Nel
percorrere il territorio dei monti Lattari, delimitato dalla valle del Sarno e
dalle due coste sorrentina e amalfitana, non è difficile imbattersi in castelli
o in torri di fortificazione di diversa dimensione e consistenza. Talvolta solo
qualche pietra ricorda al visitatore che in quel luogo vi fu un castello o una
torre poiché l’opera distruttrice dell’uomo complice di quella dissolutrice del
tempo, ben poco ha lasciato di questo genere architettonico.
Se
qualcosa rimane è dovuto all’interessamento di pochi che desiderano tenere in
vita queste vestigia del passato sia per ricordare le proprie origini, sia
affinché non sia dimenticata la storia dei paesi e dei luoghi.
Nel
trattare questo tipo di architettura, la Storia ne diventa parte integrante e
primaria, in quanto la vita di quel castello o di quella torre è impregnata,
oltre che motivata, dalla storia dell’abitato essi che dominano. Queste
architetture, feudali o prefeudali, furono erette in luoghi la cui posizione
facilitasse l’osservazione e la difesa e, per questi motivi, ogni edificio
fortificato era munito di torri e di mura di cinta.
Le
fortificazioni del periodo bizantino longobardo hanno grandissimo interesse
sebbene esse utilizzino materiale romano di epoca imperiale che a volte servì
alla strutturazione statica e fondamentale. Le imprese barbaresche –, antica
denominazione dell'Africa nordoccidentale, dalla Libia al Marocco attuali –, e
le scorrerie saracene provenienti dalla Sicilia sulle coste tirreniche
costrinsero gli abitanti a crearsi una linea difensiva. Ma non furono solo gli
arabi a determinare da noi la nascita di castelli e di torri: le continue lotte
fra Longobardi e Bizantini spinsero questi ultimi a costruire castelli di
difesa per le incontinenze dei Longobardi. Fin dal IX secolo gli abitanti di
Amalfi, Sorrento, Napoli e Gaeta si organizzarono per opporre una consistente
difesa contro i pericoli che venivano e da terra, i longobardi, e da mare i
barbareschi, che, oltre a depredarli di ricchezze e di masserizie conducevano
con sé in schiavitù tutti quelli che riuscivano a far prigionieri.
Trentaquattro torri costiere munivano ventisette miglia di
coste da Vietri sul mare a Castellammare di Stabia: questo stuolo di torri costiere
racconta pagine di terrore e di devastazioni, di scorrerie e di sacrilegi,
quando le flotte barbaresche infestavano le coste dei monti Lattari ed erano
una maledizione più terrificante di pestilenze e di carestie. Le tracce delle
fortificazioni amalfitane del X e XI secolo purtroppo non esistono più, ma
resistono, nonostante le stratificazioni successive, gli originari coni murati
edificati dagli Angioini nel XIII secolo, le prime torri del XVI secolo, erette
da don Pedro di Toledo, che risentono dello stile architettonico del tardo
medioevo. Queste torri, con i relativi castelli dell’entroterra, raccontano
sciagure indescrivibili e storie avventurose.
Dopo
la discesa dei Normanni nel XII secolo iniziò la costruzione di opere di
notevole interesse come muri verticali, cortine ricche di merlature e principalmente
di torri anche se non ancora di tipo cilindrico: il popolo cominciava a
stringersi intorno a questi luoghi fortificati, perché castelli e torri nel
momento del bisogno diventavano delle fortezze in cui il castellano accoglieva
il suo popolo per proteggerlo. Durante il periodo normanno, nonostante la linea
cilindrica fosse già conosciuta, si continuò a preferire la torre quadrangolare
mentre quella cilindrica si diffuse soprattutto in età angioina.
Con
i Normanni si affermò anche nel Mezzogiorno l’istituzione feudale: il signore
del feudo doveva provvedere a guardarsi da sé i suoi possedimenti e coloro che
vi erano soggetti a lui, poiché non sempre l’autorità sovrana si intrometteva
in beghe locali.
Nel
XII secolo castelli confermarono una configurazione principalmente militare, lungo
la spiaggia o su un’altura e i loro sistemi di fortificazione si basavano sulle
mura di cinta, sulla torre più alta e fortificata, che era il mastio, mentre
avevano scarso rilievo gli appartamenti privati dei signori che di solito
rappresentavano la parte meno importante del maniero. Abbondavano invece locali
per la servitù e per la guardia al castello mentre i piani superiori erano
adibiti ad armerie. Il vasto cortile del maniero era una specie di piazza
d’armi, per le esercitazioni militari.
Verso
la fine del XV secolo, quando apparvero le prime armi da fuoco, si effettuarono le prime modifiche alle torri
ai bastioni alle mura di cinta: il castello guadagnò quindi importanza per
quanto riguardava le fortificazioni.
Se
le esperienze vissute nei periodi normanno, svevo ed angioino come le scorrerie
barbaresche ed i saccheggi che i vari feudi avevano dovuto subire, avevano
indotto a costruire torri e castelli, quell’anarchia feudale che si sviluppò nel
periodo angioino e continuò in quello aragonese diede ancora maggiore rilievo a
queste fortezze: i baroni del regno di Napoli, insuperbiti dall’indipendenza
quasi totale acquistata durante il debole regno di Giovanna I d’Angiò e nel
breve periodo della monarchia durazzesca, si unirono contro Ferrante d’Aragona in
una congiura nota appunto come Congiura
dei Baroni. L’energico re, con l’aiuto del figlio Alfonso, soffocò nel
sangue la ribellione: allora molti castelli furono tolti ai loro signori che
furono ammazzati o scacciati dal regno. Questi ultimi in Francia militarono fra
le file dei seguaci di Carlo VIII e ritornarono da vincitori dopo la sconfitta
degli aragonesi.
Quando
nel XVI secolo la minaccia delle incursioni si riacutizzò, lungo le coste furono
costruite torri alcune delle quali ancora esistenti e furono rafforzate le mura
e le porte delle città. Per difendere la popolazione dal flagello delle navi
corsare che portavano morte, dolore e distruzione ovunque, il viceré don Pedro
de Toledo intensificò la costruzione di queste opere di architettura militare.
Alcune di queste torri furono costruite anche da privati e dalle Università: la
forma di queste ultime era per lo più cilindrica, mentre erano di preferenza
quadrate e di una certa mole quelle vicereali. Fra le torri costiere e i
castelli, vi erano delle guardiole che fungevano da collegamento tra le une e
gli altri. Questi posti di osservazione erano guardati da armigeri e comandati
dai cosiddetti torrieri.
Il Castello a Mare, dal quale Castellammare
trae il nome, sorge tra le attuali frazioni di Pozzano e Fratte, a circa cento
metri di altitudine sul mare alle spalle dei contrafforti del Faito, imponenti
duomi di rocce che si innalzano verticalmente fino a 650 metri.
Il
Castello sorse a guardia del ristretto tratto di costa soltanto attraverso il
quale – l'impervia montagna ed il mare – sarebbe potuto transitare un esercito per
inoltrarsi nella Penisola Sorrentina.
Sulle
origini di questo castello non esistono dati certi. Dalla sola documentazione
storica – vecchi manoscritti d'epoca – riesce difficile definire con certezza
il periodo della sua fondazione, ma si sono fatte alcune supposizioni: i primi
studiosi collocarono il periodo della sua costruzione durante la dominazione angioina,
in particolar modo sotto il regno di Carlo
I d'Angiò e proprio per questo motivo la struttura è erroneamente chiamata
castello angioino, ormai di uso comune. Tuttavia questa ipotesi è stata
scartata, in quanto, in quel periodo, la fortificazione era già esistente,
infatti, in un documento datato 15 novembre 1086, la struttura è citata con la
dicitura di Castello da Mare; anche l'ipotesi che la sua fondazione fosse dovuta a
Federico II di Svevia (1197-1250) è
stata rigettata, poiché in un documento sull'amministrazione dei castelli del
periodo svevo, era nominato come Castrum
Maris de Surrento e bisognoso di urgenti riparazioni. Alla luce delle più
recenti scoperte storiche, è possibile ipotizzare che il castello stabiese sia
stato costruito per volere del Duca bizantino di Sorrento, come posto di
guardia, ai confini del suo dominio.
Quest'ultima
teoria è rafforzata dagli studi di Cortese, pubblicati nel 1928 – Il Ducato di Sorrento e Stabia ed il suo territorium – in cui è formulata
l'ipotesi che il castello sia stato edificato per volere del Duca di Sorrento,
con il chiaro intento di fortificare i confini del proprio Ducato. Durante la
sua prima fase di vita, il castello ebbe un carattere esclusivamente militare e
neppure un piccolo villaggio nacque nelle immediate vicinanze poiché l'intera
popolazione dell'antica Stabia, minacciata dalle incursioni operate dal vicino
ducato longobardo, trovava rifugio sui monti Lattari.
In
seguito il Castello del Duca fu visto
dalle genti come garanzia di salvezza, luogo di rifugio, e iniziò così a
svilupparsi un nucleo abitato ai piedi della fortificazione.
Il castello
fu poi restaurato e rinforzato, dapprima da Federico II, poi da Carlo I
d'Angiò, poi ancora da Alfonso I d'Aragona, autore quest'ultimo anche della Torre Alfonsina di notevole mole che un
tempo si ergeva nell'odierno piazzale antistante l'invaso di Fontana Grande ed era collegata al
castello grazie a un camminamento che correva sulla muraglia.
Il Castrum de Stabiis ad Mare era il
caposaldo di un complesso sistema difensivo comprendente tra l'altro i castelli
di Gragnano, Lettere, Pino e Pimonte ed aveva diverse torri dislocate sul
terreno antistante quella che sorgeva sul lido.
Nel corso
di quattro secoli – dall’XI al XV – il Castello subì varie trasformazioni
imposte dall'evolversi delle diverse tecniche dell'arte della guerra.
L'aspetto
odierno gli viene dall'ultima trasformazione subita nel 1470, per rendere il
fortilizio atto a sostenere gli attacchi delle artiglierie. Al XV secolo ed
anche alla prima metà del XVI risalgono, infatti, quei contrafforti scarpati di
rinforzo ai basamenti delle preesistenti torri, inoltre, fu aggiunto il rivellino bastionato prospiciente il
fossato esterno colmo d'acqua per la collocazione delle bocche di fuoco.
Nel
secolo XV, per la strategia ad ampio raggio ed a sostegno della dislocazione
dei navigli e delle flotte in mare, la fortezza di Castellammare non era di
poco conto, tanto da essere inserita nella Cronaca
Napoletana figurata del '400 edita a cura del Filangieri di Candida.
Nell’ottobre
1459 il castello fu ceduto a Giovanni II
di Lorena, figlio di Renato d’Angiò: al tempo della Congiura dei Baroni, la rocca fu stranamente consegnata senza
alcuna resistenza dal castellano, il catalano Gaillard, alle truppe di
Giovanni, lo stesso Gaillard difese poi, valorosamente e vittoriosamente il
Castello nel 1461 per gli Angiò, contro Antonio Piccolomini, Duca di Amalfi,
che aveva vinto, alle foci del Sarno, gli armati angioini ed aveva occupato il
23 ottobre la città.
A
questo episodio si collega la leggenda della dama vestita di rosso: diverse
persone raccontano di aver sentito strani rumori provenire dalla struttura ed
alcuni dicono di aver visto manifestarsi all’ingresso la figura di una donna vestita
di rosso porpora e dai lunghi capelli neri come fosse in attesa di qualcuno.
Una presenza che sarebbe riconducibile ad un episodio storico accaduto nel
1459, ai tempi della Congiura dei Baroni:
questa castellana, il cui nome pare essersi perduto nel tempo, aprì le porte
del castello difeso Gaillard alle truppe di Giovanni d’Angiò, figlio di Renato,
che in tal modo poterono conquistarlo senza subire perdite. Pare che la donna si
fosse innamorata di uno dei cavalieri che militavano tra gli assalitori e che, probabilmente,
l’aveva incoraggiata per raggiungere il proprio scopo, al punto di riuscire ad
aprire un varco nel cuore di una castellana e una breccia tra le mura del
Castello. Ma in seguito, ottenuto quello che desiderava, il cavaliere respinse le
sue attenzioni, lasciandola in un profondo stato di disperazione.
Rifiutata ed evitata da tutti a causa del suo tradimento, si avvelenò poco
tempo dopo.
Durante
il conflitto fra francesi e spagnoli, Castellammare fu saccheggiata e
distrutta, ma fu ricostruita per ordine di Carlo V che volle darla in dote a
sua figlia naturale Margherita d’Austria che nel 1538 sposava Ottavio Farnese:
da allora Castellammare fu feudo dei Farnese e questa famiglia vi mise il suo
governatore, con una guarnigione mercenaria insediata nel Castello. La
prigione, ricavata nel basamento del mastio fu uno degli strumenti più
persuasivi dell'amministrazione dei vari Governatori ed il suo nome La Papiria emerge foscamente dai documenti
di archivio.
Nel
XVII secolo, Castellammare era una vera e propria città ed il Castello, ormai
superato strumento di guerra, perse la sua originaria funzione di fortezza
idonea a prestare rifugio agli abitanti, in caso di pericolo: nel corso degli anni successivi, il Castello fu
definitivamente abbandonato, anche in conseguenza delle mutate strategie
politiche della Corona di Spagna nel Viceregno, che mirava alla
neutralizzazione politica dei feudatari.
Nel
secolo XVIII, il Castello fu abbandonato a se stesso: lo sgretolamento delle
vecchie pietre e dei vecchi merli, il prorompere dalle mura dirute, di una
selvaggia flora spontanea, diedero al castello quell'aspetto romantico che
divenne la nota dominante del paesaggio di Castellammare. L'aspetto di vecchio
maniero diroccato e la sua posizione panoramica sul golfo di Napoli ispirarono
artisti del calibro di Anton Sminck van
Pitloo, Teodoro Duclère, Achille Pinelli, Giacinto Gigante e molti altri appartenenti alla scuola di
Posillipo, da Giuseppe Carelli ad Errico Gaeta, che lo ritrassero nelle
loro opere. In questo modo il Castello continuò, per circa due secoli a vivere sub specie artis nelle opere degli
artisti, conquistandosi un suo posto tra i paesaggi celebrati dell'arte.
Agli
inizi del XX secolo il castello diventò proprietà del marchese Ala Ponzone di
Verona. Il prof. Catello Longobardi, nella sua opera Il Castello medioevale e le antiche fortificazioni di Castellammare di
Stabia, pubblicata nel 1929, descriveva in questo modo i resti del castello:
«È costruito con pietra calcarea e tufo
litoide, a pianta trapezoidale, con un torrione e due baluardi cilindrici,
uniti da salde muraglie, un tempo, forse, merlate, ed ora diroccate nella
maggior parte. I baluardi hanno, alla sommità, un piano aggettante su un
coronamento di archetti e beccatelli; il torrione è rafforzato col barbacane
alla base e, nella parte superiore, con una fitta cornice di modiglioni di
piperno, che, evidentemente, in origine, sostenevano un piano con piombatoi.
All'interno della mole si osserva una buca, attraverso la quale per lubrici
scalini, si passa da una balza all'altra; nascosti da una vegetazione
lussureggiante s'intravedono dei camminamenti sotterranei, che, senza dubbio,
comunicavano con l'altra torre, giù, poco distante dal mare.»
Questo
è quello che aveva visto nel 1930 anche Edoardo
de Martino: un rudere di cui rimanevano solo le torri ed il perimetro
esterno a pianta triangolare, mentre l'interno era completamente sprofondato. De
Martino lo comprò e l'anno successivo diede inizio ai lavori di restauro e di
ricostruzione sotto la guida e su disegni del prof. Gino Chierici, l'allora
soprintendente all'Arte Medioevale e Moderna della Campania, cercando di
mantenere per lo più le stesse linee e stile dell'originale.
Occupato
dalle truppe inglesi durante la seconda
guerra mondiale, il castello fu oggetto di un secondo restauro per riparare
i danni apportati, a partire dal 1956, restauro che terminò solamente dodici
anni dopo. Sia la ricostruzione sia il seguente restauro, e anche la continua e
puntuale manutenzione sono stati e sono tutt'ora compiuti con grande dedizione
e notevoli sacrifici finanziari da privati per un edificio altrimenti destinato
alla definitiva rovina.
Oggi
il castello è di proprietà privata, per cui lo si può ammirare esclusivamente
dall'esterno ed è utilizzato per ricevimenti e meeting.
Si è
fatto riferimento al castello di Pino che ebbe il suo momento d’oro nel periodo
della Repubblica di Amalfi, perché costituiva una delle più sicure difese delle
vie di comunicazione degli amalfitani. All’inizio del periodo angioino,
venuto meno il ruolo politico ed economico di Amalfi, il baricentro economico
iniziò gradualmente a spostarsi verso Castellammare. Questi cambiamenti misero
in crisi l’abitato di Pino: sulla via di valico controllata dal castello andava
infatti sempre più diminuendo il flusso di uomini e merci, tanto che dal
villaggio, nel corso del XIV secolo,
le più importanti famiglie si spostarono nei vicini centri di Pimonte, Gragnano
e Castellammare. Il
villaggio andò così incontro ad una lenta agonia che si concluse con il totale
abbandono agli inizi del XV secolo,
mentre le sue strutture iniziavano lentamente a degradarsi.
Per
quanto riguarda il castello di Pimonte esso risale alla metà del 1200. La creazione di questa struttura non
è riconducibile come i castelli
di Pino Lettere
e Gragnano all’epoca del Ducato amalfitano: esso fu solo un semplice recinto
fortificato in cui c’erano solo gli alloggi dei soldati addetti alla difesa. Costruito in un’ottima posizione
strategica all’estremità della collina del Belvedere, un rialzo silenzioso e
ventilato a circa 550 metri
sul livello del mare, il castello era in contatto visivo con i castelli di
Pino, Lettere e Gragnano, aveva una sola torre il cui rudere è ancora visibile,
e la pianta rettangolare della fabbrica rivela una struttura alquanto tozza con
un solo ingresso nell’angolo sud ovest del recinto. Nell’angolo sud-est delle
mura è conservata la parte bassa di una torretta di forma troncoconica. Dotato di strutture difensive ormai
del tutto inadeguate a sostenere l’urto delle artiglierie d’assedio, prima
della metà del XVI secolo,
questo
castello fu destinato ad altro uso.
Per
quanto riguarda il castello di Lettere precedentemente menzionato, esso sorge su un lembo di un
colle quasi a picco e di salita ardua. Dal castello si controlla un ampio spazio che comprende parte di Nola, Pompei, Stabia e Gragnano
Torre Annunziata e lo scoglio di Rovigliano. Anche il Castello di Lettere è legato alla storia di
Amalfi, essendosi
resa
indipendente dal ducato di Napoli nel secolo IX, estese il proprio dominio sui
monti Lattari e qui vi costruì una torre denominata Torre
di patria
che significò confine dello Stato Amalfitano con una torre sul monte. La torre,
situata dov’è l’attuale castello, fu il primo elemento costruttivo
dell’edificio stesso. Edificata nel IX secolo in stile Arabo-Amalfitano, fu
fortificata con mura composte da sassi e rari frammenti di cotto uniti
disordinatamente,
che sono perdurate nelle costruzioni future,
e fu guarnita di guardie.
Gli Amalfitani intuirono a tal punto
l’importanza strategica di questo poggio che domina la valle del Sarno, da
trasformare la torre in castello con l’aiuto degli abitanti del luogo e lo
resero inespugnabile, perché fortificato con solide mura, munite di guardiole e
torciere. In tempo di pace, il castello agevolava le vie del commercio tra
Amalfi, Napoli e i paesi limitrofi; in tempo di guerra, proteggeva il
territorio Amalfitano, dalle incursioni provenienti dalla pianura.
Intorno al castello vi erano i
casali che avevano contribuito alla costruzione del castello allo scopo di
rifugiarsi in tempo di guerra.
La preminenza del castello di
Lettere rispetto a quelli di Pino e di Gragnano, anch’essi edificati dagli
Amalfitani, è dimostrata dal fatto che soltanto Lettere nel secolo X fu elevata
a sede vescovile. Il
castello di Lettere subì il definitivo ritocco tra il 1268 e il 1272 ad opera
degli angioini: a tal scopo fu costruita la
Strada degli Angioini a Fuscoli,
proprio per la manutenzione di quel castello ritoccato anche a spese degli
stessi abitanti del luogo.
La sua pianta presenta una forma rettangolare di lati non uguali, la cui
cinta è intervallata da torri e la porta d’uscita è inaccessibile. Questa
fortezza turrita ha una gran base che poggia inclinata e delle mura larghe
circa 50 cm. Martellato dal tempo, rimane oggi scoperchiato e merli e feritoie
s’intravedono ancora fra le mura e si può ancora notare una piccola cappella
privata affrescata nel XV secolo, ultimo vestigio d’abitabilità e funzionalità
del castello sotto i Miroballo; le tracce degli intonaci e dell’arredo interno
è svanito per sempre e all’interno non rimangono che cumuli di pietre.
Una volta questo forte racchiudeva
anche l’antica cattedrale ed è pur vero che questo antico castello, pur
abbattuto dal tempo, somiglia a quei colossi che, pur frantumati, destano
tuttavia le meraviglie degli uomini guardando nelle membra gigantesche.
Di questi
baluardi dell’antica feudalità non rimane che il ricordo di feroci delitti che
vi si consumavano.Gerardo D'Aniello
Nessun commento:
Posta un commento