Tra i
siti archeologici di Castellammare di Stabia, particolare attenzione merita
villa San Marco.
Situata
sul pianoro di Varano, Villa San Marco fu completamente sepolta dalla
celeberrima eruzione vesuviana del 24 agosto del 79 d.C., che riservò stessa
sorte alle vicine città di Ercolano, Oplonti e Pompei. Villa San Marco, dopo
l’eruzione del Vesuvio quasi del tutto dimenticata, fu individuata ed esplorata
diversi secoli dopo dai Borbone (ricercatori che operarono sul nostro
territorio dal 1749 al 1782); la villa fu la prima ad essere esplorata in età
borbonica successivamente rinterrata dopo essere stata privata delle
suppellettili e degli affreschi meglio conservati e più rispondenti al gusto
del tempo; dopo un periodo spento dal punto di vista archeologico finalmente
nel secolo scorso, e precisamente dal 1950 al 1962, Stabiae rivede definitivamente la luce, grazie agli scavi
intrapresi dal Prof. Libero D'Orsi: fin dai primi dissotterramenti, gli
archeologi si resero conto che con i cinque metri di cenere e lapilli l'avevano
protetta dall'incuria del tempo, paradossalmente, poteva essere considerata una
cosa vantaggiosa, per l'ottimo stato di conservazione in cui aveva mantenuto la
struttura del complesso archeologico e i numerosi reperti ritrovati.
La
villa il cui nome convenzionale deriva da un’antica cappella dedicata a San
Marco, costruita nella zona della proprio nella zona della villa nella seconda
metà del Settecento ormai del tutto scomparsa, fu costruita su un piccolo
centro abitato che forse franò in parte già al momento dell’eruzione,
trascinando con sé l’estremità settentrionale degli ambienti deposti sul fronte
nord.
È una
delle più grandi Ville romane a carattere residenziale ha un’estensione di
11.000 m2, di cui 6.000 riportati alla luce, con i lavori di scavo che
procedono ancora oggi.
Villa
San Marco fu costruita durante l'età augustea e fu notevolmente ampliata con
l'aggiunta di ambienti panoramici, il giardino e la piscina nell'età claudia;
l’organizzazione planimetrica si sviluppa secondo un duplice orientamento: la
maggior parte del complesso favorisce l’andamento della collina, con gli
ambienti più rappresentativi in posizione panoramica sul mare. Il settore
termale segue invece rilevamenti di Carlo Weber del 1759.
Le
strutture visibili sono state gravemente compromesse dal sisma nel 1980, che ne
ha reso necessario massicci interventi di restauro. La Villa conserva pitture,
colonne e la propria elegante forma. Si compone essenzialmente di due grandi
peristili situati a diverso livello, intorno ai quali si sviluppano i quartieri
abitativi. Il nucleo più antico risale alla prima età augustea.
Questa
Villa può vantare il primato di essere la più grande villa d'otium dell'antica Campania ed appare allo spettatore nella
sua spettacolare costruzione, con l’ampio giardino ombreggiato da quattro file
di platani che contiene una natatio
centrale lunga 30 metri.
L'ingresso della villa è posto a circa
cinque metri di profondità: questo è caratterizzato da un piccolo portico con
delle panche in pietra utilizzate dalle persone in attesa di essere ricevute
dal proprietario, attualmente si entra da un vestibolo che porta nell’atrio, in
cui è inserito il larario con decorazione in finto marmo questa tecnica era
utilizzata soprattutto durante l'età dei Flavi per evitare di acquistare a
prezzi più elevati dei marmi veri.
Superato
l'ingresso si entra nell'atrium dove
ci sono i basamenti per una cassaforte andata perduta che, oltre alla
tradizionale funzione, aveva anche il compito di mostrare a tutti la ricchezza
della famiglia, l’atrium affrescato
con zoccolatura in nero e zona mediana in rosso con raffigurazioni di centauri
e pelli di pantere; al centro è collocato un impluvium, mentre lungo le pareti laterali si aprono tre cubicula, con una piccola scala che
conduceva al piano superiore, crollato a seguito dell'eruzione. Sulla destra
dell'atrio c’è l'accesso al tablinio,
da cui parte un breve corridoio, in cocciopesto, che conduce a un cortile
porticato dove è situato l'ingresso dalla strada alla villa: la porta d'accesso
al cortile era in legno e al momento dello scavo è stato possibile eseguirne un
calco. Nei pressi di questi ambienti sono stati recuperati una statua in bronzo
di Mercurio, un corvo a grandezza naturale per fontana e un candelabro bronzeo.
Il tablinio ha una decorazione in IV stile, con zoccolo rosso e scomparti con
ghirlande e animali, mentre la pavimentazione è in tassellato bianco delimitato
da due fasce in nero. Nel 2008, a seguito di nuovi scavi sono stati rinvenuti
alcuni ambienti non segnalati sulle mappe borboniche, come una scala, un
sentiero pedonale, e un giardino con al centro un grosso olmo, oltre a due latrine
e diversi ambienti, uno con letto, lavabo e piano di cottura e un altro in cui
è stata ritrovata una piccola cassetta contenente una moneta, una spatola e un
bottone d'osso.
La cucina, posta alle spalle dell'atrio, ha
pianta rettangolare e delle notevoli dimensioni: presenta un grosso bancone in
muratura su quattro archi, un piano cottura in frammenti laterizi e una grande
vasca. Nonostante la poca importanza dell'ambiente e quindi l'assenza di
affreschi e di mosaici, le pareti sono infatti rivestite di intonaco grezzo e
la pavimentazione in semplice cocciopesto, sono stati ritrovati diversi
elementi di interesse come, ad esempio, dei graffiti lasciati dagli schiavi: si
nota una nave a remi, dei conti forse della spesa o per i turni, due gladiatori
e un poema di dodici righe.
Sono
collegati alla cucina diversi ambienti di servizio: è presente una stanza che
probabilmente fungeva da magazzino e altri ambienti che originariamente
dovevano essere delle diaetae, ma che
durante l'età flavia, a seguito della costruzione del peristilio, furono
rimpicciolite e utilizzate come depositi o come cubicula; a sostegno della tesi che questi ambienti fossero stati
delle diaetae sono le loro
particolari decorazioni, troppo sontuose per ambienti di servizio: sono infatti
pavimentate in tassellato bianco e nero e una decorazione parietale in terzo
stile con zoccolo nero e la parte superiore in giallo ocra.
L’area
destinata ai bagni si unisce al resto della costruzione con un asse differente,
dovuta alla presenza di una strada che ne ha influenzato l’orientamento, i
bagni sono di notevoli dimensioni, hanno una pianta triangolare e si trovano
tra l'ingresso e il ciglio della collina: tra questi e l'atrio è stato
ricavato, in uno spazio residuo, un piccolo viridario
protetto da un muro dove si aprono sei ampie finestre: dai resti degli
affreschi si deduce che questo era finemente decorato con raffigurazioni di
grossi rami pendenti.
L'accesso
alla zona termale è consentito da un atrio, arricchito con rappresentazioni di
amorini, lottatori e pugili, al quale segue l'apodyterium,
il tepidarium, il frigidarium, la palestra e il calidarium.
Dal
quartiere termale inoltre partono una serie di rampe che collegano la villa con
la zona più pianeggiante a ridosso della costa, che nella parte terminale, ha
un ninfeo, posto sopra un corridoio anulare e decorato con raffinatissimi
mosaici a parete in parte ancora da esplorare, raffiguranti Nettuno, Venere e
diversi atleti, asportati dai Borbone e conservati al Museo archeologico nazionale di Napoli e al Museo Condè di Chantilly, in Francia. Seguono ambienti di soggiorno
superbamente affrescati.
Sul
giardino si aprono diverse diaetae
(solo per il riposo) affrescate ognuna in maniera differente: la prima è
decorata in quarto stile e sulle pareti si ritrovano raffigurati Perseo che mostra la testa di Medusa, un
offerente, una musa di spalle con la lira,
Ifigenia, una figura nuda e una donna
che scopre una pisside, mentre sul soffitto è raffigurata una Nike con in mano la palma della vittoria.
In una
seconda stanza è raffigurata la storia di Europa
rapita dal toro, mentre nella stanza successiva sono presenti frammenti di
un dipinto raffigurante un giovane
disteso su un triclinio con accanto un'etera.
Altre
stanze invece, quelle di rappresentanza, in parte crollate, si aprono sul
ciglio della collina, in posizione panoramica: esse avevano un rivestimento di
marmo nella parte inferiore ed erano affrescate in quella superiore. Le pareti
del peristilio sono affrescate con zoccolatura nera e riquadri in rosso e ocra,
mentre la pavimentazione è a mosaico bianco, che nelle bordature nei pressi
delle colonne riproduce disegni geometrici in bianco e nero.
Villa
San Marco è dotata anche di un secondo peristilio, posto nel lato meridionale,
forse lungo circa centoquarantacinque metri, così come indicato da studi
geofisici realizzati nel 2002 e recuperato in gran parte nel 2008, e
caratterizzato da portici sorretti da colonne tortili, crollate in seguito al
terremoto dell'Irpinia del 1980: il soffitto del portico è affrescato con
diversi dipinti raffiguranti Melpomene,
l'Apoteosi di Atena, Ermes psicopompo, la Quadriga del sole con Fetonte e il Planisfero delle stagioni, rinvenuto nel
1952 e raffigurante un globo con all'interno due sfere intersecanti e due
figure femminili che rappresentano la Primavera
e l'Autunno con intorno degli
amorini; molto probabilmente poi l'opera era completata dalle figure dell'Inverno e dell'Estate, ma la mancanza dei frammenti rende l'interpretazione
difficoltosa.
In
questo peristilio è collocata anche una meridiana: in realtà durante lo scavo
questa è stata ritrovata in un deposito in quanto la villa, al momento
dell'eruzione, era in ristrutturazione ed è stata successivamente riposta nella
sua posizione originaria. Di altissimo livello è anche l’affresco che decora la
diaeta al termine del portico laterale orientale, con la rappresentazione di
Perseo e Cassandra.
La
villa di San Marco è caratterizzata dal grande peristilio al centro della
villa, circondato da un lungo porticato con al centro la piscina lunga 36 metri
e larga 7 si trova nel calidario, il cui accesso è consentito da scalini in
pietra. A seguito di ulteriori scavi nella piscina, parte del fondo è stato
asportato mettendo in luce una grande fornace in mattoni alimentata da uno
schiavo, che la raggiungeva tramite un corridoio sotterraneo, e che riscaldava
una grande caldaia in bronzo: questa è stata asportata nel 1798 da Lord
Hamilton per essere trasportata a Londra, ma durante il viaggio la nave su cui
fu caricata, la Colossus, rimase
vittima di un naufragio. I vapori caldi prodotti dalla caldaia passavano nelle
intercapedini delle pareti tramite dei tubi in terracotta, riscaldando tutta la
stanza: si suppone che il calidario fosse ricoperto da lastre di marmo ed il
giardino con le parti decorate da un alto zoccolo nero, sovrastato da riquadri
con chiome di alberi e festoni di foglie, nel giardino del peristilio erano
presenti al momento dell'eruzione dei platani: la certezza è data da studi di
archeologi che durante gli scavi hanno analizzato i vari strati vulcanici e
hanno trovato le impronte delle radici di questi alberi: proprio come avvenuto
per i calchi degli umani, all'interno di queste forme è stato versato del
cemento liquido in modo da ottenere il loro calco: inoltre gli archeologi hanno
calcolato che, al momento dell'eruzione, l'età di questi alberi andava dai
settantacinque ai centocinque anni.
Nonostante non si conosca esattamente il nome del
proprietario, sono state fatte diverse supposizioni che hanno portato a pensare
che potesse appartenere o a un certo Narcissus,
un liberto, sulla base di alcuni bolli ritrovati su delle tegole, oppure alla
famiglia dei Virtii, i quali avevo
dei sepolcri poco distanti dalla costruzione.
Federica Fontanella.
Grazie per la preziosa collaborazione. Ho ricevuto una richiesta dalla Svizzera per una ricerca di alcuni studenti sui graffiti di Villa San Marco e ho inviato il link.
RispondiEliminaFranco Guardasole