A
Castellammare di Stabia nel corso dei secoli si sono susseguite quattro
cattedrali che sorgevano man mano nelle zone più abitate[1].
Nel
1456 un violento terremoto devastò il napoletano, si ritenne opportuna
la costruzione della cattedrale ex novo.
Nel 1517
una commissione di alcuni cittadini affidò all'architetto Giovanni Donadio (1449 – 1530) il compito di progettare
la nuova chiesa, ma, per motivi sconosciuti, questo progetto non fu mai
realizzato. Nel 1569 ci fu un secondo tentativo da parte del vescovo Antonio
Laureo, anch'esso senza alcun esito. Ludovico Maiorana (1543 - 1590), divenuto
vescovo nel 1581, vendette i ruderi della vecchia cattedrale situata al
castello, ricavando una discreta somma da poter investire nella costruzione
della nuova: nel 1587 l'amministrazione della città concesse l'autorizzazione
per l'avvio dei lavori, sovvenzionando il progetto con una gabella su carne,
olio, formaggio ed altri generi alimentari acquistati nelle botteghe cittadine
o nella Regia Dogana.
La
nuova chiesa sorse sui resti di quella precedente al Quartuccio, il progetto fu affidato all'architetto napoletano Pietro Antonio de Sanctis e realizzati
da Santoro Cortolano e Paolo Fasano. Il vescovo Maiorana, pose la prima pietra
il 22 novembre 1587. La costruzione proseguì lentamente e terminò soltanto nel
1643, quando furono concesse dalla Città cappelle gentilizie a varie famiglie.
Questo edificio
nella forma e nella struttura si mostrava già armonioso e considerevole: conteneva
tre navate, con cinque cappelle per lato, tutte di patronato laico, ma
mancavano ancora molti elementi. Nel 1668 vi fu istallato anche il nuovo
organo, a destra dell'altare maggiore.
Nel 1713
fu costruito l’Atrio: la scalinata in piperno antistante l'atrio fu realizzata
nel 1714, ma questo dopo circa cinquant’anni rischiava il crollo e fu così
costruito ex novo nel 1774.
Dopo la
costruzione dell'Atrio e dell'Altare Maggiore, si decise anche di ristrutturare
il campanile e nel 1782, il consiglio comunale decise di costruire un nuovo
campanile sul suolo comunale.
La
cattedrale non subì ulteriori interventi fino al 1875 anno in cui, su iniziativa
del canonico primicerio Matteo Rispoli e su iniziale progetto dell'architetto
stabiese Ignazio Rispoli, il 15 agosto il vescovo Francesco Saverio Petagna diede inizio ai lavori per l'ampliamento
della Cattedrale poiché le mutate condizioni della città avevano portato
all'aumento della popolazione da novemila ad oltre trentacinquemila abitanti.
La
cattedrale che era a forma di basilica, senza crociera, senza cupola e con
l'abside immediatamente dopo l'arco maggiore, ebbe una crociera larghissima, la
grande cupola e il nuovo abside, e si presenta così a forma di croce latina con
i bracci uscenti oltre le navate laterali, con tre cappelle su ciascun braccio.
Nel
1878 la direzione fu affidata all’ingegnere Giovanni
Rispoli che si occupò anche del progetto della nuova facciata della
Cattedrale.
Nel
1879 iniziò anche la costruzione della nuova cappella di San Catello.
Nel
1880 fu recuperato dal monastero della
Pace l'antico Coro ligneo e
sistemato nell'abside. Tutti questi lavori si conclusero nel 1893, quando il
vescovo Vincenzo Sarnelli consacrò definitivamente la cattedrale.
La
costruzione dell'intera facciata del Duomo fu eseguita nel 1895 sotto la
direzione e secondo il disegno dell'ing. Giovanni
Rispoli. Tali lavori furono effettuati in pietra di Malta, compresi i
laterali, meno però il campanile ed il portico.
La
facciata si presenta con quattro colonne in granito rosso lucidate e quattro
basi corrispondenti in travertino, lavorate a bugiarda fina e con tutte le
scorniciature in pietra di Malta con capitelli, stemma, corona di alloro,
balaustre e mensole occorrenti.
Le
porte in bronzo della Cattedrale, realizzate dallo scultore fiorentino Antonio
Berti, furono offerte dalla Banca
Stabiese nel 1985 per celebrare il 50° anniversario della sua fondazione.
La porta centrale, oltre i sei quintali di peso, è costituita da due ante,
ciascuna delle quali, divisa in quattro pannelli. Sull'anta destra, partendo
dal basso verso l'alto, si osservano le Fonti
delle acque minerali; sul secondo pannello sono invece scolpiti vescovi e cardinali al cui centro figura San
Catello; sul terzo pannello Gesù
consegna le chiavi della città a San Catello e, al suo fianco, i protettori
e le donne in preghiera; sul quarto riquadro S. Michele che uccide il drago a simboleggiare la vittoria del bene
sul male. Sull'anta sinistra, partendo dal basso verso l'alto, si osservano Navi in allestimento tratte da una
stampa d'epoca; sul secondo pannello i papi
da Pio IX fino a Giovanni Paolo II in atto di inaugurare le celebrazioni
dell'anno santo, mentre intorno vi sono fanciulli e fanciulle che lo
scultore ha visto come gli uomini del duemila ai quali va il messaggio di pace
dell'Anno Santo straordinario mentre sovrastano infine le teste dei Papi lo
stemma della città e quello del capitolo; sul terzo pannello la Cena di Emmaus e le fanno da sfondo la
cupola della cattedrale, un'ala di palazzo Farnese ed un torrione del castello;
sul quarto riquadro l'Assunta cui è
dedicato la Cattedrale. Le varie raffigurazioni lievitano verso l'alto
attraverso una sorta di movimento ascensionale culminante nello Spirito Santo
che irradia la sua luce su tutta l'opera. Fa da cornice a questa grande
composizione scultorea un fregio che comprende i grandi santi italiani da S.
Francesco a S. Benedetto, da S. Chiara a S. Gennaro. Dello stesso artista sono
anche le due porte bronzee laterali, con motivi ornamentali geometrici,
costituite da due maniglie raffiguranti una coppia di colombi nell'una e di
scoiattoli nell'altra. Queste tre porte bronzee sono opera dello scultore
fiorentino Antonio Berti.
L’interno
appare in tutta la sua maestosità: si articola a croce latina e pavimentato con
marmi bianco e grigio, con tre navate e cinque cappelle per lato. La crociera,
oltre all'altare maggiore apre ad altre due cappelle per lato e presenta due
altari agli estremi.
All'interno
si può ammirare una grande quantità di opere di notevole interesse artistico.
Tra le testimonianze pittoriche sono da menzionare due dipinti di Ribera e del
suo ambito, quadri di Vincenzo da Forlì, Giovan Battista Spinelli, Nunzio
Rossi, Giuseppe Marullo, Giuseppe Bonito e Giacinto Diano. Tra le opere
scultoree si devono segnalare un ciborio
marmoreo del 1518, attribuito a Andrea da
Fiesole e la statua di San Michele
Arcangelo del Faito del XV-XVI secolo, attribuito alla bottega di Francesco
Laurana.
Nella
cappella di San Catello, oltre alla statua del patrono cittadino, risalente al
1609, si ammira il sarcofago del Buon
Pastore, proveniente dall’area christianorum,
databile tra il III e il IV secolo.
Dieci
pilastri con base marmorea ed il fusto di porfido reggono l'elegante cornicione
ricco di medaglioni, rosette, ovuli, dentelli ed ornato di dorature finissime.
Dalla cornice attraverso i finestroni disposti simmetricamente piove una luce
tenue[2].
Nelle
dieci lunette sovrastanti vi sono delle figure simboliche raffiguranti le
tipiche virtù che si attribuiscono a San Catello[3],
e, al vertice di ciascuna lunetta, su fregio dorato, vi è una testa di angelo
di bronzo ed a fianco due altri celesti patroni.
Sotto
la volta, in una cornice a rilievo molto sfarzosa, vi sono tre affreschi di Vincenzo Paliotti. I due estremi sono
più piccoli e separati dal medio che ricordano eventi biblici della chiesa
applicati a San Catello. I temi dei due affreschi più piccoli sono: San Catello nel carcere di Roma e San Catello liberato dal carcere;
l'altro che è lungo più della metà dell'intera volta, raffigura San Catello che ritorna ai suoi figli
per la via Pompeiana cosparsa di fiori, col clero ed il popolo accorso a
festeggiarlo, mentre l'Assunta dal cielo vibra su di lui raggi di viva luce.
In
fondo alla parete d'ingresso vi sono dipinti Noè che fu salvo dal diluvio universale nell'arca ed Abramo prescelto da Dio ad essere padre
del popolo credente che nella corruzione generale: i due Patriarchi che ebbero
segni di speciale predilezione divina.
A
destra e a sinistra della porta principale vi sono alle pareti quattro lapidi
di marmo di cui una ricorda la venuta di Papa Pio IX Mastai Ferretti a
Castellammare.
A
destra la prima cappella è dedicata a San Nicola: sull'altare centrale un bel
dipinto di Giovan Battista Spinelli (1613 – 1658) che
rappresenta San Nicola di Mira; sulla
parete di destra Santa Barbara e su
quella di sinistra Sant'Antonio da Padova
entrambi di Salvatore Mollo, un allievo di Cestari
firmati e datati 1776.
Santa Barbara è a destra in atto di inginocchiarsi e
guarda in alto, indossa abiti leggeri ed impalpabili e ricchi di drappeggio,
con veste gialla e bianca e mantello rosso azzurro e reca sul capo il diadema
del martirio.
Sant'Antonio da Padova
sta per inginocchiarsi alla presenza del Bambino Gesù che è a destra in alto su
di una nuvoletta e sullo sfondo motivi architettonici e un drappo rosso. Ai piedi dell'altare, una statua raffigurante Cristo
deposto.
La
seconda cappella è la Cappella del
Rosario: al centro dell'altare vi è una tavola della Madonna del Rosario del 1570 di un pittore ignoto del '500, che raffigura la Madonna del Rosario: il quadro originariamente si trovava nella basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli.
I personaggi sono tutti a grandezza naturale: al centro è
posta la Madonna del Rosario ed ai suoi piedi, da un lato santa Caterina da Siena, santa
Lucia da Siracusa e santa
Margherita d'Antiochia, mentre dall'altro san Domenico di Guzman, san
Francesco di Paola e san Francesco d'Assisi;
il quadro presenta diversi problemi di conservazione, soprattutto si notano le
spaccature, segno delle giunture delle sottostanti assi in legno.
A destra c'è la Natività di Giovan
Vincenzo D'Onofrio da Forlì con la Vergine in veste rossa e manto azzurro, san Giuseppe in preghiera
ed un gruppo di pastorelli; a sinistra, sempre dello stesso autore, l'Assunzione che raffigura gli apostoli presso il sepolcro vuoto della Vergine che a sua volta è seduta su un trono di nuvole.
La
terza cappella, invece, dedicata a San Catello[4]:
l'altare con il tabernacolo, tutto di finissimi marmi e bronzi, ha sotto la
mensa un sarcofago marmoreo, della fine del III o del principio del IV secolo,
trovato nel 1878 durante gli scavi effettuati per la costruzione della
cappella. Secondo l'architetto De Rossi è questo uno dei più antichi dei
sarcofagi cristiani con il simbolo del Buon Pastore. Questo simbolo, infatti,
si trova ripetuto all'estremità, sotto forma di due bassorilievi rappresentanti
ciascuno un pastore, con a fianco il proprio cane ed un ariete sulle spalle. Al
centro vi è scolpita la figura di una matrona, coperta di un ricco drappeggio,
con una bambina alla sua sinistra[5].
La statua di San Catello fu ordinata
nel 1604 a uno scultore napoletano di nome Giovanni Battista, di cui si ignora
il cognome, fu terminata dopo quattro anni e portata a Castellammare il 16
gennaio 1609. Secondo il professor Di Capua, questa statua è copia di altra più
antica che risaliva al 1200 o 1300, la quale a sua volta era copia di altra
statua di stile greco bizantino. Fra i particolari degli antichi originali, la
statua conserva la forma della mitra, i guanti rossi, quattro anelli ed il manipolo
col piviale. La statua, in legno duro, alta m. 1.60, si presenta come un
prezioso esemplare di scultura raffigurante un vecchio dalla barba bianca, dal
profilo rigoroso ed asciutto, che guarda davanti a sé. La bocca semiaperta è la
bocca di un vecchio bonario, che sta in ginocchio su un ricco cuscino, con la
testa eretta e le braccia incrociate sul petto, vestito con i paramenti sacri e
che prega Dio per il suo popolo[6].
La quarta cappella detta Cappella di Sant'Anna e San Gioacchino o
della Sacra Famiglia è quella
dedicata alla Visitazione:
sull'altare c’è una composizione di tre statue, di un
autore ignoto del '700, raffiguranti Sant'Anna,
San Gioacchino e la Madonna da bambina:
i busti sono realizzati in cartapesta eccetto la testa, le mani e i piedi che
sono in legno, mentre le vesti sono in gesso; nella parete di destra c'è
la tela di San Filippo Neri ispirata a quella di Guido Reni, collocata
nella chiesa di Santa Maria in Volpicella
a Roma: il quadro fu voluto dal vescovo Giuseppe
Coppola nel periodo compreso tra il 1750 e il 1760. Sulla parete di sinistra la bellissima tela
raffigurante la Visitazione di Giacinto Diano firmato e datato 1802.
La quinta cappella è la Cappella dell'Immacolata: sull'altare vi
è la statua lignea dell'Immacolata,
forse dono di Mons. Petagna; sulla parete di destra, in alto, c'è un
bassorilievo in stucco che raffigura la Presentazione
al tempio e in basso una statuetta del Bambino
Gesù in legno dell'Ottocento; sulla
parete di sinistra in alto c'è un bassorilievo in stucco che raffigura l'Annunciazione e in basso statua in
cartapesta raffigurante Sant'Antonino,
donata nel 1926 dal rettore della basilica di Sorrento del Santo.
Sullo
sfondo del braccio destro della crociera c'è la statua del Reccia dedicata a
San Giuseppe, gli affreschi di Paliotti rappresentanti La gloria ed il patrocinio di san Giuseppe e quattro Patriarchi.
Sulla
sinistra della stessa abbiamo la Cappella
di San Michele: essa è a pianta ottagonale con pavimento in marmi
policromi. Al centro, in una grande nicchia a fondo dorato, vi è l'antica
statua di San Michele proveniente
dalla chiesetta fondata sul Faito da San Catello e Sant'Antonino. L'Arcangelo è
raffigurato in toga romana, una raffigurazione iconografica antichissima e
comunque anteriore a quella che fu usata dopo l'apparizione sul monte Gargano.
Il diadema, la lancia e lo scudo sono stati aggiunti per coprire i guasti
dovuti a rotture per incendi e per fulmini che colpirono l'immagine quando si
trovava ancora sul monte.
Le
ampie pareti laterali di questa splendida cappella sono ornate da due grandi tempere
di Salvatore Cozzolino rappresentanti
uno, un Angelo che libera San Pietro
dalla prigione di Gerusalemme, l'altro, San
Michele che scaccia Satana dalla tomba di Mosè. I quadri della volta
rappresentano: La scala di Giacobbe, La caduta degli angeli ribelli, Gli angeli che chiamano le anime al Giudizio
finale, L'apparizione dei tre angeli
ad Abramo.
Nello
sfondo di questa navata si vede il Monumento
funebre a Mons. Sarnelli che resse la diocesi dal 1879 al 1897: l'opera,
datata 1912, raffigura un Angelo della Fede sovrastante un basamento nel quale
emerge l'immagine di Mons. Sarnelli con un'iscrizione. L'angelo, alto 2 metri,
è scolpito in marmo di Carrara bianco, mentre il basamento è di marmo giallo di
Telese; il monumento fu inaugurato il 15 agosto 1914 dal Vescovo Mons. Michele
De Jorio, immediato successore di Mons. Sarnelli.
Al lato
destro dell'altare maggiore si osserva la cappella
della Madonna dei Flagelli: sull'altare c'è la statua della Madonna dei Flagelli in legno e
teloplastica del XIX secolo; a sinistra c'è la tela che la Natività, attribuita al Ribera.
L'altare
maggiore di marmi policromi è opera di pregio; anche il ciborio è dello stesso
stile ed è coronato da graziose teste di angioletti sulla sponda della cornice;
sopra di esso sulla parete di fondo ci sono quattro colonne di marmo con venature rosso-scure
dalla base e dal capitello tutto dorato che sorreggono un ricco frontone
triangolare nel cui fregio c'è l'invito VENI CORONABERIS; sul timpano c'è il
monogramma della Madonna e al di sopra il simbolo dell'umana Redenzione.
Nello spazio compreso fra due colonne,
in una maestosa cornice, c'è L'Assunzione
al cielo di Maria Vergine tela del XVII secolo di Nunzio Rossi, allievo di Massimo Stanzione e di Guido Reni: la Vergine,
sostenuta dagli Angeli ascende al cielo, mentre gli Apostoli contemplano
stupefatti e commossi il grandioso avvenimento; la maestà impressa nel volto
della Vergine, ma più che altro l'atteggiamento naturale del volto degli
Apostoli rivelano nello stesso tempo stupore e commozione[7].
Nel
presbiterio sono notevoli le due tribune affrontate, il cui prospetto
riccamente dorato consta d'un colonnato e di una gelosia sovrastante,
tramezzata da due quadri di grande valore in ricche cornici lo stesso di oro,
che rappresentano scene dell'antico testamento. Entrambe queste opere sono di
ignoti del XVIII secolo: una tela raffigura Il
sacrificio di Isacco Abramo col coltello vibrato, in atto di sacrificare il
figliolo bendato e posto sulla catasta, mentre un angelo trattenendogli il
braccio gli addita un ariete impigliato tra i pruni; l'altra tela raffigura Agar, ancella di Abramo, turbata e piena
d'affanno, perché, trafelata di sete, vede agonizzare nel deserto di Betsabea
il suo amato Ismaele.
Il coro
ligneo, recuperato nel 1880 dalla chiesa della Pace, è a due registri: il
superiore per i canonici e l'inferiore per gli ebdomadari.
Poiché
il Duomo è dedicato alla Madonna Assunta e a San Catello, gli affreschi della
cupola e della volta dell'abside sono ispirati alla Madonna[8],
mentre quelli della volta della navata centrale sono dedicati a San Catello.
A
sinistra dell'Altare Maggiore, c’è la cappella
dell'Ara Pacis già dedicata all'Immacolata che è sorta negli anni tra il
1924 e il 1928 per iniziativa di don Raffaele Vanacore e su progetto di
Giuseppe Pandolfi. Al centro si ammira la splendida Deposizione di Gesù del Ribera, dono del conte Vincenzo Coppola al
vescovo Vincenzo Maria Sarnelli[9].
Subito dopo, si apre la cappella del
Santissimo Sacramento, anticamente di patronato della Città. Si ha memoria
in Duomo già nel 1542 di un'antica Arciconfraternita dal titolo del S. S . Corpo di Cristo e dei Santi Giovanni
Battista ed Evangelista che fece erigere questa cappella[10].
Questa cappella ha una pianta ottagonale con pavimento di marmi colorati. Al
centro sull'altare, in una cornice di marmi rari, la splendida Deposizione attribuita ad Andrea
Sabatini da Salerno, raffigurante Cristo accolto dall'Eterno Padre con ai lati
i due Giovanni, il Battista e l'Evangelista. Non poteva essere collocata in luogo
più adeguato, dal momento che raffigura nel tempo stesso l’Eucarestia come
sacrificio e come sacramento. Mentre infatti rappresenta l'Eterno Padre che
accoglie negli abbracci il suo Ingenito umanato, morto per la salvezza degli
uomini, aleggia ai suoi piedi un piccolo stuolo di angioletti, uno dei quali
stringe fra le mani l'Ostensorio con l'Ostia, cioè a dire Gesù in sacramento.
Ai lati del Redentore privo di vita appaiono i Santi Giovanni Battista e
Giovanni Evengelista: l'uno , infatti, gli preparò la via, l'altro sul Golgota,
ai piedi della Croce, ne raccolse l'ultimo soffio vitale; uno lo proclamò
Agnello di Dio venuto a redimere il mondo, l'altro prese nota e promulgò a vantaggio degli uomini il testamento del suo
amore.
Notevole
è il tabernacolo dell'altare centrale, opera del XIX secolo, realizzato in
pietre dure di grande valore: agata di Sicilia, diaspro, lapislazzuli, radice
di ametista, sormontato da una croce di lapislazzuli e da sei statuette bronzee
ed inserito in un altare del XVIII secolo. A destra si nota un sacrario per oli
santi del XVII secolo.
In alto un dipinto che rappresenta La pesca di Pietro. Sulla parete di sinistra ciborio datato 1518
del vescovo Pietro de Flores. In alto La cena di Emmaus. Nella cupola ottagonale vi sono quattro dipinti del Paliotti, datati 1891 che rappresentano l'ultima cena di Gesù con gli Apostoli, la Manna del deserto, il sacrificio di Melchisedec, l'Angelo che porta il pane ad Elia sulla vetta dell'Oreb. La cappella è stata completamente restaurata nel 1996.
Il
braccio sinistro della crociera è dedicato al Cuore di Gesù. Al centro,
possiamo ammirare la statua lignea dello scultore Reccia di Napoli. Nella
volta: il quadro grande è l'apparizione
del Cuore di Gesù a Santa Margherita; il più piccolo rappresenta Gesù in mezzo alle turbe languenti.
Sulle lunette i simboli di alcune virtù che alludono al mistero dell'amore
divino. Queste sono tutte opere di Vincenzo Paliotti del 1891. Ai lati del
grande finestrone vi sono affrescati Mosè
ed Elia, sempre del Paliotti.
La quinta cappella di sinistra è la Cappella del Santissimo Crocifisso
Sull'altare si può ammirare un crocifisso
ligneo, forse del XVII secolo. Sulla parete a destra statua lignea dell'Addolorata del XIX secolo, a sinistra busto
ligneo di San Biagio, forse del XIX secolo. Da qui si accede agli appartamenti
vescovili e all'antica sagrestia.
La quarta cappella è la Cappella di San Francesco di Sales. Al
centro statua lignea di San Francesco di
Sales. A destra tempera del Franciosa, datata 1932, con scena della vita
del Santo; a sinistra altra scena della vita del santo di De Nicola con la
seguente scritta.
La terza cappella, la Cappella della Madonna del Carmine. Al centro ammiriamo la tela
della Vergine che libera le anime del
Purgatorio di Angelo Mozzillo
datata 1793. Alle pareti laterali vi sono due tondi a tempera rappresentanti, a
destra Santa Teresa del Bambino Gesù
e a sinistra Santa Teresa di Marillac.
La
seconda cappella è la Cappella di Lourdes
che anticamente era dedicata a San Gaetano e dove vi erano le antiche sepolture
dei Vescovi stabiesi. Al centro le statue della Madonna di Lourdes e di Bernadette. A destra dipinto a tempera del
Franciosa, datato 1929, rappresentante l'Apparizione
della vergine con l'acqua miracolosa scaturita dalla roccia a Massabielle;
a sinistra tempera di F. De Nicola, datata 1929, che rappresenta la Processione dell'Eucarestia. In questa
cappella vi era una tela raffigurante la Madonna,
San Tommaso e San Gaetano del pittore F. Tirone, datato 1747, con lo stemma
del Vescovo Pio Tommaso Milante. Spostata in un primo tempo in sagrestia, oggi
si trova nel braccio sinistro della crociera.
La
prima cappella a sinistra è la Cappella del
Battistero. Al centro c’è la tela di Giuseppe Bonito che rappresenta la Consegna delle chiavi a San Pietro,
acquistato nel 1888 dal comune di Castellammare su consiglio del pittore
Domenico Morelli. Sotto il dipinto vi è il Sacro
Fonte di forma artistica e di pregiati marmi antichi. Alle pareti tempere
di F. De Nicola: a destra il Battesimo di
Gesù e a sinistra Gesù e i fanciulli.
A sinistra c’è una colonna paleocristiana in marmo con capitello, ritrovata nel
sottosuolo della cattedrale.
L'ultima
cosa che rimane da vedere prima di uscire dal Duomo è l'organo. Esso appare
maestoso, orchestrale, plurifonico con un prospetto tutto splendido d'oro di
raro effetto e con colonne dello stesso ordine della cantoria. Con esso
armonizza il sacro pergamo, sotto la prima arcata destra, sostenuto da colonne
ioniche di verde antico, dove risaltano i simboli di quei quattro evangelisti.
Nella Cattedrale durante il periodo natalizio è
allestito un bellissimo presepe, composto da pastori a grandezza naturale,
realizzati tra il XVII secolo e il 1910, visibile dal 24 dicembre al 19 gennaio[11].
Rosaria Esposito
[1] La prima cattedrale di Castellammare di Stabia, fra il
quarto e il decimo secolo, era ubicata alle falde della collina di Varano, nell’attuale
territorio comunale di Gragnano. Qui vi pontificò anche il Vescovo e patrono S.
Catello. Questa cattedrale e la città di Stabia furono però distrutte da
un'alluvione.
Dopo
la catastrofe la seconda cattedrale fu collocata nei pressi del castello
medioevale. Infine la terza cattedrale sorse nel XIII secolo, nella zona
dell’attuale piazza Quartuccio.
[2]
Lo stile della Cattedrale è quello corinzio dalla base attica nei cui capitelli
i viticci spirali si svolgono con simmetria dalle foglie di acanto.
[3]
La
longanimità offre il diadema, lo zelo stringe e calca serpenti, l'affabilità ha
le braccia conserte, la costanza ha in mano la palma ed ai piedi una corona,
l'elemosina protende la mano e ripone in un'arcula l'obolo raccolto, la
preghiera recita la corona mirando il crocifisso ed un teschio, il perdono ha
le palme congiunte in uniformità ai supremi voleri, la fede colle braccia in
croce mira il calice con l'ostia, la speranza tocca un'ancora, la carità
accarezza dei pargoli. Tutte sono in atteggiamento vivace ed espressivo
[4]
Per la sua grandiosa solennità, può essere considerata, una vera e propria
chiesa nella chiesa. Questa cappella fu realizzata al posto della cappella del Crocifisso durante i lavori
di ampliamento della Cattedrale voluti dal vescovo Sarnelli, su commissione
della famiglia Coppola. Entrando vi è prima un ambulacro dove, a destra, c'è il
sepolcro marmoreo del vescovo Agostino
D'Arco e, a sinistra, quello del vescovo
Francesco Saverio Petagna, opera dello scultore Mossuto. Più avanti, a
sinistra, una lapide in bronzo, su disegno di Galloppi che ricorda l'eruzione
del Vesuvio del 1906; di fronte c'è un'altra lapide che ricorda l'alluvione del
1764. Prima di entrare nella cappella vera e propria vi è un corridoio che a destra
conduce in sagrestia e a sinistra in canonica. In alto vi sono dei medaglioni
che rappresentano i vescovi stabiesi, opera del decoratore gragnanese Giuseppe Lamonica. Entrando poi nella
cappella, a sinistra, in una nicchia, si osserva una statua lignea
dell'Ottocento rappresentante San Clemente Papa.
[5]
Ai
lati dell'altare ci sono due opere di Francesco
Filosa del 1957: a destra l'eruzione
del Vesuvio del 1906 e a sinistra una scena
della guerra del 1940 e in alto sull'arcosolio gli stemmi di Mons. Petagna
e Mons. Sarnelli e sull'arco è scritto: Posuit me Dominus custodem populi mei.
Nella cupoletta della cappella di San Catello è affrescata la gloria del Santo;
nei cassettoni sono ritratti, in campo d'oro, i dodici Apostoli ai quali erano
una volta dedicate altrettante chiese della città alcune delle quali ancora
esistenti. Ai lati delle due vetrate colorate, sono effigiati San Francesco
d'Assisi, San Domenico, San Vincenzo Ferreri e San Francesco Saverio. Nella
volta dell'altare è dipinta la Madonna
fra gli angeli; nel sottarco d'ingresso si ammirano San Catello e Sant'Antonino in preghiera nella grotta del Faito, su di
loro aleggia l'immagine guerriera dell'Arcangelo San Michele. Questi
bellissimi affreschi furono dipinti da Vincenzo Paliotti. Le pareti laterali
della cappella sono ornate da due grandi reliquiari, su cassettoni di legno
dorato a forma di croci.
[6]
Nel corso degli anni la statua, specialmente la testa, è stata soggetta a
qualche guasto e fu restaurata. Nel 1954 furono accertati guasti ancora più
gravi, dovuti all'usura del tempo per cui si ritenne urgente provvedere a nuovi
radicali lavori di restauro. Tale incarico fu assunto dall'artista Prof.
Gustavo Girosi, che portò la scultura alla sua primitiva bellezza, sollecitato
dal Vescovo Mons. Agostino D'Arco.
[7]
La cornice del quadro è sostenuta da due angeli di bronzo dorato succinti e con
le ali spiegate, con in mano un libro aperto. Di essi uno porta un'aquila e
l'altro la testa alata di un bue, simboli degli Evangelisti Luca e Giovanni,
dei quali l'uno celebrò le glorie della Madonna, l'altro quelle di Cristo.
[8] La volta dell'abside contiene cinque
finestroni nelle cui lunette, a fondo dorato, sono effigiati su cattedra
bizantina cinque simboli della Vergine: Vas spirituale, Vas honorabile, Stella
matutina, Rosa in Iericho, Lilium convallium. Al centro della volta c'è lo
Spirito settiforme in breve cerchio, al quale convergono tutte le coppie di
spigoli trapunte di stelle, che ricorrono dai pilastri. Fra questi spigoli
convergono tre affreschi del D'Agostino
(1888): San Giuseppe che dorme ed è informato
del sublime mistero mentre la sposa seduta al suo fianco è assorta in divina
contemplazione; la Vergine presentata al
tempio; la Vergine incoronata da Gesù;
più grande è l'affresco di Maria che
risorge dal sepolcro: agli angoli di esso ci sono i quattro Dottori della
Chiesa greca: San Atanasio, San Gregorio Nazianzeno, San Basilio e San Giovanni
Crisostomo.
Il
dipinto della cupola è la città santa di Dio, la Gerusalemme celeste, proprio
come la vide San Giovanni nell'isola di Patmos. L'antico dei giorni, dagli
occhi di fuoco, fiammante, ed i piedi simili all'oricalco siede su un maestoso
trono fra sette candelieri d'oro con ceri accesi, circondato da un'iride simile
allo smeraldo ed avente ai piedi il libro dei sette sigilli con l'agnello
svenato che solo può aprirlo mentre ventiquattro vecchi genuflessi dinanzi a
lui si tolgono lo scettro e lo adorano fra le acclamazioni di una turba
sterminata di angeli e di santi. Sempre in essa troviamo rappresentata
l'Apocalisse con la Vergine Assunta al cielo. Nel sottarco, un grande quadro
rappresenta gli Apostoli che trovano vuoto e cosparso di fiori il sarcofago che
doveva contenere il corpo della Vergine; un altro quadro più piccolo
rappresenta l'incoronazione della Vergine per mano di Cristo. Nei quattro archi
che sostengono la cupola sono effigiati i sedici profeti, ritratti dall'artista
D'Agostino nel tipo e nelle vesti ebraiche e secondo la loro speciale
ispirazione. Così dei profeti maggiori Isaia è in atto di chi annunzia sublimi
misteri, Geremia in sembiante di chi predica il luttuoso eccidio della patria,
Ezechiele in aspetto di chi assicura il termine dei travagli ed il vicino
trionfo, Daniele in atto di ripetere il prossimo indubitato avvento del divin
Redentore. Dei minori: Gioele è in atto di chi geme nel pianto ed esorta al
ravvedimento, Amos è volto al cielo, da cui vede cadere fuoco sui nemici, Aggeo
sorride per la ricostruzione del tempio, di cui predice le glorie, Zaccaria è
in vista d'essere ucciso mentre predica, Michea mira spaventato l'arato suolo
della patria, Giona predica ai Nonoviti la penitenza, Malachia è in sembianza
di un angelo che rivela il sacramento dell'amore, Nahum addita lo sterminio
dell'esercito assiro, Osea fa cenno da parte di Dio di ripudiare la Giudea,
Sofonia ode e manifesta eventi luttuosi, Elia predica con gaudio le glorie
della Chiesa, Abacuc acciuffato per i capelli è tratto nella fossa dei leoni,
dove è chiuso il profeta Daniele. Negli scolli fra gli archi nelle lunette
triangolari sono dipinti i quattro Evangelisti, secondo il tipo ed i costumi
orientali ciascuno col simbolo da cui nella sua profetica visione fu visto
adombrato da Ezechiele. Così San Matteo che intese nel suo vangelo a descrivere
l'umana natività di Cristo è ritratto mirando sul volto di un angelo mentre
nota con stilo le sue proprietà; San Marco che descrive Gesù come re e signore
di tutte le cose è rappresentato con il leone di cui è simbolo la fortezza; San
Luca che volle dimostrare che il figlio di Maria era veramente Gesù ha ai piedi
il bove animale atto a significare il sacerdozio; San Giovanni sta come rapito
in estasi nell'empireo a contemplare i supremi misteri, ed ha per simbolo
l'aquila uccello che si erge a voli sublimi ed è dotato di vista così acuta da
poter fissare in pieno pomeriggio anche il sole. Sul tamburo della cupola sono
scolpiti i busti di sette Dottori, fra i più devoti alla Madonna e, al centro
il Papa del Rosario San Pio V. Nell'intercolumnio, tra i finestroni si possono
ammirare le otto beatitudini in forma di angeli, ciascuna nell'atteggiamento
suo proprio, e con un nappo d'oro nell'aperta mano pieno d'odoriferi timiami,
da cui emana verso il cielo un profumo soave simbolo delle orazioni dei Santi,
il cui fervore prodotto dalla mortificazione si innalza al cielo e torna a Dio
gradito e accetto. Su di un'altra breve, elegante cornice con un colonnato
tutto all'intorno rotto di quanto in quanto da mensoline sporgenti e da otto
medaglioni che racchiudono i simulacri di otto santi Vescovi, che si sono
segnalati nel celebrare le grandezze e le glorie di Maria: cioè San Pio V, San
Germano, S. Pier Damiani, San Idelfonso, San Bonaventura Sant'Anselmo, San
Francesco di Sales e Sant’Alfonso.
[9]
Sulle pareti i nomi degli stabiesi caduti nella prima guerra mondiale
(1915-1918) scolpiti in ordine alfabetico su sei grandi lapidi in marmo, tre
per lato. Pende dal soffitto una lampada votiva, pregevole lavoro artistico
degli operai del Cantiere Navale; a terra, al centro della cappella c'è una
lapide marmorea. Tutti i dipinti a tempera sulle pareti sono di Salvatore
Franciosa (1925); nella cappella si notano sei moschetti, quattro elmetti, due
grossi bossoli ed un cannoncino, tutti della prima guerra mondiale che
contribuiscono a dare al Sacrario un'impronta di profonda austerità, e nello
stesso tempo invitano alla meditazione e alla preghiera.
[10]
Questa Arciconfraternita decadde agli albori del XIX secolo e fu fatta rivivere
con decreto reale del 2 dicembre 1855 auspice il Vescovo Petagna che assegnò come
sede dei confratelli il salone vescovile. Questo sodalizio si componeva
esclusivamente di gentiluomini e di persone dottorate ed aveva precedenza su
tutte le altre confraternite della città. Di questo sodalizio si ha memoria
anche nel 1756, quando i suoi amministratori ebbero convenzione con Giuseppe
Bonito affinché dipingesse per 800 ducati un quadro per il cappellone in cornu
epistole dell'altare maggiore, cappellone costruito negli anni 1750-5.
[11]
Questo
presepe è un capolavoro dell’arte sacra, composto da circa ottanta elementi
databili tra il XVII e i primi anni del XX secolo. I personaggi sono decorati
con pitture policrome e rivestiti da pregiate sete e tessuti antichi di
influenza settecentesca. La caratteristica di questa collezione è costituita
dalle grandi dimensioni dei “pastori”, dai settanta centimetri a quasi un metro
e mezzo: statue bellissime, molto espressive, con busto in stoppa e arti in
legno intagliato. Il sacerdote Francesco Saverio Petagna (1812-1878) possedeva
diversi pastori, realizzati da valenti madonnari napoletani. Questo sunto storico
trova riscontro negli studi di Gennaro Borrelli, da cui si ricava che attorno
al 1840 il sacerdote Francesco Petagna faceva plasmare una Vecchia di 140
centimetri alla bottega dei fratelli Giuseppe e Francesco Verzella per il
presepe che allestiva nella chiesa di San Ferdinando a Napoli. In conseguenza
della nomina del sacerdote a vescovo della città (20 gennaio 1850) la
collezione giunse a Castellammare. Sembra che la raccolta iniziale non fosse
interamente di proprietà del Petagna, che dovette dividere la collezione in due
parti: quanto oggi è superstite del gruppo dei pastori rimasti a Napoli
sarebbero alcune statue presenti nel presepe della sacrestia del Gesù Vecchio.
Il vescovo volle, poi, commissionare un gran numero di pastori per completare le
scene e aggiungere personaggi alla raccolta iniziale. Certamente molti pastori
sono riconducibili alla citata bottega dei Verzella, che operava a Napoli in un
laboratorio accanto alla chiesa di San Nicola del Pozzo, nella strada
dell’Arcivescovado. Sembra che nel momento di massimo splendore il presepe
raggiungesse il numero di cinquecento pezzi più un migliaio di accessori.
Nonostante le tante vicissitudini una importante testimonianza di questa
collezione (circa ottanta elementi) è giunta a noi in ottimo stato di
conservazione grazie all'amore e ai sacrifici di tanti benemeriti stabiesi.
Rosaria Esposito
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