domenica 15 giugno 2014

Sofonisba Anguissola: dal 1579 alla morte Di Massimo Capuozzo

Non è stato facile trovare opere di Sofonisba del periodo successivo al soggiorno in Spagna. Si sa solo che, non avendo più legami con Palermo, Sofonisba decise di ritornare a Cremona. 
Nell’autunno del 1579 con il fratello, che l’aveva raggiunta per aiutarla, si imbarcò da Palermo alla volta della Liguria, ma il maltempo li costrinse a sbarcare con tutti i beni a Livorno, perché il viaggio in mare, alle soglie dell’inverno, era diventato troppo pericoloso. In questo viaggio di ritorno, Sofonisba trovò il grande amore in un nobile genovese, il giovane capitano Orazio Lomellini, di quindici anni più giovane di lei, che aveva conosciuto poco prima della partenza dalla Sicilia e con il quale si avvicinò in un avventuroso sbarco a Livorno: fu un amore sereno che durò l’intera vita.
A Pisa, dove si era provvisoriamente trasferita da Livorno, entro il Natale del 1579 Sofonisba si risposò, contro il volere del fratello e della corte spagnola.
Orazio Lomellini apparteneva ad un’importante casata genovese, ma era un figlio naturale, molto legato alla propria attività marinara e mercantile; per tutta la vita fece la spola tra Genova e la Sicilia, dapprima come capitano di una grande galea della Repubblica, la Patrona, poi in proprio, assumendo ruoli sempre più importanti nella nazione genovese di Palermo e distaccandosi dalla città natale.
Dal 1580 al 1615, i coniugi vissero a Genova
Genova viveva in quel periodo un momento di formidabile sviluppo economico e politico, essendo inserita in un circuito che legava i grandi centri del potere europeo. All'inizio del Quattrocento la Liguria era stata interessata dalla cosiddetta congiuntura Nord-Sud, una corrente in cui elementi fiamminghi e mediterranei si fondevano insieme, favoriti dai commerci e dalle relazioni politiche. Napoli fu l'epicentro della congiuntura Nord-Sud in un arco vastissimo e disomogeneo, che comprendeva anche la Provenza, Palermo e Valencia, mentre nella ricchissima Genova la scena artistica locale decollò solo nel Cinquecento, col rinnovamento architettonico di Galeazzo Alessi, Giovan Battista Castello e Bernardino Cantone. La riqualificazione della Strada Nuova, l'attuale Via Garibaldi, richiese anche un'abbondante produzione di affreschi.
Sofonisba giunse a Genova proprio in quel momento di eccezionale protagonismo della città, agli inizi della stagione nella quale l’aristocrazia genovese voleva e riusciva a mostrare il ruolo internazionale raggiunto: l’eccezionale sviluppo edilizio con la diffusione di un’originale tipologia di palazzi e di ville e la coeva necessità di esprimere una grande decorazione che attraverso iconografie appropriate dichiarasse la virtù della classe dominante lo testimoniano.
A Genova, Sofonisba venne a contatto con una cultura figurativa, rappresentata da Bernardo Castello (1557 – 1629) e dal Genovese (1584-1631), ma soprattutto da Luca Cambiaso (1527 – 1585): avvicinandosi alla loro pittura dove la ricerca di effetti naturalistici e la pratica dell'esercizio dal vero seguivano i nuovi orientamenti del gusto e della trattatistica, seguiti al Concilio di Trento: non a caso un disegno con un Bambino punto da un granchio datato 1591, ora a Capodimonte, è stato posto in relazione a un'opera quasi coeva del giovane Caravaggio, il Ragazzo morso da un ramarro.

Anche in questi anni in cui – lei già anziana – si avverte la suggestione di un maestro come Luca Cambiaso, la pittura di Sofonisba mantiene una nettezza di colore e di disegno che è la sigla della sua formazione cinquecentesca, senza che questa collocazione storica ne diminuisse la fama.
Nel 1599 sostò presso di lei l'infanta Isabella, diretta a Vienna in occasione del suo matrimonio con l’arciduca Alberto.
A Genova, in questa fervida città colma di ricchezze la pittrice continuò a dipingere per le famiglie patrizie. Con il suo stile inconfondibile portò un’innovazione alla pittura, apprezzata in seguito da Rubens e Van Dyck, molto interessati all’attività di Sofonisba. Di trenta anni di lavoro a Genova, sono rimaste poche opere. Rubens le fece visita tra il 1607-1608, avendo ammirato i suoi ritratti durante un suo viaggio in Spagna, tra le tele della collezione reale spagnola e ne copiò uno di Isabella di Valois.
Nel 1615, Sofonisba, ormai ottuagenaria, si trasferì insieme al marito a Palermo, dove egli aveva numerosi interessi, avendo accumulato cariche e impegni; la coppia comprò casa nell’antichissimo quartiere arabo di Seralcadi, dove continuò a dipingere nonostante un forte calo della vista, che alla lunga le impedì di continuare a esercitare la sua arte. Anche quando smise di dipingere, probabilmente, fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la Chiesa di San Giorgio retta dalla nazione dei genovesi.

Il 12 luglio del 1624, a poche settimane dallo scoppio di una tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, il giovane Antoon Van Dyck (1599-1641), succedutole come ritrattista ufficiale della corte spagnola e chiamato a Palermo per dipingere il ritratto del viceré Emanuele Filiberto di Savoia, si recò in visita colmo di rispetto e ammirazione da donna Sofonisba, ormai novantenne e quasi cieca. La pittrice affascinò Antoon Van Dyck con la propria lucidità e vivacità di conversazione da indurlo a redigere una memorabile pagina di appunti pro-memoria nel suo taccuino italiano.

Accanto ad altri disegni e note che testimoniano il soggiorno palermitano tra streghe condotte all'autodafé, suonatori di liuto e commedianti, raffigurata di tre quarti seduta in poltrona, le mani strette ai braccioli, la testa coperta da una cuffia e lo sguardo offuscato dall'età eppure vigile, come attento a cogliere a decifrare qualsiasi movimento si svolgesse intorno alla sua figura rattrappita.

Nel taccuino, Van Dyck la descrive pronta di memoria e di mente, cortesissima, ancora molto vitale e al centro di una sorta di cenacolo intellettuale. Van Dyck scrisse tra l’altro: «… ancora contò parte della vita di essa, per la quale se conobbe essere pittora de natura et miracolosa et la pena magiore che hebbe era per mancamento de vista de non poter più dipingere». E così Van Dyck la dipinse in una tela dove l'inquadratura leggermente rialzata a mezza figura: infatti, in un estremo residuo di civetteria, la pittrice chiese al giovanissimo collega di non ritrarla troppo dall'alto, «a ciò che le ombre nelle rughe della vecchiaia non diventassero troppo grandi» e Van Dyck accentuò il brillio superstite in quel volto prosciugato dall'età e ripiegato sul busto.
L’artista olandese prese numerosi appunti sui racconti e sui consigli tecnici della cremonese – specialmente sull’uso della luce dal basso nella ritrattistica – e, sullo stesso quaderno, schizzò perfino un ritratto della vecchia artista: un ritratto fresco ed efficace, che costituisce un nuovo documento biografico dell’artista.
Lo stesso volto pochi mesi più tardi sarebbe stato effigiato in un altro ritratto custodito presso la Galleria Sabauda di Torino, questa volta sul letto di morte, realizzato in circostanze ancora da chiarire.
È facile leggere in quell'incontro tra due artisti così lontani per età, per formazione e cultura, l’ultimo incontro tra due mondi, quello di una pittura internazionale cresciuta nel Cinquecento da nutrimenti diversi all'interno della corte del Regno di Spagna – un ambiente prezioso, una serra di artificio, di pompa e di lutto – e quello del nuovo orientamento della grande stagione seicentesca che stava già conducendo nel nome del colore e di una stesura di tocchi rapidi e di ampie pennellate, a un nuovo gusto internazionale tra Genova, le Fiandre e ben presto Londra, dove Van Dyck si recò agli inizi degli anni Trenta.
È altrettanto facile la suggestione di leggere in quegli incontri l'incrociarsi delle ampie traiettorie della grande geografia europea del tempo e dei suoi modelli irradiati a ventaglio lungo le rotte della politica e del commercio di cui proprio Palermo era uno dei terminali, perché entrambi, Sofonisba e Van Dyck, furono artisti pronti ad affrontare trasferimenti e lunghi viaggi, come era del resto frequente a quell'epoca, sebbene da una prospettiva diversa che legava l'Anguissola alla condizione di moglie e di donna di corte di contro alla spavalda conquista del mondo che si apriva dinanzi al brillante e dotato allievo di Rubens. Varia, la lunga vita di Sofonisba Anguissola, e paradigmatica almeno nei luoghi e negli spostamenti della civiltà e degli imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II.
Anche se non sappiamo se tra i motivi che spinsero Van Dyck a recarsi in visita presso la casa ubicata nei pressi dell'attuale Chiesa di Santa Maria del Piliere vi fossero ugualmente ragioni di opportunità oltre che di stima e di omaggio. La potente colonia dei mercanti genovesi a Palermo, dalle cui mani passava gran parte del traffico commerciale e delle risorse finanziarie – tanto che Braudel definì il Cinquecento tutto come «il secolo dei genovesi» – era il milieu in cui si muoveva il giovane artista (e come il suo maestro eccellente diplomatico) proveniente del resto proprio da Genova. Agli occhi malati della vecchia pittrice, il ritratto (il disegno o il dipinto) che Van Dyck sottopose al suo esame dovette apparire con tutta probabilità radicalmente diverso, nella sua mobilità psicologica e luministica, dalla fissità quieta con cui i suoi autoritratti fissavano lo spettatore da un mondo senza increspature.
Malgrado i suoi due matrimoni Sofonisba non ebbe figli e tenne sempre vivi i contatti con i lontani nipoti di Cremona in particolare con Bianca, una figlia di Europa Anguissola che mantenne rapporti epistolari con la zia. Ma Sofonisba ebbe rapporti cordiali anche con Giulio, figlio naturale di Orazio Lomellini che, in suo onore, chiamò Sofonisba una delle sue figlie. Dopo essere vissuta a cavallo tra due grandi secoli per l’arte italiana, la grande vecchia della pittura fu attiva fino all’estate del 1625.
Nello stesso anno, il 16 novembre, morì e fu sepolta nella stessa Palermo, all’interno della chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Purtroppo non c’è più traccia della sua tomba, ma è rimasta una commossa lapide posta dal marito nel centenario della sua nascita. La lapide descrive perfettamente Sofonisba: «Alla moglie Sofonisba, del nobile casato degli Anguissola, posta tra le donne illustri del modo per la bellezza straordinarie doti di natura, e tanto insigne nel ritrarre le immagini umane che nessuno del suo tempo poté esserle pari, Orazio Lomellini, colpito da immenso dolore, pose questo estremo segno di onore, esiguo per tale donna, ma il massimo per i comuni mortali».
Sofonisba Anguissola lasciò diversi dipinti, oggi conservati in prestigiosi musei d’Europa e d’America. Insieme ad Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera ed Angelica Kauffman è considerata una della più importanti pittrici della storia. Sono celebri i suoi autoritratti, il ritratto di Filippo II, la partita a scacchi, i ritratti di Isabella di Valois, i ritratti multipli, quelli di nobildonne, dei reali di Spagna e dei suoi stessi familiari.
In questi ultimi anni, sulla scia entusiastica della scoperta della Madonna dell’Itria di Paternò, a Sofonisba sono state attribuite nuove opere conservate in Italia presso privati e raccolte pubbliche. Si tratta spesso di splendidi ritratti, quale ad esempio il magnifico Canonico lateranense del 1555, scoperto a Palermo; il Ritratto di Margherita di Savoia con il leone sabaudo alla catena del 1604 della Galleria Sabauda Torino, ma anche una Sacra Famiglia del 1585.

Massimo Capuozzo

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog