mercoledì 30 aprile 2014

La villa stabiana di Arianna di Anna Cavallaro

Esplorata in parte e saccheggiata in epoca borbonica, la cosiddetta Villa di Arianna si estende sul ciglio della collina di Varano in posizione panoramica.
La villa deve il suo nome per la grande pittura a soggetto mitologico rinvenuta sulla parete di fondo del triclinio estivo raffigurante Arianna.
Dall’VIII e fino al V secolo a.C. l’oppidum stabiano fece parte dell’ambito politico-culturale etrusco. Di sicuro l’abitato stabiese condivise le sorti storiche dell’intera vallata del Sarno. Le scarse testimonianze sull’abitato stabiano ne hanno reso molto difficile l’ubicazione e la ricostruzione.
L’area urbana sembrerebbe localizzata nella zona orientale a monte della città moderna. Confermerebbero tale ipotesi la strada con botteghe scavata a nord-est della villa di San Marco e l’individuazione della mura sannitiche a circa 200 metri dalla stessa villa. Successivamente, con l’arrivo dei Sanniti, entrò a far parte della confederazione nucerina adottando la struttura politica ed amministrativa di Nuceria della quale divenne anche il porto militare. Con l’arrivo dei Romani, nella guerra sociale degli alleati italici contro Roma per ottenere il diritto alla cittadinanza romana, la confederazione nucerina alla fine si schierò con gli italici ed a causa della sua posizione strategica, Stabiae fu distrutta da Silla il 30 aprile dell’89 a.C. Da tale completa distruzione Stabiae non si risollevò più, riducendosi a centro termale e di villeggiatura. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. seppellì anche le ville stabiane, ma la zona non fu completamente abbandonata ed ancora nel secolo successivo alcune testimonianze esaltano le virtù delle acque termali stabiane. I primi ritrovamenti nel territorio stabiano si ebbero nel Settecento.
I Borbone portarono alla luce diciotto ville nella zona comprese quelle di San Marco e di Arianna. Esse finirono per essere depredate e ricoperte. La villa Arianna fu inizialmente scavata in età borbonica fra il 1757 ed il 1762, sotto la direzione dell’ingegnere svizzero Carlo Weber. Lo scavo a quei tempi era condotto attraverso esplorazioni sotterranee che prevedevano solo il recupero degli oggetti e non anche l'indagine dell'intero contesto architettonico: pertanto, le suppellettili e gli affreschi meglio conservati erano prelevati e inviati al Museo Borbonico presso il Palazzo Reale di Portici. Le pitture di scarso pregio o rovinate, invece, erano lasciate sul posto e spesso ulteriormente danneggiate dagli stessi scavatori. Dell'edificio, di cui una gran parte risulta ancora interrata, conosciamo la pianta redatta in epoca borbonica attraverso i rilievi fatti nei cunicoli scavati e successivamente ricolmati.
Solo nel 1950, per iniziativa del Prof. Libero D’Orsi si iniziarono scavi regolari che hanno riportato alla luce le ville oggi visitabili.
La Villa di Arianna fu edificata sulle pendici della collina di Varano e copre un’area di circa 11.000 metri quadrati ha una pianta complessa, sia perché frutto di successivi ampliamenti, sia perché si adatta alla conformazione della collina di cui segue l'andamento. L’ambiente misura 104 metri in lunghezza ed 81 metri in larghezza, ma attualmente non è stato interamente scavato. L’aspetto totale è oggi ricostruibile integrando le planimetrie borboniche dei settori scavati e poi rinterrati con quella delle parti riemerse in luce.
La villa, collegata con la pianura sottostante attraverso una serie di rampe su sei livelli, è articolata in quattro nuclei essenziali: atrio e ambienti circostanti risalenti ad età tardo-repubblicana; ambienti di servizio e termali; ambienti ai lati del triclinio estivo, risalenti ad età neroniana; la grande palestra annessa alla villa in età flavia.
Una lunga galleria, inoltre, partendo dalle rampe sottopassava gli ambienti residenziali per giungere nella parte rustica dove vi era l'accesso alla villa dal pianoro di Varano. Si accede alla villa attraverso una scala che immette in un ampio peristilio con colonne in opera listata (due filari di laterizi e uno di blocchetti di tufo) rivestite in stucco bianco. Sul lato dal quale si accede oggi, sono situate sulla sinistra dell’ingresso alcune stanze decorate con mosaici di buona fattura. Sembra probabile che il peristilio, orientato diversamente rispetto al resto della villa, sia stato aggregato successivamente al complesso.
Da un passaggio sulla destra si accede ad un passaggio panoramico lungo il quale si apre una serie di ambienti. Il nucleo più antico risale alla metà del I secolo a.C. e comprende la sequenza dell’ingresso dove anticamente l’impianto è testimoniato dalle due stanzette poste all’esterno, ai lati dell’ingresso all’atrio, che conservano decorazioni nel cosiddetto II stile pompeiano imitanti architetture, del peristilio quadrato e dell’atrio secondo la successione vitruviana tipica delle residenze periferiche. Gli apparati decorativi testimoniano non solo l'alto tenore di vita che qui doveva svolgersi, ma anche il gusto estremamente raffinato di una committenza altolocata ed esigente.
La struttura residenziale risalente nel suo nucleo originario ad epoca tardo repubblicana, ma fu poi ampliata nel secolo successivo con sale da banchetto con vista sul mare ed un enorme palestra con oltre cento colonne, oggi interrata. Il circuito della palestra misurava esattamente due stadi, la misura prescritta da Vitruvio per i portici di tali tipi di edifici. Nel corso del I secolo d.C nell’area archeologica è possibile individuare il quartiere termale con praefurnium e calidarium (per i bagni di acqua calda) absidato, originariamente decorato in opus sectile.

La parte della villa prospiciente il ciglio della collina era sostenuta da una terrazza decorata con archi ciechi e pinnacoli. In uno degli archi si è rinvenuto un disegno di una nave eseguito a carboncino. Tra gli affreschi visibili vanno ricordati i dipinti del grande triclinio che mostrano storie care a Venere, dea dell’amore: Arianna (che ha dato il nome alla villa), che dopo essere stata abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso fra le braccia del sonno Hypnos è scorta da Dioniso, accompagnato da un amorino che reca una fiaccola; Licurgo e Ambrosia; Ippolito al quale la nutrice svela l’amore nutrito per lui dalla matrigna Fedra e, nell’anticamera, Ganimede, rapito dall’aquila e portato dinanzi al trono di Giove. Si entra così nel reparto balneare della villa attraverso un cortile con vasca sul quale si apre a destra la cucina.
Dal fondo dell’atrio si accedeva ad un peristilio quadrato scavato in epoca borbonica e poi ricoperto. Ai lati sono due cubicoli con decorazione di secondo stile a finta incrostazione con soffitto a cassettoni. Usciti dall’atrio si raggiunge un piccolo cortile con scala di accesso al primo piano. Aldilà del cortile si nota un vicolo che separa la villa di Arianna dal cosiddetto secondo complesso di Varano.

Ritornati sul lungo camminamento panoramico si entra nell’atrio tuscanico della villa decorato con affreschi del terzo stile. Si incontrano subito una diaeta con anticamera decorate con uno zoccolo figurato giallo (paesaggi), predella bianca (con mostri marini e paesaggi con pigmei) e zona mediana bianca (con tralci e coppie di amorini in volo al centro dei pannelli). Segue un bel triclinio estivo che evidenzia il perfetto gioco di luci ed ombre creato grazie a larghe finestre e pozzi di luce laterali.
A seguire è un’altra diaeta posta simmetricamente a quella precedente rispetto al triclinio estivo. L’anticamera ha il pavimento a mosaico bianco con rettangoli neri e zoccolo figurato nero, alle pareti è una raffinata decorazione con candelabri, coppie di figurine aggrappate a tralci, uccelli, farfalle e cavallette. Alcuni particolari furono distaccati dai Borbone e in parte sono al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Proseguendo nel percorso si entra in un piccolo corridoio: a destra è una stanza che presenta una decorazione molto particolare. Si tratta di una folta rete di diagonali e di orizzontali e verticali impresse con un cordoncino nell’intonaco fresco così da creare l’illusione di piastrelle, in seguito dipinte. Le raffigurazioni presentano amorini, uccelli, figure femminili, medaglioni e rosette. Lo zoccolo rosso presenta mostri marini cavalcati da amorini e figure umane. Continuando a percorrere il corridoio si giunge a due cubicoli: quello a destra dipinto in giallo conteneva quadretti con satiri e guerrieri sdraiati, quello di sinistra dipinto in rosso cupo, lo zoccolo nero era ornato di figure femminili sedute. Al centro delle pareti sono Menadi ed amorini.

Usciti dal corridoio, si incontra una stanza d’angolo con pitture rovinate perché picchettate dagli scavatori borbonici al fine di impedire che altri potessero impossessarsene. Si entra poi in un ampio triclinio con affreschi di quarto stile. Nello zoccolo delle pareti dell’impluvio si conserva ancora qualche traccia del rivestimento marmoreo originario. Nel cubicolo a destra il pavimento a mosaico presenta un singolare motivo di scendiletto tra anticamera ed alcova. Lungo il porticato, su cui si apre il triclinio estivo, si succedono le stanze residenziali alcune delle quali arricchite da decorazioni su parete dal soffitto di un piccolo ambiente panoramico disposto presso l’atrio proviene un ritratto di coppia in un rombo, dove i personaggi sono caratterizzati da capigliature alla moda tipiche dell’età Giulio-Claudia. Degli ambienti che seguono sono da ammirare i pavimenti a mosaico a fondo nero e gli affreschi del terzo stile molto frammentati. In fondo è il peristilio in parte franato per lo smottamento del terreno a valle. Fra i rinvenimenti si segnalano un bollitore di bronzo a forma di torre ed un anello d’oro con un granato sul quale è inciso un Apollo, entrambi oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Poco oltre si trova l’ampio peristilio, che si sviluppa per una lunghezza complessiva di 370 metri e ripete il canone indicato da Vitruvio. Nella stalla, nel 1981, si sono trovati i resti di due carretti agricoli. Fra i dipinti si segnala invece la famosa Flora che si accompagnava ad altri tre quadri: Leda ed il cigno, Medea e Diana cacciatrice; inoltre figure di sacerdoti isiaci ed il famoso quadro con Venere venditrice di amorini. Quest’ultimo quadro fu tanto famoso nel XVIII secolo che l’abate Galiani nel 1767 scriveva da Parigi al ministro Tanucci: “Quella pittura d’una donna che vende amoretti come polli, io l’ho vista ricopiata qui (a Parigi) in più di dieci case”.

Dalla parte opposta si trova, invece, il nucleo repubblicano della villa: in esso cubicoli con notevoli decorazioni a mosaico che si articolano intorno all’asse canonico atrio-peristilio, tipico delle residenze vesuviane del I secolo a.C. e che testimoniano la continuità di un abitato che, peraltro, non è stato ancora completamente individuato.
Anna Cavallaro.

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