Non è
stato facile trovare opere di Sofonisba del periodo successivo al soggiorno in
Spagna. Si sa solo che, non avendo più legami con Palermo, Sofonisba decise di
ritornare a Cremona.
Nell’autunno del 1579 con
il fratello, che l’aveva raggiunta per aiutarla, si imbarcò da Palermo alla
volta della Liguria, ma il maltempo li costrinse a sbarcare con tutti i beni a
Livorno, perché il viaggio in mare, alle soglie dell’inverno, era diventato troppo
pericoloso. In questo viaggio di ritorno, Sofonisba trovò il grande
amore in un nobile genovese, il giovane
capitano Orazio Lomellini, di quindici anni più
giovane di lei, che aveva conosciuto poco prima
della partenza dalla Sicilia e con il quale si avvicinò in un
avventuroso sbarco a Livorno: fu un amore sereno che durò l’intera vita.
A Pisa, dove si era provvisoriamente trasferita da Livorno,
entro il Natale del 1579 Sofonisba si risposò, contro il volere del fratello e
della corte spagnola.
Orazio Lomellini apparteneva ad un’importante casata
genovese, ma era un figlio naturale, molto legato alla propria attività
marinara e mercantile; per tutta la vita fece la spola tra Genova e la Sicilia,
dapprima come capitano di una grande galea della Repubblica, la Patrona, poi in proprio, assumendo ruoli
sempre più importanti nella nazione
genovese di Palermo e distaccandosi dalla città natale.
Dal 1580 al 1615,
i coniugi vissero a Genova.
Genova
viveva in quel periodo un momento di formidabile sviluppo economico e politico,
essendo inserita in un circuito che legava i grandi centri del potere europeo. All'inizio del Quattrocento la Liguria era stata interessata dalla cosiddetta congiuntura Nord-Sud, una corrente in cui elementi fiamminghi e
mediterranei si fondevano insieme, favoriti dai commerci e dalle relazioni
politiche. Napoli fu l'epicentro della congiuntura Nord-Sud in un arco vastissimo e disomogeneo, che comprendeva anche la
Provenza, Palermo e Valencia, mentre nella ricchissima Genova la scena artistica locale decollò solo nel Cinquecento, col
rinnovamento architettonico di Galeazzo Alessi, Giovan Battista
Castello e Bernardino Cantone. La riqualificazione della Strada Nuova, l'attuale Via Garibaldi, richiese anche un'abbondante produzione di affreschi.
Sofonisba
giunse a Genova proprio in quel momento di eccezionale protagonismo della
città, agli inizi della stagione nella quale l’aristocrazia genovese voleva e
riusciva a mostrare il ruolo internazionale raggiunto: l’eccezionale sviluppo edilizio con la diffusione di un’originale tipologia di
palazzi e di ville e la coeva necessità di esprimere una grande decorazione che
attraverso iconografie appropriate dichiarasse la virtù della classe dominante lo testimoniano.
A
Genova, Sofonisba venne a contatto con una
cultura figurativa, rappresentata da Bernardo
Castello (1557 – 1629) e dal Genovese (1584-1631), ma soprattutto da Luca Cambiaso (1527 –
1585): avvicinandosi alla loro
pittura dove la ricerca di effetti naturalistici e la pratica dell'esercizio
dal vero seguivano i nuovi orientamenti del gusto e della trattatistica,
seguiti al Concilio di Trento:
non a caso un disegno con un Bambino
punto da un granchio datato 1591, ora a Capodimonte, è stato posto in
relazione a un'opera quasi coeva del giovane Caravaggio, il Ragazzo morso da un ramarro.
Anche in questi anni in cui – lei già anziana – si avverte la
suggestione di un maestro come Luca Cambiaso, la pittura di Sofonisba mantiene
una nettezza di colore e di disegno che è la sigla della sua formazione
cinquecentesca, senza che questa collocazione storica ne diminuisse la fama.
Nel 1599 sostò presso di lei l'infanta Isabella, diretta a
Vienna in occasione del suo matrimonio con l’arciduca Alberto.
A
Genova, in questa fervida città colma di ricchezze la pittrice continuò
a dipingere per le famiglie patrizie. Con il suo stile inconfondibile portò
un’innovazione alla pittura, apprezzata in seguito da Rubens e Van Dyck, molto
interessati all’attività di Sofonisba. Di trenta anni di lavoro a Genova, sono
rimaste poche opere. Rubens le fece visita tra il 1607-1608, avendo ammirato i
suoi ritratti durante un suo viaggio in Spagna, tra le tele della collezione
reale spagnola e ne copiò uno di Isabella di Valois.
Nel
1615, Sofonisba, ormai ottuagenaria, si trasferì insieme al marito a Palermo,
dove egli aveva numerosi interessi, avendo
accumulato cariche e impegni; la coppia comprò casa nell’antichissimo quartiere
arabo di Seralcadi, dove continuò a dipingere nonostante un forte calo
della vista, che alla lunga le impedì di continuare a esercitare la sua arte.
Anche quando smise di dipingere, probabilmente,
fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la Chiesa di San Giorgio retta dalla nazione dei genovesi.
Il 12 luglio del 1624, a poche settimane dallo scoppio di una
tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, il giovane Antoon Van Dyck (1599-1641), succedutole come ritrattista ufficiale della corte spagnola e chiamato a Palermo per dipingere il ritratto del viceré Emanuele Filiberto di Savoia, si recò in visita colmo di rispetto e ammirazione da donna Sofonisba, ormai novantenne e quasi cieca. La pittrice affascinò Antoon Van Dyck con la propria lucidità e vivacità di conversazione da indurlo a redigere una memorabile pagina di appunti pro-memoria nel suo taccuino italiano.
Accanto ad altri disegni e note che testimoniano il soggiorno
palermitano tra streghe condotte all'autodafé, suonatori di liuto e
commedianti, raffigurata di tre quarti seduta in poltrona, le mani strette ai
braccioli, la testa coperta da una cuffia e lo sguardo offuscato dall'età
eppure vigile, come attento a cogliere a decifrare qualsiasi movimento si svolgesse
intorno alla sua figura rattrappita.
Nel taccuino, Van Dyck la descrive pronta di memoria e di
mente, cortesissima, ancora molto vitale e al centro di una sorta di cenacolo
intellettuale. Van Dyck scrisse tra
l’altro: «… ancora contò parte della
vita di essa, per la quale se conobbe essere pittora de natura et miracolosa et
la pena magiore che hebbe era per mancamento de vista de non poter più
dipingere». E così Van Dyck la dipinse in
una tela dove l'inquadratura leggermente rialzata a mezza figura: infatti, in
un estremo residuo di civetteria, la pittrice chiese al giovanissimo collega di
non ritrarla troppo dall'alto, «a ciò che
le ombre nelle rughe della vecchiaia non diventassero troppo grandi» e Van
Dyck accentuò il brillio superstite in quel volto prosciugato dall'età e
ripiegato sul busto.
L’artista
olandese prese numerosi appunti sui racconti e sui consigli tecnici della
cremonese – specialmente sull’uso della luce dal basso nella ritrattistica – e,
sullo stesso quaderno, schizzò perfino un ritratto della vecchia artista: un
ritratto fresco ed efficace, che costituisce un nuovo documento biografico
dell’artista.
Lo stesso volto pochi mesi più tardi sarebbe stato effigiato
in un altro ritratto custodito presso la Galleria
Sabauda di Torino, questa volta sul letto di morte, realizzato in
circostanze ancora da chiarire.
È facile leggere in quell'incontro tra due artisti
così lontani per età, per formazione e cultura, l’ultimo incontro tra due
mondi, quello di una pittura internazionale cresciuta nel Cinquecento da
nutrimenti diversi all'interno della corte del Regno di Spagna – un ambiente
prezioso, una serra di artificio, di pompa e di lutto – e quello del nuovo
orientamento della grande stagione seicentesca che stava già conducendo nel
nome del colore e di una stesura di tocchi rapidi e di ampie pennellate, a un
nuovo gusto internazionale tra Genova, le Fiandre e ben presto Londra, dove Van
Dyck si recò agli inizi degli anni Trenta.
È altrettanto facile la suggestione di leggere
in quegli incontri l'incrociarsi delle ampie traiettorie della grande geografia
europea del tempo e dei suoi modelli irradiati a ventaglio lungo le rotte della
politica e del commercio di cui proprio Palermo era uno dei terminali, perché
entrambi, Sofonisba e Van Dyck, furono artisti pronti ad affrontare
trasferimenti e lunghi viaggi, come era del resto frequente a quell'epoca,
sebbene da una prospettiva diversa che legava l'Anguissola alla condizione di
moglie e di donna di corte di contro alla spavalda conquista del mondo che si
apriva dinanzi al brillante e dotato allievo di Rubens. Varia, la lunga vita di
Sofonisba Anguissola, e paradigmatica almeno nei luoghi e negli spostamenti
della civiltà e degli imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II.
Anche se non sappiamo se tra i motivi che spinsero Van Dyck a
recarsi in visita presso la casa ubicata nei pressi dell'attuale Chiesa di Santa Maria del Piliere vi
fossero ugualmente ragioni di opportunità oltre che di stima e di omaggio. La
potente colonia dei mercanti genovesi a Palermo, dalle cui mani passava gran
parte del traffico commerciale e delle risorse finanziarie – tanto che Braudel
definì il Cinquecento tutto come «il secolo dei genovesi» – era il milieu in cui si muoveva il giovane
artista (e come il suo maestro eccellente diplomatico) proveniente del resto
proprio da Genova. Agli occhi malati della vecchia pittrice, il ritratto (il
disegno o il dipinto) che Van Dyck sottopose al suo esame dovette apparire con
tutta probabilità radicalmente diverso, nella sua mobilità psicologica e
luministica, dalla fissità quieta con cui i suoi autoritratti fissavano lo
spettatore da un mondo senza increspature.
Malgrado
i suoi due matrimoni Sofonisba non ebbe figli e tenne sempre vivi i contatti
con i lontani nipoti di Cremona in particolare con Bianca, una figlia di Europa
Anguissola che mantenne rapporti epistolari con la zia. Ma Sofonisba ebbe
rapporti cordiali anche con Giulio, figlio naturale di Orazio Lomellini che, in
suo onore, chiamò Sofonisba una delle sue figlie. Dopo essere vissuta a cavallo
tra due grandi secoli per l’arte italiana, la grande vecchia della pittura fu attiva fino all’estate del 1625.
Nello
stesso anno, il 16 novembre, morì e fu sepolta nella stessa Palermo,
all’interno della chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Purtroppo non c’è più
traccia della sua tomba, ma è rimasta una commossa lapide posta dal marito nel
centenario della sua nascita. La lapide descrive perfettamente Sofonisba: «Alla moglie Sofonisba, del nobile casato
degli Anguissola, posta tra le donne illustri del modo per la bellezza
straordinarie doti di natura, e tanto insigne nel ritrarre le immagini umane
che nessuno del suo tempo poté esserle pari, Orazio Lomellini, colpito da
immenso dolore, pose questo estremo segno di onore, esiguo per tale donna, ma
il massimo per i comuni mortali».
Sofonisba
Anguissola lasciò diversi dipinti, oggi conservati in prestigiosi musei
d’Europa e d’America. Insieme ad Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera ed
Angelica Kauffman è considerata una della più importanti pittrici della storia.
Sono celebri i suoi autoritratti,
il ritratto di Filippo II, la
partita a scacchi, i ritratti di Isabella di Valois, i
ritratti multipli, quelli di nobildonne, dei reali di Spagna e dei suoi stessi
familiari.
In
questi ultimi anni, sulla scia entusiastica della scoperta della Madonna dell’Itria di Paternò, a
Sofonisba sono state attribuite nuove opere conservate in Italia presso privati
e raccolte pubbliche. Si tratta spesso di splendidi ritratti, quale ad esempio
il magnifico Canonico lateranense del
1555, scoperto a Palermo; il Ritratto
di Margherita di Savoia con il leone sabaudo alla catena del 1604
della Galleria Sabauda Torino, ma anche una Sacra Famiglia del 1585.
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