L’epoca arcaica della Grecia è un periodo assai oscuro, definito dagli storici come il «Medioevo greco».
Una delle questioni più discusse è il ruolo che ebbero i dori nel periodo tra il 1250 e il 1150 a.C., secolo in cui la civiltà micenea, che aveva il suo centro nel Peloponneso, fu travolta ed i palazzi distrutti. Dopo alcuni secoli emerse una nuova società, quella che conosciamo ad esempio a Sparta.
I greci avevano perduto, però ogni ricordo preciso di ciò che era avvenuto e che era divenuto patrimonio dell'epica di Omero in cui, però non si parla dei dori.
Per ricostruire gli aspetti storici dell'invasione dei dori, si può ricorrere ad una serie di elementi. Il primo è il racconto mitico elaborato da greci, in base al quale Eracle sarebbe stato cacciato da Argo ed i suoi discendenti sarebbero tornati a prendere possesso di ciò che era stato loro tolto. Questa leggenda serve a legittimare l'occupazione dorica del Peloponneso in età storica.
Un altro aspetto è culturale: i dori, ovunque si trovino in epoca storica (ad esempio a Creta o a Sparta), avevano caratteri linguistici comuni, avevano anche istituzioni simili, ed erano tutti divisi in tre tribù con lo stesso nome.
Un terzo elemento è dato dall'archeologia, che mostra una soluzione di continuità nel Peloponneso, la distruzione della civiltà del palazzo, il mutamento dei modi di sepoltura.
Ciò che oggi appare probabile è l'arrivo di una nuova popolazione, i dori appunto, che, anche se non è certo siano gli artefici della caduta dei micenei, poterono approfittare del vuoto che si era creato nella regione, per affermarsi con un nuovo tipo di società, quella che storicamente conosciamo a Sparta.
E' estremamente suggestiva l’ipotesi della congiura delle regine di cui parla Valerio Massimo Manfredi ne «Le paludi di Esperia». Il libro ruota intorno ad una delle molte storie raccontate nei poemi pseudo-omerici, cioè alla leggenda che ad Ilio era custodita una statua di Atena che rendeva la città inespugnabile. Tutti i maggiori capi achei, quindi anche Diomede, dopo il saccheggio di Troia pensano di essersi impadroniti della vera statua magica. Diomede torna verso la sua patria, Argo, con il suo preziosissimo carico. Giunto alla sua città si ricorda degli avvertimenti di Odisseo ed entra di nascosto nel suo palazzo, per scoprire che la sua regina, Egialea, aveva tramato una congiura per ucciderlo, così come Klitemnestra aveva ucciso Agamennone. Diomede si rifiuta di scatenare una guerra civile e parte per fondare una nuova città che sarà resa invincibile dalla statua di Atena.
Manfredi illustra la congiura delle Regine, cioè il patto segreto secondo cui le mogli degli eroi avrebbero cospirato per detronizzarli e riprendersi il potere: si tratta di un’eco di un sistema matriarcale antichissimo e molto affascinante, storicamente accertato. Klitemnestra, per esempio, non era semplicemente consorte del re, ma regnante di Argo e Micene per diritto di nascita. Sembra che anche l’uccisione di Ifigenia fosse stata considerata dalla regina una mossa politica del marito, che così eliminava la vera erede al trono.
La congiura delle Regine, architettata da Klitemnestra che coinvolge Egialea e prova a coinvolgere Penelope, che, però rifiuta. La congiura non è presentata nella classica veste della perfidia, ma anche vista dall’interno, con il dolore di Klitemnestra che ha visto la figlia Ifigenia sacrificata, così come il figlio della regina di Creta, che, infatti, riuscirà a far scacciare il re Idomeneo. La congiura delle regine trova una sua spiegazione anche di natura antropologica, infatti, appare come la rivendicazione della struttura matriarcale che aveva caratterizzato la civiltà minoica nei confronti della patriarcale civiltà achea.
Durante il suo viaggio Diomede incontra un popolo nomade e selvaggio, i Dor, i dori di origine greca, ritenuti i discendenti di Eracle e dotati di armi invincibili rispetto alle bronzee spade achee: le spade di ferro. Invia quindi Anchialo, uno dei suoi uomini fidati, ad avvisare i re achei di prepararsi ad affrontare l’invasione di questo popolo guerriero.
La verità documentaria di quest'epoca si perde ovviamente tra testimonianze archeologiche di devastanti avvenimenti ed ipotesi di studiosi moderni, che sono spesso vere e proprie supposizioni: i cosiddetti popoli del mare, la loro origine e la loro storia e della calata dorica, che resta evento misterioso, anche riguardo alla propria reale esistenza, diviso tra ipotesi archeologiche, quali quelle dello Tzedakis, ipotesi storiche, quali quelle di Domenico Musti, ed ipotesi linguistiche rapportate al presente, quali la celebre tesi di John Chadwick, che aiutò Michael Ventris a decifrare la scrittura dei Micenei, la celebre Lineare B.
Dei Dori Manfredi fa riferimento alla lingua, così simile al greco proto-storico eppure così diverso sotto alcuni aspetti, dialetto forse appartenente ad un ceppo linguistico differente. Ai Dori gli storici hanno attribuito la fine del mondo miceneo, anche se tutt'ora non si è fatta luce piena sulle modalità della loro presunta invasione e sulla tempistica esatta della stessa.
I popoli del mare, forse popolazioni eterogenee unitesi in una sorta di lega marina sarebbero, secondo gli storici, un'altra causa (o con-causa) alla quale sarebbe dovuta la fine della Grecia protostoria, non preistorica, perché i Greco-Micenei possedevano l'uso della scrittura, già Greco antico trascritto secondo un sistema sillabico di derivazione egea. Questa confederazione di popoli esisteva già nel XIII secolo a. C. Gli Shekelesh, gli Sherden, i Teresch (forse Siculi, Sardi, Etruschi) si incontrano lungo la narrazione come i Feleset facevano, tra gli altri, parte dei popoli del mare ed erano, molto probabilmente, i Filistei). Quando Menelao cerca di fare rotta verso l'Egitto si imbatte in queste flotte potentissime che, come si legge nei manuali che trattano di questo remoto periodo storico, incombevano minacciosi sulla terra dei Faraoni durante il regno di Ramsete III, la figura del quale è ripresa dallo stesso Manfredi. Anche Diomede è costretto a scontrarsi con loro, mentre veleggia lungo l'Adriatico, verso la Puglia.
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