lunedì 17 ottobre 2022

Osias Beert e la pittura di natura morta ad Anversa

Osias Beert il Vecchio (1580 – 1623) era rimasto un pittore praticamente sconosciuto per secoli prima di uscire dall'oblio nel 1938, quando il genere della natura morta godette di un rinnovato interesse, diventando molto ricercata da amanti dell'Arte e da collezionisti.
Come Georg Flegel in Germania, Osias Beert oggi appare come una figura di spicco agli albori della pittura di nature morte nelle Fiandre.
All'inizio del Seicento insieme a Jan Brueghel il Vecchio (1568 – 1625), che dal 1596 si era stabilito ad Anversa, era diventato il più importante pittore di nature morte della città.
Si sa poco dei suoi primi anni: forse nativo di Anversa o forse di Courtrai, intorno al 1580 la sua famiglia si stabilì ad Anversa e, dal 1592 al 1596, Osias studiò con un pittore poco noto tale Andries van Baesrode (1574 –1641), talvolta scritto Andris van Baseroo, che lavorava in città.

Nel 1602 si unì alla locale Gilda di San Luca della città e nel 1606 sposò Margriet Ykens da cui nel 1622 ebbe un figlio, Osias Beert il Giovane, che sarebbe diventato in seguito maestro della Gilda di San Luca nel 1645 e che come molti seguaci e allievi del padre, fu probabilmente autore delle numerose repliche e versioni delle composizioni di Beert il Vecchio e che esistono ancora oggi, ma è impossibile che il giovane Osias abbia studiato con suo padre poiché si ritiene che sia morto nel 1623 quando il figlio aveva appena un anno.
Allievo di Osias Beert il Vecchio fu invece sicuramente Frans Ykens (1601 - 1693), nipote di sua moglie Margriet.
Non si sa come Beert abbia sviluppato la sua padronanza in ben due sottogeneri della natura morta, sebbene i suoi interessi potrebbero essersi sviluppati sotto la guida del suo presunto maestro, il già citato artista di cui si conosce solo il nome.
È probabile invece che lo abbiano ispirato le innovazioni stilistiche e compositive di Jan Brueghel il Vecchio ad Anversa, così come quelle di Georg Flegel (1566 – 1638) a Francoforte e di Ambrosius Bosschaert il Vecchio (1573 – 1621) a Middelburg, tre pittori di poco maggiori di lui.
Beert non svolgeva solo la professione di pittore, ma commerciava anche in sughero e il fatto che avesse una seconda attività suggerisce che dal suo lavoro artistico non guadagnasse sufficientemente: viveva infatti in una zona modesta di Anversa lo Schipperskwartier cioè il quartiere degli spedizionieri e si sa che dopo la sua morte, la sua vedova dovette vendere i mobili e i dipinti del marito per pagare un debito contratto con il pittore e mercante d'arte di Anversa David Rijckaert II (1586 – 1642), che aveva prestato loro dei soldi per aprire la loro attività e che, per la verità, non se la passava tanto bene neanche lui. Al di là delle sue non floride attività di mercante d’arte, David Rijckaert II è anche lui un pittore interessante, che come Beert contribuì allo sviluppo iniziale delle nature morte, attraverso la sua delicata interpretazione di banchetti e di nature morte si tipo pronk cioè sontuose.
Beert era anche membro di una delle locali Camere di retorica, circoli i cui soci erano strettamente legati ai leader cittadini locali e le loro opere pubbliche erano una delle prime forme di pubbliche relazioni per la città. Questo suggerisce che Beert fosse impegnato anche in attività intellettuali altre rispetto alla pittura.
Si ritiene che il pittore sia morto ad Anversa alla fine del 1623.
Raramente firmò o monogrammò le sue opere e non le datò mai.
Oggi si conosce poco più di una dozzina di nature morte firmate o monogrammate da lui e il totale noto superstite di opere da attribuirgli con alto margine di certezza sembra che non superi la cinquantina.
Allo stato degli studi, Beert è conosciuto principalmente come pittore di fiori e di colazioni, due sottogeneri in cui svolse un ruolo pionieristico e fu uno degli artisti più influenti della prima generazione di pittori di nature morte nelle Fiandre: circa la metà delle opere di questo maestro, contemporaneo di Jan Brueghel il Vecchio e di Ambrosius Bosschaert il Vecchio, consiste in raffigurazioni di fiori, compresi i sontuosi bouquet floreali, spesso esposti nei costosi vasi di porcellana cinese Wan Li.
L'altra metà sono nature morte che mostrano frutta, ostriche e altri generi alimentari, spesso in contenitori piuttosto costosi un sottogenere nel cui sviluppo fu un pioniere: si tratta dell’ontbijt cioè colazione, uno spuntino di metà giornata, che si diffuse molto nell'arte del Nord Europa e che raffigurava sui piani dei tavoli delizie culinarie dei giorni di festa, particolarmente pieni di delizie gastronomiche come quelle che si vedono nel dipinto Piatti con ostriche, frutta e vino.
Sebbene la mancanza di datazione abbia reso difficoltosa la cronologia della sua opera, l'analisi stilistica ha tuttavia consentito una successione al momento alquanto attendibile.
Le opere con un punto di vista rialzato e con poca sovrapposizione di oggetti sono considerate precedenti rispetto a quelle con un punto di vista più ribassato e con una disposizione più compatta degli oggetti: queste ultime hanno anche una migliore coerenza spaziale.
Si conoscono solo quattro opere firmate da lui e da queste è stato possibile attribuirgliene altre quattro nell’importante e moderno Museo di Grenoble.
Siccome la conoscenza della prima fase della natura morta fiamminga è ancora frammentaria e nebulosa, c'è stata la tendenza ad attribuire troppe opere a Beert: mentre alcune di esse riferite a lui sono probabilmente di suoi allievi altre invece, attribuite in passato al figlio, furono probabilmente dipinte dal padre.
Osias Beert dipingeva spesso su pannelli di quercia, usando una tecnica di pittura molto particolare: utilizzava infatti più strati sovrapposti di olio molto fluido così da ottenere una maggiore trasparenza e una più ampia varietà di colori, tuttavia eseguì anche alcune opere su rame di cui tre portano il marchio di Pieter Stas, un pannellista noto all'epoca e le date 1607, 1608 e 1609.

Beert ebbe il merito di specializzarsi nel campo della natura morta quando la produzione di opere di questo genere era ancora minore ed era realizzata in forma anonima e questo è uno dei motivi di nebulosità delle origini di questo genere.
Nella sua tavolozza cromatica, i colori della terra sono spesso predominanti, bilanciati da blu e grigi freddi e rafforzati da accenti di rosso, di giallo e di verde brillante. Le sue raffigurazioni di fiori, per la natura stessa del loro soggetto, mostrano più variegature ed otteneva la luminosità e il dettaglio sottile mediante l'uso di smalti su un fondo chiaro, mentre i dettagli erano spesso resi con sottili accenti lineari, ma purtroppo alcune opere hanno perso la loro qualità originale a causa della perdita degli strati più superficiali di smalto.
Osias Beert ripeteva spesso motivi nelle sue nature morte e occasionalmente ripeteva parti più grandi della stessa composizione.
I piatti di porcellana cinese Wan li con frutta sono una caratteristica ricorrente nelle nature morte di questo tipo. Tale porcellana fu importata dalle compagnie commerciali dell'India orientale e prese il nome popolare di porcellana Kraak – un termine usato ancora oggi a livello internazionale – dai primi esemplari presi da una nave mercantile portoghese catturata, di un tipo chiamato caracca. A quel tempo, all'inizio del Seicento, questi piatti erano una rarità ancora molto costosa ed è presumibile che siano stati realizzati dal maestro in base a un decoro che aveva visto.

I piatti in peltro di produzione locale erano invece più comuni. I calici da vino in stile veneziano sono molto probabilmente il prodotto di uno dei laboratori di vetro guidati da immigrati veneziani a Liegi o Anversa, piuttosto che una vera e propria importazione da Venezia.
I suoi dipinti di colazioni, rappresentano la scena da un punto di vista elevato con una prospettiva forzata, una tecnica presente solitamente nelle prime nature morte fiamminghe e olandesi. Le sue composizioni mostrano spesso raggruppamenti concentrati di elementi disposti in maniera ben equilibrata. Il suo stile, quasi geometrico, mostra la tipica attenzione fiamminga per i dettagli e, nello stesso tempo, obiettività e un forte senso di plasticità.
Osias immerge le sue nature morte in una luce uniforme e diffusa: un esempio è la Natura morta con fragole ciliegie in ciotole cinesi della Gemäldegalerie di Berlino, che mostra un banchetto su un piano leggermente inclinato, in modo tale che tutti gli oggetti che vi sono disposti possano essere visti senza alcuna sovrapposizione. Il dipinto rappresenta l'ultima portata di un banchetto da otto a nove portate, mentre la libellula e la farfalla che svolazzano hanno un significato simbolico e rappresentano la lotta tra il bene e il male.
Le nature morte di Beert non sembrano tuttavia abbondare di simbolismo, anche se i suoi contemporanei potrebbero averne letto qualcuno. Il pane e il vino, ad esempio, potrebbero essere stati visti come riferiti all'Eucaristia. Soprattutto, però, questa sembrerebbe un'immagine del lusso: il lusso donato da Dio, da godere con modestia. Per quanto il contenuto dei piatti offra una festa al loro proprietario, l'immagine che Beert ne ha – senza dubbio intenzionalmente – una gioia per gli occhi.
Beert era noto per i suoi dipinti di ostriche e di prodotti dolciari esposti con ordine sui tavoli insieme a preziosi bicchieri da vino e porcellane cinesi ed era impareggiabile nella sua capacità di rappresentare le ostriche con giochi di luce sulla carne soda, perlacea e con l'umidità che distingue l’ostrica dalla superficie dura dell'interno della conchiglia.
Un buon esempio di questo è la Natura morta con ostriche della National Gallery of Art di Washington, che mostra ostriche su un piatto insieme a oggetti preziosi su un tavolo che si estende su entrambi i lati fuori dalla tela su uno sfondo scuro.
Le sue nature morte floreali, che spesso mostrano un vaso di fiori in una nicchia poco profonda o un cesto pieno di fiori, come è visibile nel Cesto di fiori al Museum of Fine Arts di Houston, ricordano le opere di Ambrosius Bosschaert.
Nei dipinti floreali ogni fiore è esposto al culmine della sua fioritura e con ricchezza di dettagli. I fiori raffigurati nello stesso bouquet sbocciavano spesso in stagioni diverse e in realtà non avrebbero mai potuto essere raffigurati nello stesso vaso, ma questo al di là dell’aspetto poco realistico vuole simboleggiare l’avvicendarsi delle stagioni e quindi la natura transitoria dell'esistenza terrena dell'uomo. Un esempio è il Bouquet in una nicchia della Rockox House di Anversa.

Beert collaborò anche con Pieter Paul Rubens (1577 – 1640) ad almeno un dipinto, Pausias e Glycera oggi al John and Mable Ringling Museum of Art [16] di Sarasota in Florida in cui realizzò tutto l’apparato floreale.
Beert formò diversi allievi, di cui solo Frans Ykens sembra essere diventato come lui un pittore di nature morte. Ad Anversa fu un artista molto stimato, come testimoniano numerose copie ed imitazioni della sua opera, più o meno contemporanee.
L’importanza di Beert è dovuta, oltre che alla raffinatezza della sua arte, all’influenza che esercitò su suo nipote Frans e su e Paulus Pontius (1603 – 1658) che furono suoi allievi, e alla scia che lasciò dietro di sé con altri artisti di Anversa, come Jacob Foppens van Es (1596 circa – 1666) e Jacob van Hulsdonck (1582 – 1647). Alcuni studiosi ipotizzano un probabile discepolato anche di Clara Peeters (1589 circa - 1636) presso di lui.

Massimo Capuozzo

domenica 16 ottobre 2022

Rinascimento nordico: il caso boemo

Il Rinascimento del nord Europa o Rinascimento nordico indica un periodo storico artistico solitamente non chiaramente delineato nei Paesi Bassi e in altri paesi del Nord Europa.
Il termine è in realtà una traduzione di Rinascimento del Nord usato nella letteratura storica dell'Arte anglosassone e può ricoprire significati abbastanza diversi: o inteso come un movimento storico-artistico nel nord Europa che si sviluppò fra Quattrocento e Cinquecento sotto l'influenza dell'arte alto rinascimentale italiana che si batteva per una rinascita dell'arte dell'antichità classica, o inteso come movimento storico-artistico del Quattrocento e inizio Cinquecento in cui la pittura, e in particolare quella dei Primitivi fiamminghi, occupa un posto centrale.
In entrambi i casi questo movimento è caratterizzato dal fatto che avviene una separazione dalla pittura, dall'arte e più in generale dalla cultura tardomedievale in un certo numero di aree geografiche e che si attua con un grande naturalismo e con una raffinatezza tecnica molto pronunciata.
Nella visione tradizionale, questo movimento fu il polo nordico che si opponeva al polo meridionale del primo Rinascimento italiano in pratica all’arte del Quattrocento e soprattutto quella fiorentina.
Questa visione è molto semplicistica e sono stati ripetuti appelli da parte della storiografia artistica dell’area nord europea affinché il termine Rinascimento sia definitivamente sostituito con quello più omnicomprensivo di “Ars nova” per analogia con il corrispondente periodo della Storia della Musica.
Il principale ostacolo per definire l'arte del Quattrocento nord-europeo come Rinascimento del Nord è la mancanza di un chiaro e generale interesse per l'arte e la cultura dell'antichità classica anche se, l'Arte di questo periodo contiene molti elementi innovativi in comune con il Rinascimento italiano che rappresentano una netta frattura con il Medioevo. Si potrebbe quindi parlare qui di un altro Rinascimento, piuttosto che riferirsi ad un semplice e generalizzato concetto di Rinascimento.
Da che cosa nasce questa differenza?
Il termine Rinascimento o rinascita, come è noto, fu usato per la prima volta dallo storico dell'arte italiano Giorgio Vasari nelle sue Vite pubblicate nel 1550 per descrivere il lavoro di numerosi artisti. La sua idea base era una rinascita nell'Arte dopo un lungo periodo di declino a seguito della caduta dell'Impero Romano che condensava nel termine gotico
Nella penisola italiana, questa riscoperta dell'antico patrimonio iniziò a prendere forma nella scienza e nella letteratura già dal Trecento, si pensi soprattutto a Francesco Petrarca, ma un orientamento consapevole verso l’arte dell'antichità si ebbe solo nel corso del Quattrocento, inizialmente soprattutto a Firenze, e successivamente anche a Roma e nel nord Italia.
Intorno al 1500 iniziò il periodo che è stato considerato nella letteratura storico-artistica Alto Rinascimento. In quel periodo l'arte fu dominata da Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello. Ebbene solo da quel momento l'arte del Rinascimento italiano acquistò rilievo europeo, mentre nel periodo precedente l'arte di quasi tutta l’Europa era dominata da quella dei Paesi Bassi borgognoni e in particolare da quella del Gotico Internazionale e dei cosiddetti Primitivi fiamminghi.
L’espressione Gotico internazionale si riferisce a uno stile gotico universale, che concluse la pittura del Medioevo, e sottolinea che lo stile era presente in tutta l’Europa, ma sottolinea anche che nacque dallo scambio di idee e tecnologie in tutta l’Europa.
Questo stile ebbe origine nel periodo in cui le grandi istituzioni e strutture del Medioevo erano in declino, basti pensare allo scisma d'Occidente, alla nascita degli Stati nazionali al declino del Feudalesimo e degli eserciti cavallereschi come si vede nella Battaglia degli Speroni d'Oro del 1302 e nelle prime battaglie della Guerra dei Cent'anni.
Ma il lusso nelle grandi corti di Digione, Praga, Milano e Parigi aumentava ancora e il Gotico internazionale era una forma d'arte di e per la corte.
Il cerimoniale e la vita di corte si riflettono in quello stile aristocratico elegante, superficiale e colorato ma tanto irreale da non riflettere minimamente la realtà quotidiana.
La borghesia urbana, nuova potenza economica, competeva con le corti e con l'aristocrazia nell'acquisizione di opere d'arte che in questo periodo sono spesso letteralmente dei gioielli: dittici, pale d'altare portatili, arazzi, manoscritti e miniature, piccoli oggetti che potevano essere facilmente trasportati e fatti circolare in tutta Europa, creando e diffondendo lo stile comune.
Nel campo dell'architettura, della scultura e delle arti decorative, la maggior parte dei luoghi fuori dall'Italia, ma ancora la stessa Italia del Quattrocento, aderiva ancora al linguaggio del Gotico internazionale, e in Europa questo avvenne fino a buona parte del Cinquecento.
Lo sviluppo della stampa permise, inoltre, di diffondere ulteriormente l'Umanesimo, che aveva costituito anche la base del Rinascimento in Italia. Di conseguenza, l'interesse per il patrimonio dell'antichità classica aumentò in tutta Europa.
Fu solo intorno al 1500 dunque che artisti in Germania, Francia, Paesi Bassi e altrove nel Nord Europa subirono chiaramente l'influenza degli esempi del Rinascimento italiano ed è da quel momento che si può più giustamente parlare di un Rinascimento del Nord.

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Il “Gotico internazionale”, è un preambolo ineludibile per comprendere l’arte non solo dei Paesi Bassi e delle Fiandre, ma anche in queste regioni ebbe una particolare importanza per la nascita dei “Primitivi fiamminghi”.
L’espressione “Gotico internazionale” si riferisce a una fase tarda del Gotico che concluse magnificamente la pittura del Medioevo e sottolinea non solo la presenza di questo stile in tutta l’Europa, ma anche la creazione stessa di questo stile attraverso uno scambio d'idee e di tecnologie attraverso tutta l’Europa.
Questo stile si sviluppò contemporaneamente nelle terre “franco-fiamminghe”, in “Borgogna”, in “Boemia” e nell'”Italia settentrionale” tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento prima di diffondersi ampiamente in tutta l'Europa occidentale e centrale. Questo stile "gentile" e dallo “spirito cortese” – come testimonia la stessa letteratura contemporanea – è caratterizzato da tre elementi: una nuova ricerca dell'eleganza preziosa che si traduce nell'uso di toni più accesi, giocando spesso sugli accostamenti di colori primari; una raffinatezza delle rappresentazioni umane, correggendo le forme più statiche e ieratiche del gotico; infine da una maggiore attenzione ai dettagli – ad esempio tessuti e drappeggi – e all'osservazione della natura – comprese piante e animali.
Il "Gotico internazionale" – come tutta l’antropologia dell’epoca – faceva eco alle preoccupazioni che ne caratterizzarono il periodo e sperimentò pure un'ispirazione più oscura, concentrandosi su raffigurazioni della morte più goffe e bizzarre. In questa fase l'Arte intraprese un processo di relativa secolarizzazione delle sue funzioni, producendo per un'élite di corte e preannunciando la committenza borghese che si sarebbe ulteriormente sviluppata nel Quattrocento. Storicamente, questo stile può essere considerato come l'ultima manifestazione di un'Arte cosmopolita del Medioevo, in contrapposizione agli sviluppi successivi che, dal Quattrocento in poi, distingueranno da un lato la “scuola italiana” che, proseguendo un movimento avviato da Giotto e da alcuni suoi seguaci, diede origine al Primo Rinascimento, dall'altro la “scuola fiamminga”, caratterizzata in modo decisivo e definitivo dalle innovazioni pittoriche di “Hubert e Jan van Eyck” la cui "Adorazione dell'agnello mistico" è l'opera più significativa. Tutti i risultati spettacolari della rivoluzione ottica dei fratelli Van Eyck si sintetizzano in questo primo capolavoro, la cui rivoluzione ottica ebbe un impatto formidabile sulla pittura occidentale.
Nel Nord Europa gli epigoni del "tardo gotico", in particolare gli elementi decorativi, si trascinarono fino al Cinquecento, perché niente di alternativo riuscì a imporsi per sostituirlo prima che il Rinascimento italiano si affermasse completamente in Europa.
Il “Gotico internazionale” ebbe origine nel periodo in cui le grandi istituzioni e strutture del Medioevo stavano tramontando, basti pensare allo “scisma d'Occidente”, alla nascita degli “Stati nazionali” al declino del “Feudalesimo” a vantaggio della “borghesia” e alla crisi degli eserciti cavallereschi a vantaggio della fanteria armata alla leggera, come si vede in modo esemplare nella “Battaglia degli Speroni d'Oro” e nelle prime battaglie dell’estenuante “Guerra dei Cent'anni”.
La diffusione di uno stile "internazionale" alla fine del Trecento ha parecchie concause. In primo luogo, si disgrega progressivamente il mecenatismo religioso del Medioevo che, tendendo a mantenere le scuole locali, aveva favorito una certa omogeneizzazione delle pratiche in tutta Europa, prima che si affermassero, all'inizio del Quattrocento, i rigidi sistemi corporativi che ebbero come conseguenza la riaffermazione delle specificità nazionali. In secondo luogo, la mobilità di opere e di artisti rinomati, il cui prestigio travalicava i confini degli Stati, contraddistinse anche un'epoca in cui le più potenti corti europee collezionavano capolavori con l'obiettivo di affermare ed esaltare il loro potere, rendendo in tal modo possibile la diffusione in cambio delle innovazioni artistiche del tempo. In terzo luogo la proliferazione di opere trasportabili, come manoscritti miniati, pale d'altare portatili, pezzi di oreficeria, tendaggi e quant’altro che, viaggiando secondo gli orientamenti delle diverse corti, mantenevano scambi tra le corti di Parigi, Milano, Siena, Avignone, Praga, Digione, o anche Londra, Colonia e Valenza, nella stessa misura in cui matrimoni reali potettero diffondere simili gusti aristocratici e promuovere così lo spirito di emulazione.
Molti tratti caratteristici del “Gotico internazionale” comparvero in Italia e si espansero a nord delle Alpi influenzando la Francia, attraverso la folta pattuglia di artisti italiani legati alla corte papale ad Avignone, primo fra tutti il senese "Simone Martini", che vi risiedette tra il 1330 e il 1340, e che può essere considerato per molti versi un precursore di questo stile.
L'influenza dell’aristocratica Repubblica di Siena, tuttavia, non impedì al gotico italiano di mantenere le proprie caratteristiche durante e dopo questo periodo, mentre la vistosa corte dei Visconti a Milano, fu per un certo periodo la più importante sede di questo "stile cortese" in Italia.
Si trattava però di una compenetrazione reciproca perché gli sviluppi dello stile nel Nord Europa influenzarono a loro volta gli artisti italiani.

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Dopo aver  affrontato le cause sociopolitiche e socioculturali alla base del “Gotico internazionale”, oggi incomincerò a trattare della sua fenomenologia artistica.
Per l’ampiezza dell’argomento riguardante suddividerò la “lectio” in parti riferite ad alcune aree dell'Europa di particolare rilievo.

Parte I  In Boemia

Nella misura in cui le commissioni diventavano anche opera di monarchi o di potenti aristocratici, e non più solo della Chiesa, i donatori chiedevano di essere rappresentati, il più delle volte inginocchiati, in atteggiamento di preghiera, in ritratti votivi volti ad assicurarne la salvezza.
Se la loro dimensione è inizialmente minuscola, come nella Madonna di Glatz (1343-1344 circa) realizzata da un maestro boemo, (fig. 0) tende ad aumentare per eguagliare gradualmente quella dei personaggi sacri che li accompagnano, e stabilire un dialogo diretto con quelli qui presenti, come si vedrà con il re d'Inghilterra Riccardo II nel “Dittico di Wilton” (1395-1399 circa).


“La Beata Vergine di Glatz” è un dipinto donato dal primo arcivescovo di Praga, “Ernesto di Pardubice” intorno al 1350 all'”Abbazia dei Canonici Regolari Agostiniani” di Glatz, da lui appena fondata. Fino alla distruzione dell'abbazia nel 1622, questo dipinto ornava l'altare maggiore della cappella dedicata all'”Annunciazione di Maria”.
Il dipinto su tavola di legno di pioppo rappresenta una Vergine in maestà. Si tratta di un'opera della Scuola di Boemia attribuita al “Maestro di Hohenfurth” e realizzata su richiesta del primo arcivescovo di Praga, Ernst von Pardubitz, che si vede rappresentato anche inginocchiato in basso a sinistra. La Vergine è seduta su un trono in stile gotico, su uno sfondo teso da un baldacchino dorato. Con la mano destra tiene il Bambino seduto sulle sue ginocchia e tiene il globo con la mano sinistra.
Dal punto di vista iconografico, Maria siede sul "trono della Sapienza" come “Sedes sapientiae”, secondo le “Litanie di Loreto”.

Secondo la “Vita Venerabilis Arnesti” del gesuita “Bohuslav Balbín”, questo dipinto doveva originariamente formare la parte centrale di un polittico a cinque pannelli.
Ernst von Pardubitz, che poco prima di morire scrisse la storia di un'apparizione mariana vissuta da bambino nella chiesa parrocchiale di Glatz, venerava la Vergine Maria. Fu senza dubbio a causa di questa esperienza mistica che prima del 1350 aveva fondato un monastero agostiniano a Glatz e lo aveva finanziato con l'aiuto dei suoi due fratelli “Smil” e “Wilhelm von Pardubitz”.
Il “Museo Kaiser-Friedrich” di Berlino, oggi “Pinacoteca di Berlino” lo acquistò nel 1902 per un importo di 8.500 marchi.

Il punto di partenza è l'importante versione boema dello “stile cortese” nel quadro del “Gotico internazionale” che ebbe origine alla corte praghese di “Carlo IV”, (fig. 1) imperatore del Sacro Romano Impero, che per un breve periodo diventò fulcro dell'Arte europea.

Il cosiddetto “stile gentile” è una designazione di uno specifico stile del “Gotico internazionale” in Boemia corrisponde al periodo di regno di Carlo IV e di suo figlio Venceslao IV, noto come "l'età d'oro" di Praga che diventò la più grande città europea dopo Costantinopoli, Parigi e Granada. In un senso più ampio, si può anche considerare lo “stile gentile” una variante centroeuropea dello stile gotico, il cui più emblematico rappresentante in Boemia fu “Mastro Theodorik”.
Carlo, appartenente alla dinastia di Lussemburgo e discendente di quell’Arrigo VII su cui Dante aveva riposto tante speranze, era stato educato dal monaco benedettino “Pierre Roger”, futuro papa “Clemente VI”, quando la sede papale era Avignone.
Il giovane principe parlava cinque lingue e in gioventù aveva trascorso sette anni alla corte di Francia oltre ad aver soggiornato per due volte in Italia. Questa sua cultura cosmopolita, unita ai suoi rapporti familiari – in prime nozze aveva sposato la principessa francese Bianca di Valois – spiega gli intimi legami che intrattenne con le varie corti di Francia, tra cui quella del Papa ad Avignone, e, dal 1363, quella del ramo Valois del "Ducato di Borgogna", che era passato da Giovanni II il Buono a suo figlio Filippo l’Ardito.
Dopo la sua ascesa al trono come re di Boemia nel 1347, Carlo IV stabilì la sua capitale a Praga che all'epoca era costituita da due città medievali autonome su ciascun lato del fiume Moldava: a destra la “Città Vecchia” e a sinistra la “Città Piccola” con il “Castello di Praga”. Nel 1348 Carlo ordinò la costruzione della “Città Nuova”, adiacente all'esistente Città Vecchia, fondò l'”Università Carlo”, iniziò la ricostruzione del Castello e riprese i lavori per la “Cattedrale”. Per realizzare questo ambizioso programma di costruzione reclutò i migliori architetti che poteva trovare e lo “stile gentile” influenzò tutta l’Arte dell’epoca dall’architettura fino alla miniatura.
In architettura il primo fu “Mathieu d'Arras” (1290? - 1352), già capomastro della “Cattedrale di Narbonne”, chiamato per la costruzione della “Cattedrale di San Vito”, (figg. 2 e 3) fu principale progettista della “Città Nuova” di Praga.


Quando fu eletto imperatore del Sacro Romano Impero nel 1355, Carlo decise di fare di Praga la capitale dell'Europa centrale e chiamò al suo servizio il tedesco “Peter Parler” (1332\33 - 1399) per realizzare questa grandiosa visione.

Parler che qui vediamo autoritratto, (fig. 4) fu architetto, costruttore, scalpellino, scultore e intagliatore, il più importante rappresentante della sua grande famiglia, uno degli artisti più importanti del “Gotico internazionale”, che lavorò principalmente in Boemia.
Parler, il cui stile si caratterizza per la raffinatezza formale degli elementi costruttivi e nelle costruzioni talvolta insolite per la Boemia, fu uno degli artefici più importanti e influenti di quella stagione del Medioevo: aveva già lavorato con suo padre Heinrich in diversi importanti cantieri del tardo Medioevo a Strasburgo, a Colonia e a Norimberga finché dal 1356 si trasferì a Praga, dove realizzò le sue opere più famose: la Cattedrale di San Vito e il Ponte Carlo (fig 5).

Quando Peter giunse a Praga nel 1356 Parler aveva appena ventitré anni, ma già tanta esperienza alle spalle. Come incarico immediato rilevò il cantiere della cattedrale di San Vito, che languiva dalla morte di “Mathieu d'Arras” nel 1352.
Peter era così noto per il suo talento che è significativo che la Cattedrale, l’edificio più importante dell'Impero che si definiva Sacro, fosse affidato a un così giovane architetto. Peter continuò i lavori al cantiere di San Vito dal deambulatorio e dalle cappelle, che erano state già in parte completate e modificò gradualmente la pianta di Mathieu mantenendo però continui riferimenti alla visione originaria.
Nel 1342 il “Ponte di Giuditta”, primo struttura di collegamento in pietra fra le due sponde del fiume Moldava, era stato gravemente danneggiato da un'alluvione e nel 1357, Carlo incaricò ancora Peter di costruire una nuova struttura per ricollegare la città in rapida crescita. Peter costruì il “Ponte Carlo” e la torre a est del ponte. Il suo arco contiene una volta a rete che fu la prima del suo genere in Boemia. Costruì poi la Cappella di Tutti i Santi all'interno del Palazzo Reale del Castello di Praga. Tra il 1360 e il 1378 Parler costruì il presbiterio della “Chiesa di San Bartolomeo” nella città di Kolín e fu anche autore di varie tombe, santuari e sculture in vari siti a Praga e dintorni, inclusa “Kutná Hora”.
Se Carlo con i suoi architetti modificò il volto della città, in scultura e in pittura le innovazioni non furono da meno.
Si dice spesso che il cosiddetto “stile cortese” in Boemia nell’ambito del “Gotico internazionale” sia collocabile tra gli anni 1380 e 1420. È innegabile però che esso sia nato prima e che sia continuato anche dopo le "guerre ussite".
La sua antecedenza è testimoniata dalla presenza in Boemia di “Mastro Theodorik”.
Personaggio storico sicuramente identificato dalle sue opere, della sua vicenda biografica non si sa quasi nulla: prima del 1328 era nel nord Italia per un viaggio di studio, forse giunse a Praga dalla Renania negli anni Cinquanta del Quattrocento, è incerta la data della sua iscrizione alla confraternita dei pittori praghesi, dove è indicato come “primus magister” morì a Praga prima del 1381, fu autore di tavole e pitture murali e fu uno dei più importanti pittori di corte dell'imperatore Carlo IV.

Lavorò Praga e al vicino “Castello di Karlstein” e l’Imperatore lo chiamò “suo pittore e cortigiano”. Gli fu concesso di decorare la “Cappella reale di Karlstein”, denominata “Cappella della Santa Croce”. Qui mastro Theodorik continuò l'opera del suo predecessore, il cosiddetto “Maestro dell’albero genealogico lussemburghese”, anche lui pittore di corte di Carlo IV, autore della decorazione della residenza imperiale di Karlstein e delle cosiddette scene di reliquia nella “Cappella della Vergine Maria” nel 1356-1357.
Questo anonimo maestro, originario dell’area fiamminga della Francia, prende il nome dalla sua opera più importante: i dipinti murali con figure di monarchi nel palazzo imperiale del “Castello di KarlsteinQuest’opera, nota a noi solo attraverso copie, fu distrutta nel corso della ristrutturazione alla fine del Cinquecento, ma aveva una notevole valenza politica.
Realizzata negli anni dal 1355 al 1357 dopo il ritorno di Carlo IV a Praga dall'incoronazione a Roma nel 1355, doveva servire a provare la legittimità e la continuità della sua incoronazione imperiale, e per questo  fece decorare la “Sala grande” del “Castello di Karlstein” con una galleria di dipinti su tavola con le figure dei sovrani delle quattro famose monarchie medievali, degli imperatori romani e di Costantinopoli, mostrando in questo modo la centralità della Boemia nella storia mondiale. In totale, potrebbero esserci stati fino a 120 dipinti. Ma, al di là degli intenti politici, questo Maestro apportò innovazioni significative alla pittura murale a Praga e dintorni. Alcuni dipinti su tavola, attribuiti poi alla bottega di Mastro Theodorik, ripetono i volti e gli schemi di movimento tipici delle figure del “Maestro dell'Albero genealogico” e questo suggerisce che Mastro Teodorico sia stato un suo continuatore.
La bottega di Mastro Theodorik realizzò la decorazione complessiva della “Cappella di Santa Croce” (fig. 6) al “Castello di Karlstein”, negli anni 1360-1365. Il complesso si compone di 129, originariamente 130, immagini su tavola di mezze figure di santi, santi e profeti, che rappresentavano l'"Esercito celeste" a guardia delle sacre reliquie conservate nella cappella.
Alcune delle cornici presentano piccoli fori usati per inserire le reliquie. Con la stilizzazione delle figure, con l'abbandono del linearismo gotico e con la modellazione di volti e di panneggi con luci e ombre, i dipinti di Teodorico superano lo stile artistico precedente: è chiaro che conosceva la pittura italiana e quella francese. (fig 7) 
Non si hanno notizie dei pittori che lavoravano nella sua bottega, ma, data l'entità dell'ordine e il breve lasso di tempo in cui furono realizzati, dovettero essere stati parecchi. Alcuni storici dell'arte ipotizzano addirittura la partecipazione di diversi maestri e dei loro collaboratori di bottega: proprio nella “Cappella di Santa Croce” si confrontano di stili pittorici differenti. Si tratta, da un lato, di disegni preparatori delle figure sulla parete dell'altare perfettamente eseguiti, che sono poi ripetuti in forma più semplice o speculare nei disegni di base dei dipinti.
L'autore dei dipinti sulla parete della “Cappella di Santa Croce” era probabilmente il predecessore di Teodorico, il “Maestro dell'albero genealogico dei Lussemburgo”. Innovazioni sotto forma di nature morte compaiono sui dipinti su tavola dei Padri della Chiesa della bottega di Teodorico (Sant'Agostino, S. Ambrogio, S. Gregorio) (fig 8). Questi dipinti, il cui autore è probabilmente un altro pittore di talento, si distinguono in misura insolita di realismo, la soluzione spaziale di nature morte e colori raffinati, anticipando così lo sviluppo della pittura su tavola verso l'inizio del Quattrocento e il Rinascimento nordico.

Anche il “Maestro Bertram”, poi attivo ad Amburgo, lavorò probabilmente nella bottega di Teodorico, e da essa probabilmente provenivano anche il “Maestro della pala d'altare di Trebon” e l'autore della “Targa votiva di Jan Oček” cardinale e arcivescovo di Praga.
Anche i miniatori delle “Bibbie Capitolari A 2 e A 3” erano vicini a Teodorico, o provenivano direttamente dalla sua bottega. Sebbene il cosiddetto "stile cortese" non abbia avuto successori diretti, l'ambiente stesso della bottega influenzò la successiva generazione della pittura boema.
La preparazione delle tavole è identica alla pratica in Francia e Germania e altri artisti specializzati dovettero collaborare alla forma finale dei dipinti, creando un complesso sistema di decorazioni come rilievi dello sfondo e della cornice dei quadri, decorazioni a rilievo incollati, piccole applicazioni di oreficeria fuse da stagno e piombo in stampi, dorature di fondo e prodotti orafi, ad esempio sotto forma di croci, attaccate alla tavola con chiodi d’argento.
Grande appassionato d’arte e profondamente devoto, certamente Carlo IV possedeva già almeno una “pala d'altare” italiana nella sua collezione, quella probabilmente realizzata in Italia da “Tommaso da Modena” e inviata in Boemia per il “Castello di Karlstein”, dove si conserva ancora oggi.
In pittura, lo “stile cortese” boemo era caratterizzatoa una modellazione morbida e da colori luminosi dell'immagine. Il suo forse più importante rappresentante era il tuttora sconosciuto “Maestro dell'altare di Trebon (1330\40 - dopo il 1390) la cui formazione derivava forse dalla tradizione della bottega del “Maestro Theodorik”.
Il “Maestro dell'Altare di Trebon” o “Maestro di Trebon” fu attivo in Boemia tra il 1370 e il 1390, lavorò alla corte imperiale di Carlo IV e di suo figlio Venceslao IV e fu uno dei pittori più importanti dell'Arte europea dell'ultimo quarto del Trecento e artista basilare per lasione Boema dello “Gotico internazionale”.
La sua data di nascita è sconosciuta e il luogo è forse collocabile nella regione franco-fiamminga, anche se gli studiosi cechi tendono invece nazionalisticamente a considerarlo boemo anche di origine.
Il “Maestro di Trebon” giunse al suo apice tra gli anni 1375 e 1385, quando insieme alla sua bottega dipinse una pala d'altare per la “Chiesa di San Jiljí” del “Monastero dei canonici di Sant’Agostino” di Trebon, una cittadina della Boemia meridionale.
Le tre tavole sopravvissute, possono quasi certamente essere collegate al monastero di Trebon: le facce esterne raffigurano “Scene della Passione” quelle interne le “Gerarchie di santi e sante”.
Le tavole, oggi esposte alla “Galleria Nazionale” di Praga, raffigurano “Cristo sul monte degli Ulivi” (fig. 9-10 - 11) sul verso S. Caterina, S. Maria Maddalena e S. Margherita, la “Resurrezione di Cristo” sul verso S. Giacomo il Minore, S. Bartolomeo e S. Filippo e la “Deposizione di Cristo nel sepolcro, sul verso S. Egidio, S. Agostino e S. Girolamo.




Lo smantellamento di questo polittico si verificò con lo scioglimento del monastero nel 1785, con il suo abbandono da parte degli Agostiniani e al conseguente trasferimento delle singole tavole in edifici ecclesiastici della zona di Trebon. Pertanto, la ricostruzione della forma originaria della pala d'altare è ancora considerata improbabile.
Nell’impaginazione, il maestro di Trebon ha utilizzato una disposizione diagonale, tipica di tutte e tre le scene della passione. Una distinta diagonale si trova sulla tavola del “Cristo sul Monte degli Ulivi”, dove una roccia separa da un lato il “Cristo orante dagli apostoli dormienti” e dall'altro “Giuda che si avvicina con i soldati”.
Nei pannelli della “Resurrezione” e della “Deposizione di Cristo nel sepolcro”, la diagonale forma un sepolcro sopra il quale si libra il Cristo risorto, nel secondo caso vi fu sepolto. Oltre alla diagonale, nelle scene della Passione compare anche un'ellisse, ben visibile nella scena della “Deposizione di Cristo nel sepolcro”. La diagonale e l'ellisse hanno permesso al pittore di organizzare lo spazio in modo nuovo e originale.
Al “Maestro di Trebon” appartiene anche la bellissima “Madonna di Roudnická” (fig. 12), del 1385/90 proveniente dalla “Chiesa di San Venceslao” di Roudnice sull’Elba e oggi alla “Galleria Nazionale” di Praga.

Anche su questa tavola, è visibile una diagonale formata dalla figura di Gesù bambino nudo, che è tenuto in braccio dalla Vergine Maria incoronata rappresentata nella tipologia della “Regina Coeli”.
L'analisi dell'iconografia e dell'espressione cromatica della “Madonna Roudnicka” è molto vicina al successivo periodo delle cosiddette “Madonne cortesi”, caratterizzato dalla bellezza espressiva del volto e dal rapporto affettivo di una giovane madre con un simpatico e tenero bambino. Il dipinto era quindi orientato verso l'ideale della bellezza che, tra il Trecento e il Quattrocento boemo, ricevette ladefinizione di “bellissimo stile”.
L'anonimo “Maestro di Trebon” arricchì il suo stile con elementi pittorici provenienti dalla Francia e dall'Italia e con lui si affermò un culto della bellezza che trascendeva l'ambiente culturale dell'Europa centrale. Con la sua opera, creò una fase di sviluppo non solo per la pittura boema, ma anche per quella europea fino al Quattrocento. Per questa ragione può essere considerato il maggiore pittore del “Gotico internazionale” in Boemia.
Nella scultura la corrente boema dello “stile cortese” l’aspetto sensuale della scena si accorda con quello spirituale, principalmente nella creazione di “Madonne” e di “Pietà”, un archetipo questo che si diffuse in tutta l’area continentale europea fino alle Alpi e ai Pirenei per poi diffondersi anche nell’area mediterranea.
Queste opere scultoree sono caratterizzate da lineamenti idealizzati e colti, da figure snelle e spesso in asse con abiti che scendono in ricche pieghe. Oltre agli artisti nazionali, lo straordinario sviluppo dell'arte boema di quel periodo fu influenzato anche in scultura da artisti provenienti da Francia, da Italia e Germania: lo stile boemo infatti inizialmente non aveva quei profili ondulati e slanciati tipici di altri centri artistici, ma le sue figure femminili, in particolare quelle delle “Madonne Belle”, trasmettono una ricchezza e una morbidezza che ebbero influenza sulle rappresentazioni successive.
L’espressione “Madonne Belle” fu introdotta negli anni Venti del Novecento per indicare le opere scultoree realizzate in marna o in pietra arenaria a grana sottile della fine del Trecento e della prima metà del Quattrocento.
Il centro di produzione di queste opere era Praga, da dove erano esportate anche in Slesia, Germania e Austria ed l’espressione scultorea dello “stile cortese” del periodo di Carlo IV e di Venceslao IV.
Le "Madonne Belle" raffiguravano una figura in piedi della Vergine Maria che tiene in braccio Gesù Bambino. Si tratta di sculture in pietra policroma, la cui creazione è collegata alle opere sculture in pietra realizzate nella cattedrasle di San Vito a Praga ad opera di “Peter Parler” e dei suoi figli, “Václav” e “Jan”. I più importanti creatori anonimi furono il “Maestro della Madonna” di Krumlov e il Maestro della Madonna di Toruń (fig 13- 14 e 15).





Questo tipo di creazione si diffuse in seguito anche nell'area delle Alpi Orientali, dalla Germania meridionale, passando per l'Austria fino all'Italia settentrionale.
Esempi famosi di Madonne sono la “Madonna di Krumlov, conservata al “Kunsthistorisches Museum” di Vienna, e la “Madonna di Torun”, che fu distrutta o trafugata alla fine della seconda guerra mondiale.
Notevole anche la miniatura boema, come dimostrano soprattutto i manoscritti miniati realizzati per il re Venceslao IV (1361 – 1419 ).
La “Bibbia di Venceslao IV” è un lussuoso manoscritto (fig 18, 19 e 20) dell'”Antico Testamento”, creato a Praga alla fine del Trecento per il re Venceslao IV. I più ritengono che sia stato creato tra il 1390 e il 1400, ma ci sono anche altre opinioni che indicano la possibilità di una creazione precedente dell'opera. Almeno nove laboratori di pittura, lavorarono alla decorazione dell'opera.




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