lunedì 8 aprile 2024

Rogier van der Weyden e Il Trittico di Miraflores. Lettura di Massimo Capuozzo.

Per molto tempo durante il Novecento si è creduto che la pala d'altare oggi nota come ‘Trittico di Miraflores’ fosse una replica realizzata nella bottega di Rogier van der Weyden.
Nel 1908, due studiosi spagnoli Gómez e Moreno, i primi a suscitare il problema, pubblicarono i due pannelli della Cappella Reale della ‘Cattedrale’ di Granada.
A causa della provenienza così importante dei pannelli – si trattava infatti di un cappella reale –, questi studiosi ipotizzarono che i pannelli granadini dovessero essere gli originali e che la versione berlinese fosse solo una copia. Siccome i pannelli erano di difficile accesso a Granada, per 73 anni questa opinione fu approvata dalla maggior parte degli storici dell’Arte. Con il confronto con il terzo pannello, finito al ‘Metropolitan Museum of Art’ di New York nel 1921, la situazione non cambiò, finché nel 1981 ‘Rainald Grosshans’ dimostrò definitivamente nel suo studio su entrambe le versioni che l'originale era quella berlinese e che i pannelli di Granada e di New York erano solo una copia successiva e Grosshans sostenne soprattutto che gli autori della copia erano ‘Michel Sittow’ e ‘Juan de Flandes’, entrambi pittori nordeuropei al servizio della Spagna.
Sulla base poi della firma sulla tavola di New York, la storica dell’Arte americana ‘Maryan Ainsworth’ dimostrò, che ‘Juan de Flandes’ dovette aver realizzato la copia intorno al 1496. Inoltre, la ricerca dendrocronologica ha dimostrato che il pannello di New York proveniva dallo stesso albero da cui provenivano alcune assi di un'altra pala d'altare di Juan de Flandes documentata con certezza.
Questa copia leggermente più piccola segue molto da vicino l'originale, ma contiene anche alcune importanti modifiche: i colori dei mantelli di San Giovanni e di Maria nel pannello centrale, per esempio, sono stati invertiti, facendo sì che Maria indossasse il tradizionale blu invece del simbolico rosso. Erwin Panofsky, che per primo ha sottolineato il simbolismo cromatico tipico di Rogier van der Weyden nel suo volume ‘L’antica pittura olandese’ del 1953, tradotto, aveva considerato anche lui che la versione berlinese fosse un'ottima copia non riconoscendo la paternità di van der Weyden. Inoltre, le linee di fuga della costruzione prospettica del terzo pannello convergono molto più accuratamente in un unico punto di fuga quindi si può dire il pittore della copia ha 'corretto' il sistema empirico di Rogier van der Weyden.
Nel Seicento i tre pannelli di Granada furono separati, dopodiché i primi due furono accorciati per servire da porte per un reliquiario della celebre ‘Cappella Reale’, dove si trovano ancora oggi. Dopo vari passaggi e molte dimenticanze il terzo pannello grandino è infine giunto al ‘Metropolitan Museum of Art’ di New York.
Nella sua pubblicazione la Ainsworth ha sottolineato inoltre che se i precedenti storici dell'Arte avessero studiato con maggiore attenzione dettagli apparentemente non importanti, come la rappresentazione degli alberi, sarebbe diventato molto prima chiaro che la versione berlinese era stata dipinta più di cinquant'anni prima. Il fogliame di Juan de Flandes per esempio è dipinto in modo più naturalistico rispetto agli alberi di Rogier van der Weyden dipinti più schematicamente, il che è una conseguenza dello evoluzione dello stile delle Fiandre nella seconda metà del Quattrocento.
Nel 1442 il re Giovanni II di Castiglia (1405 – 1454), padre di Isabella, aveva fondato un monastero certosino nell'ex ‘Palazzo Miraflores’, un casino di caccia non lontano da Burgos.
Intorno al 1445, aveva commissionato il trittico in questione per la ‘Certosa di Miraflores’, il monastero da cui l'opera prende il nome e dove il re voleva essere sepolto. Dopo un incendio nel 1452, fu costruita una nuova sede per i certosini, inclusa una tomba per Giovanni II e per sua moglie Isabella d’Avìz di Portogallo, che fu però completata nel 1493 sotto la guida della loro figlia Isabella che poco dopo fece realizzare una copia del trittico, per collocarla nella sua cappella funeraria, la ‘Cappella Reale’ nella ‘Cattedrale’ di Granada.
La realizzazione di tre pannelli di uguale grandezza di cui quelli laterali erano fissi, era una cosa fino allora inusitata nelle Fiandre, e avvenne probabilmente su richiesta del committente spagnolo infatti in Spagna questo tipo di pale d'altare, note come ‘retablos’ e la cui storia sarebbe stata lunghissima, sembrano essere state invece più comuni.
I tre pannelli poi, oltre ad essere uguali nelle dimensioni, si equivalgono anche nel contenuto e questo potrebbe essere un ulteriore motivo per cui la pala d'altare non ha la forma di un trittico tradizionale in cui il pannello centrale è sempre dominante in dimensioni e contenuto con pannelli laterali mobili sottodimensionati e con scene solo accessorie.
Successivamente, forse nel Cinquecento, i pannelli furono senza alcun senso tagliati e dotati di cerniere per consentirne il ripiegamento uno sull'altro, ma la parte retrostante dei pannelli laterali rimaneva comunque non dipinta.
Nell’Ottocento poi i pannelli furono dotati di una nuova cornice.
Fino al 1842, questo trittico aveva fatto parte della collezione di ‘Guglielmo II d’Olanda’ (1792 – 1849) ed era appeso nella cosiddetta “Sala Gotica” del ‘Palazzo Reale’ dell'Aia.
Dopo la morte di Guglielmo II nel 1850, la sua collezione fu messa all'asta e il ‘Trittico di Miraflores’ fu acquistato per il ‘Museo Kaiser Friedrich’. Scampato ai bombardamenti della seconda guerra mondiale oggi è definitivamente patrimonio del ‘Bode-Museum’ di Berlino.
Come molte opere dei primi fiamminghi, il trittico fu ignorato fino all'inizio del Novecento e fu attribuito a van der Weyden solo nel 1903 da Max Friedländer nell'importante volume ‘Capolavori della pittura olandese del Quattrocento e del Cinquecento”. Questa attribuzione era stata possibile grazie a un documento del 1445 che descriveva il trittico come appartenente alla mano del «grande e famoso fiammingo Rogel». Il lavoro di Friedländer sarebbe stato approfondito in seguito da Panofsky, che spiegò nel dettaglio la complessa iconografia dell'opera.
Il documento citato era contenuto nel "Libro del becerro" della diocesi di Burgos, perduto durante la ‘Guerra Civile’ del 1936: si trattava di un registro di tutti i possedimenti, delle eredità e di tutte le fabbriche con relativi beni donati a ciascuna chiesa della diocesi. Da questo documento si evinceva inoltre che l'opera era stata dipinta da "Magistro Rogel".
A parte la scorretta trascrizione del nome ‘Rogier’, quest’antica fonte fu un vero e proprio colpo di fortuna non solo perché fornì un ‘terminus ad quem’ per la data di creazione, ma menzionava anche il donatore, l'artista e la destinazione dell’opera. In effetti, questa era l'unica fonte coeva che collegava l’opera con il nome di ‘Rogier van der Weyden’ che si trovava in quel momento nella fase centrale della sua carriera creativa tra il 1442 e il 1445.
È certo ormai che Rogier, intorno al 1434-35, si fosse stabilito a Bruxelles, che negli anni Quaranta del Quattrocento era diventato un pittore richiesto in tutta Europa e che nel 1450 abbia visitato l’Italia in occasione del giubileo.
Anche se la pala è stata realizzata da Rogier, sembra però che in alcune parti abbia collaborato qualche suo assistente come sempre accadeva nelle botteghe: per esempio, c'è una differenza di qualità tra gli sfondi del secondo e del terzo pannello. Dietro la croce sul pannello centrale si dispiega un paesaggio suggestivo, vario e chiaramente ben strutturato che mostra il senso del ritmo per cui Rogier è noto, mentre il paesaggio sul pannello di destra appare più disordinato e stereotipato e le figure raffiguranti la scena di Cristo dopo la Resurrezione appaiono meno sapientemente eseguite.
Dopo la genesi, veniamo ora all’opera e al racconto che ci fornisce.
Il “Trittico di Miraflores” è un olio su tavola di 220.5×259.5 cm.
Fig. 1

Fig.2

Fig. 3

Fig. 4

La pala è composta da tre scene contornate da cornici apparentemente di legno e decorate con sculture apparentemente di marmo. Dietro le aperture si apre una sorta di loggia con pensilina retta da due colonne, dietro le quali sui pannelli laterali si trova uno spazio più ampio. Questa architettura è stata riferita al diaframma che nelle chiese dei monasteri certosini separava comunemente il presbiterio dal resto della navata.
I tre pannelli che compongono il trittico mostrano, da sinistra a destra, uno la ‘Sacra Famiglia’, uno il “Compianto” e uno l’'Apparizione del Cristo Risorto a Maria’, dando forma a una lettura cronologica della nascita, morte e Resurrezione di Gesù, con Maria come protagonista dei pannelli laterali.
Le figure snelle di questo trittico sono indimenticabili dovettero avere un forte impatto specialmente per l'uso simbolico delle decorazioni dei portali su tutta l'Arte fiamminga e olandese fino al Cinquecento a partire da vari pittori contemporanei ma più giovani di van der Weiden come ‘Petrus Christus’, ‘Dieric Bouts’ e ‘Hans Memling’.
Ciascuno dei tre pannelli è ambientato in vedute prospettiche diverse, quindi senza la continuità dello scenario di fondo, e mostrano tre fasi importanti della vita di Maria e di Gesù nei diversi momenti della sua vita, quelli più salienti della sua vita, e illustrano altresì chiaramente lo stretto rapporto tra la madre e il figlio.
Le tre scene si svolgono in un ambiente interno, forzando la storia evangelica con il compianto su Cristo morto. La parte inferiore delle cornici forma un gradino che, secondo lo storico dell'arte americano ‘Jeffrey Chipps Smith’ in ‘The Northern Renaissance’ del 2004, implicherebbe la vicinanza dell'osservatore al ‘palcoscenico divino’ e la sua capacità di immaginare di salire e di partecipare a quel dramma. Un’idea fantasiosa, ma suggestiva.
Questo polittico nella storia di van der Weyden si distingue dagli altri precedenti per vari elementi.
Prima di tutto per l'uso del colore, in particolare per i bianchi, i rossi e i blu, per le linee prospettiche soprattutto quelle del corpo di Cristo nel pannello centrale, e per il suo impatto emotivo, una caratteristica quest'ultima tipica dello stile di van der Weyden. Sempre in termini di colore, un dettaglio cromatico insolito è il color ocra dei portali che fa immediatamente pensare a una costruzione in legno. Ma una cosa del genere difficilmente è concepibile nella realtà, così come è difficilmente concepibile un'architettura di colore marrone. È chiaro che Rogier van der Weyden abbia giocato qui con realtà diverse: il marrone dei portali riprendeva infatti molto probabilmente il colore della cornice originale ormai perduta.
Un’altra novità è che, diversamente dai molti trittici del tempo, i pannelli inizialmente erano fissi e solo in seguito erano stati separati e incardinati.
L'opera sfidò inoltre altre convenzioni pittoriche dell'epoca nel modo di ritrarre gli episodi della vita di Gesù: nel primo pannello, per esempio, mancano le tipiche figure che di solito popolano le rappresentazioni della nascita o dell'infanzia di Gesù.
Le ‘invenzioni’ di van der Weyden furono ancora molte: per esempio nel paesaggio che fa da sfondo al terzo pannello, si vede Gesù appena uscito dal sepolcro e di fronte a lui c'è un sentiero tortuoso che porta alla stanza dove ha luogo la scena principale del dipinto. L'uso di questo sentiero come mezzo per separare temporalmente la ‘Resurrezione di Gesù’ dalla sua ‘Apparizione alla Madonna’ non ha precedenti nelle rappresentazioni di questa scena, né trova riferimenti nei Vangeli.
Originalissima è ancora la veste della Madonna che in ogni pannello ha un colore diverso: nel primo, che raffigura la “Sacra Famiglia”, è azzurro-bianca per ricordare la sua perpetua verginità, nel secondo raffigurante la “Pietà” è rossa e rappresenta la compassione per il figlio che giace morto tra le sue braccia, mentre la terza nel tempo in cui Gesù le appare di fronte è blu e simboleggia la sua perseveranza.
I pannelli del trittico sono incorniciati da un archivolto in legno che ricorda il portale di una chiesa, ma si tratta di un arco più immaginario che reale, la cui funzione è quella di ospitare le finte sculture di marmo che approfondiscono il significato simbolico della scena che decorano: l’archivolto è un motivo ornamentale che serviva a mettere in risalto esteticamente il valore architettonico di un arco. Van der Weyden avrebbe successivamente ripetuto questa soluzione nel “Trittico di san Giovanni Battista” del 1455, esposto alla ‘Gemäldegalerie’ di Berlino.
Fig 5
L’‘archivolto’ nel caso di questi due trittici non ha solo una funzione estetica: la considerevole decorazione plastica serve a integrare tematicamente le tre scene principali con altre piccole scene che sono ad essa correlate. Le finte sculture in netto stile gotico sono dipinte nei minimi dettagli ed hanno un complesso significato iconografico.
Sulla sommità di ogni archivolto, un angelo con una corona sventola uno stendardo del colore dell’abito di Maria, che indica le varie virtù della Madonna sempre con il particolare riferimento alla scena principale sottostante. Quindi la Vergine può ricevere le tre corone perché ha dimostrato di essere la più degna e impeccabile, la più fedele alla sofferenza di Cristo e la più tenace.
Anche le scritte ricamate sull'orlo del mantello di Maria sottolineano il tema mariologico e sono tratte dal ‘Magnificat’, il cantico di Maria innalzato nel ‘Vangelo’ di San Luca. La complessa iconografia della pala era probabilmente basata su un programma teologico ben preciso. Le ‘finte sculture’ sugli archi delle cornici raccontano la storia biblica, mentre le scene principali molto realistiche, e in parte fuoriescono dalle cornici, sono rappresentazioni piuttosto liriche e senza tempo, in cui l'elemento narrativo è subordinato al rapporto mistico tra la Vergine Maria e suo Figlio. Anche la lettura delle finte sculture è complessa infatti esse devono essere lette in senso antiorario: prima sul lato sinistro vanno lette dall'alto verso il basso (↓) e poi quelle sul lato destro, dal basso verso l'alto (↑).
Probabilmente questo ordine insolito è stato scelto perché in questo modo l'’Assunzione’ con l'’Incoronazione di Maria’ si trova in alto nell'ultimo pannello e costituisce anche il coronamento del racconto del trittico. A questo si deve aggiungere che nel primo pannello c'è un movimento dal cielo verso la terra a cominciare dall'Annunciazione e nell'ultimo pannello c'è un movimento inverso dalla terra al cielo a cominciare dall’Assunzione. Maria è sempre presente in ciascuna di queste rappresentazioni minori.
In corso d’opera sono avvenuti alcuni ripensamenti: gli angeli con corona e fascia per esempio, furono per esempio aggiunti solo quando la cornice architettonica fu ultimata, rafforzando il rapporto con la precedente ‘Madonna Durán’ del ‘Museo nazionale del Prado’ a Madrid.
Fig 6
I testi di accompagnamento sono prestiti tratti da testi del ‘Nuovo Testamento’ liberamente citati, come nei cartigli dei sette angeli nel trittico i “Sette Sacramenti” del ‘Museo Reale di Belle Arti’ di Anversa.
Fig. 7
Gli angeli che portano le tre corone rappresentano il filo conduttore di tutta la pala dedicata alle virtù di Maria, spiegate nei testi e simboleggiate dai colori del suo manto: bianco per la sua purezza verginale, rosso per il suo amore e per il suo dolore, e infine blu per la sua fedeltà, perseveranza e umiltà. Ciascuna di queste virtù sottolinea il ruolo di Maria nell'opera di redenzione di suo Figlio.
Su tutti e tre i pannelli, il testo del Magnificat è ricamato sull'orlo del manto della Vergine, ma sul pannello centrale sopra la fronte il testo è interrotto da “Deus Meus, Deus Meus” (Dio mio, Dio mio), le ultime parole di Cristo sulla croce, con la quale il Salvatore morente affida le sorti dell'umanità alle cure materne della Beata Vergine.
Sui pilastri accanto ai portali sono - da sinistra a destra - le sculture dipinte di San Pietro, degli evangelisti San Luca, San Giovanni, San Matteo e San Marco, e infine San Paolo.
La composizione costituì la base per altri due dipinti indipendenti, vale a dire “Il Compianto” dei ‘Musei Reali di Belle Arti del Belgio’ di Bruxelles e un ‘Compianto’ con il Fondatore, andato perduto e di cui si conoscono solo poche copie.
Fig. 8
Queste opere furono a loro volta l'esempio per variazioni successive che furono eseguite dagli assistenti o dai dipendenti della bottega di Rogier van der Weyden e furono imitate e copiate anche da altri artisti dopo la sua morte.
Il testo sulla fascia dell'angelo con la corona si basa sull’Apocalisse e recita: ‘Mulier hec fuit fidelissima in Christi dolore; ideo datur ei corona vitae’ (Questa donna fu fedelissima nelle sofferenze di Cristo; perciò le è stata data la corona della vita)
Il primo pannello
Il primo pannello per molto tempo è stato considerato erroneamente una ‘Natività’ finché lo storico dell'arte ‘Erwin Panofsky’ lo identificò invece e a ragione come una rappresentazione della ‘Sacra Famiglia’. Un prezioso drappo d'onore di broccato d'oro come un trono reale e diaframma fra interno ed esterno, cattura immediatamente l'azione e concentra l’attenzione della sala dalla volta gotica sulla venerazione del neonato, Salvatore del mondo, che giace nudo su un lenzuolo bianco in grembo a Maria mentre i due si stanno guardando.
Maria è vestita interamente di bianco come simbolo della sua verginità è seduta a terra secondo l’iconografia della ‘Madonna dell'umiltà’, adorando il suo bambinello adagiato sulle sue ginocchia. L'orlo della veste della Madonna riporta il primo verso del “Magnificat” del “Vangelo secondo San Luca”: “Magnificat anima mea Dominum” (L'anima mia magnifica il Signore).
Ella è sola con il suo bambino, perché l’anziano San Giuseppe, vestito con un copricapo blu e una veste rossa siede un po' in disparte addormentato su uno sgabello appoggiato ad un bastone, appare chiaramente escluso dalla vicinanza tra madre e figlio, non avendo alcun ruolo in quell’evento mistico.
Panofsky ha collegato il fatto che Maria adori il Cristo Bambino mentre giace sulle sue ginocchia ad antichi testi medievali, in cui Maria, mentre piange sul Cristo morto, dice: "Ora il tuo corpo morto giace sulle mie ginocchia, come un tempo giacevi sulle mie ginocchia". Si potrebbe definire una consonanza visiva tra i primi due pannelli scelta molto consapevolmente dal maestro.
Le statuette rappresentano alcuni momenti chiave della vita di Gesù dalla sua infanzia. Le finte sculture sull'archivolto raffigurano successivamente: la ‘Annunciazione, la ‘Visitazione’, la ‘Nascita di Gesù’, l ‘Adorazione dei pastori’, la ‘Adorazione dei magi’, la ‘Presentazione al tempio’.
Il testo sulla cartiglio dell'angelo con la corona si basa sulla “Prima Lettera” di San Giacomo e recita: “Mulier hec fuit probatissima, munda ab omni labe; ideo accipiet coronam vitae”. (Questa donna era la più eccelsa, pura da ogni difetto, perciò riceve la corona della vita)
Sul capitello della colonna di sinistra è scolpita la “Morte di Assalonne”, prefigurazione della morte di Cristo.
Il secondo pannello
Il secondo pannello, quello centrale, raffigura il “Compianto di Cristo morto” in forma di ‘Pietà’. La visione si apre su di un ampio paesaggio in cui la croce vuota alle loro spalle si erge diaframmaticamente su una collina isolando le figure dal paesaggio retrostante.
Maria tiene tra le braccia il corpo senza vita di Gesù in profondo lutto e sorretta da Giovanni e da Giuseppe di Arimatea, entrambi vestiti di nero, rappresentano rispettivamente i Vangeli e la fondazione della Chiesa. Anche in questo caso i due uomini svolgono un ruolo subordinato e marginale nell'evento, e come nella scena precedente anche questa è più simbolica che narrativa. L’elemento centrale di questa scena di dolore è Maria, seduta a terra, che intona la sua “trenodia” un uso greco antico del "canto dei morti" o dello straziante bacio d'addio, passato nella cultura bizantina.
Diversamente dalla “Pietà” tedesca o “Vesperbild” con la Madre di Dio immobile sul trono, questo tipo di rappresentazione è di origine italiana. Fu raffigurato in vari cambiamenti anche nel gotico nordico della fine del Trecento.
La rappresentazione potentemente realistica e fortemente empatica dell’esecuzione del pannello è tipica dell’arte di Rogier van der Weyden: Maria tiene vicino a sé il corpo rigido di suo figlio con le dita intrecciate, "in un ultimo tentativo di preservare ciò che non può essere preservato", come lo descrive Panofsky. Nel capitello della colonna di sinistra è raffigurata la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, causa diretta del dramma del sacrificio di Cristo.
Le finte sculture sull'arco raffigurano successivamente: ‘L’addio a Cristo’, ‘Il messaggio dell'arresto di Cristo’, il ‘Trasporto della croce’, ‘L’erezione della croce’, ‘La crocifissione’, ‘La sepoltura’.
Il terzo pannello
L'ultimo pannello, quello di destra, rappresenta una scena iconograficamente rara: l’'Apparizione di Cristo Risorto a Maria’.
Cristo apparve per la prima volta a sua madre dopo la sua risurrezione, mentre la Vergine raffigurata sullo sfondo trasale per il suo dolore.
Panofsky ha sottolineato che la serie non si conclude in Gloria, come in altre rappresentazioni della vita di Maria, con la sua ascensione o incoronazione, ma con una scena in cui si uniscono diverse emozioni: il dolore della Passione, la gioia dell'inaspettato ricongiungimento e la promessa della riunione celeste.
Questo evento epifanico in cui Gesù appare alla Madonna dopo la ‘Resurrezione’, non compare nel ‘Nuovo Testamento’ né nei ‘Vangeli’ apocrifi ed è quindi piuttosto raro nell'arte occidentale.
Da dove attinge quindi van der Weiden per raccontare questa storia? Secondo un’antica tradizione orale era improbabile che le tre donne presso il sepolcro avessero appreso la notizia della Risurrezione prima di Maria stessa. Nel tardo Medioevo questa storia fu meglio codificata nelle “Meditationes” dello ‘Pseudo-Bonaventura’, nome di emergenza dato ad alcuni autori anonimi di varie opere contemporanee di San Bonaventura da Bagnoregio e che per certi aspetti ne riflettono il pensiero, e deriva dalla copia quasi letterale da parte del monaco certosino Ludolfo di Sassonia (1295 – 1378) nella sua “Vita Jesu Christi”. Rogier fa una sintesi sensibile di questo testo e delle tradizioni artistiche. Dipinge Maria come la descrive lo “Pseudo Bonaventura”: “pregando e versando dolci lacrime”.
La postura di Cristo, che è vestito di rosso e non di bianco come nel testo, ha origini molteplici. Nel dipinto Cristo di van der Weyden compie un lieve movimento con la mano destra, premendo un lembo del mantello contro il corpo e mostra la ferita del costato per confermare di essere effettivamente suo figlio, mostra le sue ferite con il tradizionale gesto della 'ostentatio vulnerum’ (l’ostensione delle ferite"), stemperato dal gesto difensivo del “Noli me tangere” ("non toccarmi"), che nel ‘Nuovo Testamento’ che è invece legato alla sua apparizione a Maria Maddalena.
Sullo sfondo si vede il già citato sentiero tortuoso, che indica che Cristo è andato da sua madre subito dopo la sua risurrezione, mentre le tre donne, che camminano più avanti, non sono ancora giunte al sepolcro.
Questa piccola scena visibile in lontananza attraverso la porta aperta dietro alle due figure, mostra il momento della Resurrezione. Questa scena è rappresentata a destra rispetto a quella dell'apparizione, mentre le scene del trittico sono dipinte in ordine cronologico da sinistra a destra, in quest'ultimo pannello la profondità dello spazio pittorico ordina cronologicamente le due scene.
Van der Weyden usa il sentiero che separa la scena della Resurrezione dalla stanza in cui avviene l'Apparizione, la porta aperta verso l'interno e la luce che cade dall'esterno verso l'interno per descrivere l'approccio soprannaturale di Gesù alla Madonna.
Il testo sul cartiglio dell'angelo con la corona è tratto dall’‘Apocalisse’ e recita: “Mulier hec perseveravit vincens omnia; ideo data est ei corona”. (Questa donna ha resistito, vincendo ogni cosa; perciò le è stata data la corona.")
Le finte sculture sull'arco raffigurano successivamente: il ‘Messaggio delle tre donne sulla risurrezione di Cristo’, l'ascensione di Cristo, la Pentecoste, l'annuncio della morte di Maria, il suo addio agli apostoli, l'Assunzione e l'Incoronazione di Maria.
I capitelli raffigurano storie dell'Antico Testamento come illustrazioni della Resurrezione di Cristo e della sua vittoria sulla morte e sul diavolo: Davide sconfigge Golia, Sansone che uccide il leone e Sansone che abbatte le porte della porta della città di Gaza (come illustrazione di Cristo che apre la tomba).
Conclusione
Il trittico, come voleva la consuetudine del tempo, è ricco di simbolismo cristiano. I pannelli sono oggi in buone condizioni di conservazione. Sono stati restaurati nel 1981, quando sono stati rimossi alcuni strati di vernice di precedenti verniciature. Gli esami tecnici hanno rivelato che van der Weyden fece vari cambiamenti prima di giungere alla composizione definitiva.
Del “Trittico Miraflores” ci sono due copie quasi identiche, ma leggermente più piccole.
Una è conservata al “Metropolitan Museum” di New York, l'altra alla “Cappella reale” di Granada. Queste copie furono realizzate intorno al 1500 da un pittore castigliano che probabilmente aveva passato del tempo nelle Fiandre: si parla di “Juan de Flandes”, ma non esistono prove certe. Quella di Granada fu eseguita per conto di Isabella di Castiglia; opere come queste erano «apprezzate per il loro potere spirituale o per lo status del loro autore e/o possessore».
La copia di Granada è particolarmente interessante perché per molto tempo fu considerata l'originale di van der Weyden. Studi più recenti hanno però confermato l'originalità della pala di Berlino basati sugli esami dendrocronologici eseguiti nel 1983 in occasione del restauro hanno stabilito che i pannelli di Granada e di New York risalgono a dopo il 1492, e quindi dopo la morte di van der Weyden avvenuta nel 1464, mentre il pannello di Berlino risale agli anni venti del Quattrocento. Inoltre, gli esami all'infrarosso mostrano che la composizione nel pannello berlinese ha subito varie revisioni prima della versione finale, dimostrando quindi che non si tratta di una copia.
                                                    Massimo Capuozzo

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