Esplorata
in parte e saccheggiata in epoca borbonica, la cosiddetta Villa di Arianna si estende sul ciglio della collina di Varano in
posizione panoramica.
La
villa deve il suo nome per la grande pittura a soggetto mitologico rinvenuta
sulla parete di fondo del triclinio estivo raffigurante Arianna.
Dall’VIII e fino al V secolo a.C. l’oppidum stabiano fece parte dell’ambito politico-culturale etrusco. Di sicuro l’abitato stabiese condivise le sorti storiche dell’intera vallata del Sarno. Le scarse testimonianze sull’abitato stabiano ne hanno reso molto difficile l’ubicazione e la ricostruzione.
Dall’VIII e fino al V secolo a.C. l’oppidum stabiano fece parte dell’ambito politico-culturale etrusco. Di sicuro l’abitato stabiese condivise le sorti storiche dell’intera vallata del Sarno. Le scarse testimonianze sull’abitato stabiano ne hanno reso molto difficile l’ubicazione e la ricostruzione.
L’area
urbana sembrerebbe localizzata nella zona orientale a monte della città
moderna. Confermerebbero tale ipotesi la strada con botteghe scavata a nord-est
della villa di San Marco e l’individuazione della mura sannitiche a circa 200
metri dalla stessa villa. Successivamente, con l’arrivo dei Sanniti, entrò a
far parte della confederazione nucerina
adottando la struttura politica ed amministrativa di Nuceria della quale
divenne anche il porto militare. Con l’arrivo dei Romani, nella guerra sociale degli alleati italici
contro Roma per ottenere il diritto alla cittadinanza romana, la confederazione nucerina alla fine si
schierò con gli italici ed a causa della sua posizione strategica, Stabiae fu
distrutta da Silla il 30 aprile dell’89 a.C. Da tale completa distruzione
Stabiae non si risollevò più, riducendosi a centro termale e di villeggiatura.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. seppellì anche le ville stabiane, ma la zona
non fu completamente abbandonata ed ancora nel secolo successivo alcune
testimonianze esaltano le virtù delle acque termali stabiane. I primi
ritrovamenti nel territorio stabiano si ebbero nel Settecento.
I Borbone
portarono alla luce diciotto ville nella zona comprese quelle di San Marco e di
Arianna. Esse finirono per essere depredate e ricoperte. La villa Arianna fu inizialmente scavata in
età borbonica fra il 1757 ed il 1762, sotto la direzione dell’ingegnere
svizzero Carlo Weber. Lo scavo a quei
tempi era condotto attraverso esplorazioni sotterranee che prevedevano solo il
recupero degli oggetti e non anche l'indagine dell'intero contesto
architettonico: pertanto, le suppellettili e gli affreschi meglio conservati erano
prelevati e inviati al Museo Borbonico
presso il Palazzo Reale di Portici. Le pitture di scarso pregio o rovinate,
invece, erano lasciate sul posto e spesso ulteriormente danneggiate dagli
stessi scavatori. Dell'edificio, di cui una gran parte risulta ancora
interrata, conosciamo la pianta redatta in epoca borbonica attraverso i rilievi
fatti nei cunicoli scavati e successivamente ricolmati.
Solo
nel 1950, per iniziativa del Prof. Libero D’Orsi si iniziarono scavi regolari
che hanno riportato alla luce le ville oggi visitabili.
La Villa di Arianna fu edificata sulle
pendici della collina di Varano e copre un’area di circa 11.000 metri quadrati
ha una pianta complessa, sia perché frutto di successivi ampliamenti, sia
perché si adatta alla conformazione della collina di cui segue l'andamento.
L’ambiente misura 104 metri in lunghezza ed 81 metri in larghezza, ma
attualmente non è stato interamente scavato. L’aspetto totale è oggi
ricostruibile integrando le planimetrie borboniche dei settori scavati e poi
rinterrati con quella delle parti riemerse in luce.
La villa, collegata con la pianura
sottostante attraverso una serie di rampe su sei livelli, è articolata in
quattro nuclei essenziali: atrio e ambienti circostanti risalenti ad età
tardo-repubblicana; ambienti di servizio e termali; ambienti ai lati del
triclinio estivo, risalenti ad età neroniana; la grande palestra annessa alla villa in età flavia.
Una
lunga galleria, inoltre, partendo dalle rampe sottopassava gli ambienti
residenziali per giungere nella parte rustica dove vi era l'accesso alla villa dal pianoro di Varano. Si accede
alla villa attraverso una scala che immette in un ampio peristilio con colonne
in opera listata (due filari di laterizi e uno di blocchetti di tufo) rivestite
in stucco bianco. Sul lato dal quale
si accede oggi, sono situate sulla sinistra dell’ingresso alcune stanze decorate
con mosaici di buona fattura. Sembra probabile che il peristilio, orientato
diversamente rispetto al resto della villa, sia stato aggregato successivamente
al complesso.
Da un
passaggio sulla destra si accede ad un passaggio panoramico lungo il quale si
apre una serie di ambienti. Il nucleo più antico risale alla metà del I secolo
a.C. e comprende la sequenza dell’ingresso dove anticamente l’impianto è
testimoniato dalle due stanzette poste all’esterno, ai lati dell’ingresso
all’atrio, che conservano decorazioni nel cosiddetto II stile pompeiano imitanti architetture, del peristilio quadrato e
dell’atrio secondo la successione vitruviana tipica delle residenze
periferiche. Gli apparati decorativi testimoniano non solo l'alto tenore di
vita che qui doveva svolgersi, ma anche il gusto estremamente raffinato di una
committenza altolocata ed esigente.
La
struttura residenziale risalente nel suo nucleo originario ad epoca tardo
repubblicana, ma fu poi ampliata nel secolo successivo con sale da banchetto con vista sul mare ed un enorme palestra con oltre cento colonne, oggi interrata. Il circuito della palestra
misurava esattamente due stadi, la misura prescritta da Vitruvio per i portici
di tali tipi di edifici. Nel corso del I secolo d.C nell’area archeologica è
possibile individuare il quartiere termale con praefurnium e calidarium
(per i bagni di acqua calda) absidato, originariamente decorato in opus sectile.
La
parte della villa prospiciente il ciglio della collina era sostenuta da una
terrazza decorata con archi ciechi e pinnacoli. In uno degli archi si è
rinvenuto un disegno di una nave eseguito a carboncino. Tra gli affreschi
visibili vanno ricordati i dipinti del grande triclinio che mostrano storie
care a Venere, dea dell’amore: Arianna
(che ha dato il nome alla villa), che dopo essere stata abbandonata da Teseo
sull’isola di Nasso fra le braccia del sonno Hypnos è scorta da Dioniso, accompagnato da un amorino che reca una
fiaccola; Licurgo e Ambrosia; Ippolito al quale la nutrice svela
l’amore nutrito per lui dalla matrigna Fedra e, nell’anticamera, Ganimede, rapito dall’aquila e portato
dinanzi al trono di Giove. Si entra così nel reparto balneare della villa
attraverso un cortile con vasca sul quale si apre a destra la cucina.
Dal
fondo dell’atrio si accedeva ad un peristilio quadrato scavato in epoca
borbonica e poi ricoperto. Ai lati sono due cubicoli con decorazione di secondo
stile a finta incrostazione con soffitto a cassettoni. Usciti dall’atrio si
raggiunge un piccolo cortile con scala di accesso al primo piano. Aldilà del
cortile si nota un vicolo che separa la villa di Arianna dal cosiddetto secondo
complesso di Varano.
Ritornati
sul lungo camminamento panoramico si entra nell’atrio tuscanico della villa decorato con affreschi del terzo stile. Si incontrano subito una diaeta con anticamera decorate con uno
zoccolo figurato giallo (paesaggi), predella bianca (con mostri marini e
paesaggi con pigmei) e zona mediana bianca (con tralci e coppie di amorini in
volo al centro dei pannelli). Segue un bel triclinio estivo che evidenzia il
perfetto gioco di luci ed ombre creato grazie a larghe finestre e pozzi di luce
laterali.
A
seguire è un’altra diaeta posta
simmetricamente a quella precedente rispetto al triclinio estivo. L’anticamera
ha il pavimento a mosaico bianco con rettangoli neri e zoccolo figurato nero, alle
pareti è una raffinata decorazione con candelabri, coppie di figurine
aggrappate a tralci, uccelli, farfalle e cavallette. Alcuni particolari furono
distaccati dai Borbone e in parte sono al Museo
Archeologico Nazionale di Napoli.
Proseguendo
nel percorso si entra in un piccolo corridoio: a destra è una stanza che
presenta una decorazione molto particolare. Si tratta di una folta rete di
diagonali e di orizzontali e verticali impresse con un cordoncino nell’intonaco
fresco così da creare l’illusione di piastrelle,
in seguito dipinte. Le raffigurazioni presentano amorini, uccelli, figure
femminili, medaglioni e rosette. Lo zoccolo rosso presenta mostri marini
cavalcati da amorini e figure umane. Continuando a percorrere il corridoio si
giunge a due cubicoli: quello a destra dipinto in giallo conteneva quadretti
con satiri e guerrieri sdraiati, quello di sinistra dipinto in rosso cupo, lo
zoccolo nero era ornato di figure femminili sedute. Al centro delle pareti sono
Menadi ed amorini.
Usciti
dal corridoio, si incontra una stanza d’angolo con pitture rovinate perché
picchettate dagli scavatori borbonici al fine di impedire che altri potessero
impossessarsene. Si entra poi in un ampio triclinio con affreschi di quarto
stile. Nello zoccolo delle pareti dell’impluvio si conserva ancora qualche
traccia del rivestimento marmoreo originario. Nel cubicolo a destra il
pavimento a mosaico presenta un singolare motivo di scendiletto tra anticamera ed alcova. Lungo il porticato, su cui si
apre il triclinio estivo, si succedono le stanze residenziali alcune delle
quali arricchite da decorazioni su parete dal soffitto di un piccolo ambiente
panoramico disposto presso l’atrio proviene un ritratto di coppia in un rombo, dove i personaggi sono
caratterizzati da capigliature alla moda tipiche dell’età Giulio-Claudia. Degli ambienti che seguono sono da ammirare i
pavimenti a mosaico a fondo nero e gli affreschi del terzo stile molto
frammentati. In fondo è il peristilio in parte franato per lo smottamento del
terreno a valle. Fra i rinvenimenti si segnalano un bollitore di bronzo a forma di torre ed un anello d’oro con un
granato sul quale è inciso un Apollo, entrambi oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Poco oltre si trova l’ampio
peristilio, che si sviluppa per una lunghezza complessiva di 370 metri e ripete
il canone indicato da Vitruvio. Nella stalla, nel 1981, si sono trovati i resti
di due carretti agricoli. Fra i dipinti si segnala invece la famosa Flora che si accompagnava ad altri tre
quadri: Leda ed il cigno, Medea e Diana cacciatrice;
inoltre figure di sacerdoti isiaci ed il famoso quadro con Venere venditrice di amorini. Quest’ultimo quadro fu tanto famoso
nel XVIII secolo che l’abate Galiani nel 1767 scriveva da Parigi al ministro
Tanucci: “Quella pittura d’una donna che vende amoretti come polli, io l’ho
vista ricopiata qui (a Parigi) in più di dieci case”.
Dalla parte opposta si trova, invece, il nucleo
repubblicano della villa: in esso cubicoli con notevoli decorazioni a mosaico
che si articolano intorno all’asse canonico atrio-peristilio, tipico delle
residenze vesuviane del I secolo a.C. e che testimoniano la continuità di un
abitato che, peraltro, non è stato ancora completamente individuato.
Anna Cavallaro.
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