La
storia di Meta, non ha versione unanime: molti gli interrogativi ancora aperti
e le interpretazioni proposte e la sua vera difficoltà sta nel non potersi
confrontare con una documentazione anteriore al XV secolo: «La documentazione
edilizia del centro storico di Meta non va più indietro degli ultimi decenni
del XV secolo. Dell'antichissima chiesetta
del SS. Salvatore, intorno alla quale si sarebbe sviluppata la fabbrica
della Basilica del Lauro, non c'è alcuna traccia, né di una qualsiasi
testimonianza architettonica che si ricolleghi alla attività cantieristica,
nota fin dal XII secolo». Queste le parole del prof. Russo ne il suo Meta mura e volte, ed. 2005. Un'altra
interpretazione sulla storia Metese è la seguente, che tiene conto delle varie
fonti proposte da diversi studiosi. Il cippo terminale di una qualsiasi via era
chiamato, in epoca romana, Meta, da
cui il toponimo della cittadina. Traduzione latina del greco Tèpma, che significa limite, confine.
Infatti, tra Piano e Meta è il Ponte Orazio, risalente al IV secolo a.C., che
ha avuto un ruolo importante nella storia del Regno di Napoli. Era il Pons Maior con al centro un cippo che
designava il termine della Via Minerva,
che partiva dalla Punta della Campanella
e l'inizio della Via Stabiana che, per Alberi e Vico, portava a Stabia e a
Pompei. Si può dire che per questo ponte sia passata la storia: su di esso, infatti,
transitavano, a rotta di collo, i cursores
che, in meno di due giorni, tramite la Via Appia, recavano alla Curia (sede del
Senato a Roma) i desiderata di Tiberio il quale, come è noto, amava
trastullarsi sotto il cielo di Capri.
Al Capo
Minerva, attuale Punta Campanella, era attivo un costante servizio di guardia
per i messaggi da Capri. La strada di Alberi, una mulattiera, è stata l'unica
via di collegamento tra Sorrento e Stabia fino al 1400. Il Ponte Orazio perse
molta della sua importanza nel 1836, quando Ferdinando II di Borbone percorse
per la prima volta la strada di Scutolo da lui stesso fortemente voluta e
realizzata in soli due anni. Si narra che il re, giunto con lo stomaco in
subbuglio allo spiazzo antistante la Chiesa della Lauro di Meta, riferendosi al
panorama ed alle tante curve, sbottò in "Bella la strada, impiccate
l'ingegnere". Le molte curve, comunque, si perdonano facilmente a questa
strada che corre a picco sul mare offrendo un panorama mozzafiato. Pienamente
meritato, dunque, l'omaggio tributatole da Renato Fucini in Napoli a occhio nudo, del 1878.
Meta,
percorsa dai Greci e dai Romani, viene scoperta poi dai Goti, Longobardi,
Bizantini e Saraceni.
L'originario
centro di case di pescatori e marinai assunse il suo carattere distintivo
durante il periodo bizantino, intorno al culto della Madonna del Lauro.
L'attaccamento
dei metesi alla loro Madonna ed alla
Chiesa che la ospita, è tale da costituire un tratto identificativo di questo
popolo di marinai: molte persone qui si chiamano Lauro o Laura, sia di nome sia
di cognome e comunque non si conosce Meta e la sua gente senza visitare la
Chiesa della Madonna del Lauro, e prima ancora, lasciarsi affascinare dalla sua
storia, che si intreccia con la leggenda e il mito.
La
Basilica di Santa Maria del Lauro è una chiesa monumentale di Meta di Sorrento
al cui interno si custodisce la statua della Madonna del Lauro, miracolosamente
ritrovata nel VIII secolo, e patrona della città.
In
effetti, le origini della Chiesa si perdono nelle tenebre medievali.
Secondo
la tradizione nel secolo VIII una vecchietta sordomuta, pascolando la sua mucca
nei boschi vide una lingua di fuoco ardere senza consumarsi. Si accostò e
trovò, ai piedi di un lauro, la statua della Madonna. Meravigliata si avvicinò
e vide una statua della Vergine, all'ombra di un lauro ed ai suoi piedi una
gallina d'oro con dodici pulcini, anch'essi d'oro. Subito guarita da sordità e
mutezza corse in paese gridando al miracolo. Il Vescovo di Sorrento fece
trasportare la statua nella sua Cattedrale, ma il mattino successivo,
miracolosamente, essa fu ritrovata sotto l'alloro a Meta. Questo miracolo si
ripeté e così la statua fu lasciata a Meta, nel tempietto del Salvatore, che si
trovava nei pressi del lauro in questione e che era sorto sui ruderi di un
tempietto pagano dedicato ad Apollo, il purificatore, nume cui, era sacro
l'alloro. Da allora la statua fu venerata come Madonna del Lauro.
Il
numero crescente di fedeli che si recavano a venerarla, indusse la popolazione
a costruire, fra il IX e il X secolo, un tempio più grande.
La storia
dimostra come il ritrovamento tra i boschi sorrentini di una statua con quelle
caratteristiche sia perfettamente plausibile a quell'epoca. Vediamo perché. Si
tratta di una scultura bizantina, realizzata tra la fine del VIII e l'inizio
del IX secolo, epoca in cui il territorio Sorrentino era sotto il dominio dell'imperatore
di Bisanzio e la Repubblica Marinara di Amalfi era florida e intrecciava
commerci con l'Oriente. Gli stessi Metesi avevano un'ottima Marina Mercantile e
frequentavano i porti dell'Oriente e della Palestina. Dunque era normale nella
zona trovare opere d'arte bizantine. Resta da spiegare perché la statua della
Madonna si trovasse abbandonata in un bosco. Il periodo del ritrovamento
coincide con quello delle lotte iconoclaste scatenate dall'imperatore bizantino
contro le immagini sacre di cui fu ordinata la distruzione in tutte le province
dell'Impero, inclusa l'Italia. È realistico quindi supporre che, per sottrarre la
statua alla distruzione, fu nascosta nel bosco dove poi fu ritrovata. Circa poi
la sua origine, sul piano storico è ugualmente possibile tanto che sia stata
realizzata in Oriente e trasportata qui dai naviganti, tanto che sia stata
scolpita da un artista del posto. La tradizione orale sostiene la provenienza
dall'Oriente e afferma che, al momento del ritrovamento, i marinai metesi
riconobbero in quella statua la Madonna del Tabor che avevano venerato in
Palestina. Questo andrebbe a suffragare le ipotesi di alcuni esperti di
etimologia secondo i quali l'appellativo della statua non deriverebbe
direttamente dal lauro, ma dal greco tavros,
monte. In poche parole alla statua inizialmente non fu cambiato il nome: tabor e tavros hanno la stessa matrice e quindi quella era e rimaneva, in
effetti, la Madonna del Monte.
Solo
successivamente, nella lingua parlata, tavro
sarebbe diventato lauro perché in
dialetto lauro si pronuncia con la V al posto della U. La considerazione che viene da fare a questo proposito è che, in
passato, l'ambiente aveva un ruolo tale da condizionare perfino i nomi di
chiese e santi. È possibile, insomma, che il lauro caratterizzasse fortemente
il paesaggio metese dell'epoca e si differenziasse, per esempio, da quello
della vicina Vico Equense dove, allora come oggi, evidentemente abbondavano gli
allevamenti di bovini. Santa Maria del Toro a Vico, altro non è che l'ennesima
chiesa dedicata alla Madonna del Monte solo che qui tavros è diventato tauros,
cioè toro.
Le
vicende di questa chiesa, sede parrocchiale già dal 1536, sono state
travagliatissime perché più volte è stata distrutta e saccheggiata e ogni volta
ricostruita e arricchita dai metesi: nel 1782 fu necessario, infatti, riconsacrarla
per i tanti lavori eseguiti. Per le importanti opere d'arte che custodisce nel
1913 la chiesa fu dichiarata monumento nazionale. Nel 1914 fu elevata a
Basilica Pontificia ed è stata sede Giubilare diocesana per l'Anno Santo del
2000.
La facciata in stile neoclassico, in quanto
restaurata durante la seconda metà dell’800, si apre sulla piazza alberata, da
cui si gode lo stupendo panorama di tutta la penisola sorrentina. La facciata
dipinta in stucco bianco con fregi è scandita da quattro paraste sormontate da
capitelli di stile corinzio, in altro al cento in una nicchia presenta un
altorilievo del SS Salvatore. La basilica si affaccia su uno spiazzo
rettangolare lungo quanto la facciata del tempio e largo mediamente circa sei
metri: l’ingegner Antonio Caruso nel 1913 offrì la pavimentazione di questo
piazzale, eseguita con larghe piastrelle in cemento.
Al
sagrato si accede per una larga scalinata da tutti e tre i lati.
Un portale
in bronzo ha sostituito l’originale in legno, custodito oggi all’interno della
Chiesa ornata da ventiquattro formelle con le scene della vita del Cristo ed il titolo di Basilica Pontificia
sull’architrave, che furono collocate sul maestoso tamburo ad intaglio
sorrentino al bisogno realizzato. Le formelle, restaurate tra il 1991 e il 1993
ad opera del prof. Giosuè De Maio, rappresentano i quindici Misteri del Rosario, la Propagazione del Rosario, quattro fregi, e i volti di Cristo,
Maria, Pietro e Paolo. L'attuale
portale in bronzo, artisticamente inciso col bulino, fu realizzato nel 1903 da
Agostino Gargiulo a devozione del capitano Giuseppe De Martino.
La chiesa
è affiancata da un campanile
poderoso, dalle forme ardite ed eleganti artistiche[1]
eretto nel 1558 alla cui costruzione si oppose il clero sorrentino, che non
gradiva che esso fosse così alto: i Metesi si appellarono allora al Viceré di
Napoli, ottenendo la necessaria licenza di costruzione e, in diverse riprese,
prima fino alla cella delle campane, poi aggiungendo la parte ottagonale,
infine la cupola, realizzarono il campanile e lo arricchirono di un massiccio
orologio, costruito dal macchinista napoletano Valerio Rossi ed installato dall’architetto
Celentano, tra il 1779 e il 1780, sostituendo quello precedente, con quadrante
a piastrelle e suoneria solo per ore. Solo in tempi più recenti è stato
sostituito da un nuovo orologio.
L’interno della Chiesa si presenta a croce
latina e tre navate con pavimento di marmo donato nel 1864 dai marittimi Metesi
che sostituì il precedente in maiolica.
L'ingresso
principale immette nella grande navata centrale, affiancata da due navate
laterali più basse e molto più strette.
Le
navate sono coperte a volta.
Entrando
nella grande navata, attraverso la porta centrale, ai lati dei primi pilastri
vi sono due vasche di marmo scuro per l'acqua santa, sostenute da pilastrini in
marmo bianco. Percorrendo la navata, addossato all'ultimo pilastro di sinistra,
Raimondo Belliazzi, realizzò il 1859
e il 1864 un bel pulpito in marmo scolpito con la caratteristica scala a
chiocciola in marmo, che secondo la tradizione, è posta nel luogo in cui
originariamente era presente l'albero di lauro sotto il quale fu ritrovata la
statua della Madonna.
Appoggiate
ai due pilastri adiacenti all’altare maggiore, si ergono due statue lignee
laminate in oro della prima metà del '600: una rappresenta l'Arcangelo San Michele, l'altra l'Angelo Custode.
Il
presbiterio è impreziosito da un pregevole altare
in marmi commessi della fine del '600, opera di Giuseppe Mozzetti. Esso è chiuso verso la navata maggiore da una balaustra marmorea.
Alle
spalle dell'altare vi è il coro, fornito di un doppio ordine di sedili, in
legno intarsiato, opera del 1782 Sulla parete dietro l'altare, in una nicchia
alta, è allocata la statua lignea del
Salvatore, laminata in oro della metà del '700. Da documenti prima
d'archivio si rileva che la base di questa statua fu scolpita da Salvatore Bagnasco nel 1862.
Inoltre
a destra l'ingresso laterale destro, chiuso da un'antica porta in ferro e da un
portone interno in legno, immette in un piccolo ambiente di passaggio quadrato.
A destra si apre il locale dell'Amministrazione della Basilica, a sinistra c'è
l'ingresso per il campanile e la cantoria, mentre di fronte c'è un portale in
piperno intagliato con lesene, cornici e trabeazioni, che immette nella navata
destra della Basilica.
La
fabbrica che lega campanile, Basilica e Cappellone di San
Pietro fu presumibilmente costruita
alla fine dell'800, all'epoca dell'aggregazione del Cappellone alla Basilica.
L'ingresso
laterale sinistro, chiuso da una cancellata in ferro, immette attraverso due
rampe di cinque scalini in uno spazio di forma rettangolare.
A
destra c'è l'entrata laterale della Basilica da cui si accede attraverso una
porta e un tamburo, entrambi in legno, alla navata sinistra A sinistra si apre
il varco che, con una scalinata, sale ai locali del Centro Parrocchiale e l’ingresso
alla chiesa dell’Arciconfraternita della SS. Immacolata.
Nella
navata destra, quasi alla metà, c'è
la porta d'entrata laterale. Sulla destra si trova un'acquasantiera montata su
di pilastrino in marmo lavorato Proseguendo, sulla parete è collocata una tela
firmata da Philippus Zellus e datata 1654, raffigurante la Vergine tra i santi Nicola e Gaetano. Tra
gli ancora sconosciuti alla critica allievi della bottega di Pacecco de Rosa va
ricordato il nome di Philippus Zellus, che, dai caratteri spiccatamente
pacecchiani. Si tratta del suo primo allievo plausibile, perché Filippo
Donzelli, indicato come tale dal Causa, è da noi conosciuto unicamente per un San Michele, firmato, nella chiesa di San Vincenzo alla Sanità, dai
chiari caratteri falconiani e per risultare iscritto alla Corporazione dei pittori napoletani nel 1665. Grazie all’intuito di
Giuseppe Porzio, il quale, in una sua scheda su Filippo Vitale, nel catalogo
della mostra Ritorno al Barocco,
ritiene di identificare le due figure in una sola personalità infatti, prima
del cognome, vi è una parte abrasa, per cui ad una più attenta lettura essa va
interpretata: ”Philippus …zellus
fecit”. Giuseppe Porzio inoltre, nel descrivere la Fuga di Lot da Sodoma, eseguita nel 1650 dal Vitale, patrigno di
Pacecco e suo stretto collaboratore, evidenzia la semplificazione volumetrica,
il ritmo dei panneggi e la schematica sintassi delle lumeggiature trovano un
suggestivo e preciso riscontro nell’opera del misconosciuto Filippo Donzelli,
che oggi possiamo affermare essere lo stesso pittore del quadro metese.
Più
avanti due archi immettono nel Cappellone
di S. Pietro. Sulla parete destra, entrando, sono collocati 32 ex voto
marinari, datati tra il ‘600 e l’inizio del ‘900, le cui fotografie sono state
recentemente raccolte in un bel volume del titolo Storie di tempesta e di fede.
Dopo
il cappellone segue l’altare policromo del rosario con una grande tavola del
1599, attribuita a Girolamo Imparato e raffigurante la madonna tra i santi
Domenico e Caterina racchiusa in una cornice di legno dorato che è arricchita
da quindici quadretti con i misteri del
rosario.
All’inizio
della navata sinistra è collocato il fonte battesimale, in marmi policromi,
di stile barocco risalente alla prima metà del '700. Sul lato sinistro del
battistero si possono ammirare due tavole, parti di un polittico del XVI secolo
racchiuse in due cornici dorate coeve: in quella a sinistra sono raffigurati,
nella parte bassa, San Domenico,
mentre nel riquadro superiore è dipinto l'Angelo
dell'Annunciazione; nella tavola destra in basso, San Francesco d Assisi, in alto, la Vergine, raffigurata nel momento dell'annuncio. Segue una porta
d'ingresso laterale alla chiesa che al lato sinistro ha una vasca per l'acqua
benedetta, montata su pilastrino marmoreo.
Sulla
parete della navata c’è il bellissimo quadro della prima metà del ‘700 che
rappresenta San Vincenzo Ferrer di Francesco de Mura.
Quindi
vi è la d'ingresso della Sacrestia, porta che si trova in corrispondenza della
porta d'ingresso della navata destra. Il portale in marmo è sormontato da una
lapide in lingua latina datata 1783.
Ai
lati dell’altare principale, dove è custodita la statua in lamina d’oro di Cristo, si possono ammirare la statua di San Michele Arcangelo e la statua dell’Angelo Custode, del 1640.
Notevoli sono il coro ligneo intarsiato, il pulpito in marmo, è sostenuto dalle
ali di una chioccia in marmo bianco, accovacciata su di un globo a tessere di
marmo verde ed è sormontato da un baldacchino di legno intarsiato, al pulpito,
inoltre, si ci accede attraverso una scala.
Diverse
cappelle si aprono nella chiesa: quella principale è dedicata alla Madonna del
Lauro, con la statua della Vergine in
legno ed è realizzata in marmi e adornata, nei pennacchi della cupola, da
un affresco raffigurante gli Evangelisti,
opera di Giuseppe Bonito del 1785. Lo
scultore che realizzò la madonna del lauro aveva senza dubbio assorbito i
caratteri dell’arte bizantina, nella quale erano vive impronte della scultura
pagana. La madonna sostiene col braccio il bambino con un pulcino, e nella mano
destra regge una melagrana. Ha il volto piuttosto allungato, gli zigomi
sporgenti, gi occhi obliqui, il mento forte: tutti elementi che mostrano la sua
discendenza dai modelli dell’arte greca.
La sagrestia è adornata con affreschi
raffiguranti il Trionfo della fede,
opera di Costantino Desiderio, di Nocera, del 1783; una tela raffigurante La cacciata dei mercanti dal tempio di Gerusalemme
di Luca Giordano: all'ora del
tramonto, quando il tempo è sereno, un raggio di sole, penetrando attraverso la
vetrata del fondo, colpisce il volto del Signore in tale affresco, facendogli
acquistare un mirabile splendore. In fondo, troviamo, ancora, armadi in legno
intarsiati risalenti al 1765, opera di artigiani nocerini.
La
particolarità cui i metesi tengono di più è che essa, dal 1206, gode del
privilegio delle parrocchie estaurite, che prevede l'elezione del parroco da
parte del popolo. Le chiese con questa eccezionale prerogativa, sono oggi solo
ventuno in tutto il mondo e di queste sette nella Arcidiocesi di Sorrento -
Castellammare.
La
visita a questa chiesa insomma è d'obbligo anche per capire meglio un popolo
che in essa trova la propria identità.
Una
prova la si ha entrando nel Cappellone di San Pietro, costellato di ex-voto
marinari datati tra il '600 e il primo '900, l'epoca della marineria[2].
La storia della costruzione della Chiesa di Santa Maria del Lauro a Meta di
Sorrento si fonde con la leggenda. Secondo la tradizione la Chiesa è stata
eretta dove anticamente era presente un tempio pagano dedicato alla dea minerva
e nel punto esatto dove venne scoperta una statua raffigurante la Madonna.
Tornando
alla Basilica della Madonna del Lauro, per le importanti opere d'arte che
custodisce è stata dichiarata monumento nazionale nel 1913. La particolarità
cui i Metesi tengono di più è che essa, dal 1206, gode del privilegio delle
parrocchie estaurite, che prevede l'elezione del parroco da parte del popolo.
Le chiese con questa eccezionale prerogativa, sono oggi solo ventuno in tutto
il mondo e di queste sette nella Archidiocesi di Sorrento - Castellammare. La
visita a questa chiesa insomma è d'obbligo anche per capire meglio un popolo
che in essa trova la propria identità. Una prova la si ha entrando nel
Cappellone di San Pietro, costellato di ex-voto marinari datati tra il '600 e
il primo '900, l'epoca della marineria. La storia della costruzione della
Chiesa di Santa Maria del Lauro a Meta di Sorrento si fonde con la leggenda.
Secondo la tradizione la Chiesa è stata eretta dove anticamente era presente un
tempio pagano dedicato alla dea minerva e nel punto esatto dove venne scoperta
una statua raffigurante la Madonna.
Maria
Grazia Giordano
[1]
Alto 41 metri, il suo prospetto è ardito all’architetto Epitaffio. Nel 1932 fu
restaurato, con la Chiesa, nonostante Monumenti ed all’Arte Antica di Napoli.
Le due belle campane sono, la piccola, del 1764, la grande, del 1831, e furono
elettrificate nel 1955 ad opera della ditta Renzo Lorenzi di Milano, durante
l'amministrazione di Francesco Liguori. Nello stesso anno fu sistemata una
terza campana, proveniente dalla diruta Chiesa del Purgatorio alla marina di
Meta, che venne elettrificata come le altre. Infine nel 1974 fu installata e
consacrata ancora un'altra nuova campana, con una solenne funzione, presieduta
da Monsignor Pellecchia.
[2] Con Carlo di Borbone il regno pone al centro il commercio
che produce ricchezza e da vigore alle industrie. Quasi tutto il commercio
estero del napoletano era in mano agli stranieri (Olandesi, Inglesi e
Francesi). Re Carlo, per contrastare la dipendenza del proprio regno da Londra,
imboccò la strada delle riforme con una serie di importanti iniziative. Tra
l'altro, furono inaugurati, nel 1784, due istituti nautici: l'uno a Meta e
l'altro a Piano. Ad essi si accompagnò una scuola nautica ad Alberi. Cantieri
navali di Alimuri I Greci con l'aggettivo "alimurei ζ" indicavano uno
dei loro cinque punti d'approdo nella Penisola Sorrentina, caratterizzato dallo
scorrere rumoroso d'una cascata che sboccava a mare ad Alimuri. Dal 1650 si
sviluppò l'attività dei cantieri navali di Alimuri che esistevano dal 1200. Ma
il boom economico esplose solo quando Carlo III dotò la flotta mercantile della
protezione di navi militari. Nel dicembre 1866 i cantieri avevano 8 scali di
costruzione e risultavano costruiti 256 bastimenti a vela. Non va dimenticato
l'indotto costituito da una costellazione di botteghe artigiane, specializzate
nella realizzazione di utensili per la nave, nonché di contenitori per il
trasporto marino di prodotti solidi e liquidi oppure nella tessitura di vele e
nell'intreccio di canapa per cordami di bordo. Abitazioni ed armatori
dell'antica marineria metese È l'epoca eroica della vela a segnare il momento
culminante dell'ascesa metese, il secolo delle straordinarie imprese delle
grandi famiglie metesi. La ricchezza di armatori e capitani produsse un sontuoso
centro storico dove anche la casa più umile è impreziosita da raffinatezze
architettoniche, con un giardino, un orto, un frutteto. Anche se vi fu un
notevole sviluppo edilizio e la coltivazione degli agrumi su terrazzamenti
modificò la conformazione di molte aree, queste trasformazioni si sono sempre
inserite nel tessuto preesistente senza distruggerlo, conservando le antiche
tecniche costruttive. A Meta si sente subito la presenza di un ambiente del
tutto particolare: placide case d'altri tempi che mostrano di non aver nulla in
comune con le moderne ville borghesi. Sono le case dei capitani di lungo corso,
degli armatori dell'antica marineria napoletana, costruite a partire dalla
seconda metà del Settecento fin verso la fine dell'Ottocento. Spesso la casa si
apre con un portale in pietra vesuviana che spicca in grigio-scuro sul bianco
intonaco della facciata. L'Ottocento fu il secolo d'oro della vela e la
marineria metese ne fu all'altezza.
Ciao. Mi chiamo Mario Quaranta.
RispondiEliminaPotresti segnalarmi le fonti bibliografiche per l'altare di Giuseppe Mozzetti.
Grazie
Giorno Mario, non saprei questo è uno studio di una mia ex studentessa
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