Di Nunzio
Rossi (Napoli, 1626 – Sicilia, 1651), nonostante
i recenti studi a lui dedicati, l'attività artistica è ancora poco nota.
La morte precoce e la dispersione di gran parte delle sue opere rende
estremamente modesto il numero di dipinti ad oggi attribuibili a lui.
Sicuramente
presente da fanciullo nella bottega napoletana di Massimo Stanzione, il Guido Reni napoletano e uno dei più importanti pittori della scuola napoletana del
Seicento le cui opere uniscono l'influenza della pittura emiliana di Reni e Domenichino con il tenebrismo del dopo
Caravaggio.
Stanzione lo inviò
a Bologna presso la bottega di Reni dove perfezionò il suo stile.
Il
primo gruppo di opere dal quale si è dato inizio alla ricostruzione biografica
dell’artista è la serie di opere voluta nel 1644 dal priore Daniele Granchio
per la chiesa di San Girolamo alla
Certosa di Bologna. La Chiesa di San Girolamo alla Certosa è uno dei più
straordinari luoghi d’arte della città. In evidenza innanzitutto è l’insieme
delle grandi tele lungo le pareti. Il ferrarese Don Daniele Granchio, priore
del convento dei Certosini dal 1644 al 1660 commissionò una serie di dipinti
sul tema della Vita di Cristo ad
alcuni tra i più rappresentativi pittori operanti allora a Bologna. Ad ogni
autore fu richiesto di eseguire oltre alla tela centrale anche due più piccole,
rappresentanti ciascuno un santo certosino, da collocare a fianco della
maggiore.
I
dipinti andavano ad arricchire il già vasto patrimonio artistico della chiesa: Francesco Gessi raffigurò La cacciata dei mercanti dal Tempio e La Pesca Miracolosa nel 1648, Giovan Andrea Sirani realizzò La Cena in casa del Fariseo nel 1652,
Elisabetta Sirani realizzò Il Battesimo di Cristo nel 1658,
Lorenzo Pasinelli Il Cristo che
appare alla madre assieme ai santi Padri liberati dal Limbo nel 1657 e l’Ingresso di Cristo in Gerusalemme nel
1658, Giovanni Maria Galli Bibiena La resurrezione di Cristo nel 1657, Domenico Maria Canuti Il Giudizio Universale nel 1658. Unico
forestiero invitato a partecipare fu Nunzio
Rossi con la sua Natività, realizzata
nel 1644 da Nunzio Rossi, pupillo in quegli anni di Guido Reni. La sua opera,
posta originariamente sulla controfacciata della chiesa, fu spostata in epoca
ottocentesca nella Cappelletta delle
Madonne per far posto alla collocazione dell’organo ed ora, dopo il
restauro, è collocata in Palazzo
d’Accursio.
Di
notevole rilevanza è la grande tela della Natività di formato orizzontale,
insolito nel panorama bolognese, che dà inizio all’importante ciclo
cristologico nel progetto di decorazione della chiesa certosina. Nell’opera
sono evidenti elementi tipici del naturalismo di Ribera e il dipinto si
inserisce già nel contesto culturale del Barocco napoletano, rivelato dall'illusionismo
prospettico dell'affollata rappresentazione, dalle pennellate veloci, dai toni
brillanti e dall’acceso chiaroscuro. Nella Natività di Nunzio Rossi sono
evidenti i caratteri della cultura artistica napoletana tra il 1630 e il 1650,
anni in cui, artisti stranieri quali Van Dyck e Rubens, affiancano i pittori napoletani. La calda coloritura e la dirompente energia compositiva creano un
contrasto con le pacate e classiche opere realizzate dai pittori bolognesi. In
un ambiente artistico affollato e protetto quale era quello bolognese, risulta
quantomeno singolare che un’opera di tale importanza, all’interno di una delle
chiese eccellenti della città, fosse richiesta ad un giovanissimo pittore
forestiero: ma questo ci lascia pensare ad una consapevole intenzionalità del Priore,
che pare confermata dal successivo incarico alla ventenne Elisabetta Sirani. Ma
non mancano altri aspetti affascinanti. Si pensi alle grandi dimensioni e al
formato orizzontale delle tele, di tradizione veneziana e del tutto inusuali a
Bologna. Un formato che consentiva maggiore libertà compositiva all’artista,
togliendolo dall’impaccio del classico formato verticale della pala d’altare.
Il prestigio di questo intervento era quindi tale che artisti come Francesco
Gessi si resero disponibili a ricevere un compenso irrisorio pur di potervi
partecipare, mentre lo stimolo del confronto con gli altri artisti fa sì che le
opere in San Girolamo siano per ognuno degli autori uno degli esiti più alti.
Il
linguaggio artistico di Rossi rimane quindi molto lontano da quello bolognese,
anche se un accenno alla pittura di Guido Reni, è visibile nella
rappresentazione di Gesù Bambino nudo
e di Maria con le mani conserte, in
una composizione scenica e figurativa che rimanda all'Adorazione dei pastori della Certosa
di San Martino a Napoli, dipinto eseguito dal pittore bolognese tra il 1640
e il 1642.
Fanno
parte delle opere giovanili dell’artista anche i due Santi certosini (San Guglielmo Horne e San Tommaso Skryven che originariamente
collocati ai lati della Natività in
Certosa sono ora nei depositi della Pinacoteca
Nazionale di Bologna. Le due tele fanno parte di un programma celebrativo per
ricordare il gruppo di monaci inglesi che nel secolo precedente preferirono le
pene del martirio, restando fedeli al Papa e alla Chiesa Romana, piuttosto che
accettare l’autorità spirituale di Errico VIII e della Chiesa anglicana.
Anche
queste due tele laterali risultano molto distanti dallo stile reniano, nelle
quali si evince una libertà di esecuzione pittorica e cromatica che ha origine
dalla formazione dell’artista presso Stanzione e Ribera. L’ipotesi delle fonti
napoletane, secondo cui è da anticipare di almeno un decennio la data di
nascita del Rossi per conclamare un lungo alunnato in età giovanile presso la
bottega del Reni (voluta dal suo primo maestro Stanzione che ha grande
ammirazione per il bolognese), risulta improbabile. Considerando, infatti, che
Guido muore nel 1642 e che le opere in Certosa sono datate nel 1644, anche se
il giovane frequenta la bottega reniana per poco tempo, sembra tuttavia
inverosimile l’ipotesi secondo la quale Nunzio arriva all’impresa della Certosa
in età matura, se non altro perché la testimonianza del Masini è contemporanea
all’attività dell’artista napoletano in Certosa e quindi a conferma della
probabile nascita del Rossi nel 1626.
Sempre
per i certosini, Nunzio Rossi esegue una serie
pittorica di quattro Evangelisti (Matteo, Luca, Giovanni e Marco) collocati
nella chiesa di San Girolamo alla Certosa,
mentre di molte altre opere ricordate dalle fonti e realizzate per lo stesso
ordine, purtroppo si sono perse completamente le tracce.
Il
giovane pittore napoletano operò anche per l’aristocrazia bolognese, un esempio
è il Sacrificio di Mosè dipinto per palazzo Bargellini, dove è evidente
un'esecuzione estranea al contesto artistico cittadino. Rossi quindi dichiara
apertamente un rifiuto per la tradizione classica bolognese a favore di un
gusto fatto di crudo realismo dai toni a volte quasi tenebrosi, in parte
liberati dagli effetti luministici e chiaroscurali.
Carlo
Celano, ne Le Notizie del bello,
dell'antico e del curioso della Città di Napoli del 1692, annota che dopo
il soggiorno bolognese Nunzio Rossi fece ritorno a Napoli, dove eseguì alcuni
degli affreschi per la chiesa di San
Pietro a Maiella, tra il 1644 e il 1646. Questi dipinti, per lungo tempo
dimenticati dalla critica, sono caratterizzati da un intenso naturalismo e
rappresentano San Benedetto che dà i precetti
ai Celestini e San Pietro Celestino
che impone gli statuti dell’ordine. Gli affreschi rimasti per lungo tempo
coperti e danneggiati, oggi sono in parte recuperati.
Di
questo periodo napoletano è anche l’Assunta
di Castellammare, per lungo tempo assegnata a Lanfranco e restituita a Nunzio
Rossi da Giuseppe De Vito che ne sottolinea il rapporto con l’arte emiliana, in
particolare del Reni, Domenichino e Lanfranco, già a Napoli nella Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo e nella Certosa di San Martino.
Il ritorno
nella città partenopea si deve collocare tra il 1644 e il 1646 prima della
partenza per Messina dove il pittore soggiornò sicuramente dal 1646 al 1649 al
servizio della famiglia dei principi Ruffo. Un chiaro segno del successo che
Rossi raggiunse è il compito di decorare la sua maestosa residenza
commissionatogli appunto dal principe Ruffo. Rossi affrescò diverse stanze del
palazzo Bagnara dei Ruffo, ma purtroppo i dipinti oggi non sono visibili perché
perduti a causa del terremoto del 1783. Le fonti indicano che tra il 1646 ed il
1649 nella collezione Ruffo sono presenti quattro
Baccanali (integrati in seguito da altri cinque) e da un Apollo e Marsia. Anche di questo
periodo, tuttavia, rimangono pochissime opere certe e gran parte di quelle
ricordate dai documenti antichi sono andate perdute o al momento non
rintracciabili.
Lo
stile del Rossi manifesta un gusto per la pennellata densa e pastosa, impressa
sulla tela con forza, che immerge le sue origini nel naturalismo, da Ribera al Maestro dell’Annuncio ai pastori
(anonimo pittore attivo a Napoli tra il 1630-60). La sua vena di narratore si
enuncia nelle fisionomie stravolte dei suoi personaggi, che nelle tele bolognesi
risentono del gigantismo delle opere di Pellegrino
Tibaldi.
Francesco
Susino ne Le Vite de' Pittori Messinesi
nel 1724 annota che Nunzio Rossi da Messina si trasferì a Palermo, dove esercitò
un’intensa attività pittorica, pare fino agli ultimi decenni del secolo. Questo
periodo finale di produttività dell’artista contrasta però col racconto di
Bernardo De Dominici ne Le Vite de’
Pittori, Scultori, Architetti Napoletani del 1745 che colloca la morte del
pittore a soli venticinque anni.
Indubbiamente
le incertezze e le contraddizioni nelle fonti non tolgono merito a
quest’artista che con grande originalità seppe farsi spazio nel panorama
artistico dell’epoca, da Napoli a Bologna fino alla Sicilia, circostanza questa
che giustifica l’interesse di studiosi dalle realtà culturali diverse.
Rosaria Esposito
Su questo pittore ho scritto e discusso la mia tesi di laurea. Ma è un piacere apprendere che è ancora oggetto di interesse.
RispondiEliminaBuongiorno, sarebbe possibile leggere la sua tesi?
EliminaGrazie,
Barbara Lavorini
Salve, la tesi è consultabile su tesionline.it
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