del governo anche sul Partito fascista.
Nell'aprile del 1926 proibì ogni tentativo di sciopero. Nonostante Mussolini tenesse a bada l'opposizione, quasi inesistente, o comunque chi poteva dargli fastidio, con la tecnica del bastone e della carota e che a mano a mano i giri di vite contro la libertà di stampa si facessero sempre più stretti, fino al completo soffocamento, una serie di attentati turarono la sua vita:
· Ad aprile un’anziana signora irlandese, Violet Gibson, gli sparò durante una cerimonia al Campidoglio, ma il proiettile gli sfiorò appena il volto;
· A settembre l’anarchico Lucetti lanciò una bomba contro la sua auto; l’ordigno scivolò sul tetto della vettura ed esplose a terra ferendo lievemente soltanto un passante;
· A ottobre il giovane Anteo Zamboni che avrebbe sparato, senza successo, sfiorando appena il bersaglio e che fu subito dopo pugnalato a morte dai legionari fascisti.
Nel novembre del 1926 Mussolini emanò le leggi fascistissime, con le quali:
· Furono sciolti tutti i partiti antifascisti;
· Furono dichiarati decaduti dal mandato i deputati dell’Aventino;
· Fu attuata la pena di morte per i reati contro lo Stato;
· Fu istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato;
· Nel 1927 fu costituita l’Ovra.
Mussolini si rendeva conto che il Fascismo, fino a quel momento, non aveva una base ideologica abbastanza forte e convincente: Giovanni Gentile allora si impegnò a costruirne una.
Nella concezione mussoliniana e gentiliana, il Fascismo, diventava migliore di qualsiasi altra ideologia: era dottrina, fede, religione. Da allora nei testi elaborati dal Partito Nazionale Fascista furono prodighi termini come martire, credente, sacrificio, devozione al duce, fede fascista, dottrina fascista, mistica fascista, comandamenti, catechismi. Tutti termini che afferiscono alla sfera religiosa.
Nel motto credere-obbedire-combattere c'é tutta l'ideologia fascista accostata: la religione, la scomparsa del pensiero critico, la violenza.
Augusto Turati, nuovo segretario del PNF succeduto a Farinacci nel 1926, istituzionalizzò il culto del capo; Giuseppe Bottai, lo rese intellettualmente rispettabile, proclamando la propria convinzione che nessuna figura della storia reggeva il confronto con quest'uomo eccezionale; suo fratello Arnaldo Mussolini, dalle colonne del Popolo d’Italia, lo consacrava ogni giorno: il principale statista d'Europa, aveva messo la sua saggezza, il suo eroismo ed il suo enorme intelletto al servizio del suo popolo. La sua persona doveva essere pertanto sacra e inviolabile.
Nel 1926-1927, la religione del ducismo era ormai in pieno sviluppo: gli insegnanti ebbero l'ordine di esaltare questa figura solitaria, di mettere in risalto il suo interesse, il suo meraviglioso coraggio e la sua mente brillante e di spiegare che l'obbedienza ad un tale uomo era la virtù eccelsa. Questa figura leggendaria divenne più familiare attraverso la biografia Dux, scritta da Margherita Sarfatti, di cui Mussolini stesso corresse le bozze.
Il 21 aprile del 1927, fu pubblicata la Carta del Lavoro che prevedeva 22 corporazioni. Con la Carta del Lavoro, che i propagandisti salutarono come La Magna Carta della rivoluzione fascista, il regime stabilì alcuni diritti-doveri del lavoratore:
· La giornata lavorativa di otto ore, la cassa malattie;
· Le pensioni di vecchiaia;
· L'assistenza alla maternità;
· Le vacanze organizzate a cura del Dopolavoro.
Gli articoli della Carta tuttavia rimasero in gran parte una dichiarazione di principi, per via dell'arretratezza dell'organizzazione statale. Nella concezione fascista il lavoro, inquadrato nelle varie corporazioni, divenne un dovere sociale e lo sciopero un reato penalmente perseguibile.
Nel 1928 dopo l’avvio piuttosto travagliato della sua vita familiare, Rachele ed i suoi figli raggiunsero Mussolini a Roma e si insediarono a Villa Torlonia, e condussero una vita piuttosto normale per quanto poteva concernere la normalità della presenza in casa del padrone d’Italia.
Rachele era, una padrona di casa romagnola sensata ed economa: anche perché Mussolini lesinava sul soldo, non avendone mai di suoi, neppure allorché fu Duce: e ogni spesa gli pareva spropositata.
I ragazzi crebbero bene tranne Anna Maria colpita da una grave infermità e i due maschi maggiori dovettero, senza eccessiva vocazione, seguire il curriculum che per loro sembrava doveroso: gli studi, le uniformi di balilla o avanguardista, e infine l’Arma Azzurra. Padre e figli avevano un rapporto affettuoso ma non intenso. Il preside del liceo Tasso, dove studiavano, inviava al Duce dei rapporti sul profitto scolastico dei ragazzi. Lui non commentava.
Mussolini fascistizzò progressivamente tutto lo Stato, affermando che il Fascismo doveva essere come il sangue in un corpo, e quindi doveva identificarsi con lo Stato.
Lo Stato Fascista, avrebbe dovuto predominare in ogni aspetto della vita sociale, politica e culturale, di qui il famoso motto: Tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato.
Neppure la gioventù fu risparmiata dall'indottrinamento, anzi il regime considerava fondamentale addestrare gli italiani al regime fascista fin quasi dalla nascita: la Gioventù Italiana del Littorio aveva appunto il compito di creare un uomo che fosse naturalmente fascista, che vivesse e pensasse spontaneamente, grazie ad una meticolosa educazione fascista.
Il Fascismo entrava così, poco a poco, non solo in ogni apparato dello Stato, ma nella vita sociale e privata di ogni cittadino: nelle nuove generazioni, esso entrava nelle loro mentalità fin dall'infanzia.
In modo parallelo a questo condizionamento capillare, ogni opposizione fu messa a tacere: partiti e sindacati furono dichiarati illegali e quindi soppressi, i giornali che non si adeguavano al regime chiusi d'imperio, gli oppositori politici furono bastonati, imprigionati o mandati al confino e, a volte, assassinati.
Una continua propaganda cominciò ad esaltare in maniera spesso ridicola le doti di genio del duce supremo, trasformandone la personalità in una sorta di semidio insonne che aveva sempre ragione ed era l’unico in grado di interpretare i destini della patria.
L’11 febbraio del 1929, Mussolini firmò i Patti Lateranensi con il Vaticano che rappresentavano la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede.
Mussolini avviò importanti riforme economiche, nel campo del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, e diede inizio a rilevanti opere pubbliche: queste gli servivano per fornire prove tangibili al popolo che il Fascismo produceva non solo chiacchiere, ma fatti concreti. Tra le più citate, le bonifiche delle paludi dell'Agro Pontino.
Con la battaglia del grano, Mussolini perseguì l'intento di aumentare la produzione di cereali, nel quadro di quell’autarchia che, in caso di guerra, avrebbe reso l'Italia autosufficiente. Ciò gli serviva anche per trattenere i contadini nelle campagne, perché non vedeva di buon occhio l'eccessiva urbanizzazione: nelle campagne si pensa solo a lavorare, nelle città la gente parla e pensa troppo.
In politica estera, dopo l’episodio di Corfù, occupata dalle truppe italiane nel 1923, e la decisa presa di posizione contro la minaccia tedesca di annessione dell’Austria cui fece seguito il Convegno di Stresa con Francia e Gran Bretagna, nel 1935, che sembrò tracciare un fronte comune antihitleriano, Mussolini si gettò nella conquista dell’Etiopia.
All'inizio del 1934, Mussolini decise di conquistare l'ultimo dei posti al sole rimasti.
Il posto al sole non è la stessa cosa dello spazio vitale di cui parla Hitler, ma un posticino in Africa per una nazione proletaria che cerca uno sfogo alla sovrappopolazione.
Cercare di conquistare l'Etiopia significava fare una politica di rischio calcolato.
Mussolini sapeva che l'Italia non è pronta ad un grande conflitto e che può affrontarne solo uno coloniale: la guerra gli è necessaria, ma deve essere il più possibile limitata.
Mussolini vuole conquistare gli altipiani inabitati, dove gli italiani avrebbero potuto costruire le loro case, arare le nuove terre e guadagnarsi il pane.
Ma la guerra dei poveri italiani contro i poverissimi abissini si trasformò, con una magistrale operazione propagandistica, nella guerra dei poveri contro i ricchi, perchè dietro l'Etiopia, la propaganda sosteneva ci fosse la ricca Inghilterra.
Il 14 giugno 1934, Mussolini incontrò Hitler la prima volta, ma non ne riportò una buona impressione, mentre quest'ultimo fu entusiasta di lui.
Nel luglio 1934 i nazisti operarono un violento colpo di stato in Austria, assassinando il cancelliere Dolfuss, e tentando di rovesciare con la forza il governo austriaco; ma il tentativo si rivelò prematuro e non riuscì. Infatti l'Italia intervenne immediatamente inviando sul Brennero alcune divisioni italiane, pronte ad entrare in azione per reprimere un eventuale attacco della Germania.
Quando il 2 ottobre Mussolini decise di conquistare l'Etiopia, l'opinione pubblica era preparata e a Roma si riversò per le strade una fiumana di persone. Mussolini annunciò davanti a venti milioni di persone: “Camicie nere della rivoluzione! Ascoltate! Un'ora solenne sta per scoccare nella storia della patria”. Parlò anche di una possibile catastrofe europea, ma assicurò che lo scontro armato con la Francia e l'Inghilterra può essere evitato. Queste condannarono l'invasione e proposero delle sanzioni, che ebbero un’efficacia limitata:
· Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane varcarono il confine con l’Abissinia; alla minaccia delle sanzioni formulate a Ginevra rispose con l’autarchia;
· Il 9 maggio 1936 dopo che gli etiopici avevano resistito sette mesi Mussolini poté proclamare l'Impero.
L’impresa, da un lato, segnò il punto più alto della sua popolarità in patria: La creazione di un impero coloniale servì a Mussolini per irrobustire l'orgoglio nazionale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano servire a pareggiare i conti con le altre potenze coloniali, soprattutto Francia e Inghilterra, e fare dell'Italia, assetata di gloria e di potenza, la nazione guida dell'Europa e il faro della civiltà nel mondo. Ciò rafforzava il suo prestigio in politica interna: Mussolini si diede da fare nel gioco diplomatico internazionale, intervenendo nei trattati e facendo da paciere o da arbitro. La stampa fascista enfatizzò ed esaltò i suoi meriti nella risoluzione di complesse trattative ed suoi successi internazionali contribuivano quindi alla sua progressiva deificazione.
La guerra vittoriosa di Etiopia, dall’altro lato aprì ed aggravò per Mussolini alcuni problemi:
· I rapporti con Vittorio Emanuele III, diventato imperatore d’Etiopia, riprendendo il titolo di Qesar, dovrebbe appagare il Re, ma Vittorio Emanuele III è Cesare solo in Etiopia, in Italia il vero Cesare è Mussolini e quando il Parlamento fascista approvò una legge che creava due marescialli dell’Impero, rendendo così Mussolini al pari del re, s’infuriò dicendo: “Questo smacco alla Corona dovrà essere l’ultimo”;
· Il dono dell’Impero che Mussolini ha fatto al re aveva un costo elevato, per mantenere l’Etiopia lo Stato italiano spendeva 57 miliardi;
· Il sempre più stretto accostamento tra l’Italia e la Germania che, durante il periodo delle sanzioni, aveva recato un notevole contributo all’Italia, ed aveva poi riconosciuto senza indugio la sovranità italiana sull’Impero d’Etiopia aveva inimicato l’Italia con la Gran Bretagna, la Francia e la Società delle Nazioni.
Questo squilibrio internazionale costrinse l’Italia ad un lento, ma fatale avvicinamento alla Germania:
· Nell’ottobre 1936 il ministro degli esteri Ciano si recò in Germania e sottoscrisse con il governo tedesco un patto di collaborazione, primo approccio per una vera e propria alleanza politico-militare tra Italia e Germania, il cosiddetto Asse Roma-Berlino;
· Il 6 novembre del 1937 l’Italia firmò il Patto Anticominform con Germania e Giappone;
· L’11 dicembre del 1937 l’Italia uscì dalla Società delle Nazioni;
· Il 17 novembre del 1938 l’Italia emanò le leggi razziali contro gli ebrei, che entrarono in vigore;
· Nel 1939 Mussolini firmò il patto d’Acciaio, legandosi definitivamente a Hitler.
La sfida all’Inghilterra ed alla Società delle nazioni, la sua apoteosi di fondatore dell’Impero e di primo maresciallo il 30 marzo del 1938 e, infine, il comando supremo delle truppe operanti su tutti i fronti l’11 giugno del 1940, assunto il giorno dopo l’ingresso in guerra al fianco dell’Asse, furono il principio della fine Mussolini e per il regime fascista.
Poco a poco Mussolini aveva perduto in gran parte il contatto con la realtà: ignorava la situazione del paese, delle forze armate, dell’esercito, poiché i suoi più stretti collaboratori gli riferivano solo ciò che gli avrebbe fatto piacere, nascondendogli invece i problemi o attenuando le cose negative. Specialmente negli ultimi anni, le sue incertezze si fecero sempre più frequenti: raramente sapeva prendere o imporre una propria decisione con rapidità quando le circostanze lo richiedevano. Era spesso dubbioso, cambiava idea più volte al giorno e con i suoi collaboratori non di rado era vile, sleale, meschino e furbo, pronto alla bugia e all’inganno. Non esitava inoltre a disfarsi calcolatamente dei suoi seguaci più fidi, pur di perseguire i suoi scopi. Era incapace di veri affetti.
Il suo declino iniziò infatti con l’entrata in guerra, un’avventura che lui solo aveva voluto sebbene impreparato e contro le idee dei suoi più stretti collaboratori Badoglio, Grandi e Ciano, nell’illusione di un veloce e facile trionfo.
L’Italia allo scoppio della guerra, aveva proclamato col consenso di Hitler, la sua non belligeranza. Mussolini, nonostante l’impreparazione morale e militare, volle accelerare i tempi dell’intervento ritenendo che il conflitto fosse prossimo alla fine.
Il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Dopo due settimane fu firmato l’armistizio franco-italiano, in base al quale l’Italia poteva occupare alcuni territori del confine.
Le truppe italiane dovevano operare su diversi fronti (sotto il comando generale del maresciallo Badoglio), e furono impegnati in diversi avvenimenti bellici. Nel 1940, le truppe combattono:
· Per la conquista della Somalia Britannica;
· A settembre vi è l'offensiva italiana in Libia, organizzata e diretta dal maresciallo Graziani;
· Poi l’attacco italiano contro la Grecia, che ha messo in evidenza la grande inettitudine e imprevidenza del nostro governo e dei comandi militari.
E così vennero man mano le gravi vicende della guerra con il risultato di un sostanziale insuccesso:
· L’11 novembre del 1940 l'attacco inglese alla nostra flotta a Taranto;
· In Grecia (1941);
· In Egitto (1942);
· Il proposito di stendere sul bagnasciuga i nemici che avessero osato porre il piede sul suolo d’Italia (24 giugno 1943);
· L’invasione anglo-americana della Sicilia e il suo ultimo colloquio con Hitler (19 luglio 1943).
In quel momento Mussolini diventò il responsabile unico del disastro.
A Mussolini che invano ha chiesto aiuti militari a Hitler, mancò la fiducia degli stessi fascisti.
Il 24 luglio 1943, per opera soprattutto di Dino Grandi e di Galeazzo Ciano, ci fu una vera e propria ribellione all'interno del regime ed il Gran Consiglio del Fascismo, riunitosi in una seduta straordinaria, si pronunciò decisamente per la sfiducia a Mussolini, costringendolo a presentare la proprie dimissioni.
Il 25 luglio Vittorio Emanuele III ordinò di arrestare Mussolini e assegnò l'incarico al maresciallo Badoglio di formare il nuovo governo; mentre era dichiarato lo scioglimento del partito fascista.
Il 25 luglio 1943 si ebbe il crollo del fascismo dopo oltre venti anni di dittatura.
Trasferito a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, il 12 settembre Mussolini fu liberato dai paracadutisti tedeschi al comando del Maggiore Harald Mors della Luftwaffe.
Mussolini fu portato in Germania, da dove il 15 settembre proclamò la ricostituzione del Partito Fascista Repubblicano.
Il 23 settembre del 1943, Mussolini, Ormai stanco e malato e in completa balia delle decisioni di Hitler, ritornò in Italia, ponendo la propria resistenza a Salò, sul lago di Garda e costituì la Repubblica Sociale Italiana, riorganizzando il partito fascista e tentando di ricostruire un esercito, al comando del maresciallo Graziani, per continuare la guerra la fianco della Germania, cercando di far rivivere le parole d’ordine del Fascismo della prima ora.
Sempre più isolato e privo di attendibilità, quando le ultime resistenze tedesche in Italia furono fiaccate, Mussolini, trasferitosi a Milano, propose ai capi del C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) un inammissibile passaggio di poteri, che fu respinto intanto Travestito da militare tedesco, tentò allora, insieme alla compagna Claretta Petacci, la fuga verso la Valtellina, dirigendosi verso la Svizzera, ma Riconosciuto a Dongo dai partigiani, fu arrestato e il 28 aprile 1945 fu fucilato senza regolare processo insieme alla Petacci, per ordine del C.L.N., presso Giulino di Mezzegra, sul lago di Como.
Fu esposto a Piazzale Loreto a Milano come trofeo di guerra da parte dei partigiani.
Carmine Esposito
Figlio di Alessandro, fabbro ferraio, e di Rosa Maltoni, maestra del villaggio, suo padre gli impose tre nomi di famosi rivoluzionari o uomini d’azione: Benito Jaurez, rivoluzionario presidente del Messico, Andrea Costa, uno dei padri e fondatori del socialismo italiano, Amilcare Cipriani, intrepido eroe garibaldino.
Alessandro Mussolini era uno dei primi socialisti in Italia, consigliere comunale a Predappio, era l’anarchico del paese, una testa calda che faceva comizi nelle osterie e scriveva polemici articoli sul Pensiero Romagnolo di Forlì, un giornaletto repubblicano senza troppe pretese, più volte arrestato per i suoi atteggiamenti irriguardosi verso le autorità, trasmise al giovane Benito il suo temperamento ribelle e la sua divorante passione per la politica, per il socialismo e per la rivoluzione. Il figlio lo seguiva ovunque nelle discussioni politiche in piazza, negli scantinati, nelle riunioni di partito, ove il piccolo Benito vedeva suo padre, col suo potentissimo timbro della voce e la sua forte personalità, dominare letteralmente i compagni.
Il padre, non fu proprio esemplare: donnaiolo, gran bevitore, impartì al figlio un’educazione molto severa.
Spesso lo puniva a cinghiate e gli instillò, fin da piccolo, un senso di orgogliosa fierezza ripetendogli spesso che “non si devono tollerare prepotenze da nessuno, chi le subisce è un vigliacco”, oppure “meglio un ceffone da tuo padre oggi che due da un estraneo domani”.
Nonostante una così rigida educazione, Mussolini disse successivamente del padre: “Di beni materiali non ci ha lasciato nulla; di beni morali un tesoro: l'idea” oppure “Con un altro padre io non sarei mai diventato quello che sono”.
La madre Rosa Maltoni era invece la classica donna all'antica, cattolica, maestra del villaggio, donna pia e industriosa. Mussolini visse un’infanzia modesta trascorsa lungo i campi e le strade. Fu un bambino come gli altri in niente diverso dal tipico ragazzo attaccabrighe, sempre smanioso di fare a pugni, di gareggiare nella corsa e nell’arrampicarsi agli alberi, ribelle, battagliero, volitivo.
Questa inclinazione del bambino alla ribellione preoccupava i genitori e perciò suo padre lo obbligava a frequentare l’officina per tirare il mantice, mentre il maestro Silvio Marani gli insegnava l’alfabeto.
L’ambiente semiselvaggio e l’isolamento inasprirono la sua propensione a diventare sempre più indocile ai freni dei primi doveri. Era necessario quindi prendere i provvedimenti ed i genitori si trovarono d’accordo nell'idea di chiudere il ragazzo in un collegio.
Nel settembre del 1892, i genitori lo iscrissero all’Istituto Salesiano di Faenza, dove fu assegnato alla terza elementare.
In collegio la disciplina era ferrea, subiva molti torti ed umiliazioni a causa della sua condizione sociale e ciò esasperava ulteriormente il suo spirito ribelle.
Anche qui si fece subito notare per la violenza dei suoi atteggiamenti tanto che cominciarono a susseguirsi i rimproveri fino alla prima espulsione, dovuta ad una coltellata inferta ad un suo compaesano.
Dopo ripetute preghiere da parte dei genitori, Benito Mussolini rientrò nell’istituto fino alla fine dell’anno scolastico quando il direttore, annunziò con rammarico ad Alessandro Mussolini che non avrebbe potuto più ammettere suo figlio tra gli allievi, poiché il suo temperamento non si era adattato alla disciplina salesiana.
Per un periodo fu costretto a studiare a casa, sotto la guida premurosa della madre, quindi fu inviato all’Istituto Giosuè Carducci di Forlimpopoli.
Aggressivo, litigioso, collerico, aveva due occhi penetranti e inquisitori, ma ispirava simpatia e, anche se appariva sempre ingrugnito e raramente sorrideva, sapeva tenere allegri i compagni, con le sue battute vivaci e i suoi racconti paradossali inventati sul momento. Lo chiamavano el matt, da quando, incaricato dal direttore della scuola, Vilfredo Carducci, fratello del poeta, di commemorare davanti agli alunni la morte di Giuseppe Verdi, invece di parlare di musica si scagliò con violenza contro gli agrari e gli sfruttatori che opprimevano le classi dei lavoratori.
Nonostante le intemperanze, a scuola il suo profitto era ottimo: serio, studioso, s’impegnava a fondo.Iscritto al Partito Socialista Italiano fin dal 1900, mostrò subito un acceso interesse per la politica attiva, stimolato tra l’altro dall’esempio del padre, esponente di un certo rilievo del socialismo anarcoide e anticlericale della Romagna.
Ben presto l’ambiente di provincia gli va stretto e, non appena conseguito nel 1901, con ottimi voti, il diploma di maestro elementare decise di andare a fare l’insegnante a Gualtieri in provincia di Reggio Emilia, con la disapprovazione del padre che vedeva così sfumare i sogni rivoluzionari che aveva riposto nel figlio. Ma il giovane non si fece condizionare: era un ragazzo intelligente, sveglio, aveva bisogno di vedere il mondo, di fare esperienze, di togliersi dall'ambiente famigliare troppo sicuro, troppo tranquillo per il suo temperamento già assai irrequieto.
Ben presto anche Gualtieri diventò un posto troppo angusto per le sue ambizioni. Socialisti da tagliatelle è l'accusa che scagliava contro i socialisti del paese, colpevoli d’esser troppo molli, troppo mansueti, rivoluzionari che non rivoluzionano nulla. Un giorno, ad una riunione di maestri, parlò con tanta violenza delle leggi scolastiche di allora, contro l’incapacità dei responsabili, contro l'ignavia dei reggitori della cosa pubblica che, uno ad uno, tutti i presenti abbandonano la seduta. Mussolini si fece notare anche per le sue tempestose relazioni sentimentali. Quel giovane che avanzava sempre a passo di carica, col petto infuori e il mento proteso in avanti riscuoteva un certo successo. Diventò l'amante di una donna sposata, che aveva il marito militare: il loro amore fu burrascoso, punteggiato da rabbiosi litigi e da pugni e schiaffi reciproci. Una volta la colpì, per gelosia, con una coltellata ad una natica.
La violenza gli piaceva, era un cultore della violenza. Gli era innata, alla scuola anarchico-rivoluzionaria del padre, gli si era accresciuta perchè questa era la sua natura, questa era l’intima essenza della sua mentalità.
Nel 1902, Mussolini, antimilitarista fino al midollo, per sottrarsi al servizio militare partì per la Svizzera, patria della libertà e di tutti gli spiriti rivoluzionari, di tutti gli ambiziosi alla ricerca di uno sfogo, dove trascorse i due anni più desolati della sua vita
Vi giunse senza conoscere nessuno, con pochi soldi in tasca. Tentò di mettersi in contatto coi socialisti italiani là residenti, ma senza esito.
Trovò lavoro come manovale in un cantiere, undici ore al giorno di lavoro spingendo una carriola carica di pietre. Una fatica da schiavi che poco s'attagliava ad un rivoluzionario dai nobili ideali. Dopo una settimana fu cacciato in malo modo.
Dovette adattarsi ai più umili mestieri per sopravvivere, e sbarcare, male, il lunario: manovale, sterratore, garzone di un vinaio, d’un macellaio, l'operaio in una fabbrica di cioccolato. Patì spesso la fame, tanto che una volta, a Losanna, fu arrestato perchè sorpreso a mendicare e a Ginevra assalì due anziane turiste inglesi che ai giardini mangiavano pane, formaggio e uova.
Finalmente riuscì ad entrare in contatto con i socialisti italiani: quasi tutti operai, semianalfabeti, e una persona istruita suscitava in loro rispetto e ammirazione.
Mussolini fu accolto fraternamente: il settimanale dei socialisti italiani a Losanna Avvenire del lavoratore gli pubblicò un articolo.
Si mette subito in evidenza per il suo attivismo, partecipando a riunioni, incontri, comizi, scrivendo articoli di fuoco sui fogli dei lavoratori.
Aveva solo vent’anni, ma il suo carisma sugli emigranti cresceva rapidamente. Questo giovanotto che parlava con periodare pungente, che guarda fisso con gli occhi pieni di vita, che punteggiava i suoi discorsi con ampi gesti delle mani, conquistò consensi e simpatie. Imparò bene il francese, discretamente il tedesco. A mano a mano che la popolarità di Mussolini cresceva, aumentavano i problemi con le autorità svizzere, che non vedevano troppo di buon occhio quel giovane e turbolento.
Ormai il giovane maestro era entrato nel giornalismo rivoluzionario dei fogli degli emigranti, la cerchia delle sue collaborazioni si allargava.
Entrò in contatto con i più noti esponenti del socialismo italiano emigrato come Lucio e Giacinto Menotti Serrati, con Angelica Balabanoff e con altri rivoluzionari, ponendo contemporaneamente le basi della propria cultura politica, in cui si mescolavano gli influssi di Marx, Proudhon e Blanqui con quelli di Nietzsche, di Pareto e di Gustave Le Bon.
Mussolini lesse avidamente di tutto specialmente George Sorel, il teorico della violenza e il più acceso sostenitore del sindacalismo rivoluzionario, che lo influenzò più di tutti. Il suo pensiero si sposava alla perfezione con un uomo d'azione quale si sentiva Mussolini, che amava andare per le spicce e senza troppi riguardi per nessuno.
Un altro ispiratore fu Nietzsche: la sua idea di superuomo con la sua volontà di potenza creatrice sembrava fatta apposta per Mussolini.
Espulso da un cantone all’altro per il suo attivismo anticlericale e antimilitarista, Mussolini si sentiva bloccato.
Nel 1904, Mussolini rientrò in Italia, approfittando di un’amnistia che gli permise di sottrarsi alla pena, prevista per la renitenza alla leva.
Nel 1904, Mussolini rientrò in Italia, approfittando di un’amnistia che gli permise di sottrarsi alla pena, prevista per la renitenza alla leva.
Compì il servizio militare nel reggimento bersaglieri di Verona durante il quale non accade nulla di particolare: faceva, come tutti, le marce, le manovre, la corvèe, il servizio di guardia.
Nel 1905 sua madre morì a quarantasei anni, e suo padre s’era tenuta accanto la vedova d’un bracciante, Anna Guidi, che aveva cinque figlie, la minore delle quali era Rachele. Dopo il congedo Mussolini visse uno strano periodo di apatia. Dopo le dure esperienze passate non aveva nessuna voglia di ritornare in Svizzera. Tentò inutilmente di trovare impiego come giornalista, trovando sbarrate tutte le porte.
Attraversava un periodo di depressione in cui si sentiva svuotato di ogni energia, finito.
Ottenuta una supplenza a Caneva di Tolmezzo, in Carnia. Fu un pò la riedizione dell’esperienza di Gualtieri, con la differenza che ora non è più un ragazzo ai primi passi, era uno scontento, uno sbandato, un ribelle frustrato che non riusciva a trovare la sua strada.
Non poteva durare a lungo in quella situazione, infatti, il 17 febbraio del 1907, Mussolini fu collocato in congedo dai suoi superiori, dopo un’anticlericale e rivoluzionaria commemorazione di Giordano Bruno: la Polizia lo schedò come sovversivo e pericoloso anarchico.
Scelse nuovamente la strada dell’emigrazione, ma stavolta a Marsiglia dove tentò di ripetere le esperienze svizzere gettandosi nell’organizzazione sindacale degli emigranti, ma gli operai italiani in Francia non lo apprezzano come quelli in Svizzera, non ne approvano i metodi troppo bruschi e quando cominciarono ad apprezzarlo fu ancora una volta espulso.
Mussolini tornò a Forlì, dove avrebbe voluto fare il giornalista, ma il giornalino illustrato L'idea Socialista non navigava in buone acque.
Nel 1908, Mussolini fu di nuovo costretto a ripartire, stavolta per Oneglia, in Liguria, dove Lucio Serrati, fratello minore di Giacinto Menotti Serrati, mandava avanti faticosamente La Lima, settimanale dei socialisti liguri. Per averlo come collaboratore fisso, Serrati gli procurò un posto di insegnante di francese in una scuola privata.
Ad Oneglia, Mussolini si mise in luce coi suoi caustici articoli che firma con lo pseudonimo di Vero Eretico, e tornò ad essere il grintoso di prima, polemico, pungente. La Lima lo rimise in sella, e gli diede finalmente l'occasione per coltivare le sue ardenti passioni: il giornalismo e la politica.
Stanco presto anche della provinciale Oneglia, Mussolini tornò a Predappio giusto in tempo per mettersi a capo dello sciopero dei braccianti agricoli. Il 18 luglio fu arrestato per aver minacciato un dirigente delle organizzazioni padronali: processato per direttissima, fu condannato a tre mesi di carcere, ma, dopo 15 giorni, fu messo in libertà provvisoria dietro cauzione. A settembre fu arrestato per dieci giorni, per aver tenuto a Meldola un comizio non autorizzato.
Nel 1909, Mussolini divenne segretario della Camera del Lavoro di Trento e diresse il quotidiano L’avventura del lavoratore e quindi Il Popolo, quotidiano socialista di proprietà dell’irredentista Cesare Battisti.
Mussolini subito innescò polemiche dapprima con i clericali, che là possedevano molti giornali, quindi con le autorità asburgiche, che mal sopportano i continui attacchi del combattivo giornalista.
La querela di un prete ritenutosi diffamato, avviò una lunga serie di arresti. Le autorità che governavano sul territorio dell’Impero asburgico mal sopportavano le intemperanze di Mussolini e, su forti pressioni del clero locale, ne decretarono la sua espulsione. Dopo sei mesi di convulsa attività propagandistica, fu espulso tra le proteste dei socialisti trentini, suscitando un’ampia approvazione in tutta la sinistra italiana.
L’emigrazione, i numerosi arresti, le espulsioni, gli crearono intorno ormai un’aura di martire del socialismo. La sua ambizione, già smisurata, trova nuova linfa nel sentirsi un perseguitato, un ribelle che si batte per una giusta e nobile causa. E finalmente era un rivoluzionario che cominciava a far sentire la propria voce, a dar fastidio, a esser preso sul serio, e a incontrare consensi e popolarità sempre crescenti.
Tornato a Forlì, Mussolini si unì, senza vincoli matrimoniali, con Rachele Guidi, una graziosa biondina di carattere dolce e insieme risoluto da cui ebbe, nel settembre 1910, la prima figlia Edda. Nel frattempo, la federazione socialista di Forlì gli offrì la direzione del settimanale Lotta di classe e lo nominò segretario.
Nei tre anni in cui conservò tali incarichi, Mussolini diede al socialismo romagnolo una sua impronta precisa, fondata su proposte rivoluzionarie e volontaristiche, ben lontane dalla tradizione razionale e positivista del marxismo, come era interpretato dagli uomini più rappresentativi del Partito socialista.
Dopo il Congresso socialista di Milano dell’ottobre 1910, ancora dominato dai riformisti, Mussolini pensò di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l’uscita dal Partito socialista della federazione socialista forlivese, ma nessun altro lo seguì nell’iniziativa.
Quando la guerra di Libia modificò i rapporti di forza tra le correnti del socialismo italiano, Mussolini, condannato a cinque mesi e mezzo di reclusione per le manifestazioni organizzate nel settembre del 1911 contro la guerra in Africa, apparve come l’uomo più adatto a rappresentare il rinnovamento ideale e politico del partito. Nel luglio del 1911, fu uno dei protagonisti del congresso di Reggio Emilia: si pose alla testa degli intransigenti, deplorando i deputati che si erano congratulati con il Re per lo scampato pericolo e riuscendo ad ottenere l’espulsione dei traditori.
Ma il 1912 fu l’anno fatale. Il 1° dicembre, Mussolini assunse infatti la direzione dell'Avanti!, prima importante tappa della sua ascesa, e si trasferì a Milano. Attraverso le colonne del giornale del Partito socialista rinnovò i suoi attacchi contro tutto e tutti, e, con i suoi violenti articoli cominciò a dare energiche spallate all'impalcatura del socialismo riformista, arrivando persino a mettersi contro i suoi stessi compagni e spostando un'ala del partito verso l'interventismo con una mossa determinante per le vicende del paese. Margherita Sarfatti, turatiana e quindi avversa alla vincente corrente rivoluzionaria di Mussolini si presentò al direttore per dare le dimissioni da collaboratrice del giornale, ma fra i due nacque subito una simpatia reciproca tanto che mussolini ne cominciò a frequentare il vivace salotto.
Un giorno, Rachele piombò a Milano, e si presentò alla redazione dell’Avanti!, imponendo al riluttante compagno i suoi doveri.
Allo scoppio della guerra mondiale, Mussolini era allineato sulle posizioni di radicale neutralismo del partito, ma, nel giro di qualche mese, in lui si sviluppò la convinzione, comune ad altri settori dell’estremismo di sinistra, che l’opposizione alla guerra avrebbe finito per trascinare il Partito socialista in un ruolo sterile e marginale, mentre sarebbe stato opportuno sfruttare l’occasione offerta da questo sconvolgimento internazionale per far percorrere alle masse la via verso il rinnovamento rivoluzionario, in altro modo impossibile.
Dimessosi perciò dalla direzione dell’Avanti! il 20 ottobre, dopo la pubblicazione di un articolo dal titolo rivelatore della sua cambiata teoria, Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, Mussolini pensò di realizzare un proprio quotidiano. Il giorno dopo, l’assemblea straordinaria del Partito socialista milanese approvò la linea sostenuta da Mussolini, ma la direzione nazionale la pensava diversamente.
L’editoriale di Mussolini in favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatenò la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico. Fu costretto alle dimissioni dal giornale.
Il 15 novembre, Mussolini, accettando l’aiuto di un gruppo di finanziatori facenti capo a Filippo Naldi, pubblicò Il popolo d’Italia, un giornale ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell’Intesa e in grado di raggiungere rapidamente un mirabile successo di vendite.
Espulso dal Partito socialista, un affronto sanguinoso per Mussolini, un'onta intollerabile che segnò una svolta nella sua storia personale dal quale nacque l'odio per i socialisti e l'inizio del movimento fascista, con la creazione dei primi Fasci d'Azione Interventista
Nell’aprile del 1915, Mussolini fu arrestato a Roma, mentre si accingeva a presiedere un comizio interventista. Un mese dopo, quando il 24 maggio l’Italia entrò in guerra, Mussolini definì questa giornata la più radiosa della nostra storia.
Il 17 dicembre del 1915, Mussolini sposò Rachele con il rito civile (dieci anni dopo fu celebrato anche il rito religioso).
Richiamato alle armi nei bersaglieri, dopo essere stato ferito nel corso di un’esercitazione, il duce ritornò alla direzione del suo giornale, dalle cui colonne, tra Caporetto e i primi mesi del 1918, ruppe gli ultimi legami ideologici con la sua origine socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe, prospettando l’attuazione di una società produttivistico-capitalistica, capace di soddisfare le aspirazioni economiche di tutti i ceti.
Con la fine della guerra, Mussolini fondò i fasci di combattimento, in Piazza San Sepolcro a Milano, il 23 marzo 1919, primo embrione organizzativo del Fascismo, sebbene facesse appello sulle simpatie di elementi eterogenei e si basasse su un ambiguo programma che mescolava senza scrupoli proposte radicali di sinistra e fermenti nazionalisti, non ebbe inizialmente successo.
Il nuovo movimento si definisce anzitutto come antileninista, cosa che in Italia significava antisocialista.
L’operazione dei Fasci caratterizzava la nuova destra rispetto a quella tradizionale, sostenendo che la vera rivoluzione deve essere salvata da quella bolscevica, la rivoluzione distruttiva della Vandea.
La relazione di Mussolini con la Sarfatti in termini sentimentali si sviluppò dopo la guerra ed andò avanti per vent’anni fra alti e bassi. Non fu un rapporto sereno: scoppiavano anche furiose liti di gelosia perché Mussolini, ultramaschilista dichiarato, non intendeva interrompere le altre sue relazioni amorose. I rapporti tra i due rimasero così su un piano di libertà socialista.
Tuttavia, man mano che la situazione italiana si deteriorava ed il Fascismo si contraddistingueva come forza organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, Mussolini otteneva crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e quindi dai ceti medi.
Il 7 settembre del 1921, a Roma, si aprì il congresso di fondazione del Partito nazionale fascista, basato su un’alleanza organica con i nazionalisti italiani. La città non piaceva molto ai fascisti, ma per impostare una politica di respiro nazionalistico, Mussolini doveva mettere invece l’accento sull’unità d’Italia. Il programma che uscì dal congresso rassicura la borghesia produttiva. Il Partito nazionale fascista propugna un regime che: “spronando le iniziative e le energie individuali favorisce la ricchezza nazionale con rinuncia assoluta all'antieconomico macchinario delle statalizzazioni, socializzazioni...”
Pochi giorni dopo la chiusura del congresso, prendendo a pretesto uno sciopero effettuato a Roma contro i fascisti, Mussolini dichiara non più valido il patto di pacificazione.
Nel maggio del 1921 si presenta alle elezioni conseguendo una discreta affermazione elettorale: alla Camera furono eletti 36 deputati fascisti e essendo eletto deputato lui stesso, mentre le squadre fasciste sferravano attacchi sempre più violenti, contro le organizzazioni di sinistra.
Dopo un biennio di sviluppo tumultuoso del movimento fascista, nell’ottobre 1922, Benito Mussolini, alla ricerca di una prova di forza col governo, costituì un comitato rivoluzionario (quadrunvirato), composto da Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi e indisse una grande adunata di squadristi a Napoli.
Il 24 ottobre del 1922, in una riunione all’Hotel Vesuvio di Napoli, Mussolini e i suoi collaboratori decisero di marciare su Roma.
Di fronte a tale minaccia eversiva, il governo non reagì, ma anzi intavolò trattative e Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio sottopostogli tardivamente dal presidente del consiglio Facta, che si dimise, e giunse ad offrire ai fascisti quattro dicasteri in un nuovo governo Salandra. Mussolini non rispose a tale offerta, ma, fatto insediare il quadrunvirato a Perugia (28.10), ordinò agli squadristi di occupare le grandi città del nord e di convergere sulla capitale.
Malgrado la generale connivenza delle autorità, le colonie fasciste furono fermate fuori Roma dalla semplice presenza dell'esercito che non aveva dovuto ricorrere alla forza. Il 28 ottobre, i fascisti entrarono a Roma.
Salandra, il 29 ottobre, rinunciò al mandato ed il re affidò l’incarico a Mussolini, che aspettava l’evolversi della situazione a Milano. Giunto a Roma la mattina del 30 ottobre, in treno, fu ricevuto dal re con il quale accoglie l'omaggio delle squadre fasciste che a quel punto poterono entrare in Roma mentre il Re diede a Mussolini l’incarico di costituire il governo.
Il 28 ottobre del 1922 fu celebrato come data di inizio dell'era fascista. Appena giunto al potere, consapevole d’averlo preso grazie ad una mossa azzardata, Mussolini si preoccupò innanzi tutto di consolidare la sua posizione: tranquillizzò chi vedeva in lui un avventuriero, dando di sé un'immagine moderata e ragionevole, affermando di volere nel suo ministero le intelligenze e le competenze migliori che vanti l'Italia e i rappresentanti dell'intero centro-destra; rassicurò soprattutto la borghesia, di cui precedentemente aveva invocato lo sterminio fisico e, per conciliarsi e garantirsi l'appoggio delle forze conservatrici, decise l'ingresso dei nazionalisti nel partito fascista, con l'elezione di personaggi seri e capaci, che mancavano nel suo partito; con alcune decisioni, s’ingraziò clero cattolico e Vaticano.
Quasi tutti i giornali gli erano favorevoli. I maggiori esponenti liberali giudicavano il suo governo il minore dei mali e anche chi gli era contrario riteneva che occorreva in ogni caso lasciarlo governare, nella presunzione che ciò possa favorire il ritorno alla legalità.
Il nuovo Presidente del Consiglio piaceva, o almeno non dispiace a molti: nell'opposizione c'era anche una sorta di riconoscimento che il nuovo governo, oltre e poter svolgere un’utile funzione antisocialista, esprimeva una maggioranza che esiste non solo al Parlamento, ma anche nel paese.
Mussolini inserì nel governo solo tre ministri fascisti su tredici (ma sette sottosegretari su quattordici: comprende che il sottogoverno può essere altrettanto importante del governo).
L'attività del governo di Mussolini ebbe inizio il 10 novembre.
Nel 1923 Mussolini offrì di sè una duplice immagine: di presidente del Consiglio e di Duce dei fascisti. Si trattava di una necessità, perchè doveva rassicurare i fiancheggiatori liberali e popolari e, nello stesso tempo, presentarsi ai suoi seguaci con l'aspetto del capo pronto a riprendere la lotta.
Il mito di Mussolini influì sulla gente, propensa ad avere fiducia nel governo e nel potere.
Nel marzo del 1923 si realizza la fusione tra il Partito nazionale fascista e il Partito nazionalista. Mussolini costituì un gabinetto di larga coalizione al quale inizialmente parteciparono anche i popolari che però ne uscirono nell’aprile del 1923. Durante questo governo di coalizione, Mussolini si stava preparando ad instaurare la dittatura.
Riformando la legge elettorale con la Legge Acerbo, Mussolini introdusse il sistema del premio di maggioranza che gli consentì in seguito la dittatura. La legge prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale e chi prendeva più voti prendeva i due terzi dei seggi (356), mentre i restanti (179) su base proporzionale andavano alle liste rimaste in minoranza. La legge fu approvata alla Camera il 21 luglio con 223 si, 123 no e al Senato il 14 novembre con 165 si, 41 no.
In tal modo, Mussolini blindò ulteriormente il suo potere, costituendo i presupposti per la dittatura. Il 17 novembre, la Camera approvò il governo con 306 voti favorevoli e 116 contrari.
Nel novembre del 1923, Mussolini esaltò questa forma di governo con una quarantina di giornalisti stranieri: “Una dittatura intelligente può durare a lungo”. Dopo le elezioni del 6 aprile 1924, Mussolini consolidò ulteriormente il potere.
Il listone fascista ottenne 4.300.000 voti, con 356 seggi i popolari conquistarono 40 seggi, i socialisti 47, i comunisti 18, gli altri partiti 45. Ormai la maggioranza gli consentiva di governare l’Italia senza incontrare nessun ostacolo.
Nella politica interna, ottenne buoni risultati nel risanamento del debito statale, ma si trattò di un punto d'arrivo di un processo che è stato già avviato dai governi liberali.
Nella politica estera ottenne, con la definitiva soluzione della questione di Fiume, che il 27 gennaio 1924 è riconosciuta italiana anche dalla Jugoslavia, con la quale fu stipulato un trattato di amicizia. In questa occasione Mussolini fu insignito da Vittorio Emanuele III del collare dell'Ordine dell'Annunziata. È un nuovo segno dell'appoggio che gli dava la monarchia.
Ma ancora con la limitazione data dall'esistenza del Parlamento.
Affermando che il Parlamento sia diventato inutile, che aveva fatto molto bene per il passato, ma ora non rispondeva più al bisogno dei tempi, Mussolini commise però il suo primo e serio passo falso.
Il deputato Giacomo Matteotti, segretario del P.S.U, il 30 maggio chiese l'invalidazione delle elezioni, che denunciò apertamente il clima di intimidazione in cui si era svolta la consultazione elettorale. Questo aumentò il disprezzo di Mussolini verso il Parlamento.
Matteotti fu rapito il 10 giugno 1924 da una squadra guidata da Dumini e composta da altri quattro fascisti. Trascinato su un'auto, fu ucciso e seppellito la sera stessa nei pressi della via Flaminia (il cadavere fu trovato solo il 16 agosto).
Con l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti l'opposizione ebbe una reazione abbastanza decisa, la secessione parlamentare di Aventino. Anche la gente, che aveva sopportato per due anni un clima di crescente intimidazione, di violenza e di illegalità, con le progressive limitazioni di tutte le libertà, ebbe un moto di rivolta e indignazione.
In quel frangente, Mussolini vide vacillare il suo potere, ma, anche in questa circostanza, vennero
alla luce due caratteristiche del suo temperamento: la tendenza a perdersi d'animo di fronte a grosse difficoltà e la grande capacità di recupero infatti in pochi mesi riuscì a capovolgere gli effetti negativi del delitto, anche perchè molti lo appoggiarono, o almeno, non lo vollero combattere.
Il delitto Matteotti va distinto dall'affare Matteotti, cioè da quel complesso di azioni politiche, che si conclusero il 3 gennaio del 1925 con la trasformazione del Fascismo in dittatura.
L'affare Matteotti si conclude così con la sconfitta del Parlamento e l'annuncio della sua fine.
Mussolini reagì alla crisi con un atto di forza: nel famoso discorso del 3 gennaio 1925 rivendicò la piena e totale responsabilità politica e morale dell’accaduto e annunciò le misure restrittive che sarebbero state chiamate leggi fascistissime.
Questo discorso segnò la sua controffensiva la liquidazione del vecchio Stato liberale e l’instaurazione della dittatura.
Il 12 febbraio Mussolini nominò Roberto Farinacci segretario del partito: è un segno che vuole adottare verso le opposizioni una politica ancora più dura. Per contrastare le tendenze centrifughe del Fascismo, Mussolini rafforzò i poteri dei prefetti: essi devono agire se necessario anche contro i fascisti.
L'occupazione dello Stato non era ancora avvenuta, ma Mussolini si poneva questo obiettivo. Volendo creare ad una dittatura personale:
· In primo luogo, non aveva nessuna intenzione di concedere al PNF quell’autonomia che avrebbe potuto renderlo effettivamente forte e in grado di governare ogni settore dello Stato;
· In secondo luogo, esistevano in Italia forze, dalla Chiesa alla monarchia, dall'esercito alla Confindustria, con cui poteva stringere alleanze, ma non poteva distruggere. Esse, inoltre, non avrebbero accettato l'egemonia del partito, mentre erano disposte ad accettare quella di Mussolini.
Tra gli strumenti di cui Mussolini si servì per esercitare la dittatura, ebbe grande rilievo la presenza dei tecnici: tutta la politica si accentrò nelle sue mani, a lui toccavano le più importanti decisioni politiche, ma perchè esse potessero essere attuate era necessaria una folta schiera di uomini preparati ed efficienti.
Dal dicembre 1925, la figura di capo del governo aveva assunto una nuova fisionomia ed il 24 dicembre una legge ne fissava le prerogative:
· Non era responsabile di fronte alla Camera, ma soltanto di fronte al Re;
· Poteva emanare norme giuridiche;
· Poteva nominare o revocare ministri senza l'autorizzazione del Parlamento.
Mussolini in questo modo aveva uno strumento di potere, il governo, ancora più efficace del partito. Per questa ragione sostenne la supremazia del governo anche sul Partito fascista.
Nell'aprile del 1926 proibì ogni tentativo di sciopero. Nonostante Mussolini tenesse a bada l'opposizione, quasi inesistente, o comunque chi poteva dargli fastidio, con la tecnica del bastone e della carota e che a mano a mano i giri di vite contro la libertà di stampa si facessero sempre più stretti, fino al completo soffocamento, una serie di attentati turarono la sua vita:
· Ad aprile un’anziana signora irlandese, Violet Gibson, gli sparò durante una cerimonia al Campidoglio, ma il proiettile gli sfiorò appena il volto;
· A settembre l’anarchico Lucetti lanciò una bomba contro la sua auto; l’ordigno scivolò sul tetto della vettura ed esplose a terra ferendo lievemente soltanto un passante;
· A ottobre il giovane Anteo Zamboni che avrebbe sparato, senza successo, sfiorando appena il bersaglio e che fu subito dopo pugnalato a morte dai legionari fascisti.
Nel novembre del 1926 Mussolini emanò le leggi fascistissime, con le quali:
· Furono sciolti tutti i partiti antifascisti;
· Furono dichiarati decaduti dal mandato i deputati dell’Aventino;
· Fu attuata la pena di morte per i reati contro lo Stato;
· Fu istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato;
· Nel 1927 fu costituita l’Ovra.
Mussolini si rendeva conto che il Fascismo, fino a quel momento, non aveva una base ideologica abbastanza forte e convincente: Giovanni Gentile allora si impegnò a costruirne una.
Nella concezione mussoliniana e gentiliana, il Fascismo, diventava migliore di qualsiasi altra ideologia: era dottrina, fede, religione. Da allora nei testi elaborati dal Partito Nazionale Fascista furono prodighi termini come martire, credente, sacrificio, devozione al duce, fede fascista, dottrina fascista, mistica fascista, comandamenti, catechismi. Tutti termini che afferiscono alla sfera religiosa.
Nel motto credere-obbedire-combattere c'é tutta l'ideologia fascista accostata: la religione, la scomparsa del pensiero critico, la violenza.
Augusto Turati, nuovo segretario del PNF succeduto a Farinacci nel 1926, istituzionalizzò il culto del capo; Giuseppe Bottai, lo rese intellettualmente rispettabile, proclamando la propria convinzione che nessuna figura della storia reggeva il confronto con quest'uomo eccezionale; suo fratello Arnaldo Mussolini, dalle colonne del Popolo d’Italia, lo consacrava ogni giorno: il principale statista d'Europa, aveva messo la sua saggezza, il suo eroismo ed il suo enorme intelletto al servizio del suo popolo. La sua persona doveva essere pertanto sacra e inviolabile.
Nel 1926-1927, la religione del ducismo era ormai in pieno sviluppo: gli insegnanti ebbero l'ordine di esaltare questa figura solitaria, di mettere in risalto il suo interesse, il suo meraviglioso coraggio e la sua mente brillante e di spiegare che l'obbedienza ad un tale uomo era la virtù eccelsa. Questa figura leggendaria divenne più familiare attraverso la biografia Dux, scritta da Margherita Sarfatti, di cui Mussolini stesso corresse le bozze.
Il 21 aprile del 1927, fu pubblicata la Carta del Lavoro che prevedeva 22 corporazioni. Con la Carta del Lavoro, che i propagandisti salutarono come La Magna Carta della rivoluzione fascista, il regime stabilì alcuni diritti-doveri del lavoratore:
· La giornata lavorativa di otto ore, la cassa malattie;
· Le pensioni di vecchiaia;
· L'assistenza alla maternità;
· Le vacanze organizzate a cura del Dopolavoro.
Gli articoli della Carta tuttavia rimasero in gran parte una dichiarazione di principi, per via dell'arretratezza dell'organizzazione statale. Nella concezione fascista il lavoro, inquadrato nelle varie corporazioni, divenne un dovere sociale e lo sciopero un reato penalmente perseguibile.
Nel 1928 dopo l’avvio piuttosto travagliato della sua vita familiare, Rachele ed i suoi figli raggiunsero Mussolini a Roma e si insediarono a Villa Torlonia, e condussero una vita piuttosto normale per quanto poteva concernere la normalità della presenza in casa del padrone d’Italia.
Rachele era, una padrona di casa romagnola sensata ed economa: anche perché Mussolini lesinava sul soldo, non avendone mai di suoi, neppure allorché fu Duce: e ogni spesa gli pareva spropositata.
I ragazzi crebbero bene tranne Anna Maria colpita da una grave infermità e i due maschi maggiori dovettero, senza eccessiva vocazione, seguire il curriculum che per loro sembrava doveroso: gli studi, le uniformi di balilla o avanguardista, e infine l’Arma Azzurra. Padre e figli avevano un rapporto affettuoso ma non intenso. Il preside del liceo Tasso, dove studiavano, inviava al Duce dei rapporti sul profitto scolastico dei ragazzi. Lui non commentava.
Mussolini fascistizzò progressivamente tutto lo Stato, affermando che il Fascismo doveva essere come il sangue in un corpo, e quindi doveva identificarsi con lo Stato.
Lo Stato Fascista, avrebbe dovuto predominare in ogni aspetto della vita sociale, politica e culturale, di qui il famoso motto: Tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato.
Neppure la gioventù fu risparmiata dall'indottrinamento, anzi il regime considerava fondamentale addestrare gli italiani al regime fascista fin quasi dalla nascita: la Gioventù Italiana del Littorio aveva appunto il compito di creare un uomo che fosse naturalmente fascista, che vivesse e pensasse spontaneamente, grazie ad una meticolosa educazione fascista.
Il Fascismo entrava così, poco a poco, non solo in ogni apparato dello Stato, ma nella vita sociale e privata di ogni cittadino: nelle nuove generazioni, esso entrava nelle loro mentalità fin dall'infanzia.
In modo parallelo a questo condizionamento capillare, ogni opposizione fu messa a tacere: partiti e sindacati furono dichiarati illegali e quindi soppressi, i giornali che non si adeguavano al regime chiusi d'imperio, gli oppositori politici furono bastonati, imprigionati o mandati al confino e, a volte, assassinati.
Una continua propaganda cominciò ad esaltare in maniera spesso ridicola le doti di genio del duce supremo, trasformandone la personalità in una sorta di semidio insonne che aveva sempre ragione ed era l’unico in grado di interpretare i destini della patria.
L’11 febbraio del 1929, Mussolini firmò i Patti Lateranensi con il Vaticano che rappresentavano la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede.
Mussolini avviò importanti riforme economiche, nel campo del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, e diede inizio a rilevanti opere pubbliche: queste gli servivano per fornire prove tangibili al popolo che il Fascismo produceva non solo chiacchiere, ma fatti concreti. Tra le più citate, le bonifiche delle paludi dell'Agro Pontino.
Con la battaglia del grano, Mussolini perseguì l'intento di aumentare la produzione di cereali, nel quadro di quell’autarchia che, in caso di guerra, avrebbe reso l'Italia autosufficiente. Ciò gli serviva anche per trattenere i contadini nelle campagne, perché non vedeva di buon occhio l'eccessiva urbanizzazione: nelle campagne si pensa solo a lavorare, nelle città la gente parla e pensa troppo.
In politica estera, dopo l’episodio di Corfù, occupata dalle truppe italiane nel 1923, e la decisa presa di posizione contro la minaccia tedesca di annessione dell’Austria cui fece seguito il Convegno di Stresa con Francia e Gran Bretagna, nel 1935, che sembrò tracciare un fronte comune antihitleriano, Mussolini si gettò nella conquista dell’Etiopia.
All'inizio del 1934, Mussolini decise di conquistare l'ultimo dei posti al sole rimasti.
Il posto al sole non è la stessa cosa dello spazio vitale di cui parla Hitler, ma un posticino in Africa per una nazione proletaria che cerca uno sfogo alla sovrappopolazione.
Cercare di conquistare l'Etiopia significava fare una politica di rischio calcolato.
Mussolini sapeva che l'Italia non è pronta ad un grande conflitto e che può affrontarne solo uno coloniale: la guerra gli è necessaria, ma deve essere il più possibile limitata.
Mussolini vuole conquistare gli altipiani inabitati, dove gli italiani avrebbero potuto costruire le loro case, arare le nuove terre e guadagnarsi il pane.
Ma la guerra dei poveri italiani contro i poverissimi abissini si trasformò, con una magistrale operazione propagandistica, nella guerra dei poveri contro i ricchi, perchè dietro l'Etiopia, la propaganda sosteneva ci fosse la ricca Inghilterra.
Il 14 giugno 1934, Mussolini incontrò Hitler la prima volta, ma non ne riportò una buona impressione, mentre quest'ultimo fu entusiasta di lui.
Nel luglio 1934 i nazisti operarono un violento colpo di stato in Austria, assassinando il cancelliere Dolfuss, e tentando di rovesciare con la forza il governo austriaco; ma il tentativo si rivelò prematuro e non riuscì. Infatti l'Italia intervenne immediatamente inviando sul Brennero alcune divisioni italiane, pronte ad entrare in azione per reprimere un eventuale attacco della Germania.
Quando il 2 ottobre Mussolini decise di conquistare l'Etiopia, l'opinione pubblica era preparata e a Roma si riversò per le strade una fiumana di persone. Mussolini annunciò davanti a venti milioni di persone: “Camicie nere della rivoluzione! Ascoltate! Un'ora solenne sta per scoccare nella storia della patria”. Parlò anche di una possibile catastrofe europea, ma assicurò che lo scontro armato con la Francia e l'Inghilterra può essere evitato. Queste condannarono l'invasione e proposero delle sanzioni, che ebbero un’efficacia limitata:
· Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane varcarono il confine con l’Abissinia; alla minaccia delle sanzioni formulate a Ginevra rispose con l’autarchia;
· Il 9 maggio 1936 dopo che gli etiopici avevano resistito sette mesi Mussolini poté proclamare l'Impero.
L’impresa, da un lato, segnò il punto più alto della sua popolarità in patria: La creazione di un impero coloniale servì a Mussolini per irrobustire l'orgoglio nazionale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano servire a pareggiare i conti con le altre potenze coloniali, soprattutto Francia e Inghilterra, e fare dell'Italia, assetata di gloria e di potenza, la nazione guida dell'Europa e il faro della civiltà nel mondo. Ciò rafforzava il suo prestigio in politica interna: Mussolini si diede da fare nel gioco diplomatico internazionale, intervenendo nei trattati e facendo da paciere o da arbitro. La stampa fascista enfatizzò ed esaltò i suoi meriti nella risoluzione di complesse trattative ed suoi successi internazionali contribuivano quindi alla sua progressiva deificazione.
La guerra vittoriosa di Etiopia, dall’altro lato aprì ed aggravò per Mussolini alcuni problemi:
· I rapporti con Vittorio Emanuele III, diventato imperatore d’Etiopia, riprendendo il titolo di Qesar, dovrebbe appagare il Re, ma Vittorio Emanuele III è Cesare solo in Etiopia, in Italia il vero Cesare è Mussolini e quando il Parlamento fascista approvò una legge che creava due marescialli dell’Impero, rendendo così Mussolini al pari del re, s’infuriò dicendo: “Questo smacco alla Corona dovrà essere l’ultimo”;
· Il dono dell’Impero che Mussolini ha fatto al re aveva un costo elevato, per mantenere l’Etiopia lo Stato italiano spendeva 57 miliardi;
· Il sempre più stretto accostamento tra l’Italia e la Germania che, durante il periodo delle sanzioni, aveva recato un notevole contributo all’Italia, ed aveva poi riconosciuto senza indugio la sovranità italiana sull’Impero d’Etiopia aveva inimicato l’Italia con la Gran Bretagna, la Francia e la Società delle Nazioni.
Questo squilibrio internazionale costrinse l’Italia ad un lento, ma fatale avvicinamento alla Germania:
· Nell’ottobre 1936 il ministro degli esteri Ciano si recò in Germania e sottoscrisse con il governo tedesco un patto di collaborazione, primo approccio per una vera e propria alleanza politico-militare tra Italia e Germania, il cosiddetto Asse Roma-Berlino;
· Il 6 novembre del 1937 l’Italia firmò il Patto Anticominform con Germania e Giappone;
· L’11 dicembre del 1937 l’Italia uscì dalla Società delle Nazioni;
· Il 17 novembre del 1938 l’Italia emanò le leggi razziali contro gli ebrei, che entrarono in vigore;
· Nel 1939 Mussolini firmò il patto d’Acciaio, legandosi definitivamente a Hitler.
La sfida all’Inghilterra ed alla Società delle nazioni, la sua apoteosi di fondatore dell’Impero e di primo maresciallo il 30 marzo del 1938 e, infine, il comando supremo delle truppe operanti su tutti i fronti l’11 giugno del 1940, assunto il giorno dopo l’ingresso in guerra al fianco dell’Asse, furono il principio della fine Mussolini e per il regime fascista.
Poco a poco Mussolini aveva perduto in gran parte il contatto con la realtà: ignorava la situazione del paese, delle forze armate, dell’esercito, poiché i suoi più stretti collaboratori gli riferivano solo ciò che gli avrebbe fatto piacere, nascondendogli invece i problemi o attenuando le cose negative. Specialmente negli ultimi anni, le sue incertezze si fecero sempre più frequenti: raramente sapeva prendere o imporre una propria decisione con rapidità quando le circostanze lo richiedevano. Era spesso dubbioso, cambiava idea più volte al giorno e con i suoi collaboratori non di rado era vile, sleale, meschino e furbo, pronto alla bugia e all’inganno. Non esitava inoltre a disfarsi calcolatamente dei suoi seguaci più fidi, pur di perseguire i suoi scopi. Era incapace di veri affetti.
Il suo declino iniziò infatti con l’entrata in guerra, un’avventura che lui solo aveva voluto sebbene impreparato e contro le idee dei suoi più stretti collaboratori Badoglio, Grandi e Ciano, nell’illusione di un veloce e facile trionfo.
L’Italia allo scoppio della guerra, aveva proclamato col consenso di Hitler, la sua non belligeranza. Mussolini, nonostante l’impreparazione morale e militare, volle accelerare i tempi dell’intervento ritenendo che il conflitto fosse prossimo alla fine.
Il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Dopo due settimane fu firmato l’armistizio franco-italiano, in base al quale l’Italia poteva occupare alcuni territori del confine.
Le truppe italiane dovevano operare su diversi fronti (sotto il comando generale del maresciallo Badoglio), e furono impegnati in diversi avvenimenti bellici. Nel 1940, le truppe combattono:
· Per la conquista della Somalia Britannica;
· A settembre vi è l'offensiva italiana in Libia, organizzata e diretta dal maresciallo Graziani;
· Poi l’attacco italiano contro la Grecia, che ha messo in evidenza la grande inettitudine e imprevidenza del nostro governo e dei comandi militari.
E così vennero man mano le gravi vicende della guerra con il risultato di un sostanziale insuccesso:
· L’11 novembre del 1940 l'attacco inglese alla nostra flotta a Taranto;
· In Grecia (1941);
· In Egitto (1942);
· Il proposito di stendere sul bagnasciuga i nemici che avessero osato porre il piede sul suolo d’Italia (24 giugno 1943);
· L’invasione anglo-americana della Sicilia e il suo ultimo colloquio con Hitler (19 luglio 1943).
In quel momento Mussolini diventò il responsabile unico del disastro.
A Mussolini che invano ha chiesto aiuti militari a Hitler, mancò la fiducia degli stessi fascisti.
Il 24 luglio 1943, per opera soprattutto di Dino Grandi e di Galeazzo Ciano, ci fu una vera e propria ribellione all'interno del regime ed il Gran Consiglio del Fascismo, riunitosi in una seduta straordinaria, si pronunciò decisamente per la sfiducia a Mussolini, costringendolo a presentare la proprie dimissioni.
Il 25 luglio Vittorio Emanuele III ordinò di arrestare Mussolini e assegnò l'incarico al maresciallo Badoglio di formare il nuovo governo; mentre era dichiarato lo scioglimento del partito fascista.
Il 25 luglio 1943 si ebbe il crollo del fascismo dopo oltre venti anni di dittatura.
Trasferito a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, il 12 settembre Mussolini fu liberato dai paracadutisti tedeschi al comando del Maggiore Harald Mors della Luftwaffe.
Mussolini fu portato in Germania, da dove il 15 settembre proclamò la ricostituzione del Partito Fascista Repubblicano.
Il 23 settembre del 1943, Mussolini, Ormai stanco e malato e in completa balia delle decisioni di Hitler, ritornò in Italia, ponendo la propria resistenza a Salò, sul lago di Garda e costituì la Repubblica Sociale Italiana, riorganizzando il partito fascista e tentando di ricostruire un esercito, al comando del maresciallo Graziani, per continuare la guerra la fianco della Germania, cercando di far rivivere le parole d’ordine del Fascismo della prima ora.
Sempre più isolato e privo di attendibilità, quando le ultime resistenze tedesche in Italia furono fiaccate, Mussolini, trasferitosi a Milano, propose ai capi del C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) un inammissibile passaggio di poteri, che fu respinto intanto Travestito da militare tedesco, tentò allora, insieme alla compagna Claretta Petacci, la fuga verso la Valtellina, dirigendosi verso la Svizzera, ma Riconosciuto a Dongo dai partigiani, fu arrestato e il 28 aprile 1945 fu fucilato senza regolare processo insieme alla Petacci, per ordine del C.L.N., presso Giulino di Mezzegra, sul lago di Como.
Fu esposto a Piazzale Loreto a Milano come trofeo di guerra da parte dei partigiani.
Carmine Esposito
Nessun commento:
Posta un commento