Situata
a ridosso di Amalfi, sulle ultime propaggini dei monti Lattari, le origini di
Ravello, al pari di quelle delle altre località della costa amalfitana, si
devono mettere in relazione con le vicende che, tra i secoli IV e VI, tra la
fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio di quello d’Oriente, spinsero
molti abitanti della Campania ad abbandonare le proprie città della pianura, ormai
insicure a causa di pericoli delle guerre e delle devastazioni barbariche, per
cercare rifugio e sicurezza tra queste aspre e protette balze dei Monti
Lattari, ricchi di acque e di vegetazione. A tal proposito Aurelio Cassiodoro sottolineava l'effetto salutare del latte
prodotto in questi luoghi, dovuto alla salubrità dell'aria ed alla fecondità
del suolo, in grado di produrre erbe di dolcissime qualità.
Molti
studiosi hanno fatto derivare il toponimo Ravello
da una presunta ribellione alle leggi della repubblica amalfitana; in realtà le
origini del nome vanno ricercate in un radicale pre-indoeuropeo Grav, che collegato alla sua base Karra, pietra, dirupo, starebbe ad
indicare un luogo che ha forte pendenza, specificando la collocazione
geografica della città.
Per
tutto l'Alto Medioevo fino dall’XI
secolo Ravello seguì le sorti del Ducato di Amalfi di cui era parte integrante,
una repubblica di astuti mercanti, in grado di stabilire intensi rapporti
commerciali con l’Oriente arabo e bizantino, dove confluivano gli aromi, le
spezie, le stoffe, le droghe e gli altri prodotti provenienti dal continente
asiatico. La stessa documentazione archeologica è laconica e limitata a due
soli reperti scultorei, un pluteo
degli inizi del X secolo del Museo del
Duomo di Ravello e un capitello a
stampella, databile al IX secolo, nella chiesa
di San Giovanni a Campodonico,
uno dei borghi di Scala. Di importazione sono invece un capitello
costantinopolitano del VI secolo, presso
l'Albergo Caruso Belvedere di Ravello, e molti materiali di spoglio di età
classica, ampiamente riutilizzati negli edifici sacri e civili dall'età
romanica in avanti, a lungo ritenuti spia di un'attiva presenza romana in
costiera.
Già
nel X secolo il territorio ravellese era punteggiato di luoghi di culto: sono
attestati il monastero benedettino della
SS. Trinità, che un'antica tradizione vuole fondato da Francone Rogadeo nel 944, e il monastero
di San Trifone; rispettivamente al 1020 e al 1039 sono documentate la chiesa di Sant’Eustachio e la chiesa
di Sant’Angelo.
Dal
punto di vista urbanistico anche l’insediamento di Ravello – diviso da quello
di Scala da un profondo vallone percorso dal torrente Reginola – si configurava
come un agglomerato formato da un nucleo principale di modesta entità e da
borghi sparsi, intervallati da ampie zone a verde, destinate gradualmente ad
assottigliarsi con la progressiva saldatura dell'abitato imposta
dall'incremento demografico. Cinto da mura dove non era possibile sfruttare le
naturali difese del terreno, il centro era protetto da torri e castelli: nel territorio
di Ravello sorgevano i castelli di Sopramonte,
di Montalto e di Fratta che, alla fine del Duecento, risultava collegato all'abitato
mediante un muro.
La
storia di Ravello acquista un suo autonomo spessore solo all'indomani della
conquista normanna, anche per effetto della rapida ascesa economica dei
ravellesi, non compromessa dai rovinosi saccheggi subiti a opera dei Pisani nel
1135 e nel 1137. Durante i secoli XI-XIV si assistette all’ascesa economica
della città grazie ai traffici marittimi che favorirono l’ascesa di una nuova
aristocrazia sostenuta sia dai sovrani normanni – grazie ai quali Ravello nel
1087 divenne sede vescovile ad opera di papa Vittore III, scorporandola dall'arcidiocesi
di Amalfi, con il privilegio dell'immediata soggezione alla Santa Sede – sia da
quelli svevi ed angioini.
L'accumulo di risorse finanziarie, assicurato sia dal
cospicuo incremento delle attività mercantili, almeno fino alla guerra del
Vespro, sia dall'ampio coinvolgimento delle famiglie locali
nell'amministrazione finanziaria del regno sotto gli Svevi e i primi sovrani
angioini, alimentò un'intensa attività artistica, finalizzata a soddisfare in
primo luogo le richieste della Chiesa, ma anche le esigenze di lusso e di
autorappresentazione di un ceto aristocratico particolarmente sensibile, per
consuetudini di vita, alle raffinatezze del mondo arabo e bizantino. La città
era caratterizzata da un nucleo urbano densamente popolato, dove sorgevano
palazzi, chiese, botteghe e giardini, circondato da tre ordini di mura, al di
fuori delle quali si estendevano i casali rurali con case coloniche e terreni
coltivati. Quel che sopravvive è sufficiente per apprezzare la peculiarità e
insieme la sceltezza degli orientamenti artistici in auge nell'intero
comprensorio. I caratteri latini
dell'architettura campana, ispirata al modello cassinese, manifesti nella
ripetuta adozione, nel corso dei secoli XI e XII, dell'impianto basilicale
tripartito da colonne, spesso provvisto di transetto, si combinano in feconda
sintesi con soluzioni tettoniche (cupola, volte nervate ed extradossate, valichi
a sesto acuto su alti piedritti) e modalità decorative (tarsie murarie, archi
intrecciati bicromi) ispirate a esperienze diffuse nel bacino del Mediterraneo
meridionale e orientale. Alcuni di questi elementi, mirabilmente adattati alla
natura dei luoghi e alle nuove funzioni, costituiscono gli aspetti di maggior
significato estetico delle numerose e celebrate dimore del patriziato locale: palazzi Confalone e d'Afflitto. Il
capolavoro dell'edilizia civile è rappresentato dalla Villa Rufolo, innalzata tra il 1270 e il 1280 e concepita, alla
maniera araba, come un complesso di varie unità raccordate da un giardino di
delizie.
Sul
finire dell'XI secolo nel 1087 fu edificato il Duomo, cattedrale della diocesi,
fondato dal vescovo Papicio, forse
con le sovvenzioni del ricco mercante Nicolò
Rufolo e dedicato a Santa Maria Assunta: si tratta di una basilica di
derivazione benedettino-cassinese con tre navate, scandite da un doppio
colonnato, transetto sopraelevato per la presenza di una sottostante cripta ed
absidi estradossate.
Inserito
dal 1941 nell’Albo dei Monumenti
Nazionali, il Duomo domina l’omonima piazza di Ravello e sorge a poche
centinaia di metri da Villa Rufolo.
Nonostante
gli interventi subiti nel corso dei secoli, il Duomo non ha perso la sua struttura
basilicale che richiama l’architettura utilizzata nella costruzione
dell’Abbazia di Montecassino.
Nonostante
i restauri e le manomissioni l'edificio conserva ancora la struttura basilicale
derivata dal prototipo cassinese.
La facciata conserva la struttura a
salienti ed è aperta da tre portali i cui stipiti ed architravi sono costituiti
da pezzi romani provenienti dalle rovine delle ville che costellavano la zona.
Al
suo fianco sorge il campanile, a due piani, edificato nel corso del XIII
secolo. Il campanile è aperto dalle tipiche bifore molto slanciate sottolineate
da elementi in cotto e la sua sommità è decorata con una finta loggia ad archi
in tufo intrecciati su colonnine in marmo bianco.
La porta centrale di bronzo, opera di Barisano da Trani, è datata 1179. La
porta di bronzo, donata dal nobile ravellese Sergio Muscettola ed eseguita da Barisano da Trani nel 1179, è costituita da due battenti in legno
su cui sono affisse in maniera quasi speculare 80 formelle, di cui 54 figurate
e 26 decorative. Le giunture sono ricoperte da fasce ornamentali raccordate da
borchie piramidali o circolari assicurate alla struttura con grossi chiodi. La
tecnica utilizzata nella realizzazione delle formelle è il bassorilievo: nel
ciclo iconografico sono rappresentati, a partire dai registri più bassi, il
mondo animale e vegetale (l'albero della vita) l'universo umano (rappresentato
dagli arcieri e dai mazzieri) e le gerarchie della Chiesa (Santi, Madonna e
Cristo). Questo capolavoro (ottenuto con la
lavorazione del bronzo attraverso la cosiddetta tecnica della cera persa), che testimonia l’evoluzione dalla
tecnica bizantina dell’incisione su superficie piatta a quella romanica
dell’altorilievo.
La
struttura è di tipo basilicale a tre navate, originariamente in stile romanico,
nel corso dei secoli fu trasformato in barocco. I due stili testimoniano le
varie fasi di trasformazione subite dal Duomo.
L'interno, che ha perso gran parte delle
sovrastrutture barocche, è di tipo basilicale con presbiterio sopraelevato
sulla cripta e tre absidi innestate direttamente sul transetto. Il transetto è
ancora in massima parte leggibile. Degne di nota le decorazioni a intarsio di
tufo degli oculi.
Dell’antico
arredo è possibile ammirare sulla parte sinistra il bell’ambone dell’Epistola,
unico esempio della tipologia a doppia scala di derivazione romana presente in
tutta la Campania: dal XII secolo infatti gli amboni erano tutti costruiti su
colonne. Qui è possibile ammirare sulle due transenne triangolari le
raffigurazioni della pistrice che prima ingoia e poi rigetta Giona. L'ambone fu
fatto eseguire dal secondo vescovo della diocesi Costantino Rogadeo che tenne
la cattedra dal 1094 al 1150. L'arredo è costituito da due scale laterali
affiancate ad un lettorino centrale, recante in alto un'aquila dalla testa
mozza. Nel registro inferiore due plutei sono decorati con dischi di porfido e
serpentino, inquadrati da meandri curvilinei. In alto un mosaico raffigura
l'episodio biblico del profeta Giona,
ingoiato e vomitato dalla pistrice, prefigurazione della morte e
resurrezione di Gesù. Sotto il lettorino, un rilievo raffigurante l'aquila ed
un'iscrizione che ricorda il committente, a sottolinearne il carattere di
monumento alla resurrezione, due pavoni ad intarsio, simbolo della vita eterna,
sormontano una nicchia centrale che rimanda al sepolcro vuoto. Due transenne
triangolari seguono l'andamento delle scale. Su di queste si trovano le
raffigurazioni della pistrice che prima ingoia e poi rigetta Giona.
Di
fronte si ammira lo splendido pulpito del Vangelo, realizzato da Nicola di Bartolomeo da Foggia nel 1272
e donato da Nicola Rufolo. Il monumento è ricco di marmi e mosaici che uniscono
lo stile arabo-bizantino a quello romanico. L'arredo è costituito da una rampa
d'accesso posta sul lato sinistro e da una cassa quadrangolare sostenuta da sei
colonne tortili sorrette da tre leoni e tre leonesse dalla folta criniera
stilofori; capitelli, minuziosamente lavorati, sono scolpiti con tralci
vegetali e motivi zoomorfi. Un arco trilobato, ornato dai ritratti di Nicola Rufolo e di sua moglie Sigilgaida, costituisce
l'ingresso della scala interna. Al centro si erge il lettorino costituito da
un’aquila recante negli artigli un codice con l'iscrizione: “In principio erat Verbum”, inizio del Vangelo di San Giovanni. Sotto il lettorino si trovano due ritratti, uno
maschile ed uno femminile, all'interno di cassette circondate da cornici
scolpite a tranci rigogliosi. Forse simboleggiano il Giorno e la Notte.
Ai lati lastre intarsiate con tondi al cui
interno si trova anche un Agnus Dei.
La decorazione musiva è costituita da tessere policrome poste a dimora su una
malta di calce: fasce curvilinee composte da stelle a sei e a otto punte,
inquadrano animali, draghi e variopinti uccelli tra racemi fioriti che si
stagliano su fondo dorato e che simboleggiano la dimensione paradisiaca. Al centro del prospetto rivolto verso la controfacciata è raffigurata la Madonna col Bambino affiancata dallo stemma della famiglia Rufolo. La cassa è delimitata agli angoli da colonne tortili e presenta dovunque cornici vegetali scolpite con grande abilità. Gli stessi artefici hanno scolpito i bei capitelli che si caratterizzano per la plasticità delle forme ed i dettagli ricavati a giorno.
Nel
1279, ancora per iniziativa della famiglia Rufolo, un monumentale ciborio per
l'altare maggiore eseguito da Matteo da
Narni infine il Duomo doveva essere completato da una ricca decorazione
pittorica, presumibilmente di impronta bizantineggiante.
A
sinistra dell’altare maggiore del Duomo di Ravello si trova la Cappella di San Pantaleone, costruita
nel XVII secolo per volontà del Vescovo Michele
Bosio per dare una degna collocazione alla reliquia del sangue del santo,
conservata fino ad allora a sinistra dell'altare maggiore, in un posto chiamato
finestra. Dedicata al medico e
martire patrono di Ravello custodisce in un reliquiario in argento dorato la
reliquia del sangue del martire, che, a maggio e luglio, si liquefa:
osservandola in quei giorni, attraverso la grata, appare il rosso rubino del
sangue. In corrispondenza di una graziosa cupoletta si eleva il pregevole
dossale in marmi policromi. Quattro colonne, sormontate da trabeazioni, ne
inquadrano la facciata. Al centro si ammira il dipinto raffigurante Il martirio di San Pantaleone, opera
eseguita nel 1638 dal pittore genovese Gerolamo
Imperiali, autore anche delle tele laterali con San Tommaso Apostolo e Santa Barbara,
compatrona di Ravello.
Nei
primi secoli, i vescovi furono tutti di origine ravellese, tutti appartenenti a
famiglie del patriziato urbano e questo evidenzia il carattere molto
municipalizzato della Chiesa.
Con
la morte di Roberto d’Angiò si aprì una serie di lotte intestine tra Angioini e
Durazzeschi che finì per trasformare la ricca città in luogo desolato in balia
dei briganti e abbandonato dalle nobili famiglie, partite alla volta di Napoli
o della Puglia.
All’epoca
dell’Infeudazione (1398 – 1583) la Civitas,
interessata da una progressiva ruralizzazione, conservava ancora ampi tratti
delle mura medievali e le principali dimore gentilizie, sottratte alla rovina e
all’abbandono da una nobiltà che, però, spostava gradualmente i propri
interessi verso la capitale del Regno.
A
partire dal XVI secolo terremoti, pestilenze (1527-1528) e carestie
(1565-1570-1585), gettarono Ravello, emarginata ed inaccessibile, in uno stato
di lentezza sociale e culturale mentre la sua storia, priva di tratti specifici
e marcata nei secoli successivi da un susseguirsi di calamità, è simile a
quella più generale del Regno di Napoli. Alla diocesi di Ravello il 31 luglio
1603 fu unita aeque principaliter la
diocesi di Scala. Il vescovo Francesco
Bennio, già vescovo di Scala dal 1598, divenne vescovo di Ravello,
conservando il titolo di entrambe le Chiese, cosa che fecero anche i suoi
successori.
Il
27 giugno 1818 le diocesi di Ravello e Scala, in seguito al Concordato tra papa
Pio VII Chiaramonti e Ferdinando I furono soppresse e aggregate all'arcidiocesi
di Amalfi con la bolla papale De utiliori.
La
città, ormai ridotta ad un’immagine sbiadita del suo illustre passato, si
ridestò solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando divenne meta di viaggiatori
europei, attratti da quelle bellezze della natura e dell’arte in grado di
trasformare il viaggio in una felice ed inaspettata scoperta a rigenerazione
dell’animo.
Il Museo dell’Opera del Duomo, inaugurato
nel 1983, ha sede nell’antica cripta della Cattedrale di Ravello e in un
ambiente adiacente alla navata destra. Nelle due sezioni espositive (antica e
medievale-moderna) si possono ammirare reperti di interesse storico-artistico e
archeologico, urne cinerarie, sarcofagi, sculture di pregevole fattura, ornati
lapidei e arredi liturgici in metalli nobili. Espone tra le varie opere il reliquario di Santa Barbara, il reliquario del braccio di San Tommaso,
costruito in lamine in argento sbalzate databile al XIV secolo, e il pluteo, si tratta di un pannello di
marmo decorato a bassorilievo che presenta interessanti motivi ornamentali,
riscontrabili in chiese paleocristiane e medioevali.
Tra le opere più significative
vanno annoverati il ritratto di
Sigilgaida Rufolo, opera del 1272 di Nicola
di Bartolomeo da Foggia, e il Falconiere,
sculture legate al gusto antichizzante di Federico
II di Hohenstaufen. Un prezioso patrimonio che testimonia l’antica dignità
episcopale delle Città e le vicissitudini che il complesso monumentale della
chiesa cattedrale ha attraversato nel corso dei secoli.
La sezione pittorica, allestita nell’antica
sede dell’Arciconfraternita del SS. Nome
di Gesù, custodisce una quadreria risalente ai secoli XVI - XIX, costituita
da dipinti che provengono dalle cappelle non più esistenti o da chiese vicine,
in cui figurano il polittico di Giovan Filippo Criscuolo e opere di Giovanni Angelo D'Amato e Giovanni Antonio D'Amato.
Negli
ambienti della cosiddetta Via Tecta
sono raccolte le opere della collezione museale d’arte contemporanea che
accoglie, tra l’altro, il Christus
Patiens di Carlo Previtali.
La sezione
archivistica custodisce pergamene e codici che appartengono al fondo
vescovile, al fondo capitolare e a quello parrocchiale.
Vincenzo Matrone
sono di Narni e vorrei sapere di piu' su : Lo scultore Matteo da Narni,realizza nel 1279 il ciborio del Duomo di Ravello ora presso il - Museo dell'Opera del Duomo. avete qualche notizia e -o immagine ??????
RispondiEliminaGentile Geppo, anche io, quando il mio studente preparava il suo lavoro fui fortemente colpito da questo nome che a me tornava familiare, ma, navigando su internet non sono riuscito a trovare nulla. Per ora posso aggiungere solo questo che ho trovato
Elimina"Lo scultore Matteo da Narni,realizza nel 1279 il ciborio del Duomo di Ravello ora presso il - Museo dell'Opera del Duomo. Nel 1773 il ciborio di Matteo di Narni, donato nel 1279 da Matteo Rufolo e posto al centro del transetto, fu smontato per le cattive condizioni statiche. Il tempietto era costituito da quattro colonne che sorreggevano quattro architravi, sormontati agli angoli da sculture raffiguranti i simboli degli evangelisti. Un doppio ordine di colonnine, disposte rispettivamente lungo un perimetro poligonale e circolare, si innestava sulla struttura e terminava in alto con il tondo dell’Agnus Dei.
«Col presente dichiariamo Noi Sottoscritti Governanti, Nobili e Cittadini di questa Città di Ravello, essendo stati più volte insistiti per parte del Reverendissimo Capitolo della Nostra Chiesa Cattedrale, e presentemente avendoci il medesimo con premura e sollecitudine avvertiti dell'imminente pericolo minaccia la Cupoletta di marmo esistente in detta chiesa di cadere a momenti per aver patito nuove grandi lesioni oltre quelle si ci erano osservate colle perizie fatte [...] siam venuti nella determinazione di demorirla con tutta la diligenza» (Archivio Arcivescovile di Amalfi).
Attualmente i resti del ciborio dello scultore Narnese , sono conservati nel Museo del duomo, insieme ad altri resti. La collezione testimonia le vicissitudini che il complesso monumentale della chiesa cattedrale ha attraversato nel corso dei secoli. Accoglie per lo più ornati lapidei provenienti da arredi marmorei non più esistenti come il ciborio, realizzato al centro del transetto nel 1279 da Matteo da Narni, su commissione del nobile Matteo Rufolo, e smembrato nel 1773 a causa delle cattive condizioni statiche. Della pregevole struttura sono conservati presso il Museo: quattro architravi (utilizzati nel corso XVIII secolo come gradini della cattedra vescovile e della cappella di San Trifone), il tondo finemente mosaicato con l’Agnus Dei (già murato in corrispondenza dell'antico fonte battesimale), l’aquila, simbolo dell’evangelista Giovanni, (collocata fino al 1973 sulla lunetta del portale centrale), due capitelli, di cui uno corinzio e uno figurato, e tre colonnine.
Il monumentale ciborio per l'altare maggiore eseguito da Matteo da Narni -, doveva essere completata da una ricca decorazione pittorica, presumibilmente di impronta bizantineggiante, a giudicare dai brani di affresco superstiti nella cripta dell'Annunziata di Minuto, ripetutamente collegati alle esperienze monrealesi."
Il personaggio interessa anche me per cui a brave condurrò una più puntuale ricerca bibliografica.
Cordiali saluti
Massimo Capuozzo