mercoledì 26 maggio 2010

La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato

Il grande sviluppo dei quotidiani, dalla seconda metà dell'Ottocento e la diffusione dei nuovi mezzi di informazione nel Novecento, è indissolubilmente legato all'opera delle Agenzie di Stampa.
La loro data di nascita era coincisa con l'affermazione del telegrafo: quando nel 1850 il governo francese aveva concesso l'uso del telegrafo ai privati, Charles Louis Havas, fondatore dell'omonima agenzia, la prima al mondo, ne era stato il precursore. Due allievi di Havas, Julius Reuter e Bernhard Wolff, avevano fondato dopo poco a Londra e a Berlino altre due agenzie, che avevano portato il loro nome. Le tre organizzazioni, con una serie di accordi, si erano spartite il globo come zone di influenza: ne era rimasto fuori il continente nordamericano.
In Italia, la prima agenzia di stampa fu la Stefani. Era nata a Torino il 26 gennaio 1853, accompagnando la nascita del primo "Notiziario telegrafico Stefani", proprio una settimana dopo l'inaugurazione della linea telegrafica Torino-Chambery, che permetteva il collegamento diretto con Parigi.
La Stefani prese il nome dal suo fondatore, Guglielmo Stefani (1819-1861), direttore della Gazzetta Piemontese; con il consenso di Cavour, aveva fondato a Torino l’agenzia nel 1853, si affermò con l'appoggio di Crispi e diventò nel ventennio fascista un’agenzia di rilievo internazionale, rimanendo attiva fino al secondo dopoguerra. La proprietà della testata rimane oggi all’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna e dà il nome al settimanale della scuola di giornalismo di Bologna.
Guglielmo Stefani, coadiuvato da Cavour, che egli ebbe modo di conoscere dopo essere diventato direttore della “Gazzetta Piemontese”, diede origine alla prima forma di agenzia di stampa; la battezzò “Agenzia Stefani – Telegrafia Privata”. Come lo stesso nome suggerisce, l’agenzia, pur essendo di proprietà dello stesso Stefani, svolgeva la sua attività fruendo dei sovvenzionamenti offerti dallo stato sabaudo. Col passare del tempo, però, la Stefani uscì dall’ambito ristretto del regno, impiantandosi negli altri Stati italiani, tra cui Firenze, Milano, Parma, Bologna e Roma.
Quando Guglielmo Stefani morì nel 1861, l’agenzia riuscì a superare le difficoltà intervenute, allacciando rapporti con l’Havas e la Reuter. La quasi totalità delle informazioni provenienti dall’estero giungevano alla Stefani attraverso la Havas che, intorno al 1865, entrò nella proprietà con una quota del 50 per cento. La Stefani trasferì la sua sede, seguendo la capitale d’Italia, prima a Firenze e poi, nel 1881, a Roma.
Francesco Crispi fu un personaggio di spicco nell’ambito del processo di evoluzione della Stefani. Egli, infatti, ebbe l’idea di servirsi della stessa agenzia per dar vita ad un circuito informativo che osteggiasse la Havas e la Reuter, due autentici colossi che controllavano, attraverso la creazione di agenzie di stampa nazionali, la circolazione di notizie nei paesi in questione. Trovatasi al centro dell’operazione di potenziamento della Triplice Alleanza, la Stefani si svincolò dall’agenzia francese, al termine di estenuanti trattative. Sforzo inutile, poiché la stessa agenzia strinse un accordo di collaborazione con la Reuter, succursale della Havas, con la tedesca “Continentalen” e con l’austriaca “Correspendenz-Bureau”.
Nonostante il sostegno economico del Governo, la Stefani ai primi del Novecento aveva ancora una dimensione ridotta, con abbonati solo in trentanove città. I corrispondenti erano pochi, le province poco servite: molte prefetture erano abbonate, ma spesso non ricevevano il servizio. In Italia, infatti, le agenzie erano strettamente legate allo Stato per quanto riguardava i finanziamenti. Solo nel mondo anglosassone, dove era più sviluppata l'industria giornalistica, le agenzie nacquero come struttura industriale, sotto forma di cooperativa o come proprietà diretta di gruppi di giornali.
Nella Stefani, divenuta società per azioni, entreranno personaggi famosi, come il triestino Teodoro Mayer, editore del “Piccolo” e in seguito primo presidente dell'IMI, che possedette la metà del capitale dal 1900 al 1920 ed il finanziere Giuseppe Volpi di Misurata.
Nel 1920 fu stipulato un accordo con il Governo, che affidava all’agenzia il compito di distribuire le informazioni ufficiali alla stampa, ai prefetti e agli uffici governativi: la nomina del direttore, da quel momento, fu sottoposta all’approvazione del governo.
Nel 1921 le difficoltà economiche costrinsero l’agenzia a stipulare un nuovo accordo con l’Havas, che dava a quest’ultima l’esclusiva sulla pubblicazione delle notizie della Stefani fuori dall’Italia. L’accordo con l’“Havas” rendeva anche possibile l’accesso alle notizie della “Associated Press”, che copriva gli Stati U Press, che copriva gli Stati uniti ed il Sud America, grazie ai cavi stesi nell'oceano, che collegavano New York a Parigi.
Con l’avvento del Fascismo, la direzione dell’agenzia fu affidata a “Manlio Morgagni” (1879 – 1943), ex direttore amministrativo de “Il Popolo d'Italia”, che la potenziò e la trasformò, rilanciandola anche sul piano internazionale: l’agenzia Stefani diventò la voce del regime, portavoce di Mussolini e della sua azione politica.
A questo punto, la storia della Stefani si intreccia indissolubilmente con la vicenda personale di Morgagni. Di ottima famiglia romagnola, Manlio Morgagni era fratello di un ufficiale pilota, morto in combattimento durante la prima guerra mondiale.
Uno dei cosiddetti "fascisti della prima ora", Morgagni, amico di Benito Mussolini fin dai tempi dell'interventismo, partecipò alle riunioni milanesi dalle quali scaturì il “Movimento dei Fasci italiani di combattimento” e pertanto fu uno dei "sansepolcristi", come furono definiti i partecipanti all'assemblea milanese in piazza San Sepolcro e come tale partecipò alla “Marcia su Roma”.
Uomo di grande valore morale e pratico, di specchiata onestà e di profonda dedizione, ma dal carattere schivo, Manlio Morgagni prestò la sua opera per lunghi anni all'ombra di Mussolini, che gli concesse sempre la più ampia fiducia, peraltro ampiamente meritata. Fu consigliere comunale (1923-1926) e vicepodestà di Milano (1927-1928), nonché presidente della Commissione per l'abbellimento della città di Milano. Dapprima collaboratore del giornale “Il Popolo d'Italia”, ne divenne direttore amministrativo (15 novembre 1914-1919). Fu co-fondatore e direttore della “Rivista illustrata del Popolo d'Italia”; fondò la rivista agraria "Natura" nel 1928.
L’incarico che lo condusse alla fama fu quello di presidente e direttore generale dell'Agenzia Stefani, che riuscì a potenziare, dandole importanza anche internazionale. Morgagni riuscì a conquistare una certa indipendenza dall’“Havas” ed a raggiungere con il notiziario italiano le comunità italiane in Sud America, attraverso un accordo con la “United Press”.
Nel 1925, il processo di assoggettamento della stampa alla causa fascista subì una notevole accelerazione. Le maggiori testate giornalistiche, in questo periodo, diventano di dominio di Mussolini: Il “Corriere della Sera” con Albertini si “fascistizzò”, “La Stampa”, edita da una società controllata dalla Fiat, con Frassati grazie all’attenzione di Mussolini alle richieste di Agnelli, “Il Messaggero” con i Perrone e poi con Pier Giulio Breschi, a Roma “La Tribuna” dei Perrone assorbì “L’Idea Nazionale” diretta da Roberto Forges Davanzati, a Venezia “Il Gazzettino” diretto da Salamini, “Il Resto del Carlino” diretto da Leandro Arpinati, passò poi a Missiroli, poi a Giorgio Pini, imposto da Mussolini, “Il Mattino” e il ‘Roma’ furono accollati al Banco di Roma e “fascistizzati” nel 1930, la prima volta che un ente possedeva due testate.
La stampa italiana fu sottoposta ad un sistema di controllo ispirato al concetto che «in un regime totalitario la stampa è un elemento di questo regime, una forza al suo servizio».
L’Agenzia Stefani, passata al servizio di Mussolini, cominciò ad assolvere alla funzione per la quale era stata concepita: filtrare le notizie e diramarle agli organi di diffusione della stampa. Con la nascita della radio nel 1930, tutte le notizie che pervenivano alle emittenti radiofoniche erano filtrate dalla Stefani.
L’ultimo periodo della vita di Manlio Morgagni fu tormentato da una chiusa crescente ansia per le condizioni del Paese.
Nel novembre del 1942 cominciarono le sue preoccupazioni: la salute di Mussolini era cagionevole e per Morgagni era una spina nel cuore, la guerra andava male e si sperava che, superato l’autunno, la situazione militare diventasse più favorevole per l’Italia.
La caduta di Tripoli segnò l’inizio del processo di abbattimento del regime. Le defezioni e gli intrighi orditi per far crollare il Fascismo cominciavano a produrre i loro effetti.
Morgagni intuì l’esistenza di forze occulte che cospiravano per la destabilizzazione del paese e del Partito. A causa della sua eccessiva ingenuità, però, non immaginò che una congiura fosse stata ordita anche ai suoi danni, al fine di sottrargli la Stefani, motore del fascismo e del paese intero. Nel frattempo, la salute di Morgagni andava deteriorandosi; celebri sono alcune sue frasi con le quali annunciava, indirettamente, il suo suicidio, qualora il Duce fosse crollato. Il 22 luglio, Morgagni riuscì nell’intento di allontanare la vecchia zia Cesira e la sua amata Bice, facendole trasferire a Gallignano, nel cremonese. Era insopportabile l’idea che alle donne della sua vita potesse accadere qualcosa.
Dall’apertura del Gran Consiglio, Morgagni visse in una spasmodica attesa. È sempre attaccato al telefono per avere notizie da Palazzo Venezia, dal Viminale. Cercava insistentemente notizie sugli esiti del Consiglio, sia in casa propria sia nella sede della Stefani, dove la ricerca delle notizie, nonché il collegamento con i Ministeri, risultavano essere notevolmente agevolati. Ma il Direttore politico, prototipo dell’italiano traditore di quel nebbioso periodo, lo tenne all’oscuro di tutto, mentre egli sapeva tutto.
La stabilità di Morgagni era ormai compromessa, al suo fianco aveva due amici che lo colmavano di attenzioni. Nei loro confronti, egli si mostrava sereno e pacato, quasi a volerli allontanare. Nel frattempo, però, egli si congedò da loro con fare solenne e, nella stessa giornata, fece in modo che sua moglie ricevesse, tramite una telefonata, la notizia che egli stava bene. La donna ignorava completamente della congiura ormai prossima, ai danni del Duce e dello stesso Morgagni.
Alle ventidue squillò il telefono: l’uomo di Badoglio, il Direttore politico, diede la notizia delle dimissioni di Mussolini e forse del suo arresto. Morgagni era solo, nella disperazione del crollo. La sua luce si era spenta. Tutto era finito per Morgagni, infatti le sue ultime parole furono queste: “Il Duce si è dimesso. Il Re ha dato il Governo a Badoglio. La mia vita è finita. Viva Mussolini”.
Prima del suicidio, però, Morgagni scrisse una lettera diretta a Mussolini, spiegando i motivi del suo atto estremo e dando un’ultima prova del suo attaccamento alla causa patriottica, oltre che della sua indiscutibile fede per Mussolini. La lettera recitava: «Mio Duce! L'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per la salvezza dell'Italia. Morgagni».
Il 15 ottobre del 1943, costituita che fu la Repubblica Sociale Italiana, il nuovo Guardasigilli, Antonino Tringali Casanuova, inviò a Mussolini l'ultima missiva a lui indirizzata dal Presidente della "Stefani" prima che si togliesse la vita, accompagnandola con tre righe, queste: «Duce, Vi trasmetto una lettera a Voi diretta, rinvenuta dal magistrato nella casa di Manlio Morgagni, in occasione del suo suicidio avvenuto la sera del 25 luglio u.s. ».
In seguito a ciò Benito Mussolini volle di persona scrivere l'epigrafe da apporre alla tomba di Morgagni.
QUI
NEL SONNO SENZA RISVEGLIO
RIPOSA
MANLIO MORGAGNI
GIORNALISTA
PRESIDENTE DELLA STEFANI
PER LUNGHI ANNI
UOMO DI SICURA INTEGRA FEDE
NE DIEDE MORENDO
TESTIMONIANZA
NEL TORBIDO 25 LUGLIO 1943
Dopo l’8 settembre 1943, l’agenzia Stefani si trasferì al Nord e divenne proprietà dello Stato. Con la Repubblica Sociale Italiana la sede fu spostata a Milano sotto la direzione di Luigi Barzini senior che dopo il suicidio di Morgagni, accettò la presidenza della Stefani, l'agenzia di stampa organo ufficiale della Repubblica di Salò. Dopo la liberazione ciò gli costerà l'isolamento. Trascorre gli ultimi anni di vita a Milano, dove morì nel 1947, indigente.
Il suo ultimo direttore fu Ernesto Daquanno. Egli nacque a Roma il 7 gennaio 1897. Nazionalista e corrispondente a Roma di vari giornali, il 26 luglio 1943 fu rimosso da capo redattore del quotidiano torinese LA STAMPA. Aderì alla RSI e Mussolini ne apprezzò la professionalità al GIORNALE RADIO-EIAR. Dal 26 gennaio firmò IL LAVORO di Genova, una delle Aziende socializzate, e il 2 giugno 1944 fu sostituito da Gian Gino Pellegrini.
Dal 5 giugno 1944 avvicendò Orazio Marcheselli alla Direzione Generale della STEFANI. Ernesto Daquanno fu fucilato insieme a Mussolini e a Claretta Petacci ed altri gerarchi, a Dongo.
La RSI segnò una profonda svolta per la storia della Stefani che, con l’avvento della Repubblica, cessò di essere la voce del fascismo e, coerentemente al moderno principio di libertà della stampa, cominciò a svolgere le funzioni per le quali una normale agenzia di Stampa è preposta: fare informazione senza filtri né limitazioni da parte di alcun regime.
La STEFANI della RSI è pronta ad informare sui danni bellici al patrimonio artistico. Questi gli inizi di quattro messaggi Anno XCI: del n. 8 “Il Ministro dell’Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini si è incontrato recentemente a Firenze con i sovrintendenti ai monumenti e con esponenti degli istituti di cultura con i quali ha studiato nuovi e urgenti mezzi onde assicurare, per quanto possibile, le opere d’arte dalle offese nemiche”, del n. 10 “Tutto ciò mentre il sostituto del primo ministro Attlee pronunciava attraverso Radio Londra, le seguenti parole: il governo britannico, prendendo in considerazione una nota della CRI, fa presente che per l’esecuzione dei bombardamenti aerei ha dato precise disposizioni perché si eviti di danneggiare persone e cose non inerenti alla guerra.”, del n. 11 “Per la prima incursione, quella del 7 aprile, Radio Londra inventò, a giustificazione dell’orrendo misfatto, strane storie di convegni e di parate militari italo-germaniche. Per la seconda, quella di domenica scorsa, siamo ancora in attesa di notizie Ancora una volta il centro della città (Treviso) è stato letteralmente pettinato dalla furia distruttrice” e del n. 25 “ Dalla Genova medioevale gli incursori si sono spinti su nei quartieri del cinque-seicento, dovuti in gran parte alla genialità di Galeazzo Alessi e della sua scuola, e giunti intatti a noi a testimoniare la potenza imperiale della Superba”.
Il monopolio della Stefani durò in Italia quasi un secolo, fino al 1945, anche se dopo il 1900 sopravvisse qualche piccola agenzia specializzata.
Il vero scossone a questa situazione si ebbe alla fine della seconda guerra mondiale, quando in molti Paesi agenzie governative furono sostituite da nuovi organismi su base cooperativa; lo stesso è avvenuto nei paesi dell'Est europeo, dopo la caduta del muro di Berlino. Rimangono, però, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, molte "Agenzie di bandiera", che fanno sentire soltanto la voce dello Stato. Nell’Italia liberata nacque l’Ansa (Agenzia Nazionale Stampa Associata) da un accordo tra editori di varie tendenze politiche, prima solo del centro-sud e poi anche del nord. "L'ANSA - informa la NNU agenzia delle forze alleate nel renderne nota la nascita - sarà una cooperativa aperta a tutti i quotidiani e indipendente da qualsiasi forma di influenza estranea al giornalismo". Il 15 gennaio l’agenzia cominciò effettivamente ad entrare in attività: cominciarono, quindi, le prime trasmissioni, fatte con mezzi fortunosi avuti in prestito. Col passare del tempo nacquero poi altre agenzie, come l’Agi (Agenzia Giornalistica Italia), l’ADN Kronos, l’Asca e Radiocor. La Stefani cessò rapidamente le attività e divenne successivamente di proprietà dell'ordine dei giornalisti.
La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo La Stefani: quando Morgagni diede voce al Fascismo di Tony Barbato in salotto culturale stabia di massimo capuozzo

giovedì 20 maggio 2010

L'Alto Medioevo di Massimo Capuozzo

L’Alto Medioevo - Il periodo compreso tra il V e l’XI secolo è uno dei momenti più bui della storia d’Europa.
Il significato storico dei secoli di imbarbarimento che costituiscono l’Alto Medioevo è però ambivalente: mentre da una parte essi rappresentano la frattura con la civiltà classica i cui valori sembrano andare perduti per sempre, dall’altra, invece, grazie all’assimilazione di vari elementi, si attua la laboriosa gestazione di una nuova civiltà, del tutto originale, la civiltà europea che, progredendo e sviluppandosi, imporrà poi la sua egemonia sul mondo.
La morte dell’Imperatore Teodosio nel 395 segnò la definitiva sepa­razione delle province occidentali, di lingua e cultura latina, da quelle orientali, ed il conseguente rapido declino dell’Impero roma­no d’Occidente, meno abitato, me­no urbanizzato, meno civile, me­no ricco di risorse rispetto a quel­lo d’Oriente o bizantino. I sintomi dell’imminente dissoluzione dell’Impero già si delineavano:
nel 406 le difese della frontiera renana cedettero;
nel 410 Roma fu saccheggiata una prima volta da parte dei Visigoti di Alarico, i quali però, già cristianizzati, rispettarono gli edifi­ci religiosi;
nel 455 fu saccheggiata di nuovo da parte dei Vandali di Genserico che le infersero i colpi più gravi;
nel 476, deposto l’ultimo Imperatore romano da Odoacre, re degli Eruli, l’Impero d’Occidente cadde definitivamente e nuclei di popola­zioni germaniche (Goti, Vandali, Franchi) si insediano sul territo­rio imperiale, dando vita ai cosiddetti regni romano-barbarici[1].

1. Le grandi trasformazioni sociali e politiche dell’Alto Medioevo: le monarchie romano-barbariche.
a) Decadenza della città
- Roma, imponendo il suo dominio politico sull’Europa occidenta­le, vi introdusse quella civiltà urbana, lì sconosciuta, che aveva invece caratterizzato tanto la Grecia quanto i grandi imperi dell’antichità.
Per civiltà urbana si intende che la città era il luogo delle decisioni politiche e amministrative, degli scambi commerciali e culturali, la residenza usuale dei detentori del potere, mentre alla campagna era assegnata una posizione subalterna in tutti questi campi, an­che se essa rappresentava la principale e quasi unica produttrice di ricchezza.
Il mo­dello di vita cittadina, portato dai legionari romani, si diffuse rapidamente nei paesi europei conquistati. Fu un processo che toccò il suo apice nel II secolo d.C., per av­viarsi poi alla progressiva decadenza.
Fra le cause di questa decadenza ai possono individuare molteplici fattori, ma la ragione principale sta nell’effettiva inconsistenza dell’economia legata alla civiltà urbana. Nell’Occidente, a differenza dell’Oriente, la città fu un organismo esclusivamente parassitario: essa[2] non era produttrice di ricchezza e tanto meno di ricchezza per un vasto mercato. Di qui la debolezza della civiltà urbana romana, debolezza che condizionò negati­vamente anche la potenza militare dell’Impero d’Occidente, gli impedì di resistere alla pressione dei barbari e, assieme ad altre cause, ne determinò la fine.
Le invasioni dei Germani, le scorrerie degli Unni e degli Ungari, accelerarono il processo di decadenza della città fino a portare, in molti casi, alla sua scomparsa materiale e comunque alla fine della sua posizione di predominio come centro politico, culturale ed eco­nomico.
b) La società rurale - È stato detto che l’Impero Romano d’Occidente non morì di mor­te naturale, ma fu assassinato dai barbari. L’affermazione è vera nel senso che essa efficacemente sottolinea la violenta frattura verificatasi con la civiltà precedente: senza le invasioni germaniche e le devastanti incursioni di altre popolazioni barbariche che distrussero la struttura materiale su cui si fondava la civiltà latina in Occidente, non si spiegherebbe la totale scomparsa di quella civiltà urbana che l’aveva caratterizzata dal­la Spagna al Reno, dalla Britannia alle sponde settentrionali dell’Africa; questa società lasciò il posto ad una società che ebbe i suoi centri politico-amministrativi, commer­ciali e culturali fuori delle città, nelle villae[3], le estese tenute dei grandi proprietari fon­diari, nei monasteri, nelle abbazie e nei castelli, residenza dell’aristocrazia guerriera che deteneva il potere sui paesi conquistati.
Intorno a questi centri si addensa­va la popolazione rurale: era una società che, per la forte regressione della produzione e degli scambi e la ridotta circolazione monetaria, si basava esclusivamente, con poche eccezioni, su un’agricoltura che operava in condizioni di estrema povertà e vedeva ridursi progressivamente le sue potenzialità in terre coltivate e in braccia lavora­tive.
La popolazione, decimata, più che dalle guerre, dalle epidemie e dalle carestie che le accompagnavano, toccò livelli bassissimi: nell’VIII secolo la popolazione dell’Italia non doveva superare i 4 milioni, mentre nel V secolo era di quasi 8 milioni.
Le terre coltivate erano divorate dalle selve che assediavano sempre più da vicino gli insediamenti umani rarefacendo i loro reciproci rapporti e dalle paludi, costituitesi per il dilagare e il ristagnare delle acque non più regolate. L’incolto e la foresta dominavano il paesaggio di questi secoli.
In queste condizioni l’agricoltura, utilizzando tecniche e strumenti primitivi, riusciva a stento, pur integrata dalla caccia, dalla pesca e dall’allevamento brado, a soddisfare i bisogni di sussistenza: il misero mantenimento dei contadini, dopo che erano state soddi­sfatte le esigenze della classe dominante, cioè i guerrieri e gli ecclesiastici.

2. Eclisse del primato dell’Occidente - La degradazione dell’Europa, ridotta a paese spopo­lato e selvaggio, dominato da un’aristocrazia turbolenta e ribelle ad ogni forma di ordine costituito, dove erano scomparse anche le vestigia della civiltà classica, comportò la perdita del primato dell’Occidente, come conseguenza della impotenza di Roma. Nel periodo che va dal V all’XI secolo, le civiltà più fulgide ed evolute, gli organismi statali più vasti e potenti avevano i loro centri altrove: a Bisanzio, a Damasco e Bagdad, capitali dell’Islam, in Cina ed in India.
L’Europa, prostrata, a stento riusciva a difendere la sua indipendenza dagli assalti e dalla penetrazione dell’Islam e solo faticosamente riuscì a riprendersi, a cominciare dal XII secolo.
Quanto a Roma, anziché parlare d’eclissi del suo primato politico, è più preciso parlare di tramonto, in quanto essa non riuscirà più a conseguire la perduta posizione di primaria potenza mondiale. Di essa sopravvivrà però, lungo tutto il Medioevo, il vivo ed af­fascinante ricordo cui ci si richiamerà come ad un ideale di ordine civile e di grandezza politica da riconquistare. La Chiesa di Roma se ne considerò l’erede e an­che su questo fondò la sua rivendicazione di universalità.
a) I Germani e i regni romano-barbarici - Le infiltrazioni prima e le invasioni poi dei popoli germanici (Visigoti, Ostrogoti, Franchi, Sassoni, Burgundi, Longobardi e altri) portarono sulla scena europea un fattore nuovo che, assieme al­la civiltà classica e al cristianesimo, doveva contribuire al costituirsi della nuova futura civiltà.
Fu una comparsa drammatica che sembrò sommergere totalmente la civiltà precedente e mandò in pezzi l’unità politica dell’Europa occidenta­le, base di tale civiltà. Vi si sostituì una molteplicità di stati autonomi che prefigurava così la condizione politica della futura Europa: i regni romano-barbarici.
In essi l’esercito, cioè il potere effettivo, era nelle mani dei Germani con­quistatori, mentre le istituzioni giuridiche e amministrative romane continuavano a sopravvivere, anche se lo spirito che le animava non era più lo stesso, ma era quello che discendeva dalla cultura agraria e guerriera della gente ger­manica.
I più importanti regni romano-barbarici furono:
· in Italia, il regno di Odoacre[4] (476-493) cui seguì il regno degli Ostrogoti[5] (493-533), ma una più netta frattura con la civiltà latina si ebbe con l’ultima invasione germanica, quella dei Longobardi[6] del 568. Gli eccidi, le razzie, le distruzioni che accompagnarono l’occupazione violenta, il protratto conflitto con i Bizantini che ave­vano precedentemente riconquistata l’Italia con la lunga e devastante guerra greco-gotica[7] (535-553); l’anarchia dei capi Longobardi, i duchi, portarono l’Italia alle massima prostrazione. Solo in seguito allo stabilizzarsi della situazione politica e della conversione dei Longobardi al cattolicesimo, la condizione degli Italiani migliorò. L’invasione dei Longobardi e la loro incapacità di occupare tutta la penisola ebbero co­me conseguenza la fine dell’unità politica dell’Italia.
· nel nord dell’attuale Francia, il regno dei Franchi[8] da cui nascerà, con la dinastia dei Carolingi, il più importante orga­nismo statale dell’Europa;
· nella Francia occidentale e in Spagna, il regno dei Visigoti[9] che fu quasi totalmente spazzato via nell’VIII secolo dagli Arabi;
· in Africa settentriona­le (Tunisia e Algeria) il regno dei Vandali[10] che nel VI secolo fu abbattuto dai Bizanti­ni nel quadro dell’opera di ricostituzione dell’unità mediterranea da parte di Giustiniano.
La violenta intrusione dei Germani apportò al mondo occidentale nuovi costumi, nuovi istituti, una diversa concezione del potere e della libertà personale e anche una nuova, prorompente vitalità. Questi elementi concorsero a dare alla civiltà europea la sua novità e la sua caratteristica di varietà, di ricchezza di articolazione e di voci, che mancarono alla ben più raffinata civiltà bizantina, che, al riparo da questa trau­matica frattura col passato, venne esaurendosi in se stessa, tanto che nei quasi dieci secoli in cui sopravvisse all’Impero d’Occidente non creò nulla di paragona­bile a ciò che l’Europa produsse dal XIII al XV secolo.
b) L’Impero Bizantino - L’Impero Romano d’Oriente[11], più comunemente chiamato Impero Bizantino, riuscì a sostenere vittoriosamente l’urto dei popoli slavi e germanici e, nell’VIII secolo, quello ancor più pericoloso degli Arabi che assediarono ben due volte Costantinopoli. Le ragioni di questa sua resistenza vanno trovate nella maggiore solidità della sua economia urbana sostenuta da un consistente traffico commer­ciale, reso sicuro dal dominio bizantino del mare, e da una produzione industriale cit­tadina. Queste condizioni assicurarono stabilità per secoli al bizante, la moneta bizantina, indice di una situazione finanziaria sana.
Il punto di partenza della civiltà bizantina fu proprio l’Impero romano in crisi. La nuova capitale, trasferita nell’oriente mediterraneo nel 330 d.C., era stata costruita sul modello dell’Urbe e fu proprio Costantinopoli a divenire la novella Roma tenendo così in vita fino al XV secolo, pur nelle sostanziali differenze ideologiche, le grandi tradi­zioni ereditate da Roma.
Il trasferimento della capitale dell’Impero a Bisanzio fu dunque un avvenimento determinante: alla nuova capitale si volle conferire l’aspetto dell’antica Roma, perciò furono intrapresi grandiosi lavori per i quali arrivarono pittori, scultori, architetti dalla Siria e da altre province dell’Asia Minore. La nuova capitale si arricchì in breve di nuove mura, di una grande piazza e di molti edifici pubblici. Nacque dunque una Roma novella, in cui Costantino volle conciliare il potere imperiale e quello della religione cristiana, da poco riconosciuta uffi­cialmente.
Verso il VI secolo, ad opera dell’Imperatore Giustiniano[12] (527-565), Bisanzio tentò di ricostituire l’unità politica del Mediterraneo e riuscì a riconquistare le coste settentriona­li dell’Africa, le coste meridionali della Spagna, l’Italia e le sue isole, strappandole rispettivamente ai Vandali, ai Visigoti e agli Ostrogoti. La guerra per la conquista dell’Italia fu lunga (535-553) e rovinosa e la dominazione bizantina che la seguì, inter­rotta dall’invasione dei Longobardi (568), fu caratterizzata da rapine e vessazioni. Ciò nonostante, dove i Bizantini resistettero, ricacciando i Longobardi, e in particolare a Ravenna e a Roma, la domi­nazione bizantina mantenne un legame con l’Impero d’Oriente che rappresentava l’organizzazione statale, il mondo civile, la cultura antica.
Bisanzio, per quasi dieci secoli, assolse il compito di baluardo della cristianità contro l’Islam, contrappose alla rozza Europa un centro di splendida raffinata civiltà, operò come agente dì diffusione del cristianesimo tra i popoli slavi, conservò le testimonianze della letteratura e della scienza greca che i suoi dotti portarono in Italia ai letterati umanisti che si mi­sero alla loro scuola per riapprendere il greco.
c) L’avanzata dell’Islam - Tra il VII e l’VIII secolo l’Europa corse il grave rischio di essere soffocata dall’irrompente espansione dell’Islam.
Le tribù dell’appartata e arretrata penisola araba, unificate politicamente dalla predicazione di Maometto[13] creò come e­lemento propulsivo dell’Islam l’esalta­zione della fede e della legge musulmana, che dovevano essere propagate con la guer­ra santa[14], che garantisce il paradiso a chi muore combattendo contro gli infedeli. Galvanizzate da questo fanatismo religioso, gli Arabi si lanciarono alla conquista dei più civilizzati Paesi confinanti: ad oriente sino all’Indo nel 711, ad occiden­te assoggettarono le coste settentrionali dell’Africa, dominio bizantino, per passare, attraversato lo stretto di Gibilterra nel 711, alla conquista della Spagna visigota e puntare, superati i Pirenei, al cuore del regno dei Franchi. Qui li fermò, sconfiggendoli a Poitiers, Carlo Martello[15] nel 732. Quattordici anni prima era fallito, grazie alla resistenza dell’Imperatore bizantino Leone III Isaurico, il tentativo arabo di prendere Costantinopoli (717-18).
La cristianità era riuscita a sottrarsi all’attanagliamento dell’Islam che tut­tavia conseguì ancora notevoli successi, come la conquista delle grandi isole che fece del Mediterraneo un grande lago musulmano e continuò per secoli a costituire una minaccia per le pericolose incursioni contro i paesi costieri. Però nell’Europa occidentale gli Arabi non riuscirono più ad avanzare, anzi furono, sia pure lentamente, ricacciati.
Il dominio arabo, stabilitosi per alcuni secoli nel bacino del Mediterraneo (Spagna, Africa settentrionale, Sicilia, Egitto), vi consentì il fiorire di una delle più elevate ci­viltà che il mondo abbia conosciuto. In essa confluivano culture diverse che gli Arabi avevano assimilato nel corso delle loro conquiste: elementi della civiltà greca diffusasi nel periodo ellenistico in Asia minore e nel Medio Oriente ed elementi delle culture ci­nesi e indiane. Ne risultò una civiltà originale che diede i suoi frutti sia nell’ambito delle conoscenze teoriche (filosofia, matematica, astronomia) sia di quelle applicate (medicina, alchimia), con un rapido progresso delle tecniche, particolarmente nel cam­po dell’agricoltura, ma anche in quello della lavorazione delle stoffe, della carta, del cuoio, della seta, delle armi.
Nel campo artistico gli Arabi si segnalarono soprattutto nell’architettura, come testimoniano fra l’altro l’Alhambra di Granada e l’Alcazar di Siviglia.
La Sicilia, sotto la dominazione araba protrattasi fino al 1072 quando l’isola fu occupata dai Normanni, diventò una delle regioni più progredite del mondo occidentale: la tecnica applicata all’agricoltura ne aveva fatto un unico grande giardino; Palermo fu in quell’epoca una delle città più popolate e più raffinate del mondo.
Lo splendore della civiltà araba tramontò quando agli Arabi si sostituirono i Turchi, popoli di razza mongolica che, convertiti all’Islam nell’VIII secolo, a partire dal Mille conquistò progressivamente i territori occupati dagli Arabi.

La Chiesa - Dopo l’editto di tolleranza emanato dall’Imperatore Costantino a Milano nel 313, la vita della Chiesa era stata turbata dalle lotte tra le diver­se confessioni. La funzione religiosa della Chiesa richiese che essa si desse una struttura gerarchica, amministrativa, politi­ca ed economica. Infatti il Papato ebbe sempre la necessità di gestire i rapporti con i re, gli Imperatori, ma anche con i signori a livello locale.
Per quel che riguarda l’Italia, il contrasto più importante fu quello fra cattolicesimo e arianesimo. Non si trattava di una semplice contrapposizione teologica[16], ma di un contrasto politico: mentre i sostenitori del cattolicesimo erano anche i sostenitori della tradizione romana e dell’autonomia della Chiesa nei confronti dell’Imperatore, l’arianesimo, invece, che aveva i suoi seguaci particolar­mente fra le truppe germaniche, tendeva a sottoporre la Chiesa all’Imperatore come strumento politico.
La vittoria del cattolicesimo sull’arianesimo significò perciò il raf­forzarsi dell’autonomia della Chiesa di Roma, così che, quando l’Impero d’Occidente cadde, la Chiesa non fu coinvolta nella rovina.
Mentre l’assetto economico-culturale dell’Occidente diventava sem­pre più precario per la debolezza o l’assenza del potere politico, la Chiesa divenne sempre più un’istituzione autonoma, contemporaneamente erede dell’antica organizzazione civile e maestra dei barbari.
Già nel VI secolo d.C. la Chiesa di Roma era il maggior proprietario terriero dell’Occidente; dalle sue proprietà traeva i guadagni necessari alle opere di carità, alla sovvenzione delle Chiese locali più povere e al mantenimen­to della corte che si andava formando a Roma attorno al papa. La corte papale, com­posta dai cardinali, dagli ecclesiastici che amministravano i beni e svolgevano fun­zioni diplomatiche, da intellettuali che scrivevano i documenti ufficiali, fu defini­ta Curia romana. Attraverso questa organizzazione i papi riuscirono a far ri­conoscere la loro diretta proprietà sul Patrimonio di San Pietro (le terre che si estendevano dal Lazio fino alla Romagna, attraverso l’Umbria e le Marche), nucleo del futuro Stato pontificio[17]; la Curia gestì an­che i difficili rapporti con l’Impero bizan­tino e il vescovo di Costantinopoli, che non riconosceva l’autorità del papa di Ro­ma, fino alla definitiva rottura. La Curia, secondo le scelte dei papi, favorì anche le alleanze di Roma con i vari re del­la cristianità, molti dei quali accettavano di essere formalmente vassalli del papa in cambio del riconoscimento ufficiale del loro potere.
Fruendo di questo duplice prestigio, nelle città, durante i regni romano-barbarici, la Chiesa, in quanto erede del si­stema politico e amministrativo creato da Roma e depositaria del patrimonio culturale latino-cristiano, assunse anche il potere civile, essendo l’unica autorità sopravvissuta cui spettava il compito di fronteggiare la situazione storica nata dal mutato rapporto tra lati­ni e barbari.
Con i Longobardi il governo delle città fu affidato ai duchi, ma nella realtà costoro furono soltanto i comandanti delle forze militari ivi stanziate ed il potere civile restò prevalentemente in mano al ve­scovo, soprattutto dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo ad opera parti­colarmente della regina Teodolinda[18] all’inizio VII secolo.
Il duplice potere, religioso e se­colare, nelle mani degli ecclesiastici, portò alla mondanizzazione della Chiesa, fenome­no che si aggravò con l’età feudale, quando i vescovi, gli abati e i priori dei conventi assunsero anche formalmente la veste di signori.
Un’ulteriore causa della degradazione della Chiesa fu la costituzione dello Stato ponti­ficio che si sviluppò dalla donazione del castello di Sutri[19], fatta da re longobardo Liutprando nel 728 al pontefice. Trasformatosi il pontefice in un sovrano temporale, la cat­tedra di Pietro divenne l’oggetto di sfrenate e sanguinose lotte tra le grandi famiglie ro­mane. La degenerazione della Chiesa toccò il fondo tra i secoli IX e X, la cosiddetta età ferrea del Papato.
Per tutto l’alto Medioevo la Chie­sa ebbe un vero e proprio monopolio sulla cultura: fino al VII secolo gli intel­lettuali erano quasi tutti uomini di Chiesa e solo gli ecclesiastici erano in grado di leg­gere, scrivere, studiare e insegnare in strutture scolastiche, riservate a chi aveva già scelto la vita religiosa. La Chiesa ebbe quin­di il controllo della trasmissione del sape­re, in gran parte affidata all’attività degli ordini monastici e delle abbazie.
Anche quando, dal IX secolo, le richieste di istruzione si allargarono e provenivano da strati del mondo laico, fu soprattutto la Chiesa che risponde alle nuove esigenze con la creazione di scuole annesse alle se­di vescovili e alle parrocchie.

I monasteri benedettini - Importanti centri di resistenza alla degradazione della vita civile furono i monasteri benedettini che si diffusero in tutta Europa a partire dalla fondazione del primo a Montecassino nel 528 ad opera di San Benedetto da Norcia (480-547). La regola che egli dettò per i suoi monaci che costituivano una comunità ra­zionalmente organizzata, imponeva, accanto alla preghiera e alla meditazione, il lavo­ro manuale e intellettuale.
Dall’inizio del VI secolo la so­cietà intera fu modificata dall’impo­nente diffusione degli ordini monastici che fondarono in tutta Europa centinaia di conventi, dove si radunarono grandi mas­se di monaci.
Queste comunità si collocarono in genere nelle campagne, inizialmente su terreni loro concessi da feudatari, vescovi, re e papi; ben presto di­vennero i centri più attivi non solo dal punto di vista religioso, ma anche economico. I monasteri benedettini crearono infatti organizzate e potenti aziende agricole, alle quali si dovette il dissodamento e la bonifica di terre strappate al­le selve e alle paludi.
Molti monasteri crebbero enormemente, sia per il disso­damento di terreni resi coltivabili, sia per le continue donazioni e concessioni fatte dai signori locali; perciò fu necessaria una rigida organizzazione gerarchica, in cima alla quale si pose l’abate, il religioso che aveva il governo della comunità e dei suoi beni che, nel complesso, presero il nome di abbazia. Alcune di queste giunsero a controllare territori vasti come grandi feu­di e i loro abati esercitarono un potere pa­ri a quello di baroni o marchesi.
Accanto alla chiesa abbaziale e al convento, sorse­ro molti altri edifici: biblioteche, magazzi­ni, botteghe artigianali e anche veri opifici per la fabbricazione di merci. Molte ab­bazie ebbero anche un’importanza strate­gica e furono fortificate.
I monasteri furono i principali luoghi del­la conservazione e della trasmissione del sapere; i più importanti avevano una bi­blioteca e provvedevano, nello scriptorium, alla trascrizione e allo studio dei ma­noscritti di testi sacri, ma anche di opere profane. I monaci che operavano nello scriptorium avevano mansioni distinte ed erano spesso affiancati da amanuensi sa­lariati; diverse erano le competenze e le re­sponsabilità culturali poiché la scelta dei testi da ricopiare era di fatto una selezione delle opere che si ritenevano degne di es­sere tramandate.
Furono oasi in cui si salvò l’ideale di ordine, di vita regolata dalla legge, che costituiva la più cospicua eredità della cultura romana in un mondo in preda al disordine e alla violenza.
I monaci, più che i vescovi cittadini, ebbero il merito della conversione del­le popolazioni rurali ancora pagane, favoriti dalla vicinanza ai contadini e dalla maggior comprensione per la loro cultura e il monastero, con il declino del primato della città, prese il posto del vescovado come centro della vita religiosa e dell’organizzazione ecclesiastica; nelle biblioteche dei conventi, infine, sopravvissero i documenti della cultura antica.
I monasteri ebbero una funzione di primaria importanza per la circola­zione non solo delle idee, ma anche delle tecniche e dei linguaggi figu­rativi in tutto l’Occidente.
Nelle isole britanniche, dove dalla metà del V secolo si erano insedia­ti gli angli e i sassoni, ebbe un ruolo determinante, per il tramandarsi delle tradizioni letterarie antiche e per la produzione di opere miniate, l’apostolato dei monaci irlandesi;
fra questi spicca la figura di San Colombano (540-615), infaticabile missionario e viaggiatore che fondò, fra l’altro, l’abbazia di Bobbio, centro propagatore di spiritualità ma anche di copiatura e decorazione di straordinari codici miniati.
I frequenti spostamenti dei monaci irlande­si e anglosassoni da un monastero all’altro della Britannia e del continente favorirono gli scambi e gli influssi reciproci fra i più attivi centri scrittori del continente e quelli delle isole britanniche. I monasteri divennero un luogo d’incontro e di scambio culturale tra monaci che passava­no da un’abbazia ad un’altra e nei luoghi di so­sta dei grandi pellegrinaggi.

Il Sacro Romano Impero - Il regno dei Franchi, che aveva riacquistato la sua unità e potenza grazie all’opera dei fondatori della dinastia carolingia (Pipino di Heristal e Carlo Martello, il vincitore degli Arabi), fu, nei secoli VIII e IX, il vero centro ove si elaborò la nuova cultura medioevale.
L’alleanza fra la monarchia franca e il Papato, che fece dei Franchi la spada della Santa Sede e i difensori e organizzatori della cristianità, stette alla base della nascita di quella che fu, accanto alla Chiesa, la massima isti­tuzione medioevale: il Sacro Romano Impero.
Esso fu fondato da Carlo Magno[20] (742-814) con l’intento di ricostituire, al di sopra dei singoli regni, l’unità politica del continente. In realtà esso era limitato nella sua estensione a una piccola parte dell’odierna Europa: comprendeva il regno dei Franchi, il regno dei Longobardi, di cui Carlo Magno assunse la corona dopo averli sconfitti, il territorio dei Sassoni assogget­tati, e, al di là dei Pirenei, la Marca spagnola, baluardo contro gli Arabi che Carlo aveva respinto dalla Francia. L’Impero però era universale nell’intenzione, nel senso che esso doveva estendersi a tutta la cristianità, i cui confini dovevano coincidere con quelli dell’umanità.
Lo Stato che così nasceva doveva rap­presentare, nel programma di Carlo Magno, la restaurazione dell’antico Impero roma­no, alla cui tradizione Carlo si ricollegava come erede dei Cesari. In realtà esso ne differiva profondamente: era infatti un agglomerato di popoli con leg­gi e forme amministrative diverse, la cui unità era costituita esclusivamente dalla comu­ne fede cattolica che giustificava l’appellativo di sacro con cui veniva denominato.
L’Imperatore era la spada che difendeva il cristianesimo contro gli infedeli i quali erano assoggettati e convertiti a forza, come i Sassoni, o ricacciati al di là dei Pirenei fino all’Ebro, come gli Arabi musulmani.

Il trattato di Verdun: la nascita dell’Europa - Alla morte di Carlo Magno l’Impero fu travagliato da un seguito di guerre fra gli eredi per la successione. Un momento stori­camente importante fu il trattato di Verdun[21] dell’843, che, con la tripartizione dell’Impero in regno dei Franchi, regno dei Germani, e regno d’Italia, con annessa la Lotaringia (territorio compreso tra la Francia e la Germania, corrispondente in parte all’odierna Lorena), dava origine ai primi tre stati autonomi che avrebbero costituito il nucleo del­la futura Europa.
Questo nuovo organismo politico-culturale che era l’Europa, per quanto debole, divisa da discordie e minacciata da forze esterne, avendo ricacciati gli Arabi, si era assicurata la sopravvivenza e la possibilità di espansione.
Il Sacro Romano Impero di nazione franca scompariva definitivamente con la deposizione di Carlo il Grosso nell’887. I tre regni di Francia, Germania, Italia, iniziavano una vita autonoma che, per l’Italia, fu caratterizzata da continue lotte fra i grandi feudatari per la conquista della corona, fino a che Ottone di Sassonia, re di Germania, cinse la corona del regno d’Italia (961) e si fece incoronare Imperatore (962), restauran­do il Sacro Romano Impero, ma questa volta di nazionalità germanica.

Il feudalesimo - Il fenomeno che caratterizzò la civiltà europea nel periodo che seguì la morte di Carlo Magno fu il feudalesimo[22], un nuovo sistema di organizzazione politi­ca, sociale ed economica. Si era sviluppato nella Francia tra l’VIII e il IX secolo dall’elaborazione e fusione di elementi che risalivano più indietro e precisamente al Basso Impero e alla originaria cultura germanica. Dalla Francia si diffuse poi in tutta l’Europa occidentale e più tardi, con i Normanni, passò in Inghilterra.
Il feudalesimo nacque dall’uso di assegnare terre in concessione a dignitari laici ed ecclesiastici collaboratori del sovrano. Tale concessione era detta beneficio, in quanto gli assegnatari ne traevano rendite sia direttamente, sia con l’imposizione di tributi e bal­zelli agli abitanti. Al beneficio[23] si accompagnò l’immunità[24], cioè l’esenzione dalla giurisdizione sovrana e il corrispettivo diritto di amministrare in nome proprio la giustizia e di arruolare uomini. Al beneficio corrispondeva il vassallaggio[25]: il beneficia­rio, in compenso del beneficio ottenuto, si considerava vassallo dell’Imperatore o del signore che glielo aveva elargito, cioè si riteneva legato da un vincolo di fedeltà che lo obbligava a garantire al signore servizi militari e amministrativi, contributi in uomini e in denaro, e il suo consiglio, sia in pace che in guerra.
L’unione del beneficio, dell’im­munità e del vassallaggio costituiva appunto il feudo.
a) La gerarchia feudale - Si formava così una piramide gerarchica che aveva al suo verti­ce l’Imperatore, al di sotto i grandi feudatari o vassalli, al di sotto di questi i valvassori (vassalli dei vassalli) e sotto ancora i valvassini (vassalli dei valvassori).
Connettivo di questa piramide era il legame di vassallaggio, cioè un rapporto di carattere prettamente personale che subordinava ogni vassallo al suo diretto signore.
Inizialmente, i feudi erano concessi alla persona e, alla morte del beneficiario, ritornavano all’Imperatore o al signore che li aveva concessi. Successivamente, prima i grandi feudi con il Capitolare di Quiersy[26] dell’877, poi i feudi minori con la Constitutio de feudis[27] del 1037 divennero ereditari.
b) L’economia feudale: la curtis - Il feudalesimo oltre che un sistema politico-giuridico, fu un’organizzazione di tutta la società, organizzazione corrispondente alla civiltà rura­le costituitasi col declino della città e dell’economia industriale e mercantile. Il centro della vita feudale era il castello del signore e il centro dell’economia la sua corte (cur­tis).
La curtis[28] era costituita dall’insieme delle terre di proprietà padronale (pars dominica), degli edifici dove dimoravano i servi addetti alla coltivazione della terra signorile, alla produzione artigianale e ai servizi indispensabili per la vita del castello e dalle terre asse­gnate in lotti ai contadini liberi (pars massaricia), in cambio di censi in natura o in denaro e dell’obbligo di collaborare, per due o tre giorni alla settimana, alla coltivazione della ter­ra signorile.
L’economia curtense è un’economia di sussistenza: si produce per il consumo diretto, e non vi sono eccedenze da commerciare. È pertanto un’economia chiusa, e i rari scambi vengono fatti per lo più sulla base del baratto dei prodotti, data la scarsità di dena­ro circolante.
c) La società feudale - Dal punto di vista delle classi, la società feudale era caratterizza­ta da una rigida stratificazione: sopra stavano i potentes, coloro che detenevano il po­tere, che erano o guerrieri (la gerarchia dei vassalli) o ecclesiastici: e spesso questi se­condi erano anch’essi guerrieri. Sotto vi era una massa amorfa, non articolata, costitui­ta quasi esclusivamente da contadini in condizione di semischiavitù, perché legati alla terra del signore, dalla quale non potevano allontanarsi senza correre il rischio di gravi pene, e perciò chiamati servi della gleba[29].
Anche i coltivatori liberi che lavoravano appezzamenti avuti in concessione dal signore, erano tenuti a fornirgli, oltre a un corrispettivo in derrate, prestazioni in mano d’opera le corvées[30] e a pagare balzelli per l’uso di strade, ponti, mulini, forni che erano di esclusiva proprietà del signore.
Pochi gli artigiani e scarsi anche i mercanti che aumentarono di numero e di importanza solo con la ripresa dell’economia e della vita civile che sboccheranno nella ri­nascita della società urbana.
d) La cavalleria - Manifestazione caratteristica del mondo feudale fu la cavalleria. Essa sorse come conseguenza dell’istituto giuridico del maggiorasco, per la quale il feudo era trasmesso indiviso al primogenito. I fratelli minori, i cadetti, avevano due possi­bilità: o darsi alla carriera ecclesiastica o mettersi al servizio, come cavalieri, di qualche potente signore, nella speranza di conseguire a loro volta un feudo in ricompensa delle loro prestazioni.
Per incanalare la violenza di questi guerrieri che, per arricchirsi, non di rado si abban­donavano al brigantaggio o al saccheggio, la Chiesa, verso l’inizio del secolo XI, pro­pose al cavaliere di mettere la sua forza e il suo coraggio al servizio della fede e della giustizia, in difesa dei deboli e degli oppressi. La cavalleria si trasformò così in una specie di grande confraternita sottoposta a severe regole morali. Il significato religioso dell’istituzione era sottolineato da un preciso rito che regolava la cerimonia dell’investi­tura.

La riforma della Chiesa - A risollevare la Chiesa dalla condizione umiliante in cui era caduta a seguito della sua mondanizzazione, intervennero due forze: l’Impero di nazio­nalità germanica sotto i tre Ottoni, e il monachesimo con un movimento di riforma che prese le mosse dal monastero di Cluny in Francia.
a) Gli Ottoni e la feudalità ecclesiastica - Ottone I, per ridare dignità al Papato, sottraendolo alle grandi famiglie romane che se lo contendevano, dopo aver restaurato in veste germanica il Sacro Romano Impero (962), stabilì, col privilegium Othonis[31], che l’elezione del papa dovesse essere confermata dall’Imperatore. Tale decisione all’inizio rappresentò un risanamento della Chiesa, perché Ottone favorì la nomina di papi moralizzatori; ma comportò in cambio una subordinazione della Chiesa al potere politico, tanto più che Ottone I, per contrastare i feudatari laici, creò, con la nomina dei vescovi-conti, una feudalità ecclesiastica che, per il fatto di non poter trasmettere il feudo in eredità, rappresentava una categoria di feudatari la cui fedeltà all’Imperatore era più sicura. Tale estesa subordinazione della Chiesa all’Impero contrastava col risanamento programmato da Ottone ed era anzi causa di mali peggiori. La scelta delle persone cui conferire la dignità ecclesiastica (un’abbazia, un vescovado, una pieve, un canonicato) dipendeva infatti non dalle loro doti morali e dalla loro dottrina religiosa, ma dalle capacità di governo e militari, e, ancor più, dalle garanzie di fedeltà che offri­vano o, non ultima, dalla somma in denaro che erano in grado di versare per ottenere l’investitura.
b) La riforma di Cluny - A questo punto s’innesta il vero rinnovamento della Chiesa, quello portato avanti dai monaci benedettini riformati dell’abbazia di Cluny in Fran­cia che si proponeva dì sottrarre la Chiesa al potere politico, incominciando col sottrargli l’elezione del papa e dei dignitari ecclesiastici.
Qualunque ingerenza dei laici nella loro nomina fu combattuta e bollata come peccato col termine di simonia (= ven­dita di cose sacre).
c) Il grande scisma – Lo scisma[32] fu la rottura definitiva tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, causata dalla crescente separazione politica e culturale tra Oriente e Occidente cristiano iniziata dal IV secolo.
Il Papato, impegnato in un processo di rinnovamento e di consolidamento della struttura della Chiesa, tentava di riprendere il controllo effettivo della chiesa orientale; questo avrebbe significato per l’Impero d’Oriente accettare la sovranità religiosa di un potere, come il Papato, che l’Imperatore non era in grado di controllare.
Già in precedenza le due Chiese si erano trovate in contrasto:
· sull'iconoclastia, ossia il movimento politico-religioso iniziato dall'Imperatore bizantino Leone III Isaurico, che nel 726 condannò come idolatrico il culto delle immagini della Madonna e dei santi, considerandolo idolatrico, e ne ordinò la distruzione; la Chiesa occidentale si oppose all'iconoclastia e condannò Leone III nel 731. Il VII concilio ecumenico di Nicea condannò l'iconoclastia (787), che riprese tuttavia con gli Imperatori Leone Barda e Teofilo; L'Imperatrice Teodora dichiarò nuovamente lecito il culto delle immagini (843).
· con il breve scisma di Fozio infatti quando l’Imperatore d’oriente depose il patriarca di Costantinopoli Ignazio che censurava la sua licenziosa condotta e mise al suo posto Fozio, papa Nicola I scomunicò Fozio e l’Imperatore, restituendo la sede patriarcale ad Ignazio, con il quale la scisma ebbe termine.
Saliti al soglio patriarcale di Costantinopoli Michele Cerulario (1043) e a quello pontificio Leone IX (1049) ci fu lo scisma definitivo.
Il motivo occasionale si ebbe quando il patriarca Michele Cerulario intervenne sull’uso del pane azimo nelle chiese dell’Apulia e della Calabria che l’Imperatore Niceforo II Foca aveva proibito. Cerulario intervenne facendo chiudere tutte le chiese dove veniva praticato questo rito.
Le divergenze investirono quasi subito il terreno dogmatico e liturgico, sul quale nessuna delle due parti era disposta a venire a patti. Erano vecchie questioni che avevano già diviso gli animi ai tempi di Fozio (IX secolo):
· la dottrina occidentale della duplice processione dello Spirito Santo[33],
· il digiuno romano del sabato
· il divieto del matrimonio dei preti
· l'uso del pane lievitato o di quello azzimo[34].
La situazione precipitò nel 1054 quando Papa Leone IX inviò a Costantinopoli il cardinale Umberto di Silva Candida per tentare di risolvere questa situazione critica, ma la visita terminò nel peggior modo: il 16 luglio 1054, il cardinale Umberto depositò una Bolla di Scomunica contro il Patriarca Michele Cerulario sull'Altare di Santa Sofia, atto inteso come scomunica di tutta la Chiesa bizantina, al quale Cerulario rispose in modo analogo, con la sottoscrizione degli altri Patriarchi, scomunicando il papa Leone IX (intendendo la Chiesa occidentale). Le Chiese, inoltre, attraverso i loro rappresentanti ufficiali, si scomunicarono l'una l'altra: si separarono così la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa, ognuna delle quali rivendicante per sé il titolo di Chiesa Una Santa Cattolica ed Apostolica.
Lo scisma non aveva dirette ragioni teologiche. I motivi che scatenarono il Grande Scisma includevano:
· dispute sul primato del Papa, ossia se il Patriarca di Roma dovesse essere considerato un'autorità superiore a quella degli altri Patriarchi[35].
· dispute circa quale Chiesa avesse giurisdizione[36] nei Balcani.
· la designazione del Patriarca di Costantinopoli come Patriarca Ecumenico (attributo inteso da Roma come patriarca universale, e quindi rifiutato).
· il concetto di cesaropapismo[37], un modo per mantenere unite in qualche modo le autorità politiche e religiose, che si erano separate molto tempo prima, quando la capitale dell'Impero venne spostata da Roma a Costantinopoli. Vi sono ora controversie su quanto tale cosiddetto cesaropapismo esistesse effettivamente o quanto invece fosse frutto dell'invenzione degli storici occidentali, alcuni secoli dopo.
· la relativa perdita di influenza dei Patriarchi di Antiochia, di Gerusalemme e di Alessandria conseguente alla crescita dell'Islam, fatto che portò le politiche interne alla Chiesa ad essere viste sempre più come un rapporto Roma contro Costantinopoli.
Sul piano immediato, le conseguenze furono gravi per l’Impero bizantino, che restava una potenza cristiana, ma scismatica: ciò indebolì la solidarietà nei sui riguardi degli stati europei legati al Papato. A lunga scadenza, tuttavia, le conseguenze furono ancora più gravi per il Papato che perse per sempre il controllo sulla cristianità di lingua greca e sugli Slavi russi e balcanici.
d) La lotta per le investiture - Si erano poste le premesse della lotta per le investitu­re tra Papato e Impero. Il Papato, infatti, dopo aver affermato con Nicolò II l’autono­mia del pontefice e l’indipendenza della sua elezione dall’Imperatore (1059), pretendeva che l’investitura imperiale, o comunque laica, dei dignitari ecclesiastici, spettasse al pontefice o alle altre autorità religiose.
La fase culminante della lotta vide, nel suo cor­so, contrapporsi due personalità eccezionali, l’Imperatore Enrico IV[38] e il papa Gregorio VII. La conclusione della lotta si ebbe però solo nel 1122 con un accordo tra Enrico V e Callisto II, il Concordato di Worms. Quest’atto stabiliva che:
· l'investitura spirituale è separata da quella temporale
· In Italia precede l'investitura del papa, in Germania quella dell'imperatore.
In pratica l'imperatore, che voleva controllare le nomine dei vescovi conti (senza eredi e quindi facilmente manovrabili alla morte del feudatario) può farlo solo in territorio germanico. L'Italia è controllata dal pontefice che nomina direttamente i vescovi.
Questo segnava nel complesso una vittoria della Chiesa e di coloro che ne avevano voluto la riforma.
NOTE
[1] Regni romano-barbarici - Regni nati dall’insediamento di popolazioni germaniche nei territori dell’impero romano d’occidente.
Nella prima metà del V secolo questi popoli furono accolti come federati nell’impero occidentale, che intendeva così ottenere un rilevante appoggio militare ed evitare un loro insediamento in aree troppo vicine all’Italia. A questa fase risale la formazione dei regni visigoti (tra Francia meridionale e Spagna), dei suebi (Spagna occidentale), dei vandali (Africa) e dei burgundi (bacino del Rodano).
Nel 476 Odoacre creò in Italia un regno di tutte le popolazioni germaniche lì stanziate, ma dopo pochi anni fu travolto dagli ostrogoti, mentre un altro regno fu istituito dai franchi in gran parte della Gallia. I germani insediati in questi regni imitarono lo stile di vita delle popolazioni locali, conservando anche molte istituzioni romane; lo stesso potere del re perse il precedente carattere puramente militare, divenendo un potere di tipo territoriale. I regni più solidi, come quello franco, furono quelli in cui fu più forte la solidarietà tra germani e latini, soprattutto dove gli invasori si convertirono dall’arianesimo al cattolicesimo.
[2] Diversamente dalla città quale venne deli­neandosi dal XII secolo in avanti e da quella che noi oggi conosciamo.
[3] Villae - Complessi residenziale e agricoli romano. Nella tarda antichità divennero le grandi proprietà rurali incentrate su una corte (la riserva) e altre terre dipendenti dalla medesima azienda chiamate mansi (o massarici). In alcune regioni, e sempre più a partire dall’VIII secolo, il termine acquistò il senso territoriale di villaggio o di distretto politico.
[4] Odoacre - Primo re barbarico d’Italia (476-493). Di origine germanica, servì l’impero romano sotto diversi capi militari, ma si ribellò nel 476. Uccise Oreste e depose il figlio di questi Romolo Augustolo. Fu acclamato dalle truppe barbariche e governò l’Italia finché fu assediato a Ravenna dal re degli ostrogoti Teodorico, che lo fece uccidere.
[5] Ostrogoti - Popolazione germanica attestata nel III secolo d.C. nella Russia meridionale. Legati agli unni tra IV e V secolo, si stanziarono in seguito tra Pannonia e Norico, dove strinsero patti con l’impero d’oriente, che nel 488 li dirottò verso l’Italia, sotto la guida di Teodorico, figlio e successore di Teodomiro.
Vissuto a lungo alla corte bizantina come ostaggio, Teodorico, tra il 489 e il 493, con l’appoggio dell’imperatore Zenone, conquistò l’Italia, sconfiggendo Odoacre. Impostò una pacifica convivenza e collaborazione tra le aristocrazie gota e latina incaricate rispettivamente dell’attività militare e di quella amministrativa, perseguendo un progetto di egemonia sulle stirpi germaniche insediate nei territori dell’impero, in concorrenza con le aspirazioni politiche dei franchi e di Bisanzio. Questa ambiziosa politica ebbe però fine con la sua morte. Già nei suoi ultimi anni egli era entrato in duro contrasto con la gerarchia cattolica. La sua figura ebbe grande rilievo nelle leggende germaniche medievali.
Gli Ostrogoti costituirono in Italia un regno autonomo con capitale a Ravenna che resistette fino alla guerra greco-gotica (535-553).
[6] Longobardi - Popolazione originaria della Germania settentrionale, si insediò nell’area danubiana alla fine del V secolo d.C. Dopo aver brevemente partecipato come mercenari dei bizantini alla guerra greco-gotica, nel 568 iniziarono l’invasione dell’Italia, conquistando, tra VI e VII secolo, la pianura padana, la Toscana e l’area tra Spoleto e Benevento; il territorio italiano fu così segnato da numerose fratture territoriali tra le dominazioni longobarde e bizantine, divise anche dalle differenze religiose.
Distrussero il vecchio ceto senatoriale ed esclusero dal potere la popolazione romana, mentre probabilmente i due gruppi etnici si assimilarono abbastanza rapidamente. Persero in breve tempo le caratteristiche di nomadismo, si insediarono per tribù, guidate da duchi, con una continua tendenza a distaccarsi dal potere regio. I re quindi, tra VI e VII secolo, operarono per affermare la propria superiorità e creare uno stato unitario. In questo processo rientrarono la creazione di una capitale stabile, Pavia, e la redazione dell’editto di Rotari (643), prima legislazione scritta longobarda, che unì consuetudini germaniche e alcuni accenni del diritto romano. Questa azione unificatrice del regno non ebbe mai pieno successo e fu in ogni caso limitata alla pianura padana e alla Toscana, mentre i ducati meridionali mantennero un’ampia autonomia.
Si realizzò nel contempo un avvicinamento politico e culturale al mondo romano e al papato, che, pur tra grandi resistenze, fu sancito nella prima metà del VII secolo dalla conversione al cattolicesimo.
Tuttavia continuarono, nel secolo successivo, i contrasti tra il regno, che aspirava alla conquista del Lazio, e il papato, che iniziava in questo periodo a costruire una propria dominazione politica attorno a Roma. Fu decisivo, a metà dell’VIII secolo, l’intervento militare del re franco Pipino, che obbligò i longobardi a restituire al papato alcune terre conquistate. Questo intervento franco fu una premessa dell’invasione di Carlo Magno (774), che segnò la fine del regno longobardo. Restò indipendente, seppur formalmente sottomesso ai Carolingi, il ducato di Benevento, dove si realizzarono autonomi sviluppi sociali e politici fino alla conquista normanna.
[7] Guerra greco-gotica – Fu combattuta fra Bizantini ed Ostrogoti per il dominio sull’Italia. Per la ricostruzione dell’impero, Giustiniano inviò nella penisola un’armata guidata da Belisario, che riconquistò la Sicilia e Roma (536), ma solo dopo molte difficoltà riuscì a prendere anche Ravenna (540) e a catturare il re Vitige.
La guerra riprese sotto il nuovo re ostrogoto Totila (541), che riconquistò tutto il territorio tranne Ravenna. Soltanto con l’arrivo del generale Narsete (552) i bizantini riuscirono a sconfiggerlo e a ucciderlo, battendo poi anche il successore Teia. Sterminii, assedii e razzie ebbero conseguenze disastrose per l’Italia.
[8] Franchi - Popolazione formatasi nella prima metà del III secolo dall’unione di diverse tribù germaniche. Comparsi intorno al 235 sulla riva orientale del basso Reno, compirono incursioni nelle province romane Germania e Belgica, apparendo ai Romani come dei giganti dai capelli rossi e dai lunghi baffi (i capelli lunghi erano invece portati solo dai membri delle famiglie dei capi), abili combattenti a piedi e specializzati nel lancio della scure a doppio taglio.
Sconfitti da Aureliano, nel IV secolo furono ammessi nell’esercito romano come ausiliari e nel 357 quelli stabilitisi a occidente della Mosa ebbero da Giuliano l’Apostata lo statuto di foederati. Essi furono allora chiamati con il nome di franchi salii, mentre quelli rimasti sulla riva destra del Reno furono chiamati franchi ripuari.
Alleati di Ezio ai Campi catalaunici (451), entro la fine del V secolo avevano fatto della Renania e del Belgio settentrionale regioni interamente germanizzate. I franchi ripuari si impossessarono di Colonia e Treviri, mentre i salii arrivarono fino alla Loira. Dinastia di re dei franchi salii, stanziati nella regione di Tournai, che con il re Clodoveo unificò e ampliò a tutta la Gallia il regno franco.
Clodoveo eliminò i resti dell’esercito romano in Gallia (486), sconfisse sul Reno gli Alemanni (496) e cominciò a penetrare nella Gallia visigotica. Con il battesimo di Clodoveo (498), i Franchi godettero dell’appoggio dei vescovi della Gallia e condussero la guerra contro i visigoti ariani anche in nome della religione. Annessa la Gallia visigotica dopo la battaglia di Vouillé (507), Clodoveo riuscì prima di morire a imporre la sua autorità anche sui ripuari.
Benché diviso in quattro regni, il popolo franco restò per due secoli inquadrato dal potere della famiglia merovingia, la cui decadenza, tra VII e VIII secolo, permise ai maestri di palazzo Pipinidi di assumere il titolo regio (751).
[9] Visigoti - Si installarono in Dacia nel III secolo d.C. Nel corso del secolo successivo si insediarono come federati nell’impero e si convertirono all’arianesimo.
All’inizio del V secolo si spostarono verso occidente, prima in Italia, dove saccheggiarono Roma (410), poi nell’area compresa tra la Spagna e la Gallia sudoccidentale dove si insediarono, abbandonando poi la Gallia all’inizio del VI secolo per la pressione militare del franco Clodoveo.
Seppero creare, anche prima della conversione al cattolicesimo, un’efficace convivenza con l’aristocrazia romano-iberica, di cui rispettarono l’ordinamento religioso e da cui trassero importanti collaboratori nell’organizzazione amministrativa del regno, con centro a Toledo. Tuttavia solo la conversione e lo stretto legame tra la monarchia e l’episcopato, dalla fine del VI secolo, favorirono la fusione culturale ed etnica delle due stirpi, la cui aristocrazia unì modelli culturali romani con uno stile di vita militare di tradizione germanica.
La loro costante debolezza politica permise però la conquista araba, tra il 711 e il 713, che pose fine al regno visigoto.
[10] Vandali - Antica tribù germanica originaria dello Jütland. Si scontrarono con i romani, quando, occupata e devastata la Gallia (406), si trasferirono in Spagna e vi si insediarono. Passati in Africa sotto la guida di Genserico, furono riconosciuti come federati (435). Ma Genserico, dichiarata l’indipendenza, attaccò e saccheggiò Roma nel 455.
[11] Impero bizantino - Organismo politico che per tutto il medioevo continuò in oriente l’impero romano, reggendosi intorno alla capitale Costantinopoli (l’antica Bisanzio, restaurata e ribattezzata da Costantino nel 330).
Il suo atto d’origine può datarsi al 395, quando alla morte di Teodosio l’impero venne diviso in una parte occidentale e in una orientale, oppure al momento della caduta di Roma nel 476, quando Odoacre inviò a Costantinopoli le insegne imperiali. Fino a circa la metà del VII secolo, grazie anche alla riconquista dell’Italia, dell’Illirico e dell’Africa da parte di Giustiniano (527-565), mantenne aspirazioni di dominio universale, espresse dalla monumentale raccolta del Corpus giuridico e dalla edificazione di Santa Sofia a Costantinopoli.
Potenza e ricchezza dell’impero durarono inalterate, nonostante le tensioni e le tendenze autonomistiche delle province accese dai conflitti religiosi interni, fino al regno di Eraclio (619-641), il quale sconfisse i persiani, ma dovette cedere agli arabi Siria, Egitto e Africa.
Nei decenni seguenti, vennero persi i Balcani continentali colonizzati dagli slavi, gran parte dell’Italia invasa dai longobardi e gli arabi arrivarono a minacciare direttamente Costantinopoli. La salvezza e la resistenza dell’impero (ridotto sostanzialmente al dominio dell’Asia minore, della penisola balcanica e di parte dell’Italia meridionale) furono assicurate dall’azione militare e dall’opera di riorganizzazione e riforma interna di nuove e forti dinastie, succedutesi fino alla fine del XII secolo.
Per primi gli Isaurici (717-802), che con Leone III arrestarono l’avanzata degli arabi battuti ad Akronos (739) e, nel tentativo di consolidare il potere imperiale, promosse l’iconoclastia, scatenando violente reazioni interne e la scomunica da parte di papa Gregorio III.
Quindi Basilio I il Macedone e i suoi successori (867-1057) che riportarono l’impero alla sua antica potenza, strappando agli arabi parte dei territori perduti in Italia e soprattutto riassoggettando i Balcani, con la sconfitta dei bulgari (1014).
Un grave indebolimento del potere imperiale, a vantaggio delle famiglie magnatizie dei grandi proprietari fondiari, coincise con un nuovo più grave periodo di crisi, dovuto all’attacco dei turchi, che si impadronirono dell’Armenia, della Cappadocia, della Mesopotamia e di parte della stessa Anatolia, mentre i normanni conquistavano tutta l’Italia meridionale e attaccavano Macedonia ed Epiro.
I problemi interni e i pericoli esterni furono combattuti ancora con grande energia dai Comneni (1081-1185), specialmente i primi tre restaurarono l’impero rinvigorendo l’apparato militare contro la burocrazia della capitale. Fecero larghe concessioni fondiarie alle famiglie aristocratiche in cambio del servizio militare. Da un lato ciò rafforzò l’esercito, ma dall’altro causò un processo di feudalizzazione a danno del potere centrale. Con un’abile politica di alleanze, in particolare con i crociati e con Venezia, i Comneni riuscirono per lungo tempo a contenere i normanni dell’Italia meridionale e i russi. I Comneni attuarono tuttavia quella politica di apertura all’occidente e ai suoi mercanti e di alleanza con le spedizioni crociate, che doveva infine condurre allo scontro fra bizantini e latini e alla decadenza definitiva dell’impero orientale. Questa si manifestò sotto gli Angeli (1185-1204), quando nei Balcani Bulgaria e Serbia riacquistarono l’indipendenza e la quarta crociata guidata dai veneziani si impadronì di Costantinopoli (1204). Il suo territorio rimase diviso in impero latino a Costantinopoli, imperi grecobizantini di Trebisonda (sul mar Nero) e di Nicea (in Anatolia) e despotato bizantino in Epiro.
Nel 1261 Michele VIII Paleologo imperatore di Nicea si alleò con Genova contro Venezia, riconobbe la supremazia ecclesiastica di Roma e tentò di ripristinare i confini del XII secolo. riconquistò Costantinopoli, ma gli occidentali e i veneziani rimasero nel Peloponneso e nelle isole ionie ed egee, mentre i turchi si impadronivano dell’Anatolia.
L’organizzazione militare e burocratica e il governo autocratico dell’imperatore non ressero alle continue crisi di successione dinastica, alla crescita della forza centrifuga delle potenti aristocrazie fondiarie provinciali, alla lenta e inesorabile decadenza della fortuna economica e della potenza navale, determinata dall’espansione prima dei musulmani e poi dell’Europa latina: agli inizi del 1400 non restava più che la provincia intorno alla capitale e una parte dell’Acaia. Nel 1453 i turchi presero Costantinopoli e nel 1461 anche Trebisonda, ponendo fine alla millenaria storia dell’impero bizantino.
[12] Giustiniano - Nipote e successore di Giustino col quale collaborò fin dal 518, fu da lui associato al trono. Il suo lungo regno fu caratterizzato da una attenta restaurazione dell’antico impero romano in tutti i suoi aspetti. Questo disegno politico, derivante anche dalla sua origine illirica che lo rendeva particolarmente attento all’occidente, si attuò soprattutto nel campo del diritto.
Abile nella scelta dei suoi collaboratori, Giustiniano affidò la riforma della legislazione a Triboniano, incaricandolo di mettere ordine nell’immenso materiale legislativo prodotto dall’impero romano, così da renderlo immodificabile, pur lasciando spazio alle nuove leggi bizantine. Ne risultò il Corpus iuris civilis realizzato in quattro parti: il Codex, raccolta degli editti imperiali; il Digesto, raccolta dei maggiori scritti dei giuristi romani; le Institutiones, manuale per lo studio del diritto; le Novellae, leggi successive al codice.
Dal punto di vista religioso l’imperatore cercò di far prevalere la ragione di stato, perseguendo l’unità religiosa. Per questo nel 533 fece condannare i cosiddetti tre capitoli del concilio di Calcedonia, cercando nel contempo di salvare le altre decisioni di quel concilio e di accontentare i monofisiti: in realtà la sua azione non portò ai risultati sperati perché creò uno scontento generale che aumentò la tensione preesistente.
Le sue ambizioni politico-militari erano dirette alla riconquista dell’antico impero romano. Grazie all’aiuto di Belisario, abile comandante, riaffermò la pace sui confini orientali con il regno persiano (532), recuperò le coste dell’Africa (533-534), parte del sud della Spagna in mano ai visigoti (554) e l’Italia, dove gli ostrogoti sostennero una resistenza ventennale che fu piegata solo dal generale stratega Narsete (555).
Il progetto giustinianeo ebbe però breve durata poiché la restaurazione territoriale mancava di solide basi e l’imperatore lasciò ai suoi successori un impero in completa rovina economica e finanziaria incapace di resistere alle pressioni esterne. La vicenda umana di Giustiniano è da noi ampiamente conosciuta grazie alla cronaca di Procopio di Cesarea.
[13] Maometto (575-632) è il profeta che si dice scelto da Dio per comunicare agli arabi la vera religione ri­velatagli dall’arcangelo Gabriele e regi­strata fedelmente nel Corano, il libro sacro della religione musulmana. La nuova dot­trina predica l’esistenza di un solo Dio Al­lah al quale si deve una sottomissione in­condizionata ( = Islam, termine che designò la religione nel suo complesso e il mondo che la pratica); questa richiede l’ubbidienza a cinque precetti fondamen­tali: il giuramento di fede, la preghiera ri­tuale cinque volte al giorno, il digiuno du­rante il mese del ramadan, l’elemosina legale (una sorta di tassa da versare alla co­munità), il pellegrinaggio alla Mecca.
Maometto organizzò i suoi fedeli in una specie di Stato teocratico e i suoi successo­ri diedero inizio a un processo di espan­sione fulminea che tra il VII e la prima metà dell’VIII secolo estese i confini dell’Islam dalla Spagna alla Siria, dall’Egitto all’Asia occidentale, amalgamando popo­li e culture diverse.
[14] Guerra santa o gihâd - Termine arabo significante letteralmente sforzo o impegno. Esso indica per il musulmano, la guerra santa, intesa sia come opera missionaria per la propagazione della fede sia come vera e propria lotta armata contro gli infedeli.
[15] Carlo Martello - Maestro di palazzo dei re franchi. Figlio naturale di Pipino di Héristal, resse di fatto il regno franco come maggiordomo degli ultimi re merovingi, grazie al prestigio conquistato con le vittorie militari. Sconfisse gli arabi a Poitiers nel 732. Favorì la cristianizzazione delle popolazioni settentrionali sottomesse e mantenne buoni rapporti con i longobardi.
[16] Il cattolicesimo affermava la divinità di Cristo, figlio di Dio; l’arianesimo vedeva in Cristo esclusivamente la natura umana)
[17] Stato della Chiesa - La formazione del patrimonio temporale della Chiesa romana risale a una serie di donazioni fondiarie (secoli IV-VI).
Nell’insufficienza del potere imperiale bizantino, il patrimonium Sancti Petri divenne la base territoriale per l’azione politica della sede apostolica nell’Italia centrale: con gli accordi tra papa Stefano II e Pipino il Breve (754) poggianti sulla Donazione di Costantino, essa figurò come autorità sovrana su vasti territori compresi tra il Po e Benevento.
La donazione di Costantino è un documento apocrifo attribuito a Costantino I (IV secolo d.C.). Rivolto a papa Silvestro I, si compone di due parti: una, agiografica, narra la leggenda di san Silvestro, secondo la quale l’imperatore fu guarito dalla lebbra dal papa; l’altra espone la gerarchia ecclesiastica e narra la donazione da parte di Costantino alla Santa sede della parte occidentale dell’impero, compresa la città di Roma.
La redazione risale probabilmente alla seconda metà dell’VIII secolo. È però opinabile anche una sua composizione in occasione dell’incoronazione di Carlo Magno (800). Dopo l’età carolingia la Donazione fu riesumata da Leone IX nel 1053, passando poi nel Decretum Gratiani e in altre raccolte di decretali, essendo considerato documento di tutto rispetto dagli stessi avversari del potere temporale dei pontefici. La falsità del documento, già ipotizzata da Ottone III per motivi formali (mancanza del sigillo), fu poi dimostrata in base a incontrovertibili argomenti storici e linguistici da N. Cusano e da L. Valla (De falso credita et ementita Costantini donatione) nel XV secolo.
Con la Riforma gregoriana il papato si liberò della giurisdizione tutelare esercitata dall’impero sulle terre della chiesa. La simonia, i patrimoni ecclesiastici, il matrimonio e il concubinato dei preti erano così diffusi che le austere arringhe dei religiosi più intransigenti trovarono ampi consensi fra gli strati popolari. Il movimento della riforma mirò alla moralizzazione del clero, a togliere all’impero il diritto di nominare i vertici della gerarchia ecclesiastica e alla trasformazione del papato in una monarchia, tale da permettere una più agevole riorganizzazione della chiesa. Le proteste e i fermenti di rinnovamento arrivarono soprattutto dai monaci che avevano subito l’influenza dell’abbazia di Cluny, che appoggiò il papato nella Riforma; in Italia si schierarono contro il clero corrotto Romualdo di Ravenna, fondatore dell’eremo di Camaldoli, e Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani, mentre in Lombardia si diffondeva il movimento della pataria. Di fronte a tutte queste richieste interne all’organismo ecclesiastico, il papato si impegnò in un’azione di riforma; in particolare tutta l’opera di Gregorio VII fu rivolta al risanamento del comportamento del clero e alla riorganizzazione del mondo ecclesiastico in un sistema monarchico di governo.
Dal XIII secolo in poi i papi elevarono la sovranità diretta sul loro territorio a garanzia della libertas ecclesiae. Innocenzo III (1198-1216) divise lo Stato pontificio in quattro province, affidate a rettori: Campania (basso Lazio), Patrimonio (alto Lazio), ducato di Spoleto, marca di Ancona. Durante la cattività avignonese (1309-1377) il controllo dello Stato pontificio venne ripreso dal cardinale Albornoz, che con le Constitutiones (1357) diede a esso una legislazione unitaria, rimasta in vigore fino al 1816. Non fu però eliminato il problema delle signorie detenute come vicariati del papa, rafforzatesi durante il Grande scisma (1378-1417): il loro smantellamento, avviato nel Rinascimento mentre lo Stato pontificio si inseriva nel sistema politico delle potenze europee, fu portato a termine da Giulio II (1503-1513) con il recupero di Bologna, Perugia e della Romagna.
Il papato della Controriforma utilizzò le risorse statali come supporto finanziario per il rilancio del suo universalismo; tali esigenze portarono con Sisto V (15851590) all’adozione di riforme centralistiche nell’amministrazione dello stato, affidate alla Consulta e poi alla Congregazione del buon governo, che tuttavia non poterono vincere la rete dei particolarismi che, complice il nepotismo e i favori della corte, bloccarono nei secoli XVII-XVIII lo sviluppo economico e sociale dello Stato pontificio in una rete di gerarchie parassitarie. Sopravvissuto fino a Napoleone, con la costituzione del Regno d’Italia esso venne privato delle regioni più sviluppate: perdita di Emilia-Romagna con la pace di Tolentino (1797) e annessione delle Marche nel 1809. La sua esistenza, salvata dal cardinale Consalvi al congresso di Vienna (1815) ed emendata da Pio IX con la concessione dello Statuto (1848), fu dichiarata finita dalla Repubblica romana (1849) e poi cancellata dalle truppe piemontesi che conquistarono i territori dello stato (1859-1860) e poi la capitale (1870).
[18] Teodolinda - Di stirpe bavara, nel 589 sposò il re Autari e nel 591, alla sua morte, trasmise il titolo regio al nuovo marito, Agilulfo, duca di Torino. Fu protagonista dell’avvicinamento tra il regno e il papato, con la conversione del popolo longobardo al cattolicesimo. Morto Agilulfo (616), resse il governo a nome del figlio minorenne Adaloaldo.
[19] Donazione di Sutri - Cessione formale a papa Gregorio II dei castelli di Sutri, Bomarzo, Orte e Amelia da parte del re longobardo Liutprando. Contestuale alla formulazione dell’apocrifa Donazione di Costantino, è convenzionalmente ritenuta l’origine dello Stato della chiesa e del potere temporale dei papi.
[20] Carlo Magno - (742 - Aquisgrana 814). Re di Neustria (758-814), re di Borgogna (768-814), re dei franchi (771-814), imperatore del Sacro romano impero (800-814). Figlio di Pipino il Breve, re dei franchi, e di Berta, figlia di Cariberto, conte di Laon. Alla morte del fratello Carlomanno (771) incorporò anche i suoi domini, costrinse alla fuga i suoi figli e si fece acclamare unico re dei franchi. Nello stesso anno ripudiò la moglie Ermengarda, figlia del re dei longobardi Desiderio, e sposò la nobile sveva Ildegarda. Nel 773, su sollecitazione di papa Adriano I, scese in Italia contro i longobardi e assediò, prima a Pavia e poi a Verona, il re Desiderio e suo figlio Adelchi. Nel giugno del 774, sempre con il sostegno della chiesa, fece prigioniero Desiderio e annetté alla corona anche il regno longobardo. Nel 776 sconfisse il duca del Friuli; nel 780 intervenne, di nuovo su richiesta del papa, contro Arechi, duca di Benevento e genero di Desiderio, che godeva dell’appoggio bizantino, e lo sconfisse definitivamente nel 787. Contemporaneamente agli interventi nell’Italia longobarda condusse numerose campagne diplomatiche e militari. Attuò sanguinose campagne militari contro i sassoni che nell’804 vennero forzatamente cristianizzati. Fra il 787 e il 793 combatté contro i bavari fino alla sconfitta del loro re Tassilone III. Gli avari investiti dagli eserciti franchi fra 791 e 796, furono in parte dispersi e in parte sottomessi e convertiti al cristianesimo. Minor successo ebbero le spedizioni verso nord, contro danesi e normanni, e verso sud, contro gli arabi di Spagna. Qui, dopo alcuni successi iniziali (778), Carlo fu sconfitto a Saragozza e a Roncisvalle e solo nell’801 il figlio Ludovico, re d’Aquitania, poté concludere una pace con l’emirato di Cordoba e provvedere alla creazione di una marca ispanica. Il grande impero costruito da Carlo fu consacrato alla fine del secolo, quando papa Leone III, minacciato da una congiura nobiliare, gli chiese protezione, lo accolse a Roma con i più alti onori e nella notte di Natale dell’anno 800 lo incoronò imperatore. L’opera di rafforzamento e di consolidamento dell’impero continuò negli anni successivi. In particolare, la ricostruzione di un impero d’occidente rese problematici i rapporti con l’impero bizantino sfociati in una guerra che si concluse soltanto nell’812 con un accordo di pace. Ma le preoccupazioni maggiori di Carlo Magno si rivolsero all’organizzazione delle strutture del potere, all’amministrazione e gestione dell’impero e all’omogeneizzazione dei diversi territori. Egli provvide alle esigenze di questa politica spostandosi continuamente, con tutta la sua corte, dall’una all’altra zona dell’impero. In ambito economico cercò, anche attraverso una riforma monetaria che incentivò la circolazione della moneta d’argento, di rivitalizzare il commercio. Sul piano politico e su quello del controllo sociale fece leva sulla potente aristocrazia terriera laica ed ecclesiastica e sul rapporto vassallatico-beneficiario che stabiliva una complessa rete di legami personali. Si trattava di un sistema destinato a realizzare una sorta di compenetrazione tra ordinamento pubblico e strutture vassallatico-beneficiarie, per cui divenne abituale la concezione che la carica pubblica fosse essa stessa un beneficio, anziché un servizio da compensare con un beneficio, cioè con la concessione di beni. Particolarmente attivo fu nella promozione delle arti e della cultura letteraria, filosofica e scientifica, al punto che si è parlato, per gli anni del suo regno, di una vera e propria rinascita carolingia. Essa si appoggiò non tanto ai centri urbani, quanto a istituzioni ecclesiastiche, soprattutto monasteri (spesso sedi di celebri scriptoria e luoghi di istruzione per i figli dei nobili). Parteciparono a quest’opera di diffusione della cultura intellettuali provenienti da diverse parti dell’impero, che furono spesso anche consiglieri del sovrano, considerati più tardi membri di una cosiddetta schola palatina (fra gli altri il diacono sassone Alcuino, Paolo Diacono, il poeta visigoto Teodulfo, il teologo di origine italiana Paolino, il franco Eginardo). Destinato a restare per secoli simbolo dell’unità dei cristiani e dell’Europa e simbolo della lotta contro gli infedeli, Carlo Magno poté trasmettere il suo potere al figlio Ludovico I il Pio che gli succedette come unico imperatore nell’814.
[21] Trattato di Verdun - Stipulato dai tre figli di Ludovico il Pio, fu l’esito della sconfitta di Lotario a Fontenoy (841).
L’accordo istituzionalizzò lo smembramento dell’impero carolingio: Lotario ebbe il titolo imperiale e una fascia verticale di territori dal Reno al Rodano e all’Italia, ma fu stretto a occidente da Carlo il Calvo e a oriente da Ludovico il Germanico.
[22] Feudalesimo - Sistema politico-sociale fondato sul feudo e sul rapporto di vassallaggio, che caratterizzò l’Europa occidentale medievale.
Il termine fu introdotto, in un’accezione negativa, dagli illuministi e dai rivoluzionari francesi alla fine del XVIII secolo e fu poi usato da K. Marx per designare una precisa fase della storia dei rapporti di produzione, intermedia fra lo schiavismo e il capitalismo borghese.
Formatosi in epoca carolingia (IX secolo), in seguito al diffondersi della prassi da parte della corona di affidare lotti di terreno a cavalieri in cambio della garanzia di un loro appoggio al principe in caso di necessità, ebbe un ampio sviluppo in seguito al dissolversi del potere politico centrale, quando i vari signori poterono considerarsi i possessori a tutti gli effetti dei territori avuti in distribuzione e cominciarono a esercitare in vece del principe dei diritti sulla popolazione contadina che li abitava (formazione del dominatus loci). Si realizzò così una netta separazione della società nelle due classi dei guerrieri, che detenevano il monopolio dell’uso delle armi, e dei contadini, addetti alla lavorazione dei campi e sottoposti alla interessata protezione dei primi. Con il diffondersi dell’investitura a vescovi e abati (chierici), anche la chiesa contribuì in maniera determinante all’affermazione del feudalesimo, al quale tentò di dare una giustificazione morale con l’elaborazione dell’ideologia cavalleresca, in cui si poneva l’accento sul significato umanitario della protezione del cavaliere sulla popolazione sottoposta. Il dibattito sul diritto della chiesa alla designazione di feudi portò inoltre a un duro scontro con il potere imperiale (lotta per le investiture), fomentato anche dai numerosi movimenti religiosi che a partire dall’XI secolo si diffusero in tutta Europa, predicando la necessità di riforma morale della chiesa.
Il sistema feudale raggiunse la sua piena affermazione tra il XII e il XIII secolo, quando cominciò ad allentarsi il legame tra principe e vassalli; di conseguenza questi ultimi acquisirono una sempre maggiore autonomia. Esso ebbe tuttavia modalità di sviluppo assai differenti tra le varie regioni d’Europa. Se infatti nell’Italia settentrionale e in alcune zone della Francia furono proprio le forme feudali a sancire la completa dissoluzione del potere centrale monarchico, altrove esse furono un mezzo per la costituzione di solide monarchie. Ciò avvenne in Catalogna, nelle Fiandre e in Normandia, dove il potere centrale riuscì a mantenere il controllo dei signori insigniti dei feudi e a farne anzi un indispensabile tramite per il controllo di tutte le regioni del regno. Tale sistema caratterizzò in particolare i regni normanni, sia in Francia che in Inghilterra e nell’Italia meridionale. Tentativi analoghi in Germania e nell’Italia settentrionale da parte di Federico Barbarossa tra il 1158 e il 1183 si scontrarono rispettivamente con la presenza di principati ormai da tempo consolidati e autonomi e con la società dei comuni, che minò alle basi l’intero sistema, svuotando di significato il concetto stesso di un potere e di una gerarchia fondati sul diritto di nascita o sull’investitura da parte di un principe.
[23] Beneficio - Nel diritto romano originariamente ogni concessione da parte dell’autorità pubblica a persone private o a enti di una condizione di particolare vantaggio e favore. Si definirono così nei secoli III-IV anche le assegnazioni imperiali di terre ai veterani o ai barbari nelle regioni di frontiera, oppure quelle ai propri commendati da parte dei grandi proprietari fondiari. Tutte queste concessioni erano temporanee (precaria) e revocabili. Costituivano formalmente un dono elargito liberamente in ricompensa di un servizio reso, che andava restituito in caso di rottura del rapporto personale che l’aveva causato, per la morte o il venire meno della lealtà e fedeltà del beneficiario. Nella Francia carolingia dell’VIII secolo il beneficio andò sempre più accompagnandosi di fatto al rapporto di vassallaggio. La fedeltà e l’aiuto militare portati dal vassallo al signore diventavano il servizio e il legame personale in cambio del quale veniva elargito il beneficio, consistente per lo più in terre e possedimenti immobiliari. Nella costruzione e nell’evoluzione dello stato carolingio, carattere beneficiario assunse anche l’incarico dell’ufficio pubblico esercitato per delega del sovrano da conti e vassalli. Insieme alle terre, anche l’ufficio venne trasformandosi in beneficio personale e non revocabile, salvo che per grave colpa (fellonia).
Nel IX e X secolo divenne trasmissibile agli eredi, e intorno a terre e uffici si strutturarono famiglie nobiliari dinastiche. Dall’XI secolo, il termine, ormai indissolubilmente unito al legame vassallatico, lasciò il posto a quello di feudo. Anche il beneficio ecclesiastico, tuttora presente nel diritto canonico, si sviluppò come istituto nell’alto Medioevo. Esso designa un insieme di beni di proprietà della Chiesa, costituitosi nel tempo grazie a legati e donazioni pubbliche e private, che si assegnava al titolare di un ufficio ecclesiastico (vescovo, canonico, parroco) per il suo sostentamento. Quando il donatore del complesso patrimoniale che costituiva il beneficio era anche il fondatore dell’ufficio (chiesa privata, altare privato, monastero), questi per lo più conservava a sé e ai suoi eredi il diritto di scelta del beneficiario.
[24] Immunità - Diritto, in età medievale, di sottrarre le proprie terre alla giurisdizione degli ufficiali pubblici. Questa istituzione, già abbozzata in periodo romano, fu sviluppata e riorganizzata dai re merovingi e carolingi, che concedettero diplomi di immunità a chiese e monasteri, più raramente a laici. I diplomi vietavano agli ufficiali pubblici l’ingresso nelle terre degli immunisti, cui veniva ceduto il diritto di esazione di alcune imposte pubbliche. Gli immunisti assunsero così, nei confronti degli abitanti delle aree immuni, le funzioni tipiche degli ufficiali pubblici, e in particolare l’amministrazione della giustizia. L’immunità offrì lo spunto per la costruzione di solidi ambiti di potere autonomo
[25] Vassallaggio - In epoca feudale forma di rapporto personale costituito dalla sottomissione di un uomo libero a un signore, a cui venivano assicurati fedeltà e appoggio militare in cambio di protezione e di un feudo o beneficio, consistente in una rendita, spesso fondiaria. Nacque in Gallia tra il VII e l’VIII secolo; riprese alcuni aspetti della commendatio romana, arricchendola delle caratteristiche militari tipiche dei vincoli personali stretti tra i capi germanici e integrandola con la concessione del beneficio, già diffusa tra i franchi di età merovingia. Sotto i Carolingi la formazione di ampie clientele rappresentò un importante strumento di lotta politica. Tra l’XI e il XII secolo si affermarono da un lato la possibilità di giurare fedeltà a diversi seniores, dall’altro il pieno controllo del vassallo sul beneficio, che divenne il vero elemento costitutivo del rapporto. Si indebolì così il rapporto vassallatico, che proprio in questa debolezza trovò una nuova funzione politica nel definire giuridicamente i processi di ricomposizione territoriale; i poteri minori poterono infatti riconoscere le forze maggiori giurando fedeltà vassallatica senza per questo veder seriamente ridotta la propria autonomia.
[26] Capitolare di Quiersy - Documento con cui Carlo il Calvo dispose che durante l’assenza del re, impegnato in una spedizione militare, alla morte di un conte le sue funzioni fossero provvisoriamente assunte dal figlio; conservò però al re il potere di nominare in seguito un diverso successore. Fu il primo passo verso l’ereditarietà dei feudi.
[27] Constitutio de feudis - Editto emanato dall’imperatore Corrado II il Salico col quale si riconobbe l’ereditarietà dei feudi minori a un secolo e mezzo di distanza dal capitolare di Quierzy (877). Promulgato in occasione della discesa di Corrado II in Italia, dove valvassori e mercanti si erano ribellati contro il vescovo di Milano Ariberto, alleato dei grandi feudatari laici ed ecclesiastici, rappresentò il tentativo di sgretolare il fronte feudale e di coalizzare al fianco dell’imperatore le forze della nobiltà minore. Confermando un orientamento diffuso, l’editto ebbe applicazione anche fuori d’Italia e accelerò il processo di disgregazione del sistema feudale, specie nelle zone in cui più vivace era il processo di rinascita delle città.
[28] Curtis - Complesso fondiario altomedievale sul quale vivevano un proprietario e le numerose persone alle sue dipendenze. Vi si distingueva una pars dominica, coltivata direttamente, e una pars massaricia, costituita da appezzamenti di terreno concessi a lavoratori agricoli che, oltre a pagare censi, avevano anche l’obbligo di prestare servizio nella parte del signore.
[29] Servi della gleba - Termine storiografico che indica i contadini dipendenti dalla terra, sia medievali che moderni. Distinti dagli schiavi romani in virtù di un legame con la terra più forte di quello con un padrone onnipotente, si sarebbero sviluppati in simbiosi con il passaggio dal sistema sociale e di produzione antico a quello feudo-signorile fondato sul controllo delle risorse economiche e politiche connesse alla terra.
Il termine è parzialmente erroneo se applicato al Medioevo, perché mette troppo l’accento sui legami tra contadino e territorio, lasciando da parte sia il complesso sviluppo di una stratificazione giuridica e sociale inerente agli strati dominanti della società, sia il passaggio della dipendenza contadina da un ambito reale (la terra) a un ambito personale (il signore).
Dal IX secolo tuttavia le trasformazioni della più importante struttura produttiva rurale, la villa, in Italia curtis, da azienda fondata su una riserva centralizzata il cui sfruttamento era devoluto a schiavi ad azienda basata sull’utilizzo di manodopera estranea alla riserva e radicata sul massaricio (manso), portarono a uno spostamento di manodopera che ebbe importanti conseguenze giuridico-sociali. Certo lo schiavo del massaricio tendeva così ad assimilarsi agli altri massari liberi, ma al contempo lo sviluppo di legami con una categoria priva di qualsiasi diritto giuridico e sociale contribuì a trasformare buona parte dei liberi contadini, in servi alla mercé del loro signore fondiario e territoriale.
Dopo il X secolo, con lo sviluppo della signoria rurale come base dell’attività sociale ed economica, la stragrande maggioranza delle vittime del banno signorile si trovò costretta a subire oneri reali e personali (taglia, testatico, corvée) che ne proclamavano lo status servile. Il termine è anche usato per definire lo sviluppo, dal Cinquecento in poi, di nuovi e più costrittivi legami tra i contadini non-liberi e i loro signori-padroni, soprattutto nell’est europeo (Polonia, Russia). Alla fine dell’antico regime il termine aveva assunto una dirompente forza simbolica, tale da far coincidere, nella Rivoluzione francese, l’abolizione della servitù della gleba con la fine del regime feudale in Europa. Ma nel frattempo si era diffusa soprattutto in Russia, dove il suo consolidamento coincise con la fondazione dell’autocrazia (sotto Ivan IV, 1547-1584). La sua abolizione fu emanata in Russia soltanto nel 1861 dallo zar Alessandro II, privando i boiari del loro maggiore privilegio.
[30] Corvées - Prestazione d’opera obbligatoria consistente in alcune giornate di lavoro che il colono residente nella pars massaricia doveva prestare gratuitamente sulla pars dominica della villa. Dal diritto feudale la corvée passò al diritto pubblico regio in relazione a lavori di manutenzione e di difesa. Abolita in Francia con la Rivoluzione, sopravvisse in Europa orientale fino agli inizi del XIX secolo.
[31] Privilegium Othonis - Legislazione imperiale con la quale Ottone I si propose di risolvere il problema dei rapporti fra papato e impero, tentando al contempo di legittimare il controllo imperiale sul papato. Esso stabiliva infatti che l’elezione papale dovesse avvenire soltanto con il consenso dell’imperatore e alla presenza di suoi rappresentanti.
[32] Scisma - Atto di ribellione che porta alla separazione di una parte dei fedeli dalla comunione della propria Chiesa, sottraendosi all'obbedienza in materia di disciplina, ma non rinnegandone il credo.
Tre sono i maggiori scismi che hanno lacerato la Chiesa cattolica: il donatismo, lo scisma d'Oriente e il Grande scisma d'Occidente.
[33] La questione del Filioque - del filioque nel Credo Niceno nell'ambito della Chiesa Romana, atto definito non canonico dalla Chiesa Orientale, anche perché in violazione allo specifico comando del Concilio di Efeso (il Credo può essere cambiato solo per consenso conciliare). La controversia circa il filioque sembra essersi originata nella Spagna Visigota del sesto secolo, laddove l’eresia ariana era particolarmente diffusa: gli ariani affermavano che la prima e la seconda persona della Trinità non sono coeterne ed uguali. Per rafforzare la teologia tradizionale, il clero spagnolo introdusse il filioque nel Credo Niceno ("Credo nello Spirito Santo, [...] che procede dal Padre _e dal Figlio_ [filioque, appunto], e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato"): all'Oriente teologicamente sofisticato tale inserzione parve affettare non solo il credo universale, ma anche la dottrina ufficiale della Trinità.
[34] La questione liturgica - Alcune pratiche liturgiche occidentali che l'Oriente cristiano interpretava come innovazione: un esempio ne sia l'uso del pane azzimo per l'Eucaristia. Le innovazioni orientali, come l'intinzione del pane consacrato nel vino consacrato per la Comunione, erano state condannate molte volte da Roma ma mai in occasione dello scisma.
[35] La questione dei Patriarcati - Tutti i cinque Patriarchi della Chiesa indivisa concordavano sul fatto che il Patriarca di Roma dovesse ricevere onori più elevati degli altri, ma non erano in accordo se questi avesse autorità sugli altri quattro e, se gli fosse spettata, quanto ampia potesse essere tale autorità.
[36] Giurisdizione - In latino iurisdictio da ius dicere, è la potestà di applicare la legge (interpretandone la portata e rendendola operante nel caso concreto) attribuita ai giudici allorché risolvono controversie in posizione di indipendenza rispetto alle parti e di indifferenza rispetto all'esito delle medesime.
[37] Cesaropapismo - Sistema di relazioni tra potere civile e religioso in forza del quale il primo si attribuisce il diritto di intervenire in ogni ambito della vita religiosa.
Manifestatosi già con Costantino con l'assunzione della vecchia carica imperiale di pontifex maximus da parte degli imperatori romano-cristiani, si diffuse nel mondo bizantino, dove i sovrani si definirono uguali agli apostoli. Questa teoria e prassi politica fu poi fatta propria dagli zar di Russia.
Contro il cesaropapismo combatté la Chiesa cattolica, in particolare con Gregorio VII, Innocenzo III e Bonifacio VIII, che gli contrapposero, a loro volta, soluzioni teocratiche.
[38] Enrico IV e l'umiliazione di Canossa - Il governo di Enrico fu caratterizzato dal tentativo di rafforzare l'autorità imperiale. In realtà si trattava di trovare un difficile equilibrio, dovendo assicurarsi da una parte la fedeltà dei nobili, senza perdere l'appoggio del pontefice dall'altra. Mise in pericolo tutte e due le cose quando, nel 1075, decise di assegnare la diocesi di Milano, divenuta vacante. Ciò fece scoppiare un conflitto con papa Gregorio VII, conflitto che è passato alla storia come lotta per le investiture. Il 22 febbraio 1076 il papa scomunicò Enrico e lo dichiarò decaduto. Precedentemente era stato Enrico a dichiarare decaduto il papa, perché la sua nomina sarebbe stata irregolare, avendo il Re dei Romani il diritto di intervenire nell'elezione del papa.
Per giungere alla revoca della scomunica, Enrico e sua moglie si recarono in penitenza a Canossa, per incontrare Gregorio VII. Per tre giorni, dal 25 al 27 gennaio 1077, rimase in attesa di fronte all'ingresso del castello, e il 28 gennaio il papa decise di revocare la scomunica, soprattutto grazie alla mediazione di Matilde di Canossa, signora del castello.
Gregorio revocò la scomunica a Enrico, ma non la dichiarazione di decadenza dal trono. Enrico IV nomina un antipapa ed attacca direttamente il papa in Roma, con l' assedio in Castel S.Angelo. Il papa è liberato dal normanno Roberto il Guiscardo. Si ha l'esilio del papa a Salerno.
L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia L’Alto Medioevo di Massimo Capuozzo salotto culturale stabia

Archivio blog