Scala
è un centro della Campania in provincia di Salerno situato a ridosso di Amalfi,
sull’ultima diramazione dei monti Lattari.
Le
origini di questo altopiano, al pari di quelle delle altre località della costa
amalfitana, si devono mettere in relazione con le vicende che, tra il IV e il
VI secolo, spinsero molti abitanti della Campania ad abbandonare i centri della
pianura, esposti ai pericoli delle guerre e alle devastazioni dei barbari, per
cercare sicurezza tra questi aspri e protetti ripiani.
L’altopiano
di Scala ebbe un’importante funzione durante il Medioevo: esso, infatti, fu una
delle principali fortificazioni militari del territorio di Amalfi. Per tutto l'Alto Medioevo la storia della località, documentata
solo dal X secolo, si perde e si confonde con quella del ducato di Amalfi, di cui era parte integrante.
Dal
punto di vista urbanistico l’insediamento di Scala –, diviso da quello di
Ravello da un profondo vallone percorso dal torrente Reginola –, si configurava
come un agglomerato formato da un nucleo principale di modesta entità e da
borghi sparsi, intervallati da ampie zone a verde, destinate via via ad
assottigliarsi con la progressiva saldatura dell'abitato imposta
dall'incremento demografico; cinto da mura lì dove non era possibile sfruttare
le naturali difese del terreno, il centro era protetto da torri e castelli.
La
città di Scala fu fondata, secondo alcuni storici, nel IV secolo da naufraghi
romani con un’intenzione strategica su un monte a circa 400 metri sul mare. Nel
IX secolo Scala fu distrutta e in seguito fu ricostruita interamente dai Pisani
ed ebbe un periodo di grande prosperità concomitante con lo splendore di
Amalfi.
Nel
territorio di Scala esistevano due castelli: il primo, del quale restano tracce
su una vetta ad oltre 1000 metri di altezza, era denominato Castrum Scalae Maioris, e l'altro, i cui
resti sono ancora visibili nella frazione chiamata Pontone, era detto Castrum
Scalellae. Il territorio era segnato da luoghi di culto: in montem de Scala
è ricordato nel 907 il monastero del beato Benedetto Confessore, poi dedicato
ai SS. Benedetto e Scolastica; nel medesimo comprensorio, al 1019 sono
documentati il monastero di Santa Maria
de Fontanella e la chiesa di San
Marciano; nel sito detto Curi Galline era collocata nel 1035 la chiesa di San Giovanni.
Nel
987 la città divenne sede vescovile: secondo alcuni storici la diocesi di Scala
nacque per volere dell’aristocrazia amalfitana o dell’Arcivescovo della città,
come risposta all’elevazione di Ravello a sede episcopale, anche se il primo
vescovo documentato è un certo Alessandro,
nel 1118. Il 13 marzo 1192 papa Celestino
III definì i confini della diocesi con la bolla In Apostolicae Sedis specula.
Il
Duomo, dedicato a San Lorenzo
martire, nel corso dei secoli, ha subito numerosi interventi: la prima costruzione
della cattedrale precede il XII secolo.
Quando
però, l'autonomia del ducato amalfitano volse al termine, l'imponente
fortificazione di Scala non poté evitare una serie di devastazioni: il
saccheggio e l'incendio da parte del normanno Roberto il Guiscardo nel 1073; la
feroce distruzione inflitta dai Pisani circa sessanta anni più tardi;
l'irruzione delle armate di Ottone di Brunswick nel 1210 e quella attuata dai
ribelli dei Vespri.
Scala
non si distinse soltanto in episodi che riguardano la guerra, ma prese parte
attiva alle vicende della repubblica e successivamente del ducato amalfitano si
rese protagonista anche nel commercio e nell'artigianato. Gli scalesi avevano
stabilito fin dall'XI secolo a Napoli una vera e propria colonia commerciale
con una chiesa collocata nei pressi di Porta Nolana. L'accumulo di risorse
finanziarie, assicurato sia dal considerevole incremento delle attività
mercantili, almeno fino alla guerra del Vespro, sia dall'ampio coinvolgimento
delle famiglie locali nell'amministrazione finanziaria del regno sotto gli
Svevi e i primi sovrani angioini, alimentò un'intensa attività artistica,
finalizzata a soddisfare in primo luogo le richieste della Chiesa, ma anche le
esigenze di lusso e di autorappresentazione di un ceto aristocratico
particolarmente sensibile, per consuetudini di vita, alle raffinatezze del
mondo arabo e bizantino.
Dalla
cappella fatta costruire nel 1332 dal patrizio Antonio Coppola nella cattedrale
proviene l’insieme di più pannelli, oggi in collezione privata, con la Dormitio e la Coronatio Virginis di Roberto d'Oderisio, il cui tema è lì
replicato, intorno alla metà del secolo, nel fondale del monumentale sepolcro a
baldacchino, costruito forse per lo stesso Antonio Coppola da un seguace dei
fratelli Bertini. Realizzato in stucco, verosimilmente per la difficoltà di
cercare i marmi necessari per una tale impresa, esso prosegue una tradizione
tecnica da tempo sperimentata sia a Scala sia a Ravello, dove, nella cripta della chiesa di San Giovanni del Toro, va segnalato il notevole
altorilievo raffigurante Santa Caterina
d'Alessandria, riferibile, nel corso degli anni trenta-quaranta del
Trecento, a un fine plasticatore, formatosi a Napoli nel clima delle esperienze
formali di Tino di Camaino.
In
età angioina, grazie ai rapporti assai intensi tra l'aristocrazia locale e la
corte, giunsero dalla capitale manufatti e artisti, portatori di aggiornate
istanze culturali.
Il
31 luglio 1603 la diocesi di Scala fu unita alla diocesi di Ravello. Quel che
sopravvive, tra distruzioni e manomissioni, è sufficiente per apprezzare la
particolarità e la sceltezza degli orientamenti artistici al vertice
nell'intero territorio.
Il
27 giugno 1818 entrambe le diocesi furono soppresse in forza della bolla De utiliori di papa Pio VII e tutto il
territorio di Scala fu incorporato dall'arcidiocesi di Amalfi.
Assai
poco sopravvive degli stabilimenti monastici di architettura gotica fatti
costruire dai Francescani e dagli Agostiniani, radicalmente trasformati nei
secoli seguenti. Queste opere costituiscono le ultime testimonianze di vitalità
culturale della città, vittima della grave crisi politica sofferta dal regno
nella seconda metà del secolo.
La
Cattedrale di San Lorenzo è un monumento abbastanza importante.
Molti
studiosi si sono interessati alla sua storia, all’origine e alle vicende che lo
hanno condotto allo stato attuale. L’edificio è di base romanica, come si è
detto, anteriore al XII secolo. L'ampliamento e la trasformazione gotica, di cui
si notano evidenti tracce, del XIV secolo, furono fatte eseguire a spese della
nobile famiglia Frisara. I caratteri latini
dell'architettura campana ispirata al modello cassinese, manifesti nella
ripetuta adozione, nel corso dell’XI e XII secolo, dell'impianto basilicale
tripartito da colonne, spesso provvisto di transetto, si combinano in feconda
sintesi con soluzioni tettoniche (cupola, volte nervate ed estradossate,
valichi a sesto acuto su alti piedritti) e modalità decorative (tarsie murarie,
archi intrecciati bicromi) ispirate a esperienze diffuse nel bacino del
Mediterraneo meridionale e orientale. Alcuni di questi elementi, mirabilmente
adattati alla natura dei luoghi e alle nuove funzioni, costituiscono gli
aspetti di maggior significato estetico delle numerose e celebrate dimore del
patriziato locale. All'antico organismo medievale se ne è sostituito un altro
diverso caratterizzato all'interno dalla bianca decorazione a stucco concepita
con semplicità e compostezza.
La
facciata che si prospetta sulla
piazza principale è assai interessante sia per la sua configurazione sia per le
semplici decorazioni a riquadri di stucco.
Il
portale di spoglio, tipico esempio
dell'eclettismo artistico dei monumenti della costiera, ha stipiti in marmo con
tralci e grifoni scolpiti. Nella parte superiore all'architrave, un’elegante
scultura medioevale a bassorilievo raffigura la Madonna, San Pietro e San Giacomo Apostolo con piccoli stemmi dei
Frisara. Nella parte posteriore del complesso architettonico ci sono tre absidi
di altezza inconsueta.
Il
campanile, accanto alla chiesa, è a
tre registri e poco svettante: a pianta quadrata è diviso in tre piani da
cornici in pietra grigia. Al secondo piano le monofore sono tompagnate. Una
monofora del terzo piano contiene il quadrante del grande orologio.
Interessante
è il riquadro coperto di ceramica di terracotta, inserito nel pavimento, che
risale al 1853.
L’interno, a pianta basilicale romanica, è
un vasto ambiente a tre navate divise da archi a tutto sesto poggianti su
pilastri, presenta un transetto dove ogni navata termina con un abside: la
copertura del transetto e della navata centrale è piana.
Nei
secoli XVII - XVIII l’interno è stato trasformato con decorazione a stucco ai
pilastri e alle pareti.
La
navata centrale ed il transetto hanno il soffitto dipinto nel 1748 dagli
artisti Antonio Cacciapuoti, che ha
eseguito le tele dedicate a San Lorenzo delimitate da motivi geometrici e
floreali a stucco, opera di Giovanni De
Simone del 1748. Nei riquadri, a partire dall'ingresso, è raffigurato San Lorenzo che distribuisce ai poveri i
tesori della chiesa, al centro il Martirio
di San Lorenzo, verso l'altare San
Lorenzo restituisce la vista a un cieco. Nel transetto l'Incontro di San Lorenzo col Pontifice San
Sisto condotto al martirio.
Le
navate laterali, con copertura di volte a crociera, sono alleggerite negli
alzati da cappelle poco profonde; nella navata destra vi è un piccola tribuna di marmo, con decorazioni di
mosaico e poggiante su quattro colonne, proveniente dalla chiesa della località
scalese Campidoglio.
All'inizio
della navata sinistra il fonte battesimale sorretto da un capitello in marmo
simile a quelli della cripta.
Il
pavimento in mattonelle di cotto con fasce di decorazione a fiori e frutta a
colori vivaci, arricchito e restaurato nel 1853. Al centro, nel campo, è
raffigurato lo stemma della città di Scala: uno scudo con una scala per la
quale monta un leone che ha in testa una corona e con la dritta mostra un giglio.
L’altare
maggiore è decorato da una tavola che riproduce la Madonna con i martiri e nel registro inferiore l’Ultima Cena, opera di Marco Pino e Bartolomeo Guelfo.
Il
transetto ha un pavimento maiolicato,
il trono vescovile e un antico organo sobriamente decorato.
Su
un altare del transetto è collocata la Trasfigurazione
di Cristo di Marco Pino datata 1595: la figura di Cristo con le braccia
aperte librato in volo su una nuvola, con accanto i profeti è ripresa
dall’omonimo dipinto di Marco Pino per la chiesa
del Gesù Vecchio a Napoli.
Tra
gli arredi della chiesa sono notevoli: un copricapo vescovile, dono di Carlo I
d’Angiò nel 1270, quando sconfisse i Saraceni nel giorno della festa del Santo
patrono; un calice, opera di alta oreficeria. Le due acquasantiere sono
costituite da eleganti pilastri rotondeggianti con gli stemmi di Scala.
Un
vano-porta sulla navata destra, sormontato da una tela raffigurante l’Ecce Homo con S. Sisto Papa, della scuola di Andrea Sabatino, immette,
attraverso un’ampia scala, alla sottostante cripta, divisa longitudinalmente in
due navate da quattro colonne che reggono volte a crociera.
Alla
parete sinistra della cripta è poggiato il monumento
funerario di Marinella Rufolo, commissionato dal marito Antonio Coppola nel
1332 ad un ignoto discepolo di Tino da Camaino. Il monumento si presenta in
forme grandiose come quelle dei grandi monumenti funebri napoletani. Esso è di
impianto gotico, con doppio spiovente ornato di guglie ed è abbellito da alcuni
bassorilievi in marmo: al vertice è collocata la statua dell’Eterno Padre; sulle guglie laterali sono
collocate altre due statue dell’Angelo
e della Vergine a comporre il tema dell’Annunciazione, mentre più in
basso sono raffigurate due celle campanarie. Sul fronte della cuspide al centro
è raffigurato Cristo con la Colomba dello
Spirito Santo che formano con la statua dell’Eterno Padre l’asse della SS.
Trinità.
Cristo
e l’Eterno Padre esprimono aspetti inediti nella produzione artistica dell'autore: Nei
sottarchi sono raffigurate varie figure sacre, mentre il fondale costituisce la
parte più rappresentativa: vi è rappresentata la Vergine che dorme sormontata dall’Incoronazione della Vergine, che insieme corrispondono al tema
medievale dell’Assunzione di Maria.
La Vergine è distesa sul letto con intorno gli apostoli ed accanto Cristo che
tiene in braccio la piccola anima della Vergine innocente. Sui piedistalli le
figure della defunta e del marito completano l’impianto. In basso è collocato
il sarcofago vero e proprio: sui lati sono rappresentate le figure di Sant’Antonio Abbate e di San Nicola, mentre al centro è
raffigurata la Madonna con il bambino.
In questo monumento ci sono alcune raffinatezze, come le statue
dell’Annunciazione; al contrario si registrano dei crolli qualitativi nelle
figure della coppia di Angeli.
Secondo
la letteratura locale il sepolcro sarebbe quello di Marinella Rufolo, moglie di Antonio Coppola, appartenente alla
nobile famiglia di Scala. Su una lastra di pietra, in basso a destra, un
discendente dei Coppola ricorda il restauro della cappella e la data del 1332;
però Marinella Rufolo era ancora in vita quando nel 1396 il marito morì. Il
Reid, a metà Ottocento, aveva segnalato che nella cripta c’era ”la tomba di
Marinella Rufolo’’. Inoltre a metà XIV secolo la cattedrale fu sottoposta a
sostanziali interventi. L’incrocio di queste notizie sembrano contraddire
quanto scritto sulla lastra di pietra. In ogni caso la lastra che fissa la
datazione del monumento non si riferisce al sepolcro bensì alla cappella e in
più la distanza fra il 1332 e la scomparsa della coppia è così ampia, quasi 70
anni, da rendere improbabile che si tratti delle stesse persone. Fra tante
incertezze, però, si può stabilire che il Monumento appartiene alla famiglia
Coppola in quanto il loro stemma è ancora visibile almeno due volte, la prima
sul lato sinistro della cuspide, da solo, e una seconda volta sulla base del
sarcofago dove compare insieme a un altro stemma composto da bande diagonali:
questo secondo simbolo appartiene proprio ai Rufolo. Da alcune analisi
critiche, è possibile dire che l’opera, probabilmente, sia stata realizzata
prima della scomparsa della donna; però va stabilito che l’opera resta
vincolata alla figura di Marinella Rufolo e al periodo del suo matrimonio con
Antonio Coppola.
A
officine palermitane del XII secolo sono stati riferiti gli smalti cloisonnés
(patrizionato) della mitra nella cattedrale di Scala, integrati nella prima
metà del Trecento con smalti che lasciano passare la luce prodotti da qualche
officina campana, come quelli che ornano un calice, datato al 1332, e una
patena nel tesoro della stessa chiesa.
Il
Palazzo Vescovile, adiacente alla
chiesa è una consistente costruzione sita al lato settentrionale, da tempo
proprietà privata.
Vittorio
Saggese.
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