La
cosiddetta Grotta di S. Biagio, sebbene questa definizione sia impropria popolaresca mentre quella esatta è Ipogeo, è un antico tempio cristiano
ricavato dalla roccia di tufo grigio alle pendici della collina di Varano
sottostante alla cosiddetta Villa di
Arianna.
Il
termine improprio di grotta deriva dal fatto che probabilmente in origine essa
era una cava creata dagli antichi romani per costruire le loro ville di otium sulla collina di Varano tramite
l'estrazione di blocchi di tufo. Il nome di questo ipogeo deriva
dall'originario culto di San Iasone, trasformato nella corruzione volgare
evidentemente in Biasone, quindi Biagio.
La bellezza
ed il fascino di questo luogo non risiedono tanto nel suo intrinseco contenuto
artistico, quanto nell’immaginarlo al suo inizio, come luogo di accoglienza e
di preghiera per i Cristiani agli inizi del IV secolo ed è ancora più
affascinante immaginare quell’antro ai tempi della romanità, fu un tempio
pagano sede degli dei pagani dedicato al culto del dio Mitra e soprattutto di
quel Plutone, che si affacciava dalla bocca dell’antro e guardava il mare,
proprio lì, davanti a quei rudimentali gradini intagliati nel tufo.
Sebbene
fino ad ora si abbia la certezza che la grotta risalga all'epoca romana per la
costruzione delle loro ville, non è del tutto escluso che essa potrebbe essere
stata abitata anche in epoche precedenti. Nei primi secoli della cristianità
essa divenne una catacomba e poi fu trasformata in basilica da una comunità di
monaci Benedettini dipendente dal monastero
di San Renato di Sorrento: soltanto nel VI secolo, infatti, essa fu
dedicata ai SS Giasone e Mauro e fu
trasformata in chiesa, con pianta a croce latina, completamente intagliata nel
tufo, lunga 27 metri e larga 2,80. Essa é divisa in tre parti: atrio, navata ed
abside. All'interno e all'esterno dell’Ipogeo sono state ritrovate molteplici
sepolture di epoca paleocristiana. Varcata la porta d’accesso si ha dall’alto
una visione complessiva del grande ambulacro principale della cripta. Per
accedere a questa galleria bisogna scendere ad un livello più basso,
percorrendo una scala di cemento, costruita in epoca recente. Al lato destro
entrando e a metà della galleria a sinistra si aprono dei cunicoli, bassi, bui
e con evidenti segni di crollo.
Dopo un
breve vestibolo di circa 6 m di profondità, inizia la galleria con quattro nicchie
cieche alla cui base si possono ancora oggi osservare le tracce di tre
sepolture, su ciascun lato e in fondo, vi è la sala primaria con le sue colonne
di tufo. A circa metà della galleria si percepisce la grandiosità dell’impianto
e delle sue pitture che in molti soggetti hanno dimensioni quasi naturali.
Nei
cunicoli di questa che può essere considerata la più antica chiesa della città,
c’è una straordinaria varietà di affreschi nei fondali, negli archivolti e
nelle pareti intermedie del lato sinistro di notevoli proporzioni
splendidamente conservati, risalenti a un arco storico che va secondo alcuni
dal VI fino al XIV secolo, mentre per altri quelli più antichi si potrebbero
datare al X secolo e quelli più recenti alla prima metà dell'XI secolo.
I
dipinti mostrano i tondi di Cristo con il nimbo accompagnato dagli arcangeli
Michele e Raffaele Sono presenti affreschi che ritraggono gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele
ed anche un quarto arcangelo Uriele,
rifiutato dopo il concilio di Aquisgrana, perché il suo nome compare solo nei
Vangeli apocrifi; San Giovanni Evangelista e Santa Brigida come si legge dal
cartiglio Birgit; la Vergine in trono con il Bambin Gesù, i
Santi Pietro e Giovanni; i Santi Benedetto e Renato, vescovo di Sorrento, il primo
a sinistra veste l’abito monacale, mentre Renato a destra veste l’abito
vescovile. Entrambi reggono il Verbo come stendardo della Fede.
Altri
affreschi importanti, ritrovati nella grotta, risalgono al Trecento e sono
stati attribuiti a una scuola giottesca. C’è anche un dipinto che ritrae il
santo patrono di Castellammare di Stabia, San Catello, forse risalente al
Quattrocento. Nei ritratti del ciclo pittorico si possono notare diversi stili.
I
personaggi che popolano la Grotta di San Biagio quasi come fantasmi sono molti
e tutti vogliono narrare un ciclo o aprire un dialogo forse complesso ma
organico con il pellegrino che giunge in questo luogo. I Santi impressi sulle
pareti sono ritratti nello stile e nella posa dei loro tempi, in modo statico
ed espressivo. Il fascino di queste opere è nella loro inconsueta collocazione,
in quell’antro sopravvissuto ai tempi e a stretto contatto con un tessuto
urbano congestionato dal traffico, in un rapporto che di simbiosi ha poco e che
invece si adatta alla orografia della collina di Varano, dominata dalle
splendide ville romane. Questo ambiente comunicava con altri ambienti attigui
di pianta irregolare e poi ancora altri cunicoli bassi e in molti punti segni
di crolli.
Nell’aula
del presbiterio dove c’era l’altare doveva anche trovarsi la statua di San
Biagio che intorno al secolo XVI il Vescovo
Annibale di Pietropaolo per evitare gli scandali che spesso vi avvenivano (ad eliminanda scandala quae semper
occurrebant), essendo il luogo diventato un rifugio di ladruncoli, trasferì
la statua ed il culto di San Biagio nella Cattedrale. Negli ultimi tempi è
stata trovata nella grotta una statua raffigurante forse San Biagio, conservata
al Museo Diocesano di Castellammare
di Stabia.
La
Grotta di San Biagio sembra scomparsa dalla memoria storica degli stabiesi. In
anni più recenti, durante la seconda guerra mondiale, la Grotta, usata nella
guerra come rifugio antiaereo, ha subito una serie di episodi sgradevoli e di
manomissioni: in parecchi punti ci sono infatti segni di annerimento a causa di
fuochi, in altri punti alcuni graffiti, avevano scrostato gli antichi colori.
Da anni, poi, l’ingresso alla grotta è situato all’interno del locale «Poligono
di Tiro» di proprietà demaniale nella giurisdizione del Ministero della Difesa
e dato in concessione alla locale sezione dell’Unione Italiana Tiro a Segno.
Questa particolare collocazione concorre ad ostacolare l’accesso e ad impedire
un normale uso pubblico del monumento.
La
basilica è stata oggetto di lavori della Sovrintendenza di Pompei, lavori che,
però da alcune immagini, girate su internet pongono più di un interrogativo in
merito alle ricerche condotte. In particolare, l’intero pavimento centrale
della grotta, così come le cavità laterali, sono scavate e svuotate di tutto il
terreno, tal che si configura uno scavo archeologico con l’esplorazione – e si
suppone – la rimozione anche dei resti umani e degli oggetti (se presenti)
dalle tombe portate alla luce. Documenti riguardanti la grotta sono presenti
negli archivi della Sovrintendenza ai Monumenti o in archivi stranieri, ad
esempio il Betting.
Oggi la
grotta è chiusa al pubblico. Solo in pochi e per lo più addetti ai lavori hanno
potuto visitare questo monumento, dove, si incontrano la storia della città
romana di Stabiae, sepolta dall’eruzione vesuviana e quella della sua
rinascita, con la presenza dei primi cristiani e dei monaci benedettini.
Il
rinvenimento, presso l'ingresso della grotta,di un sepolcreto e di lucerne
africane con simboli cristiani potrebbe collocare l'avvio dell'utilizzo
funerario nel periodo compreso tra la fine del V secolo e gli inizi del secolo
successivo. I lavori di adeguamento, oltre all'esecuzione dei dipinti e alla
creazione di altari e nicchie, comportarono significative modifiche
all'impianto planimetrico con l'isolamento di alcune gallerie e la creazione di
ampi spazi liturgici nella parte più interna dell'ipogeo.
Enrico Staiano e Francesco Staiano
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