mercoledì 18 settembre 2013

La modernità dello 'Spedale degli Innocenti di Massimo Capuozzo

Le realizzazioni e i progetti più importanti del '400 furono legati ai nomi di grandi committenti e di esperti architetti. Gli interventi furono fortemente caratterizzati dalle esigenze e dalle personalità del committente si tratta dunque di strutture e di forme nelle quali si rispecchiavano soprattutto i gruppi di potere.
Nel Rinascimento vi fu una fioritura di modelli teorici di città ideali, caratterizzate da una rigorosa simmetria, basate non più sulla casualità, come avveniva nel Medioevo quando l’architettura era spontanea, ma su di una concezione razionale degli spazi urbani e delle strutture architettoniche.
Per architettura spontanea nel Medioevo si intendono le costruzioni di cui gli uomini si servivano per rispondere a molteplici esigenze: abitativa, lavorativa, immagazzinamento di attrezzi e prodotti. L’espressione architettura spontanea fu creata dallo storico e architetto Bernard Rudofsky (1905  1988) per indicare quelle forme edilizie spontanee quei tipi di architettura non sottoposti a regole fissate dalla comunità riguardo all'organizzazione del territorio e alla tipologia edilizia ecc. Inoltre tali costruzioni erano caratterizzate da tecniche costruttive e materiali adeguati alle condizioni ambientali, climatiche e morfologiche della zona. Si trattava sostanzialmente di un’architettura legata alla vita familiare e sviluppata fra l'alto Medioevo e il XIV secolo: la famiglia aveva bisogno di costruzioni articolate in diversi spazi perché nell'abitazione vi risiedevano più famiglie imparentate, strettamente, inoltre la famiglia costituiva un’unità produttiva legata all'agricoltura e al sostentamento. Le caratteristiche di questo tipo di architettura si mantennero immutate nel tempo, tanto da formare un insieme omogeneo e rendere difficile un’esatta datazione degli edifici. Tra gli elementi più peculiari ci sono sicuramente l'arco e la scala rampante o a dorso d'asino. L'arco ha funzione di ingresso o meglio, di passaggio tra la strada e l'abitazione, mentre ai piani superiori delimita un particolare terrazzo. La scala rampante, appoggiata sull'arco stesso, è la soluzione più comune per raggiungere i piani superiori. Le volte sono sempre a vela o a botte.
Nel Rinascimento nacque invece un'ideale di città tesa a rispondere a esigenze di purezza, armonia ed equilibrio e questo ideale fu usato come modello per ridisegnare città esistenti e per progettarne di nuove.
Un precoce esempio di questo fenomeno è costituito dai nuovi insediamenti realizzati sul territorio di Firenze, tutti progettati secondo un tracciato geometrico e raggruppati attorno ad un quadrato centrale. Almeno uno degli edifici più importanti di ogni città, la chiesa o il palazzo, doveva affacciarsi sulla piazza centrale, spesso definita da un porticato. Queste nuove aree urbane erano circondate da mura difensive altrettanto regolari. La città è impiantata su una griglia prospettica, mentre l'elevazione di ciascun edificio è segmentata e scandita per mezzo di strutture classiche come il portico e la trabeazione. Data l'assoluta regolarità del progetto, nel suo insieme, e della struttura architettonica, risulta impossibile aggiungere o sottrarre qualcosa al disegno senza comprometterlo.
Nel 1419 Brunelleschi ricevette l’incarico di realizzare una struttura di utilità pubblica: lo ‘Spedale degli Innocenti, un’istituzione creata nell'ambito dell’ampio programma di centri benessere, promosso dall'oligarchia al potere per migliorare la vita della cittadinanza, assicurando una migliore assistenza sociale e sanitaria.
L'edificio fu edificato su un giardino situato accanto alla chiesa della Santissima Annunziata e ceduto a poco prezzo da Rinaldo degli Albizi di cui era proprietario.
Lo ‘Spedale degli Innocenti era la prima istituzione di questo genere in Europa e fu ideato per curare e allevare i bambini orfani o abbandonati e per dar loro un mestiere: Brunelleschi qui realizzò un esempio armonico e razionale di architettura ospedaliera nell'insieme di chiostri, portici, refettori, dormitori, infermerie e nursery.
Nel 1421 Giovanni de’ Medici fu eletto Gonfaloniere di Giustizia: il ricco banchiere conquistò le simpatie del popolo incominciando una politica di opere pubbliche e d’assistenza volte a corredare le città di attrezzature civili che si affiancassero a quelle religiose per sopperire alle nuove e sempre più urgenti esigenze sociali. Nel vasto programma edilizio fu compresa la costruzione dello ‘Spedale degli Innocenti il cui patronato fu affidato all'Arte della Seta, essendo già essa impegnata dal 1419 nei lavori di edificazione. Nel 1445, sebbene i lavori non fossero ancora conclusi, l'ospedale divenne funzionale.
Con quest’opera di architettura civile Brunelleschi, privilegiando l’aspetto funzionale piuttosto che quello formale, entra ancor di più nella modernità: l’architetto, infatti, realizzò un orfanotrofio, tenendo conto essenzialmente delle funzioni cui esso avrebbe dovuto assolvere, rivelando in tal modo una mentalità molto avanzata per la sua epoca. In questo contenitore i bambini abbandonati dovevano ricevere un’istruzione, perciò creò dei laboratori, una biblioteca e spazi per momenti di svago all’aria aperta.
Dal punto di vista formale l’opera si presenta semplice e schematica: è un contenitore aperto solo all’interno su un cortile quadrato con due edifici rettangolari, la chiesa e la sala dei letti, il piano terra è composto da saloni adibiti alla scuola e da un'officina.  All’esterno l’edificio si manifesta come un porticato di grande valore urbanistico, elemento di mediazione tra la vita privata e la vita pubblica, immaginato come una quinta muraria-filtro con valore simbolico tra il vuoto della piazza antistante e il pieno del contenitore.
La classificazione delle piazze – le cui funzioni si fissano nei tre tipi, religioso la piazza della cattedrale, politico la piazza del comune e commerciale la piazza del mercato – che nel basso Medioevo era stata raggiunta attraverso lo sforzo continuo, teso a ordinare unitariamente la vita cittadina in pieno sviluppo e lo spontaneo senso della proporzione edilizia, non regolamentato da leggi, ma guidato dall'intuito urbanistico, trovarono nella tendenza a teorizzare tipica del Rinascimento una codificazione in regole, in proporzioni, in numeri. L'interesse e l'amore per la prospettiva e per il composto hanno nelle piazze il più ampio e monumentale campo di applicazione e tutto ciò che nel Medioevo era empirico, nel Rinascimento tese a fissarsi in leggi precise: era l'epoca – si è detto – delle città ideali dei trattatisti e quella delle fantasie prospettiche ed è quindi ovvio che la composizione edilizia delle piazze si sia prestata alle fantasie degli architetti e dei trattatisti. Se in realtà le realizzazioni complete delle città ideali sono state poche, le creazioni di piazze invece furono molte: si potrebbe dire che, gli architetti non potendo realizzare del tutto le loro complesse città, si siano sfogati a creare quelle piazze monumentali e organiche che, sotto l'apparenza del fantastico, nascondono lo studio sottile e ingegnoso degli effetti prospettici. Ma in questa traduzione pratica di quelle norme che il Rinascimento ricercava con tanta cura, il numero e il postulato si perdono nella fantasia dell'architetto urbanista e ne rimane l'opera d'arte equilibrata e perfetta, nella quale la pratica ha superato la teoria. Così la caratteristica tripartizione medievale nel Rinascimento non ha più la chiarezza dei secoli precedenti: ma la piazza diventa un episodio estetico e prospettico, quasi uno scenario, quasi una sala di ricevimento della città.
Questo avviene con la piazza della SS Annunziata definita da Bruno Zevi «Prototipo della misura urbana rinascimentale». Il portico dello ‘Spedale occupa un lato della piazza; ma una piazza non è una scatola, è uno spazio aperto e frequentato, non si può chiuderla tra quattro pareti–saracinesche. La facciata di un edificio che ne costituisce un lato appartiene all'edificio e alla piazza, pertanto deve mettere in relazione e in proporzione un volume pieno – l’edificio – e uno vuoto – lo spazio urbanistico della piazza.

Brunelleschi pensa allora alle piazze antiche, porticate e pensa alla funzione urbana e sociale delle logge trecentesche fiorentine – la loggia della Signoria e la loggia del Bigallo – concepite quasi come il simbolo stesso della città, con i suoi spazi comunitari a misura d’uomo. Progetta allora una facciata porticata o a loggia: una superficie in cui si inscriva una profondità, un piano in cui il volume pieno dell'edificio e il volume vuoto della piazza si compenetrino. La proporzione tra i due volumi è espressa, su quel piano-diaframma, dalla misura degli archi a tutto sesto, dal rapporto tra la loro apertura e l'altezza delle colonne, e dall'apparente, prospettico scalare del piano superiore, a finestre. Nel portico Brunelleschi introduce le volte a vela al posto della volta a crociera, che aveva caratterizzato le architetture precedenti, e crea valori spaziali assolutamente originali, che funsero da modello per tutto il secolo. Le esili colonne in pietra serena, sormontate da capitelli corinzi e dalla raffinata invenzione del dado brunelleschiano proposero anch’esse nuovi parametri all’architettura rinascimentale che, da Firenze, si irradiò in Toscana e nel resto d’Italia.
Le arcate, nove come i gradini, sono pari all’altezza delle colonne e alla profondità del portico mentre l’arco sovrastante è alto la metà di questa misura. Nei pennacchi ci sono tondi in terracotta policroma invetriata, realizzati da Andrea Della Robbia che raffigurano dei putti in fasce, gli innocenti, cioè i bambini abbandonati.
L’utilizzazione della pietra serena in contrasto con il bianco dell’intonaco, materiali scelti soprattutto per questioni di economiche, rappresentò certamente una grande innovazione che segnò molto dell’architettura fiorentina tanto da diventarne un emblema, ma anche di altre aree culturali.
Il tema della tridimensionalità lega a sé il tema del modulo geometrico che è anche modulo compositivo. Il modulo è una misura di grandezza o un’unità che è ripetuta più volte in maniera da dare proporzioni equilibrate a un edificio o a un insieme di edifici. Nell'ambito dell'architettura moderna un modulo è un'unità ripetuta più volte: l'architettura modulare è stata molto diffusa nel XX secolo nell'edilizia popolare e industriale, basti pensare alla produzione standardizzata, basata su un modulo replicabile all'infinito, un concetto che domina tutta la produzione di Le Corbusier.
Per la costruzione dello ‘Spedale degli Innocenti, attraverso il sistema modulare Brunelleschi, stabilendo una misura standard, costruì tutte le altre strutture adiacenti: immaginò un modulo che si ripete, basandolo sugli schemi cubici già cari agli antichità classica (1x1x1). Il tema progettuale è così connesso all’individuazione di questo ritmo; nel porticato tuttavia, a un certo punto il ritmo s’interrompe: Brunelleschi creò allora due ultimi elementi sciolti ritmicamente dal resto dell’edificio. Con lo ‘Spedale degli Innocenti, Brunelleschi affrontò un motivo consueto negli edifici fiorentini del tardo Trecento, ma con spirito del tutto nuovo. Questa tendenza a risolvere in rapporti perfettamente misurabili ogni membro architettonico e ad attingere una nuova bellezza attraverso la tensione delle linee, delle superfici, dei volumi distribuiti rigorosamente in articolazioni organiche, costituisce la grande originalità di Brunelleschi.

Il portico–facciata dello ‘Spedale degli Innocenti è la prima architettura realizzata secondo il modello della prospettiva fiorentina, per cui le dimensioni degli oggetti dipendono esclusivamente dalla distanza rispetto all'osservatore, ubbidiscono dunque a un criterio spaziale propriamente detto. Sotto questo portico, l'intera modernità occidentale nasce e stabilisce la subordinazione degli esseri umani a un'immagine spaziale del mondo. Una volta entrati, si tratta soltanto di attenersi alla semplicissima prescrizione del progettista per passare, sebbene immobili, da una realtà all'altra, dal mondo al Nuovo Mondo che in parte è ancora il nostro. Basta infatti disporsi a una parte estrema e guardare da fermi tutto e subito di fronte a sé, verso la finestra che si apre nel vano della porta cieca che si ha davanti, per trovarsi costretti a dover risolvere un problema ignoto precedentemente, cioè se credere al proprio tatto o alla propria vista: il primo dice che le linee della struttura del portico sono parallele, la seconda scopre invece che in corrispondenza del punto di fuga situato al centro del finestrino, esse tendono a convergere. È così che nasce lo sdoppiamento intellettuale dell’uomo moderno, per la prima volta obbligato a decidere di quale dei suoi sensi fidarsi. La contraddizione consiste nel fatto che se anche il clamore della trovata della prospettiva moderna significò la fine della geometria classica, il grandioso programma moderno è consistito nella trasformazione di tutta la Terra in un unico spazio.
Massimo Capuozzo

domenica 15 settembre 2013

La cupola di Brunelleschi porta nella modernità di Massimo Capuozzo

L’ingresso dell’arte nella modernità, se si esclude il manipolo di pittori fiamminghi, avviene tutto nel primo Quattrocento a Firenze, dove alcuni maestri rivoluzionarono il modo di concepire artisticamente lo spazio, dando vita alla renovatio.
Già alla metà del XIII secolo l’arte italiana aveva già incominciato a percorrere una strada autonoma rispetto all’arte medievale e a quella gotica. In quella fase va individuato il reale punto di svolta che portò alla nascita della moderna «arte italiana». I primi periodi tuttavia furono soprattutto di incubazione e di sperimentazione e soltanto all’inizio del XV secolo l’arte italiana giunse ad una vera maturazione, proponendo una visione artistica pienamente innovativa che segnò l’inizio della modernità.
Alcune opere architettoniche sono particolarmente esemplari.
Filippo Brunelleschi (1377 – 1446) è l'architetto della straordinaria cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, alla quale egli lavorò quasi ininterrottamente nel corso di tutta la sua vita. Alta 105,5 metri da terra e con un diametro di 51,7 metri, la modernità della cupola di Santa Maria del Fiore consiste nella dimostrazione che l'uomo non è più costretto ad imitare la natura, ma è capace di creare uno spazio umano che si rapporta con essa e si impone con la sua forza.
La cattedrale, centro simbolico della vita cristiana e simbolo della nuova realtà storica, era stata progettata da Arnolfo di Cambio in forme imponenti e armoniose, innestestando lo spazio longitudinale, diviso  in tre navate, sull'ampio coro a pianta centrale, dilatato da tre  grandi  absidi.
Ai tempi di Brunelleschi era già costruita fino al tamburo e bisognava compiere una scelta difficile, decidendo se adeguarsi alla struttura esistente oppure realizzare qualcosa di completamente nuovo. Ai tempi di Arnolfo la tecnica costruttiva si basava sull'uso di grandi centine lignee che sostenevano la struttura durante la costruzione: una volta impostata la chiave, la cupola poteva sostenersi autonomamente, per mezzo delle spinte reciproche delle arcate. Esistevano all’epoca maestranze specializzate che però nel corso del secolo si erano perse. Agli inizi del Quattrocento, quando i fiorentini affrontarono il problema  di  voltare la cupola,  forma  e  dimensioni  risultavano pertanto già decise e ribadite in tutta la loro  eccezionalità.
Su un diametro esterno di 55 metri essa si sarebbe dovuta innalzare fino  a 110 metri dal suolo, seguendo la forma dell'arco ogivale: il raggio di curvatura della cupola negli spigoli doveva essere pari a 4\5 del diametro d'imposta.
Per individuare la soluzione di un problema così complesso, in periodo di crescenti difficoltà economiche, l'Opera del Duomo bandì un concorso per accogliere idee  e proposte  esecutive.
La risposta data da Brunelleschi apparve subito una tecnica costruttiva del tutto nuova e pertanto vincente sotto ogni aspetto: due calotte sovrapposte e collaboranti, innervate da costoloni marmorei e da catene in ferro e in legno; una struttura autoportante in ogni fase dei lavori e quindi un metodo costruttivo che non necessitava di costose e forse irrealizzabili armature interne.
Un'opera così innovativa non poteva più basarsi sull'esperienza delle maestranze: l'architetto, unico responsabile del progetto, era chiamato a dirigere la manodopera, la quale doveva semplicemente seguire le sue istruzioni. Dal punto di vista formale la cupola, con la sua forma ogivale, compensava lo sviluppo longitudinale della pianta e la raccordava col corpo ottagonale. A dispetto della straordinaria mole, invece che gravare, la cupola sembra gonfiarsi nell'aria, contenuta dalle nervature nitide delle arcate.
Quando Alberti dice che la cupola «erta  sopra e' cieli,  amplia da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani» ne comprende il significato più forte, che supera l’ambito architettonico e urbanistico, ammettendo un significato decisamente ideologico. La cupola di Brunelleschi, come elemento di conclusione e definizione dell'unità architettonica, «è l'opposto del gotico moltiplicarsi delle forze verso l'alto con le numerose, esili guglie libere nello spazio» (Argan).
Intorno al 1430 Brunelleschi realizzò alla base della cupola le tribunette che dovevano darle leggerezza e nel 1432 la lanterna.
Molti aneddoti hanno contribuito a tramandarci l'immagine di Brunelleschi come di un isolato, che gisce con la fermezza di chi trova i motivi di riferimento e la saldezza di una dottrina nella forza della ragione e nella consapevolezza di quei valori scientifici e conoscitivi.
Sulle vicende di quest'opera, che divenne subito il simbolo più clamoroso della Rinascenza fiorentina, è stata scritta una grande quantità di testi, ma ancor oggi è un  mistero come Brunelleschi abbia potuto concepirla nella totale assenza di riferimenti a precedenti analoghi. In realtà l'invenzione di Brunelleschi parte da conoscenze specifiche e ben individuabili nell'esperienza che egli ha certamente di edifici pur concettualmente, strutturalmente e cronologicamente lontani tra loro, come il fiorentino battistero di San Giovanni,  il Pantheon o il Duomo di Pisa.
Il cosiddetto dispositivo, il programma per la costruzione della cupola che Brunelleschi redasse nel 1420, è il solo documento autentico giunto a noi: in esso appare evidente il senso della certezza che informa la sua progettualità. Più che esprimere un programma egli enuncia il progetto impartendo disposizioni esecutive. Nei dodici punti da lui elencati è contenuta già l'opera finita, ma c’è anche di più vi sono indicate persino quelle variazioni, incidenti e aggiunte che si dovranno fare, perché "nel murare la pratica  insegnerà quello che si avrà a seguire".
Il dispositivo brunelleschiano è un documento di straordinaria modernità: esso è già il progetto poiché prevede una serie di operazioni e il modo di  attuarle.
La cupola per altezza e per volume domina il panorama dell'intera città. Occupa quasi il centro geografico di Firenze e della sua vallata e ne costituisce il punto di riferimento e il perno. Nella sua imponenza c'è uno straordinario accordo con la città e soprattutto con i monti circostanti: l'opera, pur dominando la natura, non la stravolge, ma la esalta mettendosi in relazione con essa. La cupola dunque rappresenta, nel modo più evidente, l'idea rinascimentale dell'uomo, padrone in virtù della ragione, dell'ambiente circostante, non per conquista, ma per accordo naturale.

E proprio per l'intervento di Brunelleschi che Firenze, pur essendo ancora in sostanza medioevale, si propone sempre fino ad oggi come città rinascimentale.
Massimo Capuozzo.

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